Riassunti Seconda Parte Procedura Penale

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5. L’inammissibilità dell’impugnazione.

In particolare, la mancanza di specificità dei motivi

Il provvedimento impugnato, l’atto di impugnazione e gli atti del procedimenti devono essere trasmessi
senza ritardo al giudice competente per l’impugnazione (giudice ad quem), che verifica preliminarmente
l’ammissibilità (inammissibilità: causa di invalidità che preclude l’esame nel merito) l’impugnazione e la
regolarità delle notificazioni.

L’art. 591 comma 1 indica le cause di inammissibilità generali, ossia comuni a tutti i mezzi di impugnazione
 Impugnazione proposta da un soggetto non legittimato o privo di interesse
 Provvedimento non impugnabile
 In seguito a una rinuncia all’impugnazione
 Mancata osservazione delle disposizioni sulle impugnazioni su forma, presentazione, spedizione e
termini (artt. 581, 582, 585, 586)

La riforma Orlando e la riforma Cartabia hanno imposto alle parti un onere ulteriore, pena inammissibilità:
specificare in modo specifico i motivi di impugnazione della sentenza.
In particolare, il nuovo art. 581 comma 1 come modificato dalla riforma Orlando prevede che si enuncino in
modo specifico:
 I capi o punti della decisione cui si riferisce l’impugnazione
 Le prove dalle quali si deduce l’inesistenza, omessa assunzione o erronea valutazione
 Le richieste (anche istruttorie)
 I motivi, con indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni
richiesta

La riforma Cartabia ha esplicitato la previsione: l’appello è inammissibile per mancanza di specificità dei
motivi quando per ogni richiesta non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita: i rilievi critici in
relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e
punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione (art. 581 comma 1-bis).

Le modifiche menzionate vanno lette in collegamento con il c.d. modello legale della motivazione in fatto
della sentenza, che se rispettato consente un agevole controllo delle argomentazioni della decisione per
precisare in modo specifico i motivi di doglianza verso la sentenza (art. 546 comma 1 lett. e), permettendo
anche una riduzione complessiva dei tempi processuali.
La normativa ribadisce che la specificità non è solo interna ai motivi di impugnazione, ma anche esterna,
sulla correlazione con i motivi sui quali si fonda la sentenza impugnata.
Per la specificità interna sono inammissibili le impugnazioni basate su considerazioni generiche o astratte,
quindi non pertinenti al caso concreto; per la specificità esterna sono inammissibili le impugnazioni non
basate su argomenti strettamente correlati agli accertamenti della sentenza di primo grado.

L’inammissibilità presenta delle peculiarità per appello e cassazione: nel primo le parti devolvono un punto
della sentenza, nel secondo un motivo di diritto di doglianza (tra quelli previsti dalla legge). Solo il ricorso
per cassazione è valutabile come inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi (art. 606 comma 3).

In sintesi ribadiamo i maggiori requisiti previsti a pena inammissibilità dell’appello:


 Precisazione dei motivi specifici di doglianza
 Indicazione nell’atto di appello dei punti della sentenza impugnata
 Obbligo di individuare le singole argomentazioni della sentenza da sottoporre a critica
 Necessità di un collegamento tra indicazione delle ragioni di doglianza e richiesta di modifica sui
singoli punti

La dichiarazione di inammissibilità.
Il giudice dell’impugnazione dichiara con ordinanza l’inammissibilità dell’impugnazione e dispone
l’esecuzione del provvedimento impugnato (l’ordinanza è pronunciabile de plano anche d’ufficio ex art. 591
comma 2). L’ordinanza viene notificata a chi ha proposto l’impugnazione, per consentire il ricorso per
cassazione (art. 591 comma 3).
Anche se non rilevata e dichiarata nella verifica preliminare, l’inammissibilità può essere rilevata anche con
sentenza in ogni stato e grado del procedimento (art. 591 comma 4).
L’inammissibilità in cassazione non prevede rimedio.

Il principio di soccombenza.
Le parti private del giudizio di impugnazione sono soggette al principio di soccombenza (art. 592): la parte
privata che vede confermata la sentenza, rigettato il ricorso o dichiarata inammissibile l’impugnazione è
condannata alle spese di giustizia. Tale principio non si applica alla parte pubblica.
L’imputato che viene condannato nel giudizio di impugnazione è condannato al pagamento delle spese dei
precedenti giudizi anche se in essi sia stato prosciolto. In caso di più imputati essi sono condannati al
pagamento in solido per le spese di giustizia, ma ciascuno è condannato individualmente al pagamento
delle spese per la propria custodia cautelare.

6. La trasmissione degli atti dal giudice a quo al giudice ad quem

La cancelleria del giudice del provvedimento comunica l’atto di impugnazione al PM presso il medesimo
giudice e lo notifica alle parti private senza ritardo (art. 584).
Il giudice a quo ha l’obbligo di trasmettere al giudice ad quem (oltre a provvedimento impugnato,
impugnazione e atti del procedimento) anche vari dati utili a fini organizzativi:
 Nominativi dei difensori (con indicazione della data di nomina)
 Dichiarazioni o elezioni o determinazioni di domicilio (con indicazione delle date)
 Termini di prescrizione riferiti a ogni reato, con indicazione degli atti interruttivi e delle specifiche
cause di sospensione del relativo corso o eventuali dichiarazioni di rinuncia alla prescrizione
 Termini di scadenza delle misure cautelari in atto, con indicazione della data di inizio ed eventuali
periodi di sospensione o proroga
 Nel caso di ricorso per cassazione è prevista anche la trasmissione di copia degli atti del processo
indicati dal ricorrente nei motivi di gravame ex art. 606 comma 1 lett. e (o attestazione della
mancanza)

L’obiettivo di tali norme è razionalizzare le procedure di impugnazione e migliorare la sinergia tra gli uffici
giudiziari, per realizzare il principio di ragionevole durata del processo.
7. Il deposito telematico delle impugnazioni

Il deposito telematico è una novità originata durante l’emergenza da Covid-19. Fino all’entrata in vigore del
regolamento ministeriale che disciplinerà la nuova normativa su deposito, comunicazione e notificazione
(entro il 31 dicembre 2023; suppongo sia entrato in vigore?), le regole per le impugnazioni sono agli artt. 87
e 87-bis disp. trans d.lgs. 150/2022.
Quando l’impugnazione viene sottoscritta dalla parte privata il deposito deve avvenire in cartaceo nella
cancelleria del giudice del provvedimento impugnato ex art. 582 comma 2, che resta in vigore per le sole
parti private (art. 87 commi 4 e 5 disp. trans. d.lgs. 150/2022).
In alternativa al deposito in formato analogico, i difensori possono depositare l’atto di impugnazione
tramite PEC (dall’indirizzo PEC del difensore all’indirizzo PEC dell’ufficio del provvedimento impugnato) ex
art. 87 bis disp. trans. d.lgs. 150/2022. Sono trasmessi via PEC anche i motivi nuovi e le memorie (entro i
termini) ma questi indirizzati alla PEC dell’ufficio del giudice ll’impugnazione.

