Papers by MARCO SABBIONETI
Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 2011
Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 2017
Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 2018
Page 1. 91 MARCO SABBIONETI DEMOCRAZIA SOCIALE E DIRITTO PRIVATO LA TERZA REPUBBLICA DI RAYMOND S... more Page 1. 91 MARCO SABBIONETI DEMOCRAZIA SOCIALE E DIRITTO PRIVATO LA TERZA REPUBBLICA DI RAYMOND SALEILLES (1855-1912) Page 2. Per la storia del pensiero giuridico moderno 91 MARCO SABBIONETI ...
Great Christian Jurists in French History, 2019
Great Christian Jurists in French History, 2019
This book aims to illustrate the fertile interactions and lasting synergies between Christianity ... more This book aims to illustrate the fertile interactions and lasting synergies between Christianity and law in French history by exploring the contributions that brilliant legal figures have made over the centuries to juridical ideas and institutions. The volume is part of a larger project on Christian jurists in world history led by John Witte, Jr., director of the Center for the Study of Law and Religion at Emory University. The first two volumes, on English and Spanish Christian jurists, have already been published. This volume on French Christian jurists is thus the third in a series projected to include at least seven more. Like the other volumes in the collection, this one is biographical, juridical, ecumenical, and global in character. The biographical dimension emphasizes not only the great legal contributions of each jurist but also his or her links to Christianity. The juridical dimension highlights the impact of each jurist on public and private law and justice, whether from inside the legal profession or from a broader philosophical, theological, or intellectual tradition. The ecumenical dimension shows Christianity as a unity, taking into consideration the way different churches and denominations are part of a whole. Finally, the global dimension emphasizes that each volume in this series on great Christian jurists illustrates the distinctive contributions of different nations to the global conversation about law and Christianity. This volume on French Christian jurists examines the lives of twenty-seven key legal thinkers in French history, particularly the ways their Christian faith and ideals were a factor in framing the evolution of law and justice. All chapters have been written by distinguished legal scholars and historians, mainly from France but also from Belgium, Canada, Germany, Italy, Spain, Switzerland, the United Kingdom, and the United States. The collaboration among French and non-French scholars, and the diversity of international and methodological perspectives, gives the volume its unique character and value.
Quaderni Fiorentini Per La Storia Del Pensiero Giuridico Moderno, 2011
Quaderni Fiorentini Per La Storia Del Pensiero Giuridico Moderno, 2014
L'autore, ponendosi in una prospettiva storico-giuridica, analizza le riforme fiscali che furono ... more L'autore, ponendosi in una prospettiva storico-giuridica, analizza le riforme fiscali che furono fatte durante il tardo impero romano da Diocleziano, il quale cercò in tal modo di affrontare la crisi del III secolo d.C. L'eccessivo livello di tassazione, caratterizzato da un netto sbilanciamento a sfavore delle classi meno agiate della popolazione, portò l'imperatore ad intervenire in modo organico, procedendo a dividere il territorio imperiale in "unità fiscali" per rendere equa la già esistente imposta fondiaria (iuga), ma soprattutto introducendo un'imposta personale parametrato sulle unità lavorative (capita). L'idea alla base del sistema è quella di rendere fiscalmente rilevante, da una parte, la testa (caput) di un lavoratore-colono, dall'al tra la superficie di terra (iugum) che lo stesso colono è in grado di lavorare. L'anali si di tale riforma, come evidenziato nella successiva postilla al contributo, ebbe il merito di arginare la drammatica situazione istituzionale di tale epoca, ma mette in luce gli ammonimenti che