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martedì 8 dicembre 2015

LA VITA È UN LAMPO

" ... e a-la furnèsa i fan di còp "

Ovvero, letteralmente : "La vita è un lampo e alla fornace fanno le tegole". 
Sarebbe a dire, vivi la tua vita godendo delle piccole gioie di ogni giorno perché passerà molto in fretta.
O, se si vuole scomodare la Bibbia, polvere eri e polvere ritornerai.
Vero più che mai, in questo complicato periodo della mia vita.
Ho immortalato il tutto "ricamando" (necessarie le virgolette, date le mie dubbie capacità) questo scarabocchio e una delle frasi che spesso mio babbo pronunciava.
Non mi sembra sfigurare troppo fra gli altri tre, con ricamo a fili contati, acquistati tempo fa al mercatino dell'antiquariato di Cavriago.

mercoledì 19 febbraio 2014

PICCOLI TESORI

     La pentola di alluminio borbotta sul fornello a gas e riempie di profumato vapore la piccola cucina. 
     La mamma, assorta nei suoi mille pensieri, sorveglia le grosse bolle che la zuppa di pane produce e tiene  a bada gli schizzi di brodo bollente manovrando con sapienza  il cucchiaio di legno.
     Il suo sguardo stanco ritrova luce posandosi sulla bimba che saltella nei pressi della stufa accesa ; le sta dicendo che fa freddo  e che  i calzettoni di lana non dovrebbero essere a ridosso delle caviglie ma ben tirarti fin sotto le ginocchia, quando la maniglia della porta - che non è  mai chiusa a chiave - si abbassa e il babbo entra insieme a una gelida folata di aria della sera.
     Ha un sorriso dolce, sornione e una mano occupata a reggere il cesto di legna che ogni sera porta dalla cantina fino su al quarto piano; l'altra mano è affondata nella tasca sinistra del ruvido cappotto nocciola dal disegno spinato. 
     Il borbottio della pentola si fonde di colpo con un misterioso e prolungato suono metallico proveniente da quella tasca.
     La bimba non saltella più e guarda il babbo che le sorride, le sorride con le labbra e anche con quei suoi bellissimi occhi azzurri: lei ora lo sa , è sicura che da quella tasca uscirà ... cosa uscirà mai...?
     Non saltella più e aspetta. 
   Aspetta e "ascolta", insieme a quel suono metallico, il dialogo muto di babbo e mamma; è un dialogo di  eloquenti e rapidi sguardi tra loro ... " ...ma cos'hai comprato mai? ...lo sai che si deve risparmiare..."...sì lo so, non avrei dovuto, ma..."

Da quella tasca uscì un gattino di latta caricato a molla che correva e si rotolava sul pavimento portando con sé una pallina colorata.
Per me, che ricevevo un solo giocattolo all'anno la notte della Befana, quella sera di febbraio del 1955 è una nitida fotografia a colori nella memoria del cuore. 
E quel gattino di latta è tra i miei tesori più preziosi.

martedì 19 marzo 2013

MIO PADRE






Ti penso. 
Penso ai tuoi occhi e ai miei, praticamente gli stessi occhi.
Penso a quanto tu fossi orgoglioso di questo. 
I tuoi occhi severi, dolci, commossi, arrabbiati, tristi, addolorati, sfuggenti, penetranti, taglienti, carezzevoli. 
Penso ai mille sguardi capaci di comunicare quello che la tua discrezione e timidezza non riuscivano a tradurre in parole.
Penso a quell'estate e al nostro giocare agli indiani.
Alle casette del presepe intagliate "a traforo" nel compensato.
Alle cantilene in dialetto, nelle sere invernali accanto alla stufa a legna, prima che il sonno mi facesse crollare; chissà come finivo nel lettino: me lo chiedevo, la mattina, svegliandomi.
Alle tue mani callose e ruvide che fingevano sorpresa mentre  aprivano la mia  letterina  nascosta ogni Natale sotto il piatto dei tortellini.
A quel gattino di latta che, caricato a molla, rotolava su se stesso trascinando  una pallina rossa; sbucò dalla tasca del tuo cappotto, una sera, e ti brillavano gli occhi che tenevi fissi su di me per  evitare lo sguardo della mamma che , senza palare , chiedeva "ma quanto hai speso?!" .
Alla tua voce un po' tremante di orgoglio che diceva ad un amico "Mia figlia?, fa la maestra".
Sono ormai quasi sette anni anni che vengo lì da te e mi soffermo a leggere.
"Come foglia tornerò a rinsanguare la terra della mia pianura... Il vento non disperderà le mie parole.... Vivrò nella memoria".
Ed ogni volta ringrazio questo autore per avermi prestato le parole.
Oggi, 19 marzo, come ogni giorno ti penso babbo. E ti voglio bene. 

lunedì 9 gennaio 2012

" ODORAVA DI DIGNITA' "

"Mercoledì 11 gennaio 1950. Modena, centro città, via  Emilia lato nord.
Lei è tesa, preoccupata, ansiosa. E' andata a trovare sua madre che abita vicino alla stazione, in via Palestro al 19.
Deve rientrare a casa ed ha una certa fretta ..."


