Riassunti Seconda Parte Procedura Penale
Riassunti Seconda Parte Procedura Penale
Riassunti Seconda Parte Procedura Penale
Il provvedimento impugnato, l’atto di impugnazione e gli atti del procedimenti devono essere trasmessi
senza ritardo al giudice competente per l’impugnazione (giudice ad quem), che verifica preliminarmente
l’ammissibilità (inammissibilità: causa di invalidità che preclude l’esame nel merito) l’impugnazione e la
regolarità delle notificazioni.
L’art. 591 comma 1 indica le cause di inammissibilità generali, ossia comuni a tutti i mezzi di impugnazione
Impugnazione proposta da un soggetto non legittimato o privo di interesse
Provvedimento non impugnabile
In seguito a una rinuncia all’impugnazione
Mancata osservazione delle disposizioni sulle impugnazioni su forma, presentazione, spedizione e
termini (artt. 581, 582, 585, 586)
La riforma Orlando e la riforma Cartabia hanno imposto alle parti un onere ulteriore, pena inammissibilità:
specificare in modo specifico i motivi di impugnazione della sentenza.
In particolare, il nuovo art. 581 comma 1 come modificato dalla riforma Orlando prevede che si enuncino in
modo specifico:
I capi o punti della decisione cui si riferisce l’impugnazione
Le prove dalle quali si deduce l’inesistenza, omessa assunzione o erronea valutazione
Le richieste (anche istruttorie)
I motivi, con indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni
richiesta
La riforma Cartabia ha esplicitato la previsione: l’appello è inammissibile per mancanza di specificità dei
motivi quando per ogni richiesta non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita: i rilievi critici in
relazione alle ragioni di fatto o di diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e
punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione (art. 581 comma 1-bis).
Le modifiche menzionate vanno lette in collegamento con il c.d. modello legale della motivazione in fatto
della sentenza, che se rispettato consente un agevole controllo delle argomentazioni della decisione per
precisare in modo specifico i motivi di doglianza verso la sentenza (art. 546 comma 1 lett. e), permettendo
anche una riduzione complessiva dei tempi processuali.
La normativa ribadisce che la specificità non è solo interna ai motivi di impugnazione, ma anche esterna,
sulla correlazione con i motivi sui quali si fonda la sentenza impugnata.
Per la specificità interna sono inammissibili le impugnazioni basate su considerazioni generiche o astratte,
quindi non pertinenti al caso concreto; per la specificità esterna sono inammissibili le impugnazioni non
basate su argomenti strettamente correlati agli accertamenti della sentenza di primo grado.
L’inammissibilità presenta delle peculiarità per appello e cassazione: nel primo le parti devolvono un punto
della sentenza, nel secondo un motivo di diritto di doglianza (tra quelli previsti dalla legge). Solo il ricorso
per cassazione è valutabile come inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi (art. 606 comma 3).
La dichiarazione di inammissibilità.
Il giudice dell’impugnazione dichiara con ordinanza l’inammissibilità dell’impugnazione e dispone
l’esecuzione del provvedimento impugnato (l’ordinanza è pronunciabile de plano anche d’ufficio ex art. 591
comma 2). L’ordinanza viene notificata a chi ha proposto l’impugnazione, per consentire il ricorso per
cassazione (art. 591 comma 3).
Anche se non rilevata e dichiarata nella verifica preliminare, l’inammissibilità può essere rilevata anche con
sentenza in ogni stato e grado del procedimento (art. 591 comma 4).
L’inammissibilità in cassazione non prevede rimedio.
Il principio di soccombenza.
Le parti private del giudizio di impugnazione sono soggette al principio di soccombenza (art. 592): la parte
privata che vede confermata la sentenza, rigettato il ricorso o dichiarata inammissibile l’impugnazione è
condannata alle spese di giustizia. Tale principio non si applica alla parte pubblica.
L’imputato che viene condannato nel giudizio di impugnazione è condannato al pagamento delle spese dei
precedenti giudizi anche se in essi sia stato prosciolto. In caso di più imputati essi sono condannati al
pagamento in solido per le spese di giustizia, ma ciascuno è condannato individualmente al pagamento
delle spese per la propria custodia cautelare.
