2.struttura Elettronica Della Materia

Scarica in formato docx, pdf o txt
Scarica in formato docx, pdf o txt
Sei sulla pagina 1di 16

STRUTTURA ELETTRONICA DELLA MATERIA

ONDE ELETTROMAGNETICHE
Le onde elettromagnetiche vengono generate dall’azione dei due campi perpendicolari tra loro.
C’è un regolare alternarsi di massimi e di minimi  funzione che varia in modo sinusoidale nel
tempo. Questo andamento descrive la propagazione di un’onda elettromagnetica.
Ampiezza massima: Emax ( Bmax).
Lunghezza d’onda: (cm, mm, nm, å), è la distanza tra due punti
consecutivi in fase.
Periodo: (s), tempo impiegato per percorrere una distanza pari a .
1
Frequenza: ¿ (s-1 = hz).
1
Numero d’onda: ❑=

Velocità di propagazione: v=λ=c (nel vuoto)
v
 ❑= (nel vuoto)
c
velocità della luce nel vuoto: c = 2.9979  10 m  s
8 -1

Lunghezza d’onda e frequenza sono inversamente proporzionali.


1. Lunghezza d’onda breve, alta frequenza.
2. Lunghezza d’onda lunga, bassa frequenza.
Ad ogni lunghezza d’onda viene associata una tipologia
diversa di onda elettromagnetica, dove l’energia
associata è direttamente proporzionale alla frequenza
e inversamente proporzionale alla lunghezza d’onda.

STRUTTURA ELETTRONICA DEGLI ATOMI


Il modello planetario di Rutherford suppone l’atomo sferico contenente un nucleo molto piccolo in
cui si concentra la massa atomica. Al suo interno si trovano le particelle più massive (protoni e
neutroni) e attorno ad esso ruotano le particelle di massa trascurabile e cariche negativamente
(elettroni). Il numero degli elettroni equivale quello dei protoni per garantire la neutralità
dell’atomo.
Quando vengono scoperte le leggi dell’elettromagnetismo, questo modello risulta incompatibile.
Secondo queste leggi: una carica elettrica in moto non rettilineo uniforme è destinata a perdere
energia in modo progressivo emettendo energia elettromagnetica. In questo tempo (10 -11/10-12 s)
gli elettroni dovrebbero collassare sul nucleo seguendo una traiettoria a spirale, per cui
fondamentalmente l’atomo non dovrebbe esistere. Gli atomi sono costituenti della materia quindi
è evidente che questo non possa succedere.
La fisica classica propone quindi leggi valide per sistemi macroscopici, ma l’elettrone con massa
trascurabile rientra nei sistemi microscopici. Cade il modello di rutherford dopo un secolo in
corrispondenza all’avvento di alcuni fenomeni che confermano o l’insufficienza della fisica classica
come strumento universale. Questi sono: lo spettro del corpo nero, l’effetto fotoelettrico, spettri
atomici e molecolari.
Tutti i corpi contengono dipoli elettrici. Un dipolo elettrico consiste in due cariche opposte poste ad
una certa distanza tra loro. I dipoli sono soggetti a moto armonico perché si osserva la materia ad
una temperatura superiore allo zero assoluto (0 K).
Compiendo questo moto vibrazionale, i dipoli emettono delle radiazioni: se aumenta la
temperatura, il moto di vibrazione diventa più intenso (cioè aumenta la frequenza di vibrazione)
 aumenta la frequenza della radiazione emessa. Per studiare la relazione tra l’emissione di
radiazione e la temperatura del corpo servirebbe un materiale che assorba a tutte le frequenze.
Il materiale modello viene chiamato corpo nero. Questo sarebbe anche un emettitore ideale: se il
corpo viene posto ad una determinata giusta temperatura è in grado di emettere il massimo di
energia a quella data temperatura.

