Diritto Del Lavoro (Completo)

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LEZIONE 1 – DIRITTO DEL LAVORO 24/02/20

Il diritto del lavoro è il ramo del diritto privato che attiene ai rapporti individuali e consiste in una
serie di norme e di regole che disciplinano il rapporto di lavoro e tutte le tematiche ad esso
collegate (es. diritto sindacale, che disciplina i rapporti collettivi, non quelli individuali).
I contratti collettivi vengono stipulati da organizzazioni di lavoratori e datori di lavoro. I rapporti
collettivi sono i più importanti perché hanno conseguenze anche su quelli individuali: migliore è il
contratto collettivo, migliore sarà il rapporto individuale. Le organizzazioni dei lavoratori hanno a
disposizione degli strumenti per migliorare il rapporto, ad esempio lo sciopero.
Il diritto del lavoro in Italia ha vissuto 3 fasi storiche:
1^ FASE Inizi del 1800, quando l’evoluzione industriale ha cominciato a prendere piede in Italia.
Per la prima volta si sono avuti flussi migratori dalla campagna alla città: operai agricoli diventati
operai industriali con delle modalità di lavoro diverse
 orari di lavoro diversi
 lavoro di donne e fanciulli non regolato da leggi
 gestione degli infortuni sul lavoro (la prima legge in merito risale solo al 1988!)
 nessuna previdenza sociale
Le prime norme che nascono riguardano temi socialmente rilevanti, ma non intervengono nel
rapporto tra datore di lavoro e lavoratore.
1896: limitazione degli orari di lavoro di donne e fanciulli rispetto al lavoro notturno.

2^ FASE Dagli inizi del 1900 fino all’ entrata in vigore della Costituzione (1948): fase
dell’incorporazione del datore di lavoro nel sistema del diritto privato. Perché? Si comprende che
questo tema non ha caratteri pubblicistici ma attiene allo scambio tra prestatore (cha dà lavoro) e
datore (che offre la retribuzione). È un vero e proprio rapporto commerciale lavoro-retribuzione.
L’esempio di questa privatizzazione è contenuto nel codice civile (cc) promulgato nel 1942 all’apice
del periodo corporativo fascista. Il cc tende falsamente a porre sullo stesso piano datore di lavoro
e lavoratore. Perché interviene il legislatore? Per cercare di condurre il rapporto di lavoro sotto
controllo (siamo nel fascismo); infatti erano vietati sia lo sciopero che la serrata (con essa l'azienda
non accetta la prestazione lavorativa offerta dai suoi dipendenti e rifiuta di pagarne ogni tipo di
compenso). Il codice civile pone lavoratore e datore di lavoro sullo stesso piano: l’art. 2118
disciplina la libera recidività occupandosi di licenziamento e dimissione. In realtà però le due parti
non sono sullo stesso piano in quanto gli effetti del licenziamento e delle dimissioni sono diversi:
per il datore di lavoro perdere un lavoratore è certamente un disagio, ma non quanto lo è per il
lavoratore perdere la propria occupazione.
3^ FASE Costituzionalizzazione del diritto del lavoro: in questa fase, quella odierna, il lavoro è visto
come ciò che rende libere le persone di godere dei diritti economici e sociali.
Art 1 della Costituzione: “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.”
è il lavoro che rende libero l’uomo, con l’indipendenza economica diventa libero. Lo Stato deve
garantire il lavoro, infatti nella Costituzione ci sono tanti articoli che si occupano del diritto del
lavoro.

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Art 36 della Costituzione: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e
qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e
dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.”
la retribuzione deve essere proporzionata e sufficiente.
La Costituzione, a differenza del cc, vuole riequilibrare il rapporto di lavoro. Non si può negare che
in qualunque organizzazione lavorativa c’è sempre una subordinazione: il datore di lavoro in una
posizione di comando e il lavoratore subordinato che ne risponde; l’organizzazione del lavoro è
gerarchica.
Un esempio del voler riequilibrare questo rapporto sta nel fatto che il costituente ha introdotto
l’art 40 (“Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano ”) per consentire al
lavoratore di protestare: lo sciopero passa dall’essere un reato all’essere un diritto. La serrata non
è mai stata un diritto. La costituzione ha dato preminenza al lavoratore.

Rapporto di lavoro
Il contratto di lavoro viene disciplinato dal cc nel libro V che infatti si intitola “del lavoro”.
L’art 2094 specifica chi è il prestatore di lavoro subordinato:
<<È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare
nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la
direzione dell’imprenditore.>>
Ricordiamo che nel diritto privato gli elementi che caratterizzano un contratto sono soggetto,
oggetto e causa; quest’ultimo è l’elemento che serve ad individuare la funzione economica del
contratto e il perché si fa il contratto.
Nel contratto di lavoro la causa è lo scambio: da un lato la collaborazione del lavoratore, dall’altro
la retribuzione.
La subordinazione è l’effetto tipico del contratto di lavoro: c’è un prestatore che si rende
disponibile ad obbligarsi verso il lavoratore che a sua volta vuole svolgere questa attività per il
raggiungimento del risultato. Tutti i datori di lavoro hanno delle aspettative (pubblico o privato che
sia). Entrambi i contraenti soggiacciono a due obblighi di natura generale: da un lato il lavoratore,
dall’altro il datore di lavoro che deve cooperare affinché il lavoratore possa adempiere alla sua
mansione.
Come distinguere il lavoratore subordinato dal lavoratore autonomo? La differenza principale è la
rispondenza al potere direttivo della eterodirezionalità: se il lavoratore risponde al potere
eterodirettivo è subordinato.
Mentre l’art 2094 si occupa del lavoro subordinato, l’art 2222 disciplina il lavoro autonomo.
La natura del rapporto è acontrattuale cioè indipendente dal contratto.

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Poteri dell’imprenditore
I poteri dell’imprenditore sono il complesso dei poteri giuridici che il datore di lavoro può
legittimamente esercitare nei confronti del lavoratore subordinato. Sono tre, il primo è il più
importante, gli altri due sono dei corollari:
 potere direttivo
 potere disciplinare
 potere di controllo
Il potere direttivo consiste nella superiorità gerarchica dell’imprenditore sul lavoratore nell’ambito
dell’organizzazione dell’impresa, cioè il potere di specificare i modi e i tempi della prestazione
lavorativa. Ed è basato su 4 articoli del cc: 2086, 2094, 2104 e 2105.
Questo potere è l’espressione fisiologica del coordinare le prestazioni lavorative. La sua fonte è di
tipo contrattuale: nel momento in cui nasce un rapporto di lavoro, nasce chi comanda e chi
risponde al comando. È evidente che non c’è pariteticità tra i contraenti in quanto uno dei due è
accreditato di un’autorità di tipo gerarchico a cui l’altro è assoggettato.
Seconda conseguenza del potere direttivo è costituire il discrimine tra rapporto autonomo e
subordinato: ci fa capire la natura della prestazione.
L’esercizio del potere individuale può comportare la limitazione delle libertà del prestatore. Per
limitare questo potere la giurisprudenza ha utilizzato degli strumenti contenuti nella Costituzione.
Norme precettive, immediatamente operative:
 art 16 ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio
nazionale
 art 21 tutti hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi
 art 29 la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul
matrimonio
 art 34 la scuola è aperta a tutti
Secondo queste norme sono da ritenersi illegali tutti quei concorsi che nei loro bandi impongono
ai partecipanti una determinata residenza, stato civile, o titolo per difetto (non si può escludere
qualcuno perché residente in un’altra regione, o perché sposato o perché laureato).
Principi di buona fede e di correttezza (Libro V):
art 2086 <<L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi
collaboratori.>>
Tutte le organizzazioni di lavoro hanno una forma piramidale, questo articolo inoltre sottolinea che
il potere direttivo appartiene all’imprenditore.
art 2094 <<È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare
nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la
direzione dell’imprenditore.>>
art 2104

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1° comma: <<Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione
dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale.>>
2° comma: <<Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro
impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende.>>
Nel 1° comma si esplica il principio di diligenza, nel 2° il principio di obbedienza e osservanza. Il
principio di obbedienza costituisce uno degli elementi caratteristici del lavoro subordinato. Il
principio di diligenza è un adattamento del principio generale di svolgere l’attività con la diligenza
del buon padre di famiglia. Invece al lavoratore è richiesta una diligenza superiore a quella
ordinaria, una diligenza tecnica. Per verificarlo ci sono 3 criteri:
 in base alla mansione (art 2103)
 in base all’interesse dell’impresa
o soggettivo in funzione dell’imprenditore
o oggettivo in funzione dell’organizzazione
 in base all’interesse superiore della produzione nazionale (oggi non più, retaggio del
fascismo)

art 2105 <<Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in
concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di
produzione dell’impresa o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.>>
Obbligo di fedeltà: esiste un interesse nel salvaguardare la posizione dell’imprenditore nel
mercato (l’obbligo di fedeltà rientra tra i cosiddetti obblighi di protezione dell’imprenditore).
Divieto di concorrenza: opera durante il rapporto di lavoro ma può essere prolungato oltre
attraverso il patto di non concorrenza ai sensi dell’art 2125 che deve essere un atto scritto,
contenente obbligatoriamente un corrispettivo economico che di solito consiste nell’ultima
retribuzione moltiplicata per il periodo in cui è richiesto di non svolgere attività concorrenziali.
Questo divieto deve essere contenuto entro determinati limiti di oggetto (se sei il direttore
generale di un caseificio non posso limitare la tua attività lavorativa se vai a lavorare per
un’azienda che produce divani), tempo (massimo 5 anni per i dirigenti, massimo 3 anni per tutte le
altre categorie) e luogo. La concorrenza va valutata caso per caso. Non costituisce attività in
concorrenza l’attività inventiva del lavoratore.
Divieto di divulgare o utilizzare i segreti aziendali: obbligo di fedeltà in senso stretto.
Trova la sua tutela nel codice penale:
 621 rivelazione di contenuti di documenti
 622 rivelazione di segreto professionale
 623 rivelazione di segreti scientifici

