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Piano nivale

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Il piano nivale: Crittogame e le estreme avanguardie delle erbacee

Il piano nivale è la più alta delle fasce (dette piani altitudinali) in cui vengono suddivise la vegetazione e la flora. Esso si estende dai 2600–3000 m s.l.m., sino alle cime. È pertanto un termine legato alla distribuzione altitudinale della vita vegetale. La vegetazione del piano nivale non va confusa con la vegetazione nivale, che concerne gli organismi vegetali che vivono nelle nevi perenni e sui ghiacciai.

Caratteristiche generali

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Schema altitudinale delle foreste

Il piano nivale corrisponde alla zona in cui il suolo viene ricoperto da nevi non perenni, che si sciolgono nei 2 - 3 mesi estivi, permettendo così alle varie specie di completare, seppur in brevissimo tempo, il loro ciclo vitale.

Le specie che popolano il piano nivale hanno la caratteristica di adattarsi alle più basse temperature, come le specie artiche della Tundra. Non vi è infatti una totale diversità tra la flora del piano nivale e quella delle terre sub-polari: il raffronto fra le due vegetazioni fornisce, in media e secondo i diversi studiosi, una percentuale di specie in comune pari al 20 - 30%.

Il limite del piano nivale è assai irregolare e variabile: le zone vegetate sono spesso separate, isolate, formando una copertura discontinua, rarefatta, a blocchi, a zolle o cuscinetti, localizzandosi in conche o vallette, o in piccoli appezzamenti a loro volta frammentati da rocce, pietraie, rivoli di deflusso. Luoghi, cioè, dove può formarsi un minimo di suolo, anche se embrionale e scheletrico, necessario all'attecchimento. Questa vegetazione è detta "ipsòfila" (dal greco ὕψος = altitudine, vetta e φιλεῖν = amare, cioè che ama l'altitudine).

Il piano nivale varia molto in altitudine e in spessore al mutare delle condizioni climatiche e, soprattutto, dell'esposizione. È possibile quindi definire il suo limite inferiore mediante una linea che corre più in basso rispetto all'orizzonte climatico che segna il limite delle nevi perenni. Tale linea prende il nome di orizzonte nivale e separa il piano nivale dal sottostante piano alpino. La sua individuazione necessita di osservazioni sulla morfologia generale e locale, sulle variazioni di esposizione al sole e sul microclima. Su un versante aprico (esposto cioè a sud) l'orizzonte nivale infatti è più elevato e la fascia delle nevi che si sciolgono ha maggior spessore. Invece su un versante bacìo (esposto cioè a nord) l'orizzonte nivale si trova assai più in basso, il piano nivale risulta sottile, e, in casi estremi, sparisce del tutto. Il piano nivale va quindi dall'orizzonte nivale a quello delle nevi perenni.

Il piano nivale può essere diviso in due fasce, o "piani secondari". Nel piano inferiore (da 2600 a circa 3600 m) abbondano le Fanerogame, mentre quello superiore (dai 3600 a oltre i 4000 m) è esclusivo dominio delle Crittogame. La linea ideale che, in modo del tutto irregolare, separa le due fasce è chiamata "orizzonte delle Tallofite" (o delle Crittogame) e si colloca, mediamente, attorno ai 3400 m.

In sintesi:

  • 3600–4000 m. Orizzonte culminale o delle nevi perenni, limite delle Crittogame (a circa 4000 m)
  • 3000–3600 m. Orizzonte delle tallofite, limite delle Fanerogame (intorno ai 3400 m di altitudine)
  • 2600–3000 m. Orizzonte nivale; limite superiore dei prati continui (intorno ai 2800 m di altitudine)

Il piano nivale ha un clima freddo, con stagione invernale (settembre-maggio) perennemente sotto gli 0 °C, e si caratterizza per le grandi e improvvise variazioni ed escursioni termiche, specie nel breve periodo estivo (giugno-agosto), quando si giunge sino a 30° di differenza fra giorno e notte e 25° fra parti esposte al sole e parti in ombra. Ma poiché l'energia termica che giunge dal sole e che non viene dispersa nell'aria (circa il 50%) è molto abbondante, si incontrano sovente dei microclimi impensati. È dunque il luogo dei valori estremi e delle variazioni repentine.

