Papers by Carlo Pisaniello
Con la sentenza della Cass. Penale, IV sez., n. 7092 del marzo 2022, il supremo consesso ha ridef... more Con la sentenza della Cass. Penale, IV sez., n. 7092 del marzo 2022, il supremo consesso ha ridefinito i contorni ed il ruolo del "preposto alla sicurezza" nei luoghi di lavoro, soprattutto in ossequio della novella normativa del 2021 che ha modificato il T.U. n. 81/2008. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale di Milano del 7 novembre 2018, assolveva F.M. dal reato di cui agli artt. 113, 590 commi primo, secondo e terzo, 583, comma secondo, n. 3, cod. pen., contestato in cooperazione con T.A., originario coimputato assolto con la sentenza di primo grado (lesioni gravissime personali ai danni di B.V. di durata superiore a quaranta giorni consistite nella perdita di un organo per effetto dello scoppio del bulbo oculare destro). L'imputazione a carico del F.M. consisteva nell'aver cagionato, in qualità di preposto di fatto alla sicurezza dell'impresa "C.L.E.B. Cooperativa Bresciani"-ai sensi dell'art. 299, in relazione all'art. 2, comma 1, lett. b, d ed e), D.Lgs. n. 81 del 2008: lesioni nei confronti di B.V. per colpa generica e per l'omessa predisposizione di adeguate misure di prevenzione e protezione da adottare per eliminare il rischio durante i lavori di "casseratura", ove si trovava ad operare il B.V. insieme al collega R.B..
Sospesi 10 sanitari per aver rifiutato il vaccino: le solite bufale dei giornalisti "nazi-vaccini... more Sospesi 10 sanitari per aver rifiutato il vaccino: le solite bufale dei giornalisti "nazi-vaccinisti" Molti quotidiani nazionali e di settore, ieri, hanno gioito perché 10 lavoratori di una RSA a Belluno erano stati sospesi senza stipendio per essersi rifiutati di sottoporsi a vaccinazione contro il SARS-Cov2. Titoloni in prima pagina neanche fossero state smantellate delle cellule terroristiche di Al Qaida, già questo di per sé fa comprendere come il clima oramai intorno alle vaccinazioni si sia, per così dire, irrigidito, al tal punto da aver creato due schieramenti contrapposti, non solo nella popolazione comune ma anche tra i sanitari. Da un lato i pro-vax e dall'altra i dissidenti, definiti no-vax, ora, quello che qui interessa non è tanto sostenere una o l'altra tifoseria, ma analizzare dal punto di vista giuridico l'ordinanza emessa dal Giudice di Belluno, la Dott.ssa Anna Travia sul ricorso presentato ex art. 700 c.p.c. dai sanitari. Orbene, il ricorso ex art. 700 c.p.c. presentato dai sanitari riguardava nello specifico due aspetti che possiamo dedurre dall'ordinanza di rigetto del giudice adito, ossia, il fumus bonis iuris di essere stati sottoposti a ferie forzate dal datore di lavoro a seguito di inidoneità prescritta dal medico competente e quindi, il datore di lavoro in forza dell'art. 2087 c.c. li avrebbe allontanati per proteggerli dall'eventuale contagio che avrebbero potuto subire poiché non vaccinati. Inoltre, il secondo requisito per proporre ricorso d'urgenza, ossia il periculum in mora, perché i lavoratori temevano che queste ferie non venissero retribuite proprio perché si erano rifiutati di sottoporsi a vaccinazione anti-SARS-Cov2.
