Day Zero Kresley Cole 1
Day Zero Kresley Cole 1
Day Zero Kresley Cole 1
Kresley Cole
1
Il libro
Arcano significa segreti, e queste scenette del-
le Cronache degli Arcani provenienti dal bestseller #1 del
New York Times di Kresley Cole ne sono colme. Speri-
menta in prima persona l'inizio della fine e guarda l'apo-
calisse attraverso gli occhi dei personaggi che tu solo
pensavi di conoscere.
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Origine degli Arcani
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Altre diciannove divinità condannarono, da distanti
pianeti, i mortali a quasi morte certa.
Questo vizioso gioco, Tar Ro, si dimostrò così popolare
tra gli dei che decisero di ospitarlo ogni pochi secoli in
terre diverse lungo il piano mortale fino alla fine dei
tempi…
Privati della loro linfa vitale – adoratori di preghiere –
queste vecchie divinità hanno pensato di doversi sposta-
re verso altri mondi, ma la loro eredità vive. Alla vigilia
di un nuovo gioco, la magia di ogni Dio cerca un discen-
dente proveniente dalla sua Casa di Arcani.
I giocatori vengono trasformati, un nuovo gioco viene
affrontato.
La terra soffre lungo la loro scia.
Potresti aver visto simboli di questi giochi sulle facce
delle moderne carte dei Tarocchi. Ogni carta vincente
rappresenta un giocatore e contiene importanti indizi cir-
ca le battaglie passate di lui o lei, alleati, nemici, punti di
forza e debolezze.
Lo scopo del gioco: battere ogni altra carta con ogni
mezzo necessario, uccidendo gli avversari per raccogliere
i loro emblemi, ora noti come icone. Alla fine, il vincitore
"che tiene tutte le carte" sarà reso immortale fino a quan-
do tutti gli altri si reincarneranno per giocare di nuovo.
Un premio degno dell'uccisione.
E ora, negli anni iniziali di questo millennio, un nuovo
gioco è cominciato lungo una strada maestra attraverso
una terra chiamata America del Nord…
Quale tra gli Arcani trionferà? Può l'Appeso sconfig-
gere l'elettrizzante Torre? Le onde di marea della Sacer-
dotessa estingueranno la lava dell'Imperatore? Può lo
scaltro Matto essere più astuto di tutti?
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Hail Tar Ro. Possa la carta più potente uccidere, e pos-
sa la migliore mano vincere.
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Il Lampo tramite i libri
Descrizione di Arthur:
Frecce di sole come laser avevano fatto saltare in aria
la terra nell'arco di un'intera notte globale. Quei campi di
canna verde che Evie ricordava in modo sognante erano
stati ridotti in cenere. Tutto quello che era organico, qual-
siasi cosa vivente fuori da un rifugio, era stato incenerito.
E così tante persone, trafitte dalle belle luci, si erano al-
lontanate dalle loro case, attirate come falene verso una
fiamma.
Come da disegno.
I corpi d'acqua trasformati rapidamente in vapore, ma
nessuna pioggia è caduta in otto mesi. Tutte le piante in
vita sono state distrutte in modo permanente, niente ri-
crescerà. E solo una piccola percentuale di esseri umani e
animali è sopravvissuta alla prima notte.
Nei giorni successivi, altri milioni di persone moriro-
no, incapaci di sopravvivere al nuovo, tossico paesaggio.
Per qualche ragione, la maggior parte delle donne si
ammalarono e morirono.
Un numero imprecisato di esseri umani mutò in "Mo-
stri", creature zombie contagiose, maledette con una sete
senza fine e l'avversione al sole.
Alcuni li chiamano ematofagi: bevitori di sangue. Cre-
do che loro bevano qualsiasi cosa, ma senza acqua da
trovare, si sono rivolti alle persone, sacche ambulanti di
liquido.
Visioni di Evie:
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Stava calando la notte. E attraverso il cielo, le luci ete-
ree guizzarono, cremisi e viola, come stelle filanti del
Martedì Grasso. Boccheggiai quando le fiamme, quelle
luci inquietanti, come una corona scintillante sopra il
fuoco, arcuarono sopra la scuola.
Attraverso il terreno, un fiume di serpenti strisciò l'u-
no sull'altro, le loro squame che riflettevano le luci sovra-
stanti. I ratti in preda al panico corsero a fianco delle
creature che di solito li divoravano.
Quelle fiamme discesero, bruciandoli fino a ridurli in
cenere, ogni cosa alla cenere.
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Guida ai personaggi
Gli Arcani Maggiori*
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XIII - Morte, il Cavaliere Infinito (Aric)
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La Morte (XIII)
Aric Domīnija, il Cavaliere Infinito, Campione in carica
degli Arcani
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Castello di Lethe
Giorno 0
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dendo i miei ricordi di lei e della nostra storia. La mia
anima sarebbe entrata in un nuovo corpo, uno che difet-
tava dell'avvertimento che avevo tatuato sul mio petto.
Tre scenari potrebbero svolgersi in un gioco futuro…
Non farei qualsiasi cosa per trovarla, perdendola del
tutto.
La troverei, solo per ucciderla prima che abbia scoper-
to che potrei toccarla.
O, peggio di tutte, la troverei, la toccherei, poi mi fide-
rei di lei.
Serro i pugni, e metto la testa sotto il getto d'acqua.
Con i ricordi che ho conservato, sono già stato in grado di
individuarla, e anche gli altri Arcani. Tendono ad emer-
gere, e in questa epoca d'informazioni, possiedo tutti i
vantaggi.
Per trovare l'Imperatrice, ho cercato in tutto il mondo
le aziende agricole con il nome Rifugio. La sua casa è
sempre stata chiamata così. In più di una cronaca Arcana,
ho letto il consiglio: «Mai attaccare un'Imperatrice nel suo
Rifugio.»
Solo un'azienda con quel nome ha una ragazza dell'età
giusta che vive nella proprietà. È un'adolescente della
Louisiana di nome Evangeline Greene.
Non ha idea che ad alcuni stati di distanza, ha un ma-
rito che complotta per distruggerla.
Ho trovato i suoi account social con le foto dei suoi
amici (sorprendentemente molti), il suo ragazzo (un gioca-
tore di calcio che sembra tanto debole quanto bello), e la
sua casa.
Il maniero nel Rifugio è circondato da dodici querce,
come le dodici stelle della sua corona d'Imperatrice, ed è
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circondato da miglia di canna da zucchero in ogni dire-
zione. Genio strategico.
Ho visto anche immagini di lei, di Evangeline Greene.
Mia moglie.
Lei è… splendida. Brillanti riccioli d'oro. Occhi felici.
Labbra incurvate e guance rosee in salute.
Nei giochi passati, ha avuto una presenza fisica formi-
dabile, alta e imponente, più Demetra che Afrodite. In
questo gioco, lei è tutta Afrodite. Più bella di ogni altra
cosa vista in tutti i miei anni.
Torturo me stesso immaginando quali pensieri ci siano
dietro quegli occhi allegri. Esiste un modo per saperlo.
Ma cosa domanderebbe l'intelligente Matto per un tale
vantaggio?
Anche adesso sento il richiamo Arcano dell'Imperatri-
ce. – Vieni… toccami… ma pagherai un prezzo. –
Il mio intestino si stringe per il desiderio. Il mio san-
gue brucia per lei.
Ho toccato, e per tutti gli dei, ho pagato.
Naturalmente, l'unico gioco in cui ho giurato di non
essere sedotto, lei si rivela essere una bellezza mozzafia-
to.
E per di più la sua bellezza mi attira. È piena di vita,
come sempre, mi chiama, chiama Morte.
Il mio pugno colpisce la piastrella della doccia, fran-
tumandola.
***
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La catastrofe che segna l'inizio di ogni partita potrebbe
arrivare in qualsiasi momento, ma ho messo a punto i
preparativi di Lethe.
La mia casa si trova in cima ad una montagna isolata,
scelta per la sua posizione strategica. Considerando i po-
teri dell'Imperatore, avevo fatto in modo che la struttura
fosse a una certa distanza da qualsiasi grande attività si-
smica. Con la mia Imperatrice in testa, avevo scelto un si-
to senza alberi.
I lavori di ristrutturazione della guerra fredda erano
già in vigore quando ho comprato il castello, e poi l'ho at-
trezzato per qualunque catastrofe potrebbe capitarci ora.
Temporali? Lamiere di rame percorrono le pareti e i
soffitti. Inondazione? Siamo ben al di sopra della zona
d'inondazione. Incendi? Il castello è stato costruito in ar-
desia a prova-di- fuoco e pietra. Con la semplice pressio-
ne di un pulsante, persiane a prova di esplosione copri-
ranno tutte le finestre e le porte.
Se ci dovesse essere un'altra carestia, una fattoria sot-
terranea con acri di lampade solari sosterranno Lethe.
Un'altra siccità? Serbatoi infossati e pozzi forniranno ac-
qua.
Se effettivamente i predoni trovano questo posto, un
muro di pietra di rinforzo perimetrale che circonda l'inte-
ra montagna ostacolerà un raid.
I giocatori Arcani provengono da tutto il mondo, per-
ché non dovrei credere che la portata del disastro sarà
globale? Le comunicazioni se ne andranno per prime. Mi
sono preparato anche per quello.
Possiedo così tanti vantaggi rispetto agli altri. Il mazzo
è eternamente truccato in mio favore. Anche i miei alleati
ne beneficeranno, almeno per un certo tempo.
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Tra i giocatori che ho localizzato, ne ho scelti quattro.
Un soldato delle forze speciali in Kenya chiamato Ken-
tarch è il Centurione, il mio primo alleato. La sua linea di
famiglia ha sempre chiamato il primogenito Kentarch.
Gli ho spedito un telefono satellitare con le istruzioni per
contattarmi.
Circe Rémire, una dottoranda delle Bermuda ossessio-
nata dal folklore di Atlantide e dalla stregoneria deve es-
sere la Sacerdotessa. La sua foto online figura una leggera
somiglianza con la sua precedente incarnazione, ed è sta-
ta nominata Circe dall'Abisso (secondo la sua descrizione
per l'università). Secoli fa, l'abisso era stato nominato per
lei.
Come me, è stata ingannata e tradita in passato
dall'Imperatrice. Le ho spedito il tridente della Sacerdo-
tessa. Dovrebbe accelerare i suoi incantesimi di protezio-
ne e gli incantesimi sulla memoria.
Il mio terzo alleato sarà il Diavolo. In una piccola gaz-
zetta dell'Ohio, ho letto un racconto di un ragazzo de-
forme con le corna. Lo raccoglierò dopo il disastro. Come
sempre, sarà una bestia vile, ma ha due vantaggi. È im-
mune al veleno dell'Imperatrice, e le sue mani saranno in
grado di lavorare il metallo come una forgia.
Penso alla mia armatura messa in mostra su un piedi-
stallo in camera mia. La sua sagoma è stretta, i suoi mo-
vimenti silenti. Realizzata con un minerale nero non
identificabile, l'intero vestito pesa meno delle mie lunghe
spade, tanto leggera quanto impenetrabile.
Questo materiale misterioso può essere rielaborato so-
lo dalla carta del Diavolo. Ad ogni gioco, lo aggiorno e
perfeziono l'armatura.
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Mi sono già assicurato la mia quarta alleata. Nei mesi
scorsi, avevo trovato storie on-line di una ragazza adole-
scente con un notevole talento per la formazione e la ria-
bilitazione delle bestie pericolose. Doveva essere la carta
della Forza, nota anche come Fauna.
Aveva noleggiato i suoi servizi, persino pubblicizzati.
In un video, aveva fissato la telecamera con occhi chiari e
il mento sollevato, affermando coraggiosamente: "Il mio
nome è Lark Inukai. Rendo inoffensivi gli assassini. Di-
sinnesco la loro aggressività. Trovo i loro punti deboli e li
sfrutto senza pietà. Gli animali vengono da me in un mo-
do e se ne vanno in un altro. Avete un problema? Chia-
mate la Congelatrice di Assassini.»
Anche adesso scuoto la testa. Congelatrice di Assassini? I
gusti sono gusti.
Ho assunto il padre, un veterinario che era emigrato
dal Giappone, per sorvegliare la mia vasta collezione di
animali. Takao e Fauna si sono trasferiti al castello di
Lethe pochi mesi fa.
Gli ho dato un budget illimitato per aumentare la no-
stra scorta. Attualmente è sulla via del ritorno dall'acqui-
sizione di un raro leopardo russo. Come per molte delle
nostre creature, alcune celebrità l'avevano acquistato
senza molta accortezza.
Espiro. Mortali.
Ho chiamato Takao ieri e gli ho detto di ritornare pre-
sto. Se non ci riesce, potrebbe essere separato dalla sicu-
rezza del castello quando il disastro avrà luogo. Potrebbe
essere ucciso.
Tutto perché non è riuscito a resistere alla promessa di
bellezza.
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Qualche settimana fa, ho detto a Fauna, «Tu e tuo pa-
dre siete attratti da bellissimi animali. A volte le creature
affascinanti sono quelle più pericolose di tutte.» Come
l'Imperatrice.
Fauna si era accigliata. «Non capisco.»
«Nella vita, dovresti sempre essere pronta contro tutto
ciò che è allettante. La prossima volta che vedi qualcosa
di bello, allontanatici.» Parlo per amara esperienza.
Irrequieto, mi alzo e supero il mio muro sicuro. Com-
binazione inserita, apro la porta verso i miei più preziosi
tesori. Allungo la mano oltre la collana che una volta ho
dato all'Imperatrice per raccogliere un piccolo portagioie.
Al suo interno vi è l'anello di nozze di mia madre, una fa-
scia d'oro inciso con un ovale d'ambra intarsiato.
In due delle ultime tre partite, ho quasi donato questo
anello all'Imperatrice. Quando l'ho sposata millenni fa,
era stato al sicuro a centinaia di miglia di distanza, e non
ho mai avuto la possibilità di recuperarlo. Nel gioco suc-
cessivo, l'Imperatore l'ha uccisa prima che potessi rag-
giungerla. Nell'ultima partita, lei ha cercato di avvele-
narmi prima che potessi farglielo scivolare al dito.
Prendo l'anello dalla sua custodia, e il metallo si scalda
contro la mia pelle. Rido duramente. L'anello non sa che
il mio tocco è letale. Reagisce a me come a chiunque altro.
Così ha fatto la pelle dell'Imperatrice.
Rammento i miei ultimi incontri con lei dal gioco pre-
cedente, non che abbia bisogno di qualcosa per indurire
la mia determinazione contro di lei.
Tanti anni fa, l'ho pedinata, osservando le sue batta-
glie, cercando di determinare se fosse tanto infida quanto
lo era stata l'ultima volta che l'avevo vista, quando aveva
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avuto intenzione di uccidermi durante la nostra notte di
nozze.
Era stata anche peggio…
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«Appropriato che noi – vita e morte – dovremmo incontrarci
in un tempo di pestilenze e carestie.» Inclina la testa, le sue
ciocche rosse ondeggianti sopra una spalla pallida. «Perché mi
segui in questo gioco, Mietitore?»
«Per determinare il tuo carattere.»
«Mi hai visto fare molte uccisioni.»
Aveva sconfitto gli Amanti prima che potessi raggiungerla,
ma l'avevo vista annientare gli esseri umani in un bagno di
sangue, schernendoli tutto il tempo. A quel tempo, non avevo
saputo il motivo per cui si era scagliata contro di loro. «Hai at-
taccato quegli uomini perché hanno tentato di bruciarti sul ro-
go. Non sapevo che cercavate vendetta.»
«Mi hanno accusata per la loro fame.» Si strinse nelle spalle.
«Non hanno idea del fatto che anch'io mi lamento della fame.»
Indebolisce i suoi poteri. Ogni pianta è una potenziale arma per
lei. «Quando ho sentito la mia carne venir cucinata come una
gamba salata di cervo, ho abbaiato per il loro sangue.» Giriamo
ancora in cerchio. «Tra gli esseri umani e gli Arcani, sono stata
molto occupata. E l'Imperatore sarà presto qui.»
«Nell'ultimo gioco, lui ti ha uccisa. Orribilmente.»
«A differenza di quando mi hai uccisa tu, in modo pulito.» Il
suo tono è divertito.
Inclino la testa.
«Se rammento le mie cronache, hai sconfitto l'Imperatore
scorso,» dice, «ma a differenza di tutto il resto delle tue ucci-
sioni, lo hai torturato. Perché?»
Perché lui ti ha distrutta prima che potessi arrivare a
te. Perché non saprò mai cosa sarebbe potuto essere. «Co-
sa diresti se ti dicessi che l'ho fatto per te?»
Lei sorrise, e ciò mi riempì di diffidenza e lussuria. «Direi di
farlo di nuovo, mio Triste Mietitore.»
***
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«Dopo essere scomparso per settimane, sei ritornato?» Il to-
no dell'Imperatrice è scherzoso. «Forse per parlare ancora?»
Non tolgo l'elmo questa volta. Ho sentito attraverso i ri-
chiami degli Arcani che ha tradito una delle sue fedeli alleate.
«Hai ucciso Fauna a sangue freddo.» Al momento sulla mano
dell'Imperatrice ci sono tre icone, quelli degli Amanti, del Ma-
go, e di Fauna.
«No, mi sono difesa. Lei e il Mago hanno complottato contro
di me. Lei ha attaccato con i suoi leoni… una creatura mi ha
afferrato la gamba con le sue zanne.» Tira su la gonna per rive-
lare la coscia. «Oh, grazie agli dei, sono già guarita.»
Il mio cuore comincia a tuonare alla vista della sua carne
nuda. Notando il mio interesse, solleva ancor di più il tessuto,
come se cercasse la ferita.
Incapace di fermarmi, faccio un passo in avanti. Le parole
lasciano le mie labbra: «Imperatrice, posso toccarti.»
«Devo crederci?» Lascia cadere la gonna. «Se mi fidassi, e
tu mentissi, morirei.»
«La nostra Signora di Spine sospetta che io menta.» Scuoto
la testa per l'ironia. «Non solo posso toccarti, siamo stati in-
sieme due partite fa.»
«Insieme in un assalto? In un'alleanza? Le mie cronache
non dicono niente di questo.»
Guardo dietro di lei. «Sei stata separata dalla tua cronista.»
Dopo che avevo catturato l'Imperatrice.
«E poi?»
«E poi… ci siamo sposati.»
Lei ride. «Il mio Triste Mietitore ha un senso dell'umori-
smo, dopotutto.»
Le faccio un lieve cenno. «Vedo che dovrò dimostrartelo.»
***
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Quella notte, si svegliò con il palmo della mia mano sulla
bocca. I suoi occhi lampeggiano.
La mia nuda pelle contro la sua. Con le sentinelle di Fauna
andate, sono facilmente scivolato oltre le viti dell'Imperatrice
in questa villa.
Mi lancia un'occhiata assassina, pensando che la sua vita
sia finita.
Passano secondi. Ma non succede nulla. Nessun dolore.
Non ci sono striature di nero su tutta la sua pelle. Sebbene
avessi scoperto la sua immunità secoli fa, mi colpisce ancora
come miracolosa.
Di tutte le persone nel mondo, in ogni periodo, lei è l'unica
che possa toccare senza uccidere.
Aggrotta le sopracciglia.
«Te l'ho detto.» Tolgo la mia mano dalla sua bocca, incapace
di evitare di accarezzare la pelle di seta della sua guancia. Così
affamato di toccarla.
Batte le palpebre. «Siamo stati veramente sposati?»
«Sì. Imperatrice, sei nata per me, ed io per te. Un giorno ti
convincerò di questo.»
Sopracciglia arcuate, ammette, «Ho avuto pensieri di te che
non sono riuscita a conciliare. Desiderio per te.» Fa scorrere il
polpastrello del suo dito sulle sue labbra, lo sguardo sempre più
distante.
Deglutisco fittamente. Può dire quanto intensamente voglio
che questo sia vero? «A cosa stai pensando, Imperatrice?»
Incontra i miei occhi. «Indovina.»
Rispondo onestamente come sempre. «Credo che tu complot-
ti per prendere la mia icona e tutte quelle che ho raccolto. Desi-
deri che si uniscano alle tue e, alla fine quella della Sacerdotes-
sa.»
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«Non danneggerei mai la Sacerdotessa, lei è la mia migliore
amica. Fauna è stata un'amica fino a quando…» Lei mi lancia
uno sguardo ferito. «Perché pensi così male di me?»
«Hai ucciso la Sacerdotessa nei giochi passati.» Ho avvertito
la Strega d'Acqua, ma lei giura che l'Imperatrice sia diversa
questa volta.
«Circe lo sa. Ha ricordi dei giochi precedenti. Ma io sono
cambiata da come ero prima.» Valuta il mio volto. «Devo aver
ferito anche te.»
«Mi hai tradito.»
«Come?»
«Hai tentato di uccidermi… la nostra prima notte di noz-
ze.» Rammentato, mi alzo, i miei speroni che tintinnano quan-
do mi dirigo verso la porta.
Si tira su a sedere, gridando, «Dove vai, Mietitore?»
Da sopra la mia spalla, dico, «A contemplare la mia prossi-
ma mossa.»
***
22
Mi dirigo verso il letto, ma continuo a tenere la mia armatu-
ra e la spada nelle vicinanze. Anche se è seducente, ho imparato
una dura lezione.
Si siede e allunga una mano verso di me. Le sue dita delicate
accarezzano il mio viso. Mi irrigidisco, ricordando la nostra
prima notte di nozze, come mi ha affondato i suoi artigli nella
schiena per iniettarmi il suo veleno.
«È giunto il momento, Morte.»
Qualcosa nel suo tono fa rimescolare il mio corpo. «Tempo
per cosa?» Lei non può star parlando di…
«Perché tu reclami davvero tua moglie. Voglio essere tua.
Completamente. Hai aspettato secoli, non aspettare di più.»
So fare di meglio che sperare, ma dei, forse potrei finalmente
conoscere la soddisfazione, il tipo che altri uomini danno per
scontato. Ho con me un anello di nozze come cimelio, ho consi-
derato di darglielo questa notte, ma esito. «Forse non ho ancora
fiducia in te.»
«Sai quanto terrorizzata sia di ferirti.» I suoi occhi luccica-
no. «Darei qualsiasi cosa per tornare indietro e rivivere quella
notte.»
E darei qualsiasi cosa per conoscere i suoi veri pensieri.
«Ma non posso tornare indietro. Non riesco mai a placare i
tuoi sospetti.» Si volta verso me. «Come può una donna orgo-
gliosa offrire il proprio corpo a un maschio che non lo accette-
rà? Quando lui insiste nel sostituire del metallo freddo alla pel-
le calda? Come posso stare con un uomo che mi deve odiare nel
profondo?»
Poso la mano sulla sua spalla, il contatto è un'indulgenza
inebriante, ma lei si irrigidisce al mio tocco. Le mie sopracciglia
si aggrottano. So poco delle donne, non ho alcuna esperienza
con i loro modi. Ma persino io so che sto perdendo la sua atten-
zione.
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Ha ragione: se è diversa, allora l'ho giudicata male e la sto
ingiustamente ferendo. «Imperatrice.» Le circondo una guancia
con una mano. Quando mi affronta ancora una volta, dico,
«Cominciamo da capo con un bacio.»
Prima di prendere le sue labbra, mormora, «Potrei amarti
così facilmente.»
Anche se la desidero, io non – e non potrei – amo questa
creatura. Sì, è stata fatta per me, ma forse sono incapace di
amare.
Le mie labbra incontrano le sue. La mia testa gira, i miei
sensi sovraccaricati. Chi ha bisogno di amore quando c'è que-
sto? Contatto, calore, morbidezza, il suo profumo inebriante.
Odora di fiori di campo che sono soliti fiorire vicino alla mia
casa d'infanzia.
Come approfondisco il bacio, divento ubriaco di lei, della fe-
licità. Un futuro con lei si estende davanti a me. Stasera cono-
scerò la carne di una donna, della mia donna, e domani pianifi-
cheremo una vita insieme, un'esistenza lontana da questo gio-
co.
Prendo la bocca con più forza. Quando lei geme per me,
l'angoscia di tutti quei miserabili secoli inizia a svanire.
La bacio più e più volte. Perduto nella dolcezza vertiginosa
delle sue labbra.
Ma qualcosa pungola la mia mente. Alcuni dettagli…
Rose. Il suo profumo è cambiato, come ha fatto quando mi ha
colpito la scorsa volta. Il dolore mi attraversa il corpo. La com-
prensione albeggia.
Veleno?
Mi sta avvelenando con le labbra! Anche se afferro la mia
spada, una parte di me è tentata di permetterlo. Di morire tra le
sue braccia. Perché vivere, da solo e maledetto, per sempre?
Mi stringe più forte, volendo uccidere. La furia mi inghiotte,
l'ardore della battaglia che cresce. Mi dimeno per allontanarmi,
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ma lei mi ha indebolito. In preda alla rabbia, la spingo via, e la
mia spada balena fuori.
Del sangue schizza per la stanza.
Un colpo del mio polso. Un istante d'azione. Lei è… morta.
Tutta la mia speranza muore con lei. Le avevo creduto. Ave-
vo pregato gli dei che questa volta sarebbe stato diverso. Che
sarebbe stata finalmente mia.
Ho aspettato per più di mille anni, per questa notte, solo per
essere tradito. Guardo tutto il sangue. Questa sera sono stato
maledetto per diversi altri secoli in attesa che lei ritorni.
«Nooo!» Nella prossima partita, non verrò sedotto. Le in-
fliggerò la mia vendetta. Pagherà per ogni momento di dolore!
Il veleno indugia. Il sapore dolce dell'Imperatrice indugia.
Riprodurrò la sensazione delle sue labbra ogni notte per l'eter-
nità. Lacero la stanza per il dolore. Mi strappo di dosso la mia
odiata armatura.
Un'ondata di dolore mi travolge, ed io crollo in ginocchio.
Potrebbe avermi dato abbastanza veleno da uccidermi.
Perché vivere? Perché combattere?
Per vendetta…
***
25
morendo di sete. L'avevo liberata, poi risparmiato la sua
vita.
La Sacerdotessa era divenuta sospettosa dopo che
l'Imperatrice aveva ucciso Fauna. Ma prima che Circe po-
tesse scivolare verso la sicurezza del suo tempio sottoma-
rino, l'Imperatrice l'aveva catturata, mantenendola in vi-
ta, in modo che non sentissi di un altro omicidio, un altro
tradimento. La traditrice Imperatrice aveva programmato
di avvelenarmi, poi farla finita con Circe…
No, non voglio essere sedotto in questo gioco. Il mio
cuore è nero come la mia armatura. L'Imperatrice l'ha re-
so così.
Sono Morte. Quando il suo sangue bagnerà la mia spa-
da, lo berrò solo per deriderla.
Instabile e frustrato, rimetto l'anello nella mia cassafor-
te, poi attraverso le grandi finestre del mio studio. Il sole
è tramontato, eppure Fauna si sta dirigendo verso il ser-
raglio. Mi ha detto che i suoi animali si stanno compor-
tando in modo strano. Non ha idea di cosa significhi, ma
io sì.
La fine è vicina. L'anticipazione è come fuoco nelle ve-
ne.
Indosso i guanti ed esco dal castello. Sulla mia strada
lungo i giardini, un vento caldo soffia oltre la montagna,
e il movimento sopra cattura i miei occhi. Una strana luce
appare nel cielo, riempiendomi d'aspettativa.
Riesco a percepire i morti arrivare. Cari dei, ho la sen-
sazione che sarà una loro resa dei conti.
Rimuovo il mio guanto destro. Il resto dell'icona
dell'Imperatrice svanisce davanti ai miei occhi.
E così comincia…
26
Il Matto (0)
Matthew, Guardiacaccia del Vecchio
27
Huntsville, Halabama
Giorno zero
28
_ _ _ _ _ _ __ _ _ _ _ _ _ _ __ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
___
_ _ _ _ _ _ __ _ _ _ _ _ _ Nemici __ __ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
__ _ _ _ _ _ _ _ _ speranza per l'inferno _ _ _ _ _ _ _ _ __ _
_ _ _ _ _ _ __ __ _ __ terrore _ _ _ _ __ _ _ _ __ _ _ _ __ _ _ _
_ _ _ _ _ _ Allora morirai _ _ __ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __ __ _ _ _
_ ___ _ _ __ Pazzo come una __ __ __ _ _ ___ _ _ _ cava-
liere _ _ _ ___ _ _ __ ___ _ portare _ _ _ _ _ __ _ _ _ _ _ _ _
_ __ _ _ _ _ __ _ _ __ _ _ _ _ __ _ _ _ ___ il ricordo di _ __ _
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __ __ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ un fiore
__________________________________
__________________________________
____________________________
_ _ _ _ _ _ _ _ _ ____ _ Darò _ _ _ __ __ _ _ _ _ _ _ _ __ _
_
__ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __ _ _ __ _ _ _ _ _ _ la mia unica
amica _ _ __ _ __ _ _ _ _ _ _ _ __ _ _ _ __ _ _ _ _ _ _ __ un
altro _ _ _ _ _ _ __ _ _ __ _ __ _ _ _ _ _ _ __ _ _ _ _ _ _ Mat-
thew _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
_ _ _ _ _ _ _ _ _ ___ _ _ _ __
_ _ _ _ _ _ _ _ __ _ _ _ _ _ __ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __ Il futuro scor-
re come _ _ _ __ _ __ _ ___ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __ __ _ __ il vecchio _ _ __ _ _ _ __ __
__ _ _ _ __ _ _ _ _ _ _ _ _ __ dei _ _ _ _ _ _ __ _ _ _ _ _ __
_ _ _ _ _ __ _ _ _ _ _ _ __ _ _ _ __ __ _ __ Noi _ _ _ __ _ _
__ _ _ _ _ _ _ __ _ ___ _ _ dormiremo per sempre _ _ _ _ _
_ _ __ _ _ _ _ la Fine _ _ _ __ _ _ _ _ _
__ __ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
_ ___
29
Il Mago (I)
Finneas, Maestro delle Illusioni
A.k.a.: L'Imbroglione
Poteri: Creazione illusoria e del tramare piani. Alluci-
nazioni, distorsione della realtà, esorcismi, e invocazioni.
Abilità speciali: Fare surf.
Armi: Nessuna.
Immagine: Un giovane uomo che indossa una veste
rossa, detiene una bacchetta verso il cielo mentre punta a
terra la mano libera. Su un tavolo davanti a lui vi sono un
pentagramma, un calice, una spada e un bastone. Un let-
to di rose e gigli cresce ai suoi piedi, viti che si trascinano
sopra.
Icona: Uroboro.
Caratteristiche arcane uniche: Parla una lingua miste-
rioso da mago quando evoca le illusioni.
Prima del Lampo: Ragazzino "problematico" prove-
niente dalla California, mandato a visitare la sua famiglia
allargata.
30
Backwoods, North Carolina
Giorno 0
31
tori mi avevano abbandonato in un posto dove non ave-
vo amici e il surf non esisteva.
Nessuna. Dannata. Onda.
Era come se la mia gente mi odiasse. Che schifo. Perché
mi mancavano tantissimo mamma e papà.
E non era come se riuscissi a controllare tutta questa
strana merda che continuava ad accadermi. Le illusioni e
le allucinazioni…
Tammy-Qualcosa si attorcigliò i capelli marrone luci-
do. «Buck tornerà presto?»
Il mio cugino più grande era soprannominato Buck
perché aveva ucciso così tanti cervi. Le loro teste ornava-
no la parete della cantina, i loro vitrei occhi accusatori mi
stavano dando i brividi.
Aveva un porta-fucili pieno sul retro della sua succhia-
benzina truccata. Stranamente, lui ed io non andavamo
d'accordo sulla conservazione delle risorse. O niente af-
fatto, se è per questo.
«Improbabile,» dissi. Lui e i suoi due fratelli mi aveva-
no costretto ad andare nei boschi circostanti per andare a
sparare alla mamma di Bambi, ed io avevo raggiunto il
limite. Così avevo evocato l'illusione del più grande cer-
vo immaginabile, il secondo avvento di maschi da trofeo.
Erano schizzati fuori come se fossero alla ricerca di un
dannato incendio.
«Immagino che aspetterò qui con te.» Tammy si alzò e
si diresse verso il frigo, afferrando altre due birre. Stava
sudando nella sua canotta e pantaloncini, ma era off-
limits.
Tornò al divano, sedendosi un po' troppo vicino per
essere a suo agio. Non volevo che Buck attaccasse al mu-
ro la mia testa farcita.
32
Mi porse un'altra Natty Light. Avevo terminato la
mia? Accettai la lattina. Un po' diverso dal marchio arti-
gianale che avevo favorito a Malibu. «Grazie.» Stavo far-
fugliando? La stanza sembrò inclinarsi.
«Ti piace la scuola qui?»
Odiavo Redneck High, sede dei Bifolchi Combattenti.
La scorsa settimana, uno dei miei insegnanti aveva striz-
zato l'occhio quando aveva detto, «Penso che possiamo at-
tribuire questa stagione secca al – eh-eh – riscaldamento
globale.» La mensa era neolitica. Nessun alimento senza
glutine. Niente organico. Nemmeno uno spremiagrumi.
«Va tutto bene, immagino.» Mia madre se n'era andata
da questo posto a diciotto anni, andandosene il più lon-
tano possibile, e non sarebbe mai tornata, ma aveva pian-
tato me qui.
Tutto per un paio di scherzi. Forse lei e mio padre in-
tuivano che c'era qualcosa di veramente sbagliato in me.
Quando ero stato l'unico a riuscire a vedere le illusio-
ni, era stata una cosa. Ma poi avevo iniziato ad utilizzarle
per rovinare gli altri. E poi non fui più capace di fermar-
mi. Anche con i miei genitori.
Dal loro divorzio un paio di anni fa, non andavano
d'accordo su molto, ma avevano deciso di espellermi dal-
la loro vita.
«A cosa stai pensando?» chiese Tammy-Qualcosa.
Quello a cui di solito pensavo: «Casa.»
«Un ragazzo come te deve avere una ragazza lì.»
«No.» Nonostante i miei sforzi. Ero soltanto il tipo di
amico spensierato per maschi e femmine allo stesso mo-
do.
Mi si fece più vicina, i suoi occhi azzurri fissi su di me
come se fossi un bersaglio. In un tono più basso, disse,
33
«Forse potresti portarmi con te per una visita, Finneas.
Ucciderei per vedere la California.»
Deglutii fittamente. Ero sbronzo, ma potevo giurare
che lei ci stava provando con me. Natty Light mi ordinò
di baciarla.
Mi stavo chinando quando lei mi afferrò il viso e posò
le labbra sulle mie. Aveva delle labbra morbide. Sapeva-
no di fragole e birra. I miei occhi si chiusero quando con
la lingua toccò la mia.
