Papers by Pierfrancesco Palazzotto
P. Palazzotto, Santa Venera e la Pace: secoli di devozione, storia, cultura e società a Palermo, in Pax Vobis. La Compagnia della Pace e la chiesa di santa Venera a Palermo, a cura di C. Gino Li Chiavi, 40due edizioni, Palermo 2021, ISBN 978-88-98115-52-5, pp. 14-17, 2021
Si tratta di un saggio introduttivo al volume sull'antica compagnia della Pace, in riferimento al... more Si tratta di un saggio introduttivo al volume sull'antica compagnia della Pace, in riferimento alle relative opere d'arte e d'architettura volute per la propria sede palermitana. Il breve saggio tira le fila dei contributi presenti nel volume offrendo alcune ipotesi interpretative aggiuntive su alcuni manufatti artistici, in particolare offrendo uno spunto interpretativo sul contesto di formazione di Giacomo Serpotta e definendo gli ambiti culturali di alcuni interventi e della relativa aristocratica committenza.
P. Palazzotto, Oltre il gusto barocco: note su un ipotetico intreccio romano tra Robert Adam e Giuseppe Venanzio Marvuglia (1755-1759), in Storie dell’Arte. Studi in onore di Francesco Federico Mancini, a cura di F. Marcelli, vol. 2, Auguaplano, Perugia 2020, ISBN 978-88-85803-65-7, pp. 27-45, 2020
Il saggio approfondisce il tema delle relazioni professionali nel corso della formazione romana d... more Il saggio approfondisce il tema delle relazioni professionali nel corso della formazione romana del principale architetto del neoclassicismo siciliano, Giuseppe Venanzio Marvuglia (1729-1814). L’occasione nasce dallo studio analitico di un disegno attribuito all’architetto palermitano a confronto con un progetto dello studio di Robert Adam (1728-1792) conservato presso la Soane’s Collection di Londra.
Il testo ripercorre le principali tappe della progettazione marvugliana nel passaggio dal tardo barocco al neoclassicismo, individuando tra le altre cose, per la prima volta, il modello di riferimento per villa Villarosa a Bagheria e portando all’attenzione quanto la rinomanza dell’architetto fosse dipesa dai suoi studi presso l’Accademia di San Luca, circoscritti tramite documenti d’archivio ad un preciso ambito temporale dall’autore del contributo (1755-1759).
Il riconoscimento del valore di Marvuglia, passando dalle recensioni di autorevoli personalità come Léon Dufourny o Jacques I. Hittorf, e la sua verosimile adesione alla Massoneria (addotta dalla lettura di una sua lettera a Dufourny presso la Biblioteca Comunale di Palermo), mostrano quanto egli fosse al centro di un sistema di relazioni europee ben al di sopra di quanto ritenuto finora, che trassero origine dai contatti stretti durante il soggiorno romano e si svilupparono successivamente.
La supposta contiguità diretta o indiretta con Robert Adam, presente a Roma nel medesimo periodo, viene ulteriormente sostanziata sulla base di nuovi elementi a supporto e consente anche di retrodatare l’elaborazione progettuale di Adam ai suoi anni romani.
P. Palazzotto, La forma del gusto: “sale à manger”, architettura e committenza a Palermo dal secondo Settecento ai primi anni del XX secolo, in Cucina, Società e Politica. Le arti e il cibo. Modalità ed esempi di un rapporto, 3, Atti del Convegno (Bologna, 8-10 ottobre 2018) a cura di F. Lollini ..., 2020
Il contributo prende in esame per la prima volta uno specifico tema della cultura dell’abitare, l... more Il contributo prende in esame per la prima volta uno specifico tema della cultura dell’abitare, le Salle à manger (nel titolo presentato in una forma ibrida tra italiano e francese, come spesso avveniva nei documenti d’archivio).
La ricerca ha inteso affrontare la questione apparentemente marginale ma che, invece, investe la cultura della committenza siciliana, nonché dei professionisti cui essa si affidava, e le espressioni scelte dall’aristocrazia per la propria autorappresentazione, mostrandone l’evoluzione con un serrato ordine cronologico.
Partendo da alcuni recenti lavori sullo sviluppo delle abitazioni nobiliari palermitane, e raccogliendo la principale letteratura periegetica, lo studio ha focalizzato l’attenzione su quegli ambienti in ambito barocco, traendo risultati che smentiscono il reputare l’uso in Sicilia di tali ambienti molto tardo.
I raffronti costanti con i coevi esempi italiani, inglesi e soprattutto francesi, ha consentito di conferire un peso adeguato ad ogni intervento ed ha mostrato, al contempo, l’apertura internazionale di tale committenza.
La rassegna espone alcuni esempi topici di diverso andamento tra barocco e neoclassicismo, a partire dai palazzi del principe di Cutò, forse il primo esempio in città, e del principe di Gangi, con l’unico esemplare ancora esistente in ottimo stato, che consente di apprezzare l’eleganza e raffinatezza conferite in quel vano, non inferiore alle altre sale di rappresentanza delle magioni nobiliari.
Il ruolo della committenza risulta molto importante in ragione delle esigenze espresse tra il vivere secondo gli usi considerati “moderni” o quelli tradizionali, giungendo fino all’incarico dato dai Borbone all’architetto Marvuglia per la Real Casina alla Cinese ove perfezionò una tavola meccanica ripresa da prototipi ancora una volta francesi.
Nel corso del XIX secolo diviene così molto interessante l’evoluzione della sala à manger nell’approccio curato dalla borghesia e dalla nobiltà con nuova edilizia o nel rinnovamento degli antichi edifici di taglio settecentesco che vengono adeguati alle nuove esigenze funzionali con adeguati apparati artistico-decorativi.
Dalle monache alla città nella continuità. Un modello museologico nell’ex monastero di S. Caterina d’Alessandria di Palermo, 2019
Il contributo prende in esame una recente realtà museale palermitana, il trecentesco monastero do... more Il contributo prende in esame una recente realtà museale palermitana, il trecentesco monastero domenicano di S. Caterina d’Alessandria di Palermo, che ha terminato la sua funzione naturale nel 2014 ed è stato aperto al pubblico dopo fondamentali restauri delle strutture.
Si illustra il progetto museologico complessivo del convento che non riguarda solamente gli aspetti storico-artistici, pur davvero rilevanti dal XIV al XIX secolo, ma anche il rimettere in movimento l’organismo monumentale sul filo della continuità con la tradizione.
La musealizzazione secondo i criteri di una casa museo, nel corso di un cantiere di restauro permanente, si accompagna, infatti, alla riattivazione dell’antica dolceria, alla creazione di una Mensa di Solidarietà e di una Casa per sacerdoti.
L’idea è quella di far respirare ai visitatori l’atmosfera dell’antico convento restituendo nuovamente vitalità agli spazi.
Tra le iniziative del 2019 è qui descritta la mostra curata da Lina Bellanca, Maria Concetta Di Natale, Sergio Intorre e Maria Reginella, in sinergia tra Soprintendenza ai BB.CC.AA. e Università degli Studi di Palermo, volta a rendere manifesta la grandiosa bellezza delle suppellettili sacre del monastero di S. Caterina e di molti altri conventi siciliani (per la maggior parte conservate in depositi), con opere straordinarie dal XVI al XIX secolo.