Le minacce dei datori di lavoro contro i lavoratori "dissidenti" che non accettano la vaccinazion... more Le minacce dei datori di lavoro contro i lavoratori "dissidenti" che non accettano la vaccinazione contro la "SARS-CoV-2" definiti a sproposito "no-vax". Presupposti qualificativi, giuridici e relativa efficacia pratica. ___________________________________________________________________________________________________ Dott. Carlo Pisaniello Presidente dell'Associazione Avvocatura degli Infermieri 2 Le minacce dei datori di lavoro contro i lavoratori "dissidenti" che non accettano la vaccinazione contro la SARS-CoV-2 definiti a sproposito "no-vax". Presupposti qualificativi, giuridici e relativa efficacia pratica 1. Abstract (It): Il presente pamphlet riguarda il dibattito scaturito recentemente sull'obbligatorietà vaccinale contro il SARS-Cov2 pretesa da alcuni datori di lavoro. I relativi effetti che questa potrebbe ingenerare sul rapporto di lavoro. Si è tentato di ricostruire le varie posizioni emerse e le dichiarazioni di alcuni illustri giuslavoristi. Si è tentato poi di esprimere una chiave di lettura critica ed alternativa basata non solo sugli aspetti giuridici e dottrinali, ma anche su quelli scientifici attualmente a nostra disposizione, soprattutto in virtù del dettato costituzionale dell'art. 32, comma 2, Cost., e della mancanza di una norma ad hoc che renda tale pratica obbligatoria. Abstract (En): This very pamphlet concerns the debate that has recently arisen regarding the SARS-Cov2 vaccination mandate imposed by several employers, and
Esultano gli infermieri è la fine del vincolo di esclusività…ma è stata travisata la sentenza. Co... more Esultano gli infermieri è la fine del vincolo di esclusività…ma è stata travisata la sentenza. Con la sentenza n. 1012 del 2019 la Corte di Appello in funzione di giudice del lavoro rigetta il ricorso proposto da un infermiere che aveva portato in giudizio la propria ASL datrice di lavoro per vedersi riconosciuto il pagamento della tassa dell'Ordine infermieristico OPI. Senza entrare nel merito della richiesta del rimborso OPI, che alcuni giudici dichiarano essere in capo al datore di lavoro ed altri al lavoratore, quello che invece qui interessa è la conclusione a cui sono giunti alcuni "giornalisti" della stampa infermieristica in alcuni loro articoli, i quali, errando, hanno dato per finito il vincolo di esclusività del dipendente pubblico con la conseguente opportunità per costoro di poter svolgere in contemporanea altre attività per strutture private o la libera professione diverse dal proprio datore di lavoro. Ma così non è, magari lo fosse. Di seguito si allegheranno gli stralci della sentenza incriminata che mostrano come la Corte di Appello sia caduta in errore considerando il personale del comparto che svolge attività in intramoenia o in prestazioni aggiuntive alla stessa stregua del personale dirigente, unico per sonale a cui è consentito previa scelta da apporre sul contratto di lavoro se optare per l'intramoenia o attività intramuraria e l'extramoenia, per altro, con rispettive decurtazioni di stipendio, ovvero, con incentivi anche cospicui se si opta per l'eclusività.
La "Cessione" delle ferie al tempo del Cov-19. Il presupposto storico di tale istituto si rinvien... more La "Cessione" delle ferie al tempo del Cov-19. Il presupposto storico di tale istituto si rinviene in Francia, nella legge Loi Mathys, n. 459 del 9 maggio 2014, da cui prende il nome, un tristissimo fatto di cronaca di grande impatto mediatico che vede come protagonisti degli operai di uno stabilimento della Loira, i quali, colleghi del padre di Mathys, un bimbo affetto da tumore al fegato, decisero di rinunciare a parte delle loro ferie, circa 170 giorni, mettendole a disposizione del genitore per permettere al collega di assistere il figlio fino alla morte. Da questo episodio ha tratto origine la scelta del legislatore nazionale di inserire lo stesso istituto in una norma interna. Con il D.Lgs. n. 151/2015 infatti, rubricato come "Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità", in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183, c.d. "Job Act" è stato introdotto, anche nell'ordinamento italiano, il sistema solidale di cessione di ferie e riposi tra colleghi dipendenti occupati nella stessa azienda. L'istituto in parola, permette quindi l'assistenza dei figli minorenni che si trovano in condizioni di salute gravi o medio gravi e che richiedano pertanto l'assistenza costante e continua da parte di uno dei genitori legittimi o affidatari che siano. La norma, affida poi alla contrattazione collettiva nazionale, ovvero, decentrata, un ampio margine di manovra per meglio gestire la delega, cosa che molte aziende hanno messo in campo attraverso la regolamentazione della materia in occasione della sottoscrizione dei rinnovi e degli accordi integrativi aziendali. L'articolo di cui parliamo è il 24, D.Lgs. 151/2015, c.d. "Decreto Semplificazioni", di attuazione del Jobs Act, con il quale è stata introdotta questa possibilità, ossia, l'istituto dei riposi e delle ferie solidali: "Fermi restando i diritti di cui al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, i lavoratori possono cedere a titolo gratuito i riposi e le ferie da loro maturati ai lavoratori dipendenti dallo stesso datore di lavoro, al fine di consentire a questi ultimi di assistere i figli minori che per le particolari condizioni di salute necessitano di cure costanti, nella misura, alle condizioni e secondo le modalità stabilite dai contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale applicabili al rapporto di lavoro".