il legislatore fiscale odierno tenere a bada nell'affrontare l'attuale crisi strutturando il sistema fiscale con interventi lungimiranti (e non meramente episodici). PAROLE CHIAVE: crisi dell-riforma fiscale-diocleziano Crisis of the political order and tax reform: the word to Diocletian The author, placing himself in a historical-juridical perspective, analyses the fiscal reforms that were made during the late Roman Empire by Diocletian, who sought in this way to face the crisis of the third century A.D. The excessive level of taxation, characterised by a clear imbalance against the less wealthy classes of the population, led the emperor to intervene organically, proceeding to divide the imperial territory into "fiscal units" to make the already existing land tax (iuga) fair, but above all by introducing a personal tax based on working units (capita). The idea behind the system is to make fiscally relevant, on the one hand, the head (caput) of a worker-colonist, and, on the other, the land surface (iugum) that the colonist himself is able to work. The analysis of this reform, as highlighted in the next postscript to this article, had the merit of curbing the dramatic institutional situation of that era, but it highlights the warnings that today's tax legislator shall keep in mind in facing the current crisis by structuring the tax system with far-sighted (and not merely episodic) interventions. Keywords: roman law, economic and financial crisis, tax reform, land tax, personal tax SOMMARIO: 1. Scenario: tracollo delle istituzioni e crisi sociale-2. Il tormento dei contribuenti: voci dalla periferia dell'Impero-3. I capisaldi della riforma-4. Brevi considerazioni conclusive-NOTE 1. Scenario: tracollo delle istituzioni e crisi sociale «Ut nec vivere iam nec mori saltim gratis liceret»: non era lecito né vivere né morire gratuitamente. Con questo giudizio impietoso, Lucio Cecilio Firmino Lattanzio [1] condanna senza appello il censimento disposto da Galerio Massimino e con esso l'intero sistema fiscale dioclezianeo. Qualche decennio più tardi, un altro storico e apologeta cristiano, Orosio, con toni più pacati, esprime lo stesso concetto in modo persino più radicale: i barbari che invadono l'im pero nel corso del V secolo, trovandosi a loro agio nelle nuove terre, abbandonano ben presto la spada a favore dell'aratro e trattano con bonomia i romani superstiti, considerandoli alleati e amici; questi ultimi, dal canto loro, sembrano spesso accettare di buon grado i nuovi arrivati. La ragione di tale sollievo è per l'appunto la liberazione dal giogo del fisco, la possibilità inaspettata di sottrarsi alla presa implacabile della tenaglia tributaria. Non è raro, infatti-precisa Orosio-trovare Romani «qui malint inter barbaros pauperem libertatem, quam inter Romanos tributariam sollicitudinem sustinere» [2]. Defezioni, ribellioni, tradimenti, fughe, atteggiamenti ambigui, si alternano e si intrecciano nel lento crepuscolo della pars Occidentis, moltiplicandosi da una parte all'altra dell'Impero. A innescare la rivolta, in molti casi, è proprio l'insofferenza verso la schiavitù tributaria, il desiderio insopprimibile di liberarsene. Come nel caso della ribellione dei Bagaudi [3] , che esplode nella prima metà del V secolo, della quale ci parla il vescovo di Marsiglia, Salviano, con parole di fuoco. Nella sua ottica, i contadini della Gallia, ridotti alla fame, sono stati costretti a ribellarsi a causa della iniquità del sistema amministrativo romano e della disonestà dei suoi funzionari. L'immagine che ne deriva è quella di un meccanismo ormai impazzito e totalmente fuori controllo: a un prelievo fiscale giunto ormai a livelli intollerabili si aggiunge la voracità insaziabile dei rappresentanti dell'amministrazione che, abusando del proprio ruolo, commettono ingiustizie e arbitri di ogni genere, come bestie feroci che non rinunciano neppure a succhiare il sangue delle vittime. Da qui la scelta disperata dei ribelli di tagliare i ponti con Roma, cercando rifugio presso i barbari, a cui niente li accomuna, spinti