Lei mi trasse più vicino, baciandomi più intensamente.
Questa pollastrella mi baciava alla francese come se la
lingua fosse uno sport olimpico e lei fosse a caccia di una
medaglia. Ero a pezzi. Ci spostammo fino a quando non
mi sdraiai sopra di lei.
Tra i baci, si tolse la maglietta, rivelando il paradiso.
Mi sollevai sulle braccia raddrizzandomi solo per ri-
farmi gli occhi. «Whoa.»
Con un sorriso, estrasse un preservativo dalla tasca.
Ancora meglio!
Nonostante andassi sempre in giro come se lo avessi
fatto, io… non l'avevo fatto. Stava per cambiare alla fine?
Mentre la fissavo incredulo, lei si tolse i pantaloncini e
le mutandine.
I miei occhi si spalancarono, le mie mani che armeg-
giavano con la mia patta. Stavamo davvero per farlo!
Mentre lei apriva la confezione d'alluminio, tirai giù i
pantaloni. Lei allungò le mani verso di me, ed io gemetti.
Porca puttana, ero sul sentiero in discesa! Finalmente
stavo per fare sesso.
Il nervosismo mi colpì. Sarei durato abbastanza a lun-
go? Avrei messo in imbarazzo me stesso? Natty Light
34
disse, «Ti ho preso, uomo.» Pensa alla matematica, pensa
all'ambiente…
Cosa farebbe Buck se scoprisse di me e Tammy? Non
aveva importanza, me ne sarei andato presto.
Poi mi ricordai. No. Non sarei andato da nessuna par-
te. Potrei rimanere qui fino al diploma. Resisterei altri
due anni senza vedere un'onda? Ero stato completamente
abbandonato?
Smettila di pensarci! Tammy voleva scopare. Io volevo
disperatamente scopare…
Potrei anche non riuscire a tornare a casa per le vacan-
ze.
Il pensiero mi sventrò. Qualcosa come il dolore mi av-
volse una mano attorno alla gola e strinse. Ah, Dio, i miei
occhi stavano lacrimando! Finn, femminuccia idiota.
Così vicino a farlo, ed ero sul punto di mandarlo all'a-
ria! Pensa a qualcos'altro, pensa ad altro.
Tirai su col naso.
Tammy disse, «Qual è il problema?»
«N-niente.»
Inspirò, sembrando inorridita. «Cosa c'è che non va,
ragazzo del surf? Stai… piangendo?»
Umiliazione. Il mio viso bruciò mentre mi tiravo su i
pantaloni. Buck continuava a dirmi che ero un debole,
strano, patetico perdente.
Aveva ragione.
Tammy afferrò i suoi vestiti, vibrando e contorcendosi
intorno a me come se fosse in Matrix ed io fossi contagio-
so.
Stava per dire a tutti i suoi amici cos'era accaduto. Non
vedevo l'ora di andare a scuola domani.
35
Dopo essersi vestita a tempo di record, lei mi lanciò un
ultimo sguardo, chiaramente ora condivideva l'opinione
di Buck su di me, poi corse, balzando su per le scale.
Lasciandomi solo. Quaggiù in questa deprimente crip-
ta di cervi.
Sollevai un'altra birra verso le teste appese e la tran-
gugiai. Poi questo debole, strano, patetico perdente pian-
se fino a dormire…
36
La Sacerdotessa (II)
Circe Rémire, Sovrana del Profondo
«Terrore dall'abisso!»
37
Hamilton, Bermuda
Giorno 0
Sacerdotessa,
Hail Tar Ro. Credo che questo sia tuo.
Morte
38
Da quando avevo toccato il contenuto della confezione
– un tridente d'oro, inciso con simboli criptici – avevo
avuto attacchi di vertigine, e incubi sull'essere intrappo-
lata sotto l'oceano.
Non ero stata in grado di scuotermi di dosso la sensa-
zione che qualcosa di brutto stava per accadere, come se
fossi ad un conto alla rovescia. E i miei sintomi stavano
peggiorando.
Li avevo confidati a mio nonno, il mio migliore amico.
Aveva paura che non fossi pronta per sposarmi.
Sì, invece! Ned era l'unico per me. Eravamo anime ge-
melle. Avevo la fortuna di averlo trovato.
In un impeto, due notti fa, avevo portato il tridente su
una scogliera e gettato nelle onde. Ma i miei problemi
continuavano…
«Circe, cara?»
Di cosa aveva parlato? Oh, sì… «La sirena e il Nerd?»
Finsi un broncio. «Hanno commentato solo il mio aspet-
to?»
«Potrebbero aver menzionato il tuo anticipato dottorato,
ma ho detto loro che stavamo per tagliar fuori tutta quel-
la spazzatura da studiosi dopo le nostre nozze.»
Sorrisi, premendo il palmo contro la porta. Amavo
quest'uomo come un periodo di siccità ama la pioggia.
«Anche la mia famiglia ha parlato molto di te stasera, di
come sei entrato in acqua, senza il tuo cerotto da mal di
mare.» I miei fratelli lo avevano portato a pescare. Ave-
vano riferito di non aver mai visto qualcuno rigettare così
tanto e vivere per riderci sopra. «E senza la tua crema so-
lare.» Avevano anche detto che non aver mai visto nes-
suno bruciare così velocemente.
39
«Ho fatto quella parte di proposito, per imitare Larry
l'Aragosta alla reception. Sono metodico in questo sen-
so.»
Delle risate esplosero dalle mie labbra. Non avevo mai
saputo di riuscirci così tanto prima di Ned. Mi accigliai.
No, c'era stato un altro momento… In una selva oscura,
una ragazza dagli occhi verdi ed io avevamo riso fino a
farci dolere i nostri ventri.
«Non puoi negare la sensualità rosso-aragosta della
mia pelle. No, sul serio. La mia pelle è letteralmente se-
xy.»
Feci tsk. «E sarai rosso brillante per tutte le nostre foto
di domani.»
«Possiamo sempre sperare che sbuccerò per allora.»
Ned sospirò. «Come mi hai tollerato è un mistero.»
Una voce nella mia testa mormorò Misteri dal profondo.
Gli incubi. Sbarazzatene, Circe.
«Sei coraggiosa a volere dei figli da me, amore. Non
meno di tre.»
Gli avevo detto che volevo iniziare una volta che mi
sarei laureata. Mi aveva salutato, rispondendo: «Contri-
buirò con entusiasmo a questo sforzo. Saprai cosa signifi-
ca la parola impegno.»
Ora chiese, «E se vengono fuori nerd che hanno il mal
di mare?»
«Allora saprai di essere il padre.»
Rise. «Ripaghi con la stessa moneta. Dio, sono pronto a
sistemare questa faccenda del matrimonio, così che pos-
siamo tornare a noi.»
«Lo so. Mi sento come se non ti vedessi da settimane.»
«Non mi piace dormire in letti diversi. Usanze o no, se
hai un altro incubo, devi venire da me.»
40
«Lo farò,» mentii. Ne avevo avuto diversi ogni notte
dopo l'arrivo di quel pacchetto. Eppure quegli incubi
erano sembrati più dei… ricordi. Forse stavo perdendo la
testa. «Sai quanto ti amo, vero?»
«Ah, un centesimo di quanto ti amo io.»
«Sono seria, Ned.» Riuscii a sentirlo accigliarsi. Guar-
dai il mio braccio. Per un istante, la mia pelle sembrò bril-
lare. Come squame di un pesce. «Sapevo che la notte che
ci siamo incontrati saresti stato mio.» Stavo tenendo una
lezione universitaria sul Triangolo delle Bermuda e il fol-
klore di Atlantide, presentando immagini dell'Abisso di
Circe, il punto più profondo nel Triangolo.
L'abisso da cui avevo preso il nome.
Un team di oceanografia in acque profonde aveva da
poco completato il trattamento delle immagini. Quelle
immagini avevano catturato una falda acquifera sotterra-
nea, sotto l'abisso.
E dentro la falda acquifera vi era una formazione roc-
ciosa così perfetta che doveva essere stata creata dall'uo-
mo.
Se la formazione era una struttura proveniente da una
città sommersa – come Atlantide – come era stata creata
in una falda acquifera?
Come una nave in una bottiglia…
Sebbene Ned, un programmatore di computer brillan-
te, fosse devoto alla scienza sperimentale, per qualche ra-
gione aveva seguito la mia conferenza. Aveva afferrato
qualcosa che potevo offrirgli, facendo domande osser-
vanti. Non aveva riso quando gli avevo detto delle mie
inclinazioni Wicca.
In seguito, il caffè si era trasformato in drink. Le be-
vande in cena. Da allora, non ci eravamo più separati una
41
sola notte. Fino ad ora. «Pensavo che fossi adorabile,»
dissi. «Le tue guance si arrossavano ogni volta che ti
guardavo.»
«Perché continuavo a dire a me stesso, Penso di essere
dannatamente innamorato di lei. Non sapevo come potesse
essere possibile, ma era così.»
Mormorai, «Era così.» Immaginai il palmo della sua
mano premuto contro la porta, di fronte al mio.
Strano come il nodo di legno sotto la mia mano sem-
brasse un mulinello. Rabbrividii. Schiarendomi la gola,
chiesi: «Vuoi finalmente ammettere il motivo per cui sei
venuto alla mia conferenza?» Mi aveva preso in giro per
diversi motivi: perché si era precipitato dentro per evita-
re la pioggia (era stata una giornata limpida). Per assag-
giare il caffè tiepido gratuito. Per ammazzare il tempo fi-
no all'inizio del suo show sui supereroi.
«La verità? Cosa diresti se ti dicessi che un amico ha
fatto una scommessa?»
Resi scandalizzato il mio tono. «Una scommessa? Quali
sono stati i termini?»
«Ha scommesso un centinaio di bigliettoni che la don-
na che ospitava questa conferenza su Atlantide sarebbe
stata la più bella creatura sulla terra.» Lui sospirò. «I mi-
gliori cento bigliettoni mai persi.»
Socchiusi gli occhi. «Chiunque ti definisce un comico,
ma penso che tu sia davvero un romantico.»
«Dio, ho intenzione di godere a prenderti in giro e a fa-
re il romantico per i prossimi ottant'anni o più della no-
stra vita.»
«Credi davvero che vivremo così a lungo?» Quel nodo
di legno sulla porta sembrò ruotare.
42
«Ovviamente. Risate e amore mantengono un corpo
giovane.»
***
43
tramonto brillava sopra l'acqua placida. Le mie braccia
scesero ai fianchi, il bouquet che cadeva silenziosamente
sulla sabbia.
Sgorgarono lacrime di frustrazione. Quale forza aveva
preso il sopravvento su di me? Ned avrebbe pensato che
ero fuggita via? Che non volevo sposarlo?
Faticai ad urlare, «Ti amo!» Eppure non riuscivo a par-
lare.
Il mare mi aveva sempre chiamata, ma ora… ora il suo
canto da sirena era innegabile. Improvvisamente, seppi
dove stavo andando. Verso quell'abisso.
Ero sempre stata diretta verso l'abisso.
Le lacrime corsero sul mio viso. Ned penserà che l'ho la-
sciato. Allungai la mano verso l'acqua, e dolci onde lam-
birono le mie caviglie. Un barlume sotto la superficie cat-
turò la mia attenzione.
In qualche modo il tridente era tornato da me.
Come m'immersi per raccoglierlo, una sensazione
formicolante mi percorse fino agli avambracci, e le scaglie
di azzurro apparvero lì, come lunghi guanti iridescenti.
Brillavano alla luce del sole. I miei gomiti prudevano in
modo esasperante. Li grattai, e la mia pelle si staccò per
far posto ad aggettanti pinne blu.
Singhiozzai. Come poteva Ned volermi in questo mo-
do?
Quei simboli criptici sul mio tridente ora mi erano leg-
gibili. Dicevano: La Sovrana Abissale del Profondo.
In uno stato d'intontimento, cullai l'arma d'oro pesante
tra le mie braccia e guadai nell'acqua fino alle ginocchia.
Fino alla vita. Fino al collo. Non mi fermai fino a quando
non fui sommersa.
44
Espulsi il mio ultimo respiro, in attesa del soffocamen-
to bruciante dell'acqua che riempiva i miei polmoni, ma
invece io… divenni il mare.
Il peso del tridente mi fece sprofondare. La pressione
non mi infastidì. La temperatura non aveva alcun effetto.
Riuscivo a vedere, sentire, percepire, gustare, persino
odorare attraverso l'acqua. Questo miscuglio di nuove
sensazioni mi fece girare la testa, come se la mia anima si
fosse impennata, invece di affondare.
Mi lasciai cadere sempre più a fondo. Sebbene avrebbe
dovuto essere nero pece quando la luce del giorno calan-
te sbiadì sopra di me, in qualche modo riuscii a vedere.
Squali luminescenti mi attraversarono sfrecciando. Planc-
ton e crostacei si scaraventarono dentro di me, come sbal-
lottati da una brezza dell'isola.
Scesi fino a quando ebbi raggiunto il fondo dell'Abisso
di Circe. Le rocce si separarono, rivelando un vortice che
conduceva al fondale marino. Alla falda acquifera?
Fui spazzata nel vortice, poi risucchiata ancora più in
basso in un tunnel, come dentro un tombino. O verso il
fondo della tana del coniglio di Alice.
L'acqua divenne fresca. Davanti a me c'era la struttura
di quelle immagini! La studiai dall'esterno di pietra.
Sciami di creature fosforescenti pullulavano sulle pare-
ti, illuminando le incisioni nella roccia. I simboli erano
dalla stessa lingua delle parole incise sul mio tridente.
Lessi:
45
Tutti coloro che ascoltano il richiamo della Sacerdotessa teme-
ranno i suoi poteri catastrofici.
TERRORE DALL'ABISSO.
46
Avevo la sensazione che il mio tempio fosse un rifu-
gio. Ma anche una… prigione? In qualche modo sapevo
che sarei morta presto sulla terra, ma sarei morta lenta-
mente qui in questo solitario abisso echeggiante.
La solitudine sarebbe stata la mia punizione, e la paura
la mia carceriera. Quale crimine avevo commesso per es-
sere maledetta in questo modo?
No, non mi importava del mio destino, in un modo o
nell'altro sarei tornata da Ned! Avrebbe accettato questi
miei cambiamenti. Credevo in lui.
Corsi alla camera stagna e divenni il mare ancora una
volta. Avevo quasi raggiunto la parte superiore del tun-
nel, quando il fondo marino sopra cominciò a tremare.
L'acqua si stava riscaldando. Guardai in alto verso l'a-
pertura del tunnel, incredula a ciò che vedevo.
Un sottomarino gigante si stava dirigendo verso il bas-
so, troppo veloce per essere una normale discesa verso
l'abisso.
Passata la nave, riuscii a vedere le luci nel cielo, come
se l'oceano sopra di me fosse scomparso, l'acqua aspirata.
Anche se doveva essere notte, il sole sembrava essere
brillante. E pensai di vedere un cielo pieno di… fiamme.
Ero inchiodata. Fino a quando quella luce non si era
oscurata, soffocata dal sommergibile che si schiantava
contro l'ingresso della mia unica uscita.
Ero intrappolata.
Nel mio solitario abisso echeggiante.
47
L'Imperatore (IV)
Richter, Signore della Pietra
48
Vancouver, Colombia britannica
Giorno 0
49
Per colpa mia.
A quattordici anni, ero stato trascinato per un interro-
gatorio (la puttana pensava di poter "cambiare idea" do-
po avermi stuzzicato tutta la notte?), e lui era venuto per
pagarmi la cauzione. Sulla strada di casa – wham!
Incidente d'auto.
In pochi secondi, era passato dal fuoriclasse al paraliz-
zato. Poi più tardi a mio agente e allenatore. Settimane
dopo l'incidente, mi aveva detto, «Tu sei veloce, stai an-
cora crescendo, e sei perfido. Quando avrò finito con te,
volerai sul ghiaccio. Sarai grande quanto un carro arma-
to. Nessuno saprà essere più vizioso. Il tritatutto perfet-
to.»
La sua tecnica di allenamento? Dolore. Un sacco. Ogni
volta che facevo una cazzata.
All'inizio ero così lento e stupido che dovette usare il
bastone su di me ogni giorno. Ora solo un paio di volte a
settimana…
Numero Otto non si mosse quando lo portarono via
sulla barella, non fece nemmeno un debole cenno alla fol-
la in modo che loro potessero tifare.
Lanciai un'occhiata a Brody, non un bel sorriso. Il suo
volto muscoloso era simile al mio, un volto che diventava
brutto quando sorrideva. Anche lui aveva notato l'inte-
resse degli osservatori. Tutto stava andando secondo il
suo piano: Red Wings prima di compiere diciotto anni,
poi Stanley Cup a venti.
Mormorai, te l'ho detto. Aveva pensato che queste nuo-
ve accuse mi avrebbero seguito a Vancouver, era stato a
preoccuparsi per nessun motivo.
Niente poteva toccarmi!
50
Guardai il cronometro di gara, ed ebbi un picco di
adrenalina. Tre… due… uno…
Si torna sul ghiaccio. Disco in gioco.
Numero Venti mi stava lanciando occhiate del tipo che
voleva ballare. Al pensiero, il mio corpo si riscaldò, la
pelle si arrossò. Questo era quello che mi piaceva! Stava
venendo dritto verso di me. Fatti sotto, stronzetto!
Con la coda dell'occhio, vidi Numero Trenta troppo
tardi. Due contro uno…
WHAM. Tanto forte quanto l'incidente d'auto…
Quando aprii gli occhi, vidi il tetto dello stadio. Non
riuscivo a respirare! Ero sdraiato sul ghiaccio, scivolando
sulla superficie come un disco di gomma. Bisognoso d'a-
ria! Non ero mai caduto sul ghiaccio.
Stavano ridendo. Venti si fece più vicino, slittando a
pochi centimetri dalla mia testa per spruzzarmi il viso
con scaglie di ghiaccio. «Questo è per mia sorella, malato
del cazzo.»
Avevo bisogno di pestare a sangue le loro facce! Dan-
natamente a sangue! Respira, Richter! Perché non riuscivo
a muovermi? La mia vista stava diventando sfocata, il
mio corpo febbricitante. I miei pugni sembravano star
bruciando!
Ho avuto la strana sensazione come se stessi affon-
dando. La pista si stava… sciogliendo? Sicuramente ero
incosciente, e questo era un sogno.
La gente iniziò ad urlare. I giocatori cercarono di cor-
rere/pattinare verso i bordi della pista che si scongelava.
Non c'era più ghiaccio liscio, solo fango e sabbia. La mia
testa ciondolò da una parte, e vidi la mia mano destra. Il
guanto sembrava appiccicoso, come zuppa versata sulle
mie nocche. Addirittura fuso? Impossibile.
51
Improvvisamente della luce filtrò attraverso il tetto
dello stadio, fuori nella notte c’era… il giorno? Stavo mo-
rendo? Stavo andando verso la luce? Avevo sognato fuo-
co infernale per così tanto tempo, non era possibile che
stessi salendo in cielo.
Altre urla. Ciò significava che anche tutti gli altri lo
stavano vedendo! Dov'era Brody?
Del fuoco piovve, fiamme atterrarono intorno a me, su
di me. Non bruciarono. Mi sentivo… bene. Le mie palpe-
bre divennero pesanti.
No! Dovevo alzarmi. Dovevo andare da mio fratello!
Faticai a mettermi in piedi. Il mondo sembrò inclinarsi.
I miei occhi rotearono all'indietro, e la mia mente crol-
lò…
Quando rinvenni, non riuscii a vedere un cazzo. Quan-
to tempo ero stato fuori? Mi strofinai gli occhi. Aspetta,
dov'erano il mio casco e i guanti? I miei cuscinetti e la di-
visa? Mi sedetti lentamente. Quando la mia vista si schia-
rì, vidi i segni neri e abbrustoliti su tutto il mio corpo nu-
do, ma nessuna bruciatura. Mi guardai intorno. Il mio
cervello si rifiutò di calcolare questo spettacolo.
Lo stadio era scomparso, solo lo scheletro metallico
che erano le gradinate e un anello di travi in acciaio erano
stati lasciati. Più lontano vi era un parcheggio pieno di
auto bruciate. Pneumatici affumicati.
Tutt'intorno a me c’erano mucchi di strana cenere. Mi
alzai sui miei piedi nudi. Dove diavolo erano i miei pat-
tini? Battei le palpebre dinnanzi a una coppia di lame. I
miei pattini erano… bruciati.
Dove diavolo era Brody???
52
Mi diressi pesantemente verso le gradinate. Ero dolo-
rante, come se non facessi pratica da un paio di giorni.
Dannazione, quanto tempo ero stato svenuto?
Superai un mucchio di cenere. Lame dei pattini spor-
gevano dal fondo. Era… un giocatore? Vidi un'altra pila,
e un'altra, tutte con lame. In qualche modo i loro corpi
erano bruciati fino a divenire cenere. Dovevamo essere
stati bombardati dai terroristi o qualcosa del genere!
Come avevo fatto a sopravvivere? Perché mi era pia-
ciuto il fuoco che mi colpiva?
«Brody!» urlai. Silenzio.
Corsi verso il punto in cui era stato in piedi, sperando
di vedere delle orme nella cenere. Invece, trovai la punta
d'oro del suo bastone di legno, così come l'impianto chi-
rurgico che gli avevano messo al ginocchio. Spostai la ce-
nere, scoprendo l'asta di titanio che era stata attaccata alla
sua spina dorsale.
Questo è mio fratello. Brody era morto.
Una rabbia come non avevo mai sperimentato esplose
dentro di me, il bisogno di uccidere…
Il terreno si frantumò tra i miei piedi. Urlai, affondan-
do su un lato. Quando la fessura si fece più ampia, scattai
verso il parcheggio, correndo alla massina velocità tra le
auto bruciate. Ma la fessura continuava a crescere, il
margine proprio alle mie dannate calcagna, come se mi
stesse inseguendo! Le auto rovesciarono giù, la cenere ro-
teò nell'aria fino a quando riuscii a malapena a vedere, a
malapena a respirare.
Mi catturerà, poi andrò dritto all'inferno!
Il pavimento scomparve sotto di me. Barcollai a
mezz'aria e mi aggrappai al bordo del cratere, scavando
le dita nell'asfalto fatiscente.
53
Soffocando per la cenere. Il cuore tonante. Le gambe
che si agitavano per trovare un punto d'appoggio.
Quando mi arrampicai con una presa migliore, guar-
dai da sopra la spalla. La spaccatura si estendeva tanto
verso il basso che non avrei mai smesso di cadere. Come
se fosse infinita.
Una folata di vapore risalì, bagnandomi la pelle. Le
mie dita iniziarono a cedere. Tieniti, Richter! Tieniti, stron-
zo!
Un dito scivolò… due in più… una mano.
Sto per morire. Un urlo eruppe dai miei polmoni. Stavo
penzolando da tre dita quando un'altra folata mi investì
da sotto.
Fine dei giochi…
Caddi.
Centimetri? Ma che…?? Mi accigliai guardando i miei
piedi. Il mio corpo si stava… sollevando?
Tutt'intorno a me la lava gorgogliò in su, avvolgendo-
mi come una morbida coperta.
Non bruciava. No, la lava mi portò soltanto in avanti.
Come un regalo dall'inferno…
54
Lo Ierofante (V)
Guthrie, Lui dei Riti Oscuri
55
Gli Amanti (VI)
Vincent e Violet, il Duca e la Duchessa, i Più Perversi
56
Il Centurione (VII)
Kentarch Mgaya, Campione Vittorioso
57
All'ombra del Monte Kenya
Giorno 0
58
Anche se mia moglie aveva temuto che un leone mi
prendesse, un predatore molto più pericoloso mi aveva
colto nel suo mirino.
Uno sparo risuonò sugli altri, echeggiando sulla pia-
nura. Attraversò con uno scoppio il mio camion, a pochi
centimetri dalla mia testa. Un fucile da caccia di grosso
calibro. La gasolina cominciò a riversarsi da un buco nel
serbatoio.
La sparatoria s'indebolì. «Tu non appartieni a questo
posto, soldato!» urlò uno dei bracconieri. «Non saresti
mai dovuto venire!»
Volevano vendetta per la morte dei loro uomini du-
rante una sparatoria precedente con le mie guardie fore-
stali di salvaguardia. Oggi questa banda mi aveva sor-
preso a guidare da solo per il recupero degli attrezzi che
avevo utilizzato per un'esercitazione, il mio ultimo com-
pito prima dell'inizio del mio congedo.
«Arrenditi, e vivrai,» gridò un altro. «Resisti e morirai.
Questa è la tua ultima possibilità di andar via.»
Una bugia. Giustiziavano tutti coloro che deponevano
le armi.
Tuttavia la resa ancora allettava. La mia bella Issa mi
stava aspettando a casa stasera. Il mio desiderio di torna-
re da lei giocava brutti scherzi alla mia mente, sussur-
rando: «Questi uomini stanno dicendo la verità. Certo
che ti permetteranno di andare a casa.»
Imposi a me stesso di accettare la realtà. Morirei se lot-
tassi, morirei se non lo facessi.
Sono già morto.
Riprodussi Issa che tracciava le cicatrici ad artiglio sul
mio petto, chiedendomi di non prendere questo incarico
al parco a causa dei leoni. Le avevo spiegato che avevo
59
guadagnato quelle cicatrici. Avevo sentito il leone impaz-
zito ruggire per la rabbia, avvertendomi di tenermi a di-
stanza, eppure l'avevo stupidamente pedinato.
Le avevo giurato che sarei stato al sicuro perché non
avrei mai ignorato ancora una volta un avvertimento.
Ma ora ero un uomo morto. L'odio per questi bracco-
nieri mi ribolliva dall'interno. Potevo almeno portare con
me alcuni di loro. «Nessuna resa!» Balzai in piedi, vol-
tandomi e puntando i finestrini rotti del mio camion. Due
colpi controllati. Colpii un bracconiere tra gli occhi. Un
altro al cranio. Mi lasciai scivolare. «Non oggi!»
Aprirono il fuoco con le loro mitragliatrici, spruzzan-
do proiettili.
Tra gli spari, colsi un suono diverso, un elicottero? Che
proveniva da dietro il crinale? Se fosse l'elicottero del
parco, potrei sopravvivere. Se fosse il loro, sarei morto.
Un momento di calma. Sparai un altro colpo, colpendo
il mio terzo obiettivo. Rimase un proiettile.
L'elicottero apparve sopra la collina…
Non il nostro. Due tiratori all'interno mi avevano in
pugno.
La vita di un uomo morente balenava davvero davanti
a lui. La mia era stata riempita di polarità e di estremi.
Forze fondamentali in combattimento.
Vecchio e nuovo. Vita e morte. Amore e odio.
L'antica tradizione Masai si scontrava con la mia mo-
derna vita militare. Avevo cacciato leoni da ragazzo, ora
li proteggevo.
Consegnavo la morte a così tanti uomini, tre soltanto
questa giornata, ma Issa ed io stavamo cercando di avere
un bambino.
60
Il mio amore per lei mi lasciava barcollante a volte. Ma
così faceva il mio odio per i miei nemici.
Al di là dell'elicottero, il Monte Kenya si ergeva orgo-
glioso. La mia famiglia aveva vissuto, combattuto, amato
ed era morta nelle pianure per secoli. Il sole colpiva il
picco.
Il mio istinto era quello di chiudere gli occhi. Ma rifiu-
tai. Raddrizzai il mio berretto e pregai il mio spirito
guardiano. Forse i miei antenati si erano sbagliati, forse
c'era un aldilà.
Mi alzai con il fucile nella mano tesa, la posizione di
resa. Li fissai dall'alto, stando in piedi tanto fieramente
quanto la montagna. Ma sarei stato tanto imprevedibile
quanto un leone. Strattonai il mio fucile alla spalla e spa-
rai l'ultimo proiettile, colpendo il pilota…
Gli spari eruttarono dall'elicottero.
Non sentii alcun dolore. Ero morto? Decine di proietti-
li erano passati attraverso il mio corpo. Improvvisamente
mi sentii senza peso, dovevo star lasciando questo mon-
do.
Desideravo soltanto poter vedere Issa per l'ultima vol-
ta.
Quando l'elicottero precipitò nel crinale, chiusi gli oc-
chi, chiudendo la copertina sul libro della mia vita.
Attesi.
E attesi.
Quando aprii gli occhi, mi ritrovai nella camera da let-
to del nostro piccolo appartamento a Nairobi. Ero già un
fantasma? Issa venne fuori dal bagno pieno di vapore,
avvolta in un asciugamano. Il suo viso si illuminò in un
sorriso.
Riusciva a vedermi?
61
In un tono felice, disse: «Sei in anticipo! Volevo che
tutto fosse pronto quando fossi arrivato. L'appartamento
doveva odorare di nyama choma e biryani, ed io sarei
stata presentabile. Sawa Sawa.» Nessun problema. «Cam-
bierò giorno.» Si affrettò a darmi un abbraccio. «Ooh,
puzzi di benzina.» Ma non mi lasciò.
Non avevo ancora parlato, non mi ero mosso. Dovevo
essere vivo. Forse avevo avuto un crollo mentale.
Lei si ritrasse. «Hujambo?» Tutto bene?
Finalmente trovai la voce. «Sijambo.» Sto bene. Mi tolsi
il berretto. La mia gola era stretta quando dissi, «Sono
molto contento di vederti, Issa.»
Più tardi quella sera, eravamo a letto, a condividere
una bottiglia calda di Tusker.
E se questa notte con Issa fosse tutto un sogno? Se mi
addormentavo, poteva giungere la fine.
Il pensiero mi raggelò. Decisi di rimanere sveglio il più
a lungo possibile, per trascorrere più tempo che potevo
con lei.
Si era rannicchiata contro di me, stava ancora una vol-
ta tracciando le cicatrici sul mio petto. La pelle che
avrebbe dovuto essere colma di fori di proiettile.
Per tutta la notte ero stato a riprodurre la sparatoria.
Quei proiettili mi avevano attraversato come se fossi già
stato uno spirito.
«Non tornare indietro,» disse Issa con uno sguardo
pensieroso sul suo bel viso.
Non punire i miei nemici? «Parliamone domani.» Oggi
era stato abbastanza strano. Dopo il ritorno a casa dalla
follia del parco, avevo ricevuto un pacchetto bizzarro: un
telefono satellitare con un numero programmato, sigilla-
to in una custodia di grado militare. Li avevo visti nel
62
mio addestramento. La custodia avrebbe resistito al fuo-
co, all'acqua, persino ad un impulso elettronico.
Leggere il biglietto d'accompagnamento mi aveva
provocato un'ondata di vertigini:
Centurione,
Quando la fine ha inizio, contattami.
Morte
63
Sollevai lo sguardo con un cipiglio quando una brezza
calda soffiò attraverso le finestre aperte, facendo frusciare
le tende. Le notti erano solitamente fredde qui in questo
periodo dell'anno.
Issa disse, «Così caldo?»
Delle grida risuonarono all'esterno. Mi alzai e andai il
balcone per indagare. Il cielo crebbe di luminosità davan-
ti ai miei occhi. Fantastiche luci cominciarono a brillare
all'orizzonte.
Che meraviglia era questa? «Issa, vieni. Devi vedere.»
Alzai gli occhi in soggezione.
Si unì a me alla ringhiera del balcone, e guardammo
insieme lo spettacolo. Lei sussurrò: «Ajabu.» Incredibile.
Grazie alla pura volontà, mi costrinsi ad allontanare
gli occhi dal cielo. Sebbene desiderassi fissare quelle luci,
mia moglie era la meraviglia della mia vita. Preferirei di
gran lunga osservare lei, perché potrei avere i giorni con-
tati con lei.
Un suono fragoroso rotolò nella notte. Quando crebbe
di intensità, il mio sangue divenne freddo. «L'hai senti-
to?» Non sapevo cosa stava creando quel suono, ma re-
cepii il messaggio.
«Hmm?» mormorò Issa senza pensieri come le luci
danzavano nei suoi occhi.
Il suono era il ruggito d'avvertimento di ogni leone che
era mai vissuto…
64
La Forza (VIII)
Lark Inukai, Signora della Fauna
A.k.a.: Tempra
Poteri: Manipolazione degli animali (capace di con-
trollare tutte le creature). Divinazione animale (può
prendere in prestito i sensi degli animali). Generazione
degli animali (il suo sangue influenza la fisiologia delle
creature e li può rendere suoi famigli). Sensi potenziati,
visione notturna.
Abilità speciali: guarigione e addestramento degli
animali.
Armi: predatori bestiali.
Immagine: Una ragazza delicata in una veste bianca
che controlla le fauci spalancate di un leone.
Icona: Stampa della zampa.
Caratteristiche arcane uniche: Possiede artigli e zan-
ne. I suoi occhi diventano rossi quando mischia i sensi
con quelli di una creatura.
Prima del Lampo: studentessa di scuola superiore e
addestratrice di animali, che vive nella struttura di un
miliardario eccentrico.
65
Tana del Pazzo
Giorno 0
66
Il serraglio era grande come un'arena, che ospitava
centinaia di creature. Come calmarli tutti? Camminai in
tondo. Avevo bisogno di essere faccia a faccia perché la
mia magia funzionasse. Non con centinaia!
Potevo medicarne alcuni, bagnarne altri, ma non ci sa-
rei riuscita in tempo con tutti.
Più sangue, più ringhi, più danni. Girai più veloce, ur-
lando, «CALMATEVI TUTTI, MALEDIZIONE!»
Silenzio. Mi placai, guardandomi intorno. Gli animali
mi fissarono da tutti i lati con gli occhi sbarrati, immobili.
Dannazione, ero brava.
Era tempo di assegnare un grado d'urgenza a questa
crisi. Scricchiolai il collo sulla strada verso la linea più vi-
cina di recinti. Feci delle valutazioni, ma trovai ovunque
lesioni.
Forse il capo non avrebbe notato che poche decine di
animali erano pallidi. Mentre passeggiavo attraverso le
recinzioni lungo il lato nord, deglutii dalla paura al pen-
siero di spiegarlo al signor Deth. Non era crudele o altro,
solo davvero intimidatorio.
In parte perché era ricco come non mai (tipo, Richie
Rich), anche se era solo poco più che ventenne.
In parte perché era bello da mozzare il fiato. Voglio di-
re, con capelli biondo chiaro per cui morire, volto ab-
bronzato, e vividi occhi color ambra.
E in parte perché era pazzo…
Nessuna ferita mortale sul lato nord! Mi precipitai ver-
so quello ovest. Avevamo perso uno dei tre bandicoot, e
un canguro aveva una coda rotta…
Mi fermai nel bel mezzo. I puma avevano aperto la lo-
ro gabbia a morsi! Quattro si stavano comportando come
velociraptor! Solo non cordialmente.
67
Allora, dov'erano?
