Servizi Ecosistemici
Servizi Ecosistemici
Servizi Ecosistemici
Carlo Giupponi
Professore - Dipartimento di Scienze Economiche, Center for Environmental Economics and
Management, Università Ca' Foscari di Venezia
Silvana Galassi
Professoressa - Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Milano
Davide Pettenella
Professore - Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali Agripolis - Università di Padova
Contributi di:
Laura Secco
Ricercatrice - Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali Agripolis - Università di Padova
Paola Gatto
Professoressa Associata - Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali Agripolis -
Università di Padova
Marco Costantini
Biologo marino, Responsabile Programma Mare WWF Italia ONLUS
Supervisione scientifica
Pablo Gutman
Macroeconomics for Sustainable Development Program Office WWF, Washington DC (USA)
Coordinamento tecnico
Nicoletta Toniutti
Referente scientifico acqua - WWF Italia ONLUS
SOMMARIO
PREMESSA 1
INTRODUZIONE 2
2. LA SITUAZIONE ITALIANA 15
BIBLIOGRAFIA 28
Allegato 1 31
PREMESSA
1
INTRODUZIONE
Il presente documento si concentra sull’analisi dei servizi ecosistemici, un concetto unificante nella
valutazione delle relazioni tra risorse ambientali, sistemi economici e azione di governance.
Il documento è organizzato in tre parti: nella prima parte, più di carattere teorico, viene presentato un
quadro generale di riferimento per l’analisi dei servizi ecosistemici, a partire dall’impostazione che al
tema è stata data nel Millenium Ecosystem Assessment (MA, 2005).
In questa analisi, sulla base di un esame della letteratura internazionale e nazionale, viene data
particolare attenzione alle relazioni tra servizi ecosistemici, politiche e misure specifiche d’intervento,
concentrandosi sulla tematica dei pagamenti per servizi ambientali.
La seconda parte descrive le condizioni dei servizi ecosistemici con riferimento a due casi di maggior
rilevanza territoriale: le foreste e gli ecosistemi acquatici; l’analisi porta ad evidenziare il ruolo
fondamentale delle politiche nel regolare i servizi ecosistemici e nell’attivare meccanismi per i
pagamenti di servizi ambientali.
Da ultimo, nella terza parte, il taglio dell’analisi è più di carattere propositivo e l’attenzione si focalizza
su alcune discrepanze tra principi generali di riferimento e applicazione pratica delle politiche
ambientali nel contesto italiano, evidenziando le linee principali di intervento che tali politiche
dovrebbero adottare per la salvaguardia dei servizi ecosistemici.
Per illustrare tali linee, nell’ipotesi della definizione di una strategia nazionale per la biodiversità, si fa
riferimento all’impostazione della Comunicazione della Commissione Europea “Arrestare la perdita di
biodiversità entro il 2010 – e oltre. Sostenere i servizi ecosistemici per il benessere dell’uomo” COM
(2006) 216.
Il filo conduttore dell’analisi è, quindi, basto sull’evidenza che larga parte dei servizi ecosistemici sono
caratterizzati da beni pubblici che, come tali, per essere difesi e potenziati, necessitano di una forte
capacità di governance delle risorse ambientali da parte delle istituzioni pubbliche.
Tale azione di governance deve basarsi su criteri di efficienza economica e quindi su indicatori (Boyd
e Banzhalf, 2005): quali servizi hanno maggior rilevanza per il benessere della comunità? Qual è il
costo opportunità per il loro mantenimento?
E’ tecnicamente ed economicamente fattibile l’introduzione di sostituti dei servizi ambientali e a quali
costi? (si pensi, ad esempio, alla fornitura di acqua potabile).
I pagamenti per servizi ambientali possono essere una delle soluzioni al problema, ma rimane il fatto
che per molti servizi ecosistemici la creazione di meccanismi di internalizzazione è complessa e
caratterizzata da alti costi di transazione per cui l’adozione di un mix di strumenti, da quelli tradizionali
di regolamentazione alle compensazioni, per finire alle forme di pagamento diretto per servizi
ambientali, è altamente consigliabile.
2
che per gli ecologi è da tempo l’ecosistema, recentemente è stata scelta anche dagli economisti
ambientali. Certamente dovremo riconoscere che si tratta di un livello di organizzazione molto
complesso e quindi non facile da studiare ma ne vale la pena in quanto salvaguardane l’integrità o,
quantomeno, la salute potrebbe garantire una certa stabilità ecologica ed economica sul medio-lungo
periodo. Qualunque azione di tutela intrapresa a livello inferiore (ad esempio la protezione di una
singola specie o di una componente abiotica come l’acqua o il suolo) potrebbe risultare costosa e
inefficace in quanto, a causa delle interazioni esistenti all’interno del sistema, l’intervento fatto
potrebbe essere vanificato in poco tempo o addirittura produrre effetti diversi da quelli desiderati.
Del resto, proprio a causa di questa complessità, del grande numero di relazioni esistenti tra gli
organismi che popolano, ad esempio, un lago, una foresta, un prato o qualunque altro ecosistema
conosciuto e delle interazioni esistenti tra le componenti biologiche e abiotiche (aria, acqua, suolo),
non è facile né valutare, né prevedere il comportamento di un ecosistema nel suo complesso ma è
possibile, tuttavia, quantificarne i servizi resi.
I servizi ecosistemici sono dovuti sia alle proprietà collettive sia a quelle emergenti di un ecosistema:
nell’esempio della foresta la crescita degli alberi, la loro capacità di costruire biomassa dalla
radiazione solare è una proprietà collettiva e più grande è la foresta più biomassa potremo ottenere
mentre la capacità di regolare l’umidità dell’ambiente, tanto che una porzione di foresta potrebbe
essere paragonata ad un enorme climatizzatore, è una proprietà emergente che un singolo albero non
possiede.