Le Stanze dei Vescovi al Museo Diocesano di Palermo. Il riordinamento espositivo per il nuovo percorso, 2018
Il contributo illustra l’allestimento del nuovo Museo Diocesano di Palermo, curato dallo scrivent... more Il contributo illustra l’allestimento del nuovo Museo Diocesano di Palermo, curato dallo scrivente, prendendo le mosse dalla storia del museo, descrivendo i criteri tipologici, tematici e cronologici utilizzati per i precedenti assetti negli anni 1927 (anno della fondazione), 1952 e 2004.
Il progetto di ordinamento segue ai lunghi lavori di restauro del Palazzo Arcivescovile, integrando nel percorso il piano nobile secondo la tipologia della casa museo. Si vogliono così creare due canali di comunicazione museale, uno tradizionale e uno dissimulato nell’ambito delle splendide decorazioni e nei fastosi arredi del palazzo, fondato nel secondo quarto del XV secolo dall’arcivescovo Simone Beccadelli di Bologna (1434-1445).
I ritratti degli arcivescovi di Palermo segnano l’itinerario e identificano il luogo ove si trova il museo, ricordando l’importante ruolo anche politico dei vescovi di Palermo, talvolta anche Viceré di Sicilia.
P. Palazzotto, Breve nota sui criteri museologici per il nuovo ordinamento del Museo Diocesano di Palermo, in Finis Coronat Opus. Saggi in onore di Rosanna Cioffi, a cura di G. Brevetti, A. Di Benedetto, R. Lattuada, O. Scognamiglio, D’Arte, Todi 2021, ISBN 979-12-5975-131-7, pp. 516-520., 2021
Il contributo mette a fuoco i criteri ordinativi per il nuovo assetto museologico del Museo Dioce... more Il contributo mette a fuoco i criteri ordinativi per il nuovo assetto museologico del Museo Diocesano di Palermo, del quale l’autore è il curatore scientifico.
Si precisano gli elementi che hanno condotto alla ridefinizione dell’identità del museo, rispetto ai cinque allestimenti precedenti e in relazione all’apertura al pubblico del piano nobile del Palazzo Arcivescovile, sede museale, e degli arcivescovi nel corso dei secoli.
La missione che ne consegue viene esplicitata in relazione allo spirito che deve informare i musei ecclesiastici e sulla base di un principio di contemporaneità che esula dalla periodizzazione delle opere e le trascende.
Fluidità sociale e ambizione: la compagnia del SS. Rosario in S. Zita di Palermo committente d’arte tra Giacomo Serpotta e Carlo Maratti nel XVII secolo, in 4.1.16 G. Bongiovanni, P. Palazzotto, M. Sebastianelli, Carlo Maratti. La Madonna del Rosario e Santi dell’oratorio del SS. Rosario in Santa..., 2021
Il contributo prende in esame la committenza della compagnia del SS. Rosario ricostruendo per la ... more Il contributo prende in esame la committenza della compagnia del SS. Rosario ricostruendo per la prima volta, tramite indagini d’archivio, la consistenza sociale del sodalizio a partire dalla fine del Cinquecento. Il testo, quindi, lega la committenza di singoli personaggi alle varie produzioni storico-artistiche dell’oratorio fino a tutto il XVIII secolo e propone i modelli di riferimento locali per la configurazione decorativa dell’oratorio. In tale contesto si offre agli studiosi un’inedita ricostruzione delle vicende che hanno condotto all’incarico nei confronti di Maratti, legandolo strettamente all’apparato a stucco di Giacomo Serpotta e ad una disputa annosa tra ordini religiosi che si contendevano l’immagine della Patrona di Palermo, S. Rosalia.
Si riprende, infine, il documento di commissione a Maratti, dimenticato da oltre sessant’anni e mai menzionato dagli studi sull’argomento, e se ne interpretano alcuni passaggi nodali in relazione a quanto emerso dalla ricerca d’archivio e sulle fonti primarie.
P. Palazzotto, La “Sala S. Rosalia” del Museo Diocesano di Palermo, in Il Bello, l’Idea e la Forma. Studi in onore di Maria Concetta Di Natale, a cura di P. Palazzotto, G. Travagliato, M. Vitella, ISBN 978-88-5509-399-6, vol. 1, Palermo University Press, Palermo 2022, pp. 419-424 P. Palazzotto, La “Sala S. Rosalia” del Museo Diocesano di Palermo, in Il Bello, l’Idea e la Forma. Studi in onore di Maria Concetta Di Natale, a cura di P. Palazzotto, G. Travagliato, M. Vitella, ISBN 978-88-5509-399-6, vol. 1, Palermo University Press, Palermo 2022, pp. 419-424, 2022
Il saggio prende in esame l'assetto museologico del Museo Diocesano di Palermo prendendo in esame... more Il saggio prende in esame l'assetto museologico del Museo Diocesano di Palermo prendendo in esame la sala tematica dedicata alla Patrona di Palermo e il percorso scientifico che per tappe conduce a quell'ambiente a partire dalle prime manifestazioni artistiche presenti in collezioni e legate ad episodi epidemici nel 1527 e nel 1575 in Sicilia, e ai santi taumaturghi nonché specificatamente protettori contro la peste. Il contributo intende porre all'attenzione l'assetto che non vuole essere solo critico e retrospettivo ma anche proporsi in senso contemporaneo per l'evidente nesso con la condizione epidemiologica di questi anni.
in La condizione umana. Oltre l’istituzione totale, a cura di H. Marsala, CRICD, Palermo 2020, ISBN 978-88-98398-21-8, pp. 39-53, 2020
Il testo ripercorre le tappe che hanno condotto alla realizzazione di una delle più vaste opere p... more Il testo ripercorre le tappe che hanno condotto alla realizzazione di una delle più vaste opere pubbliche di stampo sanitario realizzate a Palermo nel XIX secolo. Tramite l’individuazione e l’analisi delle principali fonti ottocentesche e dei primissimi del Novecento, confrontandosi anche con la più recente letteratura periegetica, si fissano alcuni punti fermi rispetto alla progettazione ed esecuzione dei lavori, oltre che, non di meno, in relazione alla concezione scientifica sulle quali erano state fondate. Le immagini d’epoca accompagnano il testo in senso illustrativo e documentario.
Chiaromonte. Lusso, politica, guerra e devozione nella Sicilia del Trecento. Un restauro verso il futuro, 2020
Il contributo prende le mosse da un dato apparentemente scontato, cioè che il trecentesco Palazzo... more Il contributo prende le mosse da un dato apparentemente scontato, cioè che il trecentesco Palazzo Chiaromonte, matrice della letteratura artistica novecentesca per definire l’architettura del XIV secolo, avesse sempre goduto di una significativa rinomanza.
Si è voluto invece dimostrare che, fino ai restauri del soffitto chiaromontano alla fine del XIX secolo, in realtà l’edificio fosse considerato poco rappresentativo anche e soprattutto come modello di architettura indigena.