1. LO SPETTRO DI EMISSIONE DEL CORPO NERO (Planck)


Si occupa dello studio dello spettro delle radiazioni del corpo nero, che esso emette
quando viene opportunamente stimolato. Il corpo nero è una sfera cava che ha delle
pareti opache, ovvero che se colpite da radiazione sono in grado di assorbirla. La sfera cava ha un
foro, in direzione del quale viene puntata la radiazione, che viene assorbita in parte. La radiazione
non assorbita ha una probabilità di uscita dal corpo nero molto bassa perché il foro è di piccole
dimensioni. Quindi la radiazione non assorbita va a colpire un altro punto della parete e in seguito
ad urti successivi tutta la radiazione incidente viene assorbita. Se dopo l’assorbimento, il corpo
nero viene scaldato, questa radiazione viene riemessa dalle pareti interne e attraverso urti
successivi trova il foro per uscire. Questa radiazione viene fotografata su una lastra che diventa lo
spettro di emissione del corpo nero.
Se si analizza questo spettro, osservando il comportamento
dell’intensità I in funzione del numero d’onda v :
l’andamento sperimentale viene rappresentato da una
curva gaussiana. Se l’operazione di riemissione viene
effettuata scaldando il corpo nero a due temperature
differenti, si ottengono due curve diverse T1 e T2.
Maggiore è la temperatura a cui viene promossa la
riemissione, più alto è il massimo della gaussiana. Inoltre la curva diventa “più larga”: cioè
l’intensità della radiazione tende asintoticamente a 0 per valori di numero d’onda maggiori.
L’intensità massima si sposta anche a lunghezze d’onda minori e quindi a frequenze maggiori
all’aumentare della temperatura. Infatti se si aumenta la temperatura, i dipoli avranno energia
maggiore per vibrare: aumenta la frequenza di vibrazione e quindi anche la frequenza di radiazione
emessa. Dal grafico dello spettro, si osserva come le curve tratteggiate rappresentino l’andamento
dell’intensità se per descrivere il fenomeno si fa appello unicamente alle leggi della fisica classica.
Per tanto queste ultime di fatto corrispondono ai dati sperimentali solo per piccoli numeri d’onda,
quindi basse frequenze e grandi lunghezze d’onda. Secondo le leggi classiche
dell’elettromagnetismo, l’emissione è dovuta agli oscillatori elettronici elementari che oscillano con
tutte le frequenze emettendo una radiazione corrispondente, di intensità:
2 πκT 2
I= 2
v κ = costante di Boltzman
c
Utilizzando questa formula si ottiene come grafico quello rappresentato dalle due curve
tratteggiate. C’è quindi un’incongruenza con i dati sperimentali tranne che per alcuni valori di
bassa frequenza.
Rayleigh e Jeans cercarono di spiegare gli spettri di emissione del corpo
nero basandosi sul fatto che i dipoli elettrici possano oscillare a qualsiasi
frequenza e di conseguenza avere qualsiasi valori di energia, e sul fatto
8 πkT
che la distribuzione delle energie seguisse tale legge ρ= 4
λ
Si arriva all’assurdo fisico chiamato catastrofe ultravioletta perché
questa rappresentazione ammette che per basse lunghezze d’onda la
densità di energia della radiazione tenda ad infinito. I valori di λ per cui si
verifica questa assurdità fisica sono quelli dei raggi ultravioletti.

In conclusione, secondo la teoria classica:


a seconda della temperatura, il moto di oscillazione dei dipoli a tutte le frequenze avrà ampiezza
più o meno grande, ma non c’è nessuna restrizione che limiti la frequenza massima dei dipoli.
Quindi, anche a temperatura ambiente, i corpi dovrebbero emettere anche radiazione luminosa,
raggi UV, raggi X ecc.

SCOPERTA DI PLANCK
Planck arrivò a dire che era sbagliato considerare che gli oscillatori potessero avere qualsiasi
energia e che l’energia dipendesse dalla frequenza.
Quindi affermò che gli oscillatori non possono vibrare a tutte le frequenze e in particolare: gli
oscillatori che vibrano alla frequenza v possono avere solo energie date da multipli interi del
pacchetto minino hv (quanto di luce)  E=nh dove n = 0, 1, 2… h = 6.6210-34 Js
 Emin =h
Riporta l’andamento dell’intensità della radiazione in funzione della
lunghezza d’onda e trova un perfetto accordo con i dati
sperimentali. Valuta cosa succede se l’energia assume solo
determinati valori che dipendono dalla frequenza dell’oscillazione.
Il risultato di Planck si può esprimere in questo modo: nel caso di
oscillatori di dimensioni atomiche, l’energia degli oscillatori non
può variare a piacere come per gli oscillatori classici (che possono
vibrare a qualunque frequenza ed emettere energia di qualunque valore).
Nei sistemi microscopici l’energia non è continua ma è quantizzata, cioè organizzata in pacchetti
discreti che sono multipli interi del quanto di luce. Se viene scambiata energia, viene scambiata in
pacchetti. Quanto di luce  E=h
2. EFFETTO FOTOELETTRICO
L'effetto fotoelettrico è il fenomeno fisico di interazione radiazione-materia
caratterizzato dall'emissione di elettroni da una superficie (solitamente metallica)
quando questa viene colpita da una radiazione elettromagnetica. L’emissione
avviene quando la radiazione che investe la lastra metallica ha alcune
caratteristiche. Previsioni della meccanica classica:
1. L’energia cinetica degli elettroni emessi non dipende dalla frequenza della radiazione incidente.
2. L’energia cinetica degli elettroni emessi dipende dell’intensità della radiazione incidente.
3. Qualunque radiazione, di qualunque frequenza, può causare l’emissione di elettroni.
Osservazioni sperimentali di Lenard
Il grafico riporta l’energia cinetica dell’elettrone emesso in funzione della
frequenza della radiazione. La retta rossa che esprime l’andamento
dell’energia parte da un valore minimo di soglia della radiazione incidente: è la
soglia fotoelettrica, al di sotto della quale non si ha emissione. Questo smonta
il punto 3) della previsione classica, che diceva che a qualunque frequenza di
radiazione ci sarebbe stata emissione di elettroni.
Guardando la retta si deduce che l’energia cinetica max è direttamente proporzionale alla
frequenza: altra contraddizione rispetto alla fisica classica che smonta il punto 1).
Si verifica poi che cambiando metallo, cambia la frequenza di soglia: questa frequenza è
caratteristica del materiale metallico che viene irraggiato.
L’energia cinetica degli elettroni emessi non è in relazione all’intensità della radiazione incidente,
ma solo alla sua frequenza (la quale non è legata all’intensità).
Dalla sperimentazione si trova che il numero di elettroni emessi aumenta con l’intensità della
radiazione (smonta il punto 2). Quindi c’è proporzionalità diretta tra l’energia cinetica del singolo
elettrone emesso e la frequenza della radiazione che lo irraggia.

