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giovedì 3 dicembre 2020

03 dicembre: GIORNATA INTERNAZIONALE DELLE PERSONE CON DISABILITÀ


 IO SONO DISABILE!

Si, lo sono! 
Non è facile ammetterlo, ve lo garantisco! Soprattutto perché la mia disabilità non è così evidente e quindi la maggioranza di voi non ci crede! 
Ma... mi avete mai visto con pantaloni corti? O con una gonna? Pensateci... vero che no? Ecco, i pantaloni mi servono per coprire le cicatrici di 20 dolorose operazioni e 2 anni e mezzo di ospedale che hanno permesso che io tornassi a stare in piedi e camminare quasi normalmente. Grazie ai fantastici chirurghi e alle infermiere aggiungerei.
Bene, oggi sarebbe la mia giornata. Non avendo onomastico, mi accontento di questo giorno. 
Spero quindi di strapparvi 2 minuti di attenzione.
Disabile non sono solo quelle persone costrette ed obbligate su una sedia a rotelle. Disabili possono essere persone in apparenza molto normali, che avete affianco tutti i giorni, ma portano una croce, un fardello pesante e che voi incontrate quotidianamente nella vostra frenetica vita, ma non vedete. 
Ci sono disabilità fisiche, ma anche psichiche e/o sensoriali, che non sono così palesi.
Fermatevi a pensare a noi! 
La maggioranza di noi disabili, non abbiamo nessun aiuto sapete? 
La disabilità viene giudicata in gradi e comunque essere disabili al 67% come lo sono io, non apporta nessun vantaggio economico. Per aver diritto a un aiuto economico la percentuale deve essere molto più alta. Certo, siamo iscritti ad una lista di lavoratori portatori di handicap e dovremmo avere qualche facilità in trovare un posto di lavoro e invece... Per esempio nel mio caso: Sono 10 anni che sono rimpatriata e ancora nessuno mi ha mai chiamata neanche per un colloquio di lavoro. Eppure, non per vantarmi, ho un curriculum di tutto rispetto... e va là... la crisi! 
Poi, se colpiti da disabilità fisica con difficoltà a deambulare, avremmo anche diritto ad usufruire dei pochissimi parcheggi gialli siti in alcuni punti della città  (tralasciamo quelli nei parcheggi dei supermercati, che di norma sono rispettati!), ma... sapete quante volte voi me li occupate perché : "solo 2 minuti per entrare in farmacia e in quel negozio, che saranno mai!" o non li vedete proprio, perché le strisce ormai sono così scolorite che si confondono con l'asfalto. In piazza c'è n'è solo 1, UNO su circa una ventina e non sapete che rabbia trovarlo occupato da una macchina senza il tagliando disabili, così, solo per... E in zona siamo almeno 2 residenti portatori di handicap che vorrebbero usufruirne.
Potrei continuare ma, ebbene, avevo detto 2 minuti di attenzione e mi sto dilungando. 
Chiudo, chiedendo solo un pochino di comprensione, rispetto ed attenzione. Anche se la disabilità non salta agli occhi, non significa che non ci sia e vi assicuro che è pesante portarla senza aiuti...magari anche il vostro. Vorremmo essere ricordati tutto l'anno e non solo il 3 di dicembre.
Grazie.

Clizia

mercoledì 25 novembre 2020

Giornata Internazionale contro la violenza sulle Donne - Racconto: CRYING AT THE DISCOTEQUE by Denny

Per la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, vi propongo un mio racconto di fantasia. Per riflettere...


CRYING AT THE DISCOTEQUE


La discoteca è piena di giovani colorati, belli e allegri. 

La musica sincopata sovrasta tutto. 

Il fumo di borotalco camuffa quello di fumo che c’è, anche se non dovrebbe.

Nella penombra generale intervallata da flash colorati: risate, bicchieri, selfie, sudore e caldo la fanno da padrone.

Un po’ defilata nella zona divanetti Aurora si è seduta. È sudata e le scarpe col tacco le fanno male dopo aver ballato parecchio e ha un leggero mal di testa.

Da un’occhiata al display del cellulare. Sono le 01:59. Aspetta qualche secondo che scatti l’ora piena e mette via il telefonino.

Accanto a lei arrivano due ragazze un po’ più giovani. Avranno vent’anni. Una le manda un sorriso di circostanza che vuole essere un “scusa il disturbo” prima di farle sedere accanto l’amica che, adesso è chiaro, è ubriaca fradicia. La sente pronunciare parole sconnesse e arrabbiarsi per qualcosa che l’amica le impedisce di fare. 

La ragazza sobria si chiama Nadia. Aurora lo sa perché la ragazza sbronza lo dice spesso accompagnato a volte da un insulto.

Dopo non molto arriva un giovanotto, un ragazzo che è e si crede un gran figo: alto bello, strafottente. Si avvicina alle ragazze. Evidentemente si conoscono. Si siede sul divanetto accanto alla ragazza ubriaca e la bacia appassionatamente. L’altra in piedi lo guarda torvo. Il giovane prende la sua conquista per un braccio, la solleva e fa per portarla con sé. Nadia si oppone fermamente! Gli si para davanti, gli strappa l’amica da sotto braccio, la rimette seduta e dice chiaramente al bellimbusto che non porta nessuno da nessuna parte. La ragazza sbronza, di cui ora anche Aurora conosce il nome, Claudia, manifesta chiaramente la volontà di seguire il ragazzo; più e più volte, con modi gentili e non, ma la giovane in piedi è risoluta e continua a ripetere, a lui e a lei, gli stessi concetti:

“Domani! Quando sarai sobria andrai con lui dove vuoi. Da ubriaca non vai con nessuno!”