Si sono prese in esame le fonti principali, alcuni resoconti dei viaggiatori del Grand Tour e soprattutto si sono passati in rassegna gli esemplari di architettura neomedievalista ottocentesca in Sicilia che rimandassero al quel prototipo, mostrando, per la prima volta, come i casi fossero assai rari e più che altro legati a motivazioni contingenti.
Nel corso della prima parte del Novecento, al contrario, si assiste innanzitutto alla riscoperta del soffitto ligneo dipinto, proprio a causa dei restauri, mentre fino ad allora era sostanzialmente ignorato, i quali interventi di recupero aprono un crescente interesse nei confronti del manufatti e che vedono il coinvolgimento di Arrigo Boito, Adolfo Venturi, Giulio Ulisse Arata, Enrico Mauceri e la menzione dell’edificio su riviste nazionali come “Emporium”.
Ciononostante, si è voluto dimostrare come la visione del tetto dipinto presso la committenza aristocratica palermitana non avesse aperto alla fortuna delle scene cortesi, se non superficialmente, mantenendo, invece, un approccio già riscontrato nella prima parte dell’Ottocento, e messo in evidenza da Bologna, prevalentemente nel considerarlo un mero repertorio nobiliare.
In tale direzione vanno alcuni degli esempi neogotici novecenteschi che ricalcano, in un caso, esplicitamente anche i motivi decorativi di quel soffitto, confermando un’influenza diretta dell’opera in senso conservatrice e autorappresentativa della nobiltà isolana.
La Sicilia del gesso. Stratificazioni, tecniche costruttive e cultura, 2020
Il contributo prende in rassegna alcune delle principali opere prodotte dal maggiore stuccatore d... more Il contributo prende in rassegna alcune delle principali opere prodotte dal maggiore stuccatore del Settecento siciliano, Giacomo Serpotta. Il percorso cronologico prende le mosse dalle esperienze della tradizione con gli apparati cinqucenteschi dei Ferraro e del padre Gaspare, proseguendo con le pietre miliari in cui la tecnica di Serpotta e la sua visione compositiva si evolvono. Sono affrontati anche alcuni aspetti tecnici costitutivi e costruttivi degli apparati.
Sicily: Heritage of the World, a cura di D. Booms, P. Higgs, British Museum Research Publication n. 222, The British Museum, London 2019, ISBN 9780861592227, pp. 164-175, 2019
Il testo, frutto dell’intervento tenuto su invito al British Museum nel 2016, passa in rassegna l... more Il testo, frutto dell’intervento tenuto su invito al British Museum nel 2016, passa in rassegna le principali architetture neogotiche della prima metà del XIX a Palermo proponendo una lettura originale in ragione delle questioni storico-politiche-istituzionali che a quell’epoca attraversavano la Sicilia e la corona dei Borbone, all’interno del gusto internazionale e dell’interesse mostrato dai viaggiatori del Grand Tour.
Prendendo le mosse dai “restauri” della Cattedrale di Palermo e dal progetto per il rivestimento in stile della cupola appena edificata, tra i primi esemplari neomedievalisti in Italia, si propone una lettura “politica” di tali manifestazioni che vedono da un lato la committenza dei Borbone, bisognosi di immagini che consolidassero la legittimità del proprio dominio sul Regnum Siciliae, dall’altro l’aristocrazia locale che guardava, all’opposto, al felice regno normanno-federiciano-aragonese, in continuità, come epoca di emancipazione dall’oppressione napoletana. Il risultato è una produzione di grande interesse cronologicamente al passo con gli esempi analoghi continentali.
La “sovrabbondanza” nel Barocco, atti del Convegno Internazionale di Studi (Palermo, Facoltà Teologica di Sicilia “San Giovanni Evangelista”, 22 giugno 2018, a cura di V. Viola, R. La Delfa, C. Scordato, Euno Edizioni, Leonforte (Enna) 2019, ISBN 978-88-6859-170-0, pp. 230-247, 2019
L’intervento intende porre l’accento sulla specifica presenza storica, fisica ed artistica delle ... more L’intervento intende porre l’accento sulla specifica presenza storica, fisica ed artistica delle associazioni laicali nella capitale vicereale tra il XVII e il XVIII secolo e quale ruolo da protagoniste esse possano aver giocato rispetto ad un’indubbia massiva esuberanza decorativa all’interno dei propri spazi di culto. Se il clero secolare e gli ordini religiosi perseguirono canali di comunicazione peculiari dei propri obiettivi catechetici e pastorali, in cui gli apparati iconografici e architettonici erano una parte sostanziale, egualmente i laici devoti delle confraternite (pur nella loro diversificazione organizzativa e gerarchica) non furono da meno. Anzi, proprio in quest’ultimo ambito si assiste ad una sovrabbondanza semantica che nell’eccesso delle forme e dei segni, consentito da un’ermeneutica elitaria, trova felicissimi esiti nell’arte di Giacomo Serpotta (1656-1732) e della sua scuola.
Sacra et Pretiosa. Oreficeria dai monasteri di Palermo Capitale, catalogo della mostra (Palermo, Monastero di S. Caterina 28 dicembre 2018 – 31 maggio 2019), a cura di L. Bellanca, M.C. Di Natale, S. Intorre, M. Reginella, Palermo University Press, Palermo 2019, ISBN 978-88-5509-030-8, pp. 119-123, 2019
Il saggio tratta dell’istituzione del monastero dell’Assunta a Palermo, quale modello esemplare ... more Il saggio tratta dell’istituzione del monastero dell’Assunta a Palermo, quale modello esemplare delle case “personali” per religiose fondate da importanti famiglie aristocratiche anche per l’allocazione delle proprie congiunte.
In questo caso la committenza è di altissimo livello, i Moncada di Paternò per volontà della duchessa di Montalto Juana della Cerda, figlia del duca di Medinaceli. Proprio la duchessa, preso l’abito con il nome di suor Teresa dello Spirito Santo, secondo l’ipotesi qui proposta, fu la committente dell’ostensorio in corallo di cui si tratta e che proviene da quel monastero. A seguito della proposta il prezioso manufatto è restituito al suo autore con una precisa datazione.