Il deposito si considera tempestivo se effettuato entro le ore 24.00 del giorno di scadenza.
A livello formale l’atto di impugnazione in veste di documento informativo deve essere sottoscritto
digitalmente secondo le modalità indicate nel provvedimento del DGSIA, con indicazione specifica degli
allegati trasmessi in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore per conformità.

Eccetto i casi di inammissibilità ex art. 591, l’atto di impugnazione depositato tramite PEC può essere
inammissibile per altre tre ipotesi:
 Mancanza della sottoscrizione digitale del difensore
 Trasmissione da un indirizzo PEC non presente nel registro degli indirizzi elettronici
 Trasmissione a un indirizzo PEC non riferibile, secondo il provvedimento del DGSIA, all’ufficio del
provvedimento impugnato; o in caso di riesame o appello cautelare a un indirizzo PEC non riferibile,
secondo il provvedimento del DGSIA, all’ufficio competente a decidere su riesame o appello

Anche qui, se l’impugnazione è inammissibile il giudice del provvedimento impugnato dichiara anche
d’ufficio l’inammissibilità dell’atto e dispone l’esecuzione del provvedimento impugnato.
CAPITOLO II – L’APPELLO

1. Considerazioni preliminari

L’appello è un mezzo di impugnazione ordinario con cui le parti chiedono al giudice di secondo grado il
controllo di una decisione di primo grado ritenuta viziata per motivi di fatto o di diritto.
Vediamo le caratteristiche essenziali dell’appello:
 È un gravame (gravame: impugnazione per il riesame di una controversia per arrivare a un nuovo
giudizio in sostituzione del giudizio del provvedimento impugnato) parzialmente devolutivo: la
cognizione del giudice d’appello è limitata ai motivi di impugnazione, ma il giudice d’appello ha la
stessa ampiezza di poteri decisori del giudice di primo grado
 È una impugnazione a critica libera: non sussistono limiti alle censure in fatto o di diritto verso la
sentenza impugnata, e possono riguardare sia errori in iudicando che in procedendo
 È uno strumento di controllo e non un nuovo giudizio: non è necessaria una nuova istruzione
dibattimentale (i risultati probatori del primo grado fanno parte della conoscenza del giudice
d’appello) e la rinnovazione del dibattimento per assumere nuove prove è eccezionale, pur con una
significativa estensione nell’ultimo periodo (art. 603)
 La regola è la conferma o riforma della decisione impugnata, eccezionalmente si ha un
annullamento. Tolti tali casi la decisione d’appello consiste in una nuova sentenza che sostituisce
quella impugnata, e a sua volta può essere soggetta a ricorso per cassazione

Procedimento cartolare.
Il processo d’appello è cartolare, ossia si può dare lettura anche d’ufficio degli atti del primo grado e del
fascicolo del dibattimento, nei limiti di richieste e motivi degli appellanti, senza che di regola siano assunte
nuove prove (art. 602 comma 3).
Salvi i casi di rinnovazione della prova dichiarativa (eccezionali) si sacrifica il principio dell’immediatezza, in
quanto il giudice dell’appello non ha un contatto diretto con le fonti probatorie.

Una garanzia per le parti è che l’appello è deciso da un giudice diverso (art. 34 comma 1), di regola
collegiale, con poteri d’ufficio. Può rilevare il difetto di giurisdizione, l’incompetenza per materia,
l’inutilizzabilità delle prove, le nullità assolute e anche quelle a regime intermedio se non sanata (art. 604
comma 4), l’applicabilità del ne bis in idem.
Se i motivi d’appello riguardano una questione sulla responsabilità dell’imputato, il giudice d’appello può
prosciogliere (anche oltre i motivi di impugnazione) se riconosce: che il fatto non sussiste; che l’imputato
non lo ha commesso; che il fatto non costituisce reato; che il fatto non è previsto dalla legge come reato;
che il reato è estinto; che manca una condizione di procedibilità.

Il giudice competente a conoscere l’appello.


La competenza per l’appello è così divisa:
 per le sentenze del tribunale spetta alla corte d’appello
 per le sentenze della corte d’assise spetta alla corte d’assise d’appello (interna alla corte d’appello
con l’apporto di 2 magistrati di carriera e 6 giudici popolare)
 per le sentenze del giudice di pace spetta al tribunale monocratico
 per le sentenze del tribunale per i minorenni spetta alla sezione per i minorenni presso la corte
d’appello

La riforma Cartabia.
Ha introdotto la dichiarazione di improcedibilità nel caso siano superati i termini massimi per definire
l’impugnazione con oggetto reati commessi dal 1 gennaio 2020. La conseguenza è che il processo penale
deve essere troncato e il giudice è obbligato, se ritenuta ammissibile l’impugnazione, a dichiarare
l’improcedibilità dell’azione penale (art. 344-bis). La dichiarazione di improcedibilità non si applica ai reati
imprescrittibili, quelli puniti con l’ergastolo (art. 344-bis comma 9).

I termini massimi decorrono dal 90° giorno successivo al termine per il deposito della motivazione della
sentenza di primo grado o dal termine eventualmente prorogato. L’improcedibilità scatta in caso di
mancata definizione del giudizio entro 2 anni (art. 344-bis comma 1), estesi a 3 anni se l’impugnazione è
proposta entro il 31 dicembre 2024.
L’improcedibilità non può essere dichiarata se l’imputato chiede la prosecuzione del processo (art. 344-bis
comma 7).
In caso di processo particolarmente complesso sono previste cause di sospensione dei termini e proroghe,
da pronunciare con ordinanza motivata.

L’attuazione della legge-delega.


Il d.lgs. 150/2022 ha introdotto ulteriori modifiche per accelerare i tempi:
 ulteriori limiti all’appellabilità di certe decisioni
 svolgimento (di regola) dell’appello con rito camerale e contradditorio cartolare: si è resa stabile la
normativa emergenziale
 eliminate le preclusioni per il concordato in appello
 codificate le interpretazioni giurisprudenziali sull’inammissibilità dell’appello per mancanza di
specificità dei motivi

2. La legittimazione a proporre appello

Analizziamo la legittimazione all’appello rispetto al procedimento ordinario presso il tribunale e la corte


d’assise.