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LEZIONE II DIRITTO DEL LAVORO 27/02/20
Dopo aver affrontato il potere direttivo, il primo dei 3 poteri che contraddistinguono la figura del
datore di lavoro, passiamo al potere di controllo.
POTERE DI CONTROLLO
=POTERE di ccontrollare la corretta esecuzione della prestazione lavorativa
Dal momento che l’imprenditore mette a disposizione una serie di strumenti, luoghi, mezzi, risorse
economiche per il raggiungimento di un suo risultato, per questo motivo è legittimato a verificare
che i suoi collaboratori adempiano la loro prestazione secondo le sue indicazioni.
È evidente che il controllo implicherebbe un’invasione della sfera della libertà personale del
lavoratore, per tal motivo la L. 300/70 ha esteso una serie di principi di libertà e dignità nel
rapporto di lavoro. Fino ad allora alcuni principi sembravano non attecchire nell’ambito aziendale,
ecco che tutto l’intero titolo I è dedicato ai principi di dignità e libertà del lavoratore, riconoscendo
di fatto questo squilibrio tra i due contraenti. Per cui introduce limiti al potere di controllo in
termini sostanziali e procedurali.
Notiamo come lo statuto non intervenga sul potere direttivo perché è giusto che il datore
intervenga nelle direttive secondo le proprie esigenze per conformare il lavoratore alle sue linee
direttive, ma si interviene sui poteri di supporto.
TITOLO I
Prima di scendere nel merito delle norme viene ribadito un principio fondamentale all’interno dei
luoghi di lavoro:
ART. 1. LIBERTÀ DI OPINIONE.
I LAVORATORI, SENZA DISTINZIONE DI OPINIONI POLITICHE, SINDACALI E DI FEDE RELIGIOSA, HANNO DIRITTO, NEI LUOGHI DOVE
PRESTANO LA LORO OPERA, DI MANIFESTARE LIBERAMENTE IL PROPRIO PENSIERO, NEL RISPETTO DEI PRINCIPI DELLA
COSTITUZIONE E DELLE NORME DELLA PRESENTE LEGGE.

Giusto un cappello iniziale per dire che noi ci dobbiamo muovere all’interno dei principi della carta
costituzionale e questi valgono anche all’interno dei luoghi di lavoro. Prima di allora era sufficiente
essere iscritto al partito comunista per essere licenziato.
La prima limitazione avviene nei confronti dell’utilizzo di guardie giurate per il controllo
dell’attività lavorativa:
ART. 2. GUARDIE GIURATE.
IL DATORE DI LAVORO PUÒ IMPIEGARE LE GUARDIE PARTICOLARI GIURATE, DI CUI AGLI ARTICOLI 133 E SEGUENTI DEL TESTO
UNICO APPROVATO CON REGIO DECRETO 18 GIUGNO 1931, NUMERO 773 , SOLTANTO PER SCOPI DI TUTELA DEL PATRIMONIO
AZIENDALE.

LE GUARDIE GIURATE NON POSSONO CONTESTARE AI LAVORATORI AZIONI O FATTI DIVERSI DA QUELLI CHE ATTENGONO ALLA
TUTELA DEL PATRIMONIO AZIENDALE

È FATTO DIVIETO AL DATORE DI LAVORO DI ADIBIRE ALLA VIGILANZA SULL'ATTIVITÀ LAVORATIVA LE GUARDIE DI CUI AL PRIMO
COMMA, LE QUALI NON POSSONO ACCEDERE NEI LOCALI DOVE SI SVOLGE TALE ATTIVITÀ, DURANTE LO SVOLGIMENTO DELLA
STESSA, SE NON ECCEZIONALMENTE PER SPECIFICHE E MOTIVATE ESIGENZE ATTINENTI AI COMPITI DI CUI AL PRIMO COMMA.

Qual è la sanzione? È molto fine perchè non colpisce il datore ma la guardia che si presta a
svolgere attività non sua, quindi il controllo del lavoratore:
IN CASO DI INOSSERVANZA DA PARTE DI UNA GUARDIA PARTICOLARE GIURATA DELLE DISPOSIZIONI DI CUI AL PRESENTE
ARTICOLO, L'ISPETTORATO DEL LAVORO NE PROMUOVE PRESSO IL QUESTORE LA SOSPENSIONE DAL SERVIZIO, SALVO IL
PROVVEDIMENTO DI REVOCA DELLA LICENZA DA PARTE DEL PREFETTO NEI CASI PIÙ GRAVI

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Sappiate che le guardie giurate per poter svolgere il proprio lavoro devono essere autorizzate ogni
anno dal questore o dal prefetto perché portano la pistola, è una specie di patente, e se viene
segnalato non gli viene rinnovata la licenza.
Tuttavia è possibile adibire del personale, a condizione che (limite procedurale) questo sia
conosciuto da tutto il personale.
ART. 3. PERSONALE DI VIGILANZA.
I NOMINATIVI E LE MANSIONI SPECIFICHE DEL PERSONALE ADDETTO ALLA VIGILANZA DELL'ATTIVITÀ LAVORATIVA DEBBONO ESSERE
COMUNICATI AI LAVORATORI INTERESSATI.

il controllo può avvenire anche attraverso impianti audiovisivi. Questa norma è importante perché
ha anticipato l’utilizzo di strumenti dai quali possa derivare il controllo anche a distanza come il
computer. Questa norma è stata modificata dal job’s act.
ART. 4. IMPIANTI AUDIOVISIVI.
1. GLI IMPIANTI AUDIOVISIVI E GLI ALTRI STRUMENTI DAI QUALI DERIVI ANCHE LA POSSIBILITÀ DI CONTROLLO A DISTANZA
DELL'ATTIVITÀ DEI LAVORATORI POSSONO ESSERE IMPIEGATI ESCLUSIVAMENTE PER ESIGENZE ORGANIZZATIVE E
PRODUTTIVE, PER LA SICUREZZA DEL LAVORO E PER LA TUTELA DEL PATRIMONIO AZIENDALE (p.e. la telecamere del
supermercato) E POSSONO ESSERE INSTALLATI PREVIO ACCORDO COLLETTIVO STIPULATO DALLA RAPPRESENTANZA
SINDACALE UNITARIA O DALLE RAPPRESENTANZE SINDACALI AZIENDALI. IN ALTERNATIVA, NEL CASO DI IMPRESE CON UNITÀ
PRODUTTIVE UBICATE IN DIVERSE PROVINCE DELLA STESSA REGIONE OVVERO IN PIU' REGIONI, TALE ACCORDO PUO'
ESSERE STIPULATO DALLE ASSOCIAZIONI SINDACALI COMPARATIVAMENTE PIU' RAPPRESENTATIVE SUL PIANO NAZIONALE.
((IN MANCANZA DI ACCORDO, GLI IMPIANTI E GLI STRUMENTI DI CUI AL PRIMO PERIODO POSSONO ESSERE INSTALLATI
PREVIA AUTORIZZAZIONE DELLE SEDE TERRITORIALE DELL'ISPETTORATO NAZIONALE DEL LAVORO O, IN ALTERNATIVA,
NEL CASO DI IMPRESE CON UNITÀ PRODUTTIVE DISLOCATE NEGLI AMBITI DI COMPETENZA DI PIU' SEDI TERRITORIALI, DELLA
SEDE CENTRALE DELL'ISPETTORATO NAZIONALE DEL LAVORO. I PROVVEDIMENTI DI CUI AL TERZO PERIODO SONO
DEFINITIVI.))

2. LA DISPOSIZIONE DI CUI AL COMMA 1 NON SI APPLICA AGLI STRUMENTI UTILIZZATI DAL LAVORATORE PER RENDERE LA
PRESTAZIONE LAVORATIVA E AGLI STRUMENTI DI REGISTRAZIONE DEGLI ACCESSI E DELLE PRESENZE.
P.e. il badge mi serve per capire a che ora esce il lavoratore e non devo chiedere nessuna
autorizzazione per questo.
3. LE INFORMAZIONI RACCOLTE AI SENSI DEI COMMI 1 E 2 SONO UTILIZZABILI A TUTTI I FINI CONNESSI AL RAPPORTO
DI LAVORO A CONDIZIONE CHE SIA DATA AL LAVORATORE ADEGUATA INFORMAZIONE DELLE MODALITÀ D'USO DEGLI
STRUMENTI E DI EFFETTUAZIONE DEI CONTROLLI E NEL RISPETTO DI QUANTO DISPOSTO DAL DECRETO LEGISLATIVO 30
GIUGNO 2003, N. 196 (adeguamento alle norme del regolamento UE in materia di trattamento dei dati
personali).