Sacra et Pretiosa. Oreficeria dai monasteri di Palermo Capitale, catalogo della mostra (Palermo, Monastero di S. Caterina 28 dicembre 2018 – 31 maggio 2019), a cura di L. Bellanca, M.C. Di Natale, S. Intorre, M. Reginella, Palermo University Press, Palermo 2019, ISBN 978-88-5509-030-8, pp. 129-132, 2019
Il contributo illustra la fondazione del monastero di S. Vito di Palermo, segnata dalla peculiare... more Il contributo illustra la fondazione del monastero di S. Vito di Palermo, segnata dalla peculiare vocazione ad accogliere monache senza dote. In realtà in poco tempo anche questa sede monacale divenne molto ricca e frequentata da illustri esponenti delle principali famiglie aristocratiche del viceregno. Le consanguineità tra le consorelle dei diversi monasteri e i loro congiunti, l’emulazione e la competizione tra le case religiose, specchio delle rivalità familiari, hanno condotto a proporre in questa sede l’ipotesi di studio che la committenza dell’ostensorio di corallo di cui si tratta possa ricondursi al suor Elisabetta Maria della Passione, figlia del principe di Trabia e vedova del marchese di Gibellina con una datazione e manifattura assimilabile a quelle dell’ostensorio di corallo proveniente dal monastero dell’Assunta e oggi al Museo Diocesano di Palermo.
in M. Sebastianelli, Restauri al Museo Diocesano di Palermo. Schedatura e raccolta dei dati tecnico-conservativi, Congregazione Sant’Eligio Museo Diocesano di Palermo, Palermo 2018, ISBN 978-88-943282-0-2, pp. 17-20, 2018
Il contributo ripercorre le tappe che hanno portato alla creazione del laboratorio di restauro al... more Il contributo ripercorre le tappe che hanno portato alla creazione del laboratorio di restauro all’interno del Museo Diocesano di Palermo a partire dalle prime operazioni di recupero ancora a museo chiuso, fino all’ubicazione del primo laboratorio temporaneo e a quello definitivo. Vi si rimarca come i restauri delle collezioni siano stati orientati a monte da precise scelte museologiche nell’ambito del progetto di nuovo ordinamento, secondo le proposte del curatore scientifico del museo, nei limiti delle sue prerogative e delle scelte autonome della direzione.
Mezzojuso. Storia, Arte, Cultura e Tradizioni, Comune di Mezzojuso, Mezzojuso (Palermo) 2018, ISBN 978-88-98586-07-3, pp. 98-109, 2018
Il contributo prende in esame alcune delle principali architetture sacre del paese dell’entroterr... more Il contributo prende in esame alcune delle principali architetture sacre del paese dell’entroterra palermitano di antiche storia e cultura. Si mettono in evidenza in particolar modo i rifacimenti neomedievali nei restauri delle chiese rispettivamente di rito latino e di rito greco e come il neogotico fosse inteso quale stile arcaizzante e identitario.
Rosalia eris in peste patrona, catalogo della mostra (Palermo, Palazzo Reale, 3 settembre 2018 – 5 maggio 2019), a cura di V. Abbate, G. Bongiovanni, M. De Luca, Fondazione Federico II editore, Palermo 2018, ISBN 978-88-96729-37-3, 2018
Il testo rilegge l’evoluzione dell’iconografia di S . Rosalia, patrona di Palermo a partire dal p... more Il testo rilegge l’evoluzione dell’iconografia di S . Rosalia, patrona di Palermo a partire dal primo ritratto ufficiale voluto dal Senato di Palermo nel 1624.
Riprendendo una nota querelle innescata apparentemente dalle monache dell’ordine di S. Basilio, che affermavano che la Patrona avesse parte delle loro fila.
In realtà, come spiegato nel saggio, la contesa era sostenuta dai Gesuiti, insieme ai Benedettini, in funzione anti francescana, considerando che le prime immagini della Santuzza la ritraevano con il saio marrone legato con una corda, manifestando di conseguenza il valore eremitico nel percorso della sua santità e inevitabilmente richiamando l’abito di S. Francesco.
Il contributo ripercorre, dunque, la rassegna delle prime immagini di S. Rosalia, anche tramite fonti dirette e indirette, avanzando per la prima volta l’ipotesi che in realtà la causa scatenante il conflitto iconografico fosse dovuta ai Domenicani che utilizzarono la celeberrima pala con la Madonna del Rosario in S. Domenico di Antoon van Dyck, fino ad oggi non considerata nell’ambito della questione che vide coinvolti rinomati pittori, frutto di acute committenze, tra cui Carlo Maratti e Paolo De Matteis, un secolo dopo l’immagine vandyckiana.
GeoArcheoGypsum2019. Geologia e Archeologia del Gesso. Dal lapis specularis alla scagliola, a cura di D. Gulli, S. Lugli, R. Ruggieri, R. Ferlisi, Regione Siciliana, Assessorato dei BB.CC, ISBN 978-88-6164-503-5, 2018
l gesso, quale componente prevalente dello stucco ornamentale, ha inevitabilmente conferito alla ... more l gesso, quale componente prevalente dello stucco ornamentale, ha inevitabilmente conferito alla materia stessa nel corso dei secoli una naturale economicità. Di conseguenza le composizioni plastiche in epoca barocca hanno goduto da un lato del vantaggio del basso costo vivo, dall’altro ciò ha qualificato quegli apparati come subordinati alla possibile opzione marmorea ben più prestigiosa. L’evidenza di tale stato di cose si ha nella profusione di foglia d’oro apposta come elemento aggiuntivo qualificante le vaste decorazioni a stucco. Il contributo prende in esame sistematicamente per la prima volta il percorso compiuto nello stucco in Sicilia in relazione alla presenza di oro o cromia, a partire dalla Tribuna per la Cattedrale di Palermo fino alla Cattedrale di Agrigento, con confronti di ambito nazionale e internazionale. Con Giacomo Serpotta, sulla scorta del modello borrominiano, si ha un ribaltamento della prospettiva, in quanto la qualità della tecnica da lui introdotta e la straordinaria forma delle sue figure non necessitano più di valori aggiuntivi, ma sono per se stesse ragguardevoli e ambite dai committenti. La presenza dell’oro si riduce sensibilmente, se non come contrappunto cromatico, mentre i suoi apparati si impongono finendo per condizionare formalmente persino la scultura marmorea. Parallelamente sono poste in evidenza le indicazioni materiche sulla composizione degli stucchi, indicate dalla documentazione d’archivio edita e inedita qui proposta, e tramite i dati ricavati dalle indagini di cantiere.
in Critica d'Arte e Tutela in Italia: figure e protagonisti nel secondo dopoguerra, Atti del Conv... more in Critica d'Arte e Tutela in Italia: figure e protagonisti nel secondo dopoguerra, Atti del Convegno del X anniversario della Società Italiana di Storia della Critica d'Arte (SISCA), a Perugia, 17-19 novembre 2015, a cura di C. Galassi, Aguaplano, Passignano s.T (Perugia) 2017, ISBN 978-88-97738-96-1, pp. 467-486.
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Papers by Pierfrancesco Palazzotto
Il testo ripercorre le principali tappe della progettazione marvugliana nel passaggio dal tardo barocco al neoclassicismo, individuando tra le altre cose, per la prima volta, il modello di riferimento per villa Villarosa a Bagheria e portando all’attenzione quanto la rinomanza dell’architetto fosse dipesa dai suoi studi presso l’Accademia di San Luca, circoscritti tramite documenti d’archivio ad un preciso ambito temporale dall’autore del contributo (1755-1759).
Il riconoscimento del valore di Marvuglia, passando dalle recensioni di autorevoli personalità come Léon Dufourny o Jacques I. Hittorf, e la sua verosimile adesione alla Massoneria (addotta dalla lettura di una sua lettera a Dufourny presso la Biblioteca Comunale di Palermo), mostrano quanto egli fosse al centro di un sistema di relazioni europee ben al di sopra di quanto ritenuto finora, che trassero origine dai contatti stretti durante il soggiorno romano e si svilupparono successivamente.