Questi risultati non si spiegano se si descrive la radiazione come un’onda. Secondo la fisica classica:
energia trasportata da un’onda è proporzionale alla sua ampiezza (onde di uguale ampiezza ma
diversa frequenza dovrebbero avere la stessa energia).
Nell’effetto fotoelettrico è evidente che l’energia sia legata alla frequenza.
Se si continua a considerare la radiazione elettromagnetica solo come un’onda, non si riesce a
spiegare questo fenomeno.
Planck aveva già suggerito di iniziare a considerare la luce come una grandezza discreta organizzata
in quanti, e non come grandezza continua. Einstein sfrutta la relazione di Planck perché ammette la
proporzionalità diretta tra energia e frequenza, che veniva invece esclusa dalla fisica classica.
Considera quindi l’energia come grandezza discreta detta quanto di luce: introduce la visione
corpuscolare della radiazione. Concepisce la radiazione come un fascio di particelle (quando si
tratta sistemi microscopici): queste particelle sono i fotoni. Ognuno di questi fotoni, essendo un
fascio in movimento, trasporta il quanto di luce E=h.
Il fotone interagisce con gli elettroni attraverso un vero e proprio urto. Quando si verifica un urto,
le due sfere si trasferiscono energia, ovvero il fotone cede energia all’elettrone: se questa energia è
superiore alla energia di attrazione nucleare che e- subisce, allora e- riceve un’energia cinetica
sufficiente per slegarsi dal proprio nucleo. Se invece il fotone che lo urta gli trasmette un’energia
minore, e- subisce una perturbazione ma non abbandona l’atomo.
Questa visione dell’urto corpuscolare tra fotone e elettrone spiega la frequenza di soglia
fotoelettrica, che è legata alla quantità di energia che e- riceve.
La luce ha quindi una duplice natura: ondulatoria e corpuscolare.

Leggi dell’effetto fotoelettrico


• Se h<W non si ha energia sufficiente per estrarre gli elettroni dal materiale, quindi non c’è
effetto fotoelettrico  soglia fotoelettrica h❑0 =W
• Un elettrone può ricevere energia solo da un quanto  l’energia cinetica degli elettroni emessi
non dipende dall’intensità della radiazione incidente. In questa visione, l’intensità della
radiazione rappresenta il numero dei fotoni che nell’unità di tempo investono la superficie del
metallo.
• Ecin =h−h❑0  l’energia del singolo elettrone aumenta al crescere della frequenza della
radiazione incidente.
• Aumentando l’intensità della radiazione aumenta il n° di pacchetti di energia  il numero di
elettroni emessi aumenta con l’intensità.

DOPPIA NATURA DELLA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA


Max Planck nel 1900 propose che la radiazione elettromagnetica fosse costituita da fasci di
minuscoli «pacchetti» o quanti di energia, che più tardi vennero chiamati fotoni. Ciascun fotone
viaggia alla velocità della luce. Albert Einstein confermò quanto affermato da Planck: l’energia di un
fotone è proporzionale alla frequenza della radiazione elettromagnetica e non alla sua intensità
(legge di Planck), come previsto dalla fisica classica. Questa duplice natura ha una implica 2 fatti:
1. L’energia della radiazione non si trasferisce mediante un flusso continuo ma sotto forma di
«pacchetti» distinti. Questo aspetto implica che l’emissione o l’assorbimento di tale energia
può essere possibile soltanto secondo multipli interi di quella trasportata dal singolo fotone e
non secondo sue frazioni.
2. La radiazione elettromagnetica possa essere rappresentata, allo stesso tempo, come un fascio
di fotoni e come un’onda è il fondamento della teoria dei quanti (dualismo onda-particella).
3. SPETTRO DI EMISSIONE DELL’ATOMO DI IDROGENO
L’idrogeno rarefatto viene attraversato da una scarica elettrica o
portato all’incandescenza in modo da emettere radiazione. Quando
un sottile fascio di questa luce attraversa un prisma, lo spettro che
si ottiene è discontinuo (o a righe), chiamato spettro di emissione o
spettro atomico.
Il fatto che lo spettro sia organizzato in pacchetti di righe significa
che la radiazione emessa non copre tutte le possibili lunghezze d’onda: dall’idrogeno vengono
emesse radiazioni caratterizzate da specifici valori di lunghezza d’onda.