Le sentenze inappellabili.
Non sono appellabili le sentenze di condanna per le quali si è applicata solo la pena dell’ammenda o
sostitutiva del lavoro di pubblica utilità; nemmeno le sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con
la sola pena pecuniaria o pena alternativa (art. 593 comma 3).

a) L’appello dell’imputato.
1) L’imputato può appellare le sentenze di condanna (purchè non inappellabili)
2) L’imputato può appellare le sentenze di proscioglimento emesse entro il termine del dibattimento
in caso di proscioglimento non pieno; non può appellare le sentenze di assoluzione con formulare
piena (il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso)
b) L’appello del pubblico ministero
1) Il PM può appellare le sentenze di proscioglimento (esclusi i casi di inappellabilità)
2) Il PM può appellare le sentenze di condanna se rispetto all’imputazione formulata dall’accusa
queste hanno modificato il titolo di reato o hanno escluso la sussistenza di una circostanza
aggravante a effetto speciale o hanno stabilito una pena diversa da quella ordinaria del reato

La riforma Orlando ha tolto la possibilità di appellare per contestazione della inadeguata entità della
pena in sé o come conseguenza di applicazione delle attenuanti. Limite riconosciuto legittimo dalla
Corte costituzionale, perché compensato dai maggiori poteri del PM in sede processuale e nella fase
delle indagini.
Le sentenze, quando non appellabili, sono comunque passibili di ricorso per cassazione ex art. 568
comma 2 (es. mancanza, contradditorietà o manifesta illogicità della motivazione della quantificazione
della pena).
Al PM è fatto divieto di proporre appello con effetti favorevoli all’imputato (art. 568 comma 4-bis).

Le limitazioni all’appellabilità delle sentenze che applicano la misura di sicurezza.


L’art. 597 impedisce l’impugnazione separata di una misura di sicurezza quando la parte non propone una
impugnazione contro un altro capo penale della sentenza di condanna o di proscioglimento.
Sia il PM che l’imputato sono legittimati a presentare appello contro una misura di sicurezza solo quando
hanno impugnato con medesimo mezzo anche un capo della sentenza agli effetti della responsabilità
penale.
Quando viene impugnata la sola misura di sicurezza sulla impugnazione decide il tribunale di sorveglianza
(art. 680), eccetto la confisca, impugnabile con i mezzi previsti per i capi penali (art. 579 comma 3).

c) L’appello del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria.
La legittimazione deriva dall’art. 575, prevedendo l’impugnazione con il mezzo che la legge attribuisce
all’imputato

d) L’appello della parte civile.


La Cassazione ha precisato che la parte civile, anche dopo la riforma dell’art. 576 (2006) può proporre
appello, agli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento di primo grado. Ne
deriva che la parte civile può appellare la sentenza di primo grado, sia di proscioglimento sia di condanna,
con impugnazione limitata ai soli effetti civili (art. 573).

e) L’appello del querelante.


Il querelante (art. 576 comma 2) può impugnare la sentenza di proscioglimento che lo ha condannato al
pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato e alle spese e al risarcimento del danno in
favore di imputato e responsabile civile. Il mezzo di impugnazione è quello della parte civile (appello),
limitato agli interessi civili.

f) La conversione del ricorso in appello.


Una sentenza può pronunciarsi su più reati, e ogni capo contiene una decisione su una imputazione, sulla
quale il giudice ha pronunciato una condanna o un proscioglimento. Contro i singoli capi della sentenza
possono essere previsti diversi tipi di impugnazione.
Nel caso suddetto si vuole evitare che si abbiano giudizi contrastanti per impugnazione del medesimo fatto
di reato e reati connessi (art. 12), e si prevede l’istituto della conversione del ricorso per cassazione in
appello.
Ex art. 580, “quando contro la stessa sentenza sono proposti mezzi di impugnazione diversi, nel caso in cui
sussista la connessione di cui all’art. 12, il ricorso per cassazione si converte nell’appello”.
Si tratta di un rimedio preventivo ai giudicati contrastanti, per garantire unità della regiudicanda nei vari
gradi del processo.
La norma non riguarda i reati collegati ex art. 371 comma 2 lett. b, c.

Regolamentazione.
La conversione opera automaticamente ope legis quando su almeno un capo è proposto appello, e se un
altro soggetto ha proposto ricorso per cassazione questo si converte in appello (allo stesso modo per reati
connessi).
La conversione non comporta una modifica del contenuto dell’impugnazione, che resta quello
originariamente previsto ex lege, e la corte d’appello mantiene una cognizione limitata alla censura di
legittimità. Se l’appello originariamente proposto avesse contenuto anche censure di merito, la corte dovrà
giudicare anche su quelle.
La corte d’appello mantiene comunque i suoi ordinari poteri, pertanto non deve annullare come farebbe la
Cassazione, ma confermare o riformare la sentenza, potendo annullare solo in caso di una ipotesi di nullità
tassativa ex art. 604.

3. L’appello incidentale e le memorie presentate dall’imputato che non ha proposto impugnazione

Il d.lgs. 11/2018 ha modificato l’appello incidentale: quando una parte, entro i termini, ha presentato
appello (c.d. principale), l’imputato legittimato ad appellare ma che non lo ha fatto, può proporre appello
incidentale entro 15 giorni dal giorno in cui ha ricevuto la notificazione dell’appello principale (art. 595
comma 1).
La funzione dell’appello incidentale è di integrare il contradditorio nel giudizio d’appello; non interessa
rimettere in termini l’imputato che non ha impugnato, ma consentirgli di sottoporre al giudice una tesi
alternativa sul medesimo tema a seguito dell’appello principale.
L’appello principale quindi deve limitarsi ai capi della decisione oggetto dell’appello principale e ai punti che
hanno connessione essenziale con quelli denunciati dall’appello principale.

Limiti dell’appello incidentale.


L’appello incidentale è legato all’appello principale (art. 595 comma 4), così “l’appello incidentale perde
efficacia in caso di inammissibilità dell’appello principale o rinuncia allo stesso”. Lo scopo permettere
all’appellante principale di valutare l’opportunità di insistere nel gravame o desistere.
Essendo il presupposto dell’appello incidentale la legittimazione ad appellare con la mancata
impugnazione, l’imputato non legittimato ad appello principale non potrà nemmeno proporre appello
incidentale, al più proponendo ricorso per cassazione o presentando memorie o richieste.

Le memorie presentate dall’imputato che non ha proposto impugnazione.


Il d.lgs. 11/2018 considera la situazione dell’imputato non legittimato a impugnare o che legittimato non
abbia impugnato in concreto ma voglia comunque rendere noto al giudice dell’impugnazione l’esistenza in
atti di dati probatori a suo favore (non esaminati nella sentenza di merito) o avanzare richieste per
contrastare le impugnazioni proposte da altre parti.
L’art. 595 comma 3 prevede che l’imputato entro 15 giorni dalla notificazione dell’impugnazione di altre
parti possa presentare al giudice, con deposito in cancelleria, memorie o richieste scritte.