In tempi di emergenza è tutto decisamente più complesso, regna il caos, le attività si fanno semp... more In tempi di emergenza è tutto decisamente più complesso, regna il caos, le attività si fanno sempre più frenetiche si susseguono provvedimenti legislativi nazionali, regionali e locali, la confusione la fa da padrone ma gli infermieri sono sempre protagonisti in prima linea unitamente a tutti gli altri professionisti del sistema sanitario nazionale, sono giustamente definiti da tutti come degli eroi, ma sono anche le occasioni nelle quali molti dirigenti aziendali di dubbia competenza, siano essi pubblici o privati, approfittano della loro posizione dominante per esercitare illegittimamente poteri che non hanno, distorcendo a loro piacimento disposizioni normative d'urgenza emanate dal governo che avevano lo scopo di alleviare il carico emotivo e lavorativo che tutti i protagonisti della sanità stanno affrontando in questo momento. Molte sono state le previsioni di legge, per lo più in forma di decreti d'urgenza e di atti regolamentari (DPCM) indirizzate appunto a tale scopo, ma molto spesso ci si è resi conto dell'enorme confusione che ne scaturisce che può compromettere la reale portata ed efficacia diretta di tali disposizioni, la loro applicabilità e soprattutto l'interpretazione da dare a tali atti. Si inizia con il Decreto Legge n. 23 febbraio 2020, n. 6 "Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19" convertito in legge con la Legge 5 marzo 2020, n. 13 "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19" abrogato poi, ad esclusione degli artt. 3, comma 6-bis e 4. Con il successivo DPCM 11 marzo 2020 "Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale" iniziano i provvedimenti diretti a quel personale (medico e infermieri in primis)
Il coordinatore infermieristico come preposto alla sicurezza? Aspetti giuridici e pratici. Non è ... more Il coordinatore infermieristico come preposto alla sicurezza? Aspetti giuridici e pratici. Non è raro constatare nelle aziende sanitarie che il coordinatore infermieristico, "ex caposala", venga individuato come figura referente per svolgere i compiti di preposto alla sicurezza ai sensi del T.U. n. 81/2008 che, definisce la figura del preposto come: "persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l'attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa". Secondo il parere di chi scrive però, il coordinatore infermieristico non può essere individuato come tale, poiché la norma contrattuale di riferimento e la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, nulla dicono in merito, ed anzi, individuano di volta in volta tutt'altre figure, giammai il coordinatore infermieristico. La figura del coordinatore infermieristico prende vita piena e concreta dalla legge del 1 febbraio 2006 n. 43, intitolata "Disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitativa, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l'istituzione dei relativi ordini professionali" che all'art. 6, "Istituzione della funzione di coordinamento" così lo definisce: 1. In conformita' all'ordinamento degli studi dei corsi universitari, disciplinato ai sensi dell'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e successive modificazioni, il personale laureato appartenente alle professioni sanitarie di cui all'articolo 1, comma 1, della presente legge, e' articolato come segue: lett. b), "professionisti coordinatori in possesso del master di primo livello