L’economia classica ha da sempre riconosciuto il valore commerciale del legname ricavabile dal
diradamento o dal taglio raso di una foresta, anche se tale valore non ha niente a che vedere con il
vero “valore ecologico” di questa componente dell’ecosistema, mentre solo di recente l’ecologia
olistica ha attribuito un valore economico anche ai servizi ecosistemici.
Un servizio non immediatamente monetizzabile dal punto di vista commerciale è la tutela della
biodiversità che sappiamo essere direttamente minacciata dal prelievo eccessivo di alcune specie da
parte dell’uomo e indirettamente per effetto della perdita di habitat, dei cambiamenti climatici e
dell’inquinamento.
La perdita di biodiversità dovuta alle azioni antropiche, quantificabile anche con le metodologie
ecologiche basate sulla cibernetica e la teoria dell’informazione, può essere utilizzata come un
indicatore del degrado degli ecosistemi che influisce, a sua volta, su molti altri servizi ecosistemici.
Ecco perché l’attenzione naturalmente si sposta dall’ecosistema nel suo complesso alle comunità che
lo abitano, perché dai cambiamenti della struttura e dello stato di salute delle comunità biologiche noi
possiamo renderci conto nelle pressioni esistenti sull’ecosistema che quasi sempre vanno nella
direzione di impoverire le sue comunità diminuendone la biodiversità.
Se l’estinzione di una specie è da considerare come un evento tragico e irreversibile, che annulla il
percorso evolutivo di milioni di anni, la riduzione della biodiversità è il segnale, come la febbre
nell’uomo, di una malattia in corso dalla quale è possibile guarire solo intervenendo in tempo. In un
mondo in continuo cambiamento non possiamo evitare che alcune specie siano destinate
naturalmente, o per colpa dell’uomo, ad estinguersi ma se non siamo in grado di renderci conto della
gravità della malattia dei nostri ecosistemi rischieremo di non poter usufruire in futuro di tutti quei
servizi, in parte noti e in parte ancora sconosciuti, che rendono possibile la sopravvivenza e il
benessere della nostra specie, che tra quelle esistenti è probabilmente la più esigente.
Per la trattazione che segue è importante chiarire che i servizi ecosistemici, di cui ci occuperemo in
questo tavolo di lavoro, rappresentano la traduzione letterale di “ecosystem services” che, secondo la
definizione data dal Millenium Ecosystem Assessment (MA, 2005), sono “i benefici multipli forniti dagli
ecosistemi al genere umano”.
Il riferimento alla percezione da parte della comunità è un aspetto definitorio importante: mentre la
“funzione ambientale” si riferisce genericamente ad un impatto connesso alla presenza di risorse
ambientali (a prescindere dalla percezione che di questo può avere la comunità), il “servizio
ecosistemico” ha una stretta relazione con le condizioni di benessere della comunità1; per questa
1
Secondo quanto ricordato da Boyd e Banzhalf (2005) “Ecosystem services are the end products of nature that yield human
wellbeing. Three necessary conditions define an ecosystem service. First, and most obvious, the service has to emerge from
the natural environment. Second, a service must enhance human well-being. Third, a service is an end product of nature directly
used by people”.
3
ragione l’applicazione del concetto di “servizio ecosistemico” si collega direttamente al problema della
sua misurabilità, in termini fisici ed economici, anche al fine di orientare le scelte degli operatori
pubblici.
E’ possibile trovare nella letteratura sull’argomento altri termini come “servizi ambientali” e “servizi
ecologici”. In effetti, sebbene l’ecosistema sia il livello di organizzazione biologica ritenuto
generalmente ottimale per lo studio delle problematiche ambientali, comprese quelle delle alterazioni
degli habitat e della diminuzione della biodiversità, anche i biomi o le ecoregioni, sono stati utilizzati a
questo scopo. Anche in questi casi, tuttavia, i servizi resi sono stati definiti ecosistemici, lasciando
intendere che il termine sia applicabile a partire dall’ecosistema fino al massimo livello della scala
gerarchica dell’organizzazione biologica che è quello del Pianeta Terra (Odum e Barret, 2007).
Fig.1: Classificazione dei servizi ecosistemici secondo il Millenium Ecosystem Assessment (MA, 2005)
4
Come accennato nel precedente paragrafo, un concetto di fondamentale importanza affermato e
sviluppato nel MA è il legame fra i SE e il benessere della società. In Fig. 2 è riportato uno schema
tratto dal MA, nel quale sono evidenziati i flussi che dai SE si dipartono per sostenere direttamente o
indirettamente il benessere delle diverse componenti del pianeta. Il concetto di base è quello che in
generale il nostro benessere dipende dai servizi forniti dalla natura.
Questo concetto rivede ed amplia quello di conservazione e lo mette in una prospettiva molto più
vasta sia come contenuti, sia come rilevanza, anche in senso territoriale. In altre parole il concetto di
conservazione viene saldamente ancorato a dei benefici diretti e indiretti di carattere socio-economico,
da “conservare”, ma soprattutto da riqualificare.
Sempre il MA fornisce una cornice concettuale generale che dovrebbe ispirare i rapporti fra uomo e
natura, basata sull’identificazione di queste relazioni e dei servizi ad esse associati, riconoscendone in
primo luogo il carattere dinamico.
Tale dinamicità comporta il riconoscimento che tali relazioni e i benefici si evolvono continuamente e
richiedono quindi adeguati approcci per la loro conoscenza, valutazione e, infine e soprattutto,
gestione.
Un altro aspetto da sottolineare è il fatto che non esistono solo la componente umana e naturale che
interagiscono nell’ambito del cosiddetto socio-ecosistema (concetto di ecosistema ampliato a
considerare in modo integrato e dinamico la componente antropica), ma anche una serie di forzanti (o
5
determinanti) esterne che ne condizionano le dinamiche e quindi l’evoluzione. È il caso delle variabili
climatiche e delle loro variazioni nell’ambito dei fenomeni di cambiamento globale.