Il controllo può riguardare anche altri aspetti nella fattispecie può riguardare lo stato della
malattia, non la malattia in senso stretto ma l’assenza per malattia, perché anche se superato il 4
gg è a carico degli enti previdenziali comporta problemi di ordine organizzativo. Quindi da un
punto di vista privatistico è giusto il controllo. Da un punto di vista pubblicistico è importante il
controllo perché c’è un grande esborso statale per sostenere il lavoratore che si viene a trovare in
uno stato di bisogno.
Piccola parentesi: nella nostra Costituzione:
- Articolo 38

(introduce il sistema dell’assistenza sociale comma 1) Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi
necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. (sarebbe l’assegno sociale)

I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio (è
visto come il momento più di bisogno tanto che mentre per la malattia c’è un massimo di 180 gg,
per l’infortunio è illimitato), malattia, invalidità e vecchiaia (pensione), disoccupazione involontaria. (su

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questo comma 2 basiamo l’assistenza previdenziale: se il lavoro perde il lavoro perde la sua
principale fonte di libertà e si troverà in una situazione di bisogno).
L’art. 5 nasce per far fronte all’assenteismo, fino al 1970 lo stato di malattia poteva essere
accertato dal medico aziendale inviato dal datore, e quindi di parte.
ART. 5.
ACCERTAMENTI SANITARI.
SONO VIETATI ACCERTAMENTI DA PARTE DEL DATORE DI LAVORO SULLA IDONEITÀ E SULLA INFERMITÀ PER MALATTIA O
INFORTUNIO DEL LAVORATORE DIPENDENTE.

IL CONTROLLO DELLE ASSENZE PER INFERMITÀ PUÒ ESSERE EFFETTUATO SOLTANTO ATTRAVERSO I SERVIZI ISPETTIVI DEGLI
(ASL, INPS, INAIL soggetti dotati di terzietà ,mediante visita fiscale
ISTITUTI PREVIDENZIALI COMPETENTI

quando richiesta dal datore e a suo carico al costo di 70-80 euro circa, nelle fasce orarie di
reperibilità lu/sab per i lavoratori privati e da lu/do per i lavoratori pub ), I QUALI SONO TENUTI A
COMPIERLO QUANDO IL DATORE DI LAVORO LO RICHIEDE.

Tuttavia se il lavoratore non viene trovato al domicilio al momento della visita non significa che
questo non sia ammalato si deve dimostrare che per motivi improcrastinabili o per motivi della
patologia stessa (esaurimento nervoso) ci si è mossi dal domicilio segnalato, inoltre una diversa
diagnosi rispetto a quella del medico di famiglia non significa che quella del medico fiscale sia
tecnicamente superiore. C’è una valutazione caso per caso.
Fino al 4 gg sono a carico del datore, oltre il 4 nel settore privato fino al 20 interviene l’INPS con un
rimborso del 75% il resto è a carico del datore; nel settore pubblico è sempre a carico del datore.
Oltre il 20 gg nel privato cambia la % di intervento del INPS e cmq la rimanente percentuale è
coperta dal datore. In ogni caso il lavoratore riceve l’intero importo.
Visite personali di controllo: le perquisizioni sono vietate tranne nei casi in cui per l’esercizio della
mia attività utilizzo materie prime, strumenti, attrezzature, merci di particolare valore ( p.e. orafo-
diamanti) a condizione che dia il nullaosta le organizzazione sindacali o l’ispettorato del lavoro.
ART. 6. VISITE PERSONALI DI CONTROLLO.
LE VISITE PERSONALI DI CONTROLLO SUL LAVORATORE SONO VIETATE FUORCHÉ NEI CASI IN CUI SIANO INDISPENSABILI AI FINI
DELLA TUTELA DEL PATRIMONIO AZIENDALE, IN RELAZIONE ALLA QUALITÀ DEGLI STRUMENTI DI LAVORO O DELLE MATERIE PRIME O
DEI PRODOTTI.

bisogna comunque mantenere alcune modalità:


IN TALI CASI LE VISITE PERSONALI POTRANNO ESSERE EFFETTUATE SOLTANTO A CONDIZIONE CHE SIANO ESEGUITE ALL'USCITA
DEI LUOGHI DI LAVORO, CHE SIANO SALVAGUARDATE LA DIGNITÀ (per esempio se si tratta di una donna sarà
perquisita da una donna) E LA RISERVATEZZA DEL LAVORATORE E CHE AVVENGANO CON L'APPLICAZIONE DI SISTEMI DI
SELEZIONE AUTOMATICA (a campione affinchè non ci sia l’accanimento su uno stesso lavoratore) RIFERITI
ALLA COLLETTIVITÀ O A GRUPPI DI LAVORATORI.

LE IPOTESI NELLE QUALI POSSONO ESSERE DISPOSTE LE VISITE PERSONALI, NONCHÉ, FERME RESTANDO LE CONDIZIONI DI CUI AL
SECONDO COMMA DEL PRESENTE ARTICOLO, LE RELATIVE MODALITÀ DEBBONO ESSERE CONCORDATE DAL DATORE DI LAVORO
CON LE RAPPRESENTANZE SINDACALI AZIENDALI OPPURE, IN MANCANZA DI QUESTE, CON LA COMMISSIONE INTERNA. IN DIFETTO
DI ACCORDO, SU ISTANZA DEL DATORE DI LAVORO, PROVVEDE L'ISPETTORATO DEL LAVORO.

L’art 8 riguarda le indagini che il datore può fare sulle opinioni del lavoratore, vieta tutte quelle
indagini anche attraverso agenzie sia in fase pre-selettiva che in corso di contratto di lavoro su
opinioni politiche, religiose o sindacali, questi fatti non possono essere conosciuti dal lavoratore
perché non rilevanti all’attitudine del lavoratore.
ART. 8. DIVIETO DI INDAGINI SULLE OPINIONI.
- È FATTO DIVIETO AL DATORE DI LAVORO, AI FINI DELL'ASSUNZIONE, COME NEL CORSO DELLO SVOLGIMENTO DEL RAPPORTO DI
LAVORO, DI EFFETTUARE INDAGINI, ANCHE A MEZZO DI TERZI, SULLE OPINIONI POLITICHE, RELIGIOSE O SINDACALI DEL
LAVORATORE, NONCHÉ SU FATTI NON RILEVANTI AI FINI DELLA VALUTAZIONE DELL'ATTITUDINE PROFESSIONALE DEL
LAVORATORE.

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Con un eccezione se sono notizie rese pubbliche dal lavoratore, il datore può fare le sue
valutazioni.

POTERE DISCIPLINARIO
=potere di irrogare sanzioni al lavoratore che violi i propri obblighi
Abbiamo visto come negli art. 2104-2105 cc si parli dell’obbligo di diligenza e di fedeltà del
lavoratore.
Ora nel 2106 cc descrive le sanzioni che il datore può irrorare laddove il lavoratore non si attiene
alle norme descritte nei precedenti articoli, quindi sull’art 2016 cc si fonda il potere disciplinare
anche questo di natura contrattuale. Anche questo potere è necessario, perché il datore ha tutto
l’interesse a mantenere quel rapporto come per il buon padre di famiglia, la sanzione non è di
natura risarcitoria, serve da monito agli altri lavoratori.
ART. 2106 SANZIONI DISCIPLINARI

L'INOSSERVANZA DELLE DISPOSIZIONI CONTENUTE NEI DUE ARTICOLI PRECEDENTI PUÒ DAR LUOGO ALL'APPLICAZIONE DI
SANZIONI DISCIPLINARI, SECONDO LA GRAVITÀ DELL'INFRAZIONE (E IN CONFORMITÀ DELLE NORME CORPORATIVE) (ATT. 97).

Si pone un limite di natura sostanziale: vige il principio di proporzionalità tra sanzione e infrazione
commessa. Il datore però ha sempre aggirato questo ostacolo fino agli anni ’70 irrorando sempre
sanzioni più gravi rispetto all’inadempimento perché non esisteva una disciplina limitativa
sistematica ai licenziamenti individuali. Fino al 1970 il datore era libero di recedere dal rapporto
dando un semplice preavviso non dovendolo giustificare inducendo i lavoratori ad accettare la
sanzione sproporzionata. La prima disciplina limitativa organica è arrivata nel 1966 legge 604 e
successivamente rivisitata con l’art 18 dello statuto nel ’70.
Lo statuto regola le sanzioni disciplinari mediante linee procedurali dettate dall’art. 7 questo
perché: da un lato come abbiamo detto il limite posto dal 2106 veniva aggirato, dall’altro perché
quello che viene all’interno dell’azienda tra datore e lavoratore nell’ambito delle sanzioni è un
vero e proprio procedimento: procedimento disciplinare, con un peculiarità: il giudice è una delle
due parti coinvolte, il datore stesso per cui almeno cerchiamo di garantire alcuni principi tipici
dell’ordinamento giudiziario.
Innanzitutto il principio di NULLUM CRIMEN SINE LEGEM: non esiste crimine per una legge non
codificata (comma1)
ART. 7.
SANZIONI DISCIPLINARI.
LE NORME DISCIPLINARI RELATIVE ALLE SANZIONI, ALLE INFRAZIONI IN RELAZIONE ALLE QUALI CIASCUNA DI ESSE PUÒ ESSERE
APPLICATA ED ALLE PROCEDURE DI CONTESTAZIONE DELLE STESSE, DEVONO ESSERE PORTATE A CONOSCENZA DEI LAVORATORI
MEDIANTE AFFISSIONE IN LUOGO ACCESSIBILE A TUTTI. ESSE DEVONO APPLICARE QUANTO IN MATERIA È STABILITO DA ACCORDI
E CONTRATTI DI LAVORO OVE ESISTANO. (nullum
crimen sine legem) è un onere non è un obbligo. Quindi
vediamo che il principio e stato trasfuso nel procedimento disciplinare dal cosiddetto codice
disciplinario che riporta da un lato tutte le infrazioni e dall’altro sanzioni, e vediamo come si
mantiene il principio di proporzionalità.
Comma 2 principio di difesa:
IL DATORE DI LAVORO NON PUÒ ADOTTARE ALCUN PROVVEDIMENTO DISCIPLINARE NEI CONFRONTI DEL LAVORATORE SENZA
AVERGLI PREVENTIVAMENTE CONTESTATO L'ADDEBITO E SENZA AVERLO SENTITO A SUA DIFESA.