Ordinanza Tribunale di Roma sez. lavoro del 4 settembre 2019 È onere datoriale provare la sussist... more Ordinanza Tribunale di Roma sez. lavoro del 4 settembre 2019 È onere datoriale provare la sussistenza di ragioni di natura organizzativa, tecnica o produttiva, che impediscono di accogliere la richiesta di trasferimento ai sensi della L. 104/92. La ricorrente è trasferita dalla precedente datrice di lavoro, presso la sede di Torino Caselle dopo aver chiesto un periodo di congedo straordinario per poter assistere la madre riconosciuta portatrice di handicap in situazione di gravità. Transitata poi alle dipendenze della società Leonardo SpA, alla scadenza del suddetto periodo di congedo, ha chiesto alla nuova datrice di lavoro di essere trasferita presso l'unità produttiva più̀ vicina alla residenza della madre sita all'interno del territorio di Roma Capitale. La società datrice di lavoro ha respinto la suddetta richiesta, opponendo l'insussistenza di posti vacanti nel territorio di Roma Capitale o comunque la mancata intenzione di coprirli e la insindacabilità di tale scelta. Avverso tale disposizione fa ricorso al Tribunale di Roma la dipendente. La risoluzione della controversia verte quindi sull'interpretazione dell'art. 33, comma 5, L. n. 104 del 1992, come modificato dalla L. n. 53 del 2000 e successivamente dall'articolo 24, comma 1, lettera b), della legge 4 novembre 2010, n. 183, secondo cui il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado (...) "ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può̀ essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede". L'interpretazione della citata norma ad avviso del Tribunale, non può prescindere dai ripetuti interventi della Corte costituzionale, con i quali è stato chiarito che la L. n. 104 del 1992 ha sicuramente un particolare valore
Commento a Sent. Trib. Pordenone n. 116 del 6 settembre 2019 La tesi AADI sul pagamento della tas... more Commento a Sent. Trib. Pordenone n. 116 del 6 settembre 2019 La tesi AADI sul pagamento della tassa all'ordine (OPI) era giusta. Come più volte scritto in alcuni articoli a firma AADI, oltreché detto in molti convegni infermieristici, la tassa per l'iscrizione all'ordine OPI deve essere assolta dal datore di lavoro e non dall'infermiere dipendente di struttura pubblica o privata convenzionata con il SSN. Affrontammo già l'argomento in diverse occasioni, anche se, il problema appariva sempre di natura penalistica per le denunce che l'ordine faceva nei confronti dei poveri malcapitati infermieri. A seguito però delle molteplici sentenze di non luogo a procedere emesse dai Tribunali Penali, poiché non era ravvisabile nessun reato di natura penale in violazione dell'art. 348 c.p. (abuso della professione infermieristica) a carico degli infermieri dipendenti delle aziende ospedaliere, gli ordini su suggerimento della FNOPI, hanno modificato la propria strategia offensiva per tentare di ottenere il pagamento della quota. La strategia adottata è divenuta quindi quella di trasferire direttamente al datore di lavoro l'incombenza di contestare la mancata oblazione della tassa a quel personale risultante non in regola. Le aziende, dal canto loro, sollecitate dagli ordini provinciali hanno, attraverso controlli interni, intimato nell'immediato a tutti gli infermieri non in regola di ottemperare nel più breve tempo possibile, pena, il licenziamento per giustificato motivo soggettivo. La scelta strategica adottata ha avuto da subito i propri effetti e molti infermieri messi alle strette sono stati costretti a regolarizzare la loro posizione debitoria con l'ordine onde evitare contenziosi con il proprio datore di lavoro.
