Books (written/edited) by Anna Chiara Cimoli
Nomos edizioni, Busto Arsizio , 2024
Il bar Craja, progettato nel 1930 da Luciano Baldessari con Luigi Figini e Gino Pollini e con int... more Il bar Craja, progettato nel 1930 da Luciano Baldessari con Luigi Figini e Gino Pollini e con interventi artistici di Fausto Melotti e Marcello Nizzoli, è passato alla storia come un locale-laboratorio dal sapore quasi mitico, capace di chiamare a raccolta le menti più creative della Milano dell’epoca. A pochi passi dal Teatro alla Scala e dalla Galleria del Milione, il Craja – sulla scia del Cabaret Fledermaus di Vienna, del Cabaret Voltaire di Zurigo o del Café L’Aubette di Strasburgo – rappresentava un incubatore di idee di futuro, anche e soprattutto sotto il fascismo.
Da questa “stazione planetaria”, che si proponeva come alternativa razionalista e antiborghese ai più paludati caffè storici del centro cittadino, sono passati Marinetti e Persico, Toscanini e de Sabata, Sarfatti e de Chirico, i pittori chiaristi e il gruppo di “Campo Grafico”, formando schieramenti a tratti inconciliabili, altre volte cautamente dialoganti. “L’arte ci veniva rivelata per aspetti nuovi, impensati, fino a quel momento sconosciuti. C’era qualcosa di profondamente consapevole, di scopertamente vivo, di grandemente umano. Tutti disperati d’amore e di passione, insofferenti, anarchici”: così ricordava lo scultore Luigi Broggini.
Il mémoir scritto dalla figlia dei proprietari, Enrica Craja, restituisce la variegata gamma dei toni di voce che nelle lunghe serate si sovrapponevano, a volte litigando furiosamente, altre intrecciando alleanze creative. A questo racconto, che ha il retrogusto struggente di una gioventù tanto individuale quanto collettiva, si giustappone una raccolta di testi commissionati dalla stessa Enrica agli artisti che avevano frequentato il locale, a comporre una pagina inedita e preziosa della cultura milanese del Novecento.
Progettare in termini teatrali voleva dire, per Luciano Baldessari, pensare in movimento: traiett... more Progettare in termini teatrali voleva dire, per Luciano Baldessari, pensare in movimento: traiettorie, scorci, chiaroscuri animano i suoi volumi, che si tratti di scene teatrali vere e proprie o di interni domestici, di allestimenti per mostre d'arte o di padiglioni industriali. Che cosa c'è là in fondo? Che cosa sta nascosto fra le quinte? Quale sorpresa dietro la curva, oltre l'angolo, in cima alla scala?
Franco Cosimo Panini editore, 2022
Edizione italiana a cura di Anna Chiara Cimoli, Nomos edizioni, Busto Arsizio 2022, pp. 7-13.
"Senza titolo. Le metafore della didascalia", a cura di Maria Chiara Ciaccheri, Anna Chiara Cimoli e Nicole Moolhuijsen, Nomos edizioni, Busto Arsizio, 2020
Nell’immaginario comune le didascalie sono strumenti scientifici per eccellenza, precisi e defin... more Nell’immaginario comune le didascalie sono strumenti scientifici per eccellenza, precisi e definitivi. In verità si tratta di atti interpretativi, situati nel tempo e nello spazio, imperfetti e provvisori. La museologia recente ci parla infatti di didascalie critiche, “polivocali”, sempre più attente all’accessibilità e alla presa in conto di punti di vista e sensibilità diverse.
Chi dovrebbe scriverle? Che cosa includere, che cosa omettere? E soprattutto, come definirne la “correttezza” e valutarne l’efficacia?
Questo libro, che ospita voci e professionalità diverse, vuole suggerire possibili tracce per la progettazione e l’analisi critica di una didascalia; questioni che tengono conto delle caratteristiche dello strumento, del contesto entro cui il suo messaggio si colloca, delle prospettive e degli obiettivi che il museo intende raggiungere in relazione ai propri pubblici.