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il datore per iscritto deve contestare l’addebito, i tempi non sono specificati, la giurisprudenza
spiega dicendo tempestivamente. Il lavoratore è libero di difendersi entro 5 gg, a voce per iscritto
o farsi assistere: comma3
IL LAVORATORE POTRÀ FARSI ASSISTERE DA UN RAPPRESENTANTE DELL'ASSOCIAZIONE SINDACALE CUI ADERISCE O CONFERISCE
MANDATO.

liberamente il sindacalista può essere interno o esterno alla azienda. Di qui vengono individuate le
sanzioni e limitate da un punto di vista sostanziale.
Sanzioni conservative:
 Rimprovero verbale
 Rimprovero scritto
 Multa che non può essere superiore alle 4 ore di retribuzione
 Sospensione per un periodo max di 10gg dal lavoro e dalla retribuzione
Sanzione espulsiva: licenziamento disciplinare
Licenziamento che avviene per colpa del lavoratore, per giusta causa e sancito dalla legge 604 del
’66.
FERMO RESTANDO QUANTO DISPOSTO DALLA LEGGE 15 LUGLIO 1966, N. 604, NON POSSONO ESSERE DISPOSTE SANZIONI
DISCIPLINARI CHE COMPORTINO MUTAMENTI DEFINITIVI DEL RAPPORTO DI LAVORO; INOLTRE LA MULTA NON PUÒ ESSERE
DISPOSTA PER UN IMPORTO SUPERIORE A QUATTRO ORE DELLA RETRIBUZIONE BASE E LA SOSPENSIONE DAL SERVIZIO E DALLA
RETRIBUZIONE PER PIÙ DI DIECI GIORNI.

IN OGNI CASO, I PROVVEDIMENTI DISCIPLINARI PIÙ GRAVI DEL RIMPROVERO VERBALE NON POSSONO ESSERE APPLICATI PRIMA
CHE SIANO TRASCORSI CINQUE GIORNI DALLA CONTESTAZIONE PER ISCRITTO DEL FATTO CHE VI HA DATO CAUSA.

Irrorata la sanzione il lavotatore può impugnarla seguendo 2 vie: via giudiziaria e via
stragiudiziaria.
Via giudiziari significa avviare un normale processo con i suoi tempi e i suoi costi
Via stragiudiziaria: avvio di commissione di arbitrato presso l’ispettorato del lavoro attraverso una
lettera comunicando la sanzione e l’intenzione di nominare un rappresentane in seno alla
commissione stessa. La direzione territoriale dell’ispettorato dovrà comunicare al datore di aver
ricevuto tale comunicazione e invitare lo stesso a nominare un suo rappresentante. Questa
commissione è tripartita c’è un rappresentante del lavoratore, un rappresentante del datore e un
terzo eletto di comune accordo, se non si trova accordo è il direttore dell’ufficio provinciale del
lavoro che la nomina e spesso nomina sé stesso, garantendo la terzietà.
Se il datore non nomina il suo rappresentante rinuncia e lascia cadere la cosa senza alcun
provvedimento.
Bisognerebbe prediligere la via stragiudiziaria a parte per i tempi e i costi ma perché con la prima
la sanzione opera, la seconda sospende la sanzione, non opera.
SALVO ANALOGHE PROCEDURE PREVISTE DAI CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO E FERMA RESTANDO LA FACOLTÀ DI ADIRE
L'AUTORITÀ GIUDIZIARIA, IL LAVORATORE AL QUALE SIA STATA APPLICATA UNA SANZIONE DISCIPLINARE PUÒ PROMUOVERE, NEI
VENTI GIORNI SUCCESSIVI, ANCHE PER MEZZO DELL'ASSOCIAZIONE ALLA QUALE SIA ISCRITTO OVVERO CONFERISCA MANDATO, LA
COSTITUZIONE, TRAMITE L'UFFICIO PROVINCIALE DEL LAVORO E DELLA MASSIMA OCCUPAZIONE, DI UN COLLEGIO DI
CONCILIAZIONE ED ARBITRATO,

COMPOSTO DA UN RAPPRESENTANTE DI CIASCUNA DELLE PARTI E DA UN TERZO MEMBRO SCELTO DI COMUNE ACCORDO O, IN
DIFETTO DI ACCORDO, NOMINATO DAL DIRETTORE DELL'UFFICIO DEL LAVORO. LA SANZIONE DISCIPLINARE RESTA SOSPESA FINO
ALLA PRONUNCIA DA PARTE DEL COLLEGIO.

QUALORA IL DATORE DI LAVORO NON PROVVEDA, ENTRO DIECI GIORNI DALL'INVITO RIVOLTOGLI DALL'UFFICIO DEL LAVORO, A
NOMINARE IL PROPRIO RAPPRESENTANTE IN SENO AL COLLEGIO DI CUI AL COMMA PRECEDENTE, LA SANZIONE DISCIPLINARE NON

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HA EFFETTO. SE IL DATORE DI LAVORO ADISCE L'AUTORITÀ GIUDIZIARIA, LA SANZIONE DISCIPLINARE RESTA SOSPESA FINO ALLA
DEFINIZIONE DEL GIUDIZIO.

NON PUÒ TENERSI CONTO AD ALCUN EFFETTO DELLE SANZIONI DISCIPLINARI DECORSI DUE ANNI DALLA LORO APPLICAZIONE.

L’ultimo comma parla della recidiva. In presenza di comportamenti recidivi del lavoratore c’è una
deroga al principio di proporzionalità del 2106, un peius, consiste nel cumulare diverse infrazioni
avvenute nel tempo e combinare una sanzione più grave del singolo adempimento a patto che il
datore non utilizzi infrazioni avvenute prima di 2 anni.

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LEZIONE 3 – DIRITTO DEL LAVORO

Categorie legali di lavoratori:


- Dirigenti
- Quadri (nuova categoria che si colloca tra gli impiegati di altissimo livello e i dirigenti)
- Impiegati
- Operai (attività manuale a differenza delle altre tre che hanno attività intellettuali)

Tutte le categorie sono caratterizzate dall’elemento della subordinazione, ma è utile distinguerlo


perché le differenze sono non tanto sulle modalità di svolgimento, ma sul piano economico,
dell’orario di lavoro, delle responsabilità, previdenziale, contributivo, ecc
La disciplina degli orari di lavoro prevede che i dirigenti non abbiano dei vincoli di orario.
Copertura legale per le responsabilità che i dirigenti si assumono, che gli altri lavoratori non
hanno.
Il compenso non dipende solo dalla contrattazione collettiva, ma anche dalla forza contrattuale
che ha un lavoratore. Ma non si può andare al di sotto di ciò che impone la contrattazione
collettiva.
La QUALIFICA rappresenta l’elemento soggettivo all’interno dell’organizzazione lavorativa; la
qualifica può essere ricoperto da una posizione che ha maturato determinate esperienze di tipo di
studio, lavoro, esperienze già acquisite. La qualifica è qualcosa di unico e personale che
caratterizza un lavoratore e rappresenta l’aspetto soggettivo del lavoratore. Ci sono poi delle
qualifiche oggettive rilasciate già da un percorso di studi.
La MANSIONE rappresenta l’attività da svolgere (manuale o intellettuale), ciò che può essere
materialmente fatto. All’interno del tassello ci sono più mansioni: vengo assunto per fare A + B + C.
Magari comincio col fare A, ma poi mi può essere richiesto di fare altro. Art.2013 La mansione
viene dedotta nel contratto di assunzione. Le mansioni sono decise dalla contrattazione collettiva;
tutti i contratti collettivi prevedono il cosiddetto mansionario. Se non lo fa la contrattazione
collettiva, lo fa l’azienda. Nella pubblica amministrazione di solito si prevedono 4 livelli, con
ulteriori sottolivelli. C’è un inquadramento unico: all’interno dello stesso livello ci possono essere
sia impiegati, sia operai e prendono lo stesso stipendio. Di solito i quadri fanno parte del livello D,
e i dirigenti hanno un trattamento a parte.
Il datore di lavoro può modificare le mansioni inizialmente pattuite. Potere dello IUS VARIANDI:
possibilità di modificare le mansioni del lavoratore. Questo potere è stato limitato dallo statuto dei
lavoratori
2013 codice civile art 13/1970 dello statuto dei lavoratori  job’s act