Il riposo settimanale deve essere garantito in caso di pronta disponibilità attiva. La Corte di A... more Il riposo settimanale deve essere garantito in caso di pronta disponibilità attiva. La Corte di Appello di Genova con la sentenza n. 469 del 3 ottobre 2013, accoglieva l'appello proposto dalla ASL n. 5 "Spezzina" in riforma della sentenza di I grado proposta dal coordinatore tecnico di radiologia, volta ad ottenere la condanna dell'azienda datrice di lavoro al pagamento delle indennità sostitutive per i riposi giornalieri e settimanali non fruiti nel periodo che va dal 2003 al 2008, data del pensionamento del ricorrente. La corte di Appello riteneva che la fattispecie dedotta in giudizio fosse riconducibile all'art. 7 , comma 6 del CCNL comparto sanità del 20 settembre 2009 secondo cui "il servizio di pronta disponibilità va limitato ai turni notturni e ai giorni festivi. Nel caso in cui esso cada in un giorno festivo spetta un riposo compensativo senza riduzione del debito orario settimanale". Precisava inoltre che ai sensi del comma 9 del medesimo articolo, in caso di chiamata del lavoratore in servizio (pronta disponibilità attiva) l'attività prestata dovesse essere ricompensata come lavoro in regime straordinario, ovvero, come recupero orario ai sensi dell'art. 40 CCNL 7 aprile 1999. La Corte territoriale rilevava inoltre come l'appellante avesse optato per il pagamento del compenso per il lavoro straordinario, per altro corrisposto e come non potesse quindi rivendicare il diritto al risarcimento per mancata fruizione di riposi. Avverso alla sentenza della Corte di Appello ricorreva per Cassazione l'odierno appellante affidato a 5 motivi, cui resisteva con controricorso la ASL "spezzina".
Licenziato il dipendente che sfrutta i permessi 104 per rimanere a casa evitando di assistere il ... more Licenziato il dipendente che sfrutta i permessi 104 per rimanere a casa evitando di assistere il disabile. La Corte di Appello di Bologna con la sentenza n. 79 del 19 gennaio 2018, confermava la sentenza di prime cure che aveva ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa intimato dalla Società Autostrade SPA al lavoratore che, aveva abusato dei permessi ex art. 33, comma 3, della L. n. 104/92. La corte Territoriale, in sintesi, aveva osservato che poteva ritenersi raggiunta la prova dell'abuso dei permessi di cui sopra, a seguito della relazione investigativa (su incarico del datore di lavoro) confermata anche in sede di prova testimoniale. Infatti, il lavoratore, nelle giornate del 5 e dell'8 settembre 2015, non era mai entrato o uscito dall'abitazione nell'arco orario compreso tra le 6.30 e le 21.00 e, dunque, non poteva essersi recato presso la diversa abitazione di residenza della zia per fornirgli assistenza, circostanza che valutata unitamente alle dichiarazioni rilasciate dal lavoratore in sede di giustificazioni rese ai sensi dell'art. 7 della legge n. 300/70 ed alla prova ulteriore degli investigatori, giustificava il provvedimento espulsivo per il disvalore sociale ed etico della condotta compromettendo irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra azienda e lavoratore. Il lavoratore propone ricorso in Cassazione e la società resiste con controriscorso. Secondo il ricorrente, la corte territoriale avrebbe commesso violazione e falsa applicazione di legge degli artt. 5 L. n. 604/66, 2119 e 2698 c.c., 18, comma 4 della L. n. 300/70, avendo illegittimamente invertito l'onere della prova in ordine alla sussistenza della condotta addebitata al lavoratore e ritenuto quindi legittimo il licenziamento in considerazione della mancata prova, richiesta al lavoratore, di aver effettuato assistenza alla propria zia nelle date del 5 e 8 settembre 2015.