4. La cognizione del giudice di appello

L’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti
della decisione cui si riferiscono i motivi proposti (art. 597 comma 1). L’appello è definibile gravame in
quanto in astratto idoneo a devolvere al giudice superiore l’intera causa, in concreto la cognizione del
giudice superiore risulta limitata ai punti indicati nei motivi di impugnazione (principio devolutivo: tantum
devolutum quantum appellatum).
L’oggetto del giudizio di appello non è il motivo, ma il punto della decisione cui il motivo fa riferimento; il
giudice d’appello, nell’accertare la correttezza dell’operato del giudice di primo grado circa il punto
impugnato, non è obbligato a limitarsi alle prospettazioni dell’appellante nella proposizione dei motivi.
Es. per l’elemento psicologico, se il giudice di primo grado aveva ritenuto sussistesse il dolo, escluso
dall’imputato in appello, il giudice di secondo grado potrà decidere escludendo la presenza del dolo, ma
anche affermando il dolo, o la colpa o la preterintenzione.

a) Il pubblico ministero propone appello.


Quando l’appellante è il PM (art. 597 comma 2):
1) Appello su una sentenza di condanna: il giudice può, nei limiti della competenza del giudice di
primo grado, dare al fatto una definizione più grave, mutarne la specie o aumentare la quantità di
pena, revocare i benefici, applicare misure di sicurezza, adottare ogni provvedimento imposto o
consentito dalla legge
2) Appello su una sentenza di proscioglimento: il giudice può pronunciare condanna ed emettere i
provvedimenti ex art. 597 comma 2 lett. a o prosciogliere per una causa diversa da quella della
sentenza appellata
3) Conferma della sentenza di primo grado: il giudice può applicare, modificare o escludere, nei casi ex
lege, le pene accessorie e le misure di sicurezza

b) Soltanto l’imputato propone appello e non il pubblico ministero: divieto di reformatio in peius.
Quando l’appellante è solo l’imputato (art. 597 comma 3):
1) Appello su una sentenza di condanna: il giudice d’appello non può irrogare una pena più grave per
specie o quantità o applicare una misura di sicurezza nuova o più grave (divieto di reformatio in
peius), ma entro i limiti dei motivi di impugnazione può comunque dare al fatto una definizione
giuridica più grave (nel limite del non superamento della competenza del giudice di primo grado)
2) Appello su una sentenza di proscioglimento: il giudice d’appello non può prosciogliere l’imputato
per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza di primo grado né revocare
benefici (divieto di reformatio in peius)

Nell’appello del solo imputato il giudice d’appello ha eccezionalmente la potestà d’ufficio di applicare la
sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario
giudiziale e circostanze attenuanti (con giudizio di comparazione tra le medesime) (art. 597 comma 5). In
quanto potere eccezionale non è interpretabile estensivamente.

Il divieto di reformatio in peius non riguarda le disposizioni civili della condanna di primo grado.

Se non vengono impugnati tutti i punti della sentenza, la cognizione del giudice d’appello può estendersi ai
punti legati da un vincolo di connessione essenziale di tipo logico con quelli impugnati (art. 597 comma 1).

Appello sia del pubblico ministero, sia dell’imputato.


Quando sono appellanti sia l’imputato sia il PM, con impugnazione dei medesimi capi e punti, la cognizione
del giudice d’appello sarà ampio, col potere di adottare sia provvedimenti in peius (contra reum) sia in
melius (pro reo), sempre nei limiti dei punti impugnati.

c) La parte civile appella e né l’imputato né il pubblico ministero propongono appello contro i capi penali
della sentenza.
Ex art. 576, la parte civile è legittimata a impugnare sia la sentenza di condanna che di proscioglimento
rispetto alla quale sia rimasta soccombente, nonostante il disinteresse di imputato e PM rispetto ai capi
penali.
Ex art. 573 comma 2 la sentenza impugnata solo dalla parte civile (limitata esclusivamente agli effetti della
responsabilità civile) diventa irrevocabile sotto il profilo penale.

In questa situazione la cognizione del giudice d’appello è limitata a seguito della riforma Cartabia: il nuovo
art. 573 comma 1-bis prevede che se l’impugnazione è proposta con esclusivo riferimento alle questioni
civili, il giudice d’appello deve verificare l’ammissibilità dell’appello, e in caso positivo rinviare la
prosecuzione del giudizio davanti al giudice civile competente, il quale conoscerà del merito
dell’impugnazione per i soli interessi risarcitori.

In questo caso si ha uno sdoppiamento del giudicato, con due diverse decisioni: un giudicato penale (di
assoluzione o condanna) del giudice penale e un giudicato civile, che secondo i criteri civilistici circa la
responsabilità aquiliana (soprattutto la regola del “più probabile che non”) decide sulla responsabilità
dell’imputato-danneggiante a meri fini risarcitori.
La soluzione è coerente col principio di separazione delle giurisdizioni, privilegiato dalla riforma Cartabia
per ragioni di celerità, efficienza e alleggerimento del carico di lavoro delle corti.

d) Il pubblico ministero appella e la parte civile non appella la sentenza di proscioglimento.


Se il PM appella e la parte civile non propone appello, la giurisprudenza ritiene che il giudice d’appello che
condanni l’imputato prosciolto in primo grado debba decidere sulla domanda per le restituzioni e il
risarcimento del danno, anche se la parte civile non ha impugnato la decisione a essa sfavorevole.
La Cassazione ha stabilito che il giudice d’appello, che su richiesta del solo PM condanni l’imputato, assolto
nel giudizio di primo grado, deve provvedere anche sulla domanda della parte civile che non abbia
impugnato la decisione assolutoria.
La soluzione deriva dal principio di immanenza della costituzione di parte civile (art. 76 comma 2), che
prevale sul principio di separazione delle giurisdizioni.
e) Il pubblico ministero e la parte civile appellano. L’eventuale estinzione del reato.
Quando sia il PM sia la parte civile appellano, il giudice d’appello conosce sia la questione penalistica sia la
questione civilistica.
In questo caso è tutelata la parte civile contro gli effetti di una eventuale dichiarazione di non doversi
procedere per sopravvenuta estinzione del reato. Ex art. 578 se verso l’imputato è stata pronunciata
condanna al risarcimento dei danni cagionati dal reato, il giudice d’appello e la cassazione, nel dichiarare il
reato estinto (prescrizione o amnistia), decidono sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi
della sentenza riguardanti gli interessi civili.
La parte civile, con la sua impugnazione, può ottenere la condanna dell’imputato al risarcimento del danno
in appello, anche se ai fini penali la corte dichiara di non doversi procedere (prescrizione o amnistia).
Qui il principio di accessorietà della parte civile cede davanti al principio di economia processuale.
Tale ipotesi può verificarsi solo se nel grado precedente è stata comunque pronunciata una sentenza di
condanna, mentre non è possibile se l’estinzione interviene prima della sentenza di condanna.