La prima spiegazione quantitativa degli spettri atomici si deve allo studio dello spettro
dell’idrogeno, l’elemento più semplice con un solo elettrone. Lo spettro atomico dell’idrogeno è
costituito da diverse serie di righe, una delle quali è nella regione visibile dello spettro
elettromagnetico. Un’altra serie di righe si trova
nell’ultravioletto, mentre le restanti stanno
nell’infrarosso. Nel 1885, Johann Jakob Balmer formulò
un’equazione in grado di descrivere le lunghezze d’onda
delle righe presenti nella regione visibile dello spettro
dell’idrogeno.

( 1 1
Serie di Balmer: ❑=R H 2 − 2
2 n ) RH = 109677.76 cm-1

La relazione fu successivamente rielaborata nell’equazione di Rydberg, un’equazione empirica di


validità generale che consentì di calcolare le lunghezze d’onda di tutte le righe dello spettro
dell’idrogeno. Nella formula λ è la lunghezza d’onda, RH è una costante, e m e n sono variabili che

possono assumere valori interi. L’unico vincolo dell’equazione è n > m.

( 1 1
❑=R H 2 − 2
m n ) m = 1, 2, 3 … ∞

n = m + 1, … ∞
Questa equazione è valida anche per ioni idrogenoidi (He+, Li++, Be+++, ...). Ioni idrogenoidi sono tutti
cationi = elementi diversi dall’idrogeno che hanno perso tutti gli elettroni eccetto uno e vengono in
pratica riportati alla condizione dell’idrogeno. I loro spetti di emissione possono essere descritti
dalla stessa equazione ricavata per l’atomo H.

Modello atomico di Bohr


Lo spettro a righe è stato interpretato in termini di modello atomico da Bohr. Nel suo modello
immaginò che l’elettrone si muovesse intorno al nucleo seguendo traiettorie fisse, o orbite, come
un pianeta che ruota intorno al Sole.
Gli spettri atomici indicano pertanto che, quando un atomo eccitato libera energia, la quantità
liberata non assume valori qualsiasi; ciò è vero anche quando l’atomo assorbe energia.
Per far funzionare il modello planetario introduce due postulati in cui riprende i risultati proposti
da Planck: l’energia dell’elettrone all’interno dell’atomo è quantizzata e il raggio dell’orbita in cui si
muove l’elettrone assume anche lui un valore quantizzato.

Origine delle righe spettrali


Quando l’atomo assorbe energia, un elettrone passa da un livello a bassa energia a uno di energia
più alta; quando l’elettrone ritorna allo stato di partenza, l’energia corrispondente alla differenza
fra i due livelli viene emessa come fotone.
Dato che sono possibili soltanto determinati salti energetici, nello spettro di emissione compaiono
solo alcune frequenze specifiche.

Il modello atomico di Bohr fu allo stesso tempo un successo e un fallimento. Ebbe pieno successo
nel prevedere la frequenza delle righe dello spettro dell’idrogeno, spiegando l’equazione di
Rydberg. D’altra parte, la teoria non riuscì a dare una spiegazione quantitativa agli spettri degli
atomi contenenti più di un elettrone.
Ha senso parlare di ORBITE di elettroni intorno al nucleo?
Moto nel piano x-y di un punto materiale sottoposto ad una forza F
2 2
d x d y
F x =m a x =m 2 F y =m a y =m 2
dt dt
Da una doppia integrazione si ottiene: x=x ( t ) y= y ( t )  y=f ( x )
La doppia integrazione richiede la conoscenza di x0, vx0, y0, vy0. Cioè è necessario conoscere
posizione e velocità del punto materiale in un dato istante.
Per una particella di piccola massa come l’elettrone non è possibile realizzare un esperimento che
consenta di misurare precisamente e contemporaneamente posizione e velocità.

Principio di indeterminazione di Heisemberg (Nobel 1932):


In generale, il principio di indeterminazione di Heisemberg afferma che è impossibile determinare
con precisione contemporaneamente la posizione e la velocità (o quantità di moto) di una
particella di massa molto piccola.
Per osservare un e- al microscopio è necessario illuminarlo con una radiazione delle sue stesse
dimensioni, ovvero di brevissima lunghezza d’onda. Così si può misurare accuratamente la
posizione. Ma una radiazione a bassa lunghezza d’onda trasporta un’elevata energia: e- viene
investito quindi da un fascio fotonico ad alta energia. In questo modo e- subisca una perturbazione
che lo fa spostare e che impedisce di misurarne la posizione. Riducendo la frequenza
l’illuminazione sarebbe insufficiente e di nuovo non sarebbe possibile misurare la posizione.
Quindi vale il principio di Heisemberg che è sintetizzato nelle seguenti espressioni:
∆ x=∆ ( m v x ) ≅ h ∆ y =∆ ( m v y ) ≅ h ∆ z=∆ ( m v z ) ≅ h (∆ indica l’errore della misura)

Sfera di massa m = 10−5 g


−27
h 6 ,6 ∙ 10 erg ∙ s −22 2
∆ x ∙∆vx≅ = −5
=6 ,6 ∙ 10 c m / s
m 10 g
−10 −12
∆ x=10 cm ∆ v x =6 ,6 ∙ 10 cm/s incertezza trascurabile
Elettrone m = 10−27 g
−27
h 6 ,6 ∙ 10 erg ∙ s 2
∆ x ∙∆vx≅ = −27
=6 ,6 c m /s
m 10 g
−10 10
∆ x=10 cm ∆ v x =6 ,6 ∙ 10 cm/s vx indeterminata
Il fatto che non si possano misurare posizione e velocità con esattezza sottintende che non si possa
conoscere quella che nella fisica classica è la traiettoria di moto. Per cui si abbandona il concetto di
orbita.