Sentii un ringhio alla parete sud dei recinti e corsi co-
me un pipistrello fuori dall'inferno. «Merda, merda!» Mi
fermai di colpo davanti all'habitat dei lupi.
I due adulti erano stati triturati, i loro corpi senza vita
nella segatura. Erano morti per proteggere i loro cuccioli.
I puma avevano accerchiato i tre. I cuccioli indietreg-
giarono, piagnucolando, il sangue su di loro. Ah, Dio, al
piccolo cucciolo mancava un occhio.
Un puma aveva la zampa sollevata per un colpo mor-
tale.
Non pensai, mi gettai in mezzo allo scontro. Il puma
artigliò la mia gamba, ringhiando la sua furia.
«Oh, stronzo! Uscite!»
I quattro agitarono le loro code. È chiaro che non ave-
vano intenzione di rinunciare alla loro preda. Deglutii
per la paura.
Poi ricordai: ero Lark Inukai. Rendevo inoffensivi gli
assassini. Trovavo i loro punti deboli e li sfruttavo spieta-
tamente.
Mi focalizzai sulla femmina, fissandola. Per i maschi,
sarebbe sembrato che l'avessi puntata per l'attacco. Snu-
dai i denti e le ringhiai.
I tre maschi batterono le palpebre, le code che diven-
tavano immobili. Non avrebbero voluto perdere il loro
unico cucciolo.
«FUORI! ADESSO!»
Sobbalzarono, voltandosi a mezz'aria per precipitarsi
alla loro gabbia. «Proprio così, stronzi!»
Esalando un respiro, mi inginocchiai accanto ai cuccio-
li. Il loro stesso sangue arruffava la pelliccia. Avevano bi-
sogno di un veterinario per rattopparli. Richiamami, papà!
68
«Venite qui, piccoli ragazzi.» Li esaminai come meglio
potevo, valutando le loro ferite. Pensai che sarebbero so-
pravvissuti, ma i muscoli erano stati recisi, la loro pelle
lacerata. Le loro facce artigliate. Il più piccolo sarebbe ri-
masto mezzo cieco. «Immagino che ti chiamerò Ciclope,
eh?»
I miei occhi lacrimarono, e caddi di nuovo a terra.
Due lupi morti sotto la mia sorveglianza, e tre cuccioli fe-
riti. Il branco era stato decimato. Per non parlare di tutti
gli altri animali.
I cuccioli leccarono la mia ferita sanguinante, il loro
modo di mostrare affetto. «Apprezzo il gesto, piccoli ra-
gazzi, ma starò bene. Venite, usciamo da qui.» Li volevo
lontani dai loro genitori morti.
Raccolsi i tre e mi diressi verso un recinto vuoto. «Ec-
coci.» Li posi delicatamente a terra, poi li chiusi dentro,
facendomi coraggio quando gemettero in preda al pani-
co. «Devo dare un'occhiata a tutti. Tornerò presto.»
Mi affrettai a superare la quarta parete di recinti.
Avevamo perso altri animali, ma ogni altra lesione pote-
va reggere per ora.
I lupi avrebbero avuto la priorità. Avrei pulito le loro
ferite e somministrato un sedativo/antidolorifico. Quan-
do mi diressi verso la camera di approvvigionamento, ti-
rai fuori il telefono, cercando nuovamente papà.
Sarebbe rimasto così deluso da tutto questo. Aveva
preso l'abitudine di fare poche promesse e sopra conse-
gne con il capo.
Ancora nessuna risposta? Il panico mi invase. No, no,
papà era appena uscito da un'area di servizio. Tra le an-
tenne.
69
Calma il tuo petto, Lark. Non mi avrebbe mai abbando-
nata.
Infilai il telefono di nuovo in tasca. Questa sera sareb-
be stata lunga.
Maledizione, come ero finita in questa situazione? Ci
avevo a malapena creduto quando papà aveva venduto
la sua attività e preso questo lavoro. Certo, il suo gigante-
sco stipendio non era esattamente mangime per polli, ma
avevo avuto una vita: scuola, amici, la mia attività di ad-
destramento. Avevo dovuto rinunciare a tutto per colpa
di Mr. Deth.
A papà piaceva davvero il tizio. Mi aveva detto che
non aveva mai incontrato un uomo più intelligente o più
solitario.
Riuscivo a vedere entrambi. Il boss non aveva mai
avuto un visitatore fuori da questo composto isolato. Le
uniche chiamate che riceveva erano sulle spedizioni di
approvvigionamento. Se il suo telefono squillava, non
guardava mai il numero e sorrideva quando rispondeva.
In realtà, non l'avevo mai visto sorridere.
La sua solitudine mi aveva confusa. Era ricco e sexy,
alto, con un fantastico corpo, e aveva questo accento
davvero figo. Lettone o qualcosa del genere. Il che spie-
gava lo strano cognome.
Gli avevo detto una volta, «Il tuo nome suona come la
morte, nel senso di morire.»
Il suo volto era stato completamente inespressivo
quando aveva detto, «esatto, allora?»
Mi ero domandata perché fosse solo, fino a quando
aveva lasciato intendere che il Pezzo Forte stava arrivan-
do. Stava fortificando la sua struttura di montagna per
qualche catastrofe.
70
Tutto aveva cominciato ad avere un senso. È uno di
quei folli pronti al giorno del giudizio. La sua pazzia gli ave-
va impedito di trovare amici o una fidanzata. Probabil-
mente aveva anche la fobia dei germi, il tizio indossava i
guanti tutto il tempo.
Girai l'angolo e quasi mi scontrai con lui. Il mio respiro
che si mozzava in gola, allungai la testa fino ad incontra-
re il suo sguardo. «Mi hai spaventata!» Ero nervosa come
un gatto sui carboni ardenti. «Uh, cosa succede, Capo?»
«Dobbiamo tornare al castello. Una tempesta sta arri-
vando.»
Strano. «Verrò tra un secondo. C'è stata una piccola,
uh, situazione» – bagno di sangue – «con gli animali.» Co-
me sarei potuta venir fuori da questa storia?
«Sì, avverto l'odore del sangue e della morte. Ma que-
sto non importa. Torniamo. Ora.» Mi afferrò per il gomi-
to, sorprendendomi.
«Um, i puma non sono completamente protetti. E ci
sono alcune ferite che necessitano di cure.» I miei piccoli
lupi…
«Più tardi.» Mi guidò verso l'uscita.
Fuori, un vento caldo soffiava, così diverso dalla fresca
brezza che normalmente si sollevava qui. Poi quasi in-
ciampai. Il cielo era illuminato da splendidi flussi di colo-
re. Anche il capo si fermò, fissandoli.
La mia preoccupazione per gli animali sbiadì quando
mi perdevo in quelle luci. Mormorai, «Dio, sono così bel-
li.»
«Belli?» Cominciò a trascinarmi verso il castello. «Ri-
corda: bello significa che dobbiamo allontanarci.»
Ma non potevo! Non volevo mai allontanarmi. «Devo
guardarle un po' più a lungo. Vi prego, Capo!»
71
Mi costrinse ad entrare. Ero tentata di superarlo per
un'altra occhiata, ma premette alcuni tasti su una tastiera
a muro.
Il ronzio risuonò tutt'intorno a noi. Ci volle un mo-
mento per comprendere, lui stava chiudendo le persiane
alle finestre e le porte! Come sarei uscita? «Perché stai
chiudendo? Devo andare a controllare gli animali appena
possibile.»
«Il serraglio sarà protetto contro qualsiasi approccio.»
I piccoli peli sulla nuca si sollevarono. «Cosa si sta av-
vicinando?»
«Una catastrofe.»
Pazzo! «Come il Pezzo Forte?» La mia situazione di-
venne brutalmente chiara. Ero intrappolata in una fortez-
za sulla montagna con un pazzo. «Uh, devo davvero met-
termi in contatto con mio padre.»
«Fa' pure.» Lui sventolò una mano guantata. «Digli di
allontanarsi dalla luce e cercare un riparo immediato.»
Tirai fuori il telefono, digitando il numero. Rispondi,
papà, per favore rispondi! Segreteria telefonica. Ricomposi.
Avevo appena riposto il mio cellulare quando la mia
vista si oscurò e si oscurò ancor di più, fino a quando non
riuscii a vedere nulla. «Oh, Dio, cosa sta succedendo??»
Battei le palpebre più e più volte. Improvvisamente, riu-
scii a vedere di nuovo all'interno del serraglio. Piansi, «Co-
sa sta succedendo?» Dall'altra parte del recinto centrale,
vidi dei cuccioli. I tre stavano crescendo davanti ai miei
occhi, le loro ferite che guarivano e si cicatrizzavano.
Erano enormi, più grandi di qualsiasi lupo avessi mai
visto. «I-io penso di star impazzendo!»
«Fauna, calmati,» disse il Capo. «È normale.»
72
Battei le palpebre. Forte. E di nuovo. Nel più breve
tempo possibile la mia vista era divenuta traballante, fu
restaurata. Fissai il signor Deth. «Chi diavolo è Fauna?»
«Hai fuso i sensi con una delle tue creature. Hai visto
attraverso gli occhi di un animale.»
«A) Di cosa stai parlando? E, B) Quello che ho visto
non può accadere.»
«Che cosa hai visto?»
«I cuccioli di lupo stavano crescendo. Erano… enor-
mi.»
Abbassò lo sguardo sulla mia gamba ferita. «Hanno
assaggiato il tuo sangue?»
Annuii.
Alzò un sopracciglio. «È stato inaspettato. Sì, il trio di-
venterà abbastanza grande.»
«Perché? Che cosa ha a che fare con il mio sangue?»
«Vieni con me,» disse, dirigendosi verso la camera di
sicurezza. Lo seguii con passo esitante. «Siediti.» Indicò
una sedia di fronte alla telecamera che fissava l'esterno
del castello.
Mi abbarbicai sul bordo della sedia. «Devi dirmi cosa
sta succedendo perché sto impazzendo.»
Con il suo sguardo sugli schermi, disse, «Le carte vin-
centi di un mazzo di Tarocchi – Arcani Maggiori – sono
reali. Sei la Forza. Conosciuta anche come Fauna.»
Perché questo suonava così… giusto?
«Io sono la Carta della Morte.»
«Come il t-tuo cognome? Deth?»
Lui scosse la testa. «Come il Triste Mietitore.»
Un basso rombo ronzò nelle orecchie. Suonava così
lontano mentre continuava la sua spiegazione pazzoide:
73
«…ventidue giocatori in un gioco letale… reincarnati
ogni pochi secoli… poteri speciali individuali per ogni
carta… per colpirci l'un l'altro… assassino mortale con un
solo obiettivo.»
Doveva essere pazzo come una lepre marzolina, con i
pipistrelli nel campanile. Eppure mi sentivo come se i
pezzi del puzzle si stessero mettendo in posizione.
«…giurami fedeltà, e ti insegnerò molto sul gioco, co-
me se la tua famiglia te l’avesse raccontato. E ti farò vive-
re più a lungo rispetto agli altri.»
«Wow.» Lasciarmi vivere? «Stai dicendo… intendi dire
che mi ucciderai?» Che domanda stupida, quanti assassini
l'avrebbero mai ammesso?
Nella sua voce profonda e accentata, mi disse: «Sì,
Fauna. Con il tempo, mi prenderò la tua vita.» Mi stava
tranquillamente dicendo che mi avrebbe ammazzata.
«Potrebbero rimanere un paio d'anni prima di allora.
Forse riuscirai ad abbandonare la tua giovinezza. Non ho
ancora deciso.»
Suonava così sicuro che quasi vomitai dalla paura.
Il rombo si fece più forte. Non soltanto nelle mie orec-
chie?
Morte tacque, inclinando la testa. «Si comincia alla fi-
ne. La resa dei conti arriva.»
«Mio padre è là fuori!»
«Sì.»
Un'esplosione di luminosità illuminò gli schermi, il ca-
stello tremò. Le telecamere si spensero, lasciando solo
elettricità statica.
***
74
Ero rannicchiata e piangevo nel mio letto, terrorizzata
per papà e per me stessa. Qualche catastrofe stava acca-
dendo là fuori, il che significava che Morte aveva avuto
ragione circa il Pezzo Forte.
Gli credevo sul gioco. Credevo che avrebbe ucciso altri
ragazzini uno ad uno fino a quando alla fine sarebbe ar-
rivato a me.
Credevo che non avrei più potuto rivedere il sorriso
paziente di mio padre. Avevo perso entrambi i miei geni-
tori? Anche se odiavo la mia mamma, non volevo che
morisse. In queste ore terrificanti, avevo anche provato il
suo vecchio numero. Nessuna delle mie telefonate era
connessa.
Papà, ti prego, sii al sicuro. Per favore, ritorna. Un tizio
pazzo vuole uccidermi.
Cosa poteva essere accaduto? E se papà fosse ritorna-
to, ma Morte mi avesse già ammazzata? Seppellii la fac-
cia nel cuscino per attutire il mio grido. Poi rammentai
qualcosa.
Ero Lark Inukai la pazzoide. Mi misi a sedere, asciu-
gandomi le lacrime. Rendevo inoffensivi gli assassini. Di-
sinnescavo la loro aggressività. Scoprivo i loro punti de-
boli e li sfruttavo spietatamente.
Tu non mi conosci, Morte.
Ogni creatura pericolosa aveva un debole. Avrei trova-
to il suo. Se si supponeva che giocavamo per vincere,
avrei dominato.
Tu non mi conosci affatto…
75
L'Eremita (IX)
Arthur, Maestro dell'Alchimia
A.k.a.: L'Alchimista
Poteri: iper-intelligenza, iper-cognizione, chimica sa-
piente, astuzia. Creatore di pozioni e maestro di elisir.
Abilità speciali: si comporta normalmente.
Armi: pozioni del dolore, granate acide, bisturi.
Immagine: Un uomo invecchiato e ammantato che
tiene una lanterna nel buio.
Icona: Una lanterna luminosa.
Caratteristiche arcana uniche: Appare anziano quan-
do utilizza i suoi poteri.
Prima del Lampo: sequestratore in escalation e serial
killer.
76
La Fortuna (X)
Azara “Zara” Bonifácio Félix, Signora dell'Opportunità
77
San Paolo, Brasile
Giorno 0
78
Mi alzai per lasciare a Papai la sua sedia, poi balzai su
un angolo della scrivania. «Stavo pensando al mio viag-
gio. Parto questa sera.»
Si lasciò cadere sulla sedia. «O potresti coprirmi al la-
voro questa settimana, invece.»
Avevamo fatto più volte questo discorso. Voleva che
mi concentrassi sul nostro business. A ventitré anni, ero
un pilota esperto, una tiratrice scelta, e una combattente
addestrata, ma non avrei riconosciuto un foglio di calco-
lo, se mi avesse colpito con un machete. «Ho un solido
vantaggio sugli Olivera.» Una volta localizzato il loro ri-
fugio, l'avrei bruciato con il mio nuovo giocattolo.
Quando avevo undici anni, avevano ucciso mia ma-
dre. Avevo dato loro la caccia nell'ultimo anno, da quan-
do ero venuta in possesso delle mie quote azionarie
Dragão. Con i soldi, avevo finanziato altro addestramen-
to, armi, e un equipaggio.
La mia vita era stata modellata dalla vendetta, e pos-
sedevo il temperamento ideale per essa. Papai aveva det-
to una volta che ero nata sanguinaria, non si era sbaglia-
to.
Ora espirò, sembrando più vecchio dei suoi anni. Era
atletico e in forma, ma lo stress lo buttava giù. «Come
puoi continuare ad inseguire questa vendetta?»
Il mio noto temperamento aumentò come un motore a
turbina sotto stress. «Come puoi tu non farlo?» Delle voci
dichiaravano che Papai aveva iniziato come un criminale,
guidando il suo stesso equipaggio prima di aver sposato
Mamãe. Se fossi stata in lui, avrei attinto alle mie radici
per vendicarla. «Hanno ucciso tua moglie. Con la tua
reazione, mi chiedo se tu l'abbia amata dopotutto.»
La furia balenò nei suoi occhi. «L'adoravo.»
79
Tutti l'avevano fatto. Dopo la sua scomparsa, mia
nonna era morta di dolore, mio nonno si ubriacò fino a
morire precocemente. L'ultima cosa che mi aveva detto:
«Se vuoi giustizia per tua madre, dovrai prendertela da
sola.» Avevo quattordici anni.
L'avrei fatta pagare al clan Olivera per tutti e tre i de-
cessi.
Papai disse: «Se continui ad andare dietro a loro, pri-
ma o poi uccideranno la mia unica figlia ed erede. Poi
reagirei, e questa guerra durerebbe per sempre, fino a
quando non ci distruggeremo tutti.»
«Vorrei che mi venissero a cercare.» Anche adesso ave-
vo una Glock in una fondina sulla schiena e una lama tat-
tica nascosta nello stivale.
Il mio equipaggio scelto ed io avevamo già fatto fuori
due dei figli Olivera. Ora cacciavo il resto di quella gene-
razione, ma soprattutto Bento Olivera, il loro padre.
Era colui che aveva tagliato la gola di mia madre, dopo
che Papai aveva pagato il riscatto.
La mia mano andò alla mia pistola. Il solo toccare
l'arma raffreddò un po' il mio furore, focalizzandolo.
«Non voglio parlarne con te di nuovo. Ti ho solo fermato
per dirti che me ne vado.»
L'allarme antincendio risuonò.
Mi alzai, diffidente. Eravamo al cinquantesimo piano.
Mi piaceva il fuoco solo quando non mi minacciava. «Co-
sa sta succedendo?»
«Non lo so.» Papai visualizzò i video della sorveglian-
za sullo schermo del computer. I dipendenti stavano
uscendo in fila al piano di sotto. Gli investitori si erano
imbarcati sulla piazzola, stavano per volare.
80
Papai valutò i video. «Nessun segno di fuoco. Forse
dovremmo raggiungere la camera di sicurezza.»
«Quale?» Ne avevamo due, una a livello del suolo per
incendi o disastri naturali e una su questo piano per
un'incursione nemica o attacco.
«Il mio istinto mi dice di andare giù.» Papai aveva un
sesto senso per queste cose. Guardò la sua libreria. Alle
sue spalle vi era l'ingresso alla camera di sicurezza di
questo piano e all'ascensore privato. «Dovremmo pren-
dere l'ascensore.»
Annuii. «Andiamo…» Bam! Qualcosa si era schiantato
contro la parete di vetro.
Un uccello? E aveva lasciato una macchia di sangue e
piume. Poi un altro colpì il vetro. E un altro. Una mezza
dozzina di uccelli vi erano volati direttamente contro.
«Che strano.» Soprattutto il sangue, constatai. «Papai,
guarda!» Le più belle fasce di luce balenarono nel cielo
notturno. Brillavano di verde e viola sopra le montagne.
Lui si voltò verso la parete di vetro e fece un sospiro.
«Straordinario.» Fianco a fianco, guardammo le luci.
Mormorai, «Potrei guardarle per sempre.»
L'elicottero Dragão con gli investitori era decollato e
ora sorvolava proprio di fronte a noi, bloccando la mia
visuale delle luci, irritandomi. Supposi che il pilota fosse
altrettanto in trance.
Un altro elicottero andò alla deriva verso di esse. Quei
piloti stavano per aggrovigliarsi se non stavano attenti.
Costeggiarono sempre più vicino. Il pilota Dragão non
fece nulla per eludere. Più vicino. «Papai?» Più vicino.
Lui non rispose, completamente coinvolto dalle luci.
Più vicino! «Papai!»
81
Le pale del rotore ringhiarono. Le turbine gemettero
quando gli elicotteri si lanciarono contro questo edificio.
Verso questo muro.
Uno stava arrivando col muso, l'altro con la coda. «At-
tento!» Spintonai papai poco prima dell'impatto…
Le pale del rotore colpirono, il vetro andò in frantumi
in un incidente assordante.
Dei frammenti si conficcarono alle pareti. Un chiodo
mi superò, mancandomi la gola per un pelo.
«Zara!» Papai era arrivato alla porta.
Ero intrappolata tra le lame in vita! La trave di coda di
uno degli elicotteri oscillò per l'ufficio, il suo più piccolo
rotore come una falciatrice. Maciullò qualsiasi cosa lungo
il suo percorso, carta e detriti volarono in un vortice, i ca-
pelli che frustavano il viso e gli occhi. Non riesco a vede-
re!
Qualcosa m'inchiodò il fianco. «Ahh!» La forza mi fece
sollevare i piedi sulla pancia, l'aria che lasciava i miei
polmoni. Un tagliente paletto di legno cadde a terra ac-
canto a me.
Non ero trafitta? Il legno aveva colpito la mia pistola!
Mi gettai e affondai all'indietro finché non incontrai il
muro.
Tutt'un tratto l'aria si schiarì, perché quella coda si
trovava sopra di me! Non c'era tempo per mettermi in
piedi. Di correre. Sono intrappolata.
Come al rallentatore, la trave di coda si diresse verso
di me.
«Zara, abbassati!» gridò papai dalla porta.
Mi appiattii sulla schiena e voltai la testa una frazione
di secondo prima che le pale del rotore galleggiassero
sopra il mio viso. Il ronzio metallico scansò il mio orec-
82
chio di millimetri. Urlai ed urlai, la mia voce distorta dal-
la rotazione.
Poi… libera. Fissai in stato di shock quando la coda mi
superò.
«Vieni, Zara! Corri adesso!»
Teneva la porta aperta con un braccio, cullandosi il la-
to con l'altra. Ferito? Il sangue imbeveva il fianco della
sua camicia e striava il viso.
Faticai a mettermi in piedi, i polmoni che palpitavano
aria fumosa. L'odore del carburante impregnava, le pale
ubriache ancora ruotavano. Guardai la libreria, la nostra
uscita, bloccata dalla fusoliera dell'elicottero del Dragão.
I sopravvissuti rimasero intrappolati all'interno. Urla-
rono, chiedendoci aiuto. Avrebbero dovuto avere paura,
ciò che restava delle pale avrebbe potuto squarciare il
pavimento e precipitare fuori dalla finestra, come una
presa di pneumatici. O il motore avrebbe potuto innesca-
re tutto quel combustibile.
Barcollai verso Papai, seguendo la parete. Frammenti
di vetro sporgevano da esso come aculei di un porcospi-
no.
Ci allontanammo zoppicando dallo schianto, dirigen-
doci verso il lato opposto dell'atrio che si elevava del
piano.
«Sei ferita?» chiese.
«Sto bene.» Ma lui no. «Cosa ti è successo?»
«Schegge dalla scrivania.» Mi guardò. «Come puoi
non avere un graffio addosso?»
Scossi la testa. «Non ho idea.»
Con un ultimo thunk thunk! questi rotori alla fine s'in-
cepparono e si arrestarono. Gli uomini urlarono e colpi-
rono gli sportelli. L'elicottero si era spostato verso il bor-
83
do della stanza? Forse penzolavano. In caso contrario,
erano stati fortunati.
L'elettricità del palazzo tremolava, le luci d'emergenza
lampeggiavano. L'allarme balbettò, passando a un ronzio
intermittente.
Una folata di vento rovente scosse l'edificio, filtrando
attraverso quel muro mancante per raggiungere Papai e
me. I soffitti di vetro e le pareti dell'atrio gemevano in-
torno a noi.
Anche se l'aria era calda, ebbi i brividi lungo la nuca.
«Ascolta. Cos'è quello?»
«L'allarme?»
«No. Più forte.» Sentii un… boato?
Il cielo divenne sempre più luminoso. I grattacieli vi-
cini ondeggiarono al vento. Sotto i miei piedi, questo
piano tremò. Papai ed io ci scambiammo uno sguardo.
Eravamo in cima alla struttura più alta della città, in un
atrio di vetro.
Come punto di riferimento, avevamo orgogliosamente
messo in scena il nostro ultimo modello di elicottero in
aria, oscillò sopra di noi.
Papai mormorò, «Meu Deus,» spostando la mia atten-
zione dall'elicottero.
Quello che sembrava un laser gigante stava puntando
verso di noi. L'onda d'urto fece saltare le finestre degli al-
tri edifici mentre si avvicinava. «Papai?»
«Deve essere una bomba. Dobbiamo raggiungere il
suolo! Dirigiamoci verso le scale!»
Mentre correvamo davanti alla porta del suo ufficio,
mi voltai. I sopravvissuti freneticamente davano calci alla
porta dell'elicottero, proprio quando li superammo, il re-
litto esplose contro lo stipite della porta. La fusoliera si
84
accartocciò come un barattolo di latta, il sangue schizzò
all'interno del parabrezza. L'elicottero s'inserì dentro il
buco della porta, ma l'impatto ci scosse ancora, gettando
papai e me sul pavimento.
Dietro di noi, l'atrio andò in frantumi.
Strisciammo lungo la galleria verso la tromba delle
scale. «Continua così!» mi disse da davanti. «Non rallen-
tare! E non guardare la luce.»
L'edificio tremò. Accanto a me, una statua in bronzo di
Papai si rovesciò. Mi arrampicai in avanti. Non l'avessi fat-
to. Mi preparai all'impatto, ma la parete opposta si era
inarcata, catturando la testa della statua! Come un cuscino
friabile. Il corpo di bronzo era sospeso proprio sopra di
me, tenuto in alto da quel muro cadente.
Mi affrettai, la statua cadde. Boom!
Guardai di nuovo in stato di shock. Era atterrata a po-
chi centimetri dai miei piedi. «Hai visto?» chiesi a papai.
Le probabilità di schivarla dovevano essere state una su
un milione.
«Continua a muoverti!»
Raggiungemmo la porta delle scale. Si alzò in piedi,
poi afferrò la mia mano per tirarmi su.
Quando la nostra pelle entrò in contatto, i suoi occhi si
spalancarono, i miei si ridussero. Avevamo entrambi sen-
tito una sorta di passaggio d'energia tra noi.
«Cos'è stato?» chiesi.
Batté le palpebre, fissandomi negli occhi. «I-io non lo
so.» Mi aiutò ad entrare nella tromba delle scale. «Dob-
biamo continuare a muoverci.»
«Ti aspetto.» Mi spostai.
Ci precipitammo giù per le scale. Era in forma, tenen-
do il mio passo nonostante le ferite. Avevamo percorso
85
tre rampe quando l'edificio tremò di nuovo. La tromba
delle scale sembrò contrarsi su se stessa, muri che si cre-
pavano.
Un pannello del controsoffitto si aprì sopra papai, cavi
elettrici e l'impianto elettrico cadde nell'esatto istante per
intrappolare il suo collo!
Gridai, «Papai!» Attaccai i cavi d'accensione, scio-
gliendoli per liberarlo.
Pallido per lo shock e la confusione, si strofinò la gola.
L'edificio continuò a tremare, le vibrazioni sotto i nostri
piedi. «Continua… continua ad andare avanti! Non sa-
remo al sicuro fino a quando non saremo al pianterreno.»
Mi spinse davanti a sé. «Vai!»
Un paio di rampe sotto, un altro terremoto ci scosse.
Questa volta la scala si espanse con un'eruzione di fessu-
re della parete.
Un pezzo di metallo oscillò dal soffitto, arcuandosi
appena sopra il mio orecchio. Il tubo dell'irrigazione? Mi
voltai, lo vidi schiantarsi contro la cabina dell'estintore.
L'estintore libero cadde direttamente sul suo piede.
L'edificio sembrava intenzionato a distruggerlo!
«Porra,» urlò di dolore.
«Lascia che ti aiuti!»
Zoppicando in avanti, sbottò: «Vai.» Strinse i denti,
utilizzando una gamba e la ringhiera per saltare giù per
le scale.
Scendemmo decine di altre rampe senza problemi. Fi-
nalmente raggiungemmo l'ultima.
«Eccoci!» A tre passi dall'ultimo gradino, mi fermai ad
aspettare, tenendolo d'occhio.
«Sono proprio dietro di te. Dirigiti verso la camera…»
86
La ringhiera si liberò, cadendo sopra. Urlai quando
precipitò oltre me. Il bordo della ringhiera sfiorò la mia
giacca, mancandomi per un soffio.
Atterrò sui gradini con una gamba aggrovigliata nelle
barre, gemendo per il dolore.
Mi arrampicai verso di lui. «Papai!»
Il suo viso era sanguinante, gli occhi storditi. Il sangue
colava dal fianco, inumidendo le scale. «Penso di essermi
rotto la gamba.»
Mi allungai per sollevare la ringhiera. Troppo pesante.
Tentai di nuovo, muovendosi appena. «Devi aiutarmi,
dobbiamo liberarti.»
«Zara, qu-quando questo attacco finirà, prenderai l'eli-
cottero a lungo raggio. Vola a nord. Va da mio fratello in
Texas.»
«Non ti lascio!»
«L'edificio crollerà. I soccorritori ti troveranno. Ma sa-
rà troppo tardi per me.»
«Non parlare così, papai!»
Il suo viso era teso per il dolore.
«Devo confessarti… che ti ho derubata.»
«Di cosa stai parlando?»
«Il clan Olivera. Bento Olivera ha scoperto qualcosa
che avevo fatto… io-io ho sbagliato per primo.»
«Che cosa hai fatto?» Cosa avrebbe potuto fare papai per
giustificare l'omicidio di mia madre? Mi inginocchiai ac-
canto a lui, impaziente per la sua risposta mentre cercava
di parlare.
«Hanno preso tua madre perché… ho rapito sua mo-
glie anni prima.»
Olivera si vendicò? «Perché l'hai fatto? Per soldi?»
87
Lui annuì, poi fece una smorfia di dolore. Le voci dei
precedenti penali di papai erano state vere. «La donna mi
ha combattuto… Non intendevo… la pistola ha sparato.
Il proiettile nella sua spina dorsale.»
Il respiro proruppe dai miei polmoni. Avevo pensato
che Bento avesse scelto Mamãe su mille donne ricche del-
la città. Non ero mai stata in grado di capacitarmi della
casualità, come se mia madre fosse stata tradita per caso,
come se la sua vita fosse finita quando la sua fortuna era
terminata.
Ma era stata presa di mira. «Perché hai lasciato che des-
si loro la caccia? Senza dirmelo?»
«Ho voluto farlo, così tante volte. Ma non volevo che
tu mi odiassi. La bugia ha assunto una vita propria.»
Questa rivelazione mi stordì tanto quanto qualsiasi al-
tra cosa avessi visto stasera. «Ho creduto che l'avessero
presa perché erano avidi maiali!» E così avevo sventrato i
figli di Bento come maiali. Dopo che li avevo torturati.
«No. Vendetta.»
Gli Olivera non si sarebbero fermati. A causa di mio
padre. La furia mi assalì. «Tu hai iniziato questo, perché
tu sei stato avido. Mia madre è morta a causa tua! I suoi
genitori sono morti a causa tua!»
«Ed io andrò all'inferno per i miei peccati.» Quasi a se
stesso, disse, «separato per sempre da lei.»
Sarei ancora andata alla ricerca degli Olivera, ma non
avrei giocato con loro. Quella famiglia aveva soltanto cer-
cato di vendicare una persona cara.
Così io. Il loro crimine era uguale al mio. «Ho deside-
rato punire il responsabile della sua morte.» I miei pugni
si serrarono. «Perché non dovrei ucciderti?»
Lui mormorò: «Pensa che accadrà comunque, figlia.»
88
Un altro terremoto. Questo fu più forte e più intenso di
quelli precedenti e stava crescendo.
«Lasciami,» ordinò Papai. «Vai alla stanza di sicurez-
za!»
La terra tremò così forte, che barcollai sui miei piedi.
Mi voltai verso l'uscita, ma la porta non si aprì. Il telaio
era distorto, e incuneava la porta.
La pietra si incrinò, il metallo gemette. Deglutii, guar-
dando su per le scale. Le scale ondeggiarono. Perché l'e-
dificio stava ondeggiando.
Si spostava da una parte all'altra, sempre più violen-
temente, fino a quando improvvisamente traballò e…
cadde.
Oh, meu Deus, l'intera fottuta cosa stava venendo giù!
Una nuvola di polvere e detriti esplose giù come una
valanga. Mi chinai, coprendomi la testa.
Buio totale.
Quando le macerie si stazionarono, le pietre cozzarono
l'una contro l'altra. Un vago crack! risuonò. L'aria era
densa di polvere, i polmoni colmi.
«Papai?» Tossii e misi la maglietta sul viso, respirando
attraverso il tessuto. «Papai, rispondimi.»
Niente. Pescai il mio telefono dalla tasca e selezionai la
torcia. Rimasi a bocca aperta a ciò che vidi.
Le macerie si erano accumulate intorno a me, anche
sopra di me, in un bozzolo perfetto.
Fatta eccezione per la sola roccia che l'aveva violato.
Quello che si era schiantato contro la testa di mio pa-
dre.
In qualche modo ero… intoccabile.
89
La Furia (XI)
Spite, Colei che Infastidisce
A.k.a.: Giustizia
Poteri: Sputa acido e vola. Sensi sovrumani, forza e
guarigione. Visione infrarossa. Le sue ali ignifughe pos-
sono confondersi nell'ambiente circostante, camuffando-
la.
Abilità speciali: Occultamento.
Armi: Artigli affilati come rasoi che pendono dalle sue
ali e una frusta flagellante.
Immagine: Una bendata, demone donna alata, con
una frusta tempestata d'acciaio nella sua mano destra al-
zata e la bilancia nella mano sinistra abbassata.
Icona: Bilancia blu scuro.
Caratteristiche arcane uniche: I suoi occhi sono gialli
invece che bianchi, con le pupille verticali verdi. Ha lun-
ghi artigli retrattili e ali da pipistrello. Prima di colpire un
nemico, le sue ali vibreranno, gli artigli affilati che si toc-
cano l'un l'altra per produrre un suono tintinnante.
Prima del Lampo: Figlia di curatori del Museo Egizio,
negli Stati Uniti per una mostra a lungo termine.
90
Sobborgo di Chicago, Illinois
Giorno 0
91
che in qualche modo mi seguiva da paese a paese: Vendi-
cativa.
Sospirai. Continuando a fissare sopra la mia spalla, mi
diressi verso la casa. Ma quando dovetti camminare sotto
un albero, non ebbi il coraggio di perdermi la mia visuale
delle luci…
Dolore m'investì, attraversandomi la schiena. Cos'era
quello?
Ignoralo! Tutto ciò che volevo fare era guardare il cie-
lo… Un'altra scossa l'attraversò. Le mie gambe cedettero,
le ginocchia colpirono il marciapiede.
Riuscii a non piangere, «A-aiutatemi!» gridai ai miei
vicini più prossimi, ma erano affascinati dalle luci.
La mia pelle sembrava che venisse accoltellata, ma
dall'interno. Si stava… stava lacerando!