Approfondimento. Condanna in primo grado ed estinzione per prescrizione in appello: l’interpretazione


della Corte costituzionale.
Riconoscendo la costituzionalità dell’art. 578, la Corte costituzionale si è pronunciata sulla presunzione di
innocenza (a livello costituzionale, convenzionale ed europeo), affermando che l’applicazione della
presunzione di innocenza non deve diventare una lesione del diritto del danneggiato a ottenere
risarcimento del pregiudizio causato dal reato.
Una interpretazione convenzionalmente orientata dell’art. 578 porta a ritenere che nel caso di condanna in
primo grado e dichiarazione di prescrizione di prescrizione in appello il giudice, nel conoscere la domanda
civile, nn deve mai formulare una valutazione sulla colpevolezza dell’imputato, né effettuare un
accertamento, principale o incidentale, sulla responsabilità penale, ma dovrà limitarsi all’apprezzamento
entro i confini della responsabilità civile.
L’illecito quindi, rispetto a valutazione del nesso causale e dell’elemento soggettivo, andrà valutato secondo
le regole civilistiche, ossia secondo il criterio del “più probabile che non”.

La riforma Cartabia. La decisione sugli effetti civili nel caso di pronuncia di improcedibilità per superamento
dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione.
La riforma Cartabia ha voluto coordinare la nuova ipotesi di improcedibilità dell’azione penale per
superamento dei termini massimi col caso in cui nel processo penale sia esercitata l’azione civile.
Il nuovo art. 578 comma 1-bis prevede una disciplina applicabile sia ai casi in cui sia pronunciata una
sentenza di condanna anche generica alle restituzioni o risarcimento del danno sia per ogni altro caso di
impugnazione anche agli effetti civili.
La norma prevede che se il giudice d’appello (o di cassazione) dichiari improcedibile l’azione penale, le
questioni civilistiche residue non siano caducate ma che la competenza su esse vada attribuita al giudice
civile, con rinvio al giudice civile nel medesimo grado (che deciderà secondo le prove acquisite nel processo
penale e quelle eventualmente acquisite nel processo civile).

5. Lo svolgimento del giudizio

a. La citazione per il giudizio di appello


Ex art. 601, tolti i casi di inammissibilità dell’appello, il presidente della corte ordina senza ritardo la
citazione dell’imputato appellante (o non appellante se vi è appello del PM, o se è possibile l’effetto
estensivo dell’impugnazione verso l’imputato non appellante). È prevista in ogni caso la citazione del
responsabile civile e della parte civile (questa anche se ha appellato solo l’imputato contro una sentenza di
proscioglimento).

Il decreto di citazione in appello indica:


 le modalità di svolgimento del giudizio: se la corte prima della citazione dispone che l’udienza si
svolga con partecipazione delle parti ne viene fatta menzione nel decreto.
 se la decisione si avrà a seguito di udienza pubblica o in camera di consiglio ex art. 127.
 se non è stato previsto il contradditorio in udienza viene inserito l’avviso che si procederà con
udienza in camera di consiglio non partecipata (salvo appellante o difensore chiedano di
partecipare, nel termine perentorio di 15 giorni dalla notifica del decreto). Nel decreto è contenuto
anche l’avviso che la richiesta di partecipazione della parte privata va presentata esclusivamente
tramite il difensore.
 sono riportati gli estremi della sentenza appellata (non il capo di imputazione)
 il termine per comparire non può essere inferiore a 40 giorni e almeno 40 giorni prima della data
del giudizio viene notificato avviso ai difensori

b. Le decisioni in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti

La riforma Cartabia, nell’ottica di efficientamento della giustizia, ha previsto la regola dell’appello mediante
camera di consiglio con udienza non partecipata (art. 598-bis comma 1); se non diversamente previsto, in
deroga all’art. 127, la corte d’appello giudica sui motivi, sulle richieste e sulle memorie, senza
partecipazione delle parti.
Fino a 15 giorni prima dell’udienza il procuratore generale presenta le richieste e le parti possono
presentare i motivi nuovi e le memorie, e fino a 5 giorni prima le memorie di replica.
Il provvedimento emesso dopo la camera di consiglio è depositato in cancelleria al termine dell’udienza,
che equivale alla lettura in udienza ex art. 545.

c. L’udienza in camera di consiglio partecipata

La partecipazione su richiesta delle parti.


Ex art. 598-bis comma 2 l’appellante e in ogni caso l’appellante o il suo difensore possono chiedere di
partecipare all’udienza. La richiesta, irrevocabile, deve essere presentata (pena di decadenza) nel termine
di 15 giorni dalla notifica del decreto di citazione o dell’avviso della data di fissazione dell’appello. La parte
privata può farne richiesta solo tramite il difensore.
Se la richiesta è ammissibile la corte dispone la partecipazione delle parti e indica se l’appello verrà deciso a
seguito di udienza pubblica o in camera di consiglio, nelle forme ex art. 127.
Il provvedimento viene comunicato al procuratore generale e notificato ai difensori.

La partecipazione delle parti disposta d’ufficio dalla corte d’appello.


Se le questioni sono rilevanti la corte stessa può disporre d’ufficio che l’udienza si svolga con partecipazione
delle parti, mediante provvedimento che indica e l’appello verrà deciso con udienza pubblica o in camera di
consiglio, nelle forme ex art. 127.
Il provvedimento viene comunicato al procuratore generale e notificato ai difensori (salvo ne sia già stato
dato avviso con il decreto di citazione).
La partecipazione delle parti alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
L’art. 598-bis comma 4 prevede una regola generale per cui la corte dispone sempre l’udienza con
partecipazione delle parti quando ritiene necessario procedere alla rinnovazione dell’istruzione
dibattimentale ex art. 603.

Casi di udienza in camera di consiglio partecipata.


Ex art. 599 comma 2 si procede a camera di consiglio partecipata e non udienza pubblica, oltre ai casi
particolari previsti ex lege (es. appello contro sentenza di non luogo a procedere), anche quando l’appello
ha per oggetto una sentenza pronunciata a seguito di giudizio abbreviato o ha per oggetto esclusivamente
la specie o la misura della pena (anche con riferimento al giudizio di comparazione tra circostanze) o
l’applicabilità di attenuanti generiche, pene sostitutive, sospensione della pena o non menzione della
condanna nel certificata del casellario giudiziario.

In caso di rinnovazione dell’istruzione, il giudice assume le prove in camera di consiglio ex art. 603, con
necessaria partecipazione del PM e dei difensori. Se questi non sono presenti quando viene disposta la
rinnovazione, il giudice deve fissare una nuova udienza, con provvedimento comunicato al PM e notificato
ai difensori (art. 599 comma 3).

L’udienza viene rinviata per legittimo impedimento dell’imputato se questo abbia manifestato la volontà di
comparire (art. 599 comma 2).

d. L’udienza pubblica.