La cancelleria del giudice del provvedimento comunica l’atto di impugnazione al PM presso il medesimo
giudice e lo notifica alle parti private senza ritardo (art. 584).
Il giudice a quo ha l’obbligo di trasmettere al giudice ad quem (oltre a provvedimento impugnato,
impugnazione e atti del procedimento) anche vari dati utili a fini organizzativi:
Nominativi dei difensori (con indicazione della data di nomina)
Dichiarazioni o elezioni o determinazioni di domicilio (con indicazione delle date)
Termini di prescrizione riferiti a ogni reato, con indicazione degli atti interruttivi e delle specifiche
cause di sospensione del relativo corso o eventuali dichiarazioni di rinuncia alla prescrizione
Termini di scadenza delle misure cautelari in atto, con indicazione della data di inizio ed eventuali
periodi di sospensione o proroga
Nel caso di ricorso per cassazione è prevista anche la trasmissione di copia degli atti del processo
indicati dal ricorrente nei motivi di gravame ex art. 606 comma 1 lett. e (o attestazione della
mancanza)
L’obiettivo di tali norme è razionalizzare le procedure di impugnazione e migliorare la sinergia tra gli uffici
giudiziari, per realizzare il principio di ragionevole durata del processo.
7. Il deposito telematico delle impugnazioni
Il deposito telematico è una novità originata durante l’emergenza da Covid-19. Fino all’entrata in vigore del
regolamento ministeriale che disciplinerà la nuova normativa su deposito, comunicazione e notificazione
(entro il 31 dicembre 2023; suppongo sia entrato in vigore?), le regole per le impugnazioni sono agli artt. 87
e 87-bis disp. trans d.lgs. 150/2022.
Quando l’impugnazione viene sottoscritta dalla parte privata il deposito deve avvenire in cartaceo nella
cancelleria del giudice del provvedimento impugnato ex art. 582 comma 2, che resta in vigore per le sole
parti private (art. 87 commi 4 e 5 disp. trans. d.lgs. 150/2022).
In alternativa al deposito in formato analogico, i difensori possono depositare l’atto di impugnazione
tramite PEC (dall’indirizzo PEC del difensore all’indirizzo PEC dell’ufficio del provvedimento impugnato) ex
art. 87 bis disp. trans. d.lgs. 150/2022. Sono trasmessi via PEC anche i motivi nuovi e le memorie (entro i
termini) ma questi indirizzati alla PEC dell’ufficio del giudice ll’impugnazione.
Il deposito si considera tempestivo se effettuato entro le ore 24.00 del giorno di scadenza.
A livello formale l’atto di impugnazione in veste di documento informativo deve essere sottoscritto
digitalmente secondo le modalità indicate nel provvedimento del DGSIA, con indicazione specifica degli
allegati trasmessi in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore per conformità.
Eccetto i casi di inammissibilità ex art. 591, l’atto di impugnazione depositato tramite PEC può essere
inammissibile per altre tre ipotesi:
Mancanza della sottoscrizione digitale del difensore
Trasmissione da un indirizzo PEC non presente nel registro degli indirizzi elettronici
Trasmissione a un indirizzo PEC non riferibile, secondo il provvedimento del DGSIA, all’ufficio del
provvedimento impugnato; o in caso di riesame o appello cautelare a un indirizzo PEC non riferibile,
secondo il provvedimento del DGSIA, all’ufficio competente a decidere su riesame o appello
Anche qui, se l’impugnazione è inammissibile il giudice del provvedimento impugnato dichiara anche
d’ufficio l’inammissibilità dell’atto e dispone l’esecuzione del provvedimento impugnato.
CAPITOLO II – L’APPELLO
1. Considerazioni preliminari
L’appello è un mezzo di impugnazione ordinario con cui le parti chiedono al giudice di secondo grado il
controllo di una decisione di primo grado ritenuta viziata per motivi di fatto o di diritto.