“Non mi interessa! Non sai quello che fai!”

“Domani, adesso no!”

I toni sono alti.

È un tira e molla determinato da entrambe le parti a cui Aurora assiste da pochi centimetri di distanza dal basso del divanetto morbido.

Aurora non vuole apparire impicciona ma segue attentamente la discussione e attraverso lo specchio sul muro laterale non toglie gli occhi di dosso dal viso determinato di Nadia, che fronteggia il giovanotto che cerca in ogni modo di convincerla che Claudia desidera fare una passeggiata con lui fuori nel parcheggio. “Quando sarà sobria!”, “Non da ubriaca!”. Non spreca tante parole per dirgli no e più volte è costretta a intervenire, con la forza, per fermare l’amica che cerca goffamente di sgusciare verso il fusto.

Alla fine con una brutta parolaccia il tipo desiste e lascia le due ragazze da sole che quindi le si siedono accanto.

La ragazza sobria parla all’amica. Aurora non sente cosa dice perché parla nell’orecchio ma basta pochissimo e la giovane ubriaca si calma, si rilassa e vinta dai fumi dell’alcool chiude gli occhi.

A questo punto Nadia manda un messaggio con il cellulare e poi con la testa dell’amica sulla spalla si rilassa anch’essa e aspetta.


E così in quella discoteca piena di gente, confusione e rumore Aurora ricorda quel che ha voluto sempre e solo dimenticare. Anche se fa caldo, sente i brividi e ripiomba a quattro anni prima, a quella vacanza post maturità che le sue compagne di viaggio tutt’oggi definiscono mitica.


Mitica lo è stata, ma solo fino all’ultima sera.


Quella sera di agosto Aurora aveva bevuto parecchio ed era ubriaca fradicia.

Come la ragazza che dorme accostata a lei, era invaghita di un figo che l’ultima sera l’aveva coperta di attenzioni. Alla fine l’aveva portata in spiaggia di notte.

Ricorda poco niente di cosa e come è successo. Sono solo frammenti. Ricorda la sabbia fresca sotto i piedi scalzi, il fiato di lui sulla nuca, il bruciore in mezzo alle cosce e poi il sorriso compiaciuto di lui. Ricorda che poi l’ha riportata dalle sue amiche anch’esse molto alticce che ridevano.

Quelle stesse amiche che quando insieme ricordano quel viaggio, ancora le dicono, ridendo e ammiccando: “Te la sei spassata con quel gran figo sulla spiaggia quella sera, eh?”

Aurora ci ha messo anni ad ammettere a se stessa che quello è stato uno stupro, ma ancora non riesce a non pensare di esserne responsabile. Ed è anche fermamente convinta che lui non abbia mai, mai, dubitato della legittimità del suo comportamento, che non abbia mai, mai, avuto il benché minimo dubbio che lei non lo volesse.

Di lui, che vive in un'altra città, non è rimasto nulla, se non un banale e freddo contatto via social, e di questa squallida esperienza disgusto per se stessa e per la tequila e una sottile ma tenace diffidenza e sfiducia costante.

Non ne ha mai parlato con nessuno di quella maledetta sera sulla spiaggia. È qualcosa di doloroso e sgradevole che tiene solo per se.

Non si è mai più ubriaca da allora!

Ma questi sono ricordi e pensieri dolorosi che vuole ricacciare al loro posto in fondo all’anima, così cerca di pensare ad altro, di uscire dal suo intimo.


Pensa alle ragazze che le siedono accanto: Nadia e Claudia. 

Sa che Nadia vuol dire speranza e Claudia invece deriva da claudicante, zoppicante e volendo per estensione che inciampa. Pensa che siano due significati perfetti per le due giovani e la situazione che stanno vivendo. 

Invece Aurora, il suo di nome, significa “splendente, luminosa” e sua madre lo ha scelto pensando a “la bella addormentata nel bosco”. Un nome da principessa! Lei però non si sente privilegiata e speciale, anzi.


All’improvviso la ragazza sobria si desta dal torpore per rispondere al cellulare. Poche parole.

Dopo qualche minuto arriva un ragazzo più giovane; sembra appena maggiorenne. 

Aurora sente qualche frammento di frase: “Mi devi il prezzo dell’ingresso” dice lui senza astio. Si china per prendere in braccio la ragazza addormentata e nel farlo manda ad Aurora uno sguardo e le dice “Scusami”.

Claudia riapre gli occhi e lo saluta affettuosamente biascicando.

“Per fortuna devo portare lei che è piccolina e magra e non te” sente che dice ridendo con una bella voce profonda.

Nadia lo guarda storto per un attimo mentre drappeggia il suo golfino sulle gambe e al sedere dell’amica per evitare che la minigonna lasci vedere tutto durante il passaggio tra la folla verso l’uscita.

Aurora deduce senza ombra di dubbio, dal loro atteggiamento, che sono fratello e sorella.