Sentii dei suoni umidi, come qualcosa che sta nascen-
do. Un'ondata di nausea mi colse, e vomitai liquido nero
su tutto il marciapiede. Dei vestiti si stavano strappando
da qualche parte nelle vicinanze e poi queste sanguinose,
appiccicose cose nere sbatterono di fronte a me. Urlai, in-
cespicando lontano da loro.
Mi seguivano! Non le avrei mai depistate, mi rannic-
chiai e loro si fermarono. Poi tremarono quando iniziai
timidamente a sollevarmi. Perché erano… attaccate al
mio corpo? Ah Dio, erano sbucate dalla mia schiena!
Le mie labbra si aprirono per lo shock. Le cose che si
dispiegarono intorno a me erano… «A-ali.» Erano enormi
e ombreggiate come quelle di un pipistrello, proprio co-
me quelle che avevano ossessionato i miei sogni fin da
quando riuscivo a ricordare.
Ma le luci nel cielo… dovevo guardarle!
92
Quelle ali si spalancarono, bloccando la vista sopra,
l'unica cosa che volevo vedere. Proprio mentre mi resi
conto che stavo perdendo la testa, le ali mi racchiusero
ermeticamente.
Come un sudario.
Volevo uscire! Queste cose stupide mi tenevano lonta-
ne dalle luci! Grattai con le unghie contro la superficie
vellutata per liberarmi, altro dolore mi attraversò. Le mie
unghie erano diventate più taglienti? La carne grigia sul
lato inferiore di quelle ali era tanto sensibile quanto la
punta delle mie dita.
Li colpii con un pugno, lottando contro di loro. Dopo
aver lottato per quella che doveva essere un'eternità, ac-
cettai che non potevo scappare.
Il fascino delle luci era diminuito, in ogni caso. Ora ero
travolta dalla necessità di arrivare a Febe. E se lei era an-
data al piano di sopra e si era resa conto di essere tutta
sola?
Mentalmente costrinsi le mie nuovi appendici a ritrat-
tarsi… Niente. Ero intrappolata, un bruco nel suo bozzo-
lo.
E come un bruco, cominciai a cambiare.
A mutare.
Anche nel buio chiuso, riuscii in qualche modo a vede-
re in realtà, i miei occhiali non aiutavano la mia vista, ef-
fettivamente l'oscuravano. Perciò li fissai nel palmo della
mia mano. Vedendo con perfetta chiarezza per la prima
volta, osservai le unghie crescere in lunghi artigli affilati
e la mia pelle ispessirsi in scaglie.
Non ero così scioccata da questi cambiamenti come mi
sarei dovuta aspettare.
93
La mia mente si rivolse a un ricordo di otto anni fa,
quando avevo avuto l'età di Febe. Avevo visto un ragaz-
zo del mio quartiere passeggiare mano nella mano nella
foresta con una ragazza, sebbene avesse già una relazione
con un'altra.
Avevo seguito la coppia, nascosta dietro un albero.
Quando avevano iniziato a fare sesso, avevo pensato alla
sua fidanzata tradita e immaginato il dolore che la sua in-
fedeltà le avrebbe indotto.
La bile mi era salita in gola. Avrei voluto così tanto
punirlo che avevo digrignato i denti e il mio corpo aveva
iniziato a tremare. Ero caduta, lussandomi la spalla.
Mi avevano chiamata Vendicativa (come al solito) e mi
lasciarono lì.
Per arrivare da un medico mi ci era voluta una vita. Il
dolore alla spalla era svanito dopo un po', sostituito da
un sentimento sordo di ingiustizia.
Ora, quando assistevo al mio corpo in evoluzione, rea-
lizzai che la mia nuova forma era rettitudine. Qualcosa di
sbagliato si era finalmente messo a posto.
Per tutti i miei sedici anni, la mia vita era stata disloca-
ta. Lo capii ora.
Fuori dal mio bozzolo, anche il mio ambiente si stava
trasformando. Il calore bruciava il dorso delle mie ali.
Sentii l'odore delle fiamme e della fuliggine. Sentii gli in-
cendi, il caos e la distruzione. Una volta che finalmente
mi liberai, sarebbe ancora rimasto in piedi qualcosa?
Febe sarebbe ancora stata viva…?
Fare la muta doveva avermi impoverita, anche se mi
sentivo cogliere dalla paura per mia sorella, non riuscii a
tenere gli occhi aperti.
94
Il sonno mi colse. I sogni salirono in superficie. Mi ve-
devo sputare acido ai nemici e svettare nel cielo con le
mie nuove ali. Sarei stata in grado di difendermi da loro,
i grandi artigli a gancio pendevano dalle estremità delle
ali. Sarebbero stati taglienti come rasoi…
I miei occhi si aprirono, e fui immediatamente sveglia.
Quanto tempo avevo dormito? Dovevano essere passate
ore. Movimento nelle vicinanze.
Lo percepii come avrebbe fatto un predatore. Gemiti
suonavano direttamente fuori dal mio bozzolo. Riuscii a
percepire umidità contro le mie ali.
Gemiti e… melma. Nemico, mi diceva il mio nuovo
istinto. Distruggi.
Avevo bisogno di distruggere tutto ciò che mi veniva
così vicino quando ero vulnerabile. Immaginai di usare le
mie ali per uccidere. Avrei circondato i miei nemici con la
mia grande ala sinistra, tenendoli intrappolati mentre
colpivo con la destra.
Questo aveva perfettamente senso per me. Rettitudine.
Alla fine le pieghe strette intorno a me si allentarono.
Le mie ali cominciarono a vibrare, i pesanti artigli a gan-
cio che si toccavano l'un l'altro fecero un suono tintinnan-
te.
Come un serpente, stavo segnalando che un predatore
si apprestava a colpire. Il suono mi piaceva, feci le fusa.
Non avevo mai ucciso prima, ma già potevo dire che mi
sarebbe piaciuto.
Tutto era rettitudine nel mondo.
Balzai in piedi, ali che si dispiegavano, lanciando via le
persone quando mi posizionai. Aspetta, non persone. Non
più. Erano stati trasformati in mostruose creature con oc-
chi bianchi vaporosi. Alcuni più di altri, tutti loro aveva-
95
no un brutto aspetto. Indossavano vestiti normali, ma la
loro pelle aveva la consistenza di un sacchetto di carta
malconcio, come se avessero trascorso un migliaio di an-
ni su un lettino abbronzante.
Mi preparai a sterminare queste creature dalla pelle
secca con i miei artigli, e un senso di soddisfazione mi
investì. Questo era ciò che dovevo fare. Non c'era da stu-
pirsi che mi fossi sempre sentita come un'estranea. Lo ero
sempre stata.
Decapitai il primo, poi un altro. E un altro.
Realizzai due cose: ero tanto un mostro quanto queste
creature. E non mi piaceva uccidere, l'adoravo.
Dietro di loro, il quartiere era per lo più andato. Solo
case di mattoni qua e là ancora in piedi. Il resto era cene-
re. Feci un respiro. Compresa la casa della mia famiglia.
Febe era nel seminterrato, avrebbe potuto sopravvive-
re! Devo arrivare a lei.
Queste cose continuavano a bloccarmi. Quando ne ab-
battei di più, sentii l'urlo di Febe.
Lei era sopravvissuta! Utilizzai le mie ali per allonta-
nare le creature quando mi precipitai verso i resti della
nostra casa. La notai nel buio, capace di rilevare il calore
del suo piccolo corpo, come se avessi la vista a raggi in-
frarossi.
Correva via da una di quelle creature, che la stava se-
guendo tra gli alberi in fiamme. I suoi occhi erano bianchi
per il terrore. Il bagliore rosso del suo cuore stava batten-
do veloce, riuscivo a vederlo.
Incrociammo gli sguardi. Era proprio terrorizzata da
me. Devo spiegare…
96
Saltando verso l'alto, maldestramente sbattei le mie ali
finché loro non afferrarono aria fumosa, come vele che
catturavano una brezza, tenendomi in alto.
Questione d'abitudine. Più facile ora. Stavo volando! Ah,
la rettitudine!
Dov'era Febe? Là!
Atterrai ad alcuni metri di fronte a lei, alzando i palmi.
Slittò fino a fermarsi, orripilata, chiaramente non ricono-
scendomi.
Schiusi le labbra. Un liquido chiaro effluì dalla mia
bocca, la colpì in viso.
Acido? Come nei miei sogni. La sua carne sfrigolò, i
suoi occhi e i lineamenti che si disintegravano. Il suo gri-
do trafisse la notte.
Ingiustizia.
97
L'Appeso (XII)
[Carta inattivata]*
98
Censurato
Giorno 0
99
Censurato Censurato Censurato Censurato Censurato
Censurato Censurato Censurato Censurato Censurato
Censurato Censurato Censurato Censurato Censurato
100
La Torre (XVI)
Joules, Signore del Fulmine
101
La Temperanza (XIV)
Calanthe, Collezionatrice di Peccati
102
Piattaforma della metropolitana di New York
Giorno 0
103
dei Peccati era direttamente proporzionale al loro senso
di colpa.
Non importava cosa, avevo bisogno dell'aiuto della
Torre per sfidare la Morte. Finché il Mietitore viveva,
eravamo tutti cadaveri ambulanti comunque.
«Joule mi ha detto che mi amava,» dissi. Ma lui amava
di più la sua numerosa famiglia tornando in Irlanda.
«Naturalmente. Perché voleva venire a letto con te.»
Sì, ma solo dopo che una certa clausola era stata raggiunta.
Diya avrebbe riso se le avessi detto quello che lui aveva
sempre pianificato?
Sospirò. «Qualcosa lo riporterà nel gioco. Convergerà
con il resto di voi.» Diya sapeva queste cose, nostra ma-
dre malata l'aveva addestrata per essere la mia cronista,
tramandando la nostra linea di cronache Arcana nelle
mani capaci di Diya.
Ma come sarebbe tornato Joules da me dall'altra parte
dell'Atlantico? Soprattutto se incombeva qualche cata-
strofe?
Diya disse, «Mi chiedo solo se tu abbia impresso un ri-
cordo indelebile nel forgiare un'alleanza indissolubile.»
Anch'io…
***
Due settimane fa
104
na di ragazzi adolescenti in abiti magenta iniziò a scen-
dere dal bus, chiacchierando e ridendo mentre si faceva-
no strada nella chiesa.
Chierichetti? Sbuffai con scherno.
Fino a quando il mio sguardo si posò su un ragazzino
in mezzo a loro. Aveva i capelli rossastri e gli occhi scuri,
ed era magro. Rispetto agli altri, sembrava povero. Il suo
abito della taglia sbagliata era stato ricucito più volte, il
suo collare rosso era sbiadito, e aveva bisogno di un ta-
glio di capelli. Le sue scarpe erano lucidate ma usurate, e
i risvolti alti dei pantaloni chiaramente non erano pensati
per essere una dichiarazione di stile.
Allora, perché trovavo irresistibile questo ragazzo in-
significante…
Un'immagine balenò su di lui: un fulmine che colpiva
una torre di pietra e la gente che cadeva dalla torretta.
Stavo vedendo… un tableau. I miei occhi si spalancarono.
Era un Arcano!
E non una carta qualsiasi. Era la Torre.
Uno dei più potenti di tutti gli Arcani Maggiori era un
chierichetto pelle e ossa!
Non avrei dovuto essere sorpresa da questo incontro.
Come Diya mi aveva detto più e più volte, non vi era al-
cuna cosa "a caso" nel gioco. Eravamo tutti gettati dentro
insieme.
Aspetta che senta che ho già trovato la Torre! Questa
notizia certamente l'avrebbe tirata su di morale. Pensie-
rosa su quale catastrofe si sarebbe presto abbattuta su di
noi, odiava essere separata dalla nostra madre anziana, e
disprezzava New York.
La Torre mi vide e mi diede una bella occhiata. Forse
stava scorgendo un leggero sentore del mio tableau. For-
105
se era lo stesso per tutti gli altri ragazzi che fissavano il
mio vestito: stretti pantaloncini da ragazzo, un reggiseno
sportivo e una felpa con cappuccio aperto. L'imperatrice
non era l'unica con un look affascinante.
E avevo più scaltrezza di tutti gli altri messi insieme.
Sembrava avere circa sedici anni, la mia età. Mi chiesi
se sapeva qualcosa degli Arcani. I giocatori di solito non
sapevano nulla. Potevo unirmi a questo chierichetto in
un'alleanza prima ancora che il gioco iniziasse! Sarebbe
stato argilla.
Mi appoggiai a un palo della luce. Attorcigliando la
punta della mia coda di cavallo, gli feci un sorriso civet-
tuolo.
Guardò oltre una spalla, poi l'altra. Accigliato, si indi-
cò con un pollice al petto.
Lo indicai e mimai: Sì, tu.
Le sue labbra si aprirono.
Piegai il dito nella sua direzione, e s'incamminò im-
mediatamente verso di me, fino a quando un prete cor-
pulento l'afferrò per il braccio per condurre il ragazzo al
suo interno. La Torre allungò la testa all'indietro per con-
tinuare a guardarmi.
Come se ti permettessi di andartene, ragazzino.
Una volta che sentii cantare, entrai in chiesa. Nono-
stante il mio vestito striminzito, camminai lungo la nava-
ta verso una panca di fronte. Ogni sguardo in quel coro
mi fissò, tra cui quello della Torre.
Presi posto e mi tolsi lo zaino. I ragazzi intorno a lui
notarono la mia attenzione e gli diedero una gomitata.
Sopra un palco, con quello sfondo in vetro colorato,
sembrava così… virtuoso.
106
Una volta che io e lui avessimo fatto fuori la Morte,
avrei utilizzato la mia particolare abilità sulla Torre. Do-
po che un bravo ragazzo come lui si fosse trasformato in
un assassino, non avrebbe avuto alcuna difesa contro il
mio Peso dei Peccati.
Estrassi un blocco per appunti dal mio zaino e scara-
bocchiai alcune parole, le più oscure e audaci possibile.
Catturando il suo sguardo, tenni su il blocco e girai le
pagine.
Tu
Io
Alla caffetteria dall'altra parte della strada
Alle quattro di oggi
***
107
Si voltò lentamente, poi si diresse verso il mio tavolo.
Quando si fermò davanti a me, deglutì a fatica.
Calciai una sedia per lui. «Come ti chiami?»
Si sedette. «Sono P-Patrick Joule,» disse con un forte
accento.
«Io sono Calanthe. Di dove sei?»
«Irlanda.»
«Quanti anni hai?»
«Quindici,» rispose. Con il suo sguardo che si immer-
geva nella mia maglietta con scollo a V, aggiunse, «Tu
devi averne diciotto o diciannove anni.»
Scherzosamente chiesi, «I tuoi occhi stanno di nuovo
fissando le mie tette?»
La sua testa scattò all'insù, la sua espressione mortifi-
cata. Se arrossire potesse uccidere…
Sorrisi. «Tutte le parti di me pensano che tu abbia de-
gli occhi veramente belli.» In effetti era così. «Ed io ne ho
sedici, per la cronaca.»
Inclinò la testa, il suo rossore che si placava un po'. Si
schiarì la gola e disse: «Da-da dove vieni?»
«Sono nata in India, ma sono cresciuta qui. Vado al li-
ceo qui da due anni.»
Quando avevo tredici anni, mia sorella mi aveva fatto
applicare per lo scambio di programmi in una dozzina di
paesi diversi, ma erano stati tutti pieni.
Miracolosamente, un punto si era aperto qui. Il che ci
aveva portato a credere che il gioco sarebbe stato giocato
in questo paese. Bingo. I giocatori stavano già conver-
gendo. «Per quale motivo sei in città, Torre?»
Si accigliò. «Cosa significa?»
«Tu non sai del gioco?» Studiai il suo volto.
108
«Gioco?» La sua confusione s'intensificò. Quando sol-
levai le sopracciglia, disse, «Non so di nessun gioco.»
Quando mi concentravo su una persona, riuscivo a
sentire il suo peccato, questo ragazzo non stava menten-
do. «Sto solo scherzando. Scherzi a parte, per quale moti-
vo sei negli Stati Uniti?»
«Sono qui per due settimane per un concorso corale.»
Mi chinai in avanti e mormorai: «Penso che tu abbia
una voce sexy.»
Si spezzò quando chiese, «P-posso offrirti una tazza di
caffè?»
Mentre fissavo i suoi occhi seri, sentii un bagliore di
qualcosa simile al peccato che avrei dovuto uccidere.
Ma ero la Carta della Temperanza. Il Peso dei Peccati
non mi aveva mai infastidita. «Solo se mi prometti di
chiedermi di uscire prima di averlo finito.»
***
Sette giorni fa
109
di dormire con lui. Non aveva neppure tentato di ba-
ciarmi!
«Ach, quanto ti è costato questo?» chiese. Avrei potuto
dire che era elettrizzato (forse letteralmente?) nel vedere
la città da questa altezza, ma non aveva smesso di acci-
gliarsi dal momento in cui avevo preso i nostri biglietti.
Sbuffai. «Ha importanza?» Insisteva sempre per paga-
re il conto, anche se non poteva permetterselo. Tra l'altro
il suo stomaco brontolava ogni pomeriggio, sospettavo
che stesse utilizzando il suo denaro per la cena per noi.
Quel tipo di cose mi sembrava… romantico.
«È importante per me, Cally.» Questo era il suo so-
prannome per me, apparentemente era una legge in Ir-
landa che tutti avessero un nomignolo.
«Questo non è il diciottesimo secolo. Le ragazze por-
tano i ragazzi fuori a volte.» Sebbene non ci fosse partita,
probabilmente avrei voluto vederlo. Ero stata sorpresa da
quanto mi ero divertita a passare del tempo con lui.
Avevo molto più in comune con lui che con i miei
compagni internazionali. Avevano saggi d'iscrizione al
college da compilare, io avevo l'addestramento con i sai.
Volevano un diploma, io volevo icone.
«Quei biglietti devono essere costati un sacco per una
vista così bella.»
«Bene. Vuoi davvero sapere come li ho pagati?» Al suo
cenno, gli dissi la verità: «Mi sono diretta nello spoglia-
toio dei ragazzi al dojo, ho scattato una foto a uno di quei
bulli spazzatura, e l'ho ricattato.» Il tizio era stato così fu-
rioso, che lo avevo provocato a caricarmi. All'ultimo se-
condo, avevo fatto un passo laterale, aveva speronato un
armadietto a testa bassa. Poi gli avevo strappato un cen-
110
tinaio di dollari dal portafoglio. «Mettiamola in questo
modo: tu ed io avremo una pizza dopo.»
Riuscivo quasi a sentire i pensieri di Joule: Non posso
dire se stia scherzando. Ti prego, Gesù, fa che stia scherzando.
Alzai le spalle. «Vedi? Ecco perché devi restare a New
York. Per tenermi fuori dai guai.»
Sempre più spesso, avevo affrontato l'argomento della
sua permanenza. A casa, Diya mi stava mettendo ogni ti-
po di pressione addosso per consolidare questa alleanza:
«Fallo venire a casa. Starò fuori tutta la notte. Acchiappa
questo ragazzo, Calanthe!»
Ora sospirò. «Vorrei poterlo fare. Ma mia madre ha già
abbastanza problemi con i miei fratelli pestiferi.» Cinque.
«Non dovrei aggiungermi alle sue preoccupazioni. Inol-
tre, sono al verde.» Al mio cipiglio, spiegò, «senza soldi.
E non posso lavorare in questo paese.»
«Potrei prestarti dei soldi.» Non che io e mia sorella
avessimo molto da risparmiare.
Si accigliò di nuovo. «Non accadrà mai.»
Vedendo che non si sarebbe trasferito, per ora, dissi:
«Allora dobbiamo godere di ogni minuto insieme.» Ero
venuta un'ora prima stasera, ma lui mi stava già aspet-
tando.
Il suo volto si era illuminato quando mi vide, e aveva
trotterellato verso di me come un cucciolo al guinzaglio.
Poi, sembrò rendersi conto di quanto apparisse stupido,
aveva rallentato e fatto l'indifferente.
Inclinai la testa nella sua direzione. «Sono la prima ra-
gazza con cui sei uscito, non è vero?»
Le sue guance si surriscaldarono. Era carino quando
arrossiva così. Mi ritrovai a prenderlo in giro, solo per
farlo arrossire.
111
Invece dell'impetuoso (e lo era un sacco), divenne so-
lenne. «Perché non avevo mai incontrato una ragazza co-
sì bella come te.»
Dopo qualche istante, battei le palpebre, sorpresa dal
fatto che lo stavo fissando negli occhi. «Um, lascia che ti
mostri il mio posto preferito.» Lo guidai per guardare la
tempesta in arrivo. «Quassù, c'è tutta questa elettricità
statica. Puoi sentirla?»
La sua espressione era eccitata. «Sì. È normale che ti
dia una sbornia come questa?» Un tuono rimbombò, e
una risata gli sfuggì.
«Hmm. Forse alcuni di noi più di altri.»
Un fulmine avvampò in lontananza, e lui fu inchioda-
to. «Ho sempre immaginato un fulmine.»
«Davvero? Sei come il ragazzo elettrico proveniente
dalle leggende dei Tarocchi di mia sorella.» Gli raccontai
che Diya era solita intrattenermi con i racconti degli Ar-
cani Maggiori. Abituandolo al mio mondo, al nostro
mondo, gli avrei spiegato le basi del gioco e la maggior
parte dei ventidue giocatori.
«Quella chiamata la Torre?» sorrise. «Pensavo di esse-
re la Morte per certo. Dov'è la mia falce?»
Rabbrividii alla sola menzione della Morte.
Joules guardò fuori quando altri fulmini si abbattero-
no. «Cally, non mi sono mai sentito più vivo che in que-
sto momento.»
«Allora scatta una foto con me.» Tirai fuori il mio tele-
fono. Quando lui si fece più vicino, lo circondai con un
braccio e lo sollevai per scattare.
Mormorò al mio orecchio, «Mi ricatterai anche con le
immagini?»
L'affrontai. «Ovviamente. Dovrai stare con me.»
112
Non riusciva a staccare gli occhi dalle mie labbra, così
le leccai. Ma non si mosse per un bacio. Sicuramente non
l’aveva mai dato uno prima.
Dissi: «Così giovane.»
I suoi occhi si spalancarono. «Non più giovane di te!»
«Provalo. Baciami.»
Si guardò intorno. «Qui? Ci saranno telecamere,» dis-
se, l'accento che si faceva marcato.
«A nessun altro importa.»
Joules sembrava che avesse preferito mangiarsi le un-
ghie che baciarmi qui. Ma mi lasciò guidarlo fino a quan-
do mi trovai tra lui e la macchina fotografica.
«Non vuoi baciarmi?»
«Certo che lo voglio, ma potrebbe portare ad altre co-
se, ed io aspetterò fino al matrimonio.» Era serio! «Cally,
aspetta con me…»
La mia mano si tuffò verso il basso, e l'onnipotente
Torre emise un gemito. Restai con il palmo della mano
sulla parte anteriore dei jeans.
La sua voce si spezzò con più forza quando disse, «Ge-
sù.»
Quando spostai la mia mano, i suoi occhi si rovescia-
rono. Un fulmine si abbatté nelle vicinanze, come se arri-
vasse dalle sue emozioni, e gemette.
«Nessuno attende ancora,» mormorai.
«Ho sempre p-pianificato di farlo.» Un altro gemito.
«Penso che tu te ne stia semplicemente uscendo con
delle scuse. Forse non vuoi che io sia la tua ragazza.»
«Averti come mia ragazza?» Cercò di stabilizzare il
suo sguardo, per incontrare il mio, come se stesse per
farmi una promessa. «Non c'è niente che io voglia di più!
Dal primo secondo che ti ho visto, ho capito che eri l'uni-
113
ca.» Sebbene il suo corpo tremasse per il bisogno, si ri-
trasse dalla mia mano, così da poterla tenere con entram-
be le sue. Dei, era così sincero, così virtuoso. «Sei mia?»
Un pensiero traditore sorse: E se lo sono?
No, il gioco lo rendeva impossibile. Esitai, poi mentii:
«Sì.»
Il suo viso si illuminò per l'adorazione, e i fulmini col-
pirono tutt'intorno a noi. Si riflettevano nei suoi occhi.
Adesso
114
no scendere i gradini da quando Joule era salito sul suo
treno.
Avevo provato di tutto per fermarlo. Gli avevo detto:
«Mia sorella ha detto che potresti stare con noi. Tu ed io
possiamo condividere la mia stanza.»
Aveva farfugliato, «E non sarebbe giusto!»
Gli avevo detto che morivo dalla voglia di dormire con
lui, ma aveva citato ancora il matrimonio, aggiungendo:
«E se il preservativo si rompesse? Come potrei mantenere
una famiglia?» In più non aveva voluto mancare di ri-
spetto a mia sorella facendo una qualsiasi cosa sotto il
suo tetto.
Il mio virtuoso irlandese cattolico. Avevo cercato di
colpevolizzarlo per questo, dicendo: «Tutto deve essere
fatto a modo tuo. Ti rifiuti di muovere un dito. Mi preoc-
cupa il tipo di rapporto che avremo.» Era sembrato colpi-
to.
Ma non era tornato a casa con me.
Poi ieri sera, per disperazione, avevo ammesso che
quelle leggende sui Tarocchi erano reali. Gli avevo spie-
gato tutto: il suo ruolo, il mio ruolo, la storia, il pericolo.
Gli avevo detto che qualcosa di brutto sarebbe accaduto
presto, e poteva non essere più in grado di tornare da me.
Si era passato le dita tra i capelli. «Il pensiero di essere
separato da te mi fa impazzire!» Il suo cuore aveva tuo-
nato, l'avevo sentito, il che significava che i miei sensi si
erano affilati, e il gioco era in procinto di iniziare.
«Ma tu non mi credi,» avevo detto a bassa voce.
Aveva sospirato. «Non lo so… è molto da digerire.
Credo che tu ci creda.»
Tutti i piaceri che gli avevo offerto, tutti i trucchi ma-
nipolativi che avevo usato, e che erano falliti…
115
«Cally?»
La mia testa si voltò di scatto. Joules stava uscendo dal
treno! Il mio cuore balzò, e corsi verso di lui.
Lui mi strinse tra le sue braccia, nascondendo il viso
contro il mio collo. «Mi sei mancata in questa mezz'ora,
ragazza.»
Era mancato anche a me! «Non prenderai mai il tuo
volo adesso.»
Si ritrasse per guardarmi. «Non lo prenderò.» Sfiorò
con le nocche la mia guancia.
«Ma non hai denaro.»
Sorrise. «Allora rapinerò le banche, dannazione.»
Sembrava così sicuro. Ed era sexy.
«Dannazione? Hai appena imprecato, chierichetto.»
Annuì. «Mi rilasserò un po'. Avevi ragione, stavo acce-
lerando le cose e senza muovere un dito. Non era giusto
per te.»
«Ma per quanto riguarda tua madre?»
«Le dirò che ho trovato un programma di studio-
lavoro qui. Non è una bugia, dato che lavorerò sulle ra-
pine e mi insegnerai Boyfriend 101.» In un tono burbero,
disse, «Sono nuovo per tutto questo. Avrai pazienza con
me?»
«Anche per me, va bene?» Non riuscivo a ricordare
l'ultima volta che ero stata così felice. Allacciai le mani
dietro la sua nuca. «Non riesco a credere che resterai.»
«Se questo gioco è vero, devo stare qui per difenderti.
Se non lo è, devo stare qui per aiutarti.»
Le mie labbra si aprirono. Nessuno dei miei trucchi
aveva funzionato, ma la sua necessità di proteggermi lo
aveva riportato.
«Sono il tuo ragazzo, Cally.»
116
Qualcosa si contorse nel mio petto. Ho appena… ho ap-
pena infranto la regola numero uno del gioco.
«E tu sei la mia ragazza.»
«Sì,» gli dissi, e questa volta era la verità. Comprende-
remo il resto. Ero come una di quelle persone nel suo ta-
bleau, che cade a capofitto dalla torre colpita dal fulmine.
Ma a differenza loro, non me ne importava un accidente
di dove o come sarei atterrata, finché lui era accanto a
me.
Mi tirò più vicino a sé e si chinò. «Vieni qui.» Premette
le labbra sulle mie. Quando sentii le prime piccole scintil-
le della sua energia elettrica, sorrisi nel nostro bacio.
Fino a quando qualcosa morse la mia caviglia.
Mi tirai indietro. «Ahhh!» Un ratto stava scorrazzando
via.
Non era solo. Stavano zampillando dalle profondità
intorno a noi.
«Andiamocene.» Joule mi afferrò la mano e si avviò
verso l'uscita.
Un'ondata di ratti ricoprì la cima della tromba delle
scale, cigolando follemente e precipitando sull'altro in
fretta. «Non va bene! Siamo intrappolati qui!»
Mi tirò verso la panchina, e ci arrampicammo sopra.
«Saremo a posto,» disse, per nulla in preda al panico. Era
stato molto più nervoso sulla questione del bacio! «Si si-
stemerà tutto,» mi disse con un cenno del capo fiducioso.
Patrick Joules mantenne la calma.
Persino quando un ruggito da far rabbrividire la
schiena in superficie si fece più forte.
Persino quando i cani con occhi spalancati con guinza-
gli al seguito trotterellarono giù per quei gradini, e gli
animali insanguinati dello zoo li seguirono.
117
Persino quando un bastone d'argento apparve nella
sua mano…
118
Il Diavolo (XV)
Ogen, Folle Dissacratore
119
La Stella (XVII)
Stellan Tycho, Arcano Navigatore
120
Københavns Lufthavn
(Aeroporto Internazionale di Copenaghen)
Giorno 0
121
mi avrebbe fatto uccidere. E non avevano alcun amore
per me…
Astrid, il più giovane dei miei fratelli, si lamentò,
«Perché Stellan andrà in Colorado?»
Perché mio padre "percepiva" che la partita sarebbe
stata negli Stati Uniti questa volta. Poteva andare peggio.
Avrebbe potuto "percepire" che sarebbe stata in Siberia.
Diedi un pizzicotto al mento di Astrid. «Perché sono
migliore di te,» dissi, scherzando, ma i miei genitori an-
nuirono.
Papà disse loro: «Vostro fratello diventerà famoso per
l'eternità.»
Mia madre allungò la mano per raddrizzare i miei oc-
chiali, imbarazzandomi. «Sono così orgogliosa di te. Tut-
to il tuo studio e il duro lavoro sta per essere ripagato. Da
questo momento in poi, la tua vita non sarà più la stes-
sa.» Strinse le mie spalle quando mi abbracciò. «Ricorda,
elimina la Morte per primo.» Mi rilasciò, facendo un cen-
no a me e a mio padre per abbracciarci.
Tutti e due ottemperammo a malincuore. Al mio orec-
chio, gracchiò, «Torna a casa con ventuno icone, o non
tornare affatto.»
Røvhul! Stronzo! Ma mi morsi la lingua.
Mio padre si considerava un Tarosovo, un esperto di
Tarocchi, e mia madre doveva essere una cronista, ma
nessuno dei due era capace di viaggiare con me per regi-
strare le mie azioni teoriche, perché i miei genitori gene-
ravano come asteroidi, lasciandoli con un sacco di bam-
bini e pochi soldi.
Poi mia madre aveva trovato una soluzione: «Puoi
crearti da solo le tue cronache! Utilizza il telefono per in-
122
viarci gli aggiornamenti su tutto ciò che fai. Scaricherò e
organizzerò i tuoi messaggi, inserendoli nel libro.»
Quel raccapricciante, antico tomo: Le cronache dell'Ar-
cano Navigatore.
Le pagine erano colme di racconti di tradimenti e omi-
cidi di secoli fa. Sapevo il libro a memoria, era stato a
leggere storie da quando ero abbastanza adulto da ricor-
dare. Ora il mio "gioco" sarebbe stato raccontato.
Via messaggi.
«Perciò vado,» dissi, chiedendomi se potevano ancora
ragionare. «Se smetto di aggiornare, saprete che la Luna
mi ha colpito al cuore o il diavolo mi ha mangiato.» Op-
pure mi sarei stufato di acconsentire alla loro malattia e
rifiutato di messaggiare ancora.
Mia madre strinse le labbra. «Non è divertente, Stellan.
Inoltre, ne sai di più che andare contro la Luna.» Lei mi
rimproverò: «Solo i giocatori sfidanti devono avvicinarsi
a te, soprattutto all'inizio.»
Guardai i miei genitori. «Siete davvero intenzionati a
farlo? Mandarmi fuori da solo?» Nelle loro menti, le pro-
babilità erano contro di me.
Il che significava che mi stavano mandando fuori su
un'ardente nave funebre vichinga, tranne che ero ancora
vivo e vegeto, che gridavo aiuto.
«Pensi che dovrei lasciare il mio lavoro?» Mio padre
stava raggiungendo il limite della sua pazienza con me,
la sua faccia che si arrossava per la rabbia. «Forse tua
madre dovrebbe smettere di crescere i tuoi fratelli.»
«No, non mi aspetterei mai che la vita di qualcun altro
cambi drasticamente.» Avevo raggiunto i limiti della mia
pazienza con lui. Eravamo stati a discuterne per settima-
ne. Ne avevo abbastanza.
123
Mi chinai per baciare e abbracciare i miei fratelli e so-
relle, poi dissi ai cinque, «Guardatevi le spalle a vicen-
da.» Senza aggiungere altro, mi diressi verso la linea di
sicurezza, biglietto pronto.
Feci l'errore di guardarmi alle spalle. Tutti sorridevano
e agitavano le mani come se tutto fosse normale. Come se
fossero normali. Mi faceva sentire ancora più pazzo.
Quando passai i controlli e mi affrettai a raggiungere
l'atrio, il mio volo era all'imbarco. Scivolando lungo il
corridoio, trovai il mio posto e riposi il mio zaino. Poi ti-
rai fuori il mio telefono. Aggiornamenti, mamma? Fai atten-
zione a quello che chiedi.
Stellan: Primo viaggio in aereo di sempre! In attesa
del decollo. Cerco di decidere quale genitore odio di
più.
Non ricevetti risposta.
Stellan: Il decollo è stato tranquillo. La nave funebre
vichinga è partita.
Quando l'aereo salì, guardai fuori dal finestrino e os-
servai l'ombra che si dissolveva dell'unica casa che avessi
mai conosciuto. Una volta che l'emozione del viaggio ae-
reo diminuì, mi addormentai…
Dormii per tutta la strada fino ad Atlanta, la mia città
di collegamento, svegliandomi quando stavamo per at-
terrare. Nonostante il passaggio di ore, ero ancora furioso
con i miei genitori. Perciò continuai l'aggiornamento.
Stellan: Ho dormito per tutto il volo. Ho sbavato sul
passeggero seduto accanto. Ho sognato che i miei geni-
tori erano dementi e mi avevano mandato in America
per essere assassinato.
Mamma: Questo non è divertente. Smettila subito.