Vediamo le caratteristiche essenziali dell’appello:
È un gravame (gravame: impugnazione per il riesame di una controversia per arrivare a un nuovo
giudizio in sostituzione del giudizio del provvedimento impugnato) parzialmente devolutivo: la
cognizione del giudice d’appello è limitata ai motivi di impugnazione, ma il giudice d’appello ha la
stessa ampiezza di poteri decisori del giudice di primo grado
È una impugnazione a critica libera: non sussistono limiti alle censure in fatto o di diritto verso la
sentenza impugnata, e possono riguardare sia errori in iudicando che in procedendo
È uno strumento di controllo e non un nuovo giudizio: non è necessaria una nuova istruzione
dibattimentale (i risultati probatori del primo grado fanno parte della conoscenza del giudice
d’appello) e la rinnovazione del dibattimento per assumere nuove prove è eccezionale, pur con una
significativa estensione nell’ultimo periodo (art. 603)
La regola è la conferma o riforma della decisione impugnata, eccezionalmente si ha un
annullamento. Tolti tali casi la decisione d’appello consiste in una nuova sentenza che sostituisce
quella impugnata, e a sua volta può essere soggetta a ricorso per cassazione
Procedimento cartolare.
Il processo d’appello è cartolare, ossia si può dare lettura anche d’ufficio degli atti del primo grado e del
fascicolo del dibattimento, nei limiti di richieste e motivi degli appellanti, senza che di regola siano assunte
nuove prove (art. 602 comma 3).
Salvi i casi di rinnovazione della prova dichiarativa (eccezionali) si sacrifica il principio dell’immediatezza, in
quanto il giudice dell’appello non ha un contatto diretto con le fonti probatorie.
Una garanzia per le parti è che l’appello è deciso da un giudice diverso (art. 34 comma 1), di regola
collegiale, con poteri d’ufficio. Può rilevare il difetto di giurisdizione, l’incompetenza per materia,
l’inutilizzabilità delle prove, le nullità assolute e anche quelle a regime intermedio se non sanata (art. 604
comma 4), l’applicabilità del ne bis in idem.
Se i motivi d’appello riguardano una questione sulla responsabilità dell’imputato, il giudice d’appello può
prosciogliere (anche oltre i motivi di impugnazione) se riconosce: che il fatto non sussiste; che l’imputato
non lo ha commesso; che il fatto non costituisce reato; che il fatto non è previsto dalla legge come reato;
che il reato è estinto; che manca una condizione di procedibilità.
La riforma Cartabia.
Ha introdotto la dichiarazione di improcedibilità nel caso siano superati i termini massimi per definire
l’impugnazione con oggetto reati commessi dal 1 gennaio 2020. La conseguenza è che il processo penale
deve essere troncato e il giudice è obbligato, se ritenuta ammissibile l’impugnazione, a dichiarare
l’improcedibilità dell’azione penale (art. 344-bis). La dichiarazione di improcedibilità non si applica ai reati
imprescrittibili, quelli puniti con l’ergastolo (art. 344-bis comma 9).
I termini massimi decorrono dal 90° giorno successivo al termine per il deposito della motivazione della
sentenza di primo grado o dal termine eventualmente prorogato. L’improcedibilità scatta in caso di
mancata definizione del giudizio entro 2 anni (art. 344-bis comma 1), estesi a 3 anni se l’impugnazione è
proposta entro il 31 dicembre 2024.
L’improcedibilità non può essere dichiarata se l’imputato chiede la prosecuzione del processo (art. 344-bis
comma 7).
In caso di processo particolarmente complesso sono previste cause di sospensione dei termini e proroghe,
da pronunciare con ordinanza motivata.
Le sentenze inappellabili.
Non sono appellabili le sentenze di condanna per le quali si è applicata solo la pena dell’ammenda o
sostitutiva del lavoro di pubblica utilità; nemmeno le sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con
la sola pena pecuniaria o pena alternativa (art. 593 comma 3).
a) L’appello dell’imputato.
