giovedì 3 dicembre 2020
03 dicembre: GIORNATA INTERNAZIONALE DELLE PERSONE CON DISABILITÀ
mercoledì 25 novembre 2020
Giornata Internazionale contro la violenza sulle Donne - Racconto: CRYING AT THE DISCOTEQUE by Denny
Per la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, vi propongo un mio racconto di fantasia. Per riflettere...
La musica sincopata sovrasta tutto.
Il fumo di borotalco camuffa quello di fumo che c’è, anche se non dovrebbe.
Nella penombra generale intervallata da flash colorati: risate, bicchieri, selfie, sudore e caldo la fanno da padrone.
Un po’ defilata nella zona divanetti Aurora si è seduta. È sudata e le scarpe col tacco le fanno male dopo aver ballato parecchio e ha un leggero mal di testa.
Da un’occhiata al display del cellulare. Sono le 01:59. Aspetta qualche secondo che scatti l’ora piena e mette via il telefonino.
Accanto a lei arrivano due ragazze un po’ più giovani. Avranno vent’anni. Una le manda un sorriso di circostanza che vuole essere un “scusa il disturbo” prima di farle sedere accanto l’amica che, adesso è chiaro, è ubriaca fradicia. La sente pronunciare parole sconnesse e arrabbiarsi per qualcosa che l’amica le impedisce di fare.
La ragazza sobria si chiama Nadia. Aurora lo sa perché la ragazza sbronza lo dice spesso accompagnato a volte da un insulto.
Dopo non molto arriva un giovanotto, un ragazzo che è e si crede un gran figo: alto bello, strafottente. Si avvicina alle ragazze. Evidentemente si conoscono. Si siede sul divanetto accanto alla ragazza ubriaca e la bacia appassionatamente. L’altra in piedi lo guarda torvo. Il giovane prende la sua conquista per un braccio, la solleva e fa per portarla con sé. Nadia si oppone fermamente! Gli si para davanti, gli strappa l’amica da sotto braccio, la rimette seduta e dice chiaramente al bellimbusto che non porta nessuno da nessuna parte. La ragazza sbronza, di cui ora anche Aurora conosce il nome, Claudia, manifesta chiaramente la volontà di seguire il ragazzo; più e più volte, con modi gentili e non, ma la giovane in piedi è risoluta e continua a ripetere, a lui e a lei, gli stessi concetti:
“Domani! Quando sarai sobria andrai con lui dove vuoi. Da ubriaca non vai con nessuno!”
“Non mi interessa! Non sai quello che fai!”
“Domani, adesso no!”
I toni sono alti.
È un tira e molla determinato da entrambe le parti a cui Aurora assiste da pochi centimetri di distanza dal basso del divanetto morbido.
Aurora non vuole apparire impicciona ma segue attentamente la discussione e attraverso lo specchio sul muro laterale non toglie gli occhi di dosso dal viso determinato di Nadia, che fronteggia il giovanotto che cerca in ogni modo di convincerla che Claudia desidera fare una passeggiata con lui fuori nel parcheggio. “Quando sarà sobria!”, “Non da ubriaca!”. Non spreca tante parole per dirgli no e più volte è costretta a intervenire, con la forza, per fermare l’amica che cerca goffamente di sgusciare verso il fusto.
Alla fine con una brutta parolaccia il tipo desiste e lascia le due ragazze da sole che quindi le si siedono accanto.
La ragazza sobria parla all’amica. Aurora non sente cosa dice perché parla nell’orecchio ma basta pochissimo e la giovane ubriaca si calma, si rilassa e vinta dai fumi dell’alcool chiude gli occhi.
A questo punto Nadia manda un messaggio con il cellulare e poi con la testa dell’amica sulla spalla si rilassa anch’essa e aspetta.
E così in quella discoteca piena di gente, confusione e rumore Aurora ricorda quel che ha voluto sempre e solo dimenticare. Anche se fa caldo, sente i brividi e ripiomba a quattro anni prima, a quella vacanza post maturità che le sue compagne di viaggio tutt’oggi definiscono mitica.
Mitica lo è stata, ma solo fino all’ultima sera.
Quella sera di agosto Aurora aveva bevuto parecchio ed era ubriaca fradicia.
Come la ragazza che dorme accostata a lei, era invaghita di un figo che l’ultima sera l’aveva coperta di attenzioni. Alla fine l’aveva portata in spiaggia di notte.