Nadia le viene ancora accanto per prendere le due borsette lasciate sul divanetto, le sorride e poi segue il fratello.

Aurora, ancora sprofondata nel basso divanetto, segue con lo sguardo il giovane magro e alto con il suo semincosciente fardello fendere la folla, e poi anche la testa castana della ragazza che non conosce ma che stima profondamente, fino a che entrambi non spariscono completamente inghiottiti dalla folla.


“Perché io non avevo un’amica come lei?”. 

Non riesce a pensare ad altro. 

“Perché io non avevo accanto un’amica come lei?”, “Perché io non ho un’amica come lei?” si continua a chiedere nel buio psichedelico, e nessuno di accorge delle lacrime che scendono sulle sue gote truccate.




Denny

domenica 3 maggio 2020

VITA AI TEMPI DEL COVID-19 - SIAMO ENTRATI NELLA STORIA.


Sono ormai 2 mesi che siamo, chi più, chi meno, rinchiusi in casa.

Questo periodo si ricorderà per sempre e verranno scritte pagine e pagine sui libri di storia.
E chi lo immaginava? Faremo parte concreta della storia moderna, i miei nipoti studieranno il confinamento del 2020 dovuto alla pandemia di Coronavirus e se sarò ancora viva, gliela potrò raccontare con la mia propria voce.

Racconterò di come un bel giorno del principio marzo, l'Italia e anche alcune altre nazioni,  sono state obbligate a chiudere scuole, negozi, fabbriche, ristoranti a causa di un nemico invisibile, ma subdolo, che erano settimane che minacciava la salute delle persone, partendo dalla Cina. Una malattia che ha collassato ospedali e fatti migliaia di morti, che improvvisamente ha sconvolto la nostra vita, i nostri valori, le nostre sicurezze. Una infezione alle vie respiratorie della quale non si conosceva praticamente nulla e quindi si brancolava nel buio per sapere come affrontarlo e sconfiggerlo. 

Racconterò di come ho allacciato nuovi rapporti a distanza, di come non ho più potuto uscire di casa se non per fare la spesa velocemente, di come non se ne parlava di poter lavorare o visitare la mia famiglia, i miei cari, e di come mi sono ritrovata a condividere le stesse sensazioni con i miei vicini sul balcone, che sono diventati gli unici rapporti che potevo avere all'infuori dei miei figli e di mio marito.

Un turbine di sensazioni diverse hanno caratterizzato questo periodo.
Al principio era la paura dell'ignoto, di questa minaccia sconosciuta che attaccava tutti indistintamente,  alcuni sopravvivevano, molti morivano, alcuni erano asintomatici, nessuno aveva certezze, poteva essere sano o malato senza saperlo.

Il dover organizzare i giorni per le compere e le spese, c'erano beni che non si potevano più comprare, alcuni sono diventati introvabili, perché la paura della fame ha preso il sopravvento e in tanti hanno preso d'assalto i supermercati pur di fare scorte assolutamente innecessarie, bisognava pianificare le spese.


Quindi si è cominciato a socializzare a distanza, finalmente ho conosciuto i miei vicini, anche loro agli arresti domiciliari, che avevo visto, ma con cui non avevo mai scambiato più di qualche saluto. Ci siamo organizzati per ballare e cantare e ascoltare l'inno d'Italia come buoni patrioti due volte al giorno (perché ci riscopriamo italiani veri sempre nei momenti peggiori), abbiamo giocato da balcone a balcone a NOMI-COSE-CITTÀ, e ci siamo scambiati ricette, segreti di cucina, suggerite menu, mentre abbiamo confessato le paure, i timori, i segreti e parlato del bel tempo che fu (fortuna vuole che anno più anno meno l'età non è poi così diversa), ci siamo augurati la buonanotte con dolcissime canzoni e abbiamo anche partecipato alla S. Messa celebrata dal nostro parroco via Facebook.

I giorni scorrevano lenti, monotoni, uguali.


Ed è arrivato anche il giorno di festeggiare i papà dal balcone e mio figlio ha spento le candeline mentre i vicini gli cantavano TANTI AUGURI A TE... Ci si è adattati inevitabilmente anche ad una nuova maniera di fare gli auguri e far festa. I bambini ne hanno indubbiamente sofferto. Spettava a noi genitori non far pesar lor questo stranissimo periodo di reclusione, nel quale anche le festicciole di compleanno sono state completamente bandite.

E arrivata anche la noia, meno si fa e meno si vorrebbe fare, giornate sul divano con voglia di niente, del nulla.

Chi, come me, ha bambini piccoli poi, tra chat di gruppo, video-lezioni, le poesia da imparare a memoria, gli esperimenti di scienze con semi, i disegni da colorare, le tabelline da imparare, l'orologio da spiegare e l'earth day da osannare, le giornate sono state così impegnative e la pazienza al bordo del collasso, che capisco perché non ho fatto l'insegnante,  assolutamente non sono tagliata per il mestiere.