1) L’imputato può appellare le sentenze di condanna (purchè non inappellabili)
2) L’imputato può appellare le sentenze di proscioglimento emesse entro il termine del dibattimento
in caso di proscioglimento non pieno; non può appellare le sentenze di assoluzione con formulare
piena (il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso)
b) L’appello del pubblico ministero
1) Il PM può appellare le sentenze di proscioglimento (esclusi i casi di inappellabilità)
2) Il PM può appellare le sentenze di condanna se rispetto all’imputazione formulata dall’accusa
queste hanno modificato il titolo di reato o hanno escluso la sussistenza di una circostanza
aggravante a effetto speciale o hanno stabilito una pena diversa da quella ordinaria del reato
La riforma Orlando ha tolto la possibilità di appellare per contestazione della inadeguata entità della
pena in sé o come conseguenza di applicazione delle attenuanti. Limite riconosciuto legittimo dalla
Corte costituzionale, perché compensato dai maggiori poteri del PM in sede processuale e nella fase
delle indagini.
Le sentenze, quando non appellabili, sono comunque passibili di ricorso per cassazione ex art. 568
comma 2 (es. mancanza, contradditorietà o manifesta illogicità della motivazione della quantificazione
della pena).
Al PM è fatto divieto di proporre appello con effetti favorevoli all’imputato (art. 568 comma 4-bis).
c) L’appello del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria.
La legittimazione deriva dall’art. 575, prevedendo l’impugnazione con il mezzo che la legge attribuisce
all’imputato
Regolamentazione.
La conversione opera automaticamente ope legis quando su almeno un capo è proposto appello, e se un
altro soggetto ha proposto ricorso per cassazione questo si converte in appello (allo stesso modo per reati
connessi).
La conversione non comporta una modifica del contenuto dell’impugnazione, che resta quello
originariamente previsto ex lege, e la corte d’appello mantiene una cognizione limitata alla censura di
legittimità. Se l’appello originariamente proposto avesse contenuto anche censure di merito, la corte dovrà
giudicare anche su quelle.
La corte d’appello mantiene comunque i suoi ordinari poteri, pertanto non deve annullare come farebbe la
Cassazione, ma confermare o riformare la sentenza, potendo annullare solo in caso di una ipotesi di nullità
tassativa ex art. 604.
Il d.lgs. 11/2018 ha modificato l’appello incidentale: quando una parte, entro i termini, ha presentato
appello (c.d. principale), l’imputato legittimato ad appellare ma che non lo ha fatto, può proporre appello
incidentale entro 15 giorni dal giorno in cui ha ricevuto la notificazione dell’appello principale (art. 595
comma 1).
La funzione dell’appello incidentale è di integrare il contradditorio nel giudizio d’appello; non interessa
rimettere in termini l’imputato che non ha impugnato, ma consentirgli di sottoporre al giudice una tesi
alternativa sul medesimo tema a seguito dell’appello principale.
L’appello principale quindi deve limitarsi ai capi della decisione oggetto dell’appello principale e ai punti che
hanno connessione essenziale con quelli denunciati dall’appello principale.
L’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti
della decisione cui si riferiscono i motivi proposti (art. 597 comma 1). L’appello è definibile gravame in
quanto in astratto idoneo a devolvere al giudice superiore l’intera causa, in concreto la cognizione del
giudice superiore risulta limitata ai punti indicati nei motivi di impugnazione (principio devolutivo: tantum
devolutum quantum appellatum).
L’oggetto del giudizio di appello non è il motivo, ma il punto della decisione cui il motivo fa riferimento; il
giudice d’appello, nell’accertare la correttezza dell’operato del giudice di primo grado circa il punto
impugnato, non è obbligato a limitarsi alle prospettazioni dell’appellante nella proposizione dei motivi.
Es. per l’elemento psicologico, se il giudice di primo grado aveva ritenuto sussistesse il dolo, escluso
dall’imputato in appello, il giudice di secondo grado potrà decidere escludendo la presenza del dolo, ma
anche affermando il dolo, o la colpa o la preterintenzione.
b) Soltanto l’imputato propone appello e non il pubblico ministero: divieto di reformatio in peius.