La supposta contiguità diretta o indiretta con Robert Adam, presente a Roma nel medesimo periodo, viene ulteriormente sostanziata sulla base di nuovi elementi a supporto e consente anche di retrodatare l’elaborazione progettuale di Adam ai suoi anni romani.
La ricerca ha inteso affrontare la questione apparentemente marginale ma che, invece, investe la cultura della committenza siciliana, nonché dei professionisti cui essa si affidava, e le espressioni scelte dall’aristocrazia per la propria autorappresentazione, mostrandone l’evoluzione con un serrato ordine cronologico.
Partendo da alcuni recenti lavori sullo sviluppo delle abitazioni nobiliari palermitane, e raccogliendo la principale letteratura periegetica, lo studio ha focalizzato l’attenzione su quegli ambienti in ambito barocco, traendo risultati che smentiscono il reputare l’uso in Sicilia di tali ambienti molto tardo.
I raffronti costanti con i coevi esempi italiani, inglesi e soprattutto francesi, ha consentito di conferire un peso adeguato ad ogni intervento ed ha mostrato, al contempo, l’apertura internazionale di tale committenza.
La rassegna espone alcuni esempi topici di diverso andamento tra barocco e neoclassicismo, a partire dai palazzi del principe di Cutò, forse il primo esempio in città, e del principe di Gangi, con l’unico esemplare ancora esistente in ottimo stato, che consente di apprezzare l’eleganza e raffinatezza conferite in quel vano, non inferiore alle altre sale di rappresentanza delle magioni nobiliari.
Il ruolo della committenza risulta molto importante in ragione delle esigenze espresse tra il vivere secondo gli usi considerati “moderni” o quelli tradizionali, giungendo fino all’incarico dato dai Borbone all’architetto Marvuglia per la Real Casina alla Cinese ove perfezionò una tavola meccanica ripresa da prototipi ancora una volta francesi.
Nel corso del XIX secolo diviene così molto interessante l’evoluzione della sala à manger nell’approccio curato dalla borghesia e dalla nobiltà con nuova edilizia o nel rinnovamento degli antichi edifici di taglio settecentesco che vengono adeguati alle nuove esigenze funzionali con adeguati apparati artistico-decorativi.
Si illustra il progetto museologico complessivo del convento che non riguarda solamente gli aspetti storico-artistici, pur davvero rilevanti dal XIV al XIX secolo, ma anche il rimettere in movimento l’organismo monumentale sul filo della continuità con la tradizione.
La musealizzazione secondo i criteri di una casa museo, nel corso di un cantiere di restauro permanente, si accompagna, infatti, alla riattivazione dell’antica dolceria, alla creazione di una Mensa di Solidarietà e di una Casa per sacerdoti.
L’idea è quella di far respirare ai visitatori l’atmosfera dell’antico convento restituendo nuovamente vitalità agli spazi.
Tra le iniziative del 2019 è qui descritta la mostra curata da Lina Bellanca, Maria Concetta Di Natale, Sergio Intorre e Maria Reginella, in sinergia tra Soprintendenza ai BB.CC.AA. e Università degli Studi di Palermo, volta a rendere manifesta la grandiosa bellezza delle suppellettili sacre del monastero di S. Caterina e di molti altri conventi siciliani (per la maggior parte conservate in depositi), con opere straordinarie dal XVI al XIX secolo.
Il progetto di ordinamento segue ai lunghi lavori di restauro del Palazzo Arcivescovile, integrando nel percorso il piano nobile secondo la tipologia della casa museo. Si vogliono così creare due canali di comunicazione museale, uno tradizionale e uno dissimulato nell’ambito delle splendide decorazioni e nei fastosi arredi del palazzo, fondato nel secondo quarto del XV secolo dall’arcivescovo Simone Beccadelli di Bologna (1434-1445).
I ritratti degli arcivescovi di Palermo segnano l’itinerario e identificano il luogo ove si trova il museo, ricordando l’importante ruolo anche politico dei vescovi di Palermo, talvolta anche Viceré di Sicilia.
Si precisano gli elementi che hanno condotto alla ridefinizione dell’identità del museo, rispetto ai cinque allestimenti precedenti e in relazione all’apertura al pubblico del piano nobile del Palazzo Arcivescovile, sede museale, e degli arcivescovi nel corso dei secoli.
La missione che ne consegue viene esplicitata in relazione allo spirito che deve informare i musei ecclesiastici e sulla base di un principio di contemporaneità che esula dalla periodizzazione delle opere e le trascende.
Si riprende, infine, il documento di commissione a Maratti, dimenticato da oltre sessant’anni e mai menzionato dagli studi sull’argomento, e se ne interpretano alcuni passaggi nodali in relazione a quanto emerso dalla ricerca d’archivio e sulle fonti primarie.
Si è voluto invece dimostrare che, fino ai restauri del soffitto chiaromontano alla fine del XIX secolo, in realtà l’edificio fosse considerato poco rappresentativo anche e soprattutto come modello di architettura indigena.
Si sono prese in esame le fonti principali, alcuni resoconti dei viaggiatori del Grand Tour e soprattutto si sono passati in rassegna gli esemplari di architettura neomedievalista ottocentesca in Sicilia che rimandassero al quel prototipo, mostrando, per la prima volta, come i casi fossero assai rari e più che altro legati a motivazioni contingenti.
Nel corso della prima parte del Novecento, al contrario, si assiste innanzitutto alla riscoperta del soffitto ligneo dipinto, proprio a causa dei restauri, mentre fino ad allora era sostanzialmente ignorato, i quali interventi di recupero aprono un crescente interesse nei confronti del manufatti e che vedono il coinvolgimento di Arrigo Boito, Adolfo Venturi, Giulio Ulisse Arata, Enrico Mauceri e la menzione dell’edificio su riviste nazionali come “Emporium”.
Ciononostante, si è voluto dimostrare come la visione del tetto dipinto presso la committenza aristocratica palermitana non avesse aperto alla fortuna delle scene cortesi, se non superficialmente, mantenendo, invece, un approccio già riscontrato nella prima parte dell’Ottocento, e messo in evidenza da Bologna, prevalentemente nel considerarlo un mero repertorio nobiliare.
In tale direzione vanno alcuni degli esempi neogotici novecenteschi che ricalcano, in un caso, esplicitamente anche i motivi decorativi di quel soffitto, confermando un’influenza diretta dell’opera in senso conservatrice e autorappresentativa della nobiltà isolana.
Prendendo le mosse dai “restauri” della Cattedrale di Palermo e dal progetto per il rivestimento in stile della cupola appena edificata, tra i primi esemplari neomedievalisti in Italia, si propone una lettura “politica” di tali manifestazioni che vedono da un lato la committenza dei Borbone, bisognosi di immagini che consolidassero la legittimità del proprio dominio sul Regnum Siciliae, dall’altro l’aristocrazia locale che guardava, all’opposto, al felice regno normanno-federiciano-aragonese, in continuità, come epoca di emancipazione dall’oppressione napoletana. Il risultato è una produzione di grande interesse cronologicamente al passo con gli esempi analoghi continentali.