Si possono raccontare le migrazioni senza valigie? Si può prescindere da quella che diventa, a vo... more Si possono raccontare le migrazioni senza valigie? Si può prescindere da quella che diventa, a volte, suo malgrado, un'estetica del dramma? Più che di risposte gli scritti qui raccolti danno conto, acutamente, dell'interrogativo. È un campo aperto a ogni riflessione." Così, Claudio Rosati nel penetrante testo che introduce questo volume. E aggiunge: "I casi rappresentati disegnano un museo composito che si ritrova però nella condivisione dell'assunto della migrazione come 'leva fondamentale dell'umanità fin dalle sue origini'. L'uomo, sembrano dire i musei, è un essere confinario che non ha confini. Nella prassi, questo è un museo che risente di sensibilità e climi politici diversi, ma anche di tradizioni museografiche diverse. Volendo tracciare un idealtipo, in un assemblaggio di qualità -ma la scelta è soggettiva -è un museo che evita la deriva tecnologica, che non si affida solo all'immersione e all'emozione; è inquieto, precario nell'ordinamento e agile, fa ricerca, dà conto della complessità delle biografie, con il pubblico al centro della sua azione. È gratuito. Ma non è una marcia trionfale. L'autrice ci segnala puntualmente inciampi, ambiguità e le inevitabili tossine del post-colonialismo". Né può essere altrimenti in una realtà tanto composita quale si trova rappresentata nei principali musei europei delle migrazioni, qui visitati e raccontati in una doppia prospettiva: dell'autrice e degli stessi responsabili, che sapientemente guidano il lettore sul campo, . Altrettanto ricche e variegate sono le "letture" teoriche offerte alla riflessione, a cui si aggiunge un ben diversificato coro di "voci" che prendono la parola: museologi, scrittori, artisti, geografi, antropologi. Ne risulta un ampio panorama ben delineato dell'attuale pratica e teoria museologica, cui fanno da contrappunto gli sguardi molto particolari di alcuni osservatori eccellenti. A completare la ricerca fanno seguito apparati fondamentali per chi intenda approfondire il tema: una ricca scelta di immagini, l'elenco dei musei delle migrazioni nel mondo e una vasta bibliografia tematica. Annota sottilmente il prefatore: "Si avverte che il libro nasce da un'urgenza, ma non dalla fretta. È un libro profondo. Sollecita alla riflessività tutti coloro che credono che il museo possa ancora avere un senso 'al servizio della società e del suo sviluppo'".
Questo libro raccoglie le voci di chi ha fatto una scommessa: la scommessa che il museo, se lo si... more Questo libro raccoglie le voci di chi ha fatto una scommessa: la scommessa che il museo, se lo si desidera, può essere uno spazio di crescita e riflessione su di sé e sul mondo, un osservatorio, una lente attraverso cui guardare alla complessità che circonda la vita di tutti, e quella degli adolescenti in particolare. Il museo può essere tante cose che la scuola, per sua natura, non è: uno spazio di educazione informale in cui i tempi si dilatano, i silenzi sono ammessi e persino coltivati, le domande sono più importanti delle risposte, il corpo trova un suo agio.
Vero è che non basta esporre il pubblico degli adolescenti alle collezioni, per contatto: è utile una mediazione sensibile, progettata a partire dalle domande di quei visitatori, dai loro bisogni, urgenze e curiosità. I metodi, dunque, sono al centro di questo volume: metodi di traduzione, avvicinamento, contenimento. E, a monte, metodi di progettazione per gli operatori – curatori, educatori, esperti di interpretazione, allestitori e così via – chiamati a rinnovare il proprio sguardo e linguaggio.