L’art 2013 prevede la possibilità di modificare le mansioni secondo una


 mobilità verticale
o verso l’alto è possibile per fatti eccezionali organizzativi, massimo per un periodo di 6
mesi, superati i quali diventa definitiva, durante questi 6 mesi il lavoratore dovrà essere
retribuito secondo la nuova mansione. Questo limite massimo è dovuto al fatto che il
lavoratore non può rifiutare questa modifica in quanto la mansione rappresenta
l’obbligazione del lavoratore. Nel settore pubblico si può arrivare fino ad un anno

11
(6mesi, più altri 6 mesi) se nel frattempo sono state avviate le procedure di
reclutamento (concorso). Il lavoratore spostato non potrà mai avere quella mansione in
maniera definitiva perché nel settore pubblico si accede per merito.
o verso il basso non era possibile fino al job’s act perché l’articolo 13 aveva l’obiettivo di
tutelare la professionalità del lavoratore, in realtà accadevano anche prima quando
queste deroghe erano previste da leggi speciali:
- quando il lavoratore perde la capacità di svolgere quella attività per inabilità o
infortunio
- per la tutela della gravidanza
- in alternativa ai licenziamenti collettivi 223/199 1per la salvaguardia
dell’occupazione
Nel 2015 il governo Renzi con il job’s act prevede ulteriori ipotesi:
- in caso di modifica degli assetti aziendali: ogni volta che l’azienda procede ad una
modifica degli assetti organizzativi;
- oppure quando i contratti collettivi lo possano prevedere.
Queste ipotesi sono previste in determinate condizioni:
- il lavoratore deve rimanere nella stessa categoria;
- il lavoratore deve avere la stessa retribuzione;
- il demansionamento deve essere accompagnato da un’attività formativa.
Questa norma è stata introdotta nell’ottica di salvaguardare l’organizzazione aziendale,
tralasciando la dignità lavorativa del lavoratore che era salvaguardata dall’art 2103.
 mobilità orizzontale all’interno dello stesso livello retributivo. Nel passato si diceva che poteva
avvenire per mansioni equivalenti (in senso accrescitivo), cioè che tengano conto delle
esperienze professionali precedenti. Con il job’act questo non è più previsto: posso chiedere al
lavoratore di svolgere qualunque mansione.

Art 2094
ART. 2094 PRESTATORE DI LAVORO SUBORDINATO

E’ PRESTATORE DI LAVORO SUBORDINATO CHI SI OBBLIGA MEDIANTE RETRIBUZIONE A COLLABORARE NELL'IMPRESA, PRESTANDO IL PROPRIO
LAVORO INTELLETTUALE O MANUALE ALLE DIPENDENZE E SOTTO LA DIREZIONE DELL'IMPRENDITORE (2239).

individua l’oggetto dell’obbligazione corrispettiva: il lavoratore presta la sua attività lavorativa, il


datore di lavoratore gli corrisponde una retribuzione adeguata.
Art 2099
ART. 2099 RETRIBUZIONE

LA RETRIBUZIONE DEL PRESTATORE DI LAVORO PUÒ ESSERE STABILITA A TEMPO O A COTTIMO E DEVE ESSERE CORRISPOSTA NELLA MISURA
DETERMINATA (DALLE NORME CORPORATIVE), CON LE MODALITÀ E NEI TERMINI IN USO NEL LUOGO IN CUI IL LAVORO VIENE ESEGUITO.

IN MANCANZA (DI NORME CORPORATIVE O) DI ACCORDO TRA LE PARTI, LA RETRIBUZIONE E DETERMINATA DAL GIUDICE, TENUTO CONTO, OVE
OCCORRA, DEL PARERE DELLE ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI.

IL PRESTATORE DI LAVORO PUÒ ANCHE ESSERE RETRIBUITO IN TUTTO O IN PARTE CON PARTECIPAZIONE AGLI UTILI O AI PRODOTTI, CON
PROVVIGIONE O CON PRESTAZIONI IN NATURA (COD. PROC. CIV. 409).

 individua le diverse tipologie di retribuzione e come deve essere adempiuta. Dal punto di vista

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giuridico la retribuzione rientra nelle obbligazioni pecuniarie (art. 1277 e seguenti); esse
soggiacciono ad alcune regole:
 la loro esecuzione deve avvenire con la diligenza del buon padre di famigli, ricordiamo che
invece la diligenza richiesta al lavoratore è una diligenza tecnico-professionale;
 sono soggette a risarcimento del danno in caso di ritardo o inadempimento (art. 1182 e
seguenti).
La retribuzione può essere stabilita:
 a tempo: per gli operai la retribuzione prende il nome di salario e può essere giornaliera o
settimanale; per gli operai e i quadri si parla di stipendio ed è mensile;
 a cottimo oggi utilizzata solo per il lavoro a domicilio, viene stabilita in base non al tempo
ma alla quantità della produzione. Oggi in realtà si usa il cosiddetto cottimo misto in cui
una parte della retribuzione viene calcolata a tempo e una a cottimo.
Altre modalità di retribuzione, di solito aggiuntive rispetto alla retribuzione a tempo, sono:
 partecipazione agli utili: tipica della retribuzione dei manager a cui viene offerta una
percentuale dell’utile dell’azienda per incentivarli a farlo crescere;
 partecipazione ai prodotti (es: ogni settimana il lavoratore ha diritto a 50€ di prodotti
caseari);
 provvigione: percentuale sulle vendite;
 prestazioni in natura: tramite dei servizi che hanno un valore economico (telefonino,
alloggio, auto).
Il datore di lavoro secondo la legge 4/1953 deve dare a tutti i lavoratori il rospetto paga o busta
paga, dal 1993 obbligatorio anche nel settore agricolo. Esso consiste in una certificazione di ciò che
è stato maturato dal lavoratore; ciò che è stato trattenuto per le tasse e ciò che il datore di lavoro
gli deve al netto.
Una busta paga è divisa in tre settori:
 nel primo c’è scritto chi è il datore di lavoro e chi il lavoratore;
 nel secondo ci sono voci relative ai giorni di lavoro, straordinari, ferie, assegni familiari, ecc.
 nel terzo sono elencate le somme imponibili dal punto di vista contributivo (pensione); il
datore di lavoro è definito sostituto d’imposta perché trattiene i contributi. (retribuzione
lorda meno contributi meno tasse uguale retribuzione netta).
Art 36 della costituzione (norma precettiva *) impone il perseguimento di due principi
fondamentali:
 principio di proporzionalità alla quantità (in funzione del tempo messo a disposizione dal
lavoratore) e alla qualità (in funzione alla mansione) della prestazione erogata. Non esiste
un principio di parità di trattamento perché ogni lavoratore è diverso dall’altro;
 principio di sufficienza che esprime il ruolo sociale della retribuzione che deve garantire
un’esistenza libera e dignitosa al lavoratore e alla sua famiglia. Sia in ambito privato, sia
pubblico, non si può andare al di sotto del limite minimo previsto dalla contrattazione
collettiva, che è il punto di equilibrio, il luogo in cui si incontrano le volontà dei
contrapposti interessi di lavoratore e datore di lavoro.
* Le norme della costituzione si dividono in:
- precettive sono immediatamente esecutive senza il filtro di una legge;

13
- programmatiche la loro attuazione avviene attraverso il legislatore ordinario
successivamente.
Lezione 4 - DIRITTO DEL LAVORO
Licenziamenti e contratti speciali

LICENZIAMENTI E DIMISSIONI
I licenziamenti rientrano nell’ambito dell’argomento più generale dell’estinzione del rapporto.
Anche il rapporto di lavoro, come tutti i fatti legati alle vicende dell’uomo, ha un suo termine nel
tempo.
Come si estingue il rapporto di lavoro da un punto di vista giuridico? Gli strumenti per farlo sono
sostanzialmente 2:
 attraverso la volontà:
 per volontà di uno dei contraenti; che a sua volta può essere:
- volontà del datore (licenziamento)
- volontà del prestatore di lavoro (dimissioni)
 per volontà di entrambi i contraenti
 per impossibilità sopravvenuta
Nota: non confondere dimissioni con licenziamento. “Io mi licenzio” è errato in quanto il
licenziamento è nei poteri del datore, e gli effetti dell’atto del licenziamento sul lavoratore sono
diversi da quelli delle dimissioni.
Il datore di lavoro riceve un danno a seguito delle dimissioni (trovare un nuovo lavoratore,
formarlo, c’è il rischio che all’inizio quell’attività il nuovo non riesca a svolgerla, ecc.) ma è un
danno di tipo organizzativo, e quindi non paragonabile a quello subito dal lavoratore per effetto
del licenziamento.
In ogni caso, che si tratti di licenziamento o di dimissioni, siamo di fronte ad un “recesso
unilaterale recettizio” (un atto di estinzione di rapporto che promana da una delle parti contraenti
ed è quindi “unilaterale”; “recettizio” nel senso che esplica i suoi effetti nel momento in cui l’altra
parte ne viene a conoscenza, attraverso una lettera raccomandata).
Nel caso la cessazione avvenga per volontà di entrambe le parti si definisce “risoluzione
consensuale” o “estinzione per mutuo consenso” (es. quando il lavoratore non ha più interesse nel
continuare a lavorare, l’azienda è in crisi e si decide consensualmente di chiudere il rapporto).
C’è poi un secondo strumento che è quello della impossibilità sopravvenuta (1463 e 1256 Codice
Civile) cioè si tratta di estinzione del rapporto per eventi che possono riguardare sia l’impresa che
la persona del lavoratore. Es. quando a seguito di un evento grave atmosferico ha preso fuoco
l’azienda, o c’è stato un terremoto che l’ha danneggiata, l’estinzione di lavoro è legata ad un
evento oggettivo, che va oltre la sola volontà del datore di lavoro e/o del lavoratore. Lo stesso vale
per eventi concernenti la persona del lavoratore: es. se il lavoratore ha subito un infortunio, che
determina una ridotta capacità lavorativa e il datore non riesce ad inserirlo in una nuova mansione
compatibile al suo nuovo stato psicofisico allora è possibile cessare il rapporto di lavoro per
impossibilità sopravvenuta perché non lo si può occupare in nessuna fase della produzione
dell’azienda.