Riforma Cartabia.
La discussione orale in udienza pubblica è l’ipotesi eccezionale, avendo come regola la camera di consiglio
partecipata nel caso di trattazione orale.
Il primo atto del dibattimento in appello è la relazione della causa, svolta dal presidente o dal consigliere
delegato (art. 602 comma 1)
Ex art. 598 è previsto che in appello si seguano, per quanto applicabili, le disposizioni previste per il giudizio
di primo grado, salvo quanto previsto ex artt. 599-603.
Nel dibattimento in appello può essere data lettura, anche d’ufficio, di atti del giudizio di primo grado e
degli atti del fascicolo per il dibattimento (art. 602 comma 3).

La discussione in appello.
La parola passa secondo l’ordine consueto (art. 602 comma 4):
1) Procuratore generale
2) Difensore della parte civile
3) Difensore del responsabile civile
4) Difensore del civilmente obbligato per la pena pecuniaria
5) Difensore dell’imputato

Al termine della discussione il presidente dichiara la chiusura del dibattimento (art. 524) e il collegio si ritira
in camera di consiglio. La deliberazione avviene ex art. 527, sotto la direzione del presidente.
Successivamente viene redato e sottoscritto dal presidente il dispositivo. Infine il collegio rientra in aula e il
presidente pubblica il dispositivo dandone lettura.

6. La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale

Eccezionalità.
Essendo il giudizio di appello una fase di controllo, l’assunzione di prove è ipotesi eccezionale, che pertanto
è prevista espressamente dal c.p.p., essendo il luogo naturale dell’assunzione probatoria il primo grado,
basato sul principio dell’oralità.
L’assunzione in appello è lasciata al potere largamente discrezionale del giudice, che può comunque
avvalersi della lettura degli atti del fascicolo per il dibattimento.
Le ipotesi di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale si trovano all’art. 603, con attenuazioni del potere
discrezionale del giudice, sempre basate su una situazione di tensione col diritto alla prova, in favore delle
parti e in particolare dell’imputato.
La rinnovazione può essere disposta sia d’ufficio sia su richiesta di parte.

La rinnovazione dell’istruzione su richiesta di parte.


La rinnovazione dell’istruzione su richiesta di parte va chiesta espressamente nell’atto di appello o nei
motivi nuovi, ed eccezionalmente in un momento successivo solo ove l’interessato sia venuto a conoscenza
dell’elemento di prova in seguito.

Prove già acquisite.


Se la richiesta riguarda assunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado o nuove prove
(qui intese come prove già note all’interessato nel giudizio precedente, ma non acquisite in quella sede) il
giudice ha il potere discrezionale di disporre la rinnovazione se ritenga di non essere in grado di decidere
allo stato degli atti (art. 603 comma 1).

Le prove sopravvenute o scoperte.


Se le prove sono sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, il giudice dispone la rinnovazione
dell’istruzione con ordinanza dopo aver sentito le parti (art. 603 comma 2).
La rinnovazione avviene secondo i parametri previsti per l’ammissione dei mezzi di prova in primo grado:
pertinenza e non manifesta irrilevanza (art. 190).

La rinnovazione d’ufficio.
La rinnovazione d’ufficio è prevista per i casi in cui il giudice la ritenga assolutamente necessaria per
l’accertamento del fatto (art. 603 comma 3). Qui si ritrova il potere di iniziativa probatoria del giudice (art.
507 in primo grado), che caratterizza il sistema di disponibilità attenuta del processo penale italiano.

La rinnovazione dell’istruzione ove il pubblico ministero abbia appellato il proscioglimento.


Le modifiche all’art. 603 delle riforme Orlando e Cartabia sono state le conseguenze della giurisprudenza
CEDU, a cui in prima battuta si è adeguata la Cassazione.
L’art. 603 comma 3-bis prevede che, in caso di appello del PM contro sentenza di proscioglimento per
motivi riguardanti la valutazione della prova dichiarativa, il giudice (ferme le regole ordinarie) disponga la
rinnovazione dell’istruzione nei soli casi di prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio
dibattimentale di primo grado o all’esito dell’integrazione probatoria disposta con giudizio abbreviato
d’ufficio o su richiesta condizionata.
Si conferma l’orientamento che ritiene necessaria la rinnovazione solo per la prova dichiarativa sulla quale
si basino le specifiche censure avanzate dal PM nell’atto di appello.
Tuttavia, il concetto di prova dichiarativa è ampio, comprendendo anche l’esame del perito e del
consulente tecnico.
Il principio su cui si basano le riforme è la tutela della presunzione di innocenza: il ragionevole dubbio
impone al giudice d’appello una motivazione rafforzata della condanna sotto due aspetti:
 Dal punto di vista del contenuto la motivazione deve essere approfondita, logica e precisa
 Dal punto di vista del metodo si deve basare su prove dichiarative formate in contradditorio davanti
al giudice d’appello, ex art. 111 comma 4 Cost.

La riforma della condanna in assoluzione: motivazione rafforzata.


Il caso differente in cui a seguito di sentenza di condanna il giudice d’appello pronuncia sentenza di
assoluzione senza aver disposto la rinnovazione di una prova dichiarativa ritenuta decisiva in primo grado
segue una logica diversa: per le SS.UU. il giudice d’appello non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione tramite
l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive per la condanna in primo grado, ma in
tale caso il giudice d’appello deve offrire una motivazione puntuale e adeguata della sentenza assolutoria,
con una razionale giustificazione della difforme conclusione raggiunta rispetto al giudizio di primo grado.
Solo se lo ritenga necessario provvederà alla rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva (art.
603 commi 1 e 3).

La rinnovazione dell’istruzione in caso di assente inconsapevole o involontario in primo grado.


L’art. 603 comma 3-ter (riforma Cartabia) prevede che il giudice disponga la rinnovazione dell’istruzione
quando l’imputato ne faccia richiesta ex art. 604 commi 5-ter e 5-quater, cioè sia stato dichiarato assente
ma dimostri di non aver avuto conoscenza del procedimento.
Quando nel giudizio di primo grado si è proceduto in assenza dell’imputato ex art. 420-bis comma 3 verso
l’imputato latitante o volontariamente sottrattosi alla conoscenza del procedimento, la rinnovazione
dell’istruzione è disposta ex art. 190-bis, ossia se riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle
precedenti dichiarazioni, oppure se il giudice o taluna delle parti lo ritengano necessario secondo specifiche
esigenze.

Le modalità di assunzione della prova in appello.


Vi è dibattito sulle modalità di escussione dei tesi in caso di rinnovazione del dibattimento in appello.
Seppur l’art. 598 richiami le norme previste per il primo grado in quanto compatibili, taluni ritengono che la
conoscenza degli atti da parte del giudice d’appello renda superfluo l’esame incrociato del teste.
Per Tonini non sussistono limiti all’oggetto delle contestazioni, e dato che il diritto di esaminare il
dichiarante rientra nel diritto di difesa ex art. 24 Cost. e il processo penale è retto dal principio del
contradditorio nella formazione della prova, anche in appello si deve ritenere necessario lo svolgimento
dell’esame incrociato.