In questo caso la committenza è di altissimo livello, i Moncada di Paternò per volontà della duchessa di Montalto Juana della Cerda, figlia del duca di Medinaceli. Proprio la duchessa, preso l’abito con il nome di suor Teresa dello Spirito Santo, secondo l’ipotesi qui proposta, fu la committente dell’ostensorio in corallo di cui si tratta e che proviene da quel monastero. A seguito della proposta il prezioso manufatto è restituito al suo autore con una precisa datazione.
Riprendendo una nota querelle innescata apparentemente dalle monache dell’ordine di S. Basilio, che affermavano che la Patrona avesse parte delle loro fila.
In realtà, come spiegato nel saggio, la contesa era sostenuta dai Gesuiti, insieme ai Benedettini, in funzione anti francescana, considerando che le prime immagini della Santuzza la ritraevano con il saio marrone legato con una corda, manifestando di conseguenza il valore eremitico nel percorso della sua santità e inevitabilmente richiamando l’abito di S. Francesco.
Il contributo ripercorre, dunque, la rassegna delle prime immagini di S. Rosalia, anche tramite fonti dirette e indirette, avanzando per la prima volta l’ipotesi che in realtà la causa scatenante il conflitto iconografico fosse dovuta ai Domenicani che utilizzarono la celeberrima pala con la Madonna del Rosario in S. Domenico di Antoon van Dyck, fino ad oggi non considerata nell’ambito della questione che vide coinvolti rinomati pittori, frutto di acute committenze, tra cui Carlo Maratti e Paolo De Matteis, un secolo dopo l’immagine vandyckiana.
Il testo ripercorre le principali tappe della progettazione marvugliana nel passaggio dal tardo barocco al neoclassicismo, individuando tra le altre cose, per la prima volta, il modello di riferimento per villa Villarosa a Bagheria e portando all’attenzione quanto la rinomanza dell’architetto fosse dipesa dai suoi studi presso l’Accademia di San Luca, circoscritti tramite documenti d’archivio ad un preciso ambito temporale dall’autore del contributo (1755-1759).
Il riconoscimento del valore di Marvuglia, passando dalle recensioni di autorevoli personalità come Léon Dufourny o Jacques I. Hittorf, e la sua verosimile adesione alla Massoneria (addotta dalla lettura di una sua lettera a Dufourny presso la Biblioteca Comunale di Palermo), mostrano quanto egli fosse al centro di un sistema di relazioni europee ben al di sopra di quanto ritenuto finora, che trassero origine dai contatti stretti durante il soggiorno romano e si svilupparono successivamente.
La supposta contiguità diretta o indiretta con Robert Adam, presente a Roma nel medesimo periodo, viene ulteriormente sostanziata sulla base di nuovi elementi a supporto e consente anche di retrodatare l’elaborazione progettuale di Adam ai suoi anni romani.
La ricerca ha inteso affrontare la questione apparentemente marginale ma che, invece, investe la cultura della committenza siciliana, nonché dei professionisti cui essa si affidava, e le espressioni scelte dall’aristocrazia per la propria autorappresentazione, mostrandone l’evoluzione con un serrato ordine cronologico.
Partendo da alcuni recenti lavori sullo sviluppo delle abitazioni nobiliari palermitane, e raccogliendo la principale letteratura periegetica, lo studio ha focalizzato l’attenzione su quegli ambienti in ambito barocco, traendo risultati che smentiscono il reputare l’uso in Sicilia di tali ambienti molto tardo.
I raffronti costanti con i coevi esempi italiani, inglesi e soprattutto francesi, ha consentito di conferire un peso adeguato ad ogni intervento ed ha mostrato, al contempo, l’apertura internazionale di tale committenza.
La rassegna espone alcuni esempi topici di diverso andamento tra barocco e neoclassicismo, a partire dai palazzi del principe di Cutò, forse il primo esempio in città, e del principe di Gangi, con l’unico esemplare ancora esistente in ottimo stato, che consente di apprezzare l’eleganza e raffinatezza conferite in quel vano, non inferiore alle altre sale di rappresentanza delle magioni nobiliari.
Il ruolo della committenza risulta molto importante in ragione delle esigenze espresse tra il vivere secondo gli usi considerati “moderni” o quelli tradizionali, giungendo fino all’incarico dato dai Borbone all’architetto Marvuglia per la Real Casina alla Cinese ove perfezionò una tavola meccanica ripresa da prototipi ancora una volta francesi.
Nel corso del XIX secolo diviene così molto interessante l’evoluzione della sala à manger nell’approccio curato dalla borghesia e dalla nobiltà con nuova edilizia o nel rinnovamento degli antichi edifici di taglio settecentesco che vengono adeguati alle nuove esigenze funzionali con adeguati apparati artistico-decorativi.
Si illustra il progetto museologico complessivo del convento che non riguarda solamente gli aspetti storico-artistici, pur davvero rilevanti dal XIV al XIX secolo, ma anche il rimettere in movimento l’organismo monumentale sul filo della continuità con la tradizione.
La musealizzazione secondo i criteri di una casa museo, nel corso di un cantiere di restauro permanente, si accompagna, infatti, alla riattivazione dell’antica dolceria, alla creazione di una Mensa di Solidarietà e di una Casa per sacerdoti.
L’idea è quella di far respirare ai visitatori l’atmosfera dell’antico convento restituendo nuovamente vitalità agli spazi.
Tra le iniziative del 2019 è qui descritta la mostra curata da Lina Bellanca, Maria Concetta Di Natale, Sergio Intorre e Maria Reginella, in sinergia tra Soprintendenza ai BB.CC.AA. e Università degli Studi di Palermo, volta a rendere manifesta la grandiosa bellezza delle suppellettili sacre del monastero di S. Caterina e di molti altri conventi siciliani (per la maggior parte conservate in depositi), con opere straordinarie dal XVI al XIX secolo.
Il progetto di ordinamento segue ai lunghi lavori di restauro del Palazzo Arcivescovile, integrando nel percorso il piano nobile secondo la tipologia della casa museo. Si vogliono così creare due canali di comunicazione museale, uno tradizionale e uno dissimulato nell’ambito delle splendide decorazioni e nei fastosi arredi del palazzo, fondato nel secondo quarto del XV secolo dall’arcivescovo Simone Beccadelli di Bologna (1434-1445).
I ritratti degli arcivescovi di Palermo segnano l’itinerario e identificano il luogo ove si trova il museo, ricordando l’importante ruolo anche politico dei vescovi di Palermo, talvolta anche Viceré di Sicilia.
Si precisano gli elementi che hanno condotto alla ridefinizione dell’identità del museo, rispetto ai cinque allestimenti precedenti e in relazione all’apertura al pubblico del piano nobile del Palazzo Arcivescovile, sede museale, e degli arcivescovi nel corso dei secoli.
La missione che ne consegue viene esplicitata in relazione allo spirito che deve informare i musei ecclesiastici e sulla base di un principio di contemporaneità che esula dalla periodizzazione delle opere e le trascende.