Non smisi.
124
Stellan: Ho pensato di cambiare il mio prossimo bi-
glietto da Colorado a Hollywood. Forse i genitori in-
tendevano un diverso tipo di stella.
In aeroporto, mi affrettai a raggiungere la scala mobile
per prendere il treno tra i terminali, ma lo persi per poco.
«Attenzione,» disse una voce automatica. «Le porte si
stanno chiudendo e non riapriranno. Si prega di aspettare
il treno successivo.»
Colsi l'occasione per mandare un messaggio ai miei
genitori ancora una volta.
Stellan: In direzione verso un nuovo terminale. Ter-
minale può essere un aggettivo e un sostantivo. Ad
esempio, *Stellan è terminale.*
Nessuna risposta.
Quando il prossimo treno arrivò, entrai con tutti gli al-
tri e allungai la mano per una fascia sopra la testa. «Ben-
venuti a bordo del treno aereo,» mi disse un'altra voce
automatizzata. «La tappa successiva è per i gate E. E co-
me in Eco.»
Eco. Uno dei miei poteri doveva essere l'eco-
localizzazione. Se sviluppavo abilità soprannaturali,
avrei saputo teoricamente come usarli, ma finora non ce
n'era stato neppure un barlume.
Niente di sorprendente. Avevo diciotto anni e non
avevo ancora bisogno di radermi.
Il treno partì, muovendosi in modo sorprendentemen-
te veloce e bruscamente attraverso un tunnel sotterraneo.
Papà era un meccanico che aveva lavorato sui treni per
tutto il tempo che riuscivo a ricordare. E aveva viaggiato
poco, come me. Mi chiesi cosa avrebbe pensato di questo
motore automatizzato.
125
Le luci tremolarono, e la macchina rallentò. Alzai gli
occhi, per cercare le espressioni degli altri. Era normale?
Il treno si fermò sibilando tra i terminali.
Tutti stavano digitando nei loro telefoni come pazzi.
Okay, perciò non è normale. Provai a chiamare i miei ge-
nitori. I circuiti erano occupati. Le luci tremolarono di
nuovo. Accese e spente.
Accese e spente.
Oscurità.
Per qualche ragione, questa fermata non programmata
non aveva fatto scattare la modalità d'emergenza del tre-
no. Per quanto ne sapeva il treno, stavamo ancora sfrec-
ciando.
I telefoni cellulari illuminarono l'interno. Le persone si
lanciarono l'un l'altro occhiate nervose.
Quando il tunnel tuonò, una donna gridò.
Non c'erano tornado assassini in Georgia tutto il tem-
po? Fantastico, i miei genitori mi avevano spedito per es-
sere storpiato da un tornado.
Un grande americano che sudava si tirò il colletto del-
la maglietta. La maglietta diceva: Donatore d'orgasmo.
Grugnì le sillabe: «Clau-stro-fo-bi-co.» Con un urlo, tentò
di aprire le porte.
Volevo dire, «Quelle non si apriranno finché la nostra
marcia non sarà inserita.»
I suoi occhi guizzarono. «Non posso farcela!»
Un operaio d'aeroporto in uniforme disse: «Signore,
mantenga la calma e basta. Dovranno capirlo in fretta.»
«Si allontani da me, cazzo.» La gente indietreggiò da
lui.
L'aria stava diventando soffocante, come se la tempe-
ratura stesse salendo di un grado al secondo. Il sudore
126
colava dal volto di Grande Tizio, inzuppando la magliet-
ta.
Il rombo nel tunnel aumentò fino a divenire un so-
stanziale terremoto. In lontananza, pensai di sentire… un
boato.
Grande Tizio impazzì, sbattendo sulle porte, calciando
il vetro di protezione, che s'incrinò in una forma a stella
esplosa, ma non cedette.
Luce brillò da più lontano lungo il tunnel. La qualità e
l'intensità della luce sembravano provenire da una fonte
naturale di qualche tipo. Pensavo che fosse… fuoco. O
persino sole?
Il che non poteva essere corretto. Controllai l'orologio
sul mio telefono. Notte. Il cielo avrebbe dovuto essere
sempre più scuro.
Un urlo stridulo risuonò. Poi arrivò un'esplosione.
Prima che potesse placarsi, ce ne fu un'altra. E un'altra…
Il rombo era assordante.
Tutti si piegarono. Un uomo gridò: «Siamo sotto attac-
co! Queste devono essere bombe!»
Quasi. Se le bombe fossero state lanciate, saremmo tut-
ti morti. E chi avrebbe lanciato su un aeroporto delle
bombe deboli? Pensai che fosse uno scenario ancora peg-
giore: gli aerei stavano precipitando dal cielo. «Sono gli
aerei,» mormorai.
Persino sopra tutta la confusione, un tipo in un vestito
mi ascoltò. «E come sai degli aerei? Cosa ci fai con quel
telefono?»
Deglutii. «Controllo l'orario.» Ficcai il telefono in tasca.
«Ragazzo, hai un accento strano,» disse Grande Tizio
in un accento strano. «Perché dici che gli aerei stanno
precipitando?»
127
Come spiegare a un uomo che indossa una t-shirt da
donatore d'orgasmo che le bombe non avevano senso?
Un stridio attirò la nostra attenzione verso la parte an-
teriore del treno, dove si trovava la luce. Un altro treno si
stava dirigendo per inerzia verso di noi, sembrava muo-
versi senza freni o elettricità, solo energia cinetica. Un
treno ribelle.
Un treno fantasma.
La gente puntarono le loro applicazioni di torcia elet-
trica verso la macchina. L'esterno era carbonizzato, e tutti
i finestrini era andati in frantumi. Era sangue schizzato
quello sopra i restanti frammenti di vetro?
Quando la macchina sfrecciò davanti a noi, trascinò un
pezzo di fusoliera di un aereo.
La prova che gli aerei erano precipitati.
Tutti gli occhi si rivolsero a me, come se fossi io il re-
sponsabile. Alzai le mani. Grande Tizio sembrava che
fosse sul punto di uccidermi con i pugni.
«Sono solo uno studente. N-non ho niente a che fare
con questo!»
Grande Tizio aveva seguaci adesso. Mentre lui e altri
due uomini mi seguivano da vicino, sentii una qualche
strana forza crescente dentro di me.
«Non vi avvicinate!» Le mie mani tremavano, il mio
corpo vibrante d'energia. Qualcosa stava accadendo.
Ero veramente la Stella?
La mia mente andò alle mie cronache. Nova. Supernova.
Supernova super-luminosa. Buco nero di massa stellare. Implo-
sione. Esplosione. Fusione nucleare.
Cataclisma.
«I-io non voglio avere un'esplosione! Per favore, resta-
te indietro.» Non lo fecero. Quell'energia dentro di me
128
sembrò addensarsi su se stessa. Presto avrebbe richiesto
una presa di corrente. «Per favore! Non voglio farvi del
male!»
Gli occhi di Grande Tizio impazzirono. «Quindi hai
avuto a che fare con questo!»
«Nooo!» Mi sentivo come se fossi sul punto di esplo-
dere! Le mie mani alzate vibrarono così in fretta che non
riuscii a calmarle. Solo due sfocature. La mia bocca si spa-
lancò alla vista.
Grande Tizio afferrò il davanti della mia maglietta. Er-
rore.
La materia luminescente eruttò da me come un'onda
d'urto. «Ahhh!»
Con orrore, vidi una luce blu vaporizzare tutti prima
di perdere coscienza…
Lento al risveglio. Che strano sogno.
Qualcosa di duro stava pungolando il mio fianco. Mi
ero addormentato con un libro sul letto? Mi accigliai.
Era… metallo? Aprii gli occhi.
Ah, Dio, giacevo sui binari! Nudo? Scattai in piedi. Il
terrore mi attraversò, allungando la testa intorno.
Il treno! Il mio respiro si mozzò in gola. Ciò che era ri-
masto del treno.
L'esterno era esploso, il metallo che si accartocciava
verso l'esterno, come un barattolo di latta fatto saltare in
aria con la dinamite.
Guardai a bocca aperta i rottami, immaginando il mio
prossimo messaggio ai miei genitori: Avevate ragione su
tutto.
129
La Luna (XVIII)
Selena Lua, Portatrice del Dubbio
130
Campus Highland University
Giorno 0
02:01 a.m.
***
Tre settimane fa
131
Sempre il gioco! Potevo essere stata maledetta per es-
sere la Carta della Luna, la Portatrice del Dubbio, ma
questo non significava che una vita normale fosse impos-
sibile.
La mia carta era associata alla nostalgia. Non più. Ero
malata e stanca di non avere amici con cui parlare, di non
avere un fidanzato, di non fare nessuna delle cose norma-
li che gli adolescenti avevano modo di fare. Determinata,
scossi la testa. «Io vado.» Le superai uscendo dalla porta.
Mi seguirono, fermandosi alla vista del mio nuovo Ta-
hoe nero. Sharon scattò, «Dove l'hai preso? Non hai ac-
cesso al tuo fondo fiduciario per altri anni.»
Spalle indietro, dissi, «Ho barattato la moto di papà.»
Dio, avevo agonizzato per tale decisione. Aveva vinto al-
cune delle sue più celebri gare di motocross. Ma pensavo
che lui e la mamma avrebbero voluto che li utilizzassi per
uscire da sotto il dominio di Sharon e Wanda.
Gettai la custodia dell'arco all'interno del SUV, poi mi
diressi verso casa. Avevo soltanto un altro viaggio da fa-
re.
Sharon mi seguì, la brezza che scompigliava i lunghi
capelli scuri. «Ti proibiamo di andartene.» Wanda mi tal-
lonò, torcendosi le mani.
Risi. «Ho diciotto anni.» E sono più forte di una dozzi-
na di donne messe insieme. «Non potete proibirmi nul-
la.» Mi fermai davanti alla porta e chiesi loro, «Perché in-
vidiate questo quando tutti sappiamo che probabilmente
morirò presto?»
Morire significava perdere. Questo tipo di pensiero era
una bestemmia per loro.
L'espressione di Sharon divenne feroce. «No, tu vince-
rai!»
132
E se lo facevo, cosa avrebbe fatto l'immortalità per me?
Avrebbe portato soltanto altra nostalgia. Porzioni senza
fine.
In un tono più fermo, dissi, «Il gioco inizierà presto.»
Avevo già iniziato a sentire i richiami, e alcuni dei miei
poteri stavano sbocciando (altrimenti non avrei mai cre-
duto a queste due sul gioco). «Se qualche disastro sta per
arrivare, sperimenterò la vita vera prima di allora.»
Sebbene vivessimo in un palazzo e mi avessero fatto
girare il mondo, non avevo un solo amico da contattare.
Non ero mai stata ad un appuntamento ufficiale.
«Sì, un disastro sta arrivando!» gridò Wanda. «Ecco
perché devi stare vicino a noi. Siamo pronte per ogni
possibile scenario.» Le due erano delle segrete prepper1.
«Non mi state ascoltando! Dimenticalo e basta.» Entrai
e corsi su per le scale nella mia stanza. Afferrando la mia
valigia, diedi un ultimo sguardo intorno, poi tornai al
pianerottolo.
Si librarono ai piedi delle scale. Quando balzai giù,
Sharon disse: «Pensa soltanto a quello che stai facendo.»
Avevo pensato a poco altro, dal giorno in cui avevo
compiuto diciotto anni.
Nel corso degli ultimi nove anni, avevo obbedito cie-
camente ai loro ordini, allenamento mentale e fisico per
dieci ore al giorno, seguendo una dieta rigorosa, mai so-
cializzando, ma nel corso dell'ultimo anno, avevo comin-
ciato ad interrogarmi su di loro.
Quando avevo nove anni, le avevo sentite litigare con
mia madre. Avevano voluto più accesso a me, ma i miei
1Prepper = persone che si preparano al Giorno del Giudizio o ad una possibile Apo-
calisse.
133
genitori avevano limitato le mie visite a casa loro a una
notte ogni poche settimane. In una di quelle notti, la casa
della mia famiglia era bruciata.
Con i miei genitori dentro.
Quando passai davanti a loro, Wanda disse: «Molto
bene. Se devi andare al college, verremo lì con te. Siamo
capaci di prendere una casa preparata…»
«Metà del motivo per cui me ne sto andando è che mi
allontano da voi!» Continuai a camminare.
«La gente là fuori non è come noi.» Sharon mi stava al-
le calcagna. «Non si preoccupa per te. Noi siamo le uni-
che che ti guarderanno sempre le spalle.»
Le affrontai. «Come avete guardato quelle dei miei ge-
nitori?» Ecco. L'avevo detto.
Avevo adorato i miei genitori. Avevo adorato la mia
infanzia con loro. Se le mie zie me li avessero sottratti…
Wanda e Sharon erano Arcane fanatiche, una cronista,
una Tarasova. Adoravano il gioco, adoravano il mio po-
sto all'interno. I miei genitori avevano posto ostacoli al
mio addestramento.
Sharon chiese senza difficoltà, «Di cosa diavolo stai
parlando, Lena?»
Con il mio udito migliorato in funzione, rilevai il più
piccolo cambiamento nel suo respiro e il tono. Era perché
la mia accusa l'aveva scioccata? O perché stava menten-
do? Mi rivolsi a Wanda. «Voi due avete bruciato la nostra
casa?»
«Certo che no!» I suoi occhi si spalancarono. «Credi
davvero che potremmo uccidere nostra sorella?»
L'idea sembrava così ridicola quando lo disse in quel
modo. Allora, perché non riuscivo ad affievolire il mio
sospetto?
134
«Tutto questo è irrilevante,» disse Sharon. «Non puoi
permetterti le lezioni senza il tuo fondo fiduciario. Le
moto di tuo padre ti condurranno fino a un certo punto.»
«Allora è una buona cosa che abbia ottenuto una borsa
di studio da arciera.» I loro volti impallidirono. «Davve-
ro, ovvio. Non appena ho espresso l'interesse, la scuola si
è occupata di tutto.»
Lo sguardo di Wanda dardeggiò quando si mise alla
ricerca di qualcosa da dire. «Pensi che sia facile fare ami-
cizia ed integrarsi? Sei una dea tra i mortali, vorranno
farti del male. È più facile che non ti esponga ai loro oc-
chi.»
Roteai gli occhi. «Quindi non dovrei avere mai un
amico solo perché voi due avete deciso di non esporvi là
fuori? Solo perché non avrete mai relazioni o vivete per
conto vostro?»
In un tono che suonava definitivo, la zia Sharon disse:
«Se te ne vai, cadrai.»
«Davvero? Non capite? Voi non porterete mai la Carta
della Luna a dubitare di se stessa.»
***
Sei giorni fa
135
plementare, e ora potevo essere sul punto di fami un'a-
mica. Stai calma, Lena!
«Mi chiedevo perché non ti sei fatta vedere quest'esta-
te.»
Come in una confraternita? «Non ci ho mai pensato.»
«Non sto cercando di perseguitarti, ma ho sentito che
sei un'atleta del college, e sei ovviamente impegnata nella
tua classe. Siamo sempre alla ricerca di ragazze carine
con buoni voti e atletiche. Ma soprattutto con buoni voti,
Per questo motivo il nostro capo non viene posto in liber-
tà vigilata!» Rise. «Dovresti considerare di immatricolarti
in primavera.»
«Sì. Ci penserò su.» Pensavo di non essere esattamente
materiale da confraternita, e poteva interferire con la mia
"pratica" di tiro con l'arco (che consisteva nel mettermi in
mostra e di comportarmi come non riuscissi a colpire il
centro del bersaglio ogni volta). Ma se un'amica era buo-
na, un'intera classe di iniziati sarebbe stata ancora me-
glio.
Candy disse, «C'è una festa sabato a casa della squadra
di lacrosse. Vuoi venire con me?»
Stai calma, stai calma! «Sì, suona divertente.»
***
Tre ore fa
136
facile? Mi ero sforzata di mancare un tiro, perdendo il
controllo del tavolo, ma l'avrei riavuto ora.
Dopo aver ingurgitato l'ultimo sorso, sorrisi a Candy
in disparte. Lei ricambiò il sorriso con meno entusiasmo
di prima.
Quando eravamo arrivate per prime alla festa, mi ave-
va presentato a tutti come se fossi la sua nuova migliore
amica, dicendo loro che sarei stata iniziata.
La Luna era al settimo cielo.
Candy era divenuta meno possessiva quando avevo
iniziato a scherzare con i giocatori di lacrosse come se
fossi la fidanzata di lunga data di ciascuno.
Avevo la sensazione che avesse voluto che brillassi ma
non così tanto.
Ma ero la Luna. Brillare era ciò che facevo.
Poi Brian, la sua cotta segreta, aveva puntato tutta la
sua attenzione su di me. Chi avrebbe potuto dargli torto?
Stavo indossando un sinuoso articolo nero che avevo or-
dinato da un catalogo elegante. Ma ero più interessata ad
avere un'amica. Avrei potuto ottenere un appuntamento,
una volta che mi fossi assicurata Candy.
Avevo cercato di porre Brian con lei in questo gioco,
ma lui aveva insistito per me.
Studiai la sua espressione. Ero sul punto di perdere la
mia prima amica? Diedi una gomitata a Brian. «Candy
sembra sexy stasera, non è vero?» Lei doveva avermi sen-
tita, inclinò la testa, uno sguardo di speranza sul suo vi-
so. «È un bel bocconcino.»
Si accigliò. «Chi? Sei l'unica bambina che mi interes-
sa,» farfugliò.
Merda! «Ho un ragazzo,» dissi in fretta. «Ma scommet-
to che potrei prendere il numero di Candy per te.»
137
«Il tuo ragazzo non è qui, giusto?» disse Brian.
«Quando il gatto non c'è, i topi ballano, giusto?» Si chinò
per baciarmi, ma io voltai il viso.
Candy si dimenò proprio quando la pallina cadde in
una delle nostre tazze. Brian mi consegnò la bevanda. «Ti
concederò gli onori dal momento che hai un sacco da re-
cuperare.»
«Sì. Cosa certa.» Portai la coppa alle labbra.
«Bevi, bevi!»
***
Un'ora fa o giù di lì
138
Noi? Riuscii a girare la testa. Tre dei suoi compagni di
squadra si erano uniti a noi, uno di loro che mi prendeva
l'altro braccio.
Ero la Cacciatrice, ma il modo in cui questi ragazzi mi
guardavano mi diede i brividi… Tutt'un tratto, mi senti-
vo come la preda. «Non andrò al piano di sopra!» pro-
ruppi con tutte le mie forze, ma loro risero semplicemen-
te.
Uno di loro disse: «Abbiamo preso una gattina selvag-
gia stasera.»
Avevo dato la caccia a gatti selvatici attraverso le fitte
foreste. In questo momento, ero proprio come loro. Mor-
devo quanto un gattino appena nato.
La realizzazione mi investì. Questi ragazzi… mi ave-
vano drogata.
Mi ero aspettata il tradimento dagli altri Arcani. Non
dagli esseri umani.
Superammo festaioli ubriachi. Cercai di gesticolare per
chiedere aiuto, ma nessuno mi prestava attenzione. I
quattro giocatori mi guidarono verso un altro corridoio.
Il mio stomaco sussultò quando vidi una scala avanti.
Non potevo lasciare che mi costringessero a salire quei
gradini…
Candy! I miei occhi si spalancarono. Era nella sala che
limonava con un ragazzo! «Candy!» urlai, ma venne fuori
come un mormorio impastato.
Cercai di allungare una mano verso di lei, ma quei ra-
gazzi tenevano le mie braccia. «Aiutami!» Non avevo mai
detto quelle parole in tutta la mia vita.
Lei si ritrasse dal ragazzo. Avrebbe visto cosa c'era di
sbagliato in me! Avrebbe saputo cosa avevano fatto questi
stronzi.
139
Lei mi guardò dall'alto in basso. Con un sorriso, mor-
morò: «Che troia» poi tornò a baciare quel ragazzo.
Le lacrime punsero i miei occhi. Volevo singhiozzare.
La mia prima amica.
Ai piedi delle scale, tentai un ultimo spettacolo di resi-
stenza, ma riuscii solo a crollare.
Brian mi afferrò, ridendo. «Oplà!» Mi avvolse un brac-
cio intorno, tirandomi contro il suo fianco. «Eccola.» Con
un'altra risata, disse agli altri, «Avete mai notato che non
lo fanno mai per le scale?»
Avevano drogato anche altre ragazze.
La mia vista divenne più sfocata quando mi forzarono
a salire le scale. Le mie scarpe erano scomparse, i miei
piedi flosci che si trascinavano dietro di me. Non riuscivo
a muovere le gambe, non potevo combattere.
Presto sarei svenuta. Avrei ricordato nulla di tutto
questo?
L'ultima cosa che vidi fu la porta della stanza di Brian.
***
Adesso
140
Pensai al chiaro di luna che filtrava attraverso la fore-
sta. Immaginai il mio arco, e immaginai come avrei ficca-
to una freccia in ognuno di questi ragazzi, se sarei riusci-
ta a ricordare questa notte. Riprodussi come sarebbe stato
correre nella foresta con la mia velocità crescente e la for-
za. Le mie zie avevano ragione su una cosa.
Sono una dea.
Un piede si mosse leggermente. Poi l'altro.
Brian salì sul letto. «Che dolce pezzo di culo,» mi dis-
se. «Ti sbatterò così forte che lo sentirai per una settima-
na.»
Uno degli altri giocatori disse: «Ah, sì! Inchioda quella
puttana.»
Un altro gridò, «Sculaccia quel culo!»
Il mio cuore tuonò. I miei occhi guizzarono dietro le
mie palpebre. Strinsi la mano destra.
Brian iniziò a fare un'escursione sopra la mia gonna.
Le parole delle mie zie risuonarono dentro di me come
una preghiera: Il chiaro di luna è dubbio. È la luce dell'oscu-
rità. È il colore degli incubi. Sei nata per brillare in tempi bui.
Sii il castigo degli altri.
I miei occhi si aprirono tremando.
Quelli di Brian si spalancarono. «Whoa! Questa putta-
na si sta svegliando. Datemi dell'altro da bere!»
Altre droghe? Aprii e chiusi i pugni. Diavolo se sareb-
be successo!
Uno di loro balzò dall'altra parte della stanza per re-
cuperare una tazza, affrettandosi a tornare. Brian si spo-
stò per dare spazio all'altro ragazzo. Quando alzò la mia
testa e forzò il bordo contro le mie labbra, scostai la testa.
La Luna stava riguadagnando la sua forza. Sarei stata
il colore dei loro incubi.
141
Le mie mani colpirono il suo petto, scaraventandolo
giù dal letto.
Mentre sedevo, la mia pelle iniziò a diventare rossa
per la prima volta. Loro indietreggiarono, inorriditi. Il
ragazzo che era stato a filmare lasciò cadere il suo cellu-
lare.
Ad ogni secondo che divenivo rossa, mi riscossi dagli
effetti del farmaco. Quando il mio corpo fu di nuovo sot-
to il mio controllo, mi alzai e sorrisi a Brian. «Ti sbatterò
così forte che lo sentirai… per il resto della tua vita.»
Un ragazzo cercò di correre verso la porta. Volteggiai
di fronte ad essa. «Ah, ah. Nessuno si perderà il proprio
turno con me. Dovrai essere trasportato da questa camera
da letto, proprio come voi mi avete portata qui.»
Il rosso tingeva la mia pelle e la mia vista. Colpii il viso
di Brian per primo, mettendolo a terra con un colpo solo.
Un altro ragazzo oscillò un pugno, ma lo afferrai, strin-
gendo mentre prendevo a calci il cameraman.
Senza pensarci, mi spostai e ruotai, diedi pugni e cal-
pestai, il mio addestramento al combattimento che pren-
deva il controllo.
Questi uomini mi avevano preso di mira, lavorando
insieme. Ora li prendevo di mira io, i miei arti che lavo-
ravano insieme. Le mosse erano senza sforzo, la distru-
zione gratificante. Brian vomitò ogni volta che davo un
calcio al suo stomaco, come se stessi premendo un pul-
sante Vomita Adesso. Divertente!
Non ero stata una fan del gioco degli Arcani, ma se
portava più di questo…
Ossa che si spezzano. Urla. Suppliche affinché io smetta.
Suppliche? «Non supplicare.» Calcio. «Io non ho detto
una parola.» Pugno.
142
Troppo presto tutti giacquero sul pavimento, uomini
spezzati. Non ero nemmeno a corto di fiato.
Colpii tutti nel pacco così forte che dubitai che avreb-
bero mai violentato qualcun altro. Schiacciai il telefono di
quello stronzo, poi sputai sul viso insanguinato di Brian.
Quando uscii, mi resi conto che sarei stata sotto quello
stupratore adesso se il gioco non mi avesse dato delle abi-
lità e se le mie zie non mi avessero addestrata ad utiliz-
zarle.
Avevo picchiato il culo di quei giocatori, ora era il tur-
no di Candy. Mi misi in ascolto della sua voce, inseguen-
dola attraverso la grande festa. Non aveva idea che la
Cacciatrice era sulle sue tracce.
La trovai al piano di sotto che fumava con un gruppo
di ragazze. A giudicare dai cazzo di nodi nei capelli, era
già stata con quel ragazzo di prima. La strattonai verso di
me.
La sua bocca si aprì. «Cosa stai… c-come? Eri in co-
ma.»
«E mi hai lasciata con quegli animali? Sapevi cosa ave-
vano intenzione di farmi! Mi hai abbandonata.»
Recuperandosi dalla sorpresa, simulò una risata.
«Sembrava che fossi sul punto di avere una bella serata
con tutti loro. Puttana.»
Inclinai la testa. «Quanto sarà bella la serata per te se
rimarrai senza i denti?»
Lei aggrottò le sopracciglia. «Cosa…»
Wham! Le diedi un pugno sulla bocca, colpendole i
denti davanti. Strillò, spruzzando sangue.
Mi voltai verso la porta, tornando al mio dormitorio.
Se questo era ciò che offrivano l'amicizia e gli appunta-
menti, non avevo perso nulla. Forse il gioco era il mio
143
unico scopo, l'unica cosa che poteva alleviare la mia no-
stalgia.
Avrei fatto i bagagli stasera e sarei tornata dritta dalle
mie zie. Quando fossi arrivata, avrei detto loro, «Vincerò
l'intero cazzo di gioco.»
144
Il Sole (XIX)
Solomón Heliodoro, Ave il Glorioso Illuminatore
A.k.a.: El Sol
Poteri: incarnazione solare (in grado di emettere luce
solare dalla sua pelle e dagli occhi). Manipolazione solare
(può bruciare i nemici o colpirli con la follia e attaccare
con venti solari e fiamme). Incitamento al comando e
senso divinatorio (capace di controllare i Mostri e pren-
dere in prestito i loro sensi).
Abilità speciali: Carisma migliorato, capacità di intrat-
tenere.
Armi: Mostri.
Immagine: un bambino avvolto in una bandiera rossa
è circondato da girasoli. Sopra, il sole arde con un volto
minaccioso.
Icona: Sole giallo.
Caratteristiche arcane uniche: Raggi d'oro irradiano
dai suoi occhi, e la sua pelle abbronzata s'illumina.
Prima del Lampo: Dottorando di storia alla Purdue e
promotore part-time di rave dalla Spagna.
145
West Lafayette, Indiana
Giorno 0
146
«È così, cariño?» Mi allungai verso di lui, placcandolo
fino a farlo implorare pietà.
Bea scivolò fuori dal letto e si diresse verso il bagno,
dicendo da sopra la spalla, «Arriveremo in ritardo. È co-
me se continuassi a dire: qualcosa andrà…»
«…sempre di traverso,» finimmo Joe ed io all'unisono.
Brontolando, lo rilasciai. Tutti pensavano che ci diver-
tissimo molto come promotori di feste, ma organizzare
rave richiedeva molto lavoro. Soprattutto perché ci spo-
stavamo da un edificio abbandonato a quello successivo.
Ogni volta, dovevamo fare una nuova messa a punto,
elettricità, luci, suono, decorazioni, ecc… e dovevamo
farlo il giorno della festa, altrimenti la nostra attrezzatura
sarebbe stata rubata.
Lavoravamo come bestie per ore persino prima che il
rave iniziasse, poi svolgevamo un turno di notte assieme
ai partecipanti. Ma avevamo quasi fatto abbastanza soldi
per viaggiare durante la pausa invernale.
Quando Joe si alzò dal letto, lo vidi distendersi con il
mio stesso ardore verso Bea. Chi avrebbe immaginato?
Lui mi sorprese a sbirciarlo nello specchio e l'arrogante
cabrón sorrise, così gli gettai un cuscino in faccia.
Lui ricambiò. «Non m'interessa quello che facciamo
dopo il lavoro, ma la tequila deve essere coinvolta.»
Bea sbirciò fuori dalla porta. «Concordo.»
Annuii. «Mozione accolta.» Non saremmo stati insie-
me senza l'aiuto della Cuervo.
Due anni fa, Joe si era davvero innamorato di Bea
quanto me, cercando di portarmela via, il che aveva pro-
vocato il peggiore, e il migliore, giorno della mia vita.
Peggiore? Il cuore di Bea era stato così combattuto tra il
suo ragazzo e il suo deciso nuovo pretendente che aveva
147
minacciato di tagliarci entrambi fuori dalla sua vita.
Avevo deciso di combattere contro di lui. Poi mi ero reso
conto che Joe, un difensore nei suoi anni universitari, era
davvero un grande stronzo che probabilmente poteva
prendere a calci persino il mio culo.
Migliore? Dopo un po' di tequila, avevo mormorato che
lei meritava di avere entrambi. Avevo scherzato per me-
tà, ma lei aveva accettato, dicendoci che potevamo con-
dividerla dentro e fuori dal letto o non vederla più!
Il che lasciò me e Joe a comprendere il resto. Il nostro
amore per Bea, unito alla tequila, ci condusse tutti e tre a
letto insieme. Con nostra sorpresa, era stato fantastico.
Cambio di vita.
Non potevo sopravvivere senza entrambi. Avevo
comprato due anelli. Questa sera dopo il lavoro, avrei
chiesto loro di sposarmi.
***
148
altoparlanti, mentre Bea organizzava i contanti e i brac-
cialetti. Io stavo mettendo in sicurezza una delle ultime
unità d'illuminazione alla mia impalcatura.
Durante l'installazione, Joe e Bea si presero cura delle
"viscere", ed io perfezionai la "pelle". Ero incaricato di
tutti gli effetti di design, ma l'illuminazione dei rave era
la mia passione. Dalla mio console, riuscivo a controllare
la messa a fuoco, il colore e l'intensità dei raggi in movi-
mento per amplificare l'energia della musica e manipola-
re le emozioni dei partecipanti. Joe e Bea mi prendevano
in giro, dicendo che mi facevo di elettricità.
Adesso Joe ruotò la testa sul collo. «Ho finito con il
mio impianto.»
Bea disse, «Altro che pulizia della spazzatura, anch'io
sono a posto.»
Joe strinse la mia spalla. «Hai bisogno di aiuto, spa-
gnolo?»
«Posso inserire altre due serie di luci lungo questa ca-
priata.» Avrebbe diretto l'attenzione su di lui. «Ragazzi,
potreste andare a prenderli dal furgone?»
«D'accordo,» disse Joe. Prese la mano di Bea, e si dires-
se verso le scale.
Tutti e tre lavoravamo insieme senza soluzione di con-
tinuità. Sebbene dimenticassi sempre il trapano a batte-
ria, Bea non mancava mai di portarne un altro. Joe faceva
in modo che bevessimo abbastanza Gatorade da rimane-
re idratati per la lunga notte davanti a noi. Io tenevo tutti
in equilibrio ogni volta che qualcosa andava storto.
Bea aveva ragione, accadeva sempre.
Mi tolsi la camicia e mi asciugai il viso, osservando la
zona. Avevamo trasformato la cantina in un paradiso ra-
ve spettrale.
149
Sulla base dei resoconti di prima mano e foto sgranate,
avevo avidamente cercato la storia raccapricciante di
questo luogo, avevo dipinto le porte delle celle arruggini-
te e impregnato le tende di sangue. Avevo vestito mani-
chini con camici macchiati di sangue (grazie, eBay). Bea,
Joe, ed io avevamo anche schizzato i camici da indossare.
Nell'ambiente della promozione, la presentazione era
tutto.
Ero raggiante ed ero così orgoglioso di loro. Di noi.
Improvvisamente, una brezza soffiò dentro l'area, di-
sperdendo il nostro mucchio di rifiuti di scatole e involu-
cri. Mi grattai la testa. In nessun modo un vento poteva
raggiungere questo seminterrato, ed era troppo forte per
essere uno spiffero.
Prima che potessi determinare l'origine del vento, fui
colto dalle vertigini. La camera sembrava stesse ruotan-
do. No, io stavo ruotando! Eppure, allo stesso tempo, una
sorta di peso premeva sul mio corpo.
Cosa diavolo mi sta succedendo?
Mi sentivo come se la gravità mi colpisse più che mai!
La pressione fece piegare le mie gambe. Caddi in ginoc-
chio, il mio sguardo terrorizzato che guizzava. Quel ven-
to crebbe e divenne caldo, spiraleggiando attorno a me.
La sensazione roteante si intensificò. Un altro po', e avrei
perso coscienza.
Provai a chiamare Joe e Bea. Erano ancora fuori, non
mi avrebbero mai sentito quaggiù. Quanto tempo ci sta-
vano mettendo?
Ruotando, ruotando. L'oscurità stava per sopraffarmi! I
miei occhi si chiusero, e la gravità fece collassare il mio
corpo…
150
***
151
Mostri con facce alterate e spiegazzate. Le labbra scre-
polate. Occhi pallidi che gettavano pus.
Perché quelle creature stavano indossando i vestiti di
Bea e Joe? «È-è uno scherzo questo?» Guardai dall'uno
all'altro, non credendo ai miei occhi. Queste cose erano
Joe e Bea! «Cariño? Querida?» Lo sguardo vaporoso di Bea
si concentrò sul mio collo. No, sulla mia gola…
Joe si avventò su di me, facendomi volare. «Che diavo-
lo stai facendo?» Mi schiantai al suolo, la forza che mi por-
tava via il fiato.
Balzò sopra di me, mi agitai, facendo leva contro il suo
grande petto. Intrappolò una delle mie braccia agitanti. I
suoi denti affondarono nella mia pelle!
Urlai dal dolore. «Joe, perché… cosa???» Lui stava
succhiando il mio sangue!
Bea cadde in ginocchio e si unì a lui, afferrando e mor-
dendo l'altro braccio.
«Ahh! Perché voi… non potete…» Stavano bevendo me!
Il mio trapano a batteria giaceva per terra nelle vici-
nanze. Se riuscivo a liberare un braccio, potevo agguan-
tarlo e sbatterlo sulla testa di Bea, per poi utilizzarlo su
Joe.