Inizia in questo modo un mio post dello scorso anno, di questi giorni.
Parla dei sei ragazzi delle Fonderie Riunite, sei operai trucidati dai celerini il 9 gennaio 1950 a Modena ... esattamente sessantadue anni fa, oggi.
                              



La ragazza che affannosamente cerca di attraversare la strada è la mia mamma.
La si vede qui a sinistra ritratta proprio in via Emilia da un fotografo di strada, alcuni mesi dopo ... nel carrozzino ci sono io.




Mio babbo era un operaio con qualifica di "saldatore specializzato" e mi ha raccontato tante volte, fin da quando ero ragazzina,  del tiro al piccione di quel giorno.
Lo rivedo sulla sua bicicletta, borsa con il pranzo appesa alla canna, pedalare verso la fabbrica , con ogni tempo atmosferico.
Lui e la sua vecchia bici. Lui e le sue ruvide mani callose. Lui e lo spazzolino che usava per grattare via il nero dalle unghie. Lui e il suo cappottino di lana spigata. Lui e lo strato di fogli di giornale sotto il maglione. Lui e il suo "padlèin" (tegamino doppio a chiusura ermetica) per riscaldare a "bagno-maria" il pranzo che mamma gli aveva cucinato.

Alcuni giorni fa un amico (grazie Massimo)mi ha inviato via mail il testo di una lettera scritta dal figlio di un operaio Fiat: ho rubato lì il titolo di questo post.
In questi giorni di grandi cambiamenti per il mondo del lavoro e non solo, in questo giorno di memoria, ...rileggerla mi ha fatto ricordare e riflettere.


Se poi si ha tempo e voglia, ecco qui:
5 minuti che vale la pena "perdere"



domenica 12 dicembre 2010

PRESEPE



Il mio ha sessant'anni.
E li dimostra.





Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide , chiamata Betlemme,

     per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta.
Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto.

Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perchè non c'era posto per loro nell'albergo.


          C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge.



Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento.


             L' angelo disse loro :"Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo:

oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore.



Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia".


E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva:





"Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama". Vangelo di Luca.




Le casette per  il presepe le costruì per me il babbo nei primissimi anni cinquanta.
Inziava a lavorare a ottobre, ogni sera, dopo il lavoro, insieme all'amico Ettore.
La mia preferita è sempre stata quella più grande, con la scala laterale.
Si è perduto il parapetto del balcone ed anche la statuetta che sistemavo sempre in quel punto, l'omino della polenta.
Anche il piccolo ponte, il somarello con il carico di farina, il mulino,...chissà dove sono finiti. Le statuine invece le acquistavamo in una cartoleria che ancora oggi c'è; una ogni anno e non di più.
Mi rimane qualche casetta di compensato tagliata a traforo e assemblata con colla da falegname; osservandole ne sento ancora l'odore.
Mi rimane una manciata di figurine di cartapesta.
Mi rimane la memoria di un uomo taciturno , poco espansivo e buono, che sapeva carezzare con lo sguardo.

domenica 11 aprile 2010

TI PENSO

Non è un giorno particolare.
Non un anniversario. Non un compleanno.
Non un giorno triste. Non un giorno allegro.
Ti penso. Semplicemente.
Penso ai tuoi occhi ed ai miei.
Praticamente gli stessi occhi.
Penso a quanto tu fossi orgoglioso di questo. 
I tuoi occhi severi, dolci, commossi, arrabbiati, tristi, addolorati, sfuggenti, penetranti, taglienti, carezzevoli.
Penso ai mille sguardi capaci di comunicare quello che la tua discrezione e timidezza non riuscivano ad affidare alle parole.
Penso a quell'estate e al nostro giocare agli indiani.
Alle casette del presepe intagliate "a traforo" nel compensato.
Alle cantilene in dialetto, d'inverno, accanto alla stufa a legna, prima che il sonno mi facesse crollare. Chissà come finivo nel lettino: me lo chiedevo, la mattina, svegliandomi.
Alle tue mani callose e ruvide che fingevano sorpresa mentre  aprivano la mia  letterina di Natale nascosta sotto il piatto dei tortellini.
A quel gattino di latta che, caricato a molla, rotolava su se stesso trascinando con sè una palla rossa: sbucò dalla tasca del tuo cappotto, una sera; e,anche se avevo solo cinque anni, non dimenticherò il nostro scambio di sguardi . 
Alla tua voce un po' tremante di orgoglio che diceva ad un amico "Mia figlia? Fa la maestra".
Sono ormai quasi quattro anni che vengo lì da te e mi soffermo a leggere.
"Come foglia tornerò a rinsanguare la terra della mia pianura... Il vento non disperderà le mie parole.... Vivrò nella memoria".
Ed ogni volta ringrazio questo autore* per avermi prestato le parole.
Ti penso babbo. E ti voglio bene.

*Guido Conti, "Sotto la terra il cielo".
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