Papers by daniela carmosino
I confini tra le identità di turista e migrante, nomade e vagabondo, individuate da molti sociolo... more I confini tra le identità di turista e migrante, nomade e vagabondo, individuate da molti sociologi e teorici come tipiche della postmodernità, cominciano a farsi sempre più labili e soprattutto attribuibili, nel corso del tempo, a uno stesso soggetto. Questo studio si concentra sul romanzo dello scrittore cinese Chen He perché rappresenta efficacemente quanto sia pericolosa, nella postmodernità dominata dall'incertezza e dalla precarietà, la nostalgia verso la fiducia, propria della modernità, nella possibilità di progettare un futuro e un profilo identitario stabili. Se la storia ci dimostra che chi è stato un migrante oggi può essere turista e domani nuovamente migrante, la sola salvezza consisterà nell'interpretare le pratiche del cambiamento e della mobilità non come perdita di stabilità e confini, ma come opportunità di sperimentare altre identità, verificandone, così, il carattere sempre effimero e transitorio.
... Carmosino, Uccidiamo la luna a Marechiaro non si traducesse in resa incondizionata alla globa... more ... Carmosino, Uccidiamo la luna a Marechiaro non si traducesse in resa incondizionata alla globalizzazio-ne né in arroccamento nella tradizione. ... Silva, Le cose da non dire; N. Merola, Una letteratura di «generi»; C. Argentina, Il Meridione visto da lontano; S. Martelli, Narratori di ...
S e è vero che la vexata quaestio dell'identità del Sud d'Italia anima da secoli, ormai, il dibat... more S e è vero che la vexata quaestio dell'identità del Sud d'Italia anima da secoli, ormai, il dibattito tra studiosi di vari settori, è anche vero che, nell'ultimo decennio, all'interno di questo stesso dibattito, si sono imposti due specifici temi.
Atti di convegno - In P. Martino e C. Verbaro, a cura di, Pasolini e le periferie del mondo, Pisa... more Atti di convegno - In P. Martino e C. Verbaro, a cura di, Pasolini e le periferie del mondo, Pisa, ETS, 2016, ISBN 9788846745460.
La collocazione che Verga stabilisce per la novella Il Bastione di Monforte, 1 proprio in apertur... more La collocazione che Verga stabilisce per la novella Il Bastione di Monforte, 1 proprio in apertura della raccolta d'ambientazione milanese Per le vie (1883), 2 già basterebbe a indicarne la programmaticità e la rilevanza. Eppure, rispetto ad altre novelle che altrove ne condividono la posizione di ouverture, questa assume particolare interesse perché, scavalcando il perimetro della raccolta stessa, pare configurarsi come silloge esplicativa delle principali istanze del progetto artistico verghiano, in particolare della fantasticheria, ma anche suggerire certe soluzioni anticipate nella novella Fantasticheria 3 e realizzate nella produzione rusticana. Ma c'è di più: Il Bastione esibisce anche una sperimentazione di alcuni temi, alcune strategie rappresentative che, pur derivando in parte dall'Ottocento tardoromantico e poi dal Naturalismo, caratterizzeranno la letteratura di primo Novecento. Il Bastione -come poi l'intera raccolta -ci offre subito una rapida carrellata di quadretti di vita cittadina, di quella Milano proto-industriale, «Babilonia più babilonia della vera», 4 in cui Verga assisterà al tramonto del secolo. Attraverso il varco d'una finestra -topos 5 già ben attestato nel Naturalismo e che perdura nel Novecento -lo sguardo del narratore, sguardo solitario, appartato, fisicamente distante, s'inoltra nella boscaglia che lambisce la città; di lì, poi, nei meandri della città stessa, in un rapido trascorrer dell'occhio, che ora incornicia lo spazio ben più del limite della finestra, con un movimento continuo dal basso verso l'alto, da vicoli e piazze alle fronde degli alberi e agli squarci d'azzurro, dal vetturino al borghese. Un primo spunto di riflessione sulle strategie di rappresentazione verghiane ce l'offrono due citazioni:
A prile 1923: compare sul giornale argentino "l'a .f\*Patria dcgli ltaliani" [a prima recensione ... more A prile 1923: compare sul giornale argentino "l'a .f\*Patria dcgli ltaliani" [a prima recensione letteraria firmata Carlo Emiiio Gadda. In quegli anni, l'Ingegnere aveva deciso di investire qu.l fo' di en.rgià che gli lasciavano le 'fatiche ing.grr.resche' . 1. prov. narrative in quella che diieitl, poi, una folta produzione di scritti recensivi. La ragione di questa scelta risiede nella tormen-,",, ,p.à.rr* di pàtersi emancipare da una profes-.ione^cui .r, strà forzosamente destinato, per fare iI suo ingresso, come scrittoie, in tn còté letterario di cui, come dimostrano gli epistolari, già stava acquisendo logiche e strategie. Confi.dava, jnfani, chÉ l'attività di re.ensor. potesse fargli guadagnare progressivamente visibilità, preziosi contatti e Potei. à.t,rr,,r'r"1e. Che potesse, insomma, aiutarlo a ufarsi anche un po' conoscere. Questo non si può ottener che per gradi. C'è una carriera, una routine anche in ciòr. Così, oscillando continuamente tra l'ottimismo progettuale e il timore di fallire -«o riecompiice la diffìdenza uermetica, per cìò che non è essenziale)' Forsà è anche paura di esprimerle esplicitamente, temendo un risuitato ,.*pr. molto infeiiore alla quantità delle intuizioni, o di manifestarle con una precisione che accumula il concreto ma esclude margini e profòndità. Nel marginale si annida i1 profondo, che notoriamente è uno dei nomi dell'inconscio.