Il concetto generale di servizi ecosistemici e della loro gestione va inteso quindi in un’ottica di medio-
lungo periodo, nella quale la valorizzazione dei servizi e degli interventi conservativi e, più in generale,
gestionali devono adeguatamente tenere conto da un lato della proiezione delle forzanti, considerando
molteplici possibili scenari futuri, e dall’altro, degli effetti collaterali e delle retroazioni degli interventi
proponibili sugli scenari stessi. Ad esempio, eventuali effetti negativi di alcune politiche ambientali,
come quelli delle emissioni di gas serra.
Per poter adottare un approccio ecosistemico, i decisori e in generale i politici devono quindi dotarsi di
strumenti conoscitivi e gestionali in grado di considerare le dinamiche in questione, distinguendo i
diversi ambiti di interesse e rilevanza e conoscendo le interrelazioni a scale (spaziali e temporali)
diverse.
La Fig. 3 riporta la rappresentazione grafica dei principali servizi offerti dai biomi terrestri.
Fig. 3: Identificazione dei principali servizi ecosistemici dei biomi della Terra, secondo il Millenium Ecosystem
Assessment, (MA, 2005)
Secondo la chiave di lettura proposta dal MA la biodiversità è chiaramente un elemento costitutivo
fondamentale della vita sulla Terra e degli ecosistemi e pertanto essa diventa una componente
fondamentale per la fornitura dei servizi stessi e una chiave di lettura per la loro analisi, comprensione
e, successivamente, gestione.
La necessità di conoscere per gestire, appare evidente dall’analisi dei trend di questi servizi (Fig. 4),
che mostra una tendenza verso l’esacerbarsi delle pressioni sulla biodiversità, nei diversi biomi
terrestri, nel recente passato e ancor più nel futuro, in particolare sotto gli effetti attesi dei cambiamenti
globali e in particolare di quelli climatici.
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Fig. 4: Andamenti passati e proiezioni future degli impatti sulla biodiversità ad opera dei maggiori determinanti di
pressione, nei diversi biomi
Nell’ambito della definizione degli approcci, una delle necessità che si presenta è quella di
categorizzare i diversi ecosistemi e i vari servizi.
Nella Tabella 1 si riporta una categorizzazione generale introduttiva, con un primo tentativo di
identificarne la rilevanza e il contesto territoriale per l’Italia.
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Servizi ecosistemici
Culturale e religioso
Estetico e ricreativo
Tipologie
Trattamento rifiuti
fornitrici dei servizi
Risorse idriche
in Italia
Pedogenesi
Educativo
Clima
Cibo
Ghiacciai Alpi x x x x x
Mari e
Mar Mediterraneo x x x x x
oceani
Tab.1: Classificazione dei servizi ecosistemici in Italia per tipologie territoriali; “+” in caso di esistenza dei
servizi in ambienti italiani e “x” in caso di presenza molto significativa (da: MA, 2005 modificata).
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Molto spesso singole misure efficaci per la conservazione di un certo ecosistema e/o la valorizzazione
di uno specifico servizio possono avere effetti collaterali negativi su altri servizi, oppure su altri
ecosistemi, anche a grandi distanze2 .
Il problema valutativo accennato più sopra consiste innanzi tutto nell’analisi dei servizi offerti da ogni
ecosistema, partendo dalla loro identificazione per passare poi alla quantificazione, ed infine, alla loro
valorizzazione, in particolare attraverso meccanismi tipo Payment for Ecosystem Services (PES).
Metodologie e tecniche di ecologia quantitativa, analisi dei sistemi, valutazione economica dei beni
non di mercato, combinate assieme, possono permettere di produrre le valutazioni necessarie, purché
non si perda di vista la dimensione dinamica dei socio-ecosistemi.
E’ quindi possibile avviare anche in Italia un’analisi non solo ecologica quantitativa per la mappatura e
la quantificazione di tali servizi, ma anche impostare una valutazione economica di tali servizi, con
specifico riferimento alla biodiversità.
2
Si veda ad esempio la letteratura sugli investimenti REDD (Reducing Emissions from Deforestation and forest Degradation) e
il carbon leakage.
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Fig. 5 Strumenti basati su incentivi economici e meccanismi di mercato nell’ambito delle politiche ambientali;
(Jack et al., 2008)
La Tab. 2 presenta una classificazione parzialmente diversa degli strumenti di politica ambientale,
mettendo in luce come una rigida distinzione tra politiche di regolamentazione e politiche basate su
sistemi di incentivo e di mercato non rispecchi adeguatamente la varietà di strumenti (Steiner, 2003) e
soprattutto le inevitabili interdipendenze tra le diverse categorie.
Tab. 2: Una possibile tassonomia degli strumenti per la gestione delle risorse ambientali.( World Bank, 2003,
modificata)
Anche la lapidaria classificazione proposta da Bemelmans-Videc et al. (1998) in “carrots, sticks and
sermons” – carote, bastoni e sermoni – non rende giustizia alla ricchezza di mezzi di cui
effettivamente si dispone, anche pensando ad alcuni strumenti indiretti, non citati ma importanti nel
contesto italiano, come la realizzazione di infrastrutture a supporto di una buona gestione degli
ambienti naturali, l’assistenza tecnica e la formazione degli operatori, lo sviluppo di forme associative,
ed altri ancora. La Tab. 2 evidenzia tuttavia il peso assunto dalle componenti ‘mercato’ e ‘informazione
e partecipazione’ rispetto alla parte normativa e di regolamentazione.
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Ciò rispecchia la tendenza attuale di ritenere che la creazione di nuovi mercati, accompagnata da un
ruolo pro-attivo della società civile nei processi decisionali, rappresenti una forma di intervento
innovativa ed estremamente promettente nell’ambito delle politiche ambientali.
L’implementazione di PES comporta dunque la trasformazione dei beni e servizi pubblici in nuovi
prodotti di mercato, nella logica della transazione diretta tra il consumatore e il produttore.