7. La mancata presenza dell’imputato in appello

L’imputato appellante.
L’art. 598-ter riguarda la mancata presenza dell’imputato in appello. Circa la possibilità di procedere in sua
assenza, la riforma distingue tra imputato appellante e non appellante, in quanto solo per l’imputato
appellante assente in primo grado è imposto l’onere di depositare specifico mandato a impugnare
successivo alla pronuncia della sentenza e con dichiarazione/elezione di domicilio dell’imputato (ai fini della
notificazione del decreto di citazione in giudizio). Ciò per garantire certezza sulla conoscenza del processo e
della sentenza.
In caso di regolarità delle notificazioni, l’imputato appellante non presente all’udienza partecipata, camera
di consiglio o udienza pubblica, è sempre giudicato in assenza, anche al di fuori dei casi ex art. 420-bis, in
quanto si può ritenere certa la sua conoscenza del processo e della sentenza impugnata.

La mancata presenza dell’imputato non appellante all’udienza partecipata.


Disciplina differente per l’imputato non appellante: qualora non sia presente all’udienza partecipata si
procederà in assenza solo se ricorrono le condizioni della disciplina generale ex art. 420-bis commi 1-3.
In mancanza, la corte d’appello dispone con ordinanza la sospensione del processo e ordina le ricerche
dell’imputato non appellante ai fini della notificazione del decreto di citazione (l’ordinanza contiene gli
avvisi relativi all’udienza per la prosecuzione del processo).
Non si applicano le disposizioni ulteriori ex art. 420-quater, né gli artt. 420-quinquies e 420-sexies in
relazione alla sentenza di non luogo a procedere per assenza, perché sussiste comunque una sentenza di
primo grado che, in caso di sentenza di non luogo a procedere, verrebbe revocata.
Durante la sospensione la corte, secondo le modalità previste per il dibattimento, acquisisce su richiesta di
parte le prove non rinviabili (art. 598-ter comma 3).

La mancata presenza dell’imputato non appellante all’udienza non partecipata.


L’art. 598-ter comma 4 riguarda l’imputato non appellante in caso di udienza non partecipata. Anche qui
sussiste la necessità di garantire l’effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputato non appellante.
La corte quindi accerterà la regolarità della notificazione e se corretta procederà in assenza solo nei casi ex
art. 420-bis commi 1-3.
Tolte tali situazioni la corte deve ordinare la sospensione del processo ex art. 598-ter comma 2.

8. Il concordato in appello

Natura.
È un istituto che riconosce alle parti la possibilità di accordarsi sull’accoglimento dei motivi di
impugnazione, con eventuale rinuncia ad altri. È basato su una logica deflativa e ispirato alla c.d. giustizia
consensuale.
A differenza del patteggiamento non produce effetti premiali (es. sconto di pena).
L’ultima modifica si è avuta con la riforma Cartabia, che ne ha ampliato l’ambito, eliminando le preclusioni,
oggettive e soggettive, introdotte dalla riforma Orlando, modellando la disciplina sul patteggiamento
allargato.

Procedimento.
Ex art. 599-bis comma 1 le parti possono dichiarare di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei
motivi di appello, rinunciando agli altri motivi. Se i motivi concordati comportano nuova determinazione
della pena il PM, l’imputato e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria indicando anche la pena sulla
quale concordano.
La dichiarazione e la rinuncia sono presentate nelle forme ex art. 589 (rinuncia all’impugnazione) e nel
termine di decadenza di 15 giorni prima dell’udienza.
La corte d’appello si limita ad accogliere o rigettare il concordato nella sua interezza (non modificabilità).
In caso di rigetto dispone l’udienza partecipata (art. 599-bis comma 3). Il provvedimento viene comunicato
al procuratore generale e notificato alle parti private. Qui la richiesta e la rinuncia ai motivi perdono effetto,
ma possono essere riproposte in udienza.
Quando si procede in udienza partecipata la corte, se ritiene di non accogliere la richiesta, dispone la
prosecuzione del giudizio (art. 599-bis comma 3-bis); comunque richiesta e rinuncia ai motivi non hanno
effetto se la corte decide in modo difforme dall’accordo (art. 599-bis comma 3-ter).

Differenza rispetto al patteggiamento.


Patteggiamento e concordato in appello sono completamente diversi in presupposti ed effetti.
Nel patteggiamento il giudice opera una valutazione degli atti del fascicolo del PM, e a seguito di un
accordo tra accusa e difesa anticipa una decisione contratta sulla responsabilità dell’imputato.
Nel concordato in appello il giudice valuta la congruità della pena secondo le prove già acquisite in primo
grado, ossia i medesimi elementi sui quali fonderà la sua decisione di impugnazione. Avendo una mera
finalità deflativa è sottoposto all’insindacabile vaglio di congruità del giudice.
Il diniego del consenso da parte del PM o il rigetto da parte del giudice non prevedono alcun tipo di
controllo processuale.

Effetti deflattivi.
Se il concordato è recepito dal giudice vengono ridotto i tempi dell’appello, con effetti anche sul giudizio di
cassazione, che potrà avere per oggetto solo i vizi che non concernono i poteri dispositivi delle parti (pena
inammissibilità con procedura semplificata ex art. 610 comma 5-bis).

9. Questioni di nullità

La regola del divieto di regresso al primo grado.


L’art. 604 pone il divieto di regresso da appello a primo grado. Quando sono state ritenute prevalenti o
equivalenti le attenuanti, o applicate aggravanti diverse da quelle a efficacia o a effetto speciale, il giudice
d’appello esclude le aggravanti ed effettua se occorre un nuovo giudizio e ridetermina la pena (art. 604
comma 2).
In caso di nullità relative, eccepite ma non sanate, il giudice d’appello può ordinare la rinnovazione degli atti
nulli o, dichiarata la nullità, decidere nel merito se riconosca che l’atto non fornisce elementi necessari al
giudizio (art. 604 comma 5).
Se il giudice di primo grado ha dichiarato estinto il reato, o che l’azione non poteva essere iniziata o
proseguita, se il giudice d’appello riconosce erronea tale dichiarazione ordina se necessaria la rinnovazione
del dibattimento e decide nel merito.
In caso di condanna per un reato concorrente o un fatto nuovo, il giudice d’appello dichiara nullo il relativo
capo della sentenza ed elemina la pena corrispondente, disponendo che al provvedimento sia data
comunicazione al PM per le sue determinazioni. Qui il regresso è evitato mediante la separazione dei capi di
imputazione e dei relativi procedimenti.
Quando il giudice di primo grado ha respinto la domanda di oblazione, se il giudice d’appello riconosce
erronea la decisione, accoglie la domanda e sospende il dibattimento, fissando un termine massimo di 10
giorni per il pagamento: se avviene nel termine pronuncia sentenza di proscioglimento.