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Il codice civile inoltre, in ossequio ai principi liberali vigenti nel periodo corporativo in cui è nato,
ha pensato di porre i due contraenti su uno stesso piano, disciplinando l’estinzione del rapporto
negli articoli 2118 e 2119 CV:
ART. 2118 (RECESSO DAL CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO)
CIASCUNO DEI CONTRAENTI* PUÒ RECEDERE DAL CONTRATTO DI LAVORO A TEMPO
INDETERMINATO, DANDO IL PREAVVISO NEL TERMINE E NEI MODI STABILITI (DALLE NORME
CORPORATIVE), DAGLI USI O SECONDO EQUITÀ (ATT. 98).**
IN MANCANZA DI PREAVVISO, IL RECEDENTE È TENUTO VERSO L’ALTRA PARTE A UN’INDENNITÀ
EQUIVALENTE ALL’IMPORTO DELLA RETRIBUZIONE CHE SAREBBE SPETTATA PER IL PERIODO DI
PREAVVISO.***
LA STESSA INDENNITÀ È DOVUTA DAL DATORE DI LAVORO NEL CASO DI CESSAZIONE DEL
RAPPORTO PER MORTE DEL PRESTATORE DI LAVORO.
*Li mette sullo stesso piano
**Quindi disciplina la cosiddetta libera recedibilità (non c’è alcun limite né al potere di licenziare
né alla facoltà del lavoratore di dare le proprie dimissioni); non ci sono differenze tra i due
contraenti e non c’è alcun limite nel datore e nel lavoratore se non quello formale legato al
cosiddetto preavviso, cioè il periodo che precede l’atto del licenziamento o delle dimissioni, un
periodo normale di lavoro (es. 1 settimana, 20gg, 1 mese, ecc.). Questo articolo ha trovato piena
applicazione fino agli anni ‘60-70, dando un potere enorme al datore di lavoro in quanto non c’era
un limite all’esercizio del potere di licenziare.
Questo periodo di preavviso è determinato dalla contrattazione collettiva corporativa (lì si faceva
riferimento alle norme corporative, un ordinamento venuto meno nel 1944, sostituendole con le
norme dei contratti collettivi che stabiliscono solitamente in funzione dell’età di servizio e del
livello contrattuale). Quindi più è alto e il livello e l’anzianità di servizio e maggiore sarà il periodo
di preavviso (si parte con un preavviso minimo di 1 settimana fino ad un massimo anche di 2-3
mesi).
***Se il datore ometteva di dare questo preavviso, il periodo di normale di lavoro che spettava al
lavoratore dovrà essere indennizzato (es. se doveva essere avvisato 15 gg prima, gli verranno
indennizzati 15 giornate di lavoro per mancato preavviso).
Il Codice civile ulteriormente aggiunge un nuovo articolo per il recesso ad nutum:
2119 (RECESSO PER GIUSTA CAUSA):
CIASCUNO DEI CONTRAENTI PUÒ RECEDERE DAL CONTRATTO PRIMA DELLA SCADENZA DEL
TERMINE, SE IL CONTRATTO È A TEMPO DETERMINATO, O SENZA PREAVVISO, SE IL CONTRATTO È
A TEMPO INDETERMINATO, QUALORA SI VERIFICHI UNA CAUSA CHE NON CONSENTA LA
PROSECUZIONE, ANCHE PROVVISORIA, DEL RAPPORTO.*
SE IL CONTRATTO È A TEMPO INDETERMINATO, AL PRESTATORE DI LAVORO CHE RECEDE PER
GIUSTA CAUSA COMPETE L’INDENNITÀ INDICATA NEL SECONDO COMMA DELL’ARTICOLO
PRECEDENTE. NON COSTITUISCE GIUSTA CAUSA DI RISOLUZIONE DEL CONTRATTO IL FALLIMENTO
DELL’IMPRENDITORE O LA LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA DELL’AZIENDA.
* Quindi regola generale: le parti sono in grado di recedere in qualunque momento senza
giustificazioni, ma dando un preavviso. In presenza di una giusta causa, quindi quella causa

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talmente grave da non consentire la prosecuzione neanche in maniera provvisoria, il datore può
recedere senza preavviso (es. se scopre che il lavoratore ruba può licenziarlo in tronco, “ad
nutum”).
Si è discusso sulla natura del preavviso (reale o obbligatoria): se dopo il preavviso interviene un
fatto nuovo (es. malattia, il compimento delle ferie, un infortunio) che succede? Il preavviso si
interrompe o al termine dei gg dovrà comunque licenziarlo? L’interpretazione del preavviso come
natura reale significa che il fatto interruttivo blocca il decorso del preavviso che riprende al
termine dell’evento interruttivo (quindi se mancano TOT giorni di lavoro al momento della
malattia, una volta terminata tornerà a lavorare per quei TOT giorni prima di cessare il rapporto di
lavoro). Se si accede alla natura obbligatoria, invece, indipendentemente da qualunque fatto
interruttivo, il licenziamento opera comunque al termine del preavviso. La tesi prevalente è quella
che accede alla natura reale, quindi secondo la giurisprudenza prevalente il periodo di preavviso
ha comunque natura reale.
Non è un caso che molti lavoratori ricevuto il preavviso di licenziamento si ammalano, grazie a
questa interpretazione abbastanza elastica del periodo di preavviso.
Questa (artt 2118, 2119) è stata la prima normativa fatta in tema dell’estinzione del rapporto di
lavoro, fino al 1966 quando è arrivata in Italia una nuova normativa forte specifica dei
licenziamenti individuali (L. 604/66). Il contenuto di questa norma era già stato anticipato da alcuni
contratti collettivi, sui limiti all’esercizio del potere di licenziare da parte del datore di lavoro: la
604 ha raccolto queste iniziative e le ha fatte proprie.
La L. 604/66 disciplina in maniera organica i licenziamenti individuali, distinguendoli rispetto alle
dimissioni, e ponendo una serie di limiti di natura sostanziale e formale al potere di licenziare del
datore di lavoro.
Nell’art. 1 introduce l’obbligatorietà della giustificazione del licenziamento (il licenziamento non
può avvenire più liberamente ma deve essere giustificato; ciò ha dato stabilità e sicurezza ai
lavoratori).
ART 1. “Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intercedente con datori di lavoro privati o
con enti pubblici, ove la stabilità non sia assicurata da norme di legge, di regolamento e di
contratto collettivo o individuale, il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che
per giusta causa ai sensi dell’articolo 2119 del Codice civile o per giustificato motivo.”
Quindi il licenziamento può avvenire solo per giusta causa (vedere art 2119) o per giustificato
motivo. Che cos’è il giustificato motivo? Esso, come disciplinato dall’art. 3, può essere soggettivo o
oggettivo:
- soggettivo (= un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di
lavoro, cioè quelli di diligenza, obbedienza, fedeltà nell’accezione della non concorrenza)
- oggettivo (= licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva,
all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa).
Secondo vincolo (art. 2): il licenziamento deve essere comunicato per iscritto (quelli verbali non si
possono fare più).

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Terzo limite (art 4): i licenziamenti discriminatori sono nulli, cioè quelli che avvengono per motivi
di credo politico, fede religiosa, appartenenza a un sindacato o partecipazione all’attività sindacale
(indipendentemente dalla motivazione adottata).

La legge 604 introduce poi una tutela a favore dei licenziamenti illegittimi, privi di una giusta causa
o di giustificato motivo soggettivo/oggettivo.
Parliamo della cosiddetta Tutela obbligatoria (Art. 8) = nel caso in cui il giudice si rende conto che il
licenziamento non era supportato né da giusta causa né da giustificato motivo, condannerà il
datore di lavoro o a riassumere il lavoratore oppure al risarcimento (da un minimo 2,5 ad un
massimo di 6 mensilità, ulteriormente elevata fino a 10 o fino a 14 mensilità nel caso in cui
l’anzianità del lavoratore superi rispettivamente i 10 o 20 anni). Al datore di lavoro spetta scegliere
se riassumerlo (facendo un nuovo contratto) o se pagare la penale (il risarcimento).