Questa idea, che viene proposta con grande risalto in ambito internazionale in campo sia agricolo
(FAO, 2007) che forestale (Sherr et al., 2004), non è, peraltro, del tutto nuova nella politica
ambientale, anche italiana.
Ciò che è nuovo sono i diversi approfondimenti teorico-metodologici e i numerosi casi di studio
realizzati negli ultimi anni (vedi ad esempio le rassegne di Pagiola et al., 2002; Landell-Mills e Porras,
2002), che, mettendo a disposizione nuovi elementi di valutazione, permettono di guardare ai PES
come ad uno strumento con notevoli potenzialità operative per la remunerazione dei SE.
Nella letteratura, infatti, l’allocuzione ‘Pagamenti per i Servizi Ecosistemici’ è una denominazione
ombrello che comprende tutto ciò che nella Tab. 2 appare nella terza e quarta colonna ed, in parte,
anche nella seconda.
Seguendo la definizione proposta da Wunder (2005), uno schema PES può essere definito in
generale come un accordo volontario e condizionato fra almeno un fornitore (venditore del servizio) e
almeno un acquirente (beneficiario del servizio), riguardo ad un ben definito servizio ambientale.
Alcuni autori (Wunder, 2005; Engel et al., 2008), tuttavia, fanno riferimento ad una definizione più
restrittiva, secondo cui si può parlare di PES solo quando la transazione:
(i) è volontaria;
(ii) riguarda un ben preciso servizio ambientale (o una forma d’uso del suolo che garantisce
la fornitura del servizio stesso);
(iii) il servizio viene acquistato da (minimo) un consumatore;
(iv) venduto da (minimo) un produttore;
(v) se e solamente se il produttore garantisce continuità nella fornitura.
La struttura base di un progetto di implementazione di un PES prevede di attivare un meccanismo
finanziario, a volte indotto tramite un intervento pubblico di assegnazione dei diritti di proprietà o un
intervento regolativo, attraverso il quale da un lato si trasforma il servizio ambientale in un vero e
proprio prodotto creandone il mercato, e dall’altro si riconosce il diritto al produttore di chiedere il
rispettivo prezzo al consumatore del bene.
Premessa sostanziale di tale implementazione è la precisa individuazione del servizio, di chi lo
produce, dei possibili utenti finali e, aspetti alquanto delicati, la stima del valore del servizio e quindi
del suo possibile prezzo di mercato e la definizione delle modalità contrattuali e di pagamento (Box 1).
Anche se non esiste una definizione universalmente accettata, i PES hanno una serie di elementi in
comune legati innanzi tutto al fatto che, senza un’adeguata compensazione per i SE che possono
offrire, i potenziali “venditori” del servizio non hanno motivazioni sufficienti per comportarsi in un modo
virtuoso per l’ambiente e la società (Mayrand e Paquin, 2004). I PES permettono quindi di
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internalizzare i SE in termini di servizi offerti, creando così le condizioni per mantenere o valorizzare
gli ecosistemi interessati e, al tempo stesso, migliorare le condizioni economiche degli offerenti che,
non di rado, sono categorie sociali svantaggiate sia nei Paesi ricchi sia nei Paesi in Via di Sviluppo
(PVS) (Pagiola et al., 2005).
Jack et al. (2008) propongono uno schema nel quale i PES vengono costruiti sulla base di indicazioni
derivate dal contesto ambientale, socio-economico e politico nel quale vanno ad essere applicati e
vengono sviluppati (ex ante) e valutati rispetto ai risultati prodotti (ex post) sulla base di tre criteri:
efficacia ambientale, rapporto costo-benefici ed equità.
Box 2 - Lezioni ricavabili delle esperienze sugli schemi PES messe in atto
finora (da Jack et al., 2008, modificato).
Contesto ambientale
- Quando i benefici marginali acquisiti dai sevizi forniti non sono costanti, si rendono necessari
schemi complessi per l’ottenimento dell’efficacia ambientale auspicata
- La valutazione finale dei SE dipende dal grado di incertezza riguardo alle relazioni esistenti
fra gli indicatori di valutazioni utilizzati (ev. proxi) e i benefici ambientali stessi.
Contesto socio-economico
- Al crescere della variabilità dei costi, cresce anche il potenziale per l’introduzione di schemi
PES, rispetto ad interventi di regolamentazione
- Quando le risorse sono possedute da molti piccolo proprietari i costi di transazione tendono a
crescere
Contesto politico
- La disponibilità economica per “acquistare” i SE dipende non solo dalla domanda latente per
tali servizi, ma anche dalla strutturazione dei meccanismi di finanziamento
- Anche se i PES possono presentarsi come soluzioni migliori rispetto ad altre politiche in
termini di costi-efficacia, non necessariamente essi risultano accettabili e sostenibili a causa
del particolare contesto politico e dell’influenza dei gruppi di potenziali beneficiari e degli
acquirenti.
- Nel disegnare uno schema PES è importante considerarne le relazioni con il sistemi di
sussidi esistenti, nel settore economico interessato.
- Il ruolo delle organizzazioni non-governative può essere importante, ma in particolare quando
questo è coordinato con le istituzioni governative esistenti.
- La struttura di governance esistente condiziona la fattibilità degli schemi richiedendo
l’esistenza di solide istituzioni in grado di gestire i processi di sviluppo dei PES e la loro
implementazione, al di fuori di interferenze di lobby, corruzione, ecc.
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In parallelo (in itinere) essi vengono anche (ri)considerati alla luce del cosiddetto contesto dinamico,
ovvero dell’evoluzione dei vari contesti e delle loro interazioni nel tempo (Fig.6).