Trasfusione di sangue; in caso di pericolo di vita non è necessario il consenso informato. I Sig.... more Trasfusione di sangue; in caso di pericolo di vita non è necessario il consenso informato. I Sig.ri A. De S. e M. B., in proprio e quali legali rappresentanti dei figli minori G. ed E. De S., convenivano in giudizio, con citazione del 7/9/2005, il Comune di Venezia, il Ministero della Salute, la Gestione Liquidatoria dell'ex ULS 36 e la Regione Veneto esponendo che nel 1974 A. De S., figlio della coppia allora quattordicenne, a seguito di operazione chirurgica ad un ginocchio presso il reparto Ortopedia dell'Ospedale di Mestre, venne a trovarsi in pericolo di vita, i medici per scongiurare tale evento decisero di sottoporlo alla trasfusione di quattro sacche di sangue, senza aver preventivamente acquisito né il consenso del paziente né quello dei suoi genitori. Dalle suddette trasfusioni derivò il contagio da virus manifestatosi dopo molti anni e la degenerazione di una patologia epatica evolutasi poi in cirrosi. A tal riguardo nel 2005 il danneggiato ed i congiunti del medesimo chiesero il risarcimento dei danni, facendo valere la responsabilità contrattuale della Asl e del Comune di Venezia e quella aquiliana del Ministero della Salute. Il comune di Venezia e gli altri convenuti si costituirono in giudizio sollevando l'eccezione di prescrizione e chiedendo ed ottenendo l'ammissione di una CTU, all'esito della quale il Tribunale di Venezia rigettò la domanda e compensò le spese. La Corte di Appello di Venezia, adita dalla parte ricorrente fu chiamata a valutare gli esiti della CTU in ordine alle conoscenze diffuse all'epoca delle trasfusioni, rilevò che nel caso di specie la CTU percipiente, ossia, una consulenza tecnica non solo rivolta ad una valutazione dei fatti ma, all'accertamento degli stessi, ponendosi la stessa come fonte oggettiva di prova in ragione delle conoscenze specialistiche richieste.
Le schede di valutazione del personale, se non congrue, possono essere impugnate dal giudice del ... more Le schede di valutazione del personale, se non congrue, possono essere impugnate dal giudice del lavoro. La Corte di Appello dell'Aquila, Sez. Lavoro (Pres. Sannite, Rel. Santini) ha affrontato con particolare attenzione il tema delle schede di valutazione del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni, e quindi anche del personale del SSN, richiamando l'orientamento oramai ius receptum dei giudici di legittimità. Il giudice della Corte Territoriale ha confermato la sentenza del primo grado con la quale era stato respinto il ricorso di un dipendente di un comune Abruzzese, volto ad ottenere la declaratoria di illegittimità della scheda di valutazione del Dirigente dell'ente, offrendo una adeguata motivazione e rinviando alla giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Cass. 10450/2000; Cass. 2252/1995). La Corte di Cassazione di recente (sentenza 27 settembre 2011 n. 19710), ha statuito che le valutazioni del datore di lavoro, in ordine al rendimento ed alla capacità professionale del lavoratore, espresse attraverso le note di qualifica, sono sì sindacabili dal giudice, soprattutto in riferimento ai parametri oggettivi previsti dal contratto collettivo ed agli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. incombendo invece sul datore di lavoro l'onere di motivare queste valutazioni proprio allo scopo di permettere il controllo da parte del giudice dell'osservanza di quei specifici parametri. Peraltro, questo controllo non può essere limitato alla mera verifica della coerenza estrinseca del giudizio riassuntivo della valutazione, ma ha ad oggetto anche la verifica della correttezza del procedimento di formazione del medesimo giudizio di valutazione, il quale, richiede di prendere in esame tutti i dati in possesso del datore di lavoro, ovverosia, sia quelli positivi sia quelli negativi che risultano essere rilevanti al fine della valutazione.