Quando l’appellante è solo l’imputato (art. 597 comma 3):
1) Appello su una sentenza di condanna: il giudice d’appello non può irrogare una pena più grave per
specie o quantità o applicare una misura di sicurezza nuova o più grave (divieto di reformatio in
peius), ma entro i limiti dei motivi di impugnazione può comunque dare al fatto una definizione
giuridica più grave (nel limite del non superamento della competenza del giudice di primo grado)
2) Appello su una sentenza di proscioglimento: il giudice d’appello non può prosciogliere l’imputato
per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza di primo grado né revocare
benefici (divieto di reformatio in peius)
Nell’appello del solo imputato il giudice d’appello ha eccezionalmente la potestà d’ufficio di applicare la
sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario
giudiziale e circostanze attenuanti (con giudizio di comparazione tra le medesime) (art. 597 comma 5). In
quanto potere eccezionale non è interpretabile estensivamente.
Il divieto di reformatio in peius non riguarda le disposizioni civili della condanna di primo grado.
Se non vengono impugnati tutti i punti della sentenza, la cognizione del giudice d’appello può estendersi ai
punti legati da un vincolo di connessione essenziale di tipo logico con quelli impugnati (art. 597 comma 1).
c) La parte civile appella e né l’imputato né il pubblico ministero propongono appello contro i capi penali
della sentenza.
Ex art. 576, la parte civile è legittimata a impugnare sia la sentenza di condanna che di proscioglimento
rispetto alla quale sia rimasta soccombente, nonostante il disinteresse di imputato e PM rispetto ai capi
penali.
Ex art. 573 comma 2 la sentenza impugnata solo dalla parte civile (limitata esclusivamente agli effetti della
responsabilità civile) diventa irrevocabile sotto il profilo penale.
In questa situazione la cognizione del giudice d’appello è limitata a seguito della riforma Cartabia: il nuovo
art. 573 comma 1-bis prevede che se l’impugnazione è proposta con esclusivo riferimento alle questioni
civili, il giudice d’appello deve verificare l’ammissibilità dell’appello, e in caso positivo rinviare la
prosecuzione del giudizio davanti al giudice civile competente, il quale conoscerà del merito
dell’impugnazione per i soli interessi risarcitori.
In questo caso si ha uno sdoppiamento del giudicato, con due diverse decisioni: un giudicato penale (di
assoluzione o condanna) del giudice penale e un giudicato civile, che secondo i criteri civilistici circa la
responsabilità aquiliana (soprattutto la regola del “più probabile che non”) decide sulla responsabilità
dell’imputato-danneggiante a meri fini risarcitori.
La soluzione è coerente col principio di separazione delle giurisdizioni, privilegiato dalla riforma Cartabia
per ragioni di celerità, efficienza e alleggerimento del carico di lavoro delle corti.
La riforma Cartabia. La decisione sugli effetti civili nel caso di pronuncia di improcedibilità per superamento
dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione.
La riforma Cartabia ha voluto coordinare la nuova ipotesi di improcedibilità dell’azione penale per
superamento dei termini massimi col caso in cui nel processo penale sia esercitata l’azione civile.
Il nuovo art. 578 comma 1-bis prevede una disciplina applicabile sia ai casi in cui sia pronunciata una
sentenza di condanna anche generica alle restituzioni o risarcimento del danno sia per ogni altro caso di
impugnazione anche agli effetti civili.
La norma prevede che se il giudice d’appello (o di cassazione) dichiari improcedibile l’azione penale, le
questioni civilistiche residue non siano caducate ma che la competenza su esse vada attribuita al giudice
civile, con rinvio al giudice civile nel medesimo grado (che deciderà secondo le prove acquisite nel processo
penale e quelle eventualmente acquisite nel processo civile).
La riforma Cartabia, nell’ottica di efficientamento della giustizia, ha previsto la regola dell’appello mediante
camera di consiglio con udienza non partecipata (art. 598-bis comma 1); se non diversamente previsto, in
deroga all’art. 127, la corte d’appello giudica sui motivi, sulle richieste e sulle memorie, senza
partecipazione delle parti.
Fino a 15 giorni prima dell’udienza il procuratore generale presenta le richieste e le parti possono
presentare i motivi nuovi e le memorie, e fino a 5 giorni prima le memorie di replica.
