Utente:Lele giannoni/Sandbox 3
La famiglia Sumitomo (in giapponese: Sumitomo-ke[1]) è una delle più antiche dinastie imprenditoriali del Giappone, attiva sin dagli inizi dell'era Tokugawa.
Storia
[modifica | modifica wikitesto]Epoca Tokugawa
[modifica | modifica wikitesto]Le origini dell'attività imprenditoriale della famiglia Sumitomo vengono fatte risalire al negozio di libri e medicine Fujiya[2] aperto a Kyoto nel 1630[1] dall'ex-monaco buddista Sumitomo Masatomo (1585–1652)[3].
Fu tuttavia il rame a fare la fortuna della famiglia. Il cognato di Masatomo Sumitomo, Riemon Soga (1572–1636), nel 1590 aveva fondato un'officina di raffinazione e lavorazione del rame chiamata Izumiya, letteralmente "negozio della sorgente". Soga aveva imparato le techiche europee di fusione del rame ed in particolare aveva appreso la tecnica per separare l'argento presente nel minerale cuprifero[3], tecnica detta in giapponese Nanban-buki[4] (nanban era il nome con cui erano chiamati gli Europei, i "barbari meridionali"). Il metodo consisteva nell'uso del piombo per separare l'argento dal rame e poi del carbone di legna per separare l'argento dal piombo[2].
Alla morte di Riemon la Izumiya fu ereditata dal secondogenito Chubei Soga, mentre il figlio maggiore di Riemon, Tomomochi (1607–1662), sposò la figlia di Masatomo, e ne divenne l'erede, adottando anche il cognome Sumitomo. Tomomochi aprì una seconda fonderia, che trasferì ben presto a Osaka e chiamò anch'essa Izumiya. Successivamente acquisì anche la prima Izumiya e fece dell' Izumiya di Osaka la più importante fonderia di rame del Giappone[2].
Alla morte di Tomomochi la direzione dell'impresa di famiglia passò al suo quintogenito Tomonobu, il quale nel 1680 ottenne dallo shogunato Tokugawa di poter riaprire la miniera di rame di Yoshioke, che sembrava esaurita. Pochi anni dopo, tuttavia, egli fu travolto dagli errori di gestione commessi dal fratello che era a capo dell'attività d'intermediazione della famiglia, e dovette dare le dimissioni[2].
Gli succedette il figlio Tomoyoshi[2]. Nel 1691 la famiglia ottenne dallo shogunato il permesso per lo sfruttamento delle miniere di rame di Besshi, sull'isola di Shikoku. Lo sfruttamento di queste miniere durò 283 anni e costituì la base delle successive attività della famiglia Sumitomo[4]. Nel 1762 lo shogunato concesse ai Sumitomo di acquistare anche la miniera di Tatsukawa, sul lato opposto della stessa montagna[2].
Durante il periodo Edo il Giappone era uno dei maggiori produttori mondiali di rame. Le attività della Izumiya si ampliarono dal commercio del rame a quello dei filati e tessuti di seta, dello zucchero e dei medicinali, facendone la più grande compagnia commerciale di Osaka[4]. Lo sviluppo di questa notevole attività di esportazione, nonostante il generale divieto giapponese di commercio con l'estero, fu possibile grazie agli stretti legami dei Sumitomo con il clan Tokugawa[1].
I Sumitomo erano infatti goyō shōnin, cioè mercanti autorizzati a commerciare con la famiglia Tokugawa. In particolare erano i fornitori di rame dello shōgun, ed inoltre fungevano da esattori delle tasse per i tre rami principali della famiglia Tokugawa[5]. Il rame serviva al governo, fra l'altro, per coniare i mon.
Nell'Ottocento la miniera di Besshi era ormai in passivo e dipendeva dai sussidi governativi[2].
Era Meiji
[modifica | modifica wikitesto]Gli stretti legami dei Sumitomo con la dinastia Tokugawa divennero controproducenti nel periodo della Restaurazione Meiji[1]. In realtà, quando iniziò la rivolta contro il bakufu, nel 1865, questo sospese i sussidi alla miniera di Besshi ed anzi richiese contribuzioni straordinarie ai Sumitomo per finanziare le controffensive. Tuttavia, durante la guerra civile che seguì, le truppe del feudo di Tosa occuparono e chiusero la miniera di Besshi, mentre l'esercito del feudo di Satsuma occupò i magazzini della famiglia a Osaka[2], ritenendo i Sumitomo alleati dei Tokugawa. Il direttore della miniera di Besshi Saihei Hirose (1828-1914) riuscì a persuadere il comandante delle truppe di Tosa che i Sumitomo avevano aiutato i Tokugawa controvoglia e ottenne così la restituzione e riapertura della miniera di Besshi[2].