In questi ultimi giorni invece, ho notato sia sui social, sia parlando con amici, che è subentrata la voglia di uscire e riprendersi la propria vita, l'essere assolutamente stufi del confinamento da voler  ormai ricominciare e ripartire e quindi via alle critiche al governo che ci ha segregato in casa, a prendere sottogamba la pericolosità del contagio, a violare le norme di sicurezza, perché insomma ne abbiamo le tasche piene, i morti sono in diminuzione, i guariti sono in aumento, la curva epidemiologica ormai in discesa, per alcuni quindi è arrivato il momento di uscire e ritornare a vivere in normalità. Come se si potesse pensare di tornare esattamente al punto da cui abbiamo lasciato il tutto. Credo che nessuno di noi tornerà ad essere o pensare o attuare come prima del lock-down, è impossibile, visto che alcune norme e regole ci seguiranno per mesi ancora.

Bene, questi due mesi sono stati intensi, indimenticabili.

Domani 04 maggio sarebbe stata una giornata speciale per me. Con la mia famiglia sarei andata a Superga a onorare il Grande Torino in occasione dell'anniversario della tragedia che colpì la squadra nel 1949.
Quest'anno tutto ciò non sarà possibile, i trasferimenti fuori dal proprio comune non sono ancora permessi,  ma comunque domani qualcosa riprende.
Alcune fabbriche riannodano l'attività lavorativa,  alcuni negozi rialzano la saracinesca, poco, ma c'è una lieve riapertura del commercio.
Personalmente devo aspettare, io faccio parte di quella categoria di commercianti che ancora non possono riprendere a lavorare. La ristorazione purtroppo, è considerata una categoria a rischio, il pericolo di contagio è troppo alto e quindi dovrò attendere alcune settimane prima di poter riaprire e ritrovare i miei adorati vecchietti e servir loro il caffè come più gli piace.

Ma intanto un paio di considerazioni le ho fatte anche io. 
Ho messo sulla bilancia le mie priorità,  le mie voglie, le mie necessità.
E sono arrivata alla conclusione che c'è solo una cosa importante, necessaria e indispensabile: LA LIBERTÀ,  quella che godiamo e non ci sembra. L'unico vero privilegio e diritto per il quale dobbiamo lottare e combattere. Il non essere liberi di uscire di casa, di incontrare i propri cari, di non avere la libertà di lavorare, quello è ciò che più mi è mancato. Il non poter decidere liberamente di fare o non fare, ma essere obbligata a rimanere rinchiusa in casa, è stato difficile.
Ma queste sono le mie considerazioni e come buona vicina curiosa, ho chiesto anche ai miei vicini, compagni dei flash moob giornalieri dal balcone:

1 - Cosa vi è mancato di più in questa quarantena?
2 - Qual è la prima o una delle prime cose che farete una volta che si potrà uscire liberamente?

e qui le risposte:

MARCO:
Mi è mancato sicuramente il senso di libertà del muoversi liberamente, e la prima cosa che farò: cercare un lavoro per mantenermi 😂

SABRINA:
La cosa che mi è mancata di più è abbracciare i miei genitori e le persone più care che ho. E' un dolore infinito portargli la spesa e guardarli coperta da una mascherina.
La prima cosa che farò?
Forse non è una sola, ma tante. La prima godermi di più il tempo con le persone che amo perché questa quarantena mi ha fatto riflettere su tante cose, come la lontananza da mamma e papà, dai cugini, parenti. Mi fatto riscoprire il balcone di casa con miei vicini fantastici che anche se sei giù loro ci sono sempre. Spero che anche quando sarà finito tutto potremmo guardarci con gli stessi occhi con cui ci siamo guardato quando ci vedevamo sul balcone a ridere e scherzare 😘

ISABELLA
1. Cosa vi è mancato di più causa quarantena?
Tutte cose che possono sembrare banali, ma che in questo momento particolare, abbiamo capito essere essenziali per noi : un abbraccio, il poter vedere famigliari ed amici, fare lunghe passeggiate, mi è mancato tanto poter andare su alla Torre Delle Castelle . Quando sono un po' giù, vado lì, guardo Gattinara da lontano, il castello di San Lorenzo e tutte le colline intorno...e per assurdo quella' immensità mi fa sentire meno sola.

2. Qual è la prima o una delle prime cose che farete una volta si potrà uscire liberamente? Andare ad una mostra a Milano con un mio amico. Abbiamo già organizzato: mostra, cena e passeggiata in piazza Duomo. Ma in realtà ne ho tante di "prime cose che vorrei fare" ... Vorrei portare mio figlio Zakarya a fare foto in giro, vorrei abbracciare la mia famiglia, le mie amiche Anna, Pamela e Monica, vorrei andare a trovare mio papà al cimitero, vorrei andare dalla parrucchiera a fare la tinta... Vorrei tornare a vivere normalmente, senza paura.

PIERO:
La cosa che mi manca in questa quarantena non poter vedere le persone più care per me e nemmeno abbracciarle. E' bruttissimo, perché ti manca un pezzo del cuore.
Quello che farò appena finisce la quarantena, apprezzare in modo uniforme il tempo con chi amo e a cui voglio bene. Andrò da tutte le persone che voglio bene gli dirò con il cuore in mano: anche se siamo stati lontani il mio cuore si è arricchito di elementi speciali e ora che ci possiamo vedere vi abbraccio e pregherò che tutto questo non accada più

PATRIZIA:
La libertà e fare una passeggiata con mio figlio

JESSICA:
Mia madre e mio fratello❤ e fare una passeggiata in collina.