Il provvedimento emesso dopo la camera di consiglio è depositato in cancelleria al termine dell’udienza,
che equivale alla lettura in udienza ex art. 545.
In caso di rinnovazione dell’istruzione, il giudice assume le prove in camera di consiglio ex art. 603, con
necessaria partecipazione del PM e dei difensori. Se questi non sono presenti quando viene disposta la
rinnovazione, il giudice deve fissare una nuova udienza, con provvedimento comunicato al PM e notificato
ai difensori (art. 599 comma 3).
L’udienza viene rinviata per legittimo impedimento dell’imputato se questo abbia manifestato la volontà di
comparire (art. 599 comma 2).
d. L’udienza pubblica.
Riforma Cartabia.
La discussione orale in udienza pubblica è l’ipotesi eccezionale, avendo come regola la camera di consiglio
partecipata nel caso di trattazione orale.
Il primo atto del dibattimento in appello è la relazione della causa, svolta dal presidente o dal consigliere
delegato (art. 602 comma 1)
Ex art. 598 è previsto che in appello si seguano, per quanto applicabili, le disposizioni previste per il giudizio
di primo grado, salvo quanto previsto ex artt. 599-603.
Nel dibattimento in appello può essere data lettura, anche d’ufficio, di atti del giudizio di primo grado e
degli atti del fascicolo per il dibattimento (art. 602 comma 3).
La discussione in appello.
La parola passa secondo l’ordine consueto (art. 602 comma 4):
1) Procuratore generale
2) Difensore della parte civile
3) Difensore del responsabile civile
4) Difensore del civilmente obbligato per la pena pecuniaria
5) Difensore dell’imputato
Al termine della discussione il presidente dichiara la chiusura del dibattimento (art. 524) e il collegio si ritira
in camera di consiglio. La deliberazione avviene ex art. 527, sotto la direzione del presidente.
Successivamente viene redato e sottoscritto dal presidente il dispositivo. Infine il collegio rientra in aula e il
presidente pubblica il dispositivo dandone lettura.
Eccezionalità.
Essendo il giudizio di appello una fase di controllo, l’assunzione di prove è ipotesi eccezionale, che pertanto
è prevista espressamente dal c.p.p., essendo il luogo naturale dell’assunzione probatoria il primo grado,
basato sul principio dell’oralità.
L’assunzione in appello è lasciata al potere largamente discrezionale del giudice, che può comunque
avvalersi della lettura degli atti del fascicolo per il dibattimento.
Le ipotesi di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale si trovano all’art. 603, con attenuazioni del potere
discrezionale del giudice, sempre basate su una situazione di tensione col diritto alla prova, in favore delle
parti e in particolare dell’imputato.
La rinnovazione può essere disposta sia d’ufficio sia su richiesta di parte.
La rinnovazione d’ufficio.
La rinnovazione d’ufficio è prevista per i casi in cui il giudice la ritenga assolutamente necessaria per
l’accertamento del fatto (art. 603 comma 3). Qui si ritrova il potere di iniziativa probatoria del giudice (art.
507 in primo grado), che caratterizza il sistema di disponibilità attenuta del processo penale italiano.
L’imputato appellante.
L’art. 598-ter riguarda la mancata presenza dell’imputato in appello. Circa la possibilità di procedere in sua
assenza, la riforma distingue tra imputato appellante e non appellante, in quanto solo per l’imputato
appellante assente in primo grado è imposto l’onere di depositare specifico mandato a impugnare
successivo alla pronuncia della sentenza e con dichiarazione/elezione di domicilio dell’imputato (ai fini della
notificazione del decreto di citazione in giudizio). Ciò per garantire certezza sulla conoscenza del processo e
della sentenza.
In caso di regolarità delle notificazioni, l’imputato appellante non presente all’udienza partecipata, camera
di consiglio o udienza pubblica, è sempre giudicato in assenza, anche al di fuori dei casi ex art. 420-bis, in
quanto si può ritenere certa la sua conoscenza del processo e della sentenza impugnata.
8. Il concordato in appello
Natura.
È un istituto che riconosce alle parti la possibilità di accordarsi sull’accoglimento dei motivi di
impugnazione, con eventuale rinuncia ad altri. È basato su una logica deflativa e ispirato alla c.d. giustizia
consensuale.