L'irraggiamento solare è potente, sia nella gamma degli infrarossi che in quella degli ultravioletti (fra i 250 e i 350 nm), a causa della diminuzione di spessore dello strato di atmosfera filtrante, e quindi della pressione atmosferica (non vi è però diminuzione della percentuale di ossigeno, che comincia a rarefarsi solo oltre i 4500 m), e altrettanto elevata è anche la dispersione del calore. Tutto ciò genera diversi fenomeni fisico-chimici che interessano direttamente la fisiologia delle piante.

La temperatura massima (estiva), sempre di poco superiore agli 0°, può scendere all'improvviso anche di 10 - 15° per un annuvolamento o per l'arrivo di nebbia. Essa contrasta con la temperatura delle rocce e dei terreni ben esposti che può salire sino a 40°. A 3000 m la temperatura giornaliera estiva può oscillare tra i + 15 e i - 25°, mentre a 4000 m questi valori scendono a + 5 e - 35°.

A causa del vento e delle nubi o nebbie le variazioni repentine comprendono anche i valori dell'umidità relativa, che può passare dal 20 ad oltre il 100%, sempre in tempi brevissimi. Anche la ventosità è assai irregolare e subisce cambiamenti improvvisi di intensità, direzione, umidità e temperatura. Il vento costringe le piante ad assumere forme nane, prostrate, a cuscinetto (pulvini), a una riduzione della superficie fogliare e ad altri "accorgimenti" difensivi per evitare il disseccamento, l'eccesso di traspirazione, l'erosione e persino l'estirpazione. La coltre nevosa, anche di soli 15 – 20 cm, protegge invece dal freddo e dal vento, mantenendo la temperatura al suolo più alta di 8/10° rispetto a quella dell'aria, anche nel periodo invernale.

Le forti pendenze, la presenza di masse rocciose, di detriti, pietraie e rivoli di veloce deflusso lasciano poco spazio all'accumulo di terra e ai processi pedogenetici. Tuttavia, seppur in modo discontinuo e rarefatto, i suoli si formano. Sono suoli embrionali, spesso scheletrici (ricchi cioè di elementi litoidi e detti perciò "Litosuoli"), nei quali gli orizzonti pedologici si riducono a due: L'orizzonte "A1" e l'orizzonte "C", cioè solo il primo e l'ultimo della serie. L'A1 è, relativamente, ricco di humus, il C è la parte sfaldata della roccia madre, chimicamente aggredita ma non pedogenizzata.

Le basse temperature e il ghiaccio persistente facilitano l'accumulo di humus e la stabilità delle piccole lettiere, mentre il lento dilavamento delle rocce circostanti permette una buona concentrazione e varietà di sali minerali. Per contro, la decomposizione del materiale organico da parte dei batteri è ridotta a causa del freddo, con minore produzione di azoto.

L'elemento di maggiore importanza per la vegetazione alpina, è il pH del terreno, che varia a seconda dei due tipi fondamentali di substrati rocciosi: le rocce calcaree (basiche) e le rocce silicee (acide). Da queste derivano i due tipi fondamentali di suolo:

  • suoli humus-carbonati (suoli neri): Rendzine, dalle proto-rendzine alle pech-rendzine;
  • suoli humus-salicati (Mull o Mull-Rendzine, che possono evolvere in "Podsol alpini" neutri o scarsamente acidi).

Nei luoghi meno acclivi e nelle vallette nivali, dove l'acqua ristagna, si formano, a volte, dei suoli a "Pseudogley alpino".[1].

La reazione acida o basica dei suoli, che caratterizza le zone di roccia silicea o quelle di roccia calcareo-magnesiaca, influisce in modo determinante sulla vegetazione, che, nell'ambiente alpino è spesso drasticamente divisa in specie "calcofile", e quindi basofile (che non possono attecchire in suoli acidi) e in specie "calcofughe", cioè acidofile (che non possono insediarsi su suoli alcalini). Tipici esempi sono la Draba, la Genziana e il Rododendro, dei quali i suoli acidi (versanti silicei) accolgono le specie acidofile Draba hoppeana, Gentiana kochiana e Rhododendron ferrugineum, mentre i suoli basici (versanti calcarei e dolomitici) ospitano le specie calcofile "corrispondenti" o "vicarianti": Draba azoides, Gentiana clusii e Rhododendron hirsutum[2].