L’eccezione: il regresso al primo grado.


Il regresso al primo grado è eccezionale:
 Quando il giudice d’appello dichiara la nullità della sentenza per difetto di contestazione nei casi ex
art. 522 e viene disposta la trasmissione degli atti al giudice di primo grado. Deve essersi verificata
in primo grado la condanna per un fatto diverso o l’applicazione di una aggravante per cui la legge
prevede una specie di pena diversa o una aggravante a effetto speciale, sempre non siano ritenuti
prevalenti o equivalenti attenuanti (in tale caso non si ha regresso) (art. 604 comma 1)
 Quando il giudice d’appello accerti una nullità assoluta, o intermedia non sanata, da cui sia derivata
la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado.
Viene dichiarata la nullità con sentenza e rinviati gli atti al giudice procedente al momento in cui si è
verificata la nullità (art. 604 comma 4)

Nel caso di regressione ex art. 604 comma 1 il giudice d’appello trasmette gli atti a un’altra sezione della
corte d’assise o del tribunale o in mancanza alla corte o al tribunale più vicini. Se annulla la sentenza di un
giudice monocratico o di un gip dispone la trasmissione al medesimo tribunale, ma il giudice deve essere
diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata.

L’assenza dell’imputato dichiarata in primo grado.


La riforma Cartabia ha inciso sui casi in cui in primo grado sia proceduto in assenza. Si distingue tra assenza
erroneamente dichiarata e assenza correttamente dichiarata ma con l’imputato che non conosceva il
processo o non aveva potuto intervenire.

1) L’annullamento con regressione in caso di erronea dichiarazione di assenza.


Se vi è la prova che la dichiarazione di assenza in primo grado è avvenuta in violazione dei presupposti ex
art. 420 commi 1-3, il giudice d’appello pronuncia nullità della sentenza e trasmette gli atti al giudice
procedente al momento della verificazione della nullità.
La nullità si considera sanata se non eccepita nell’atto di appello.
In ogni caso la nullità non è rilevabile o eccepibile se risulta che l’imputato era a conoscenza della pendenza
del processo e si trovava nelle condizioni di comparire in giudizio prima della pronuncia della sentenza
impugnata (onere dell’imputato di far valere immediatamente il suo diritto)

2) L’annullamento con regressione in caso di assente inconsapevole o involontario.


Se l’assenza è stata correttamente dichiarata, ferma la validità degli atti precedenti, l’imputato è sempre
rimesso in termini per esercitare le facoltà da cui è decaduto quando:
 Fornisce la prova che per caso fortuito, forza maggiore o legittimo impedimento era nell’assoluta
impossibilità di comparire in tempo utile per esercitare tali facoltà e non ha potuto, senza sua
colpa, trasmettere tempestivamente prova dell’impedimento
 Fornire (nei casi ex art. 420-bis commi 2 e 3) la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della
pendenza del processo e non essere potuto intervenire senza sua colpa in tempo utile per
esercitare le facoltà da cui è decaduto
Qui il giudice d’appello annulla la sentenza e dispone la trasmissione degli atti al giudice della fase nella
quale la facoltà poteva essere esercitata, salvo l’imputato chieda il patteggiamento o l’oblazione o solo la
rinnovazione dell’istruzione, casi nei quali provvede il giudice d’appello. Se rigetta il patteggiamento o
l’oblazione, le richieste non possono essere riproposte.

3) Rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.


L’art. 603 comma 3-ter prevede che il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione quando l’imputato ne
fa richiesta ex art. 604 commi 5-ter e 5-quater. Precisando che se in primo grado si è proceduto in assenza
dell’imputato ex art. 420-bis comma 3, la rinnovazione dell’istruzione è disposta ex art. 190-bis, cioè se
riguarda fatti o circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni o se il giudice o una delle
parti lo ritengano necessario per specifiche esigenze.

10. La sentenza del giudice di appello

È regola che il giudice d’appello pronunci sentenza di conferma o riforma della sentenza appellata (art. 605
comma 1), mentre l’eccezione sono le sentenze di annullamento (limitate ai casi ex art. 604).
Una copia della sentenza di appello, insieme agli atti del procedimento, viene trasmessa senza ritardo da
parte della cancelleria, al giudice di primo grado se questi è competente per l’esecuzione e non è stato
proposto ricorso per cassazione.

Il ragionamento giuridico del giudice di appello.


Tralasciando il caso della rinnovazione dell’istruzione, il giudice d’appello dispone in via cartolare delle
medesime prove del giudice di primo grado, pertanto in caso di sentenza di conferma significa che il giudice
di primo grado non ha commesso errori.
In caso di riforma della sentenza significa che il giudice d’appello ha ragionamento diversamente, sul piano
probatorio o giuridico (o entrambi) rispetto al giudice di primo grado. Qui il giudice d’appello dispone di
tutti gli strumenti del ragionamento probatorio per criticare la sentenza di primo grado, sulla base dei
medesimi elementi di prova; altrettanto vale per il ragionamento giuridico, qualora pur convenendo sul
fatto il giudice d’appello scelga di modificarne la qualificazione giuridica.

Giudice di primo grado e giudice d’appello dispongono dunque dei medesimi strumenti logico-
argomentativi, ma possono ragionare diversamente (e si potrebbe dire che, nel primo caso è protagonista
l’imputato, nel secondo la sentenza di primo grado).
Ossia: il contradditorio d’appello comporta una nuova verifica e la possibile scoperta di un eventuale
errore.
Un esempio di errore di fatto può essere una testimonianza giudicata inattendibile.
Un esempio di errore di diritto la considerazione della sufficienza del dolo generico per integrare la
ricettazione.
L’appello quindi rientra nei gravami che costituiscono gli strumenti che attuano il doppio grado di
giurisdizione. La cui funzione è non solo denunciare un vizio, ma provocare un nuovo giudizio sul rapporto
sostanziale alla base (con l’eventualità anche di nuove prove).

Se l’impugnazione viene accolta la sentenza di appello ha carattere sostitutivo rispetto alla sentenza
impugnata.

CAPITOLO III – IL RICORSO PER CASSAZIONE

1. La corte di cassazione come supremo organo giurisdizionale

L’art. 111 Cost. prevede che contro sentenze e provvedimenti che incidono sulla libertà personale, che
devono sempre essere motivati, sia sempre ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge.
Il ricorso per cassazione riguarda quindi solo motivi di legittimità e non di merito, non accertando il fatto,
ma limitandosi a un controllo della sentenza impugnata. Nel dettaglio si controlla anche la logicità del
ragionamento del giudice di merito.

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