Ricorda poco niente di cosa e come è successo. Sono solo frammenti. Ricorda la sabbia fresca sotto i piedi scalzi, il fiato di lui sulla nuca, il bruciore in mezzo alle cosce e poi il sorriso compiaciuto di lui. Ricorda che poi l’ha riportata dalle sue amiche anch’esse molto alticce che ridevano.
Quelle stesse amiche che quando insieme ricordano quel viaggio, ancora le dicono, ridendo e ammiccando: “Te la sei spassata con quel gran figo sulla spiaggia quella sera, eh?”
Aurora ci ha messo anni ad ammettere a se stessa che quello è stato uno stupro, ma ancora non riesce a non pensare di esserne responsabile. Ed è anche fermamente convinta che lui non abbia mai, mai, dubitato della legittimità del suo comportamento, che non abbia mai, mai, avuto il benché minimo dubbio che lei non lo volesse.
Di lui, che vive in un'altra città, non è rimasto nulla, se non un banale e freddo contatto via social, e di questa squallida esperienza disgusto per se stessa e per la tequila e una sottile ma tenace diffidenza e sfiducia costante.
Non ne ha mai parlato con nessuno di quella maledetta sera sulla spiaggia. È qualcosa di doloroso e sgradevole che tiene solo per se.
Non si è mai più ubriaca da allora!
Ma questi sono ricordi e pensieri dolorosi che vuole ricacciare al loro posto in fondo all’anima, così cerca di pensare ad altro, di uscire dal suo intimo.
Pensa alle ragazze che le siedono accanto: Nadia e Claudia.
Sa che Nadia vuol dire “speranza” e Claudia invece deriva da “claudicante, zoppicante” e volendo per estensione “che inciampa”. Pensa che siano due significati perfetti per le due giovani e la situazione che stanno vivendo.
Invece Aurora, il suo di nome, significa “splendente, luminosa” e sua madre lo ha scelto pensando a “la bella addormentata nel bosco”. Un nome da principessa! Lei però non si sente privilegiata e speciale, anzi.
All’improvviso la ragazza sobria si desta dal torpore per rispondere al cellulare. Poche parole.
Dopo qualche minuto arriva un ragazzo più giovane; sembra appena maggiorenne.
Aurora sente qualche frammento di frase: “Mi devi il prezzo dell’ingresso” dice lui senza astio. Si china per prendere in braccio la ragazza addormentata e nel farlo manda ad Aurora uno sguardo e le dice “Scusami”.
Claudia riapre gli occhi e lo saluta affettuosamente biascicando.
“Per fortuna devo portare lei che è piccolina e magra e non te” sente che dice ridendo con una bella voce profonda.
Nadia lo guarda storto per un attimo mentre drappeggia il suo golfino sulle gambe e al sedere dell’amica per evitare che la minigonna lasci vedere tutto durante il passaggio tra la folla verso l’uscita.
Aurora deduce senza ombra di dubbio, dal loro atteggiamento, che sono fratello e sorella.
Nadia le viene ancora accanto per prendere le due borsette lasciate sul divanetto, le sorride e poi segue il fratello.
Aurora, ancora sprofondata nel basso divanetto, segue con lo sguardo il giovane magro e alto con il suo semincosciente fardello fendere la folla, e poi anche la testa castana della ragazza che non conosce ma che stima profondamente, fino a che entrambi non spariscono completamente inghiottiti dalla folla.
“Perché io non avevo un’amica come lei?”.
Non riesce a pensare ad altro.
“Perché io non avevo accanto un’amica come lei?”, “Perché io non ho un’amica come lei?” si continua a chiedere nel buio psichedelico, e nessuno di accorge delle lacrime che scendono sulle sue gote truccate.
Denny
domenica 3 maggio 2020
VITA AI TEMPI DEL COVID-19 - SIAMO ENTRATI NELLA STORIA.
Racconterò di come ho allacciato nuovi rapporti a distanza, di come non ho più potuto uscire di casa se non per fare la spesa velocemente, di come non se ne parlava di poter lavorare o visitare la mia famiglia, i miei cari, e di come mi sono ritrovata a condividere le stesse sensazioni con i miei vicini sul balcone, che sono diventati gli unici rapporti che potevo avere all'infuori dei miei figli e di mio marito.
I giorni scorrevano lenti, monotoni, uguali.