Superamento del periodo di comporto. Cassazione; si conta la durata dei singoli mesi in giorni ef... more Superamento del periodo di comporto. Cassazione; si conta la durata dei singoli mesi in giorni effettivi. La Corte di Appello di Milano respingeva il reclamo di un dipendente, avverso la sentenza della corte di prime cure che si era pronunciata in merito al licenziamento per aver superato il periodo di comporto corrispondente a 18 mesi in tre anni. La Corte di Appello aveva osservato come il calcolo del periodo di comporto fosse pari a 18 mesi; per convertire tale periodo aveva ritenuto che non potessi farsi applicazione della regola legale del calendario comune, come prospettata dal lavoratore che così aveva calcolato il suo periodo di comporto; (365 giorni : 12 mesi x 18 mesi = 547, 56 giorni) ma piuttosto dovesse farsi riferimento al mese come unità convenzionalmente riconosciuta pari a trenta giorni e quindi; (30 giorni x 18 mesi = 540 giorni). La volontà delle parti collettive secondo la Corte territoriale, come desumibile da due riferimenti contenuti nell'art. 50 del CCNL metalmeccanici, era stata quella di derogare alla regola generale del calendario comune sicché il licenziamento era da considerarsi legittimo poiché il lavoratore era stato assente per ben 545 giorni, non essendo emersi elementi che dimostrassero l'origine professionale della malattia. Il lavoratore licenziato propone ricorso in cassazione, al quale resiste l'azienda datrice e di lavoro. Il lavoratore eccepisce la violazione dell'art. 360 c.p.c., dell'art. 5 della legge n. 604/66 e dell'art. 2697 c.p.c., nonché per error in procedendo per motivazione contradditoria e apparente. La censura dell'appellante si riferisce alla statuizione della Corte di Appello di individuazione del CCNL applicabile al caso di specie, infatti per la Corte territoriale il CCNL fonte di disciplina del rapporto di lavoro dovesse individuarsi in quello dei metalmeccanici CONFAPI e che tale giudizio era stato preso in
pronta disponibilità, superare le 6 previste dal CCNL è inadempimento contrattuale. Il caso rigua... more pronta disponibilità, superare le 6 previste dal CCNL è inadempimento contrattuale. Il caso riguarda un radiologo in servizio dal 1991 al 1998 che decedeva a seguito di superlavoro. Gli eredi, la moglie e la figlia, adivano il Tribunale di Nicosia, prospettando che il decesso del coniuge, avvenuto il 19 settembre 1998, era imputabile all'enorme carico di lavoro a cui il loro congiunto era stato sottoposto nel corso dell'intero rapporto lavorativo, chiedendo sia il pagamento dell'equo indennizzo, ai sensi del d.p.r. 461 del 2001, nella misura corrispondente alla I categoria della tabella A di cui al d.p.r. 834/81, nonché il risarcimento del danno non patrimoniale, quantificato in euro 100.000 per ciascuna erede o nella diversa misura equitativamente determinata. A seguito della consulenza medico legale, il Giudice del lavoro del Tribunale di Nicosia aveva accolto entrambe le domande. La sentenza veniva impugnata dall'Azienda sanitaria provinciale di Enna contestando, per quanto qui interessa, la sussistenza della responsabilità ex art. 2087 c.c., la Corte di Appello accoglieva solo parzialmente il gravame dell'Azienda sanitaria, non ravvisando nel comportamento datoriale un inadempimento colpevole ai sensi dell'art. 2087 c.c., tale da integrare gli estremi della responsabilità risarcitoria per il danno esistenziale (rectius, per danno non patrimoniale da perdita parentale), considerato che l'adibizione a turni di disponibilità in numero superiore a quelli previsti da C.C.N.L. non poteva concretare "violazione di misure necessarie per tutelare l'integrità psicofisica del prestatore di lavoro". I parenti del de cuius ricorrono in Cassazione, la quale, accoglie il ricorso degli eredi per violazione dell'art. 2087, in base al quale "L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro".