In questo modo la famiglia Sumitomo riuscì a ottenere il sostegno del nuovo governo[1], tuttavia le finanze di famiglia erano dissestate: innanzitutto perché lo shogun e i daimyo, essendo stati sconfitti, avevano lasciato i debiti impagati[2]. Inoltre, la miniera di Besshi era in una grave crisi finanziaria, perché il prezzo del rame era crollato mentre i costi crescevano. Il direttore della miniera Saihei Hirose (1828-1914) risolse il problema introducendo tecnologie occidentali che aumentarono notevolmente la produttività[4]: la possibilità di adottare tecnologie occidentali era un effetto della Restaurazione Meiji.
Nel 1867 l'attività di famiglia prese il nome di Sumitomo Honten (quartier generale)[2]. L'attività della famiglia Sumitomo si espanse in molti settori: legname, miniere di carbone, edilizia, macchine utensili, chimica, cavi elettrici. L'attività di cambiavalute iniziata nel Settecento si modernizzò e si diversificò nei settori bancario, assicurativo, delle gestioni fiduciarie e dei magazzini[4] becoming a zaibatsu,[1] or business conglomerate. incentrato su due poli, quello minerario e metallurgico, e quello finanziario[4].
In seguito alla modernizzazione del Giappone le imprese operanti nei diversi settori inizirono ad essere costituite in forma di società per azioni (gōshi kaisha): la Sumitomo Electric Industries nel 1897[6], la Sumitomo Cement Co nel 1907[7], la Sumitomo Metal Industries[8], la Sumitomo Ginkō fu fondata nel 1895 ma divenne una società per azioni nel , la Sumitomo Rubber Industries nel 1917[9], la conosciata dedita al commercio all'ingrosso Sumitomo Corporation nel 1919.
XX secolo
[modifica | modifica wikitesto]Nel 1921 venne fondata la Sumitomo gōshi kaisha, che fungeva da holding del gruppo ed era controllata dalla famiglia Sumitomo. Quello dei Sumitomo era lo zaibatsu più accentrato nelle mani della famiglia titolare:nel 1937 il sedicesimo discendente del fondatore controllava ancora il 90% delle azioni[5].
Dopo la seconda guerra mondiale gli zaibatsu, compreso quello Sumitomo, furono sciolti dal GHQ e dal governo giapponese. Quando il gruppo Sumitomo fu ricostituito come keiretsu, il ruolo della famiglia Sumitomo era ormai molto diminuito[5].
Group
[modifica | modifica wikitesto]With the holding company dissolved, the group reformed as a keiretsu, a group of independent companies organized around The Sumitomo Bank (now Sumitomo Mitsui Banking Corporation) and bound together by cross shareholding.
Today, there are many companies still using the word "Sumitomo" in their corporate names. Most of them are managed independently and listed at TSE and other stock exchanges with highly dispersed shareholders. For some, the name only shows their historic origin, and they are no longer considered part of the Sumitomo Group.
Internationale Bekanntheit erlangte Sumitomo im Jahre 1993, als eine auf die Herstellung von Gehäusematerial für Integrierte Schaltkreise spezialisierte Fabrik der Sumitomo-Gruppe in Flammen aufging. Innerhalb weniger Stunden stiegen z. B. die Weltmarktpreise für DRAMs um fast das Zehnfache, was international Panikkäufe und eine mehrere Monate andauernde Preiskrise in der Computer- und Halbleiterindustrie auslöste.[10]
Noch heute handelt die Sumitomo-Gruppe nach den Regeln des Gründers, die Masatomo Sumitomo im 17. Jahrhundert aufschrieb.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ a b c d e f sito Encyclopedia Britannica
- ^ a b c d e f g h i j k sito Sumitomo Corporation
- ^ a b storia sul sito ufficiale
- ^ a b c d e f sito Sumitomocorp
- ^ a b c Sumitomo su Japan. An illustrated encyclopedia, Tokyo, Kodansha, 1993.
- ^ Sumitomo Electric Industries su Japan. An illustrated encyclopedia, Tokyo, Kodansha, 1993.
- ^ Sumitomo Cement Co su Japan. An illustrated encyclopedia, Tokyo, Kodansha, 1993.
- ^ Sumitomo Metal Industries su Japan. An illustrated encyclopedia, Tokyo, Kodansha, 1993.
- ^ Sumitomo Rubber Industries su Japan. An illustrated encyclopedia, Tokyo, Kodansha, 1993.
- ^ Template:Webarchiv
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Cesare Bermani, Una storia cantata. 1962-1997: trentacinque anni di attività del Nuovo Canzoniere Italiano/Istituto Ernesto de Martino, Milano, Jaca Book, 1997
- Paolo Mercurio, Roberto Leydi: “Il Nuovo Canzoniere Italiano” e l'attività teatrale (1962-1965), in BF, 25 giugno 2014, n. 157
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