Il volume nasce dall’esperienza di “Che cosa vedi?”, uno strumento di mediazione fra pari progettato da un liceo lombardo presso il Museo del Novecento di Milano. Intorno a quella esperienza si coagulano criticamente le voci di altri operatori culturali che si interrogano sui visitatori adolescenti: le voci di Alessio Bertini (Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze), Federica Pascotto (Palazzo Grassi e Punta della Dogana, Venezia), Lorena Giuranna (Museo MA*GA, Gallarate), e ancora di Maria Chiara Ciaccheri, esperta di accessibilità (ABCittà/Musei Senza Barriere); Stefano Laffi, sociologo (Codici Ricerca e Intervento) e di Franca Zuccoli, ricercatrice universitaria (Università degli Studi di Milano-Bicocca).
Ne emerge un quadro di grande vitalità, in cui gli adolescenti non si accontentano di essere visitatori “qualunque”, ma diventano protagonisti di un momento cruciale della loro formazione.
a c. di Anna Chiara Cimoli per ABCittà, realizzato nell'ambito del progetto Mudec POP, 2017
CON IL SOSTEGNO DI PROGETTO MUDEC POP IN PARTENARIATO CON PROMOSSO DA MUDEC POP è un progetto rea... more CON IL SOSTEGNO DI PROGETTO MUDEC POP IN PARTENARIATO CON PROMOSSO DA MUDEC POP è un progetto realizzato dall'Associazione Città Mondo in partenariato con ABCittà, Comune di Milano-Ufficio Reti e Cooperazione Culturale e Mudec, grazie al contributo della Fondazione Cariplo, in cui i cittadini sono stati invitati a partecipare in maniera attiva e creativa. L'idea, selezionata nell'ambito del bando "Protagonismo Culturale dei Cittadini", è stata quella di valorizzare il Mudec e il prezioso patrimonio conservato nelle sue collezioni, fatto vivere nell'inedita rielaborazione ideata dai cittadini eredi di quelle culture lontane. Grazie agli attori dell'Associazione e del Forum Città Mondo, il progetto MUDEC POP ha coinvolto infatti la cittadinanza, interpellandola e chiedendole un ruolo propositivo nella lettura e nella personale interpretazione del museo. Gli oggetti conservati al Mudec sono diventati i mediatori per un dialogo tra culture, attraverso cinque azioni e specifici strumenti del percorso del progetto: percorso che, oltre che far avvicinare al museo un pubblico di non addetti, è stato un esempio concreto della possibilità e ricchezza di passare dalla differenza delle culture a una cultura della differenza che permetta a tutti di riconoscere un'identità molteplice della nostra comunità cittadina. L'auspicio è che il processo così avviato possa ancora crescere ed essere sempre più fertile, creando scambi, incontri e visioni: si è infatti realizzata grazie a MUDEC POP un'originale forma di produzione culturale da parte della città e dei cittadini. Il mio ringraziamento va a tutti coloro che hanno ideato, organizzato promosso le iniziative e questa idea inclusiva, aperta, democratica del Museo e della città. Filippo Del Corno Assessore alla Cultura | Comune di Milano Il progetto è stato coordinato da Dava Gjoka Presidente dell'Associazione Città Mondo Coadiuvata da
Silvana editoriale, 2018
Sottratta a quel cono d'ombra in cui la sua intima coerenza e il riserbo del suo protagonista ris... more Sottratta a quel cono d'ombra in cui la sua intima coerenza e il riserbo del suo protagonista rischiavano di relegarla, la vicenda artistica dello scultore meratese Giuseppe Mozzanica (1892-1983) viene qui raccontata per la prima volta. L'amore intransigente per la realtà, lo studio accanito della natura, la fedeltà totale al vero ne costituiscono le note salienti: una vera e propria fede, oltre che un modo di guardare.
Papers by Anna Chiara Cimoli
Marta Ceribelli, Elio Grazioli (a cura di), Abitare l’archivio, Ceribelli Editore, Bergamo, pp. 27-49., 2024
Annales Universitatis Paedagogicae Cracoviensis. Studia de Arte et Educatione”, monographic n. “Creative dialogue with the city. Artistic revitalization of public space”, 17/375, pp. 61-72, online., 2022
“Decolonising” museums through experimental practices: the case of MUBIG, a neighbourhood museum ... more “Decolonising” museums through experimental practices: the case of MUBIG, a neighbourhood museum in Milan, in “Annales Universitatis Paedagogicae Cracoviensis. Studia de Arte et Educatione”, numero monografico su “Creative dialogue with the city. Artistic revitalization of public space”, n. 17, vol. 375, 2022, pp. 61-72, online.