A differenza del patteggiamento non produce effetti premiali (es. sconto di pena).
L’ultima modifica si è avuta con la riforma Cartabia, che ne ha ampliato l’ambito, eliminando le preclusioni,
oggettive e soggettive, introdotte dalla riforma Orlando, modellando la disciplina sul patteggiamento
allargato.
Procedimento.
Ex art. 599-bis comma 1 le parti possono dichiarare di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei
motivi di appello, rinunciando agli altri motivi. Se i motivi concordati comportano nuova determinazione
della pena il PM, l’imputato e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria indicando anche la pena sulla
quale concordano.
La dichiarazione e la rinuncia sono presentate nelle forme ex art. 589 (rinuncia all’impugnazione) e nel
termine di decadenza di 15 giorni prima dell’udienza.
La corte d’appello si limita ad accogliere o rigettare il concordato nella sua interezza (non modificabilità).
In caso di rigetto dispone l’udienza partecipata (art. 599-bis comma 3). Il provvedimento viene comunicato
al procuratore generale e notificato alle parti private. Qui la richiesta e la rinuncia ai motivi perdono effetto,
ma possono essere riproposte in udienza.
Quando si procede in udienza partecipata la corte, se ritiene di non accogliere la richiesta, dispone la
prosecuzione del giudizio (art. 599-bis comma 3-bis); comunque richiesta e rinuncia ai motivi non hanno
effetto se la corte decide in modo difforme dall’accordo (art. 599-bis comma 3-ter).
Effetti deflattivi.
Se il concordato è recepito dal giudice vengono ridotto i tempi dell’appello, con effetti anche sul giudizio di
cassazione, che potrà avere per oggetto solo i vizi che non concernono i poteri dispositivi delle parti (pena
inammissibilità con procedura semplificata ex art. 610 comma 5-bis).
9. Questioni di nullità
Nel caso di regressione ex art. 604 comma 1 il giudice d’appello trasmette gli atti a un’altra sezione della
corte d’assise o del tribunale o in mancanza alla corte o al tribunale più vicini. Se annulla la sentenza di un
giudice monocratico o di un gip dispone la trasmissione al medesimo tribunale, ma il giudice deve essere
diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata.
È regola che il giudice d’appello pronunci sentenza di conferma o riforma della sentenza appellata (art. 605
comma 1), mentre l’eccezione sono le sentenze di annullamento (limitate ai casi ex art. 604).
Una copia della sentenza di appello, insieme agli atti del procedimento, viene trasmessa senza ritardo da
parte della cancelleria, al giudice di primo grado se questi è competente per l’esecuzione e non è stato
proposto ricorso per cassazione.
Giudice di primo grado e giudice d’appello dispongono dunque dei medesimi strumenti logico-
argomentativi, ma possono ragionare diversamente (e si potrebbe dire che, nel primo caso è protagonista
l’imputato, nel secondo la sentenza di primo grado).
Ossia: il contradditorio d’appello comporta una nuova verifica e la possibile scoperta di un eventuale
errore.
Un esempio di errore di fatto può essere una testimonianza giudicata inattendibile.
Un esempio di errore di diritto la considerazione della sufficienza del dolo generico per integrare la
ricettazione.
L’appello quindi rientra nei gravami che costituiscono gli strumenti che attuano il doppio grado di
giurisdizione. La cui funzione è non solo denunciare un vizio, ma provocare un nuovo giudizio sul rapporto
sostanziale alla base (con l’eventualità anche di nuove prove).
Se l’impugnazione viene accolta la sentenza di appello ha carattere sostitutivo rispetto alla sentenza
impugnata.
L’art. 111 Cost. prevede che contro sentenze e provvedimenti che incidono sulla libertà personale, che
devono sempre essere motivati, sia sempre ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge.
Il ricorso per cassazione riguarda quindi solo motivi di legittimità e non di merito, non accertando il fatto,
ma limitandosi a un controllo della sentenza impugnata. Nel dettaglio si controlla anche la logicità del
ragionamento del giudice di merito.