Ed è arrivato anche il giorno di festeggiare i papà dal balcone e mio figlio ha spento le candeline mentre i vicini gli cantavano TANTI AUGURI A TE... Ci si è adattati inevitabilmente anche ad una nuova maniera di fare gli auguri e far festa. I bambini ne hanno indubbiamente sofferto. Spettava a noi genitori non far pesar lor questo stranissimo periodo di reclusione, nel quale anche le festicciole di compleanno sono state completamente bandite.
E arrivata anche la noia, meno si fa e meno si vorrebbe fare, giornate sul divano con voglia di niente, del nulla.
Chi, come me, ha bambini piccoli poi, tra chat di gruppo, video-lezioni, le poesia da imparare a memoria, gli esperimenti di scienze con semi, i disegni da colorare, le tabelline da imparare, l'orologio da spiegare e l'earth day da osannare, le giornate sono state così impegnative e la pazienza al bordo del collasso, che capisco perché non ho fatto l'insegnante, assolutamente non sono tagliata per il mestiere.
In questi ultimi giorni invece, ho notato sia sui social, sia parlando con amici, che è subentrata la voglia di uscire e riprendersi la propria vita, l'essere assolutamente stufi del confinamento da voler ormai ricominciare e ripartire e quindi via alle critiche al governo che ci ha segregato in casa, a prendere sottogamba la pericolosità del contagio, a violare le norme di sicurezza, perché insomma ne abbiamo le tasche piene, i morti sono in diminuzione, i guariti sono in aumento, la curva epidemiologica ormai in discesa, per alcuni quindi è arrivato il momento di uscire e ritornare a vivere in normalità. Come se si potesse pensare di tornare esattamente al punto da cui abbiamo lasciato il tutto. Credo che nessuno di noi tornerà ad essere o pensare o attuare come prima del lock-down, è impossibile, visto che alcune norme e regole ci seguiranno per mesi ancora.
Bene, questi due mesi sono stati intensi, indimenticabili.
Domani 04 maggio sarebbe stata una giornata speciale per me. Con la mia famiglia sarei andata a Superga a onorare il Grande Torino in occasione dell'anniversario della tragedia che colpì la squadra nel 1949.
Mi è mancato sicuramente il senso di libertà del muoversi liberamente, e la prima cosa che farò: cercare un lavoro per mantenermi 😂
SABRINA:
La cosa che mi è mancata di più è abbracciare i miei genitori e le persone più care che ho. E' un dolore infinito portargli la spesa e guardarli coperta da una mascherina.
La prima cosa che farò?
Forse non è una sola, ma tante. La prima godermi di più il tempo con le persone che amo perché questa quarantena mi ha fatto riflettere su tante cose, come la lontananza da mamma e papà, dai cugini, parenti. Mi fatto riscoprire il balcone di casa con miei vicini fantastici che anche se sei giù loro ci sono sempre. Spero che anche quando sarà finito tutto potremmo guardarci con gli stessi occhi con cui ci siamo guardato quando ci vedevamo sul balcone a ridere e scherzare 😘
ISABELLA:
Tutte cose che possono sembrare banali, ma che in questo momento particolare, abbiamo capito essere essenziali per noi : un abbraccio, il poter vedere famigliari ed amici, fare lunghe passeggiate, mi è mancato tanto poter andare su alla Torre Delle Castelle . Quando sono un po' giù, vado lì, guardo Gattinara da lontano, il castello di San Lorenzo e tutte le colline intorno...e per assurdo quella' immensità mi fa sentire meno sola.
2. Qual è la prima o una delle prime cose che farete una volta si potrà uscire liberamente? Andare ad una mostra a Milano con un mio amico. Abbiamo già organizzato: mostra, cena e passeggiata in piazza Duomo. Ma in realtà ne ho tante di "prime cose che vorrei fare" ... Vorrei portare mio figlio Zakarya a fare foto in giro, vorrei abbracciare la mia famiglia, le mie amiche Anna, Pamela e Monica, vorrei andare a trovare mio papà al cimitero, vorrei andare dalla parrucchiera a fare la tinta... Vorrei tornare a vivere normalmente, senza paura.
PIERO:
La cosa che mi manca in questa quarantena non poter vedere le persone più care per me e nemmeno abbracciarle. E' bruttissimo, perché ti manca un pezzo del cuore.