Questo periodo non è finito, domani si allentano un pochino le restrizioni, ma in sostanza non è assolutamente un ritorno alla normalità. Saranno necessari vari mesi prima che sia così. Intanto io mi godo i miei ultimi giorni di riposo prima di tornare a servire caffè e bianchini al mio circolino, circondata dai miei super vecchietti che hanno tenuto duro, mi hanno chiamata e mi hanno fatto sentire parte della loro vita, raccontandomi i loro noiosi giorni senza la partita a scopa o burraco e quanta voglia hanno di rivedere gli amici ed allontanarsi dalle loro mogli brontolone.

Arrivo ragazzi! Un paio di settimane ancora!

Kly

martedì 11 febbraio 2020

ACHILLE LAURO: l'apparenza e la sostanza.

Si sono appena spenti i riflettori sul palco dell'Ariston e si è conclusa la 70. edizione del Festival di Sanremo. Festival che come ogni anno ho seguito con estremo interesse. Sono una di quei milioni di telespettatori che attendono tutto un anno con ansia e trepidazione affinché si riapra la competizione, che cominci la kermesse più criticata e commentata, più amata ed odiata dagli italiani: il Festival della musica italiana. Io mi piazzo davanti al televisore, con tutto il necessario per trascorrere ore ascoltando la musica, i brani, cercando di capire i messaggi dei testi inediti, prestando estrema attenzione ai nuovi cantanti, guardando le mise, gli outfit, i piccoli dettagli che fanno la differenza, le stonature, le emozioni che mi suscitano già dalla prima nota e con il mio inseparabile tablet pronta a scatenarmi sui social con commenti e critiche. Anche quest'anno non ero sola in queste 4 lunghissime serate. Mi hanno accompagnata le mie cuginette acquisite Jessy, Maria Teresa ed Alessandra e devo dire che è stato un bene, altrimenti sarei caduta in un errore tremendo, di cui devo solo vergognarmi. Sono caduta nello stereotipo di giudicare senza sapere, di emettere sentenza senza indagare prima i fatti a fondo e forse non me lo sarei mai perdonata l'essere così chiusa nella mia ignoranza e quindi fare la figuraccia di una della massa capace solo di dare fiato alla bocca senza connettere il cervello.



Chi ha seguito Sanremo, ma anche chi no, sa benissimo il polverone sorto a proposito di Achille Lauro e del suo abbigliamento sfoggiato soprattutto durante la prima serata e poi anche quelli nelle successive. 

Durante la sua performance della prima serata, l'artista è uscito in primis con un bellissimo lunghissimo e ampio mantello per nascondere sotto una tutina attillata color carne tempestata di pallets che lasciava poco spazio all'immaginazione. Molto osé, metteva in risalto le parti intime e lasciando la maggior parte del corpo nudo.


SCANDALO! Ho gridato e pensato subito anche io.


Ma la domanda più ovvia ➡️ Perché mai avrà scelto una mise come questa? Cosa significa tutto ciò?



Non mi è passata per la testa!


Sbagliando ho pensato subito ad una trovata provocatoria per nascondere le deficienze vocali ed attirare l'attenzione su di sé. Il testo è andato in secondo piano, la musica non era più la protagonista e l'importante ai miei occhi era diventata solo l'apparenza di Achille e l'ho taggato subito di impresentabile, vanitoso, borioso, volgare e presuntuoso. Non ho ascoltato neanche la sua esibizione, ormai avevo chiuso il canale dell'attenzione su di lui. Mi sono trasformata in una delle persone che più rabbia e tristezza mi fanno. Quelle che giudicano senza sapere, in base all'apparenza, la razza più pericolosa da cui cerco sempre di allontanarmi e distinguermi...e invece per un momento sono stata proprio una della massa. E ho messo alla gogna Achille Lauro, condannandolo per quello che appariva.

Ringrazio la mia sorellina Denny, collaboratrice di questo blog, che per prima mi ha fatto notare che tutto quello show in apparenza volgare e provocante aveva un suo perché e poi Jessy, anche lei ha scritto vari articoli d'opinione su TuttoPerTutti, colei che mi ha spiegato dettagliatamente il perché dell'abbigliamento scelto da Achille Lauro in ogni serata.

Ma prima di tutto qualche dato, giusto per conoscerlo meglio.

Achille Lauro, pseudonimo di Lauro de Marinis, è nato a Verona l'11 luglio 1990, è un rapper e cantante italiano, noto per i suoi lavori nell'hip hop e considerato il pioniere della samba trap, una variante della trap in chiave latina.
Achille Lauro emerge dall'underground rap e si è evoluto in un artista fortemente eclettico. I suoi primi due lavori di studio sono, infatti, assimilabili al genere rap underground e rispecchiano la vita disastrata che Lauro, per la sua povertà, era costretto a vivere. Le sue sonorità hanno poi subito l'influenza della trap.
Nel 2016 comincia una transizione a nuove sonorità e nuovi contenuti musicali.
Il suo album sperimentale del 2018 Pour l'amour costituisce un album di evoluzione abbandonando le comuni sonorità rap per indirizzarsi  verso la musicalità latina e melodica, denominato come genere samba trap.
Nel suo ultimo album 1969, si ha un netto abbandono della musicalità hip hop, al fine di abbracciare interamente le sonorità rock. 
Achille Lauro si è sempre discostato dal look canonico degli artisti hip hop, dando scalpore per le sue scelte eccentriche in quanto ad abbigliamento.