Fig. 6: Pagamenti per i servizi ecosistemici collocati nel contesto dei criteri per la loro definizione e la loro
valutazione (Jack et al., 2008)
Risulta evidente la complessità di una valutazione metodologicamente solida che faccia riferimento a
tutti i costi di implementazione dei PES, compresi quelli contrattuali. Ad esempio, l’accurata
determinazione dei costi di transazione, per i quali non si dispone attualmente di metriche adeguate,
non sempre viene tenuta in considerazione nella formulazione degli schemi PES. Una corretta
valutazione dovrebbe fare uso di vari criteri, attraverso indicatori, e combinare i vari criteri, per
ottenere una valutazione complessiva sugli schemi PES proposti o già applicati.
Tallis et al. (2008) individuano due contesti principali per la messa in atto dei PES basati su robusti
supporti tecnico-economici. In un primo contesto (chiamato dagli autori “government investment in
ecosystem services”) si può verificare il caso in cui un’accurata valutazione dei servizi offerti da
determinati ecosistemi porti ad una sufficiente motivazione per un intervento pubblico per la loro
conservazione e valorizzazione, attraverso strumenti di pagamento ad hoc, ad esempio come
compensazione dei mancati redditi di chi cambia i suoi comportamenti ordinari per permettere il
mantenimento del SE.
In quest’ottica si possono inserire, almeno in senso lato, molte politiche forestali della UE rivolte al
consolidamento dei suoli e alla mitigazione del rischio idrogeologico. Elemento essenziale per queste
politiche è ovviamente la chiara identificazione dei servizi, del loro valore e della ragionevolezza
dell’intervento pubblico a sostegno di tali esternalità positive. Solo in questo modo tali politiche
appaiono sostenibili agli occhi dell’opinione pubblica alla quale viene richiesto di sostenerne i costi.
Nel secondo caso, definito come “community based projects”, ci si trova nella situazione più tipica dei
PES in senso stretto, nella quale sono identificabili localmente degli evidenti servizi positivi per un
gruppo di beneficiari che possono quindi prevedere, attraverso adeguati meccanismi istituzionali e
gestionali, dei veri e propri pagamenti diretti. In vari casi questo è stato possibile, ad esempio
nell’ambito della gestione delle acque e dei suoli a scala di bacino, laddove abitanti delle regioni a
valle paghino gli abitanti a monte, come si è visto nel caso citato nel Box 1. È chiaro che optare per
un’interpretazione dei PES in senso stretto, con una chiara identificazione dei fornitori dei servizi e dei
beneficiari che li pagano direttamente, o in senso lato, con il riconoscimento di servizi di interesse
pubblico e pertanto gestiti attraverso forme di politiche basate su incentivi, è in parte una questione di
terminologia e in parte una questione di scelta politica.
Un elemento di fondamentale importanza richiamato da Tallis et al. (2008) è il fatto che, specie a
fronte della scarsità di esperienze di successo, sia di fondamentale importanza l’identificazione di
adeguate metodi di valutazione dell’efficacia degli strumenti PES.
È chiaro da un lato che, in una semplice ottica di analisi finanziaria dei costi e ricavi, la valutazione del
successo può essere banale, ma non lo è affatto se si considera l’effettiva possibilità di arrivare ad
una accurata, robusta e condivisibile valutazione economica dei benefici, in particolare quando si
faccia specifico riferimento ai servizi legati alla biodiversità. Si può quindi affrontare il problema con
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l’utilizzo di tecniche di valutazione più articolate, come ad esempio l’Analisi Costi-Benefici o la
valutazione multi-criteriale.
Un aspetto di fondamentale importanza per la valutazione dei PES si trova nella complessa
ponderazione degli impatti diretti e soprattutto indiretti e della loro distribuzione temporale, problemi
connessi alla non-linearità dei fenomeni, al ritardo nella manifestazione dei risultati delle misure messe
in atto, ai loro effetti distributivi, agli effetti di retroazione (feedback), alle economie di scala e di scopo
ottenibili nell’erogazione di SE (Box 3).
Il trade-off tra gli attributi degli schemi PES: efficacia, efficienza, equità distributiva
È chiaro che, come hanno ben evidenziato Mayrand e Paquin (2004), i tre diversi attributi sono
mutualmente esclusivi (vd. Figura) e il livello finale raggiunto per ciascuno di essi sarà frutto di un
compromesso in sede di decisione politica.
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2. LA SITUAZIONE ITALIANA
Come già accennato, in Italia almeno fino agli anni ’80 i SE sono stati prevalentemente tutelati con
strumenti di regolamentazione (vincoli, standard di emissione, procedure autorizzative, tasse, ecc.).
A partire dai primi anni ’90, con le misure agro-ambientali e alcune misure forestali di
accompagnamento della riforma della Politica Agricola Comunitaria (PAC) del 1992, l’insieme degli
strumenti si amplia decisamente includendo incentivi e compensazioni ad adesione volontaria.
A fine degli anni ’90, con l’affermazione del principio del “disaccoppiamento” delle misure di sostegno
alla produzione agricola da quelle di sostegno al reddito e l’affermazione della “condizionalità”
dell’aiuto pubblico al rispetto di minimi standard di tutela ambientale, si introducono criteri innovativi
anche nel campo della tutela dei SE.
La creazione della rete Natura 2000 e l’offerta di compensazioni ai gestori delle aree tutelate
contribuiscono alla diversificazione degli strumenti di tutela dei SE.
Più di recente l’attenzione viene posta anche su altri strumenti economici, tra i quali i sistemi per
pagamenti ambientali.
Su questi, e sulla loro efficacia, ci si concentrerà nel seguito con l’analisi di due casi applicativi: i
boschi e le foreste, che in Italia rappresentano certamente l’ecosistema terreste territorialmente più
esteso e a maggior grado di naturalità, e gli ecosistemi acquatici.
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In questo panorama dalle molte sfaccettature, un contributo all’innovazione può venire
dall’individuazione di nuovi strumenti di politica forestale capaci di orientare le scelte di gestione agro-
silvo-pastorale basandole su modelli di sviluppo integrato e condiviso.