Quello che farò appena finisce la quarantena, apprezzare in modo uniforme il tempo con chi amo e a cui voglio bene. Andrò da tutte le persone che voglio bene gli dirò con il cuore in mano: anche se siamo stati lontani il mio cuore si è arricchito di elementi speciali e ora che ci possiamo vedere vi abbraccio e pregherò che tutto questo non accada più
PATRIZIA:
La libertà e fare una passeggiata con mio figlio
JESSICA:
Mia madre e mio fratello❤ e fare una passeggiata in collina.
Questo periodo non è finito, domani si allentano un pochino le restrizioni, ma in sostanza non è assolutamente un ritorno alla normalità. Saranno necessari vari mesi prima che sia così. Intanto io mi godo i miei ultimi giorni di riposo prima di tornare a servire caffè e bianchini al mio circolino, circondata dai miei super vecchietti che hanno tenuto duro, mi hanno chiamata e mi hanno fatto sentire parte della loro vita, raccontandomi i loro noiosi giorni senza la partita a scopa o burraco e quanta voglia hanno di rivedere gli amici ed allontanarsi dalle loro mogli brontolone.
Arrivo ragazzi! Un paio di settimane ancora!
Kly
martedì 11 febbraio 2020
ACHILLE LAURO: l'apparenza e la sostanza.
ono cresciuto. Sono allergico ai modi maschili, ignoranti con cui sono cresciuto. Allora indossare capi di abbigliamento femminili, oltre che il trucco, la mia confusione di generi è il mio modo di dissentire e ribadire il mio anarchismo, di rifiutare le convenzioni, da cui poi si genera discriminazione e violenza. Sono fatto così mi metto quel che voglio e mi piace: la pelliccia, la pochette, gli occhiali glitterati sono da femmina? Allora sono una femmina.
giovedì 14 marzo 2019
FRIDAY FOR FUTURE - GLOBAL STRIKE - 15 MARZO 2019


Tutte le info sull'iniziativa e sulle numerose città che parteciperanno qui:
➡ https://www.fridaysforfuture.org/
➡ https://www.facebook.com/fridaysforfutureitaly/
Unisciti all'iniziativa della tua città per chiedere un impegno concreto per la salvaguardia del nostro pianeta!
Denny
lunedì 14 gennaio 2019
YOGA DELLA RISATA del Dott, MADAN KATARIA
martedì 4 ottobre 2016
ANIMALE A CHI? - in occasione della Giornata Mondiale degli Animali
Sostituendo "cane" con qualsiasi altro animale l'effetto e la conclusione non cambia. Le vere bestie siamo noi, che ci consideriamo superiori, pensanti e ragionevoli, e si vede... come va il mondo!
Kly
Non prendete un cane. Mai. Lasciate stare.
Ve lo dico il più sinceramente possibile, davvero con il cuore in mano.
Non prendete un cane, per nessun motivo.
Se ve ne viene la voglia, fatevela passare. Vi rovinerà la vita. Vi distruggerete la vita. Perché dopo aver trascorso un po’ di tempo con un cane, non sarete più gli stessi. Niente sarà più come prima. Vi sembrerà che il mondo come fino ad ora avete conosciuto non sia mai esistito. Che fosse tutto più semplice, che tutto scorresse scivolando quietamente senza problemi. Perché questo volete davvero… questo è quello che si ritiene sia giusto, se le cose scivolano senza problemi e con facilità allora va tutto bene sul serio….
Non prendete un cane. Mai.
Perché la mattina vi sveglierete e vi troverete davanti due occhi sorridenti, una coda che sbatte frenetica e una leccata sul viso.
Perché vi troverete catapultati in corse forsennate a fare la pipì fuori qualsiasi stagione sia e per questo vi accorgerete dello scorrere del tempo e che gli alberi da rossi e gialli sono rimasti senza foglie e dopo poco sono apparsi i germogli e che ancora più in là nei giorni ci sono gli uccellini che cantano tra le fronde.
Perché sarete costretti a diventare equilibristi del tempo, a trovare un ritmo che accompagni due cuori.
Perché sarete costretti senza appello a capire chi vi vuole anche con quattro zampe a seguito sempre e comunque e chi invece si arrende al primo biscotto pieno di bava.
Perché quando piangerete le vostre lacrime non riusciranno a toccare terra.
Perché quando vi ferirete lui sarà lì a leccare il sangue, anche quello che non si vede….
Non prendete mai un cane. Mai.