Un fenomeno fisico che attirò molto l’attenzione fu quello della diffrazione.


Quando un’onda piana viene fatta passare attraverso
una piccola fenditura che ha le dimensioni molto
simili alla lunghezza d’onda, ha luogo la diffrazione.
L’onda subisce una sorta di scomposizione in onde
secondarie chiamate onde diffratte.
Se si considera un fascio di particelle macroscopico (quindi particelle con massa) attraverso una
fenditura si osserva che: le particelle che non la incontrano si fermano, le particelle che la
incontrano attraversano la fenditura e continuano indisturbate il loro moto.
La diffrazione quindi è caratteristica delle onde e non dei fasci di particelle con massa.
Questo fenomeno si verifica anche quando l’onda attraversa un cristallo, ovvero un insieme di
atomi disposti adeguatamente con fenditure in mezzo. Se l’onda passa attraverso il cristallo si
diffrange in molteplici onde secondarie, che se sono impresse sulla lastra danno luogo alla figura di
interferenza (alternarsi di righe chiare e scure).

Si scopre che un fascio di elettroni dà luogo al fenomeno della diffrazione che è tipico delle onde.
Da questa evidenza sperimentale si deduce che gli elettroni sono caratterizzati nel loro movimento
da un moto ondulatorio. Questo fa pensare che abbiano una duplice natura, ovvero che possano
essere interpretati come onda o come fascio di particelle.

Le onde di De Broglie
De Broglie ipotizza a livello generale che al moto di un qualunque corpo si accompagna la
propagazione di onde. Nasce la meccanica ondulatoria che studia la propagazione dell’onda
associata al fascio di elettroni attraverso lo studio di De Broglie.
h
Equazione di De Broglie: λ=

Se la particella ha una massa relativamente grande: λ De Broglie 0
Quindi nel caso di particelle macroscopiche si ricade nella meccanica classica che per i sistemi
macroscopici funziona.
Se si applica l’equazione ad e- si ottiene λ De Broglie =10−8 cm , che corrisponde alle dimensioni
atomiche del diametro atomico, ovvero le dimensioni della ragione di spazio in cui si trova l’e-.

La meccanica quantistica: l’intuizione di Schrödinger (1927)


Ai primi del ‘900 si fa uso della meccanica ondulatoria per introdurre un approccio probabilistico,
con cui si cerca di stabilire dove si ha una consistente probabilità di trovare e-.
Gli elettroni hanno intrinseche proprietà ondulatorie, non si può descrivere la traiettoria, ma si può
descrivere il moto attraverso funzioni d’onda ψ  ψ ' =ψ ' ( x , y , z ,t )
La funzione d’onda dipende dalle 3 coordinate cartesiane ortogonali e dalla variabile tempo.
2 ' 2 ' 2 ' 2 2 '
∂ ψ ∂ ψ ∂ ψ 8π m 1∂ ψ
2
+ 2
+ 2
+ 2 ( E−E p) ψ=
∂x ∂ y ∂z h ν ∂ t2
Nell’equazione compare: m = massa e-, h = costante di Planck, E = energia totale di e-, Ep = energia
potenziale di e-, v = velocità.
Il ∂ indica la derivata parziale: si usa la derivata totale quando la variabile dipendente y è funzione
di una sola x. Se la variabile dipendente dipende da più variabili (ad esempio x e z), si può derivare
rispetto ad x mantenendo z costante, e poi rispetto a z mantenendo x costante.
Per gli stati stazionari, ad energia costante per e- scompare la variabile tempo: ψ=ψ ( x , y , z )
2 ' 2 ' 2 ' 2
∂ ψ ∂ ψ ∂ ψ 8π m
2
+ 2
+ 2 + 2 ( E−E p ) ψ=0
∂x ∂ y ∂z h
Considero stati stazionari = ad energia costante per e-  scompare la variabile tempo.
Problema fisico: individuare come sono distribuiti gli elettroni all’interno dell’atomo.
La funzione d’onda  è quindi soluzione accettabile dell’equazione, ma non ha un significato fisico

diretto, mentre lo ha |2| che indica la densità di probabilità cioè la probabilità di trovare
l’elettrone in un volume infinitesimo dV = dxdydz.
La meccanica ondulatoria fornisce una descrizione probabilistica della distribuzione degli elettroni
in un atomo.
|2| dV = dP  probabilità nel volume infinitesimo di guscio sferico
compreso fra r e r + dr.
Si usano le coordinate polari perché l’atomo è sferico.
Risolvendo l’equazione di Schrödinger per l’atomo di idrogeno si ottengono
funzioni d’onda, ma solo un numero finito sono accettabili per rappresentare
l’onda associata ad un elettrone.
Se l’elettrone viene cercato in un punto qualunque dell’atomo a cui appartiene, esso verrà
3

sicuramente trovato. Per cui  deve soddisfare la condizione di normalizzazione: ∫ |ψ 2|dV =1