Nonostante i pesanti limiti ambientali le specie del piano nivale sono più numerose di quanto si possa pensare e riescono a formare diverse Associazioni tipiche. Gli elementi che generano diversità di associazione possono essere ricondotti a tre:

  1. differenze pedologiche (terreni o rocce calcaree e silicee, consistenza e tessitura del suolo, etc.)
  2. differenze idrologiche (presenza di acqua nel terreno o negli interstizi rupestri, etc.)
  3. differenze termiche (esposizione al sole più o meno prolungata e favorevole, escursione termica giornaliera e stagionale, etc.)

Le più frequenti associazioni del piano nivale:

Prati magri e discontinui

Occupano la fascia più bassa del piano nivale, quella compresa fra l'orizzonte nivale e l'orizzonte delle Tallofite. Ne sono state classificate circa 400 specie e varietà. Se ne dà qui un elenco delle più frequenti e rappresentative.

Le specie sin qui elencate vivono sino a 3000 – 3500 m s.l.m. Quelle che seguono possono raggiungere e superare i 4000 m di quota e costituiscono la massima espressione di adattamento al clima freddo e alle condizioni più avverse causate dall'altitudine. (In assoluto, la specie che risulta sopravvivere più in alto è l'Arenaria bryophilla, rinvenuta sul Monte Everest a 6200 metri di quota).[3].

Oltre l'orizzonte delle Tallofite la presenza di Fanerogame rapidamente scema e si arresta, lasciando il passo alle più resistenti crittogame, costituite in massima parte da licheni e muschi.

I licheni, in numero maggiore, giungono sino alle zone cacuminali e alle cime più elevate.

I muschi (prevalentemente epilitici a queste quote) sono meno numerosi, e fra essi prevalgono le specie del genere Grimmia, dai caratteristici cuscinetti grigio scuro:

Meno frequente, ma non trascurabile, la presenza di altre specie:

Galleria d'immagini

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Studiosi della flora alto-alpina

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Botanici e naturalisti si sono dedicati allo studio della flora alpina e in particolare delle forme di vegetazione d'alta quota, specie nel XVIII e XIX secolo. Fra di essi il generale svizzero Guillaume-Henri Dufour, che realizzò la cartografia del territorio elvetico e al quale è intitolata la cima del Monte Rosa.

  1. ^ Reisigl
  2. ^ Giacomini
  3. ^ Ellenberg
  • C. Cappelletti, Trattato di botanica, Torino, Hoepli, 1946.
  • Sandro Pignatti, Flora d'Italia, Bologna, Edagricole, 1982.
  • Valerio Giacomini, La flora, Milano, Ediz. TCI, 1958.
  • AA. VV., Dizionario di Botanica, Milano, Rizzoli, 1984.
  • Augusto Pirola, Elementi di fitosociologia, Bologna, Ediz. CLUEB, 1960.
  • Walter Larcher, Ökologie der Pflanzen, Stuttgart, Ulmer, 1984.
  • Josias Braun-Blanquet, Étude botanique de l'étage alpin, Paris, VIII Congrés Intérnational de Botanique, 1954.
  • D. Aeschimann et alt., Flora alpina, Bologna, Zanichelli, 2004.
  • Herbert Reisigl, Fiori e ambienti delle Alpi, Trento, Ediz. Museo Tridentino di Scienze Naturali, 1990.
  • O. Heer, Über die nivale Flora der Schweiz, Denkschr. der Schweizer Ges. Naturwiss, XXIX, 1884.
  • Luigi Vaccari, Flora cacuminale in val d'Aosta, Giornale Botanico Italiano, n. 8, 1901.
  • Luigi Vaccari, La flora nivale del M. Rosa, Bollettino Società "Flore valdôtaine", n.7, 1911.

Voci correlate

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