Come ho scritto anteriormente, anche io mi sono lasciata fuorviare dai suoi travestimenti e l'ho giudicato a freddo, uno psicopatico eccentrico indecente e volgare.
Invece, le sue vestizioni durante il Festival di Sanremo, seguono un progetto ben preciso e ho dovuto ricredermi.

Ripeto, anche a me la sua musica NON piace e non definirei CANTARE ciò che fa, soprattutto pensando alle voci italiane amate da tutti (Mina, Morandi, Martini e i più giovani come Antonacci), ma il suo progetto artistico è lodevole e non sarebbe stato possibile portarlo a termine in un'altra maniera più sobria o pudica. 
Achille Lauro ha iniziato un percorso. Un percorso che ha questa premessa, fatta dallo stesso artista:

"Sono stato anche io bambina. Cinquantenni disgustosi, maschi omofobi. Ho avuto a che fare per anni con 'sta gente volgare per via dei miei giri. Sono cresciuto con 'sto schifo. L'aria densa di finto testosterone, il linguaggio tribale costruito, anaffettivo nei confronti del femminile e in generale l'immagine di donna oggetto con cui s
ono cresciuto. Sono allergico ai modi maschili, ignoranti con cui sono cresciuto. Allora indossare capi di abbigliamento femminili, oltre che il trucco, la mia confusione di generi è il mio modo di dissentire e ribadire il mio anarchismo, di rifiutare le convenzioni, da cui poi si genera discriminazione e violenza. Sono fatto così mi metto quel che voglio e mi piace: la pelliccia, la pochette, gli occhiali glitterati sono da femmina? Allora sono una femmina.

Tutto qui?

Io voglio essere mortalmente contagiato dalla femminilità che per me significa delicatezza, eleganza, candore.

Ogni tanto qualcuno mi dice:

"Ma che ti è successo?"

Io rispondo: "Sono diventato una signorina!"


La sua canzone sanremese ha come titolo “Me ne frego” e, come lui stesso ha spiegato, è "un inno alla libertà sul palco più istituzionale d’Italia. La mia speranza è che potesse scuotere gli animi degli insicuri e le certezze di chi é fermo sulle sue certezze, perchè è sempre fuori dalla “zona comfort” il posto in cui accadono i miracoli."

E infatti i 4 personaggi da lui scelti e disegnati da Gucci per lui, sono figure di spicco che si sono distinti al loro tempo, nelle loro epoche, per la libertà.

1. SAN FRANCESCO:
La celebre scena attribuita a Giotto in una delle storie di San Francesco della Basilica Superiore di Assisi. Il momento più rivoluzionario della sua storia in cui il Santo si è spogliato dei propri abiti e di ogni bene materiale per votare la sua vita alla religione e alla solidarietà. Così Achille sale sul palco e si spoglia di tutto: vestiti,  convenzioni, tabù, regole, giudizi, pregiudizi.

2. LA DIVINA MARCHESA LUISA CASATI STAMPA:
Musa ispiratrice dei più grandi artisti della sua epoca. Grande mecenate, performer prima della performing art e opera d’arte vivente.




3. ZIGGY STARDUST:
Uno dei tanti alter ego di David Bowie. Anima ribelle, simbolo di assoluta libertà artistica, espressiva, sessuale e di una mascolinità non tossica.




4. ELISABETTA I:
Figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, regina d’Inghilterra e d’Irlanda, ultima monarca della dinastia Tudor, che secondo la leggenda ebbe molti amanti ma non si volle mai sposare e per questo venne definita la Regina Vergine. «Elisabetta I Tudor, vergine sposa della patria, del popolo, dell’arte e difensore della libertà. Che Dio ci benedica»

Voglio scusarmi quindi per aver considerato Achille Lauro un eccentrico indecente, posso non amare la sua musica, ma ammiro la passione che mette nei suoi progetti, la profonda cultura e la geniale originalità nel realizzarli.
Spero che chiunque lo abbia giudicato solo per l'apparenza possa qui aver trovato, almeno in parte, una spiegazione alla sua arte e, almeno in parte, guardi d'ora in poi le sue performance sotto una luce diversa, meno critica. Soprattutto considerando che Achille, come altri trapper o giovani cantanti di oggi, é una figura musicale molto importante nella vita dei nostri figli,  almeno bisognerebbe capire senza errori né pregiudizi,  quale sia il messaggio che trasmette a loro.

Ed è innegabile che pur non amando il suo genere musicale, Achille Lauro ha dimostrato di essere intelligente e sensibile quanto originale ed eccentrico.



Kly (grazie a Denny & Jessy)

giovedì 14 marzo 2019

FRIDAY FOR FUTURE - GLOBAL STRIKE - 15 MARZO 2019

Greta Thunberg (https://it.wikipedia.org/wiki/Greta_Thunberg) è una giovane attivista svedese che da mesi ogni venerdì si reca davanti al Parlamento di Stoccolma per chiedere attenzione per il clima. Ogni venerdì sciopera da scuola e ormai in molti la imitano e seguono il suo Friday for Future.
Da sola è riuscita a smuovere le coscienze, a fare discorsi appassionati, a ispirare iniziative... 