La Cassazione ribadisce che la reiterazione dei contratti a termine nel pubblico impiego non tras... more La Cassazione ribadisce che la reiterazione dei contratti a termine nel pubblico impiego non trasforma il rapporto di lavoro da tempo determinato ad indeterminato. Una dipendente assunta con il profilo di operatore di sostegno, categoria C, comparto unico della Valle d'Aosta, a seguito della reiterazione di tre contratti a tempo determinato succedutisi nel tempo, proponeva ricorso al Giudice del lavoro in ragione del superamento del limite temporale di 9 mesi, chiedendo di; a) accertare la illegittimità dell'apposizione del termine, ossia, la trasformazione dei contratti in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze della Regione Valle d'Aosta a far data della prima stipulazione; b) ottenere la corresponsione delle somme non percepite nei periodi di interruzione del rapporto di lavoro tra i singoli contratti; c) il risarcimento dei danni derivati dall'abusivo ricorso ai contratti a tempo determinato, da liquidarsi nella misura di venti mensilità della retribuzione globale di fatto o nella diversa misura ritenuta di giustizia; d) la condanna della Regione Valle d'Aosta "in ogni caso...a rifondere alla ricorrente tutti i danni patiti in conseguenza del contegno illegittimo tenuto dal datore di lavoro nel caso per cui è giudizio da liquidarsi anche in via equitativa da parte del Giudice del Tribunale di Aosta, salva determinazione nei termini di legge". Il Giudice di prime cure del Tribunale di Aosta, ha ritenuto fondate le ragioni dell'illegittimità prospettate in ricorso, negando però la conversione del rapporto di lavoro da determinato ad indeterminato stante il divieto di cui all'art. 97, comma 3 Cost. e dell'art. 36, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001, riconoscendo però il diritto della ricorrente al risarcimento del danno conseguente alla abusiva reiterazione e, in applicazione analogica dell'art. 18 L. n. 300/70, liquidando il danno nella misura di venti mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto;
Non può essere invocata la "spending review" per negare il pagamento delle ferie annuali non usuf... more Non può essere invocata la "spending review" per negare il pagamento delle ferie annuali non usufruite. Il Tribunale amm.vo Regionale Sardegna si è pronunciato sul ricorso proposto dalla parte ricorrente contro il Ministero della Giustizia D.A.P. e la casa Circondariale di Iglesias difesi dall'avvocatura dello stato, per la declaratoria del diritto alla monetizzazione delle ferie non fruite negli anni 2013 e 2014. Il ricorrente, guardia penitenziaria, aveva prestato servizio alle dipendenze del Ministero delle Giustizia, presso il Dipartimento dell'amm.ne penitenziaria, dal gennaio 1981 al dicembre 2014, data in cui si è collocato a riposo. Il collocamento a riposo era stato deciso a seguito di un lungo periodo di malattia, dopo gli accertamenti sanitari di rito ad opera della commissione medica ospedaliera, era stato dichiarato permanentemente inidoneo al servizio presso la polizia penitenziaria. Il ricorrente è stato dispensato dal servizio e quindi collocato a riposo, dopo che aveva anche rinunciato al transito dai ruoli di polizia a quelli civili o di altre amm.ni dello stato. Così facendo gli è stata però preclusa la possibilità di usufruire delle ferie pari a complessivi 147 giorni, di talché, il ricorrente ha presentato apposita istanza volta ad ottenere la monetizzazione delle ferie residue non usufruite. Il provveditorato ha però autorizzato solo il pagamento di 53 giorni ferie residue e non quindi delle restanti, facendo si che, il dipendente proponesse ricorso al TAR Sardegna per l'accertamento del diritto leso, con relativa condanna dell'amm.ne resistente. Il Collegio dopo aver valutalo gli atti, ed aver evidenziato che come risulta dall'esposizione di fatti il ricorso verteva solo su un punto di doglianza, si esprime quindi sulla questione se sia dovuto o no la monetizzazione
Si è definitivamente concluso oggi, con la ratifica del protocollo tra CSM, nella persona del Vic... more Si è definitivamente concluso oggi, con la ratifica del protocollo tra CSM, nella persona del Vice Presidente David Ermini ed i presidenti degli Ordini dei Tecnici TSRM, Dott. Alessandro Beux e delle Ostetriche FNOPO, Dott.ssa Maria Vicario, il percorso per l'approvazione dei requisiti necessari per l'accesso alle iscrizioni nei Tribunali distrettuali come periti e CTU.
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