Si riprende, infine, il documento di commissione a Maratti, dimenticato da oltre sessant’anni e mai menzionato dagli studi sull’argomento, e se ne interpretano alcuni passaggi nodali in relazione a quanto emerso dalla ricerca d’archivio e sulle fonti primarie.
Si è voluto invece dimostrare che, fino ai restauri del soffitto chiaromontano alla fine del XIX secolo, in realtà l’edificio fosse considerato poco rappresentativo anche e soprattutto come modello di architettura indigena.
Si sono prese in esame le fonti principali, alcuni resoconti dei viaggiatori del Grand Tour e soprattutto si sono passati in rassegna gli esemplari di architettura neomedievalista ottocentesca in Sicilia che rimandassero al quel prototipo, mostrando, per la prima volta, come i casi fossero assai rari e più che altro legati a motivazioni contingenti.
Nel corso della prima parte del Novecento, al contrario, si assiste innanzitutto alla riscoperta del soffitto ligneo dipinto, proprio a causa dei restauri, mentre fino ad allora era sostanzialmente ignorato, i quali interventi di recupero aprono un crescente interesse nei confronti del manufatti e che vedono il coinvolgimento di Arrigo Boito, Adolfo Venturi, Giulio Ulisse Arata, Enrico Mauceri e la menzione dell’edificio su riviste nazionali come “Emporium”.
Ciononostante, si è voluto dimostrare come la visione del tetto dipinto presso la committenza aristocratica palermitana non avesse aperto alla fortuna delle scene cortesi, se non superficialmente, mantenendo, invece, un approccio già riscontrato nella prima parte dell’Ottocento, e messo in evidenza da Bologna, prevalentemente nel considerarlo un mero repertorio nobiliare.
In tale direzione vanno alcuni degli esempi neogotici novecenteschi che ricalcano, in un caso, esplicitamente anche i motivi decorativi di quel soffitto, confermando un’influenza diretta dell’opera in senso conservatrice e autorappresentativa della nobiltà isolana.
Prendendo le mosse dai “restauri” della Cattedrale di Palermo e dal progetto per il rivestimento in stile della cupola appena edificata, tra i primi esemplari neomedievalisti in Italia, si propone una lettura “politica” di tali manifestazioni che vedono da un lato la committenza dei Borbone, bisognosi di immagini che consolidassero la legittimità del proprio dominio sul Regnum Siciliae, dall’altro l’aristocrazia locale che guardava, all’opposto, al felice regno normanno-federiciano-aragonese, in continuità, come epoca di emancipazione dall’oppressione napoletana. Il risultato è una produzione di grande interesse cronologicamente al passo con gli esempi analoghi continentali.
In questo caso la committenza è di altissimo livello, i Moncada di Paternò per volontà della duchessa di Montalto Juana della Cerda, figlia del duca di Medinaceli. Proprio la duchessa, preso l’abito con il nome di suor Teresa dello Spirito Santo, secondo l’ipotesi qui proposta, fu la committente dell’ostensorio in corallo di cui si tratta e che proviene da quel monastero. A seguito della proposta il prezioso manufatto è restituito al suo autore con una precisa datazione.
Riprendendo una nota querelle innescata apparentemente dalle monache dell’ordine di S. Basilio, che affermavano che la Patrona avesse parte delle loro fila.
In realtà, come spiegato nel saggio, la contesa era sostenuta dai Gesuiti, insieme ai Benedettini, in funzione anti francescana, considerando che le prime immagini della Santuzza la ritraevano con il saio marrone legato con una corda, manifestando di conseguenza il valore eremitico nel percorso della sua santità e inevitabilmente richiamando l’abito di S. Francesco.
Il contributo ripercorre, dunque, la rassegna delle prime immagini di S. Rosalia, anche tramite fonti dirette e indirette, avanzando per la prima volta l’ipotesi che in realtà la causa scatenante il conflitto iconografico fosse dovuta ai Domenicani che utilizzarono la celeberrima pala con la Madonna del Rosario in S. Domenico di Antoon van Dyck, fino ad oggi non considerata nell’ambito della questione che vide coinvolti rinomati pittori, frutto di acute committenze, tra cui Carlo Maratti e Paolo De Matteis, un secolo dopo l’immagine vandyckiana.
Nel testo sono avanzate alcune ipotesi relativamente alle ragioni della committenza, suddividendo i primi due capitoli tra fase preunitaria e postunitaria. Nella prima fase la diffusione di restauri e nuove edificazioni è spiegata con la propaganda dei sovrani per sostenere la corona e, contemporaneamente, in ragione dei sommovimenti autonomisti di opposta natura, per il periodo successivo all’unificazione si rimanda alle dinamiche connesse con la costruzione di un’identità siciliana all’interno della compagine nazionale. Contestualmente sono posti in evidenza i nuovi scenari sociali ed economici che vedono una rapida fluidificazione tra la classe aristocratica post feudale e borghesia industriale e le modalità di reazione della prima per affermare il valore della storia legato al proprio nome, o dello stesso connesso alla storia fondativa del Regnum Siciliae.
La ragione politica per giustificare la gran quantità di episodi architettonici nella ex capitale del regno nella prima metà del secolo si accompagna ad una lettura sociale che comprende anche la famiglia Florio, centrale per l’economia cittadina del XIX secolo. Ci si sofferma sul confronto tra alcuni episodi topici (come Palazzo Forcella-Baucina e villa Pietratagliata), singolarmente approfonditi, senza perdere di vista, però, il panorama generale nazionale e internazionale che accompagna e verisimilmente nutre le istanze alla base di quei cantieri.
Si aggiunge un’ulteriore inedita ipotesi per interpretare la vastità dello specifico fenomeno siciliano in favore della delineazione di un’identità comune, ovvero il Vespro siciliano e le celebrazioni per il sesto centenario del 1882. Il Vespro, infatti, dalla sua ricostruzione storica ad opera di Michele Amari, permane come costante ideologica sia nella prima che nella seconda metà del secolo.
La serrata contestualizzazione nazionale e internazionale delle opere proposte all’attenzione del lettore, accompagna anche una singolare figura di intellettuale, conoscitore, collezionista e produttore di mobili, Andrea Onufrio, i cui arredi in “stile neonormanno”, caratterizzati dai ricchi inserti in osso, si distinguono nel panorama nazionale e, in effetti, sono la sintesi dei dibattiti storici, economici e di gusto certamente non solo siciliani, ma profondamente connessi al territorio e al tema del Regno di Sicilia e alle celebrazioni per l’anniversario del Vespro. L’interessante materiale documentario, per la maggior parte inedito, reperito nel fondo della Biblioteca Comunale di Palermo, viene ordinato e collegato alle opere note, rivelandone altre, ancora non conosciute, ritrovando all’interno del mercato nazionale ed internazionale manufatti che si ritenevano perduti e attribuendo opere inedite all’abile mano dell’ebanista palermitano. La ricerca d’archivio, su fondi pubblici e privati, offre una grande quantità di novità e spunti che non sono mai fini a se stessi, ma arricchiscono e sostanziano i ragionamenti sulla documentazione già conosciuta, consentendo di aggiungere un importante tassello al panorama degli studi trattato.