A questa legge si aggiunge poi lo Statuto dei Lavoratori con il suo art. 18 (“Reintegrazione dei
posti di lavoro”): in caso di licenziamento privo di forma, era prevista la condanna del datore di
lavoro alla reintegrazione del posto di lavoro oltre che al risarcimento del danno subito dal
lavoratore (cioè della perdita della retribuzione). Introduce così una Tutela reale = non solo il
lavoratore viene reintegrato, che riprende nella stessa mansione e con le stesse retribuzioni, ma
avrà anche diritto a tutte le retribuzioni che ha perso dal momento del licenziamento al momento
della reintegrazione. Normalmente un processo può durare dai 2 ai 3 anni, quindi il risarcimento
ammonterà a due o tre anni di retribuzione, comprensivi di eventuali tredicesime o
quattordicesime, pagamento dei contributi, ferie, permessi, ecc. Quindi il datore riceve un danno
grandissimo.
Quando si applica la tutela obbligatoria e quando la reale? L’applicazione di una o dell’altra è in
funzione delle dimensioni del datore di lavoro: per le unità produttive con più di 15 dipendenti o
se hanno più unità produttive sparse nel territorio (la cui somma >60 dipendenti complessivi) si
applica la tutela reale; in tutti i restanti casi si applicherà la tutela obbligatoria. Quindi la tutela più
forte si applica nelle aziende più grosse.
Questa impostazione (tutela reale-tutela obbligatoria) è stata rivisitata nel 2012 per opera di un
legislatore tecnico: la legge Monti-Fornero (L. 92/2012).
L’art. 18, quindi, oggi non prevede più soltanto una sanzione nei confronti del datore, ma distingue
4 sotto-tutele:
1) Tutela reintegratoria piena (si ha per motivi discriminatori): quindi se si dimostra che la
motivazione ha caratteri discriminatori, il datore verrà condannato alla reintegrazione + il
risarcimento del danno; inoltre si aggiunge che il lavoratore avrà diritto, nel caso decida di
non proseguire il rapporto di lavoro, di ottenere un ulteriore risarcimento pari ad almeno
15 mensilità.
2) Tutela reintegratoria attenuata (nel caso di giustificato motivo soggettivo, quindi per
licenziamenti disciplinari, cioè quelli che dipendono dal comportamento del lavoratore
inadempiente). Se si dimostra che il datore ha inventato la motivazione disciplinare, il
datore verrà condannato a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro oltre che risarcirlo.
Il risarcimento non sarà pieno; sarà invece pari ad una somma non superiore alle 12
mensilità.

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3) Tutela risarcitoria piena (nel caso di giustificato motivo oggettivo, quindi i licenziamenti
economici). Se si dimostra che non esiste la giustificazione economica, non è prevista la
reintegrazione ma solo un risarcimento (da un minimo di 12 a un massimo di 24 mensilità).
4) Tutela risarcitoria attenuata (per quei casi in cui sono seguite le prescrizioni di natura
formale; es. nella forma scritta; non sono state indicate le motivazioni; non si è seguita la
procedura corretta; ecc.) e prevede solo un risarcimento da un minimo di 6 a un massimo
di 12 mensilità.
Oggi l’art. 18 per come è stato riscritto dalla legge Fornero, non fa più paura a nessuno in quanto è
stata introdotta la possibilità di mandare via il lavoratore senza reintegrarlo ma solo pagando.
NOTA: Reintegrare non significa riassumere:
- Reintegrazione significa che il lavoratore rientra nell’azienda con le stesse funzioni,
mansioni, retribuzioni in quanto prevede la nullità dell’atto del licenziamento, come se il
lavoratore avesse sempre lavorato (per questo vengono risarcite tutte le retribuzioni
mensili e contributi);
- l’art. 8 (tutela obbligatoria) invece considera l’atto annullabile, cioè produce comunque
l’effetto (cioè l’estinzione del rapporto di lavoro) quindi portando il datore a fare o un
nuovo contratto (quindi libero anche di assegnare una nuova mansione) o a risarcire con
una somma di denaro.
Gli articoli 2118 e 2119 continuano ad esistere nel nostro ordinamento, ma vengono applicati in
maniera eccezionale nei confronti di 5 categorie di lavoratori.
1. Dirigenti
2. Lavoratori in prova
3. Lavoratori ultrasessantacinquenni che hanno già maturato i requisiti per la pensione di
anzianità
4. Lavoratori domestici
5. Lavoratori sportivi professionisti
Su questi non si applicano le regole generali, ma si applicano le norme più vecchie (2118,
2119).
Es. 1 il dirigente -> essendo l’alter ego del datore di lavoro, che lavora per obiettivi e risultati, è
giusto dare al datore la possibilità di liberarsi di questa figura nel caso non raggiunga i risultati
concordati.
Es. 2 lavoratori in prova: il “periodo di prova” è quel periodo che serve per il datore a verificare
se il lavoratore ha i requisiti e capacità per svolgere una determinata attività e al lavoratore
capire se gli piace l’ambiente e i colleghi. Il periodo di prova è disciplinato dai contratti collettivi
e per legge non può superare i 6 mesi. Durante questo periodo le parti sono libere (art 2118) di
recedere il contratto, perché è giusto che in questo momento le fasi siano ancora libere di
scegliere se continuare o meno.
Es. 3 over65 che hanno maturato i requisiti della pensione -> è possibile licenziare senza vincoli
e conseguenze perché è evidente che il lavoratore ha già il “paracadute” (la pensione), quindi

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l’effetto del licenziamento è neutralizzato e non c’è bisogno di tutelare il lavoratore in maniera
forte.
Es. 4 lavoratori domestici -> il datore di lavoro è una famiglia che ha messo in casa un
lavoratore terzo e quindi è giusto dare la possibilità alla famiglia (che non è un’impresa) di
liberarsi di questa figura.
Es. 5 lavoratori sportivi professionisti (nota: non tutti sono considerabili lavoratori sportivi
professionisti, ma solo quelli di federazioni sportive professionistiche riconosciute dal CONI, es.
sono compresi calcio e basket da una certa serie in su, golf, tennis, ecc.; la pallavolo invece non
è professionistica e pertanto non rientra) -> si giustifica perché questi vengono pagati fior di
quattrini per raggiungere gli obiettivi della società sportiva, e quindi è giusto liberarsi dei
giocatori (o dei membri dello staff tecnico, sanitario, ecc. dell’associazione sportiva).

CONTRATTI UTILIZZATI NEL RAPPORTO DI LAVORO


Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato è il contratto per antonomasia. Come
definito dall’art. 1 della legge 81 del 2015 (JOBS ACT) esso è considerato la forma comune di
rapporto di lavoro.
Nel periodo di crisi economica, ma più in generale la crisi di occupazione ha visto come
risposta la ridefinizione di tutti i contratti con questa puntualizzazione: il contratto tipo,
comune, deve essere sempre il contratto a tempo indeterminato. Ogni qualvolta si assume a
tempo indeterminato la legislazione si preoccupa di supportare con una serie di agevolazioni;
pertanto cerca di supportarla con azioni mirate a favorire l’utilizzo di questo contratto
(incentivi di natura economica e fiscale).
Non esiste soltanto il lavoro a tempo indeterminato, pertanto il decreto 81 del 2015 (jobs act)
riscrive in maniera organica tutti i contratti di lavoro in Italia. Tra i più importanti abbiamo:
Collaborazioni = forme di lavoro autonomo, non anche subordinato, rivisitate dal jobs act.
Sono molto utilizzate in aziende come i call center, aziende di delivery. In realtà il Jobs Act ha
cancellato quelli che erano i “contratti di collaborazione a progetto” (CO.CO.PRO) che tanto si
utilizzavano fino al 2015. Quindi, nell’ottica di favorire il lavoro stabile e non consentire più un
grande utilizzo flessibile della manodopera (il lavoro precario), il legislatore ha deciso di
cancellare le collaborazioni a progetto.
In realtà continuano ad esistere, ma soltanto qualora queste siano previste dai contratti
collettivi; o ancora, è possibile avere dei contratti di collaborazione con riferimento all’esercizio
di professioni intellettuali, cioè quelle disciplinate dalla legge (è prevista l’iscrizione in un Albo,
registro, Ordine professionale); è possibile avere delle collaborazioni anche quando parliamo di
attività fatte dagli organi di controllo o dagli ordini di amministrazione di società (con
riferimento agli amministratori, sindaci, ecc.); o ancora si parla di collaborazione per tutte
quelle prestazioni rese nei confronti delle associazioni e società sportive dilettantistiche
affiliate a federazioni.
Quindi sono ancora possibili oggi le collaborazioni, ma se ne è ristretto il campo di
applicazione.