V =∞

La probabilità di trovare l’elettrone in tutto lo spazio deve essere uguale a 1 che corrisponde alla
certezza. È una descrizione probabilistica del moto degli elettroni.
La funzione ψ , soluzione dell’equazione detta funzione d’onda deve anche:
o Essere nulla all’infinito (andare oltre i confini atomici vorrebbe dire strappare l’elettrone
dall’atomo e quindi la funzione d’onda sarebbe nulla)
o Essere continua e ad un solo valore in ogni punto dello spazio, insieme alle sue derivate.
All’interno dell’atomo, tolto il nucleo, è possibile trovare l’e- in qualsiasi regione, per cui non ha
senso dal punto di vista statistico dire che all’interno dell’atomo ci siano posizioni più favorite di
altre. Inoltre l’elettrone può occupare una sola posizione alla volta, quindi la funzione d’onda
deve avere un unico valore.
3
o Soddisfare la condizione di ortogonalità ∫ ψ m ψ n dV =1
V =∞
Imponendo queste condizioni si ottengono funzioni che hanno significato fisico solo in
corrispondenza di determinati valori di energia. Questi ultimi vengono chiamati autovalori e le
corrispondenti funzioni d’onda  autofunzioni. I valori di energia (autovalori) per i quali
l’equazione di Schrödinger ammette soluzioni che hanno significato fisico sono:
2
−1 2 π m e
4
−costante 13 , 6
En = 2 2 n = 1, 2, 3, …, ∞ En = 2
= 2
n h n n
n = numero quantico principale
Quantizzazione dell’energia
I livelli energetici sono infiniti, ma seguono un’infinità discreta e non continua.
È possibile risolvere in modo rigoroso l’equazione d’onda solo per l’atomo di idrogeno che è l’unico
con 1 solo elettrone.

In seguito agli studi di Schrödinger si abbandona il concetto di orbita perché si arriva a definire un
orbitale come risultato di un approccio probabilistico alla descrizione della posizione degli elettroni
intorno al nucleo.

ORBITA (meccanica classica)


Definita da un’equazione matematica che ne determina completamente il tipo e la
rappresentazione geometrica nello spazio.

ORBITALE (meccanica quantistica) definita da un’equazione matematica complicata.


o La funzione d’onda  non ha un significato fisico diretto
o |2|  probabilità di trovare l’elettrone nel punto considerato

Numeri quantici
Risolvendo l’equazione di Schrödinger per l’idrogeno, imponendo tutti i vincoli che permettono di
discriminare le soluzioni accettabili, si osserva che queste funzioni d’onda  (autofunzioni) sono
determinate in modo univo da una terna di numeri:
o Numero quantico principale n = 1, 2, 3, …∞
È legato alla quantizzazione dell’energia: questo vuol dire che e- ammette solo un’infinità
discreta di livelli energetici. Quindi n è in relazione all’energia di questa regione di spazio in cui
si ha una certa probabilità di trovare l’elettrone.
2 4
−2 π me
En = 2 2  maggiore è il numero n, più elevata è l’energia dell’elettrone: quindi
n h
all’aumentare di n, l’elettrone si trova in orbitali via via più distanti dal nucleo. ????
o Numero quantico secondario o azimutale l = 1, 2, 3, …, n-1
È legato alla quantizzazione del modulo del momento della quantità di moto dell’orbitale. Si
parla di momento perché la particella è carica elettricamente. Questo è quantizzato da l:
1 /2 h
|⃗p|=[ l ( l+1 ) ]  l è in relazione con la forma degli orbitali

o Numero quantico magnetico ml = -l, -(l-1), …, 0, +(l-1), +l
È legato alla quantizzazione della proiezione del momento della quantità di moto orbitale
dell’elettrone lungo una direzione predefinita, ad es. la direzione di un campo magnetico
esterno applicato all’atomo. Quindi ml ha a che fare con l’orientazione nello spazio dell’orbitale
e con il numero di orbitali di un certo tipo.
h
p z=ml  ml è in relazione con l’orientazione relativa degli orbitali nello spazio

Tipi di orbitali
Ogni autofunzione associata ad una definita terna di valori di numeri quantici n, l, ml viene
chiamata ORBITALE. Ogni orbitale corrisponde ad un determinato stato quantico o energetico
possibile dell’elettrone.
l = 0  Orbitale s l = 1  Orbitale p l = 2  Orbitale d l = 3  Orbitale f