Venerdì 15 marzo sarà il primo sciopero globale per il clima in ogni angolo della terra.
Milano si è organizzato così: 







Tutte le info sull'iniziativa e sulle numerose città che parteciperanno qui:

➡ https://www.fridaysforfuture.org/

➡ https://www.facebook.com/fridaysforfutureitaly/

Unisciti all'iniziativa della tua città per chiedere un impegno concreto per la salvaguardia del nostro pianeta! 


Denny

lunedì 14 gennaio 2019

YOGA DELLA RISATA del Dott, MADAN KATARIA

La salute non viene sempre dalla medicina.
Il più delle volte viene dalla pace della mente, dalla pace nel cuore, dalla pace dell'anima. Viene dalle risate e dall'amore. La guarigione avviene, nel momento in cui il tuo corpo inizia a ridere e la tua mente lo segue tornando a quell'essere bambino che avevi dimenticato. La guarigione avviene mentre decidi di entrare nel flusso di energia che ti riconnette con il tuo respiro più fluido e riesci a godere appieno le tue emozioni. La guarigione avviene quando lasci andare i freni e giochi, canti, balli liberando la giocosità che è in te. Quando entri in questa magia, non saprai mai dove ti porterà tutto ciò che hai intrapreso, ma intanto ti godi il viaggio e raccogli i risultati.

Lo yoga della risata è una pratica unica, rivoluzionaria, nata in India per merito del dott. Madan Kataria nel 1995 e diffusa ora in più di 70 paesi al mondo. L'intuizione del medico di creare risata incondizionata fu talmente valida per creare benessere che divenne velocemente un fenomeno a livello mondiale. La risata, si sa, è la miglior medicina, tra l'altro sempre a disposizione e gratuitamente. Ridendo per almeno 10 minuti a fila si produce nel corpo il cosiddetto joy cocktail, un mix di pura gioia che aumenta i livelli degli ormoni della felicità (ossitocina, endorfine, dopamine) e si abbassa il livello del cortisolo (l'ormone dello stress).

COME FUNZIONA: All'inizio la risata verrà simulata come se si trattasse di un esercizio fisico, in gruppo mantenendo il contatto visivo con gli altri e si incoraggia la giocosità tipica dell’infanzia. In breve tempo, nella maggior parte dei casi, questo porta a “sbloccare” la risata in una naturale e contagiosa disciplina. 
PERCHÉ’ SI CHIAMA COSI: Perché unisce l’esercizio della respirazione alla risata in un’armonia di corpo e mente. Dalla risata che è sostanzialmente una lunga espirazione i polmoni si liberano dall'aria residua ossigenandosi. Lo scopo degli esercizi è quello di stimolare il movimento del diaframma e i muscoli addominali che, a loro volta, attivano il sistema parasimpatico (la parte calmante del sistema nervoso autonomo). Così arriva più ossigeno al corpo e al cervello e ci si sente carichi di energia e salute. 
PERCHÉ’ FUNZIONA: L’idea si basa sul fatto scientifico per cui il corpo non fa distinzione tra risata naturale e risata indotta per cui si ottengono gli stessi benefici per la salute in entrambi i casi. E’ semplicissimo, specie se lo si fa insieme o guardando qualcuno che lo fa perché ridere è molto contagioso grazie all'azione dei neuroni specchio.

In poche parole, lo yoga della risata apporta buonumore e benefici a livello fisico e mentale. E' un ottimo esercizio per combattere lo stress, rende felici, combatte l'ansia, aumenta l'autostima e nutre, attraverso la giocosità il nostro bambino interiore.

Sonia Cascitelli

martedì 4 ottobre 2016

ANIMALE A CHI? - in occasione della Giornata Mondiale degli Animali

In occasione della Giornata Mondiale degli Animali, voglio proporre questa bellissima lettera aperta che ho trovato girando sul web e che credo esprima in maniera semplice e concisa come ad un cane manchi solo la parola per essere considerato meglio di un uomo.
Sostituendo "cane" con qualsiasi altro animale l'effetto e la conclusione non cambia. Le vere bestie siamo noi, che ci consideriamo superiori, pensanti e ragionevoli, e si vede... come va il mondo!

Kly

Non prendete un cane. Mai. Lasciate stare. 
Ve lo dico il più sinceramente possibile, davvero con il cuore in mano. 
Non prendete un cane, per nessun motivo. 
Se ve ne viene la voglia, fatevela passare. Vi rovinerà la vita. Vi distruggerete la vita. Perché dopo aver trascorso un po’ di tempo con un cane, non sarete più gli stessi. Niente sarà più come prima. Vi sembrerà che il mondo come fino ad ora avete conosciuto non sia mai esistito. Che fosse tutto più semplice, che tutto scorresse scivolando quietamente senza problemi. Perché questo volete davvero… questo è quello che si ritiene sia giusto, se le cose scivolano senza problemi e con facilità allora va tutto bene sul serio….
Non prendete un cane. Mai. 

Perché la mattina vi sveglierete e vi troverete davanti due occhi sorridenti, una coda che sbatte frenetica e una leccata sul viso. 
Perché vi troverete catapultati in corse forsennate a fare la pipì fuori qualsiasi stagione sia e per questo vi accorgerete dello scorrere del tempo e che gli alberi da rossi e gialli sono rimasti senza foglie e dopo poco sono apparsi i germogli e che ancora più in là nei giorni ci sono gli uccellini che cantano tra le fronde. 
Perché sarete costretti a diventare equilibristi del tempo, a trovare un ritmo che accompagni due cuori. 
Perché sarete costretti senza appello a capire chi vi vuole anche con quattro zampe a seguito sempre e comunque e chi invece si arrende al primo biscotto pieno di bava. 
Perché quando piangerete le vostre lacrime non riusciranno a toccare terra. 
Perché quando vi ferirete lui sarà lì a leccare il sangue, anche quello che non si vede….
Non prendete mai un cane. Mai.