Centrale rimane proprio la rivoluzione di Giacomo Serpotta in questi luoghi che viene spiegata sulla base di un ampio panorama sull'argomento che parte dal XVI secolo e giungerà fino al XIX. Il volume riassume i punti salienti dell'attività di Serpotta e degli oratori con una bibliografia di oltre 330 testi.
A un secolo di distanza si intende ritornare a riflettere su questo tema nodale per comprendere storie, ragioni, vocazioni e attuali assetti del vasto patrimonio di residenze, collezioni, parchi e giardini, disseminato sul territorio nazionale. Il 3 ottobre 1919 si apriva infatti un nuovo capitolo per la storia dei palazzi reali italiani. Con regio decreto Vittorio Emanuele III sanciva, all'indomani della prima guerra mondiale, la consegna di una parte dei beni della Corona al Demanio dello Stato. Si trattava di un passaggio centrale all'interno di un lungo e complesso processo, legislativo e amministrativo, avviato dai Savoia sin dal 1850. Una legge di vasta portata che, modificando la dotazione della Corona, stabiliva il «riordinamento del patrimonio artistico nazionale» e mutava l'organigramma del Ministero dell'istruzione pubblica, con l'istituzione di un Sottosegretariato di Stato per le antichità e belle arti al fine di gestire la presa in carico e l'amministrazione dei beni. Il convegno è un'occasione per mettere a fuoco l'acceso dibattito, politico e intellettuale, che si sviluppò sulla dismissione patrimoniale di un complesso ingente e eterogeneo di luoghi e collezioni. Il passaggio allo Stato delle residenze, con la moltitudine di arredi e collezioni che venivano ad arricchire il patrimonio pubblico, impose infatti anche una nuova accelerazione alla riflessione sulle forme museali, le soluzioni espositive, sul ruolo educativo dei musei e sui pubblici cui dovevano rivolgersi, sollecitati dalla più vasta fruizione dei mezzi di comunicazione di quegli anni. Un tema dunque da affrontare sotto diversi aspetti, dal passato alle prospettive attuali e future. I temi di massima che si sviluppano riguardano il contesto storico in cui la decisione fu assunta, le premesse, l'aspetto giuridico-amministrativo, i criteri e le linee di dismissione, le scelte operate sulle destinazioni del patrimonio nel suo insieme, le regge dismesse, la dispersione del patrimonio mobiliare, il primo Novecento, la fase di rinascita parziale, i riallestimenti, le ricognizioni del patrimonio dispeso, avviate a partire dagli ultimi decenni del Novecento, con particolare riferimento alla Villa Reale di Monza, alcuni casi di particolare interesse e un confronto sul futuro. Il progetto rientra nell'ambito delle iniziative congiunte dedicate al tema Residenze Reali, dismissioni, mu-sei. 1919-2019, realizzate in sinergia tra il Centro Studi delle Residenze Reali Sabaude con l'Università degli studi di Torino, il Centro documentazione Residenze Reali Lombarde con il Politecnico di Milano: Reggia di Venaria Mercoledì 13 Novembre 2019, Residenze storiche e patrimonio culturale,
Marvuglia, attivo tra Sette e primo Ottocento, si distingue per la formazione romana presso l'Accademia di San Luca tra il 1755 e il 1759, nella cui sede vinse il secondo premio al Concorso Clementino di Architettura del 1758, primo degli italiani. Al ritorno a Palermo attraversò il tardo barocco locale adeguandolo e riformandolo alla luce del nuovo gusto neoclassico e riuscendo persino ad accedere a un certo romanticismo neostilistico, con interventi neogotici tra i primi in Italia, probabilmente anche per la collaborazione con il figlio Alessandro Emmanuele (1771-1845).
L'architetto fu tra i più richiesti dalla committenza religiosa e aristocratica a Palermo con opere di grande qualità e raffinatezza compositiva e formale. Basti ricordare l'elegante Oratorio di San Filippo Neri all'Olivella (1763-1769), uno dei primi interventi profondamente neoclassici in Sicilia, l'ampliamento del monastero di San Martino delle Scale (dal 1772), la villa Villarosa a Bagheria (1763-1769); i palazzi Ventimiglia di Belmonte-Riso (1777-1784); Ventimiglia di Geraci (1781-1789); Costantino, Villadorata-Galati, Villarosa ai Quattro Canti di campagna (dal 1787 circa), Santo Stefano della Cerda, la villa Ventimiglia di Belmonte all'Acquasanta (1799-1808).
Come architetto regio gli si devono, tra le altre cose, la Reale Casina alla Cinese (1799-1808), la palazzina Reale di Caccia della Ficuzza (dal 1802) e la direzione dei lavori di restauro della Cattedrale (dal 1781) che prevedeva l'inserimento della cupola per la quale, già intorno al 1802, Marvuglia progettò un disegno per un camuffamento neogotico in stile, il cui modello si conserva al Museo Diocesano di Palermo e che verrà esposto in quella sede in occasione e in sinergia con questa mostra. A Marvuglia, peraltro, si deve l'unica ricostruzione planimetrica dello stato della Cattedrale precedente agli interventi di restauro, senza la quale oggi non ne conosceremmo l'antico assetto.
Si ricordano infine la prestigiosissima ammissione nell’Accademia di Francia (1805) e l'attività presso la cattedra di Geometria Pratica ed Architettura Civile ed Idraulica dell'Università di Palermo (dal 1799 circa) che ne fecero il maestro reale e sostanziale degli architetti palermitani del XIX secolo.
La mostra, curata da Pierfrancesco Palazzotto, ricercatore di Museologia all'Università di Palermo, presenta una selezione di circa 30 disegni – in gran parte esposti per la prima volta a Palermo – dal 1755 al 1808 circa, che individuano, in ordine cronologico-tematico, parte della sua ricchissima produzione. Essi sono oggi conservati in parte presso il Gabinetto di Disegni e Stampe della Galleria Regionale di Palazzo Abatellis e principalmente nell'Archivio Palazzotto di Palermo, in seguito al legame professionale tra gli architetti Marvuglia e gli architetti Palazzotto.
L'esposizione prende le mosse dalla formazione a Roma, con alcuni rari disegni elaborati a San Luca, incluse le bozze del suo progetto per il Concorso Clementino del 1758. Prosegue, quindi, con l'attività palermitana, a partire dalla committenza ecclesiastica (l'Oratorio dei Filippini, la chiesa di Sant’Ignazio all'Olivella e la chiesa di San Francesco di Sales, in collaborazione con il fratello Salvatore, sacerdote e architetto). Alla committenza aristocratica si riferiscono i disegni per palazzo della Cerda (che segnava i Quattro Canti di campagna, oggi palazzo Tagliavia) e per il prospetto della sede della Regia Università. All'importante committenza reale rimanda anche il ricco apparato della Casina alla Cinese nella Favorita di Palermo e il progetto per il Casino di Caccia della Ficuzza.
Il sacro teatro barocco in stucco di Giacomo Serpotta (1656-1732)
PIERFRANCESCO PALAZZOTTO (Università di Palermo)