Papers by Diego Battistini
in Giordano Giannini, Nicoletta Grupi (a cura di), Buffy non deve morire. Adolescenti, Mito e Fantastico nei Nuovi Media, 2020
Il Ponte - Rivista di politica economia e cultura fondata da Piero Calamandrei, 2020
Tra il 1948 (Ladri di Biciclette, Vittorio De Sica) e il 1951 (Bellissima, Luchino Visconti), l'e... more Tra il 1948 (Ladri di Biciclette, Vittorio De Sica) e il 1951 (Bellissima, Luchino Visconti), l'esperienza del neorealismo si esaurisce. Il motivo, come scrive Ernesto Brunetta, non è rintracciabile esclusivamente nell'ostilità da parte degli organi politici: «Il neorealismo non muore per decreto legge, anche se la legislazione portò il suo contributo. Muore perché si sono essiccate le radici vitali -la Resistenza, i suoi valori, le speranze di realizzarli -che lo tenevano in piedi» . 2 Sono questi gli anni che lo storico Aurelio Lepre ha definito «i più difficili del dopoguerra» , perché 3 caratterizzati dalla volontà degli italiani di ricominciare a vivere, lasciandosi alle spalle un passato segnato dalla guerra. Da parte sua, il cinema italiano registrò in tempo reale le aspirazioni della rinnovata società italiana; l'addomesticamento dello sguardo neorealista produsse una visione della realtà più edulcorata, come testimoniano opere quali Domenica d'agosto (Luciano Emmer, 1950) e, De Sica ha voluto dipingere una piaga sociale e l'ha fatto con valente maestria, ma nulla ci mostra nel film che dia quel minimo di insegnamento che giovi nella realtà a rendere domani meno freddo l'ambiente che circonda le moltitudini di quanti in silenzio si consumano, soffrono e muoiono. E se è vero che il male si può combattere anche mettendone duramente a nudo gli aspetti più crudi, è pur vero che se nel mondo si sarà indotti -erroneamente -a ritenere che quella di Umberto D. è l'Italia della metà del secolo ventesimo, De Sica avrà reso un pessimo servigio alla sua patria, che è anche la patria di Don Bosco, del Forlanini e di una progredita legislazione sociale. Giulio Andreotti, Piaghe sociali e necessità di redenzione, in «Libertas», 28.2.1952, ora in Luciano De 1 Giusti (a cura di), Storia del cinema italiano, vol. VIII, 1949-1953, Marsilio-Bianco e Nero, Venezia-Roma, 2003, p. 564. Ernesto Brunetta, Crisi del neorealismo e normalizzazione sociale, in Luciano De Giusti (a cura di), op. 2 cit., p. 38.
Guardarsi allo specchio: Ladri di biciclette di Vittorio De Sica. in «Rifrazioni. Dal cinema all'... more Guardarsi allo specchio: Ladri di biciclette di Vittorio De Sica. in «Rifrazioni. Dal cinema all'oltre», anno 8, n° 16, maggio 2016, pp. 216-225. Vittorio De Sica 1 La Bal(l)ade dell'attacchino Ladri di biciclette (1948) esce nelle sale italiane nel momento in cui sta imperversando un'aspra polemica che vede coinvolte le forze politiche e il Neorealismo, reo di offrire un'immagine poco edulcorata del paese. A distanza di ormai tre anni dalla fine delle ostilità, il cinema italiano dimostra il proprio interesse nel raccontare il tessuto sociale post bellico, di cui un primo esempio era stato Sciuscià (1946, Vittorio De Sica), dove i due giovani lustrascarpe «sono un po' gli stracci che volano durante e dopo la grande tempesta. Sono i sottoprodotti della storia dell'epoca di ferro dei dittatori» . La stessa strada viene nuovamente percorsa da De Sica e Cesare Zavattini per Ladri di 2 biciclette, opera che affronta le problematiche sociali connesse al dopoguerra, ma nella quale si può riscontrare anche una riflessione più profonda sui traumi di una nazione che si è lasciata alle spalle una dittatura, una guerra mondiale e una guerra civile. Vagamente ispirato all'omonimo romanzo di Luigi Bartolini , Ladri di biciclette si nutre della realtà dell'epoca e di esperienze vissute in prima 3 "L'esperienza della guerra fu determinante per tutti noi. Qualcuno sentì il folle desiderio di buttare all'aria tutte le vecchie storie del cinema italiano, di posizionare la macchina da presa nel mezzo della vita reale, nel mezzo di tutto quello che colpiva i nostri occhi inorriditi. Cercammo di liberarci dal peso dei nostri errori, volevamo guardarci in faccia, e dire la verità, scoprire chi eravamo veramente". Vittorio De Sica, «La table ronde», n° 149 (1960), cit. in Jean A. Gili, La naissance d'un cineaste, in 1 «Bianco&Nero», n° 9 (1975), pp. 64-65. Carlo Lizzani, Il Neorealismo: quando è finito, quello che resta, in Lino Micciché (a cura di), Il 2 Neorealismo cinematografico italiano, Venezia, Marsilio, 1975, p. 99. Per un confronto fra romanzo e film, Cfr. Guglielmo Moneti, Ladri di biciclette, in Lino Micciché (a cura 3 di), De Sica, Venezia, Marsilio, 1992, pp. 247-252.
Il Ponte - Rivista di politica, economia e cultura fondata da Piero Calamandrei, 2015
Il fantasma di Harry. La decostruzione dell'eroe in Gran Torino di Clint Eastwood. in «Rifrazioni... more Il fantasma di Harry. La decostruzione dell'eroe in Gran Torino di Clint Eastwood. in «Rifrazioni. Dal cinema all'oltre», anno 7, n° 15, maggio 2015, pp. 68-79. Da Harry Callahan a Walt Kowalski: fenomenologia dell'eroe nel cinema di Clint Eastwood Mi piacciono gli eroi di oggi, con le loro debolezze e la loro mancanza di dirittura morale, e con un tocco di cinismo. Clint Eastwood 1 Scrivendo sull'evoluzione del cinema western, André Bazin definiva Il cavaliere della valle solitaria un sur-western , evidenziando la consapevolezza del film nei confronti dei tòpoi del 2 genere d'appartenenza. Parafrasando il critico francese, potremmo definire Gran Torino di Clint Eastwood un sur-film, per il dialogo imbastito con tutta la filmografia eastwoodiana, in modo particolare dal punto di vista del personaggio. Risulta quindi chiaro che, nel momento in cui ci si accinge a scrivere di Gran Torino, è necessario compiere un passo indietro e riconsiderare, nella sua interezza, la filmografia dell'attore/regista, sopratutto le caratteristiche e le evoluzioni di quello che potremmo definire il «personaggio-Eastwood».
in «Rifrazioni. Dal cinema all'oltre», anno 6, n° 14, settembre 2014, pp. 61-68
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