Perché se siete veri umani lui vi educherà. Vi educherà nel modo più duro e primitivo possibile. Con l’amore. Vi educherà all'amore incondizionato. Quello che non chiede nulla in cambio. A non avere filtri, ad essere come siete.
Vi educherà alla libertà di voi stessi.
Vi educherà a non difendervi mai da chi amate. Al non rancore, al perdono sempre, a dimostrare amore in ogni occasione.
Vi educherà all'empatia, a prendervi cura di chi amate. A osservare il vostro mondo intorno e capire cosa c’è che non va da una camminata, un gesto, uno sguardo.
Vi educherà a non usare le parole.
Vi educherà alla lealtà e all'onestà.
Non prendete un cane. Mai.
Perché quando vi avrà educato……vorrete le stesse cose da altri….e non capirete perché lui è stato in grado di darvele e invece tante persone, umani con tanti neuroni e un cuore più grande, non ci riescono. Non capirete perché non riuscite a trovare la stessa trasparenza e lealtà in chi vi sta accanto. E che dice di amarvi.
Non prendete un cane. Mai.
Perché diventerete un vero umano randagio, di quelli che ci provano sempre a credere in certi umani e sono sempre sconfitti.
Tratto dal web
Laura Zanin 06 giugno 2016
lunedì 12 settembre 2016
EL PRIM DI DE SCOEULA - IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA
La mama la me svegliava ai ses e mesa e mi me alsavi cunt ados òna roba strana, quasi de gioia ma anca cunt un pù de mal de panscia. In sùl taul de la cùsina, gh’era giamò el lat cald cunt i biscot che me piaseven tropp e anca il pan del dì prima per fa la sùpa; se sentiva anca l’udur del cafè che el bruntulava denter la cafettera. Tacà sul’armadi gh’era el scossaa nòv, negher cunt el collètt bianc e el fiuchet bleu che me pareva de met la cravata, cume faseva el papà per andà a butega.
Ona semmana prima, mi e la mama s’erum andà in cartuleria a ciapà tùt i rob che me serviven per la scoeula. G’hera semper de tacà lit, perché vurevi tùt quel che serviva no. Denter la cartela, quela de met su i spall, avevi mis vùn quadern a righe e un alter cunt i quadret, el diari, el stùcc di pen e i pastei culurà, el righel lùng de legn e l’album de disegn. Me ricordi ancamò ades, l’udur de noùv de che la roba.
La mama la me guardava par dùevi partì a suldà. El prim dì, chissà perché, gh’era semper el sòl. El sòl de settember. La scoeula l’era visin a cà e andavi insemma al papà, man ne la man. El me cüntava semper quand lù l’era fioulet e il nonno el g’aveva regalà la bicicleta per andà a scoeula in de per lù. Arivà davant al cancel, el me salùdava cunt òn basin in frunt e cunt el so suris, diseva: “Me racumandi”.
La campana l’era sunada…
La mamma mi svegliava alle 6,30 e io mi alzavo con addosso una sensazione strana, quasi di gioia ma anche con un po’ di mal di pancia. Sul tavolo della cucina, c’era già il latte caldo con i biscotti che mi piacevano tanto e anche il pane del giorno prima per fare la zuppa; si sentiva anche l’odore del caffè che brontolava dentro la caffettiera. Appeso all'armadio c’era il grembiule nuovo, nero con il colletto bianco e il fiocchetto blu che mi sembrava di mettere la cravatta, come faceva il papà per andare al lavoro.
Una settimana prima, io e la mamma eravamo andati in cartoleria a prendere tutte le cose che mi servivano per la scuola. C’era sempre da litigare, perché volevo tutto quello che non serviva. Dentro la cartella, quella da mettere sulle spalle, avevo messo un quaderno a righe e un altro a quadretti, il diario, l’astuccio delle penne e i pastelli colorati, il righello lungo di legno e l’album dei disegni. Mi ricordo ancora adesso, l’odore di nuovo di quelle cose.
La mamma mi guardava come se fossi dovuto partire militare. Il primo giorno, chissà perché, c’era sempre il sole. Il sole di settembre. La scuola era vicina a casa e andavo insieme al papà, mano nella mano. Mi raccontava sempre quando lui era bambino e il nonno gli aveva regalato la bicicletta per andare a scuola da solo. Arrivati davanti al cancello, mi salutava con un bacetto sulla fronte e, con il suo sorriso, diceva: “Mi raccomando”.
La campanella era suonata…