La necessità di nuovi principi informatori più rispondenti al mutato contesto politico-istituzionale e
sociale appare tanto più urgente quanto più si coglie la necessità di remunerare i proprietari, i gestori e
gli imprenditori forestali per evitare quell’abbandono delle attività selvicolturali che significa anche e
soprattutto perdita di consistenti valori collettivi.
Tuttavia se la politica forestale, ad oggi, è stata caratterizzata principalmente da strumenti di
regolamentazione, non mancano esempi – passati e recenti – di PES. Spesso, queste iniziative sono
state originate da ragioni diverse da quelle specifiche di un progetto PES, e per questo sono
caratterizzate da imperfezioni e immaturità di mercato.
Si stratificano inoltre in un quadro giuridico-istituzionale già alquanto complesso, dove la convivenza di
diversi strumenti crea non pochi problemi per la definizione di una base legale comune (Pettenella e
Cesaro, 2007).
Tab. 3: Modalità di organizzazione di alcuni sistemi di PSA in campo forestale (Pettenella e Cesaro, 2007,
modificata).
Dove invece lo strumento PES appare più consolidato è nel settore della ricreazione, grazie alla
predominanza di situazioni in cui escludibilità e rivalità sembrano più facili da attuare ed il mercato
(turistico) è più maturo.
La conseguente maggiore prospettiva di remunerazione catalizza le iniziative del settore privato, come
appare nelle rassegne predisposte da Merlo et al. (1999) e Maso (2008).
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Nei paragrafi seguenti vengono analizzate e discusse tre esperienze italiane in corso, dove si possono
ravvisare elementi dell’idea di PES e che fanno riferimento a tre importanti componenti di una
produzione multifunzionale: interazione con le risorse idriche, prodotti non legnosi (funghi) e
ricreazione.
Oltre che riguardare diversi servizi, i casi di studio scelti trattano di esperienze con diverse modalità
organizzative e diverso ruolo ricoperto dall’ente pubblico, secondo quanto presentato nella Tab.3.
Sebbene le interazioni positive tra foresta, regimazione delle acque e diminuzione del rischio
idrogeologico siano state uno dei principi ispiratori della politica forestale italiana sin dalla sua
nascita, il ricorso a strumenti strettamente considerabili come PES per la remunerazione del
servizio idrogeologico dei boschi è piuttosto recente.
Una traccia dell’idea di PES si trova per la verità nella Legge 959/1953 di istituzione dei Bacini
Imbriferi Montani, in cui si prevedeva di far pagare ai concessionari di derivazione delle risorse
idriche montane un sovracanone da destinare ad opere di sistemazione montana e di
valorizzazione del territorio 3 a compensazione dei disagi causati alle popolazioni montane dalle
presenza di opere di captazione.
Tuttavia è solo con l’approvazione della legge Galli sul ciclo integrato dell’acqua (LN 36/1994)
che l’idea di PES trova compimento nel contesto italiano. All’Art. 24, infatti, la legge prevede che
una quota della tariffa idrica possa venire destinata ad interventi di salvaguardia delle aree nel
bacino di captazione.
Nella Val Nossana, principale fonte di approvvigionamento idrico dell’acquedotto della città di
Bergamo (Pettenella et al., 2006), era stato avanzato un progetto di questo tipo.
La normativa - che a tutt’oggi ha visto il recepimento da parte della Regione Piemonte (art. 8
comma 4 della LR 13/97) e della Regione Emilia Romagna (LR 25/99 e successive modifiche) -
ha previsto la compravendita del solo servizio di regimazione svolto dalle aree montane nei
riguardi della risorsa idrica (nella normativa si parla specificatamente di ‘favorimento della
riproducibilità’ nel tempo e ‘miglioramento del livello di qualità’).
I beneficiari sono le Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale (AATO) e, per loro tramite, gli utenti
finali della fornitura idrica; i fornitori vengono intesi come gli abitanti delle aree montane in
generale, per il tramite degli Enti locali (Provincie e Comunità Montane).
Per la Regione Piemonte, dove l’applicazione dello strumento è in fase più avanzata, il
meccanismo di pagamento prevede che una quota di tariffa variabile dal 3 all’8% venga
destinata alle attività di difesa e tutela del territorio montano e gestita dalle Comunità Montane
tramite un Piano Pluriennale di Manutenzione.
Nel 2007 tali fondi hanno ammontato a circa 18.500 euro ed hanno fatto fronte al 54% del costo
dei previsti interventi di manutenzione e sistemazioni idrogeologiche e idraulico-forestali del
territorio montano (Regione Piemonte, dati non pubblicati).
3
Con i fondi risultanti dal sovra canone i Comuni beneficiari promuovono le iniziative più diverse di sviluppo locale e non solo
interventi specifici di gestione del bacino idrografico. La Dir. 2000/60/CE prevede, invece, il recupero dei costi dei servizi idrici a
carico dei vari settori d’impiego dell’acqua includendo i costi ambientali e di utilizzo della risorsa acqua. La direttiva introduce poi
un altro fondamentale requisito quello della informazione e consultazione pubblica che deve informare i piani di bacino. L’Italia
è,a assieme alla Grecia, l’ultimo paese dell’UE a 27 nell’applicazione della Direttiva mantenendo, tra l’altro, nel proprio
ordinamento una serie di norme spesso configgenti con gli obiettivi della stessa.
17
b) Prodotti forestali non legnosi: la raccolta dei funghi spontanei
Come noto, la raccolta e la commercializzazione dei funghi spontanei in Italia è regolamentata
da una Legge Nazionale – la 352/1993, e da normative regionali. Tra queste, si prende ad
esempio quanto previsto dalla Legge Regionale 23/1996 del Veneto.
La normativa, emessa con l’obiettivo di proteggere una risorsa naturale oggetto di
un’utilizzazione ritenuta troppo intensa, disciplina l’attività di raccolta in due modalità distinte,
una per coloro – coltivatori diretti, titolari di uso civico e proprietà collettive e soci di cooperative
agro-forestali – che raccolgono funghi a scopo di integrazione di reddito, l’altra destinata a chi
svolge l’attività per l’autoconsumo e con finalità principalmente ricreative.