No! Tutto in me si ribellò. Avrei preferito morire che
far loro del male. «Per favore, non costringetemi a farvi
del male!» Smettete di mordermi!
Entrambi si fermarono, rilasciando la mia pelle. Lascia-
temi andare! Lasciarono cadere le mie braccia.
Arretrai di nuovo, pensando, allontanatevi da me, via. Si
alzarono e si allontanarono di diversi passi, i loro movi-
menti quasi robotici. Mentre mi trascinavo in piedi, loro
rimasero lì in piedi, oscillando leggermente all'unisono.
In qualche modo li stavo controllando? Mentalmente?
152
Li immaginai fare un passo indietro, poi un passo in
avanti.
Fecero lo stesso.
Li stavo controllando! Perché ci stava accadendo que-
sto? Tutta questa situazione sembrava soprannaturale,
ma non credevo alle stronzate dei giochi di prestigio.
Forse erano stati morsi da qualcosa di rabbioso quaggiù,
un pipistrello o qualcosa del genere.
Allora, perché stavo ancora brillando?
«A-andrò in un ospedale.» I miei occhi si riempirono
di lacrime. «I medici vi guariranno.» Poi immaginai come
gli altri avrebbero reagito alla mia ragazza e al mio ra-
gazzo.
La loro pelle era coriacea. Quegli occhi pallidi erano
vuoti. Il mio sangue macchiava le loro labbra screpolate e
il mento.
I due sembravano… zombie assetati di sangue. Come
se li avessi vestiti per una festa. Ma questo era vero. Giu-
sto?
Dei passi risuonarono ancora una volta nella tromba
delle scale. Altre creature dalla pelle alterata entrarono.
Qualcosa lì fuori li aveva trasformati. Aveva trasformato
la mia Bea e Joe.
In zombie.
Ero in un manicomio. E forse appartenevo a questo…
153
Il Giudizio (XX)
Gabriel Arendgast, Arcangelo
154
Il Monte nell'alto Canada selvaggio
Giorno 0
155
Secoli fa, la setta – inseguita dall'Europa, e poi fin dal
terreno stesso – si era trasferita in questa montagna isola-
ta, cercando rifugio dentro il cuore del suo picco.
Nell'antro della camera, decine di sacerdoti erano riu-
niti per seguire il mio storico cammino. In totale, questa
colonia contava settantotto membri, il numero di carte in
un mazzo di tarocchi. Metà era di sesso femminile, metà
maschile. Le loro voci risuonarono per l'eccitazione. La
setta aveva atteso questo momento da generazioni.
Come entravamo, un anziano gridò, «Silenzio tutti.»
All'altare a lume di candela, stetti in piedi accanto
all'alto sacerdote, rendendo impassibile il mio volto. Nes-
suno avrebbe mai saputo la strangolante voglia di dover
fuggire. Stavo per iniziare a sudare, nonostante la mia
mancanza di camicia. Resistetti all'impulso di strofinare i
palmi umidi sui pantaloni.
Con una voce sonora, l'uomo si rivolse a tutti, segnan-
do l'inizio del rito di oggi. Registrai appena le sue parole,
mentre contemplavo la mia vita.
Come sempre, mi chiesi dei miei genitori di nascita.
Ero scomparso da diciassette anni. Mi aspettavano anco-
ra quanto io attendevo loro? Non avrebbero mai saputo
l'importanza del loro sacrificio. Avrebbero potuto accet-
tare il rito a cui stavo per prendere parte?
Dubitai che avrebbero potuto accettare la mia duplice
natura.
Un Arendgast era sia angelo che animale, una creatura
lacerata tra fondamento e istinti nobili. Quando avevo
dodici anni, avevo chiesto all'alto sacerdote come avrei
potuto superare il mio istinto animale di autoconserva-
zione durante il rituale. La sua risposta mi aveva riempi-
to di orrore.
156
Forse avrei dovuto correre allora…
Sebbene i nostri dati – le Cronache di Arendgast – fos-
sero stati bruciati da tempo dagli abitanti del villaggio
impauriti, gli anziani avevano tramandato la conoscenza
sacra per aiutarmi nel gioco Arcano, storie del passato e
racconti del futuro.
Dovevo guardarmi le spalle dai miei peggiori nemici:
la Morte, l'Imperatrice, e l'Imperatore. Il mio fedele allea-
to era sempre la Torre; l'avrei cercato il prima possibile.
Ero stato anche profetizzato in questo gioco per dare il
mio cuore a una grande guerriera, un altro Arcano: "Una
che uccide da lontano."
Sicuramente questo significava che sarei sopravvissuto
al rituale!
Gli anziani avevano anche tramandato la data del pre-
detto Grande Cataclisma.
Oggi.
L'apocalisse ci sarebbe capitata, il gioco che iniziava
nella sua scia. Ma avrei dovuto sentire i richiami degli
Arcani adesso. Cosa sarebbe accaduto se gli anziani aves-
sero sbagliato la data?
La mancanza di richiami significava una delle due co-
se, entrambe tragica: non ero l'Arendgast. O il gioco non
iniziava oggi.
Entrambe le opzioni eguagliavano la mia morte.
La mia vita aveva preso una sola svolta fatale per con-
durmi a questo precipizio, in senso figurato e letterale.
Quando avevo due anni, un sacerdote – presumibilmente
un Arcano minore - credette di aver visto il primo seme
del mio tableau che sfarfallava su di me. Quella notte, mi
aveva sottratto ai miei genitori naturali, portandomi al
Monte.
157
Guardai sopra la folla, trovandolo. Il suo volto era ros-
so, gli occhi annebbiati. Aveva veramente visto il mio ta-
bleau tanto tempo fa? Giurò che ero la settima venuta di
Gabriel.
Ma poi, quel sacerdote beveva anche un sacco.
E proprio ora sembrava… nervoso.
Tutto il mio destino era stato plasmato da un sacerdote
ubriaco. Avrei dovuto pagare il prezzo più alto per l'erro-
re di un altro uomo?
«Sublime…?»
Portai il mio sguardo sull'alto sacerdote. «Sono pron-
to,» mentii di nuovo. Sebbene avessi trascorso la mia vita
a prepararmi per questo, non ero decisamente più pronto
per una caduta libera verso il suolo.
Se facevo il salto nel vuoto troppo prima del gioco, le
mie ali non sarebbero state completamente formate.
Gli altri si separarono affinché raggiungessi la spor-
genza. Quando attraversai a fatica la caverna, le sacerdo-
tesse cercarono di catturare la mia attenzione per il ritua-
le di chiusura di stasera, allungando la mano per toccare
il mio petto e la schiena. «Scegli me,» sussurravano.
Ero l'unico a dubitare della mia sopravvivenza? Ogni
passo mi portava più vicino alla mia probabile morte.
Deglutii quando scorsi il margine della scogliera, ma
continuai a camminare.
Più vicino.
Se ero l'Arcangelo e il gioco iniziava veramente oggi,
le mie ali e gli artigli sarebbero sbucati dalla mia pelle
quando precipitavo. I miei sensi e la guarigione sarebbe-
ro stati rinvigoriti.
Avrei volato sopra terre che non conoscevo, sciolto dal
Monte per la prima volta.
158
Più vicino.
Al tramonto, sarei tornato con la fiaccola, una luce ce-
rimoniale, tutto parte del rituale. Poi la colonia avrebbe
bevuto dei forti liquori e festeggiato nella notte, la grande
caverna che risuonava di allegria.
Ci si sarebbe aspettato che avessi scelto quattro com-
pagne di letto tra le sacerdotesse, le più belle e affasci-
nanti tra loro. Non avendo mai neppure baciato, ero qua-
si nervoso per quella parte quanto della caduta!
Dei, non avrei mai voluto vivere ancora.
Più vicino.
Uscii da sotto la sporgenza della roccia, sbattendo gli
occhi alla luce del sole.
Più vicino. E se avessero sbagliato la data?
I cieli brillanti erano senza nuvole. Molto al di sopra,
un aereo – una di quelle imbarcazioni misteriose! – attra-
versò la distesa blu. Quasi una giornata apocalittica.
Più vicino… Ecco. Alla scogliera, guardai le frastagliate
rocce innevate sotto, la paura che mi soffocava. Il mio
cuore tuonò quando riprodussi la risposta del sommo sa-
cerdote alla mia domanda di tanti anni fa: «È nostro do-
vere assicurarci che tu diventi l'Arcangelo. Se il tuo istin-
to di auto-conservazione prende il sopravvento, faremo
in modo che tu salti.»
In altre parole, tutti i sacerdoti alle spalle mi avrebbe
spinto.
Il mio destino era fissato; in qualche modo avrei lascia-
to questa sporgenza. Avrei dovuto farlo con orgoglio o
vergogna? Non appena l'alto sacerdote fece un segno,
avrei dovuto farlo in fretta. Prima che perdessi il corag-
gio. Pugni chiusi, inalai rapide raffiche d'aria, trattenendo
grida di terrore.
159
Si rivolse a me. «Ogni volta che tu…»
Feci un passo fuori nel nulla.
L'aria strillò nelle mie orecchie. I miei lunghi capelli si
aggrovigliarono attorno al mio viso.
Sto cadendo…
Sto cadendo!
Nulla era accaduto! Il che significava che stavo moren-
do…
Dolore!
Un'agonia lancinante si sprigionò dalla mia schiena.
Non riesco a respirare. A malapena cosciente. Devo essere at-
terrato, fracassandomi sulle rocce.
Allora, perché stavo ancora cadendo?
DOLORE.
Portai le mani davanti al mio viso, digrignando i denti
quando gli artigli sbucarono dalle mie dita! Incredulo, al-
lungai la testa da un lato all'altro – del nero setoso svo-
lazzava dietro di me. Ali! Mi concentrai sulla loro espan-
sione – utilizzandole per sopravvivere.
Il terreno si fece sempre più vicino.
Provai a sbattere le mie nuove ali. Piombare all'im-
provviso? Volare in generale?? Nessuno degli anziani
aveva tramandato consigli pratici sul volo!
I nuovi muscoli della schiena si contrassero. Le mie ali
si distesero, scioccandomi per le loro dimensioni! Con
tutte le mie forze, tesi i miei nuovi muscoli…
Le mie ali catturarono l'aria; il mio corpo sobbalzò co-
me se avessi saltato con una catena attaccata.
Troppa pressione! «Ahhhh!» Le ossa sarebbero sicura-
mente scattate. Il cuore sul punto di esplodere, lasciai che
l'istinto prendesse il sopravvento. Senza pensare, mano-
vrai per scendere in picchiata.
160
Quando mi lanciai a capofitto nel cielo, le mie ali sem-
brarono agire per conto proprio. Scavarono nell'aria co-
me pagaie nell'acqua, facendomi sfrecciare in avanti. E di
nuovo. La mia velocità rimase costante, ma ora stava vo-
lando in parallelo al suolo.
Stavo… volando.
Il dolore di prima lasciò il posto all'euforia. In tutta la
mia vita, avevo atteso di sorgere!
E i miei sensi! Sentii il ghiaccio frantumarsi in un
ghiacciaio lontano, e le grida di giubilo dei sacerdoti lun-
go tutta la strada fino al Monte. Molto più a nord, scorsi
una lepre artica bianca, rannicchiata in basso in mezzo a
miglia di neve. La vista della preda mi colpì; i miei artigli
si allungarono ancor di più dai miei polpastrelli alterati.
Euforia. Estasi. L'aria scorse sopra le ali come una ca-
rezza dal cielo.
Quando planai, sbattei le palpebre dinnanzi a un'om-
bra che scivolava sulla neve sotto di me. Nero su bianco.
Spaventoso, audace.
Le mie labbra si aprirono. Quell'ombra terrificante
era… mia.
L'immagine era sempre scolpita nella mia mente; un
ricordo del motivo per cui ero cresciuto con queste ali.
Per uccidere.
161
Il Mondo (XXI)
Tess Quinn, Questa Soprannaturale
162
Broken Bow, Oklahoma
Giorno 0
163
Avrei voluto poterlo vedere in questo momento. Ave-
va i suoi libri aperti? Era nel panico per il compito di
domani?
Guardai il bastone sul letto. Avrei potuto proiettarmi
astralmente da lui e vedere a che punto…
No, Tess. Non lo fai. Spiare era sbagliato.
Quando avevo trovato quel vecchio bastone malridot-
to nella soffitta del nonno e scoperto le mie capacità, mi
ero resa conto che ero una super-eroina. Volevo essere
una buona. Così avevo scritto delle regole.
1) Non utilizzare i poteri se non è assolutamente necessario.
Questa era difficile perché mi piaceva quando li stavo at-
tivamente utilizzando. Mi sentivo fiduciosa e spiritosa.
Non che qualcuno potesse vedermi o sentirmi.
2) Non spiare. Ancora più difficile.
3) Non dirlo ai genitori. Per convincerli dei miei poteri,
avrei dovuto dimostrarli; papà avrebbe potuto avere un
legittimo attacco di cuore.
4) Non rapinare le banche.
Stavo ripensando alla mia ultima regola. I miei genito-
ri si stavano avvicinando all'età pensionabile, ma erano al
verde. Papà faceva ancora due lavori. Diciannove anni fa
avevano speso una fortuna nella riproduzione assistita
per avermi – il loro piccolo miracolo – e ancora non si
erano ripresi.
Avevano rinunciato a tutto solo per portarmi al mon-
do.
Guardai il mio telefono. Forse avrei potuto piegare le
regole in caso di emergenza – come scoprire perché Tony
aveva chiamato! Sarei andata da lui solo per un secondo,
una sbirciatina, per poi proiettarmi a casa.
164
Non potevo rimanere per molto tempo in ogni caso.
Avevo scoperto nel modo più duro che ogni proiezione
astrale, levitazione, e teletrasporto bruciava grassi, la-
sciandomi il corpo scheletrico. Ero divenuta nuovamente
paffuta una volta che avevo trangugiato qualche migliaio
di calorie, ma non volevo scoprire il mio limite sulla per-
dita di grasso.
Allontanai il telefono e poggiai le mani sul bastone.
Anche se non sembrava avere chissà quale energia.
Non sembrava molto neanche a me, ma i miei poteri
erano irreali. La settimana scorsa, avevo sognato di essere
un tutt'uno con l'etere, soltanto un atomo fra atomi, ed
ero divenuta spaventosamente intangibile! Avevo galleg-
giato attraverso il mio letto, attraverso il pavimento, e giù
in cucina. Grazie a Dio i miei genitori non erano lì.
Chiudendo gli occhi, mi immaginai accanto a Tony.
Come un proiettile, mi proiettai in una stanza. La sua
stanza? Giunsi a riposare in orizzontale – proprio sopra il
suo letto.
Il suo viso era, tipo, due metri sotto il mio! Era a torso
nudo, sdraiato con il piumino alla vita. Non c'erano libri
aperti. Stava messaggiando con qualcuno. O cercando di
farlo. Digitò, cancellò, poi digitò di nuovo.
Poi gettò il telefono lontano, e si mise il braccio sul vi-
so, come se si sentisse senza speranza. Poteva forse essere
stato nervoso sul mandarmi un messaggio?
Sì, giusto, Tess.
Allungò una mano verso il suo computer portatile, poi
fece clic su un tasto. Il suo click mostrò…
La mia foto.
A Tony piacevo! Io, io, io!
165
Poi aggrottai la fronte. Quell'immagine era accompa-
gnata da un articolo sull'organizzazione del servizio che
avevo iniziato, e avevo sempre pensato che l'immagine
mi facesse apparire dannatamente grassa. Quando questo
articolo uscì, avevo pianto di fronte a uno specchio,
chiamandomi Fatty2 MacFatterson. Avevo appena saputo
che anche tutti gli altri a scuola mi avevano chiamata co-
sì.
Ero stata totalmente fuori strada? Tony stava guar-
dando quell'immagine con le sopracciglia aggrottate –
come se fosse INNAMORATO!
Avrei potuto rimanere lì a sospirare sopra la sua
espressione per giorni, ma dovevo tornare, avrei bruciato
troppe calorie se indugiavo. I miei genitori già sospetta-
vano che fossi bulimica. Lo sapevo perché li avevo spiati
– spiare è sbagliato.
La prima volta che ero levitata, ero stata contenta di
perdere tutto il mio grasso. Poi mi ero resa conto di quan-
to fosse importante ogni libbra. Ogni singola caloria con-
tata. Qualcosa doveva alimentare i miei poteri irreali…
Una delle mani di Tony cominciò a strofinarsi la pan-
cia.
I miei occhi si spalancarono. Assolutamente. No.
Spiare è sbagliato, spiare è sbagliato, SPIARE È SBAGLIA-
TO.
La sua mano s'immerse sempre più in basso. Il piumi-
no si scostò e rivelò il suo ombelico. Come poteva un
ombelico essere così carino? E sexy?
166
Ero abbastanza certa di essermi innamorata di Tony
per sempre.
O essere lussuriosa.
Ora stavo MORENDO per il mio primo bacio. Domani
avrei marciato verso di lui a scuola e premuto le labbra
sulle sue. La mia nuova vita come supereroina e fidanza-
ta di Tony poteva finalmente iniziare.
Le sue labbra erano il tasto play per iniziare un nuovo
capitolo. Considerando la sua reazione alla mia foto, po-
tevamo anche… fare sesso.
Quando la sua mano raggiunse la sua destinazione,
quasi gemetti per l'imbarazzo e l'eccitazione. Ma in qual-
che modo chiusi gli occhi e mi sforzai di tornare a casa.
Aprii gli occhi, poi aggrottai la fronte. Non a casa? I
miei nuovi dintorni erano una sorta di velo e indefinito.
Tutt'intorno a me sembrava sfocato, come la roba faceva
a volte quando sognavo.
Mi guardai intorno. Un ragazzo sexy era in piedi a
meno di dieci passi da me, che indossava jeans rovinati e
senza camicia. Be', salveeee. Aveva muscoli ben sviluppati
come nessun domani e la pelle scura liscia – ad eccezione
di alcune brutte cicatrici sul petto. Avrebbe dovuto por-
tare un permesso per degli zigomi come quelli!
Volevo vedere i suoi occhi, ma erano chiusi con forza.
«Salve,» dissi. Quando mi stavo proiettando in questo
modo, non c'era tempo per la timidezza.
Il suo sguardo scattò al mio viso. «Tu chi sei? Come fai
ad essere… qui?»
«Potrei star sognando. Oppure potrei essermi proietta-
ta astralmente. Chi può dirlo? Che accento figo, tra l'altro.
Di dove sei?»
167
In un tono stordito, gracchiò, «Africa.» Quei bei mu-
scoli si stavano tendendo? «Siamo in Kenya.»
Noi? Mi feci strada attraverso un parte del misterioso
etere per avvicinarmi, poi lanciai un'occhiata oltre lui.
Era mano nella mano con una giovane donna, i cui occhi
rimanevano chiusi e mormorava a bassa voce. Certo che
sarebbe stato impegnato. Una piccola camicia da notte
mostrava la sua figura splendida. Quando osservai il suo
viso da perfetta modella, sentii un eritema partire dal
gomito.
Mi graffiai goffamente. «Uh, io vengo da Broken
Bow.» Come se avessero sentito parlare di questo posto.
«È la porta d'ingresso al Beavers Bend,» dissi, blaterando.
«Il che probabilmente non è una meta riconosciuta a li-
vello internazionale, a meno che uno non fosse un casto-
ro, perché poi è, tipo, il posto…»
«Non vedi le luci?» chiese, alzando lo sguardo verso il
cielo.
Strizzai gli occhi. «Luci?» Riuscivo tipo a scorgere
qualcosa che assomigliava a un spettacolo di luci laser in-
crociate con l'aurora boreale. «Non sono davvero lì.»
«Sei un fantasma anche tu?» La sua voce era sempre
più debole.
Fantasma? «Intendi intangibile? Credo di poter essere
un fantasma. Be', non di proposito.»
«Puoi aiutarci? Stiamo… stiamo per essere uccisi in
questo momento!»
I miei occhi si spalancarono. «D-di cosa stai parlan-
do?»
«Le luci! Le fiamme! Se non posso rimanere… un fan-
tasma… bruceremo.»
168
Non c'è da stupirsi che si stesse sforzando! Farfugliai:
«Come posso aiutare? Puoi teletrasportarti?» Mi ci vole-
vano un sacco di calorie solo per teletrasportare me stes-
sa; Non riuscivo ad immaginare di farlo con qualcun al-
tro.
Mormorò, «Teletrasporto?» come se stesse riflettendo
sull'idea, considerandola. «Non lo so.»
«Voglio aiutarti!» Ma mi sentii dissolvere da questo
luogo. «Hai un bastone di legno? Puoi mangiare qualco-
sa?»
«Mangiare? Mangiare?» Lui scosse la testa verso di me.
«Fa attenzione alle luci e al boato, ragazzina.» Poi attrasse
quella donna contro di lui, avvolgendola tra le braccia.
Sebbene lottassi per rimanere con loro, non potevo far-
lo. Quando scomparvi dall'etere, stavo ancora gridando,
«Lascia che ti aiuti!»
Mi svegliai, sbattendo le palpebre per la confusione.
Che sogno spaventoso! Aspetta, dove mi trovavo adesso?
«Ugh.» Stavo galleggiando, la mia faccia schiacciata con-
tro il soffitto della mia camera da letto. Grande, ci avevo
sbavato di nuovo sopra.
Mi concentrai sul tornare con i piedi per terra. Ma
quando manovrai per porre il mio corpo da orizzontale a
verticale, la tuta mi scivolò addosso.
Oh, no. Dovevo aver perso dieci, forse anche venti chi-
li! Fuori, il sole era tramontato – i miei genitori stavano
per tornare a casa da un momento all'altro!
Tutte le ragazze a scuola erano così preoccupate della
perdita di peso. Io ne avevo bisogno. Sollevai i miei vestiti,
allacciandomeli addosso, poi debolmente zoppicai giù
per le scale verso la cucina.
169
Mi avventai sul frigo per primo, valutando i contenuti.
Trangugiai un gallone di latte intero, poi un litro di caffè
aromatizzato con la crema (il preferito di mia madre, ma
in tempi disperati). Poi mi feci strada attraverso un pac-
chetto di pasta biscotto.
La dispensa fu la prossima. Mandai giù un barattolo di
burro di arachidi – non c'era tempo per un cucchiaio; lo
raccolsi con le dita. Poi aprii un barattolo di noci di ma-
cadamia, appoggiai il bordo alla mia bocca, inclinai il ba-
rattolo, divorando il suo contenuto.
Patatine. Altro burro d'arachidi. Un'intera torta di mir-
tilli (la preferita di papà). Una pinta di gelato. Una confe-
zione da sei di Ensure dei miei genitori.
Lentamente il mio corpo nuovamente prese la carne.
Ho bisogno di più…
Stavo riscaldando una lasagna congelata mentre inala-
vo un'altra pinta di gelato quando i miei genitori entra-
rono.
Papà mormorò: «Ma che…?»
Le mie dita appiccicose andarono alla mia bocca. Mi
guardai attorno, vedendo la scena con i loro occhi. Tutti
gli sportelli dell'armadio erano aperti. Anche il frigorife-
ro. Barattoli e bottiglie vuote erano sparse per tutta la cu-
cina. Il latte macchiava il pavimento e la parte anteriore
della mia maglietta.
Gli occhi che si inumidivano, la mamma si lasciò cade-
re su una sedia al tavolo della cucina. «Tess, ti faremo
aiutare.» Si tolse gli occhiali per asciugarsi le lacrime.
Papà stava in piedi dietro di lei, le sue mani sulle spal-
le. «Domani ti porteremo in una struttura per ragazzi con
problemi alimentari.»
170
No, no. Dovevo essere a scuola domani. Stavo per ave-
re il mio primo bacio! «Non ho un problema con il cibo.»
Mi pulii il viso con il dorso della mano. Cioccolato, burro
d'arachidi, e mirtilli vennero via.
«È perfettamente naturale negarlo, tesoro,» disse la
mamma. «Ci hanno detto che l'avresti fatto. Dovrai solo
avere fiducia in noi.»
Anche gli occhi di papà divennero nebbiosi. «Miraco-
lo, ti vogliamo bene. Lo sai che sei tutto il nostro mondo.
Supereremo qualsiasi cosa insieme.»
Oltre mamma e papà, un movimento catturò la mia at-
tenzione. Le luci stavano tremolando nel cielo notturno.
Mi accigliai. Erano il tipo di luci ardenti che il keniano
aveva affrontato? Fa attenzione alle luci. Lasciai cadere il
gelato sul pavimento. «Mamma, papà, dobbiamo entrare
nel rifugio tornado. Adesso!»
«Di cosa stai parlando, Tess?» chiese papà, voltandosi
a seguire lo sguardo verso la finestra. «Ragazze, guardate
questo!» Sembrava ipnotizzato. «È l'aurora boreale.»
Mamma si alzò e si voltò. «Parola mia, è spettacolare!»
Come in trance, si diressero verso il foyer.
«No!» Mi precipitai da loro, ma scivolai nel cibo, con la
faccia immersa. «Oomph! A-aspettate…» ansimai. «Le lu-
ci sono pericolose! Dobbiamo entrare nel rifugio!»
Come mi sollevavo, sentii la porta aprirsi. Quando li
raggiunsi, stavano in piedi all'esterno, trafitti.
Tenni lo sguardo basso, timorosa di rimanere anch'io
ipnotizzata. «Tornate dentro con me!» Una specie di rug-
gito risuonò. Il keniano aveva avvertito anche di questo.
Sicuramente era un tornado in arrivo?
Afferrai le braccia dei miei genitori, strattonandole, ma
ero debole, ancora esausta per via dell'utilizzo dei miei
171
poteri. I miei genitori non si mossero. «Per favore, vi
supplico di venire con me!»
L'aria divenne sempre più calda. Osai sollevare lo
sguardo per dare un'occhiata – solo fino all'orizzonte.
Sopra le pianure arrivò un altro tipo di luce, come se il
sole stesse sorgendo. I miei genitori non lo videro, erano
troppo ipnotizzati dall'aurora.
I raggi arsero, poi… una gigantesca palla di fuoco bru-
ciò tutto lungo la sua portata – e si stava dirigendo verso
di noi!
Armageddon. Doveva essere.
I miei occhi si riempirono di lacrime alla vista; scossi
più che mai. «Mamma! Papà! P-per favore.» Il fuoco si
precipitò verso di noi, ma loro non si sarebbero mossi.
Neanche il tempo di metterli in salvo.
Potevo teletrasportarmi con i miei genitori? O divenire
intangibile con loro, come il keniano aveva fatto con
quella donna?
Mi imposi di chiudere gli occhi – sebbene la spavento-
sa apocalisse si stava dirigendo verso di noi! – e mi con-
centrai sull'immaginare il mio bastone. Allora immaginai
che noi tre fossimo atomi tra altri atomi, che galleggia-
vamo appena in giro per l'etere.
Aprii gli occhi. I miei genitori erano in quel luogo sfo-
cato con me! Guardai davanti a loro - l'onda della luce
ardente stava per colpire! Mamma gridò. Papà cercò di
proteggerci.
Gridai quando ci superò. La casa divenne un fuoco
istantaneo, finestre che si frantumavano. L'onda era così
vasta, eravamo ancora avvolti dalle fiamme.
172
Dovevamo andare sottoterra, al riparo! Immaginai di
teletrasportarci lì. Teletrasporto… traslazione… attraver-
sare lo spazio fisico…
Niente.
Mamma si guardò attorno, chiedendomi, «Co-cosa sta
succedendo?»
Papà si rivolse a me, gracchiando, «Siamo morti, Mira-
colo?»
Scossi la testa. «Sto cercando… di tenervi al sicuro.»
Nessuno sarebbe morto se avevo qualcosa da dire in
proposito!
«Tenerci al sicuro? Oh, tesoro» – sembrava inorridito –
«sei così magra!»
Diedi un'occhiata alle mie braccia. Erano come bastoni.
Avevo immagazzinato così tanto grasso.
La mamma rimase a bocca aperta. «Perché stai per-
dendo peso? Qualunque cosa stai facendo – smettila!»
«Nooo!» Stavo per estinguermi. Se fossero stati incene-
riti, sarei morta con loro.
Papà lanciò un'occhiata dal mio viso alla mia mano sul
suo braccio. Doveva aver sentito il potere, doveva aver
capito che lo stavo alimentando. Mormorò, «Ti vogliamo
bene entrambi.» Poi si separò da me.
Il suo corpo scomparve. Un mucchio di cenere crebbe
ai nostri piedi. Era diventato… niente.
Mamma ed io urlammo. Il mio corpo si ritrasse come
se fossi quasi teletrasportata. Per lei, provai di nuovo.
Trasportarne una sola, ero così vicina… quasi…
Ah, Dio, non posso.
Afferrai il suo braccio mentre si inginocchiava e si al-
lungava verso le ceneri di papà. Lei sollevò gli occhi e
disse: «Lasciami andare. Tess, vivi.»
173
Strinsi i denti, scuotendo la testa.
«Ti voglio tanto bene.» Con un sorriso acquoso, tolse le
mie dita dal suo braccio. Una per una…
174
L'Imperatrice (III)
Evangeline "Evie" Greene, la Signora di Spine
175
sedicesimo compleanno è stata interrotta dal dipartimen-
to dello sceriffo.
176
Sterling, Louisiana
Giorno 0
177
Era così in ansia per la siccità mentre parlava al telefo-
no con un altro agricoltore che non si era nemmeno ac-
corta che portavo un top di Versace e un paio di calzoni
da equitazione dell’anno prima mangiati dalle tarme.
Ormai mia madre avrebbe dovuto sapere della polizia,
tuttavia non aveva detto nulla, si era limitata a baciarmi
distrattamente sulla guancia prima di precipitarsi a
un’altra riunione d’emergenza di agricoltori.
Dopo aver fatto la doccia ed essermi vestita, avevo ini-
ziato a convincermi che il mio ragazzo avesse davvero si-
stemato le cose.
Proprio come aveva detto che avrebbe fatto. Il mio ca-
valiere ubriaco senza macchia e senza paura aveva vinto
la sua battaglia.
Diedi un colpetto affettuoso al gigantesco solitario in-
torno al mio collo, rendendomi conto che Brandon Ra-
dcliffe non era solo il tipo di ragazzo di cui avevo bisogno
nella vita, ma anche quello che desideravo – affidabile,
spensierato, facile da interpretare.
Non cupo, misterioso e impenetrabile.
Decisi di venire al dunque con il mio ragazzo, così
avrei smesso di nutrire pensieri stupidi su cajun destinati
a finire nella prigione di Angola.
Con quest’idea in mente, chiamai di nuovo il cellulare
di Brandon dal telefono fisso di casa mia, stavolta con
l’intenzione di lasciare un messaggio.
«Ehi, Brand, spero che sia tutto a posto. Sto iniziando a
preoccuparmi.» Mi mordicchiai il labbro inferiore riflet-
tendo su come iniziare. «Ieri notte, la nostra conversazio-
ne… Siamo stati interrotti – quando sei andato a salvare
la situazione. E volevo soltanto comunicarti la mia deci-
sione.»
178
Feci una pausa sapendo che quello era il punto di non
ritorno. «La mia decisione è… Sì. Passerò la notte con te il
prossimo fine settimana.» Fatto. Ero arrivata al dunque.
«Sono… sono…» Sollevata? Agitata? «Uhm, chiamami. A
casa.»
Alle tre del pomeriggio, quando Mel entrò nella mia
stanza, non mi aveva ancora chiamata.
«Dove diavolo sei stata?» Ero di pessimo umore. I miei
piani di parlare con la nonna erano saltati. Non avevo
osato chiamarla dal telefono di casa. «Cosa ti è successo
ieri notte?»
«Io e Spencer siamo saliti a bordo della sua macchina,
tutti presi l’uno dall’altra. Mi sono avventata su di lui, mi
sono sfogata un po’ e adesso lui è docile come un cuccio-
lo.» Produsse un suono simile a uno schiocco di frusta.
«Melly è dotata di poteri magici; Spencer vuole una sto-
ria.»
Un rapporto esclusivo? Già? Fui entusiasta per lei,
prima di ricordare che ero arrabbiata.
«Proprio mentre stavamo finendo, è arrivata la poli-
zia» disse Mel. «Ce ne siamo andati dal retro.»
«Perché non sei venuta a cercarmi?» domandai.
Sbatté le palpebre. «L’ho appena fatto. Allora, che ne è
stato di te, Eves?»
«Uhm. Dopo che Brandon se n’è andato a sistemare le
cose con lo sceriffo e a cercare te sono rimasta da sola nel
bosco.» Sono stata aggredita ed ero spaventata. «Alla fine, ho
camminato per chilometri per tornare a casa – con quello
scocciatore di Jackson Deveaux – e ho passato la notte nel
fienile.» O, piuttosto, nel canneto. «Mi hai lasciata lì da
sola, Mel. Hai preferito un ragazzo a un’amica» dissi, in-
furiata.
179
Restò a bocca aperta. «Pensavo che fossi con Brandon!
Come penitenza, romperò con Spencer!»
Il bello di Mel è che sarebbe stata capace di farlo dav-
vero. Come potevo essere ancora arrabbiata con lei dopo
averle mentito su tante cose? Alla fine, mormorai: «Sei
perdonata.»
«Grazie, Greene! Non volevo spezzare il cuoricino di
Spencey.» Si sdraiò sul mio letto, aggiungendo malizio-
samente: «Non ancora.»
Il mio portatile emise un suono. «Un’email di Bran-
don?»
Strano. Il novantanove percento delle volte ci manda-
vamo sms. Sostanzialmente usava il cellulare come un
computer.
Tutto bene con i poliziotti. Xò mio padre ha intenzione
di farmi una ramanzina. Ci sentiamo + tardi!
«È strano. Perché non si è limitato a mandarmi un
sms? Non sa che sono senza cellulare.» E perché non
aveva nemmeno menzionato la segreteria telefonica?
«Non poteva mandarti un sms» disse Mel, sollevando
le mani per guardarsi le unghie. «Hanno rubato il cellula-
re a tutti.»
«Cosa?» Balzai in piedi.
«Perché credi non ti abbia chiamata per tutta la matti-
na?» Si alzò accigliata. «Qualcuno ha portato via i porta-
fogli e i cellulari. E ha aperto ogni automobile. Ma non
preoccuparti, non hanno preso la tua borsa.»
Uscii di corsa dalla mia stanza, precipitandomi giù per
le scale per raggiungere la BMW di Mel. Il mio album!
«Cosa c’è che non va, Evie?» mi domandò, correndomi
dietro e tenendo con facilità il mio passo.
180
Quando raggiunsi la sua automobile, tirai convulsa-
mente la portiera finché non si aprì con un clic. «Cristo,
Evie, calmati.»