soltanto dal desiderio di non vivere più da schiavi [4]. Com'è possibile, si chiede allora Salviano, considerare gli abitanti di questo angolo della Gallia ribelli, criminali, gente persa, come invece si ostina a fare il governo imperiale con i suoi rappresentanti? Ma torniamo per un istante all'autore del De morte persecutorum, Lattanzio. Fedele al suo stile vivace, non privo di una certa enfasi retorica e di una carica polemica spesso incontrollata (l'imperatore Decio, ad esempio, non è altro che un «execrabile animal»), egli denuncia l'iniquità di un regime fiscale oppressivo e occhiuto, applicato da funzionari spietati. Una vera e propria persecuzione tributaria, attuata tramite un meccanismo amministrativo implacabile [5]. Nulla sfugge all'occhio rapace del fisco. Tutto è censito e trascritto: ogni zolla di terra, ogni albero, ogni singola vite, ogni uomo e animale; i contribuenti, radunati in gruppi, come greggi, sono costretti a dichiarare patrimoni reali o inesistenti, se del caso attraverso la tortura. Cosicché i figli denunciano i genitori, i servi i padroni, le mogli i mariti. E viceversa. Alla fine, in mancanza di meglio, ciascun contribuente è sottoposto a tortura contro sé stesso, in modo tale da costringerlo ad accusarsi da solo. Fioccano conseguentemente le dichiarazioni, più o meno veritiere, di patrimoni reali o fittizi, sui quali si scatena l'appetito dell'amministrazione finanziaria.
L'autore, ponendosi in una prospettiva storico-giuridica, analizza le riforme fiscali che furono ... more L'autore, ponendosi in una prospettiva storico-giuridica, analizza le riforme fiscali che furono fatte durante il tardo impero romano da Diocleziano, il quale cercò in tal modo di affrontare la crisi del III secolo d.C. L'eccessivo livello di tassazione, caratterizzato da un netto sbilanciamento a sfavore delle classi meno agiate della popolazione, portò l'imperatore ad intervenire in modo organico, procedendo a dividere il territorio imperiale in "unità fiscali" per rendere equa la già esistente imposta fondiaria (iuga), ma soprattutto introducendo un'imposta personale parametrato sulle unità lavorative (capita). L'idea alla base del sistema è quella di rendere fiscalmente rilevante, da una parte, la testa (caput) di un lavoratore-colono, dall'al tra la superficie di terra (iugum) che lo stesso colono è in grado di lavorare. L'anali si di tale riforma, come evidenziato nella successiva postilla al contributo, ebbe il merito di arginare la drammatica situazione istituzionale di tale epoca, ma mette in luce gli ammonimenti che il legislatore fiscale odierno tenere a bada nell'affrontare l'attuale crisi strutturando il sistema fiscale con interventi lungimiranti (e non meramente episodici). PAROLE CHIAVE: crisi dell-riforma fiscale-diocleziano Crisis of the political order and tax reform: the word to Diocletian The author, placing himself in a historical-juridical perspective, analyses the fiscal reforms that were made during the late Roman Empire by Diocletian, who sought in this way to face the crisis of the third century A.D. The excessive level of taxation, characterised by a clear imbalance against the less wealthy classes of the population, led the emperor to intervene organically, proceeding to divide the imperial territory into "fiscal units" to make the already existing land tax (iuga) fair, but above all by introducing a personal tax based on working units (capita). The idea behind the system is to make fiscally relevant, on the one hand, the head (caput) of a worker-colonist, and, on the other, the land surface (iugum) that the colonist himself is able to work. The analysis of this reform, as highlighted in the next postscript to this article, had the merit of curbing the dramatic institutional situation of that era, but it highlights the warnings that today's tax legislator shall keep in mind in facing the current crisis by structuring the tax system with far-sighted (and not merely episodic) interventions. Keywords: roman law, economic and financial crisis, tax reform, land