Viene stabilita una quantità massima di raccolta giornaliera e la necessità, per chi raccoglie non
a scopi di reddito, di munirsi di un tesserino regionale e di acquistare un permesso con validità
giornaliera, settimanale o mensile.
Fermo restando che l’intero corpus normativo è stato concepito per scopi diversi da quello di
istituire uno strumento di PES, nondimeno si possono ravvisare in questa situazione alcune
delle caratteristiche di un PES di tipo volontario.
La norma assegna chiaramente i diritti di proprietà della raccolta funghi al proprietario; con
l’imposizione di un limite massimo di raccolta giornaliera, si rende il bene disponibile in quantità
limitata, ponendo le premesse per la creazione di un mercato in cui il bene scambiato è il fungo
e il servizio ricreativo connesso alla raccolta ed il meccanismo di pagamento quello dell’acquisto
del permesso; i beneficiari sono i raccoglitori, i fornitori sono i proprietari forestali.
La norma veneta inoltre collega il bene ‘fungo’ all’uso del suolo che lo produce per mezzo del
disposto dell’art. 16 (LR 23/1996) stabilendo che almeno il 70% degli introiti derivanti dalle
sanzioni amministrative e dalla vendita dei permessi vadano ‘a favore di interventi di tutela e
valorizzazione dei territori oggetto di raccolta di funghi e/o per iniziative didattiche, mentre il
restante 30% serva a coprire i costi di amministrazione.
La legge assegna alle Comunità Montane la gestione della vendita dei permessi e dei relativi
introiti e ciò rende frammentaria la disponibilità di dati sulla dimensione del mercato.
A titolo informativo, si riportano alcuni dati relativi due aree montane del Veneto: in una
Comunità Montana dell’area dolomitica, nel 2007 la vendita dei permessi ha fruttato poco più di
10.000 euro, con circa 370 permessi venduti (dati non pubblicati); nel Comune di Asiago, area
delle prealpi venete, nel 2005 sono stati venduti permessi per più di 250.000 euro, un introito
cinque volte superiore a quello proveniente dalla vendita del legname (Rigoni, 2006).
Una considerazione diversa merita l’esempio delle Comunalie Parmensi dell’area di Borgotaro,
(Merlo, 1996), dove nel 2006 la vendita dei permessi ha portato nelle casse comunali 675.000
euro (Sommacampagna, 2007). Già dal 1993 il Fungo di Borgotaro ha ottenuto la certificazione
IGP ed è stato istituito il Consorzio di Tutela con lo scopo di valorizzare il fungo tramite la
creazione di una filiera che prevede la vendita del prodotto al pubblico nei mercati locali e della
provincia o a ristoranti di circuiti gastronomici specializzati.
Grazie a queste iniziative e all’attività di promozione svolta dal Consorzio anche in ambito
turistico – nell’area è stata tracciata anche la Strada del Fungo, itinerario eno-gastronomico
nelle aree rurali dell’Appennino parmense – il fungo di Borgotaro è diventato nel tempo un
elemento di identità dell’area e di richiamo turistico, sostenendo un indotto nell’accoglienza e
nella ristorazione.
È chiaro quindi che, dove la regolamentazione dei diritti di proprietà si affianca ad altre iniziative
volontarie di green marketing in grado di creare una catena di valore, lo strumento del PES può
essere un forte stimolo alla formazione o consolidamento di un mercato.
La chiave di volta dell’esperienza di Borgotaro sta nel successo dell’azione di trasformazione di
un servizio con forti connotati di bene pubblico in un vero e proprio prodotto di mercato, e nella
capacità di creare un network funzionale al marketing territoriale (Pettenella e Kloehn, 2007;
Pettenella et al., 2008).
18
c) Ricreazione in foresta: i Parchi Avventura
La vendita di servizi ricreativi comprende una vasta gamma di tipologie di servizi che vanno dal
semplice accesso al bosco ad attività strutturate quali i posteggi al limitare delle aree naturali, le
attività sportive e relativi impianti turistici, la didattica naturalistico-ambientale.
Le attività si differenziano per un diverso grado di escludibilità e rivalità ed anche per il livello di
complementarietà nei consumi tra i prodotti vendibili ed il relativo ambiente agricolo-forestale
(Merlo et al., 1999).
Un caso interessante di strutturazione di servizio ricreativo che si è affermato recentemente in
Italia è quello dei Parchi Avventura, un’esperienza nata a partire dal 2001 sul modello francese.
Si tratta generalmente di percorsi aerei sospesi tra gli alberi di una foresta, costruiti mediante
piattaforme in legno appoggiate sui fusti delle piante e passaggi acrobatici tra una pianta e
l’altra.
Negli ultimi cinque anni sono sorte in Italia circa 70 di queste strutture, localizzate soprattutto
nell’arco Alpino, anche se non mancano esempi in località marine e nel centro-sud Italia
(Loreggian, 2008). La proprietà e la gestione dei Parchi Avventura sono nella maggior parte dei
casi private, anche se spesso localizzate su aree forestali di proprietà pubblica, cedute al
gestore del Parco tramite contratti di concessione.
Per un Parco di dimensioni medio-grandi (circa 10.000 visitatori all’anno, su una superficie di un
ettaro), i costi di realizzazione sono dell’ordine di alcune centinaia di migliaia di euro e il tempo
di ritorno dell’investimento è di 5-6 anni.
L’accesso alle strutture da parte degli utenti avviene tramite acquisto di un biglietto a tempo o a
percorso. Loreggian (2008) ha stimato una disponibilità a pagare media del consumatore intorno
a 12,00 euro per visita.
Elementi di successo sono la localizzazione in aree già rinomate dal punto di vista turistico, la
facilità di accesso e di parcheggio, la capacità di creare sinergie con altre attività turistico-
ricreative offerte dal territorio.