Opus incertum, 2023
The article describes the work of ethnographer Thérèse Rivière (1901-1970) at the Musée d’Ethnogr... more The article describes the work of ethnographer Thérèse Rivière (1901-1970) at the Musée d’Ethnographie du Trocadéro, later Musée de l’Homme, in Paris. Analysing the scholar’s contribution, in particular the method she adopted during her fieldwork in Algeria among the Amazigh populations and its subsequent impact on the museum, the essay brings to light not only a half-forgotten profile, but also a relevant page in the history of the Musée de l’Homme. The analysis develops around the themes of gender, distance/proximity to the object of study, and adherence or non-adherence to a normativity imposed from above in the strongly hierarchical structure of the museum. What emerges is the figure of an ethnographer who entrusts relationships and imaginative power with the ability to understand and represent a culture. The collection of photographs, the letters, and the album of the ‘dessins indigènes’ show how her practice was not at odds with an unobjectionable scientific rigour. The long years in a psychiatric hospital, however, also suggest a reflection on the boundaries between truth and fiction, the relationship between sight and mental health, the impact of war and much more to be explored.
Linda Borean e Dimitri Brunetti (a c. di), I professionisti della cultura al lavoro. Archivi, biblioteche e musei in Friuli Venezia Giulia e in Italia, Forum, Udine, pp. 63-69., 2022
"Roots § Routes", XII, n. 39, 2022
AgCult, 2022
For some years now, the Querini Stampalia Foundation has been developing an articulate process of... more For some years now, the Querini Stampalia Foundation has been developing an articulate process of rewriting its labelling apparatus. It has done so by conducting a series of interrelated actions aimed at the adoption of a more inclusive approach and the resurfacing of silenced stories and points of view, in particular with respect to gender and sexual orientations. The article critically analyzes the process, highlighting the methodology, as well as the change at the level of internal organization and impact on audiences.
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Books (written/edited) by Anna Chiara Cimoli
Da questa “stazione planetaria”, che si proponeva come alternativa razionalista e antiborghese ai più paludati caffè storici del centro cittadino, sono passati Marinetti e Persico, Toscanini e de Sabata, Sarfatti e de Chirico, i pittori chiaristi e il gruppo di “Campo Grafico”, formando schieramenti a tratti inconciliabili, altre volte cautamente dialoganti. “L’arte ci veniva rivelata per aspetti nuovi, impensati, fino a quel momento sconosciuti. C’era qualcosa di profondamente consapevole, di scopertamente vivo, di grandemente umano. Tutti disperati d’amore e di passione, insofferenti, anarchici”: così ricordava lo scultore Luigi Broggini.
Il mémoir scritto dalla figlia dei proprietari, Enrica Craja, restituisce la variegata gamma dei toni di voce che nelle lunghe serate si sovrapponevano, a volte litigando furiosamente, altre intrecciando alleanze creative. A questo racconto, che ha il retrogusto struggente di una gioventù tanto individuale quanto collettiva, si giustappone una raccolta di testi commissionati dalla stessa Enrica agli artisti che avevano frequentato il locale, a comporre una pagina inedita e preziosa della cultura milanese del Novecento.
Chi dovrebbe scriverle? Che cosa includere, che cosa omettere? E soprattutto, come definirne la “correttezza” e valutarne l’efficacia?
Questo libro, che ospita voci e professionalità diverse, vuole suggerire possibili tracce per la progettazione e l’analisi critica di una didascalia; questioni che tengono conto delle caratteristiche dello strumento, del contesto entro cui il suo messaggio si colloca, delle prospettive e degli obiettivi che il museo intende raggiungere in relazione ai propri pubblici.