Perché se siete veri umani lui vi educherà. Vi educherà nel modo più duro e primitivo possibile. Con l’amore. Vi educherà all'amore incondizionato. Quello che non chiede nulla in cambio. A non avere filtri, ad essere come siete. 
Vi educherà alla libertà di voi stessi. 
Vi educherà a non difendervi mai da chi amate. Al non rancore, al perdono sempre, a dimostrare amore in ogni occasione. 
Vi educherà all'empatia, a prendervi cura di chi amate. A osservare il vostro mondo intorno e capire cosa c’è che non va da una camminata, un gesto, uno sguardo. 
Vi educherà a non usare le parole. 
Vi educherà alla lealtà e all'onestà.
Non prendete un cane. Mai. 

Perché quando vi avrà educato……vorrete le stesse cose da altri….e non capirete perché lui è stato in grado di darvele e invece tante persone, umani con tanti neuroni e un cuore più grande, non ci riescono. Non capirete perché non riuscite a trovare la stessa trasparenza e lealtà in chi vi sta accanto. E che dice di amarvi.
Non prendete un cane. Mai. 
Perché diventerete un vero umano randagio, di quelli che ci provano sempre a credere in certi umani e sono sempre sconfitti.

Tratto dal web
Laura Zanin 06 giugno 2016

lunedì 12 settembre 2016

EL PRIM DI DE SCOEULA - IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA

E...si ricomincia ragazzi! In bocca al lupo!

El prim dì de scoeula, l’era semper un póo come se dùevi andà a fa quei cos de noeùv, de impurtant. Ma dumà el prim dì!
La mama la me svegliava ai ses e mesa e mi me alsavi cunt ados òna roba strana, quasi de gioia ma anca cunt un pù de mal de panscia. In sùl taul de la cùsina, gh’era giamò el lat cald cunt i biscot che me piaseven tropp e anca il pan del dì prima per fa la sùpa; se sentiva anca l’udur del cafè che el bruntulava denter la cafettera. Tacà sul’armadi gh’era el scossaa nòv, negher cunt el collètt bianc e el fiuchet bleu che me pareva de met la cravata, cume faseva el papà per andà a butega.
Ona semmana prima, mi e la mama s’erum andà in cartuleria a ciapà tùt i rob che me serviven per la scoeula. G’hera semper de tacà lit, perché vurevi tùt quel che serviva no. Denter la cartela, quela de met su i spall, avevi mis vùn quadern a righe e un alter cunt i quadret, el diari, el stùcc di pen e i pastei culurà, el righel lùng de legn e l’album de disegn. Me ricordi ancamò ades, l’udur de noùv de che la roba.
La mama la me guardava par dùevi partì a suldà. El prim dì, chissà perché, gh’era semper el sòl. El sòl de settember. La scoeula l’era visin a cà e andavi insemma al papà, man ne la man. El me  cüntava semper quand lù l’era fioulet e il nonno el g’aveva regalà la bicicleta per andà a scoeula in de per lù. Arivà davant al cancel, el me salùdava cunt òn basin in frunt e cunt el so suris, diseva: “Me racumandi”.
La campana l’era sunada…

Stefano Geddo

Il primo giorno di scuola, era un po’ come se dovessi andare a fare qualcosa di nuovo, di importante. Ma solo il primo giorno!
La mamma mi svegliava alle 6,30 e io mi alzavo con addosso una sensazione strana, quasi di gioia ma anche con un po’ di mal di pancia. Sul tavolo della cucina, c’era già il latte caldo con i biscotti che mi piacevano tanto e anche il pane del giorno prima per fare la zuppa; si sentiva anche l’odore del caffè che brontolava dentro la caffettiera. Appeso all'armadio c’era il grembiule nuovo, nero con il colletto bianco e il fiocchetto blu che mi sembrava di mettere la cravatta, come faceva il papà per andare al lavoro.
Una settimana prima, io e la mamma eravamo andati in cartoleria a prendere tutte le cose che mi servivano per la scuola. C’era sempre da litigare, perché volevo tutto quello che non serviva. Dentro la cartella, quella da mettere sulle spalle, avevo messo un quaderno a righe e un altro a quadretti, il diario, l’astuccio delle penne e i pastelli colorati, il righello lungo di legno e l’album dei disegni. Mi ricordo ancora adesso, l’odore di nuovo di quelle cose.
La mamma mi guardava come se fossi dovuto partire militare. Il primo giorno, chissà perché, c’era sempre il sole. Il sole di settembre. La scuola era vicina a casa e andavo insieme al papà, mano nella mano. Mi raccontava sempre quando lui era bambino e il nonno gli aveva regalato la bicicletta per andare a scuola da solo. Arrivati davanti al cancello, mi salutava con un bacetto sulla fronte e, con il suo sorriso, diceva: “Mi raccomando”.
La campanella era suonata…