Come combattenti in duello. Gadda critico letterario.
Qualche anno fa, un giovane scrittore di Caserta, Antonio Pascale, definì Gennariello -la più bru... more Qualche anno fa, un giovane scrittore di Caserta, Antonio Pascale, definì Gennariello -la più brutta lettera che ha scritto Pasolini su Napoli: una lettera che noi meridionali abbiamo odiato"1. I motivi del severo giudizio sono facilmente rawisabili. Nella famosa lettera luteranasorta di "trattatello pedagogico,2 -che nel 1,975 Pasolini indirizza a un immaginaio ragazzo napoletano della piccola borghesia (p. 552, ed. Mondadori) si delinea un ritratto della Napoli anni Settanta quale oasi incontaminata nell'orgia del contemporaneo boorn economico a cui la città sarebbe rimasta impermeabile. Nella lettura di Pasolini Napoli è infatti "l'ultima
Molti uomini non sono in grado di riconoscere l'elemento animico presente in loro perché hanno di... more Molti uomini non sono in grado di riconoscere l'elemento animico presente in loro perché hanno difficoltà a riconoscere quella dimensione della realtà che non è percepibile attraverso i sensi». La riflessione che intorno al 1907 Ginna appuntava in uno dei suoi quaderni, a tutt'oggi inediti, s'inquadra perfettamente entro quella reazione al Positivismoche aveva espunto dalla realtà ogni fenomeno non 'percepibile attraverso i sensi' -ormai diffusa da tempo in tutta Europa. Reazione già evidente nella riconfigurazione della realtà e del processo di conoscenza operati da quel Simbolismo francese cui lo stesso Marinetti, (come d'altronde moltissimi artisti italiani sul finire del secolo) era debitore sin dagli anni della sua formazione. E che, col viatico freudiano, animerà quel Surrealismo, successivo, certo, ma che in fondo era già nell'aria. Ci preme, insomma, ribadire a premessa del nostro discorso, come tanto Ginna quanto il Futurismo stesso affondassero le radici in un terreno che, pur nella sua complessità, nei tratti fondamentali si presentava piuttosto omogeneo. Basterebbe una sommaria verifica terminologica in campo letterario: vistosamente ricorrenti sono nella prosa di primo Novecento -dai Vociani della prima ora agli avanguardisti agli scrittori non immediatamente inquadrabili in alcuna corrente e di varia formazione -termini quali 'Anima' o 'Animo', 'Ignoto', 'Mistero', 'Oltre', 'Assoluto', sempre con l'iniziale maiuscola, a indicarne l'assunzione a categoria fondante; e poi verbi quali 'apparire', 'rivelare', 'sembrare', a indicare una modalità di percezione e conoscenza della realtà chiaramente evocativa, magica, alogica o prelogica, non razionale, che si oppone all'assertività di tanta produzione, per dirla in breve, 'realistica' o 'naturalistica'. La realtà -quella 'autentica', per usare un'altra categoria dell'epoca -verrà dunque colta per via intuitiva in un 'istante magico' sospeso al di fuori del tempo e dello spazio, categorie che proprio nel pensiero filosofico e nell'arte di primo Novecento si espandono sino a deflagrare. Nel sintetico quadro appena descritto, Ginna rientra perfettamente. Per questo artista, però, occorre tener presente che la sua costante opera di sincretismo con cui assorbe e rifunzionalizza le principali teorie filosofiche ed estetiche allora circolanti, viene ben presto orientata dal pensiero antroposofico di Steiner: il quale, a sua volta, rilegge e reinterpreta larga parte delle tradizioni religiosa, esoterica, filosofica, estetica, artistica, dai Vangeli alla Kabbalà, sino a Goethe e Wagner. Dalle pubblicazioni steineriane di proprietà di Ginna risulta chiaramente la fedeltà con cui ne segue le uscite 1 e la meticolosità con cui annota e sottolinea i passaggi per lui più interessanti. D'altronde, per un eclettico, avido di conoscenza e di esperienze quale fu Ginna, l'indagine sulle fonti e sull'influenza che ebbero su di lui quelle idee -con le conseguenti sperimentazioni formali -che nella sua epoca circolavano diffusamente, liberamente ancor prima di essere rivendicate da una o più correnti artistiche, al di là dell'innegabile valore di storicizzazione e contestualizzazione, difficilmente potrà aiutarci a inquadrare questo artista come futurista, marinettiano o cerebralista che sia, né come epigono del Simbolismo o come proto-surrealista. Pensando anche solo al Simbolismo, ad esempio, troppi sarebbero i necessari distinguo: Ginna può dirsi simbolista in sensu strictu per affinità di tipo gnoseologico e in parte terminologico, ma non genericamente simbolista a una lettura (a cui egli stesso negherà validità) in chiave simbolica dei suoi racconti. E ancora, diverse sono le letture tutte ben presenti a Ginna, che dei simbo-
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