Mi tremava la mano quando mi protesi per prendere
la borsa. Sicuramente un ladro non l’avrebbe lasciata lì
per rubare l’album da disegno. Ti prego, fa’ che i miei dise-
gni siano lì dentro…
Barcollai.
Il mio album era… sparito. Quello pieno di ratti e ser-
penti sotto un cielo apocalittico, di corpi straziati dal filo
spinato e spauracchi con il volto che sembrava un sacco.
Ne avevo disegnato uno che leccava il sangue dal collo di
una vittima. Come un animale davanti al trogolo.
Il mio disegno macchiato di lacrime della Morte su un
cavallo bianco risaliva solo a un paio di notti prima.
Era l’album che Jackson si era ripetutamente sporto
per vedere. Spalancai gli occhi. La sagoma appostata tra
le automobili la notte precedente era quella di Lionel.
Aveva rubato i cellulari e il mio album da disegno. Il
mio privatissimo biglietto di sola andata per l’USI.
E Jackson mi aveva tenuta occupata, fingendosi inte-
ressato a me… in modo che Lionel…
Oh, dio.
Sforzandomi di non vomitare, dissi a Mel: «So chi ha
preso i nostri cellulari. E, se mi aiuterai, riuscirò a ritro-
varli.»
***
181
ri spiaccicati erano intrappolati e sembravano catrame sul
vetro.
«Può darsi, ma devo farlo.» Non ero mai stata così esa-
sperata in tutta la mia vita e non avrei mai permesso a
Jackson di farla franca. «Non puoi andare più veloce?»
Ben presto il sole sarebbe tramontato e non avevamo
nemmeno raggiunto il confine del quartiere. Ci avevamo
messo delle ore per trovare l’indirizzo del cajun sul com-
puter della signora Warren, e avevo perso ancora più
tempo a convincere Mel ad accompagnarmi a Basin.
«Sei già fortunata che abbia accettato di imbarcarmi in
questa cosa, Greene. Non ho intenzione di perdere la pa-
tente a causa della quinta multa dell’anno…»
Non aveva ancora smesso di borbottare quando si pro-
filò il quartiere. «Limitiamoci a chiamare la polizia.»
Così mi avrebbero confiscato l’album da disegno.
«Jackson l’ha fatto solo perché è un prepotente e perché
può permetterselo. Non gli dice mai niente nessuno. Ma è
ora che qualcuno lo faccia.»
«Come fai a sapere che i telefoni sono in mano sua?
Hai detto che ha fatto solo da palo.»
Non avevo spiegato esattamente a Mel fino a che pun-
to Jackson fosse stato bravo a svolgere il suo compito, mi
ero limitata a riferirle che mi aveva trattenuta a parlare
mentre Lionel rubava le nostre cose. «Lo so e basta,
d’accordo?» Il che non era del tutto vero. Magari non
aveva i telefoni, ma aveva sicuramente quell’album da
disegno, e quella era la mia priorità.
Non che i cellulari non fossero importanti. Anche se
avevo protetto il mio con un codice – buona fortuna a
chiunque avesse voluto accedere alle mie informazioni
personali –Brandon non aveva fatto lo stesso. E conser-
182
vava tutti i nostri sms privati degli ultimi sette mesi, per
non parlare della cartella piena di innumerevoli foto e
filmati che mi ritraevano.
Proprio adesso, quei cajun si stavano mangiando con
gli occhi le mie immagini in costume da bagno, oppure
stavano ridacchiando per le espressioni sciocche che ave-
vo rivolto a Brand? O per le battute sdolcinate che avevo
fatto?
Avevano ascoltato il messaggio vocale che gli avevo
lasciato prima? Sì, passerò la notte con te. Avvampai,
mentre la rabbia saliva toccando nuove vette.
Quando raggiungemmo il nuovo ponte, che si stende-
va su acri di palude, mi si assottigliarono le labbra. Senza
quella linea di monotono cemento grigio, non avrei mai
nemmeno conosciuto Jackson Deveaux.
Una volta arrivate alla fine del ponte, ci trovammo uf-
ficialmente in un altro quartiere. La terra dei cajun. Le in-
senature della palude e i ponti abbondavano. Un paio di
guardie della riserva naturale a bordo di furgoni neri
erano sedute a chiacchierare sul margine della strada.
Mel sospirò. «Perché mi costringi a fare da grillo par-
lante? Sai che non funziona mai tra noi.»
«Devo farlo» dissi semplicemente. Quando mi ero resa
conto che Jackson mi aveva ingannata e che quel quasi
bacio era stato un diversivo, mi ero sentita ferita. Anche
se, tanto per cominciare, non avevo mai desiderato il suo
bacio.
Perché aveva finto che gli piacessi? Era uno scherzo
meschino e insensibile. Come dovevano aver riso di me
lui e Lionel!
183
«Si sta facendo davvero buio» disse Mel mentre ci av-
vicinavamo all’uscita di Basin. E non si riferiva solo alla
luce del giorno.
Delle nuvole minacciose si stavano addensando sulla
palude. «Sì, ma che probabilità ci sono che piova davve-
ro?» Quelle nuvole mi ricordarono la scena che avevo di-
pinto sulla parete della mia stanza e gli occhi fiammeg-
gianti che avrei visto ben presto.
Di solito, le persone non si dirigono in automobile ver-
so una palude quando si trovano di fronte una burrasca
di quelle proporzioni. Non sapevo quale tempesta si sa-
rebbe rivelata peggiore – quella meteorologica o la collera
di Jackson.
Non importava; ero intenzionata a venire a capo di
quella faccenda quella sera. Ordinai a Mel di svoltare sulla
strada sterrata che conduceva a Basin.
Qualche chilometro più avanti, disse: «Non siamo più
in Kansas.»
Vedemmo delle barche per la pesca dei gamberetti, le
baracche della palude e i cantieri navali pieni di carcasse
arrugginite. Statuette della Vergine Maria ornavano un
cortile sì e uno no. Sapevo che la gente di Basin era catto-
lica, ma rimasi sorpresa perfino io.
Ci avvicinammo alla fine della strada, approssiman-
doci all’indirizzo di Jackson. Laggiù c’erano meno edifici,
e più palme nane, banani, cipressi. La spazzatura si era
accumulata tutt’intorno ai gigli di palude.
Quando l’acquitrino divenne visibile era buio, e i fari
delle automobili erano accesi. Occhi rossi ardevano tra le
canne.
Alligatori. Erano così accalcati tra loro che alcuni dei
più piccoli erano sulla schiena degli altri.
184
Coppie di puntini rossi luccicanti, ammucchiati come i
pioli di una scala.
Mel mosse nervosamente le mani sul volante, ma pro-
seguì. L’automobile si addentrò sotto una volta di rami
intrecciati e rampicanti, come se si stesse immettendo in
un tunnel stregato.
Quando la strada cedette il passo a un sentiero molto
battuto, scorgemmo la casa di Jackson – un edificio con
tutte le stanze allineate, lungo e stretto, con entrate su en-
trambe le estremità. Il rivestimento esterno di assicelle
era ricoperto di vernice staccata in varie zone. Un paio di
pelli di alligatore erano state fissate nei punti peggiori.
Il tetto era un mosaico arrugginito di lastre di latta ma-
le assortite. Da una parte, un bidone di metallo della
spazzatura era stato appiattito e inchiodato.
Quel posto era il più lontano possibile dallo splendore
del Rifugio. Pensavo di aver visto la povertà. Mi ero sba-
gliata.
«È qui che vive?» Mel rabbrividì. «È orribile.»
Improvvisamente, mi dispiacque che lei l’avesse visto,
come se avessi tradito un segreto di Jackson, il che non
aveva alcun senso.
«Evie, la mia automobile rimarrà impantanata se pro-
seguo. E non abbiamo nemmeno i cellulari.»
«Non ancora. Tu resta qui, io proseguirò a piedi. Tor-
nerò con la nostra roba.»
«E se non ci fosse nemmeno?»
Indicai la sua moto, parcheggiata sotto una tettoia ac-
canto al portico anteriore sgangherato. «È la sua.»
Quando aprii la portiera, disse: «Pensaci bene.»
L’avevo fatto. L’intera situazione era completamente
superflua. Nulla di tutto ciò sarebbe dovuto accadere. So-
185
lo perché Jackson mi aveva derubata! Aveva violato la
mia privacy, probabilmente aveva letto e sentito i miei
messaggi intimi con Brandon.
E aveva visto i miei disegni.
Le sue azioni stavano minacciando la libertà che avevo
giurato di non dare mai per scontata!
Quando rammentai cosa c’era in gioco, sbattei la por-
tiera e mi avventurai all’esterno. Delle mosche gialle
sciamarono intorno a me, ma continuai ad avanzare, su-
perando pneumatici, trappole per granchi rotte, tronchi
di cipressi.
Vicino a casa sua non c’era nessun prato tagliato, non
c’era nemmeno l’erba. In quelle zone, alcune persone che
non potevano permettersi un tosaerba ‘ripulivano’ i loro
cortili, liberandoli dalla vegetazione – e dai serpenti. Il
suo cortile era un tratto gigantesco di terra compatta.
Quando mi avvicinai, scorsi degli arnesi appesi al tetto
del portico. Un machete e una sega sferragliavano l’uno
contro l’altra nella brezza crescente.
Superai un avvallamento arido davanti a quattro gra-
dini dall’aria instabile.
Il primo scalino si inarcò sotto il mio peso. Come face-
va un ragazzo robusto come Jackson a salirli?
Non c’era nessun battente sulla porta di compensato
non verniciata, solo una leva arrugginita per aprirla. La
parte inferiore era a brandelli.
Da quanto tempo gli animali la graffiavano per entra-
re?
Con un brivido, mi voltai a guardare il cielo e notai
che le nuvole si stavano addensando. Fissai Mel in lonta-
nanza, meditabonda a bordo dell’automobile. Forse è…
una follia.
186
No. Dovevo farmi ridare l’album. Scoprii che stavo
bussando con le nocche alla porta di legno. «Salve!»
La porta si spalancò scricchiolando.
«Il signore o la signora Deveaux?» Nessuna risposta.
«Devo parlare con Jackson» esclamai mentre entravo in
casa.
Non vidi nessuno all’interno ma mi guardai intorno a
lungo. Squallido come l’esterno.
Il soggiorno era stretto, il soffitto così basso che mi
chiesi se Jackson dovesse chinare il capo per camminare.
Da esso pendeva una sola lampadina che ronzava come
un’ape.
L’unica finestra era stata sbarrata da assi. La porta che
conduceva in una stanza sul retro era chiusa, ma sentii
un televisore a tutto volume all’interno.
Contro la parete a sinistra c’era una cucina ridicolmen-
te piccola. Sei pesci puliti erano posati accanto a una pa-
della sfrigolante. Della selvaggina era tagliata a pezzi, già
impanata nella farina di granturco. Jack aveva pescato,
cacciato o sparato a tutto ciò che si trovava sul bancone?
Perché lasciare acceso il fornello? «Jackson, dove sei?»
Con uno sguardo disperato, esaminai la stanza più atten-
tamente.
A ridosso della parete a destra c’era un divano a qua-
dretti, con bruciature di sigaretta che bucherellavano i
braccioli. Delle coperte sfilacciate erano stese sui cuscini
sfondati.
Gli scarponi di Jackson erano a terra davanti al divano.
È qui che dorme?
Schiusi le labbra. Non aveva nemmeno una stanza tut-
ta per sé.
187
Un libro intitolato Spagnolo per principianti giaceva sul
pavimento, il dorso incrinato e aperto a metà, con accanto
una copia logora di Robinson Crusoe. Quel romanzo non
figurava sulla lista delle nostre letture. Allora leggeva per
divertimento? E voleva imparare un’altra lingua?
Mi sentii stringere il cuore. Per quanto lo considerassi
un adulto, era solo un diciottenne che aveva progetti e
sogni da ragazzo.
Magari pensava di scappare in Messico e di prendere
il largo da quel postaccio.
Rimasi colpita all’idea di quanto poco lo conoscessi in
realtà.
Mentre la rabbia sbolliva, mi ricordai di odiare quel po-
co che conoscevo. Tuttavia, mi sorpresi ad arrancare per
spegnere il fornello prima che la casa prendesse fuoco.
Mi mordicchiai le labbra. Dov’è? E se il mio album fos-
se stato a casa di Lionel? Non vedevo nemmeno i cellula-
ri.
Dopo aver spento il fornello, sentii gridare sul retro.
Non era la televisione?
Improvvisamente, un ticchettio violento tempestò il
tetto di latta. Lanciai un grido di sorpresa, ma quel rumo-
re lo attutì. «È solo la pioggia,» mormorai tra me e me
«che cade sulla latta.» Finalmente!
L’acqua iniziò a imperlare le giunzioni rigonfie del sof-
fitto, colando sul pavimento e sul divano. Quella notte
Jackson non avrebbe avuto un posto all’asciutto dove
dormire.
Sussultai quando un rumore di passi pesanti scosse la
casa, come se qualcuno stesse salendo delle scale a balzi.
Quando una porta sbatté sul retro, quella di collegamen-
to si aprì.
188
Una curiosità morbosa mi attirò più vicino. Una sbircia-
tina e poi me la svigno…
Su un materasso macchiato, una donna di mezza età
giaceva scomposta priva di coscienza, con i lunghi capelli
corvini che le formavano un’aureola arruffata intorno al
capo. Era quasi indecente, con la vestaglia sollevata sulle
gambe. Un rosario con i grani di onice scintillante e una
piccola croce gotica le circondava il collo.
Un braccio pendeva da un lato, mentre una bottiglia
vuota di bourbon era abbandonata sul pavimento appena
sotto le sue dita. Un piatto con delle uova strapazzate in-
tatte e pane tostato era su una cassa accanto al letto.
Era la signora Deveaux?
Scorsi un uomo alto e abbronzato con una tuta da la-
voro bagnata. Iniziò a camminare accanto al letto, gri-
dando alla sagoma priva di conoscenza, gesticolando con
un pugno che stringeva una bottiglia di liquore.
Quell’uomo era suo marito? Il suo fidanzato?
Sapevo che dovevo andarmene, ma ero inchiodata al
pavimento e non potevo distogliere lo sguardo più di
quanto non potessi smettere di respirare.
Poi vidi Jackson dall’altro lato del letto, intento ad ac-
costarle la vestaglia. Scuotendola per le spalle, mormorò
in tono pressante: «Maman, reveille!»
La donna farfugliò qualcosa, ma non si mosse. Dal
modo in cui Jackson la guardava con aria così protettiva,
capii che, quella mattina, aveva preparato lui la colazio-
ne.
Quando l’ubriacone avanzò pesantemente verso di lei,
Jackson scostò il braccio dell’uomo con uno schiaffo.
Iniziarono entrambi a gridare in francese cajun. Nono-
stante le mie conoscenze, riuscii a malapena a seguirli.
189
Jackson stava cercando di cacciarlo fuori a calci dicendo-
gli di non tornare mai più?
L’uomo si protese di nuovo verso la signora Deveaux.
Jackson lo bloccò per l’ennesima volta. Poi i due si affron-
tarono ai piedi del letto. Le loro voci divennero sempre
più alte, diventando grida di rabbia mentre si sfidavano.
Quell’idiota non vedeva lo scintillio negli occhi di
Jackson? La sua aggressività?
Invece di tener conto dell’avvertimento, l’uomo strinse
il collo della bottiglia, fracassandone l’estremità contro il
davanzale della finestra. Con velocità sorprendente, assa-
lì Jackson con l’estremità rotta. Jackson parò il colpo con
l’avambraccio.
Vidi l’osso prima che sgorgasse il sangue. Mi premetti
il dorso della mano contro la bocca. Non riesco a immagi-
nare che dolore provi!
Ma Jackson? Si limitò a sorridere. Un animale che mo-
strava i denti.
Alla fine, l’ubriaco arretrò per la paura. Troppo tardi.
Jackson si lanciò in avanti con la sua mole agitando i pu-
gni.
Un fiotto di sangue zampillò dalla bocca dell’uomo,
poi un altro e tuttavia Jackson continuava a percuoterlo
senza pietà. La forza del suo corpo massiccio era bruta, i
suoi occhi stravolti…
Perché non riuscivo a scappare? A lasciarmi alle spalle
quel luogo sordido?
Lasciarmi alle spalle quei suoni orripilanti – la pioggia
battente sulla latta, il farfugliare della donna, i grugniti
dell’ubriaco mentre Jackson gli sferrava un colpo dopo
l’altro.
190
Poi… un ultimo pugno alla mascella dell’uomo. Mi
parve di sentire l’osso rompersi.
La forza del colpo fece mulinare l’uomo su un piede
solo, con il sangue e i denti che gli uscivano di bocca
mentre cadeva.
Con una risata crudele, Jackson sogghignò: «Bagasse.»
‘Polpa di canna.’ Era stato letteralmente ridotto in pol-
tiglia. Mi coprii le orecchie con gli avambracci per contra-
stare le vertigini.
Adesso che quell’uomo era stato sconfitto, la rabbia di
Jackson parve venir meno. Finché non voltò lentamente il
capo verso di me. Aggrottò la fronte confuso. «Evangeli-
ne, cosa stai…?»
Si guardò intorno, come se vedesse la casa attraverso i
miei occhi. Come se vedesse quel postaccio per la prima
volta.
Perfino dopo quello sfoggio di violenza non riuscii a
evitare di provare pietà per Jackson.
Doveva averlo capito dalla mia espressione, perché il
suo volto avvampò per l’imbarazzo. La sua confusione
svanì, mentre la rabbia stava tornando. Il suo sguardo ne
era quasi accecato. «Perché diamine sei venuta qui?» I
tendini del suo collo si tesero mentre mi si avvicinava a
grandi passi. «Vuoi dirmi perché ti trovi in casa mia, ma-
ledizione?»
Non potei far altro che guardarlo a bocca aperta men-
tre indietreggiavo. Non voltarti, non guardare da un’altra
parte…
«Una ragazza come te a Basin? C’est ça cooyôn! Bonne à
rien! Sei capace soltanto di metterti nei guai!» Non
l’avevo mai sentito parlare con un accento così marcato.
«Io… io…»
191
«Volevi vedere come vivono gli altri? È così?»
Indietreggiai fino a raggiungere la porta d’ingresso dal
lato opposto della stanza, fin quasi ai gradini del portico.
«Volevo riprendere l’album che mi hai rubato!»
Un lampo balenò mettendo in risalto i suoi tratti alte-
rati dalla collera. Un tuono rimbombò subito, scuotendo
la casa con una tale forza che il portico sbatacchiò. Gridai
e barcollai per non perdere l’equilibrio.
«L’album con tutti i tuoi disegni assurdi? Sei venuta a
rimproverarmi!» Quando Jackson protese verso di me
quel braccio ferito, mi ritrassi, indietreggiando goffamen-
te sotto la pioggia battente.
Quel gradino pericolante parve cedere sotto il mio
piede, mentre il dolore mi pervadeva la caviglia.
Mi sentii cadere… cadere… Atterrai in una pozzan-
ghera con il fondoschiena. Restai a bocca aperta sputando
fango e pioggia, troppo sconvolta per gridare.
Ciocche di capelli bagnati mi si impiastrarono sul vol-
to e sulle spalle. Cercai di alzarmi ma il fango mi risuc-
chiò. Mi scostai i capelli dagli occhi coprendomi il volto
di sudiciume.
Sbattendo le palpebre a causa della pioggia, gridai:
«Tu!» Avrei voluto inveire contro di lui, incolparlo del
mio dolore e della mia umiliazione. Ma non potei far al-
tro che ripetere: «Tu!» Alla fine, riuscii a gridare: «Mi fai
schifo!»
Proruppe in una risata aspra. «Davvero? La scorsa not-
te non ti facevo schifo quando ti sei inumidita le labbra
nella speranza che ti baciassi. Allora volevi altro da me!»
Il mio viso avvampò per la vergogna. Poi rammentai
«Mi hai ingannata in modo che quel fallito del tuo amico
potesse rubare la nostra roba. Hai finto che ti piacessi!»
192
«Mi sembrava che non ti desse fastidio!» Sollevò il
braccio sano passandosi le dita tra i capelli. «Ho sentito il
tuo messaggio per Radcliffe! Stavi per baciarmi e poi hai
deciso di permettere a quel ragazzo di possederti solo
pochi giorni dopo?»
«Dammi il mio album!»
«Altrimenti? Cos’hai intenzione di fare? La bambolina
non morde.»
Sentii montare la frustrazione perché aveva ragione. Il
cajun era pieno di forza, io no.
A meno che non avessi potuto stritolare qualcuno tra i
rampicanti o farlo a brandelli?
Mentre le mie unghie iniziavano a trasformarsi, provai
qualcosa di simile alla meravigliosa armonia che avevo
condiviso con il canneto. Ero completamente consapevole
di tutte le piante che mi circondavano – della loro ubica-
zione, delle loro forze e debolezze.
Sopra la casa di Jackson, un cipresso agitava i suoi ra-
mi su di me. In lontananza, avvertii i rampicanti di kud-
zu stormire in risposta, avvicinandosi serpeggiando per
difendermi.
E, per un breve istante, provai il bisogno di mostrargli
chi era davvero forte e di punirlo per avermi causato do-
lore.
Punirlo? No, no! All’improvviso, mi sforzai di tenere a
freno la rabbia a cui avevo dato libero sfogo.
«Vuoi i tuoi disegni?» Jackson si precipitò all’interno e
tornò con il mio album. «Prenditeli!» Gettò il blocco come
un frisbee. I fogli si sparpagliarono per il cortile fangoso.
«Nooo!» gridai, guardandoli cadere, sul punto di agi-
tarmi.
193
Quando riuscii a mettermi carponi, respiravo così a fa-
tica che mi sentii soffocare e tossii a causa delle gocce di
pioggia. Cercai di prendere i fogli più vicini a me, ma
ogni pagina mi impresse a fuoco nella mente
un’allucinazione.
La Morte. Gli spauracchi. Il sole che splendeva durante
la notte.
A ogni foglio, continuavo a gridargli: «Ti odio! Bruto
disgustoso!» Il suo bel volto nascondeva la violenza e ri-
bolliva di ferocia.
Anche se stava proteggendo sua madre, gli era piaciuto
picchiare quell’uomo fino a fargli perdere i sensi. Jackson
mi aveva appena dimostrato che ragazzo crudele fosse in
realtà. Bagasse…
«Ti odio! Non ti avvicinare mai più a me!»
Mi guardò con gli occhi sbarrati, mentre la sua espres-
sione passava da criminale a incredula. Scosse la testa
con forza.
Cosa aveva visto?
«Evie!» gridò Mel. Era venuta a cercarmi!
Mentre mi cingeva le spalle con un braccio per aiutar-
mi ad alzarmi, gridò a Jackson: «Sta’ lontano da lei, indi-
viduo spregevole!»
Guardandomi per l’ultima volta con un’espressione
esterrefatta, si voltò per allontanarsi a grandi passi.
Proprio mentre entrava in quel tugurio sbattendo la
porta, i miei rampicanti raggiunsero il portico. Mel era
troppo impegnata a controllare se fossi ferita per accor-
gersene, ma li vidi drizzarsi come cobra, in attesa dei
miei ordini.
194
Sussurrai: «No.» All’improvviso, si precipitarono di
nuovo nella boscaglia come elastici tesi. Poi dissi a Mel:
«Ho… ho bisogno di questi disegni. Di tutti.»
Senza dire una parola, si inginocchiò accanto a me.
Eravamo entrambe chine nel fango, intente a raccogliere
le prove della mia pazzia.
***
195
«Perché sono, cioè, l’ultima a sapere che avevi delle al-
lucinazioni? La donna che ti ha generata l’ha saputo pri-
ma di me. E questo mi fa soffrire.»
«Non volevo che mi guardassi in modo diverso.»
Quando raggiungemmo la porta, dissi: «Capisco se non
vuoi più essere mia amica.» Le feci cenno di darmi lo
zaino pieno di pagine fradice.
Roteando gli occhi, Mel mi porse la borsa. «E dovrei
perdere l’occasione di vendere i tuoi scarabocchi da squi-
librata su arteanormale.com? Non se ne parla, mia cara
ragazza pazza e fuori di testa.» Mi avvolse un braccio in-
torno al collo trascinandomi verso il basso per sfregarmi
le nocche sui capelli sporchi di fango. «Diventerò ricca!
Quindi dammi altri disegni che non siano impregnati di
puzza di cajun.»
«Smettila!» Ma, sorprendentemente, mi venne voglia
di ridere.
«Sei sicura di non volere che entri?» mi chiese Mel,
quando infine mi liberò.
«Me la caverò» le dissi. «Probabilmente sto per met-
termi a piangere fino a imbruttirmi.»
«Ascolta, soldo di cacio, ci penseremo domani» mi as-
sicurò Mel. «Ma, dammi retta: non tornerai in quell’USI.
Mai più. Se dovremo, scapperemo insieme, ci sposeremo
con il rito civile e vivremo della tua arte.»
E il mio labbro inferiore tremò di nuovo. «Mi sei sem-
pre stata vicina sopportando le mie lagne.»
Mel mi guardò di traverso. «Ti stai comportando come
una mezzasega, Greene. Falla finita con queste stronzate
sentimentali e chiediti: che scelta ho? Ehi. Sei la mia mi-
gliore amica. Adesso entra, prima che perda la pazienza.»
196
Dopo averle rivolto un cenno solenne del capo, mi av-
viai zoppicando verso casa, voltandomi per salutarla
mentre si allontanava con l’iPod a tutto volume e il suo
tipico saluto con tre colpi di clacson.
Quando mi avviai in cucina con andatura claudicante,
mia madre stava preparando i pop-corn. «Ciao, tesoro»
esclamò al di sopra di una spalla, con tono allegro. «Non
riesco a credere che abbia piovuto…» Sgranò gli occhi
quando mi vide. «Evie! Cosa ti è successo?»
«Sono inciampata nel fango. È una lunga storia.»
«Ti sei fatta male?»
Mi strinsi nelle spalle, serrando la cinghia dello zaino.
Mi faceva decisamente male. «Mi sono slogata un tantino
la caviglia.»
«Vado a prendere del ghiaccio e un Advil.»
L’attenzione di mia madre si era concentrata su un punto
al di là di me, verso la porta? «E poi puoi dirmi cos’è suc-
cesso.»
Mentre avvolgeva il ghiaccio in un asciugamano, mi
gettai di peso su una sedia tenendomi vicino la borsa con
i disegni. «Non si tratta di nulla di importante, mamma.»
Mentre decidevo come spiegarle in modo soddisfacen-
te questo incidente, il vento si intensificò, infuriando at-
traverso la porta a soffietto.
Anche se aveva piovuto, la brezza era torrida e asciut-
ta. Come una sciarpa appena uscita dall’asciugatrice
sfregata contro una guancia.
Quando soffiò di nuovo e con più forza, mia madre si
accigliò. «Uhm, controlliamo subito il Weather Channel.»
Prese il telecomando della televisione della cucina e
l’accese.
197
Lo schermo era diviso tra tre cronisti dall’aria sconvol-
ta, che parlavano sovrapponendosi l’uno all’altro. Uno di
loro era il tizio che aveva ostentato indifferenza mentre
imperversava Katrina.
Allora, perché adesso sudava così tanto? «Sono stati
segnalati dei fenomeni atmosferici bizzarri negli Stati
orientali… Inquadrate sopra la mia spalla sinistra…
Guardate quelle luci… E il sole che sta sorgendo?»
Il secondo cronista sembrava non sbattere le palpebre
da una settimana. «Le temperature si stanno alzando…
Incendi nel nordest… Non c’è motivo di allarmarsi» disse
con un tono di voce allarmato. «Si sono intensificate le
radiazioni solari… È stata avvistata l’aurora boreale fino
in Brasile…»
Il microfono del terzo tipo tremava nella sua mano
malferma. «Abbiamo perso i contatti con le nostre sedi di
Londra, Mosca e Hong Kong… Tutti hanno riferito eventi
simili.» Si premette l’auricolare. «Cos’è quella… New
York? Washington?» esclamò con la voce più alta di
un’ottava. «L… la mia famiglia si trova a Wash…»
Uno dopo l’altro, i collegamenti si interruppero. Bip.
Bip. Bip.
«Mamma,» sussurrai «cosa sta succedendo?» Perché
non ti ho mai vista così pallida?
Guardò al di là di me e improvvisamente mollò la pre-
sa. I cubetti di ghiaccio caddero a terra.
Mi alzai barcollando con la caviglia che protestava per
il dolore. Ero troppo spaventata per guardare dietro di
me, troppo spaventata per non farlo. Alla fine, seguii lo
sguardo di mia madre. Nel cielo notturno, adesso illumi-
nato a giorno, balenavano delle luci.
Cremisi e viola come stelle filanti del martedì grasso.
198
Avevo assistito allo stesso spettacolo durante la prima
visita di Matthew. Era l’aurora boreale. Le luci del Nord
in Louisiana.
Erano semplicemente affascinanti.
Mentre io e mia madre camminavamo lentamente ver-
so la porta d’ingresso, quel vento caldo si intensificò e
iniziò a fischiare facendo sbatacchiare le campane eoliche
intorno alla piantagione. I cavalli nitrirono nel fienile.
Sentii i loro zoccoli percuotere i box, scheggiando il le-
gno.
Sembravano terrorizzati…
Ma guarda quelle luci abbaglianti! Avrei potuto fissarle
per sempre.
Da est, udii provenire un fruscio di canne. Una massa
di animali in fuga proruppe dai campi. Procioni, opos-
sum, nutrie e perfino cervi. Dai fossati uscirono così tanti
serpenti che il prato davanti a casa sembrò splendere e
incresparsi.
Una marea di ratti in fuga oscurò il prato. Gli uccelli
affollarono il cielo, dilaniandosi a vicenda o scendendo in
picchiata sul terreno. Le piume venivano trasportate dal
vento.
Ma le luci! Erano così meravigliose da farmi venir vo-
glia di piangere di gioia.
Tuttavia, pensavo che non avrei dovuto guardarle.
Matthew mi aveva detto qualcosa, mi aveva avvisato?
Non riuscivo a pensare, ma solo a fissarle.
Le querce imponenti del Rifugio scricchiolarono, atti-
rando la mia attenzione. Mia madre parve non accorger-
sene, ma si stavano muovendo, serrando i loro rami in-
zuppati di pioggia intorno a noi. Stesero uno scudo di fo-
199
glie verdi sopra la nostra casa come se si stessero prepa-
rando a difenderla.
Le mie canne sembravano stordite, rigide nonostante il
vento. Come se fossero spaventate.
Sanno cosa sta per succedere. Sanno perché dovrei…
Distogliere lo sguardo dalle luci! «Mamma, non guar-
dare il cielo!» La spinsi lontano dalla porta.
Lei sbatté le palpebre, massaggiandosi gli occhi come
se stesse uscendo dalla catalessi. «Evie, che cos’è quel
rumore?»
Un rombo si stava amplificando nella notte, il suono
più forte e straziante che avessi mai immaginato.
Tuttavia, mia madre divenne gelida. «Non ci faremo
prendere dal panico. Ma ci chiuderemo a chiave in canti-
na tra trenta secondi. Intesi?»
L’apocalisse… era arrivata. E Mel era là fuori da sola.
«Devo chiamare Mel!» Poi rammentai che non aveva
un cellulare. «Se prendo l’automobile posso cercare di
raggiungerla!»
Mia madre mi strinse un braccio e mi voltò verso la
cantina.
«Non ho intenzione di scendere laggiù senza Mel! De-
vo trovarla!»
Mi precipitai verso la porta d’ingresso, ma mia madre
mi trascinò indietro con una forza sovrumana. «Vieni su-
bito in cantina!» gridò al di sopra del rombo. «Non pos-
siamo correre rischi!»
Il cielo si fece più chiaro – più caldo. «No, no!» gridai,
divincolandomi. «Morirà, morirà, lo sai! L’ho visto!»
«Morirete entrambe se cercherai di seguirla!»
Mi dimenai per liberarmi dalla stretta di mia madre,
ma non ci riuscii. Con le braccia protese verso la porta
200
d’ingresso, singhiozzai, agitandomi freneticamente men-
tre mi trascinava di nuovo verso le scale che conduceva-
no in cantina.
Quando mi aggrappai al vano della porta, mi stratto-
nò, staccandomi le dita dallo stipite. «No, mamma! P…
per piacere, lasciami andare a cercare Mel…»
Poi divampò un lampo di luce – una deflagrazione di
fuoco che scosse il terreno e mi ruppe i timpani…
Un attimo dopo, la forza dell’esplosione ci scagliò giù
dalle scale, mentre la porta si chiudeva sbattendo alle no-
stre spalle.
201
Il Cacciatore
Jackson Daniel Deveaux
202
Basin Town, Louisiana
(Cajun Country)
Giorno 0
203
va a stare allo scherzo. Entrambi si erano mandati mes-
saggi avanti e indietro con tanta facilità – quasi come se
la loro conversazione fosse stata pianificata.
Poi più nulla. Come se lei fosse scomparsa dalla faccia
della terra.
Durante l'estate, solo un paio di messaggi erano arri-
vati – lo stesso, esatto giorno del mese, allo stesso tempo.
Arrivai a una foto di un anno fa. Era sullo yacht di mio
padre con Brandon. E nessuno aveva idea che io ero il fi-
glio maggiore, il dovrebbe-essere erede.
Stava prendendo il sole in un bikini rosso che surri-
scaldava il mio sangue. Mi strofinai la mano sulla bocca.
«Misericordia.» Non avevo mai osservato nulla di così
bello in vita mia.
Anche i video del suo raccontare barzellette e giocare
con un cane su una spiaggia attirò la mia attenzione. Era
così rilassata, così a casa con se stessa.
Ora lei era… diversa.
Mi voltai verso il suo album, pieno di schizzi macabri.
Non capivo perché lei stesse disegnando quest'inquietan-
te merda gotica ora, ma in qualche modo sapevo che non
l'aveva fatto quando era stata catturata in quei video ri-
lassati.
In uno dei suoi disegni, il cielo notturno era colmo di
fuoco. Topi in fuga e serpenti facevano sembrare che il
suolo rotolasse. In un altro disegno, una spessa vite
spremeva a morte un uomo, così forte che gli occhi schiz-
zavano via dal suo cranio.
Il disegno peggiore era di un mostro zombie con gli
occhi bianchi vaporosi e la pelle coriacea che beveva il
sangue dal collo della vittima.
204
Perché Evie aveva disegnato queste cose? Dovevo saper-
lo.
Non mi piacevano gli enigmi. Ma in fondo, non pen-
savo che fosse per questo che manteneva vivo il mio inte-
resse.
Passai il polpastrello del mio indice sopra il nastro ros-
so che le avevo preso la notte scorsa. Portandolo al viso,
inalai il suo profumo, le palpebre sempre più pesanti.