Numeri quantici e orbitali


Il numero di orbitali corrisponde al numero di terne formate dai numeri quantici considerati:
1 terna  1 orbitale
1 terna (1, 0, 0) 1 orbitale 1s
n=1 l = 0 (s) ml = 0 Orbitale a
energia minima
l = 0 (s) ml = 0 1 terna per l = 0 1 orbitale 2s
n=2
l = 1 (p) ml = -1, 0, +1 3 terne per l = 1 3 orbitali 2p
l = 0 (s) ml = 0 1 terna per l = 0 1 orbitale 3s
n=3 l = 1 (p) ml = -1, 0, +1 3 terne per l = 1 3 orbitali 3p
l = 2 (d) ml = -2, -1, 0, +1, +2 5 terne per l = 2 5 orbitali 3d

l = 0 (s) ml = 0 1 terna per l = 0 1 orbitale 4s


l = 1 (p) ml = -1, 0, +1 3 terne per l = 1 3 orbitali 4p
n=4
l = 2 (d) ml = -2, -1, 0, +1, +2 5 terne per l = 2 5 orbitali 4d
l = 3 (f) ml = -3, -2, -1, 0, +1, +2, +3
7 terne per l = 3 7 orbitali 4f

Livelli energetici
Per l’atomo di idrogeno il valore dell’energia di un dato orbitale dipende soltanto dal numero
quantico principale n. Orbitali caratterizzati dallo stesso livello energetico, cioè dallo stesso n, ma di
diverso tipo, cioè diverso l, (2s-2p, 3s-3p-3d, ecc.) sono detti DEGENERI.
Ad ogni valore di n corrisponde un determinato livello energetico
chiamato strato o guscio. Ciascun guscio è individuato da una
lettera maiuscola: ai valori di n = 1, 2, 3... corrispondono gli strati
K, L, M, ...
Simmetria sferica dell’atomo:
 coordinate cartesiane ortogonali (x, y, z)
 coordinate polari sferiche (r, , )
x = r sen cos
y = r sen sen
z = r cos

L’orbitale s dipende solo dalla coordinata r e non dagli angoli, per cui avrà forma sferica.

L’orbitale s si può rappresentare con la superficie di equiprobabilità: |2|= cost


3

Rappresentativa dell’orbitale s  ∫|ψ| dV =0 , 95


2

Quindi la condizione di normalizzazione deve risultare 0,95.


L’orbitale può essere rappresentato utilizzando anche la nuvola elettronica. Questa
si ottiene immaginando di osservare un atomo un numero molto elevato di volte,
mentre l’elettrone si muove intorno al nucleo e di riportare le posizioni nelle quali si
è rilevato l’elettrone.

Studio di funzione della funzione che descrive l’orbitale s.


Il massimo ha altezza variabile a seconda del numero
quantico principale. La funzione tende a 0 per distanze molto
diverse. Si deduce che all’aumentare di n, l’orbitale s diventa
più espanso, quindi l’elettrone sta a distanze sempre maggiori
dal nucleo, e avrà energia maggiore.

Rappresentazione grafica degli orbitali p e dell’atomo di idrogeno


Simmetria
cilindrica
Piano
nodale ⊥
all’asse

Equazione di Schrödinger viene risolta ESATTAMENTE soltanto per l’atomo di idrogeno (estendibile
agli atomi IDROGENOIDI, He+, Li++, Be+++, ecc., utilizzando il corrispondente valore della carica
nucleare). Problema dei tre corpi negli atomi polielettronici come He.
NON RISOLVIBILE ESATTAMENTE: si ottengono soluzioni approssimate, perché occorre
considerare oltre alle
interazioni attrattive di
ciascun elettrone con il
nucleo, anche quelle interazioni
repulsive che si esercitano tra gli elettroni.
L’approssimazione è pesante perché si assume che le terne di valori trovate per descrivere gli
orbitali dell’atomo di idrogeno siano valide anche per gli atomi polielettronici.

I numeri quantici che descrivono l’orbitale quindi, nel caso


dell’idrogeno derivano direttamente dalla risoluzione
dell’equazione di Schrodinger. Mentre per gli atomi
polielettronici si avrà solo un’approssimazione, vista
l’impossibilità di risolvere l’equazione per loro.
Nel caso dell’H l’energia degli orbitali dipende solo da n: orbitali di tipo diverso con stesso n hanno
la stessa energia. Nel caso dell’atomo polielettronico l’energia dipende anche da l.
Maggiore è il valore di l, maggiore è l’energia.

