E’ una mite giornata di fine inverno. Sono in viaggio alla volta di Polistena, cittadina ubicata nell’area orientale della Piana di Gioia Tauro, che deve il suo nome al termine greco polustenos, ossia “molto stretto”, in riferimento alla posizione geografica fra i torrenti Ierapotamo e Vacale.
Devo incontrare un vecchio amico e sono partito di buon ora. Il borgo reggino di Rosarno è alle mie spalle già da qualche minuto e l’auto macina chilometri lungo una scura striscia d’asfalto sopraelevata che attraversa le rigogliose campagne di questo generoso angolo di Calabria.
I colori accesi dei sempreverdi che affollano i poderi degli agricoltori conferiscono un tocco di brio ad un paesaggio altrimenti costituito da sparuti grappoli di vecchie e sobrie abitazioni. Ai bordi di questa importante arteria del traffico locale, gli alberi d’arancio e mandarino si mostrano, in tutto il loro naturale splendore, carichi di frutti: impossibile non restarne ammaliati.
L’occhio “viziato” della popolazione autoctona, tuttavia, sembra quasi non far caso ad un simile prodigio ambientale, ma per chi è avvezzo a confrontarsi quotidianamente con scorci paesaggistici d’opposta matrice, tale eventualità pare davvero remota.
Dopo un quarto d’ora di guida, prendo l’uscita che mi porta verso la meta designata e mi avvio a raggiungere il cuore del paese, capace di ottenere anni addietro il prestigioso riconoscimento di città d’arte. D’un tratto resto colpito da uno strano connubio che mi si presenta dinnanzi nel giro di alcune centinaia di metri. Un camposanto, infatti, si estende adornato da tremolanti lumi alla mia sinistra e precede il complesso ospedaliero di Santa Maria degli Ungheresi, che si erge poco più in là. Viene così spontaneo interrogarsi sull’entità dei gesti scaramantici di cui si rendono attivi protagonisti gli automobilisti che accompagnano i propri cari a beneficiare delle cure del sistema sanitario nazionale…
Dopo “l’inquietante” parentesi, giungo finalmente a destinazione e, una volta espletati i tradizionali saluti di rito, mi incammino con il mio amico tra i vicoli del borgo. Tra una discussione e l’altra sulla qualità della vita a Polistena, vengo a sapere di un antico nemico della città: u flaggellu.
E’ questo, difatti, l’appellativo con il quale la gente del posto definisce il violento terremoto che devastò la città nel 1783 e che ha lasciato tracce del suo passaggio anche nell’attualità.
Prendendo spunto da alcune vecchie cartoline esposte da un venditore ambulante, il mio accompagnatore mi mostra le differenze tra la parte vecchia del comune e quella più recente, facendomi comunque notare che – nell’ultimo periodo – il gap originario si è notevolmente assottigliato.
Il merito è forse da attribuire anche ai numerosi eventi tenutisi in loco, probabili responsabili di un nuovo e positivo impulso al miglioramento. Mi riferisco in particolare al locale festival cinematografico, alla dodicesima “Giornata della Memoria e dell’Impegno per le vittime delle mafie”, al primo “Carnevale Intercomunale della Piana” e ai rinomati Giochi della Gioventù promossi dal CONI.
Di seguito scopro inoltre la suggestiva Chiesa della Santissima Trinità e la seicentesca Chiesa Matrice Santa Marina Vergine. Quest’ultima mi lascia davvero estasiato non appena entro al suo interno. La perfetta unione del bianco e dell’oro esalta magicamente l’interno di questo antico luogo di culto, caratterizzato prevalentemente dalla bellezza degli archi e dalle colonne che dividono le navate.
Davvero niente male per una città “molto stretta”…
(Foto by Gabry 97 in licenza Creative Commons)
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