Vero è che non basta esporre il pubblico degli adolescenti alle collezioni, per contatto: è utile una mediazione sensibile, progettata a partire dalle domande di quei visitatori, dai loro bisogni, urgenze e curiosità. I metodi, dunque, sono al centro di questo volume: metodi di traduzione, avvicinamento, contenimento. E, a monte, metodi di progettazione per gli operatori – curatori, educatori, esperti di interpretazione, allestitori e così via – chiamati a rinnovare il proprio sguardo e linguaggio.
Il volume nasce dall’esperienza di “Che cosa vedi?”, uno strumento di mediazione fra pari progettato da un liceo lombardo presso il Museo del Novecento di Milano. Intorno a quella esperienza si coagulano criticamente le voci di altri operatori culturali che si interrogano sui visitatori adolescenti: le voci di Alessio Bertini (Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze), Federica Pascotto (Palazzo Grassi e Punta della Dogana, Venezia), Lorena Giuranna (Museo MA*GA, Gallarate), e ancora di Maria Chiara Ciaccheri, esperta di accessibilità (ABCittà/Musei Senza Barriere); Stefano Laffi, sociologo (Codici Ricerca e Intervento) e di Franca Zuccoli, ricercatrice universitaria (Università degli Studi di Milano-Bicocca).
Ne emerge un quadro di grande vitalità, in cui gli adolescenti non si accontentano di essere visitatori “qualunque”, ma diventano protagonisti di un momento cruciale della loro formazione.
Papers by Anna Chiara Cimoli
Da questa “stazione planetaria”, che si proponeva come alternativa razionalista e antiborghese ai più paludati caffè storici del centro cittadino, sono passati Marinetti e Persico, Toscanini e de Sabata, Sarfatti e de Chirico, i pittori chiaristi e il gruppo di “Campo Grafico”, formando schieramenti a tratti inconciliabili, altre volte cautamente dialoganti. “L’arte ci veniva rivelata per aspetti nuovi, impensati, fino a quel momento sconosciuti. C’era qualcosa di profondamente consapevole, di scopertamente vivo, di grandemente umano. Tutti disperati d’amore e di passione, insofferenti, anarchici”: così ricordava lo scultore Luigi Broggini.
Il mémoir scritto dalla figlia dei proprietari, Enrica Craja, restituisce la variegata gamma dei toni di voce che nelle lunghe serate si sovrapponevano, a volte litigando furiosamente, altre intrecciando alleanze creative. A questo racconto, che ha il retrogusto struggente di una gioventù tanto individuale quanto collettiva, si giustappone una raccolta di testi commissionati dalla stessa Enrica agli artisti che avevano frequentato il locale, a comporre una pagina inedita e preziosa della cultura milanese del Novecento.
Chi dovrebbe scriverle? Che cosa includere, che cosa omettere? E soprattutto, come definirne la “correttezza” e valutarne l’efficacia?
Questo libro, che ospita voci e professionalità diverse, vuole suggerire possibili tracce per la progettazione e l’analisi critica di una didascalia; questioni che tengono conto delle caratteristiche dello strumento, del contesto entro cui il suo messaggio si colloca, delle prospettive e degli obiettivi che il museo intende raggiungere in relazione ai propri pubblici.
Vero è che non basta esporre il pubblico degli adolescenti alle collezioni, per contatto: è utile una mediazione sensibile, progettata a partire dalle domande di quei visitatori, dai loro bisogni, urgenze e curiosità. I metodi, dunque, sono al centro di questo volume: metodi di traduzione, avvicinamento, contenimento. E, a monte, metodi di progettazione per gli operatori – curatori, educatori, esperti di interpretazione, allestitori e così via – chiamati a rinnovare il proprio sguardo e linguaggio.