tax, personal tax SOMMARIO: 1. Scenario: tracollo delle istituzioni e crisi sociale-2. Il tormento dei contribuenti: voci dalla periferia dell'Impero-3. I capisaldi della riforma-4. Brevi considerazioni conclusive-NOTE 1. Scenario: tracollo delle istituzioni e crisi sociale «Ut nec vivere iam nec mori saltim gratis liceret»: non era lecito né vivere né morire gratuitamente. Con questo giudizio impietoso, Lucio Cecilio Firmino Lattanzio [1] condanna senza appello il censimento disposto da Galerio Massimino e con esso l'intero sistema fiscale dioclezianeo. Qualche decennio più tardi, un altro storico e apologeta cristiano, Orosio, con toni più pacati, esprime lo stesso concetto in modo persino più radicale: i barbari che invadono l'im pero nel corso del V secolo, trovandosi a loro agio nelle nuove terre, abbandonano ben presto la spada a favore dell'aratro e trattano con bonomia i romani superstiti, considerandoli alleati e amici; questi ultimi, dal canto loro, sembrano spesso accettare di buon grado i nuovi arrivati. La ragione di tale sollievo è per l'appunto la liberazione dal giogo del fisco, la possibilità inaspettata di sottrarsi alla presa implacabile della tenaglia tributaria. Non è raro, infatti-precisa Orosio-trovare Romani «qui malint inter barbaros pauperem libertatem, quam inter Romanos tributariam sollicitudinem sustinere» [2]. Defezioni, ribellioni, tradimenti, fughe, atteggiamenti ambigui, si alternano e si intrecciano nel lento crepuscolo della pars Occidentis, moltiplicandosi da una parte all'altra dell'Impero. A innescare la rivolta, in molti casi, è proprio l'insofferenza verso la schiavitù tributaria, il desiderio insopprimibile di liberarsene. Come nel caso della ribellione dei Bagaudi [3] , che esplode nella prima metà del V secolo, della quale ci parla il vescovo di Marsiglia, Salviano, con parole di fuoco. Nella sua ottica, i contadini della Gallia, ridotti alla fame, sono stati costretti a ribellarsi a causa della iniquità del sistema amministrativo romano e della disonestà dei suoi funzionari. L'immagine che ne deriva è quella di un meccanismo ormai impazzito e totalmente fuori controllo: a un prelievo fiscale giunto ormai a livelli intollerabili si aggiunge la voracità insaziabile dei rappresentanti dell'amministrazione che, abusando del proprio ruolo, commettono ingiustizie e arbitri di ogni genere, come bestie feroci che non rinunciano neppure a succhiare il sangue delle vittime. Da qui la scelta disperata dei ribelli di tagliare i ponti con Roma, cercando rifugio presso i barbari, a cui niente li accomuna, spinti soltanto dal desiderio di non vivere più da schiavi [4]. Com'è possibile, si chiede allora Salviano, considerare gli abitanti di questo angolo della Gallia ribelli, criminali, gente persa, come invece si ostina a fare il governo imperiale con i suoi rappresentanti? Ma torniamo per un istante all'autore del De morte persecutorum, Lattanzio. Fedele al suo stile vivace, non privo di una certa enfasi retorica e di una carica polemica spesso incontrollata (l'imperatore Decio, ad esempio, non è altro che un «execrabile animal»), egli denuncia l'iniquità di un regime fiscale oppressivo e occhiuto, applicato da funzionari spietati. Una vera e propria persecuzione tributaria, attuata tramite un meccanismo amministrativo implacabile [5]. Nulla sfugge all'occhio rapace del fisco. Tutto è censito e trascritto: ogni zolla di terra, ogni albero, ogni singola vite, ogni uomo e animale; i contribuenti, radunati in gruppi, come greggi, sono costretti a dichiarare patrimoni reali o inesistenti, se del caso attraverso la tortura. Cosicché i figli denunciano i genitori, i servi i padroni, le mogli i mariti. E viceversa. Alla fine, in mancanza di meglio, ciascun contribuente è sottoposto a tortura contro sé stesso, in modo tale da costringerlo ad accusarsi da solo. Fioccano conseguentemente le dichiarazioni, più o meno veritiere, di patrimoni reali o fittizi, sui quali si scatena l'appetito dell'amministrazione finanziaria.
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