Mi infilai il nastro nella tasca destra prima che Maman
si trascinasse fuori dalla sua stanza. Sembrava esausta, e
aveva perso altro peso. La sua veste logora la inghiottiva.
La farò mangiare di più.
Lanciò uno sguardo al mio viso e disse: «Hai incontra-
to una fille che ti piace.» I suoi occhi grigi si animarono,
fino a ricordarmi la vecchia Hélène Deveaux. Quando
Maman era così, riuscivo più chiaramente a ricordare la
donna che mi aveva letto Robinson Crusoe tutte le sere fi-
no a quando avevo imparato a memoria le righe e ripetu-
te con lei.
Quando ero divenuto più grande, mi aveva insegnato
a leggere per conto mio, dicendomi, «Se non ti piace dove
sei, apri un libro, e ti porterà da qualche altra parte. È una
specie di magia, cher.»
Dolcemente chiusi l'album di Evie e lo riposi nel mio
zaino. «Forse.»
Le labbra di Maman si arricciarono. Naturalmente, il
mio incontrare una fille che mi piaceva era una grande
novità. Le ragazze erano sempre state intercambiabili
prima. Non avevo mai trovato una che avevo visto due
volte. Di certo non ero mai stato ossessionato per una ra-
gazza in questo modo.
205
Maman afferrò una tazza, mescolando il bourbon con
una spruzzata di caffè. Non mi preoccupai di chiederle di
andarci piano. C'era stato un tempo in cui avevo nascosto
bottiglie e denaro, ma aveva sempre trovato un modo di
bere.
«Parlami di lei.» Maman si sedette su una sedia al ta-
volo. «Che aspetto ha?»
Esitai, poi ammisi, «Bella quanto il giorno è lungo. Ca-
pelli biondi e occhi azzurri.» Bassa, sinuosa, odorava co-
me un fiore.
Nell'ultima settimana a scuola, avevo fatto in modo di
esserle vicino ad ogni occasione, andando al mio arma-
dietto accanto al suo dopo ogni lezione e guardandola a
pranzo.
Nell'ora d'inglese in cui aveva dormito un giorno, non
le avevo tolto gli occhi di dosso. Aveva aggrottato le so-
pracciglia e fatto un suono ansimante, le labbra rosa soc-
chiuse e le dita che stringevano il banco.
Vederla nella morsa di un incubo mi aveva colpito in
modo strano. Tutt'un tratto, avevo avuto il bisogno visce-
rale di uccidere tutto ciò che la stava spaventando. Punire
qualunque cosa fosse – solo per aver cercato di spaventar-
la.
Una ragazza del genere non avrebbe dovuto avere al-
cun timore.
Venerdì sera avevo guidato fino al campo della Ster-
ling High con il mio gruppo. Tutta quell'adorazione per il
mio ottuso fratellastro mi aveva fatto male, ma avevo sof-
focato la bile soltanto a vederla. Aveva indossato quella
gonna da cheerleader. Mere de Dieu, avevo pensato, potrei
guardare questo per tutta la notte.
«Come si chiama?» chiese Maman.
206
«Evangeline.»
Maman sorrise. «Un buon nome Cajun. Mi piacerebbe
chiedere se lei ha già perdutamente perso la testa per te,
ma conosco già la risposta. Tutte le filles nel Basin amano
il mio ragazzo.»
Questa sicuramente no. «Evangeline Greene. Da Ster-
ling.»
«Greene?» Il sorriso di Maman sbiadì. «Non parlerai
della gente del Rifugio? Una cattiva energia turbina in-
torno a quel luogo.»
Non ne hai idea. La notte scorsa, quando avevo cammi-
nato con Evie lungo il campo di canna, avrei potuto giu-
rare di aver sentito dei… sussurri. E quelle querce giganti
attorno alla casa sembravano muoversi alla luce a gas
sfarfallante. Dei brividi erano scivolati giù per la schiena.
«È la sua casa.»
«Mais non, non puoi stare con lei.»
«Non sto esattamente con lei.» Quella ragazza non fa-
ceva altro che compatirmi.
«Ma tu vuoi.»
Dio, se lo volevo.
«Lei ti ossessiona?»
Espirai. «Ouais, elle me hante.» Sì, mi ossessiona.
Forse perché lei continuava a ridere di me. Forse per-
ché non voleva che io la perseguitassi – una prima volta
per me.
Più probabilmente, era perché quando la guardavo,
tutto in me s'illuminava come mai prima d'ora. Ogni vol-
ta che le stavo intorno, per la prima volta nella mia vita,
mi sentivo come se fossi proprio dove dovevo essere.
L'espressione di Maman divenne terrorizzata. «Non,
non, Jackson! Non puoi innamorarti di lei. Le cheval reste
207
dans l'écurie, le mulet dans la savane.» Il cavallo vive nella
stalla, il mulo nel pascolo.
In altre parole, avrei dovuto sapere il mio posto.
«Non fare come ho fatto io con tuo padre!» Jonathan
Radcliffe.
L'uomo che le aveva fatto tutti i tipi di promesse – solo
per sposare un'altra donna, la madre di Brandon. Avreb-
be dovuto essere Maman a vivere in quella casa, avrebbe
dovuto essere lei alla guida della Mercedes e a bere tè.
Avrebbe dovuto essere suo figlio a giocare come quarter-
back quando la folla applaudiva.
Avevo pensato di ferire mio fratello. Non avrei mai
avuto la sua bella macchina, o il suo ricco padre, o la sua
villa. Ma quando avevo visto una bella bionda chinarsi
per baciarlo, avevo deciso di rubargli la ragazza.
I migliori piani e tutto il resto. A Evie piacevano i ric-
chi. Era così. Era l'unica cosa in cui Brandon mi superava.
La scorsa notte, lei aveva in realtà mostrato un po' di
curiosità nei miei confronti, facendomi alcune domande.
Ma alla fine, avevamo combattuto, la mia gelosia che mi
spingeva a farle del male. Avevo avuto successo, ma lei
aveva sganciato il colpo di grazia: «Sei un ragazzo crude-
le, senza classe che va matto per l'infelicità altrui. Bran-
don è due volte l'uomo che tu sei. Lo sarà sempre.»
Due volte l'uomo. Persino adesso il mio intestino si
strinse.
Avevo odiato mio fratello prima. Amaramente. Ma
adesso era ancora peggio. Perché aveva lei.
Avrei barattato tutte le cose che Brandon dava per
scontato, tutto quello che avevo ambito, per Evie.
Maman si alzò per riempire di nuovo la sua tazza. Ero
così a disagio, che quasi chiesi di versarmene uno.
208
«Pensi che starai gomito a gomito in quella grande ca-
sa con quelle fantastiche persone?»
Non lo pensavo. Mi guardai intorno in questa baracca,
e seppi che non sarebbe mai potuto accadere.
Tornò al tavolo con gli occhi lacrimanti. «Ero solita
crederci. E guarda dove sono ora.» Le sue lacrime si ri-
versarono.
Odiavo piangere! Le sue lacrime di solito mi distrug-
gevano, ma ero così incazzato. «Sei qui perché non smet-
terai di bere, non proverai a farlo!»
«Je fais de mon mieux.» Sto facendo del mio meglio.
«Avevo il cuore spezzato. Le persone nella mia famiglia
amano una volta sola. Tu non sai cosa vuol dire sentirsi
come se ti manchi qualcosa dal petto ogni secondo di
ogni giorno. Segnati le mie parole, ragazzo. Tu non ap-
partieni a una fille del genere. La cosa peggiore che puoi
fare è sognare.»
«A chi appartengo, allora? Forse dovrei trovare l'equi-
valente femminile di Vigneau?» Era l'amante corrente di
Maman, uno stronzo che riusciva ad ubriacare tutti noi e
a cui piaceva riversare la sua rabbia su di lei.
Un paio di settimane fa, l'aveva mandata a casa dalla
sala bourré con un occhio nero. Bruciavo dalla voglia di
fargliela pagare, ma se violavo i termini della libertà vigi-
lata, mi avrebbero spedito alla Prigione Angola. I soldi
che guadagnavo dal bracconaggio sarebbero scomparsi.
Maman sarebbe morta di fame senza di me.
Si asciugò la manica sul viso e finì la sua tazza. «È
troppo tardi per te, non? Questa Evangeline ha già messo
gli artigli. Farai meglio a sperare che lei ti ricambi.»
Evie aveva desiderato il mio bacio la scorsa notte pri-
ma di essere interrotti. Quando si era inumidita le labbra
209
e guardato nella mia direzione, io non avevo più deside-
rato un altro bacio.
Invece, lei aveva baciato mio fratello. Brandon è due vol-
te l'uomo che sei tu…
Maman inclinò la testa verso di me, leggendo la mia
espressione. «Oh, Jack. Mon fils pauvre.» Il mio povero fi-
glio.
Anche mia madre mi compativa.
Strinsi il cellulare di Brandon in tasca. «Andrò a con-
trollare le mie trappole.» Mi alzai e mi diressi fuori, senza
guardarmi indietro.
Il meglio che potessi fare sarebbe stato lasciare questo
posto. Stanco di essere compatito.
Avevo appena raggiunto il mio molo di fortuna quan-
do il cellulare squillò. Il nome chiamante diceva: Greene.
Ero tentato di rispondere, ma lo lasciai squillare, invece.
Questa volta lei lasciò un messaggio vocale. L'ascoltai.
La voce di Evie era traballante. «Ehi, Brandon, spero
che tu stia bene. Sto iniziando a preoccuparmi.» Non sa-
peva che avevamo rubato i cellulari! «La scorsa notte, la
nostra conversazione… siamo stati interrotti – quando sei
andato via per salvare la situazione. E volevo solo parlar-
ti della mia decisione.» Fece una pausa.
Decisione? Avevo sentito lei e Brandon al suo arma-
dietto parlare di questo prossimo fine settimana. Doveva
fargli sapere se lei sarebbe rimasta la notte con lui.
I miei occhi si spalancarono. Se lei avrebbe dormito
con lui! Non respirai mentre aspettavo che continuasse.
«La mia decisione è… sì. Passerò la notte con te il
prossimo fine settimana. Io… io sono…» Lei è cosa???
«Um, chiamami. A casa.»
Il mio cuore sembrava che si fosse fermato.
210
Poi la furia sgorgò dentro di me. Maledizione, Bran-
don aveva vinto di nuovo! Quasi gettai il cellulare nel
bayou.
***
211
qualsiasi cosa non riuscissi a vedere, andavo al pronto
soccorso della parrocchia. Testa. Costole. Rene.
Andare in macchina da Doc era un lusso. Ero solito
dover camminare per un'ora.
Non apprezzavo i punti di sutura di cui avevo biso-
gno. Ma se non potevo guidare la moto… «Ouais. An-
diamo.» Bottiglia in mano, seguii Clotile fuori.
Quando scorsi le orme nel fango, trasalii. Perché non
avevo aiutato Evie? Non avevo mai trattato una fille così
male.
Clotile ed io salimmo sul furgone, e lei non perse tem-
po, sgommando, poi volando giù per la strada. Non le
importava della madre buona a nulla, e non le importava
di sicuro del furgone della donna. «Chi ti ha tagliato?»
«Vigneau.»
«Spero che tu lo abbia conciato per le feste.»
Alzai la bottiglia, presi un sorso. «Mais yeah. Ma se va
alla polizia, crederanno che stavo difendendo Maman?»
Non avevo appena violato i termini della mia libertà vigi-
lata; avevo commesso lo stesso reato. «Ho cercato di non
combattere quel fils de putain.»
Nel programma cui ero stato costretto a partecipare,
avevano sottolineato di stare alla larga quando una lotta
stava per nascere. Avevo provato a svegliare ma mère e a
portarla fuori di casa, ma lei era ubriaca fradicia – perché
era sconvolta per me.
Io che diventavo come lei.
Sistemai l'asciugamano. Il sangue continuò ad inzup-
pare il tessuto. «E poi… Evangeline Greene si è presenta-
ta.» Indossando la collana di diamanti che Brandon le
aveva dato.
212
Non importa quante volte avevo ascoltato il suo mes-
saggio nel corso della giornata, la sua risposta a Brandon
sarebbe sempre rimasta la stessa.
Sì.
Per tutto il pomeriggio, mi ero sentito come se una ma-
lattia mi avesse colpito. Avevo camminato in uno stato
confusionale – senza pensare a controllare le mie trappo-
le, a preparare la cena, fino alla mia lotta con Vigneau. E
poi lei era apparsa, con un aspetto così dannatamente
bello.
Clotile mi lanciò uno sguardo sconvolto. «È venuta fi-
no a casa tua?»
Annuii. «Dentro. Ha visto l'intera lotta. Ha visto ma
mère.» Che era svenuta nel letto con una bottiglia vuota
nelle vicinanze.
Mi ero guardato intorno nella mia casa, vista attraver-
so gli occhi di Evie. Poi avevo letto la sua espressione. Lei
aveva… avuto pietà di me.
La mia pelle era bruciata per la vergogna, come il fuoco
che mi lambiva. Ero stato a soffocarlo.
Lo ero ancora.
Clotile chiese: «Perché Evie è venuta?»
«Rivoleva le sue cose.» Per qualche ragione, non parlai
a Clotile dei disegni di Evie.
«Tipo quei disegni? Lionel ci ha parlato della roba da
matti che disegna.»
Allora il suo segreto era andato. Alzai le spalle.
Clotile mi lanciò un'occhiata. «E sono certa che tu l'ab-
bia scortata fuori con calma dopo aver preso le sue cose.»
«Non. Le stavo urlando davanti, e lei stava indietreg-
giando sul portico. È inciampata su un gradino rotto ed è
caduta con il sedere nel fango.» Aveva urlato che la di-
213
sgustavo. «Ho gettato le pagine di quell'album nel corti-
le.»
Le labbra di Clotile si schiusero. «E tu pensavi di star
passando un giorno incasinato?»
Sprofondai di nuovo sul sedile, bevendo. «Non il mio
momento più bello.» Dopodiché, ero tornato di nuovo
dentro, trovando un asciugamano per il braccio e una
bottiglia di whisky per il mio orgoglio.
Quando Evie e la sua amica – che si era assicurata di
chiamarmi "spregevole pezzente" – erano inginocchiate
nel fango per raccogliere ogni singola pagina, avevo pas-
seggiato per quella piccola baracca, odiandola, odiando
la mia nuova scuola, odiando la mia esistenza.
Più di tutto odiavo Evie, tanto più perché la volevo da
star male. Presi un altro sorso dalla mia bottiglia per in-
torpidire il dolore – ma non nel mio braccio.
Solo per rendere la notte più strana, quando Evie mi
aveva urlato addosso, avevo visto cose che non potevano
essere giuste. Come se qualcosa fosse stata… incandescen-
te sul suo viso.
Scossi via il pensiero, prendendo un altro sorso.
«Perché ti sei rivolto così a lei, Jack? Non sei mai stato
cattivo con una fille in tutta la tua vita.»
Quando avevo visto Evie per la prima volta e guardato
nei suoi occhi, per un attimo tutto in me era passato dal
caos completo a qualcosa di simile alla… pace. Cristo,
quella sensazione era coinvolgente. Perciò come avrei po-
tuto vivere senza di essa? «Lei mi ha scombussolato
dall'interno.»
Tu non appartieni a una fille del genere. Maman aveva
ragione. Stavo volendo qualcosa che non sarebbe mai ac-
caduto.
214
Dannazione, il mio braccio stava ancora sanguinando
su ogni cosa. Presi un altro sorso; Doc non era generoso
con gli antidolorifici.
Dopo aver perso la sua licenza medica per aver bevuto
sul posto di lavoro o qualcosa del genere, aveva istituito
un laboratorio di tassidermia nel suo seminterrato, ma fi-
niva per dividere la zona in un negozio illegale di rattop-
po.
Aveva inchiodato del compensato sopra le finestre del
seminterrato per mantenere il luogo fresco e buio per il
rattoppo, il che significava che non era esattamente steri-
le laggiù. L'aria puzzava sempre di vernice, colla, e nafta-
lina.
Immaginai il bonario vecchio medico, immaginando la
sua reazione al mio braccio. Avrebbe fatto tsk allo squar-
cio, la sua dentiera malamente montata che sbatacchiava
nella bocca, per poi dire quello che faceva sempre: «Sal-
veee! Papà è uno cattivo. Ragazzo, non sai come scappa-
re?»
Per il pagamento, gli portavo degli alligatori extra che
catturavo, schivando i funzionari della fauna selvatica in
modo che non dovesse farlo lui.
Clotile disse: «Vuoi finalmente ammettere che desideri
quella ragazza più di quanto desideri la vendetta?»
Esitai, poi annuii. «Non importa ora, però, vero?» Non
c'era modo che io potessi stare con lei. In nessun modo.
Non l'avrei mai baciata, mai portata a letto. Lei non mi
avrebbe mai detto battute stupide e riso con me. Strinsi il
collo della mia bottiglia.
Clotile accelerò al semaforo giallo, poi disse: «Brandon
ha provato a baciarmi la notte scorsa.»
215
«Sei seria?» Il mio fratellastro era solito prendere tutto
ciò che voleva. Aveva una ragazza come Evangeline
Greene, a sua disposizione, e lui non era sincero con lei.
Avevo sempre saputo che era un idiota – questo lo con-
fermava soltanto.
Eppure lei lo aveva definito due volte l'uomo che io
ero.
«A malapena sono riuscita a divincolarmi dalla sua
presa,» disse Clotile. «Quando riuscirò a dirgli che po-
trebbe essere mio fratello?» Maman non era l'unica don-
na Basin che Jonathan Radcliffe avesse portato a letto. Ma
la madre di Clotile non poteva essere al cento per cento
certa che Radcliff fosse il padre, non come Maman.
Forse avrei dovuto citarlo in giudizio per paternità. Se
avessi avuto i soldi come Brandon, avrei dato io dei dia-
manti a Evie e atteso di dormire con lei tra una settima-
na?
Cristo, starei a contare i secondi. «Aspetta, per ora,»
dissi a Clotile. «Fammi pensare alla questione domani.»
Come attraversammo il Basin in auto, guardai fuori
dal finestrino. Povertà. Che parola sporca. Quei ragazzi
Sterling non sapevano cosa fosse desiderare. Avere questa
stritolante necessità dentro così potente che era come
rabbia.
Mescola la rabbia al desiderio. Quello ero io.
«Non hai bisogno di una fille in ogni caso,» sottolineò
Clotile. «Andrai in Messico al più presto.»
Nell'istante in cui fossi uscito dalla libertà vigilata.
Una volta lasciata la scuola, non avrei probabilmente in-
crociato più Evie.
216
La mia solita irrequietezza mi colse. Dovevo uscire da
Basin, o avrei fatto la fine di Maman. «Sei sicura di voler
rimanere?»
Clotile mi fece un cenno fermo del capo. «Abbiamo un
piano.»
Avrei inviato denaro, e lei si sarebbe occupata di ma
mère. «Sto bruciando per lasciare questo posto, ma quella
ragazza…» Qualcosa in me esitava duramente quando
pensavo di non vedere più Evie. Lei sarebbe partita per il
college tra due anni. Non era come se fossimo stati di-
stanti.
Lei aveva chiuso con me.
E avrei dovuto presentarmi a scuola domani o lei
avrebbe capito che ero rimasto a casa con la coda tra le
gambe. Al diavolo. Sarei andato con le spalle dritte e
provato con ogni ragazza tranne che con lei.
Quando Clotile svoltò verso la casa di Doc, disse, «Per
quel che vale, Jack, mi piaceva.»
Mi accigliai. «Perché ti ha salutata e sorriso una volta.»
Clotile si strinse nelle spalle. «Più di chiunque altro
abbia fatto.»
***
217
Trascinò alla cieca l'ago. «Ho un generatore di suppor-
to per i miei congelatori. Ma non riesco a vedere nulla.
Clotile, riesci ad arrivare al mio tavolo da lavoro? C'è una
torcia elettrica.»
Qualcosa si schiantò nell'oscurità. «Ahi! Non!»
Mi ricordai del mio nuovo cellulare. «Ecco.» Lo accesi,
emettendo luce sufficiente affinché Doc arrivasse al suo
bancone e che Clotile prendesse posto vicino a me.
«Non muoverti, figliolo.» Doc agitò la torcia. «Torno
subito per chiudere il braccio.»
«Non andrò da nessuna parte.» Una volta che ebbe fat-
to le scale, puntai la luce sul mio braccio. Aveva finito
uno strato di sutura ed aveva quasi finito con il secondo.
Certamente, aveva guardato il mio infortunio e detto:
«Salveee! Ragazzo, imparerai a correre uno di questi
giorni.» Aveva anche controllato le mie dita nastrate. I
denti di Vigneau avevano sbucciato le mie nocche.
Avevo appena spento il cellulare per risparmiare la
batteria quando qualche rombo risuonò dal piano di so-
pra.
«Dannazione,» disse Clotile. «Questo generatore po-
trebbe svegliare i morti, non?»
Minuti passarono, e Doc non era ancora tornato. A di-
sagio, accesi di nuovo il telefono. «C'è qualcosa che non
va.» Il mio istinto di autoconservazione era affinato, ta-
gliente come un rasoio. Potevo abitualmente dire quando
eravamo nei guai fino al collo.
Agguantai le forbici, poi tagliai il filo nel braccio.
Quando mi alzai, barcollai per la perdita di alcol e san-
gue. «Andrò a controllare fuori.»
Clotile annuì. «Vengo anch'io.»
218
Barcollai su per le scale, con lei proprio dietro di me.
Aprendo la porta del seminterrato, urlai, «Doc? Dove
sei?» Alla fine del lungo corridoio, la porta d'ingresso era
spalancata. Un caldo vento asciutto si precipitò dentro,
colpendomi in viso. Viveva davanti al bayou – dov'era
l'afa?
Da qui, riuscivo a vedere il suo marciapiede. Lui era in
piedi immobile sul marciapiede, che osservava qualcosa
in alto.
Anche altre persone lungo la riva fissavano il cielo.
Quando percorsi a grandi passi il corridoio, Clotile mi
seguì, sbirciando da dietro di me. «Cosa stanno fissan-
do?»
Gli alberi di noce di Doc bloccavano la mia visuale del
cielo. «Non so.» Una luce cominciò a brillare sopra l'ac-
qua.
«Pensi che sia un fifolet?» Una luce di palude.
«Peut-être.» Può essere. «Se lo è…» Mi affievolii quan-
do una cerva balzò in fondo alla strada proprio accanto a
Doc. Lui non reagì, continuando a fissare.
Poi arrivarono altri animali, una sfilata di loro in fuga
da est. Cani, coyote, topi, castori.
Deglutii. Uno degli schizzi di Evie era stato di animali
in fuga.
In tono sommesso, Clotile disse, «Qualcosa di brutto
sta arrivando.»
Quel suono rombante che avevamo sentito divenne
sempre più forte fino a quando non fu più simile a un
ruggito. «Un tornado forse? Cristo, ho lasciato Maman
svenuta!»
«Se un tornado sta saltando fuori, probabilmente non
raggiungerai casa tua.»
219
Vero. Eppure… «Devo andare da lei. Dammi le chia-
vi.»
«Jamais.» Mai. «Dobbiamo stare giù nella cantina.»
Clotile indietreggiò verso di essa, tirandomi per il braccio
sano.
Quella luce misteriosa divenne ancora più intensa,
come se il bayou stesse cercando di prendere fuoco. E
quel ruggito…
Dissi, «Non è un tornado, no.» Quel rombo poteva sve-
gliare i morti. Sembrava che stava suonando la fine dei
giorni.
L'apocalisse.
Bruciavo per andare da Maman, ma avevo la sensa-
zione che non ce l'avrei fatta ad arrivare al furgoncino.
«Dobbiamo scendere, Jack!»
«Non senza Doc.» Mi liberai da Clotile, poi corsi verso
la porta d'ingresso. «Porta il tuo culo dentro, Doc!» Da
qui riuscivo a vedere il cielo. Mio Dio. Oltre lui c'era il so-
le sorgente, come una palla di fuoco.
Dalla porta del seminterrato, Clotile urlò, «Torna qui!
Per favore!»
Urlai, «Venga, Doc! Ora…» Un lampo di luce esplose
come una bomba. Dita di fuoco si estesero oltre il bayou,
in procinto di allungarsi. «DOC!» Non sarei mai arrivato
a lui in tempo.
Alla fine si scosse e si voltò verso di me. Incontrando i
miei occhi, con le labbra: Corri, ragazzo.
Per una volta, lo feci. Mi lanciai verso la porta del se-
minterrato, chiudendola dietro di me.
Clotile gridò: «Quaggiù!»
220
Quando la maniglia bruciò la mia mano, saltai giù per
le scale. L'edificio gemette, la polvere che pioveva su di
noi nel buio pesto.
Clotile si allungò alla cieca alla mia ricerca. «S-sono
spaventata.»
Come me. «Staremo bene.» Le presi la mano.
«Che è successo a Doc?»
«Penso che…» Come spiegare quello che avevo appe-
na visto? «C'è stato tutto questo fuoco, e mi ha detto di
correre. Non vedo come potrebbe essere… sopravvissuto
a questo.»
«Pensi che ci abbiano bombardati? O forse è l'Ascen-
sione?»
«Non lo so.» Tutto quello che sapevo era che Maman si
trovava nel suo letto, inerme come una bambina.
***
221
l'ultima delle nostre preoccupazioni. «Per favore. Non
può essere sicuro là fuori.»
Avevamo sentito quello che sembrava un incendio
fuori, l'intero Basin andato in fiamme. C'erano stati più
incidenti e vetri infranti. L'intero edificio di Doc aveva
tremato.
E sempre, sempre c'era odore di fumo.
Ma i suoni stavano svanendo.
Clotile chiese: «E se ci sono… radiazioni o qualcosa del
genere?»
«Non è che avessi l'intenzione di vivere una vita lunga
comunque. Stai qui. Vado a prendere Maman, controllo
alcuni amici, poi tornerò da te.»
«Non te ne andrai senza di me.»
«Bene. Vieni.» Grazie alla luce di quel telefono, salim-
mo di nuovo le scale. Sfiorai la maniglia della porta.
Fredda al tatto.
Aprii con cautela, accompagnando la porta, e annusai
l'aria. Al diavolo. Uscii, il vetro che si frantumava sotto i
miei stivali.
Ogni finestra era andata in frantumi, i telai ancora fu-
manti. Strisciammo verso la porta d'ingresso.
Gli alberi di noce di Doc erano ceppi carbonizzati. I
suoi gelsi erano scomparsi. Strisce nere squarciavano i
mattoni della sua casa. Altre case nel quartiere stavano
bruciando.
Accanto, tutto ciò che restava di una grande casa di le-
gno erano cenere e una statuetta bruciata della Vergine
Maria; mi feci il segno della croce.
«Dove sono tutti gli alberi?» chiese Clotile, suonando
stordita intanto che osservava la distruzione.
Non ne vidi neanche uno. Deglutii. «Andati.»
222
«Pensi che ci saranno state un po' di persone in giro.»
«La maggior parte si trovava fuori quando il fuoco ha
colpito.» Raggiungemmo il marciapiede, trovammo un
mucchio di cenere grigia. «Doc era in piedi proprio qui.»
Toccai con la punta del piede il piccolo tumulo, e il mio
cuore iniziò a tuonare.
Clotile ansimò. «S-sono quelli che penso che siano?»
La dentiera di Doc. «Ouais.» Esaminai la strada. Altri
di quei mucchi punteggiavano il marciapiede martoriato.
Lei sussurrò, «Quelli… erano persone.»
Quando guardai il lungomare, quasi mi girò la testa.
«Niente acqua. È tutto prosciugato.» Soltanto del fango
fratturato restava. Chiatte di metallo annerite giacevano
nel fango. Scheletri di barche di gamberi ancora ardenti.
«Non riesco a stare a guardare. Dimmi… dimmi che ho
preso una brutta sbronza. E non sto vedendo questo.»
Clotile scosse la testa, il viso pallido. «Deve essere un
incubo.»
«Devo andare da Maman.» Ci dirigemmo verso il fur-
goncino. L'esterno era carbonizzato, ma sembrava fun-
zionare. Clotile mi gettò le chiavi, e salimmo nella cabina.
Quando il motore non partì, picchiai il volante per la
frustrazione.
Lei mise la mano sulla mia spalla. «Ehi, ne troveremo
un altro.»
Allentai. Dovevo mantenere la calma e la concentra-
zione. Annuii, e uscimmo a guardare. Un sacco di auto
erano state distrutte. Alcune erano in fase di stallo, pro-
prio in strada. Ne provammo alcune, ma nessuna di loro
sarebbe partita.
Gracchiai, «Cammineremo.» Non sarebbe stata la pri-
ma volta.
223
Lungo la strada, non incontrammo nessuno, ma supe-
rammo molte altre pile di cenere.
Clotile inciampò. «Jack, siamo andati all'inferno?»
L'aiutai. «Continua… continua a camminare e basta.»
Poteva essere sopravvissuta Maman? Le strutture che un
tempo avevano avuto diversi alberi a coprire se la cava-
rono meglio; gli spessi rami di cipresso si erano distesi
sopra la mia baracca. Ed era stata inumidita dalla pioggia
precedente.
Forse lei era sopravvissuta.
I miei pensieri traditori andarono a Evie. Grandi quer-
ce circondavano il Rifugio. Era riuscita a tornare a casa
sua dalla mia prima di quel lampo di luce? Prima del
fuoco? L'avevo fatta uccidere…? Mantieni la calma, Jack.
Per l'ultimo miglio verso casa mia, Clotile ed io cor-
remmo. Sbandai nel mio cortile davanti a lei, rallentando
in stato di shock.
I cipressi erano ceppi. La baracca era crollata, era sol-
tanto un mucchio di legno fumante, coperta da fogli di
stagno bruciacchiati. «Ah, Dio, Maman!» Corsi verso il
mucchio, poi strattonai il metallo.
«Hélène,» gridò Clotile, affrettandosi ad aiutare.
«Rispondici, Maman!»
«Jack?» Fu la risposta soffocata da qualche parte sotto
il cumulo.
I miei occhi si spalancarono. «Sono qui!» Strappai le
tavole come un pazzo, lanciandole. «Ti libereremo. Sei fe-
rita? Hai qualcosa di rotto?»
«Non.» Agitò la mano tra le tavole.
Tolsi i detriti, abbastanza da tirarla fuori da sotto una
trave pesante, liberandola.
224
Mi gettò le braccia al collo. «Jack! Sapevo che saresti
venuto per me.»
«Grazie a Dio stai bene!» Mi ritrassi dal fango per pu-
lirle il viso, aggrottando la fronte alla rugosità della sua
guancia. La sua pelle era coriacea. E le sue labbra screpo-
late sanguinavano. «Che ti è successo, Maman?» I suoi
occhi erano vaporosi, le sue pupille di un grigio più chia-
ro, quasi come gesso.
Lottai un albeggiante riconoscimento. Mi ricordava…
le creature che Evie aveva abbozzato.
Condivisi con Clotile uno sguardo, che scosse la testa
per la confusione.
«Non lo so.» Il rosario di Maman era spoglio contro il
suo collo esposto all'aria. «Mi sento così strana.» Cercò di
leccarsi le labbra maltrattate.
«Ti porteremo da un medico alla parrocchia vicina.»
Nello stato accanto, se dovevamo. Qualcuno sarebbe sta-
to in grado di aiutarla.
Si strinse nelle spalle, le unghie che scavavano. I suoi
occhi sembravano schiarirsi sempre più, la sua pelle che
peggiorava ad ogni secondo. «Oh, Jack, non ho mai senti-
to così sete come adesso.»
Allora perché aveva fissato il suo sguardo… sulla mia
gola?
225
Scopri cosa succede a Jack e a molti di questi perso-
naggi nel prossimo numero da cardiopalmo delle Crona-
che degli Arcani: Arcana Rising, arriverà il 15 Agosto
2016.
226
Arcana Rising
227
Il libro
Le perdite aumentano e nuove mortali minacce con-
vergono nel prossimo racconto ricco d'azione delle Cro-
nache degli Arcani dall'autrice di best-seller #1 nel New
York Times, Kresley Cole.
228
Può Evie e i suoi alleati rialzarsi dalle ceneri di Richter,
più forti che mai?
229
1
Giorno 382 d.L.
230
«Vieni!» Aric mi strinse tra le sue braccia e corse via
dallo scontro. «Quando si incontrano, l'esplosione e poi il
diluvio…»
Smisi di lottare contro di lui; la necessità di trasforma-
re la risata di Richter in urla mi artigliò, il che significava
che dovevo sopravvivere.
Aric fece un fischio acuto, e lo scalpiccio di un cavallo
rispose. Thanatos. Con me al sicuro tra le sue braccia,
Aric saltò in sella, e spronò il cavallo di battaglia al ga-
loppo frenetico.
Piombammo giù per un pendio, poi caricammo il
prossimo.
Osservai da sopra la spalla di Aric come quella marea
si increspò sopra il lago di lava di Richter.
I respiri ansanti, cavalcando il più velocemente e uma-
namente possibile, Aric mantenne Thanatos a rotta di col-
lo. Su per un'altra montagna. Giù per il suo pendio…
Circe colpì.
Un sibilo come quello di una gigante bestia. Una deto-
nazione come una bomba nucleare.
L'onda d'urto fu così forte che le mie orecchie sangui-
narono. Forte quanto il rombo precedente il Lampo.
L'aria si fece sempre più ardente. Il terreno oscillò
quando un soffio di vapore bollente ci inseguì.
BOOM! La forza tranciò la parte superiore della mon-
tagna appena dietro di noi. Dei massi si schiantarono
tutt'intorno quando noi scivolammo in un'altra valle. Ep-
pure galoppavamo.
Aric gracchiò, «L'ondata arriva dopo.»
Il terreno tremò per via del peso di un oceano d'acqua.
Riuscivo a sentire l'ondata che si dirigeva verso di noi.
«Aric!»
231
Corse il più possibile, il più in alto possibile. «Tieniti.»
Stringendomi forte, si lasciò cadere da Thanatos che con-
tinuò a correre.
Dietro la calotta di un'altra montagna, Aric si preparò
all'impatto. Incastrò il guanto metallico tra i massi, av-
volgendo l'altro braccio intorno a me.
Lo sguardo fisso sul mio, gridò: «Non ti lascerò mai an-
dare!» Tutti e due facemmo un respiro.
L'acqua lancinante colpì. L'impatto esplosivo mi
strappò dal suo petto, ma lui catturò il mio braccio, strin-
gendomi le dita sopra il gomito.
La presa di Morte. La forza empia del diluvio. Il mio
grido acquoso…
Aric non mi lasciò mai andare…
Il mio braccio… cedette.
Separata.
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