Il volume nasce dall’esperienza di “Che cosa vedi?”, uno strumento di mediazione fra pari progettato da un liceo lombardo presso il Museo del Novecento di Milano. Intorno a quella esperienza si coagulano criticamente le voci di altri operatori culturali che si interrogano sui visitatori adolescenti: le voci di Alessio Bertini (Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze), Federica Pascotto (Palazzo Grassi e Punta della Dogana, Venezia), Lorena Giuranna (Museo MA*GA, Gallarate), e ancora di Maria Chiara Ciaccheri, esperta di accessibilità (ABCittà/Musei Senza Barriere); Stefano Laffi, sociologo (Codici Ricerca e Intervento) e di Franca Zuccoli, ricercatrice universitaria (Università degli Studi di Milano-Bicocca).
Ne emerge un quadro di grande vitalità, in cui gli adolescenti non si accontentano di essere visitatori “qualunque”, ma diventano protagonisti di un momento cruciale della loro formazione.
Artestorie propone una raccolta di testimonianze per una mappatura delle professioni praticabili oggi in Italia da chi è laureato in storia dell’arte. Le professioni possibili sono più numerose di quelle descritte nel libro, che ne propone alcune tra le più diffuse, dalle attività tradizionali (ricerca, insegnamento) a quelle più innovative e in via di consolidamento (cura dei social network, delle community, analisi dei pubblici, Technical Art History).
Ciascuna delle trenta professioni qui raccontate, pur partendo dalla conoscenza approfondita della storia dell’arte acquisita durante il percorso accademico, richiede competenze specifiche maturate dagli autori attraverso percorsi ‘inventati’, il più delle volte al di fuori dei curricula universitari, che hanno reso possibile l’ingresso nel mondo del lavoro.
Queste nuove professioni, talvolta ancora in cerca di una definizione condivisa, si inseriscono in un contesto che sta evolvendo verso una cultura della partecipazione aperta a differenti pubblici e che propone di agire in relazione alla fruizione, comunicazione e valorizzazione del patrimonio culturale.
Artestorie è diviso in cinque macroaree in cui sono riunite le professioni che agiscono dentro e fuori le istituzioni culturali. I professionisti coinvolti hanno accolto l’invito a raccontarsi ai ‘futuri’ storici dell’arte e si sono messi in gioco, narrando luci ed ombre dei loro percorsi professionali. Il cantiere Artestorie si è rivelato anche luogo di scambio, riflessione e confronto non solo sulle forme della disciplina, ma anche su strategie e obiettivi che storici dell’arte di un paio di generazioni sentono di condividere, e per cui sono disposti a impegnarsi.
Da questa esperienza si comprende ancora una volta l’importanza di fare rete, e infatti da qui che si propone di ripartire a chi studierà domani la storia dell’arte, a chi lo sta già facendo, a chi nelle istituzioni individua i percorsi formativi e ai professionisti del settore.
Dalle esperienze raccolte emerge la necessità che in molte delle professioni si integrino competenze legate al mondo della comunicazione, del management e della mediazione. E nella mediazione includiamo anche il saper dialogare con diversi profili professionaliù
– archeologi, architetti, restauratori, informatici, legislatori, amministrativi
– per citarne alcuni tra quelli coinvolti nello studio e nella trasmissione del patrimonio al futuro. Una propensione al dialogo utile anche a costruire un lessico condiviso su cui fondare la costruzione di progetti e strategie comuni
In the face of clear demands advanced by those who were formerly colonized and continue to be marginalized, deceived, and blackmailed, the amnesia of cultural institutions has never greater. Even when cultural institutions engage with the restitution of contested heritages, how can we ensure such practices don’t reinforce neo-colonial ideologies?
The present call welcomes contributions on the theme of corporeality in education, and in visual education in particular. It stems from a question that stops being personal when it bounces among many colleagues and solicits stories of experimentation, alliances and possible paradigms. The topics on the table are numerous and intertwined: the status of the body in school, the spaces of education and their consideration of the diversity of bodies, the relationship body-school-museum, the language of bodies and their representation in education, the eye as a body attribute, body consciousness in artistic education, the intersection between performance and museums, the possibility and the criticality of a pedagogy of movement, and much more.