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Altro contratto di larghissimo uso è il contratto a tempo parziale (art. 4 e seguenti jobs act),
cioè quel contratto che, indipendentemente se sia a tempo determinato o indeterminato, il cui
orario di lavoro è ridotto rispetto a quello di un contratto di lavoro normale o “full time” (per
cui è sufficiente che ci sia un’ora in meno per ritenerlo part time; non esiste un minimo o un
massimo di ore). Esso può essere di 3 sottotipi:
- Part time orizzontale = la diminuzione dell’orario è su base fissa giornaliera (quindi lavora
tutti giorni con un orario ridotto, es. 9-15: 6 ore giornaliere, 30 a settimana)
- Part time verticale = la riduzione non è base giornaliera ma settimanale, mensile,
bimensile, trimestrale, semestrale o annuale. Quindi non si tiene conto della singola
giornata lavorativa ma la settimana o periodi più ampi. Es. lunedì lavoro 8 ore, il martedì
non lavoro, mercoledì 8 ore, giovedì no, ecc. nella settimana il totale complessivo è di 24
ore settimanali, che è ridotto rispetto alle 40 settimanali del full time). Questo molto spesso
in funzione agli incrementi del lavoro (es. il cameriere che lavora di più il venerdì, sabato
domenica mentre gli altri giorni non c’è bisogno perché non c’è grande afflusso)
- Part time misto = è una combinazione delle due tipologie precedenti, in funzione delle
esigenze
Il part time è una tipologia nata inizialmente per andare incontro alle esigenze del datore di
lavoro di avere maggiore flessibilità nell’utilizzo della manodopera. Sebbene sia disciplinato
oggi dal d.lgs. 81/2015 era già stato introdotto in Italia dagli inizi degli anni ’70 (in cui non vi era
esigenza di stabilità ma di flessibilità della manodopera e di favorire la nuova occupazione).
In realtà si è pensato a part time anche per andare incontro alle esigenze dei lavoratori e delle
lavoratrici che si fanno carico della famiglia e della casa, dando maggiori ore libere nella
giornata per lo svolgimento di altre attività di vita familiare, hobby o altre attività lavorative.
L’art. 6 prevede che anche nel contratto di lavoro a tempo parziale possano essere svolti degli
orari di lavoro sia di natura straordinaria che supplementare.
Il lavoro supplementare è lo svolgimento di attività lavorativa in quella fascia di orario
compresa tra l’orario legale (40 ore) e l’orario contrattuale (es. alcune contrattazioni collettive
prevedono nella PA un orario contrattuale di 36 ore; negli ospedali 35-36 ore; nella scuola 30
ore; ecc.). Il lavoro supplementare viene pagato con delle maggiorazioni previste dalla
contrattazione collettiva. È possibile svolgere ore di lavoro supplementare anche nel part time
a condizione che queste non siano superiori al 25% delle ore prestabilite (es. part time di 4 ore
giornaliere  25% = max 1 ora in più) e la maggiorazione deve essere pagata con una
maggiorazione di almeno il 15%.
Il lavoro straordinario è quello che va oltre il lavoro ordinario (oltre le 40 ore). Anche in questo
caso nel part time possono essere svolte ore di lavoro straordinario, secondo quelli che sono i
limiti stabiliti dalla contrattazione collettiva: ogni contratto ha un limite massimo di ore che
possono essere effettuate e le maggiorazioni economiche (che vanno dal 15-20% a salire, a
seconda del tipo di lavoro straordinario, notturno, festivo, notturno e festivo, …).
Inoltre nel contratto part-time possono essere inserite anche le cosiddette clausole elastiche,
che consentono al datore di lavoro di modificare la collocazione temporale dell’attività
lavorativa o di variare in aumento la prestazione lavorativa. Nel primo caso consente al datore
di spostare l’orario, es. dalle 10 alle 12 passa dalle 11 alle 13, lasciando invariato il numero

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delle ore. Nel secondo caso si modificano in aumento le ore di lavoro che non può eccedere il
limite del 25% di della prestazione pattuita, altrimenti si va a stravolgere l’accordo concordato
(è prevista sempre una maggiorazione di almeno il 15% della contribuzione); si può variare solo
in aumento e non diminuirlo. Il lavoratore ha diritto ad un preavviso di almeno 2 giorni per la
modifica delle ore.
Il lavoratore può eventualmente rifiutare o revocare il consenso alle clausole elastiche e ciò
non potrà comunque costituire un giustificato motivo di licenziamento.
I lavoratori part-time hanno gli stessi diritti dei lavoratori comparabili (cioè dei lavoratori a
tempo pieno) per il principio di non discriminazione; es. stesso numero di giorni di ferie.
Un altro diritto è il diritto della trasformazione del rapporto da full time a part time: una volta
era previsto, ora non esiste più né nel settore privato né nella pubblica amministrazione. Solo
in un caso il lavoratore ha diritto a questa trasformazione ed è quando il lavoratore è affetto da
con patologie oncologiche o da patologie cronico-degenerative ingravescenti per le quali
residui una ridotta capacità lavorativa. C’è un altro caso, in cui non si crea un diritto di
trasformazione ma un diritto di precedenza (cioè se il datore dovesse avere intenzione di
procedere alla trasformazione da full time a part time dovrà tenere in considerazione la
richiesta avanzata da alcuni lavoratori): questi lavoratori sono quelli con coniugi, figli o genitori
affetti da patologie oncologiche o da gravi cronico-degenerative, che avranno quindi un diritto
di precedenza.
Il contratto a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato nel quale è prevista
una durata prefissata, attraverso l’apposizione di un termine.
L’apposizione del termine, è priva di effetto, se non risulta da atto scritto. Se la durata viene
omessa è da considerarsi a tempo indeterminato.
la durata massima del contratto a tempo determinato è attualmente fissata in 12 mesi, con
possibilità di estensione a 24 mesi, ma solo in presenza di almeno una delle seguenti
condizioni (art. 19):
- esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività lavorativa;
- esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
- esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività
ordinaria.
Il contratto a termine non può, quindi, avere una durata superiore a 24 mesi, comprensiva di
proroghe o per successione di più contratti,
Qualora sia superato il limite di durata dei 12 mesi, in assenza delle condizioni che legittimano
l’estensione a 24 mesi, oppure sia superato il limite dei 24 mesi, il contratto si trasforma in
contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine.
C’è un’eccezione però: è possibile sforare questi mesi solo in un caso, quando andiamo a
sottoscrivere e giustificare questo contratto in una sede protetta, cioè presso l’ispettorato del
lavoro che controllerà l’eccezionalità della situazione, prorogandolo per max altri 12 mesi (es.

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quando il lavoratore non è riuscito a terminare l’opera che era stata prefissata nell’arco di
tempo dei 12/24 mesi). Questo si può fare massimo una volta.
Quando non è possibile fare il contratto a tempo determinato: i divieti classici. Non è possibile
fare un contratto a tempo determinato
- Per sostituire un lavoratore in sciopero (perché l’obiettivo dello sciopero è quello di
creare un danno al datore di lavoro; si consente quindi la libertà sindacale)
- In quelle aziende nei cui 6 mesi precedenti si è proceduto a licenziamenti collettivi (quelli
che riguardano almeno 5 lavoratori nell’arco temporale di 120 giorni); questo perché lo
Stato mira a sostenere i lavoratori licenziati e non è giusto assumere nuovi per sostituire
lavoratori che gli costavano di più rispetto a quelli nuovi giovani
- In quelle aziende che stanno usando la Cassa Integrazione; la Cassa Integrazione è uno
strumento di sostegno del reddito: l’INPS evita il licenziamento, mantiene i lavoratori e al
termine della sospensione del rapporto di lavoro il datore riprende a far svolgere i
lavoratori le loro normali mansioni. Quindi non si può assumere a contratto a tempo
determinato per sostituire lavoratori che sono coperti dalla cassa integrazione.
- Quando i datori di lavori non hanno proceduto alla valutazione dei rischi (dlg. 81/2008,
che stabilisce che tutti i datori di lavoro devono attuare una serie di precauzioni per
evitare il rischio di infortunio in ambiente di lavoro). Nelle aziende dove non si è proceduti
al DVR (Documento di Valutazione dei Rischi) perché, come dice l’INAIL, è evidente che i
lavoratori più esposti al rischio di infortuni sono proprio i precari (perché sono quelli che
non sono ancora riusciti a conoscere tutti i meccanismi dell’azienda e quindi il rischio
infortuni è elevatissimo) e i lavoratori stranieri (perché non conoscono bene la lingua),
quindi sono tutelati in questo modo.
Possono essere prorogati o rinnovati i contratti a tempo determinato? Si.
Inizialmente le proroghe erano 5, ora sono 4: quindi nell’arco dei 12/24 mesi si possono prorogare
massimo 4 volte, fino ad arrivare al termine complessivo massimo di 12 o 24 mesi. Proroga
significa che lo stesso contratto continua, quindi stessa attività, mansione e retribuzione della
prima stabilita.
Prosecuzione del rapporto oltre la scadenza del termine
Se il contratto dovesse andare oltre la proroga non si trasforma in contratto a tempo
indeterminato: esiste un “periodo di tolleranza” (se continua oltre la sua naturale scadenza per i
primi 10 giorni è prevista una maggiorazione economica del 20%; se continua oltre i 10 giorni una
maggiorazione del 40%). Tutto questo senza superare i limiti massimi prestabiliti dal contratto
precedente: se il primo contratto era inferiore ai 6 mesi sforando i 30 giorni si trasforma a tempo
indeterminato; se il contratto era di oltre 6 mesi, sforando oltre 50 giorni dopo si trasforma a
tempo indeterminato.
Rinnovo del contratto a tempo determinato. È possibile farlo con un nuovo contratto, anche con
mansioni e orari diversi. Si possono fare in successione solo se tra un contratto e l’altro solo se c’è
un vuoto normativo, per cui devono passare almeno 10 giorni (se il contratto precedente era
inferiore ai 6 mesi) o almeno 20 giorni (se era superiore a 6 mesi), purché complessivamente non
si vada a superare il limite dei 24 mesi massimi.

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Il legislatore ha imposto anche dei limiti all’utilizzo di questa tipologia di contratto. È stabilito che
non debbano essere superiori al 20% dei contratti a tempo indeterminato. Pertanto non possiamo
avere un’azienda con contratti solo a tempo determinato. Limiti diversi possono essere stabiliti
solo attraverso la contrattazione collettiva (es. 40% e 60% invece che 20% e 80%).
Esistono poi una serie di soggetti esclusi da questa applicazione normativa, es. nel settore della
scuola o nel settore agricolo (in cui è normale fare solo contratti a tempo determinato).
Infine anche tra i lavoratori contratto a tempo determinato si applica il principio di non
discriminazione, quindi spetta ai sensi dell’art. 25 lo stesso trattamento economico e normativo
previsto per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili.

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