FATTORI CHE INCIDONO SULLA DISPOSIZIONE DEI LIVELLI ENERGETICI


Effetto della forma dell’orbitale
Li in stato eccitato: e- del 2s va nel 2p.
Si spende la stessa energia ad estrarre e- da stato neutro e da stato
eccitato? La carica nucleare è la stessa ma è più difficile estrarre e-
dall’orbitale 2s a causa della sua forma. L’orbitale s si protende
verso il nucleo in modo più significativo rispetto all’orbitale p. Nella
funzione che descrive orbitale s ci sono due massimi, uno dei quali
è a distanza molto piccola dal nucleo: significa che l’orbitale s come regione di
spazio si protende di più verso il nucleo, per cui e- risente di una maggiore attrazione nucleare.
Effetto della carica nucleare
He+ e H hanno entrambi 1 e-, che si trova sullo stesso orbitale s.
In He+ la carica nucleare è +2, in H è +1. Per estrarre un elettrone da 1s da
He+ serve più energia perché se la carica è doppia sarà maggiore anche
l’attrazione nucleare.
Effetto della presenza di altri elettroni
Nello ione He+ è più difficile estrarre e- perché nell’He neutro
c’è maggiore schermatura quindi l’e- che viene tolto risente di
carica nucleare minore.
Nel Li neutro il nucleo ha carica 3+, c’è un e- nell’orbitale 2s che
è efficacemente schermato dai due elettroni in 1s. Nello ione
++ -
Li c’è un e esterno che non subisce più un effetto di schermatura quindi risente di una forza
attrattiva maggiore e sarà più difficile da rimuovere.

Livelli energetici negli atomi polielettronici dipendono, oltre che da n e l, anche dal numero
atomico Z.
Per gli orbitali più interni (n più basso), l’energia non dipende ancora
da Z. C’è una successione di energia che ha un andamento in funzione
di n e di l, ma non di Z: dall’1s fino al 3p.
Per il livello 3d: i pallini rossi rappresentano l’andamento se questo dipendesse solo da n e da l:
cioè dovrebbe essere più basso del livello energetico del 4s. Ma questo non si verifica per ogni
valore di Z, poiché da Z = 19 a Z = 22 l’energia degli orbitali 3d diventa più alta dell’energia degli
orbitali 4s, quindi c’è un’inversione rispetto all’andamento generale.
Considerando gli orbitali ancora più esterni, queste inversioni di andamento si verificano più
frequentemente (all’aumentare di n).
Si è stabilito un ordine di riempimento degli orbitali che è valido per tutti gli
elementi, che è in realtà rappresentativo delle eccezioni nell’andamento, e non
della maggioranza.
1s < 2s < 2p < 3s < 3p < 4s < 3d < 4p < 5s < 4d < 5p < 6s < 4f < 5d < 6p < 7s < 5f <
6d , ecc.

Lo spin dell’elettrone
L’elettrone ruota intorno al proprio asse, questo movimento di rotazione genera un momento
intrinseco della quantità di moto, detto momento di spin.
La proiezione di questo momento lungo una direzione prefissata z di un campo magnetico, è una
proiezione quantizzata attraverso il quarto numero quantico.
Il numero quantico di spin ms ha solo due valori perché le direzioni di rotazione sono 2 (senso
orario o antiorario).
Da quanti numeri quantici è determinato lo stato quantico di un e-? 4
n, l, ml  determinano in modo univoco un orbitale
ms  indica lo spin

CONFIGURAZIONE ELETTRONICA
Indica come sono distribuiti gli elettroni all’interno dell’atomo.
È necessario rispettare il principio di esclusione di Pauli: in un atomo non vi possono essere due
elettroni caratterizzati dalla stessa quaterna di numeri quantici.
Implicazione: in un orbitale di qualunque tipo possono esserci al massimo 2 elettroni, perché m s ha
due valori.
Implicazione: gli elettroni dello stesso orbitale avranno spin antiparallelo perché devono differire
per il quarto numero quantico.

Regola di Hund
All’interno di un gruppo di orbitali caratterizzati da uno stesso valore di energia (stessi n e l), gli
elettroni in un atomo allo stato fondamentale tendono a distribuirsi in orbitali diversi occupandone
il maggior numero a spin paralleli, piuttosto che a raggrupparsi a due a due a spin antiparalleli, e
tutto questo avviene finché ci sono orbitali vuoti.
Questo perché due elettroni nello stesso orbitale si trovano più vicini e si respingono
maggiormente dal punto di vista elettrostatico. Seguendo la regola di Hund gli elettroni
interagiscono dal punto di vista repulsivo molto meno, garantendo maggiore stabilità all’atomo dal
punto di vista energetico.
L’ordine di riempimento segue l’ordine di crescita di Z: principio di aufbau.

Cromo e Rame fanno eccezione: perché energeticamente l’atomo è più stabile se l’orbitale d è
semipieno o pieno.

Configurazioni elettroniche di atomi appartenenti allo stesso gruppo (4 elettroni livello esterno)
Elementi dello stesso gruppo hanno nell’orbitale più
esterno uguale numero di elettroni, detti elettroni di
valenza.

Gruppo 1 = metalli alcalini Periodo 1 = piccolissimo periodo


Gruppo 2 = metalli alcalino terrosi Periodo 2 e 3 = piccoli periodi
Gruppo 6 = calcogeni Periodo 4 e 5 = lunghi periodi
Gruppo 7 = Alogeni Periodo 6 = lunghissimo periodo
Gruppo 8 = Gas nobili/gas rari/gas inerti  hanno
scarsa tendenza a legarsi con altri atomi per formare
composti, hanno poca reattività chimica. Sono stabili
perché hanno configurazione elettronica satura.

Potrebbero piacerti anche