Il segmento cui attingono i Parchi Avventura è quello del turismo sportivo ed escursionistico, e in
una certa misura anche il turismo scolastico. È un mercato relativamente maturo, dove il
prodotto offerto è però nuovo e richiede capitali, imprenditorialità e competenze tecniche
specifiche, caratteristiche più facilmente rinvenibili nei soggetti privati piuttosto che negli enti
locali (ad esempio i comuni proprietari forestali nelle aree montane).
Le dimensioni sono quelle di un mercato di nicchia ma in crescita sia sul lato della domanda che
dell’offerta. Difficile stabilire al momento quale sarà la dimensione sostenibile del mercato, data
la velocità con cui nascono nuovi prodotti turistici e la continua variazione nella composizione
della domanda.
Guardando ai Parchi Avventura nella prospettiva di questo studio, viene spontaneo chiedersi
fino a che punto queste strutture possano annoverarsi tra i PES. Con la sola eccezione (non di
poco conto) di considerare servizi ricreativo-ambientali, tutte le condizioni poste dalla definizione
di Wunder (2005) sembrano soddisfatte.
I dati economici a disposizione sembrano indicare che il Parco Avventura può costituire una
buona opportunità di reddito per il proprietario forestale privato, tuttavia per un numero ristretto
di siti e di imprenditori.
Produzione legnosa e gestione a fini ricreativi sono tra l’altro obiettivi mutuamente escludibili
(Gregory, 1955) e la competizione insorge per i siti migliori, i più pianeggianti ed accessibili, non
per i siti marginali, con piante piccole o troppo distanti dalla viabilità.
Difficile quindi che questi parchi possano offrire una risposta per il recupero a media scala di
aree forestali altrimenti abbandonate. In un’ottica collettiva, la questione è più sfumata.
L’interesse di un proprietario forestale pubblico nei riguardi di un Parco Avventura risiede sia
nella partecipazione diretta ai redditi – tramite concessioni o forme associate di gestione – sia
nella capacità dell’attività di produrre indotto nell’occupazione, di essere un elemento di richiamo
turistico parte di un’offerta territoriale complessiva (nell’ambito di iniziative di marketing
19
territoriale) e di essere un mezzo di avvicinamento all’attività sportiva e all’educazione
ambientale.
Nel quadro sinottico di Tab. 4, i tre casi-studio, emblematici di diversi servizi, diversa
organizzazione istituzionale ed anche diversa dimensione del mercato, vengono valutati alla
luce dei tre attributi: efficacia, efficienza e equità distributiva.
Raccolta funghi
Attributo Legge Galli Parchi Avventura
spontanei
Medio-bassa:
Da bassa ad elevata: Elevata per quanto
difficoltà ad
dipende dalle riguarda la
individuare le
legislazioni regionali, produzione del
relazioni causa-
es. Veneto 70% dei servizio ricreativo;
effetto; difficoltà di
Efficacia proventi dalla vendita variabile per la
individuare i fornitori
dei permessi deve produzione degli altri
finali del servizio;
essere reinvestito nei servizi (dipende dalla
destinazione dei
boschi in cui si situazione di
fondi non sempre
raccolgono i funghi partenza del bosco)
esplicita
Da bassa ad elevata, a
Medio-bassa: Fondi seconda della
nella Elevata: elevato
non sufficienti a presenza di forme
produzione di investimento, ma
coprire le spese di associative e di
reddito brevi tempi di rientro
manutenzione iniziative di marketing
territoriale
Efficienza
Medio-bassa: elevati
costi di controllo;
economica
Medio-bassa: alti inefficace sistema Elevata: bassi costi di
(costi di
costi di transazione sanzionatorio; costi transazione
transazione)
minori con
l’associazionismo
Attualmente medio-
Potenzialmente
Bassa: l’entità e la bassa: scarso
elevata: associazioni
distribuzione dei coinvolgimento delle
forestali, iniziative di
fondi dipendono dal comunità locali;
marketing territoriale;
numero degli utenti potenzialmente
Equità distributiva difficile dove
finali e non medio-alta: dipende
predomina la proprietà
dall’estensione delle dalle capacità di
privata (mancato
superfici forestali nel creare indotto e
trasferimento dei fondi
bacino di captazione sinergie con altre
ai fornitori del servizio)
attività turistiche
Tab. 4: I tre casi di studio italiani alla luce degli attributi di successo dei PES.
Quanto discusso nei precedenti paragrafi, alla luce anche dei casi di studio italiani, porta ad alcuni
elementi di riflessione. Occorre infatti chiedersi se i PES costituiscano effettivamente un’opportunità
per i proprietari/gestori forestali o se, invece, parafrasando Landell-Mills e Porras (2002), siano uno
“specchietto per allodole”?
Analizzando i casi di studio italiani in base ai tre attributi ritenuti al momento più significativi (efficacia,
efficienza ed equità distributiva), si può osservare come nel complesso, anche se con un certo
margine di variabilità, per la raccolta dei funghi spontanei e i Parchi Avventura emergono valutazioni
positive.
Ciò può essere messo in relazione alla valenza ricreativa di queste due tipologie, alla più elevata
maturità del mercato turistico cui si rivolgono, nonché alla più prolungata applicazione dello strumento
nel contesto italiano.
20
Per i Parchi Avventura non va dimenticato che gli elevati livelli raggiunti in tutti gli attributi si
accompagnano ad una dimensione del mercato a scala di nicchia.
Per i servizi legati alla regimazione idrica, invece, l’esperienza presenta tutti i difetti di uno strumento
all’inizio del proprio ciclo di vita. In questo caso le potenzialità in termini di scala sono elevate, data la
natura del servizio e il bacino d’utenza potenzialmente molto ampio, ma questo aspetto potrebbe
essere un limite se non verranno ricercate economie di scala nei costi di transazione.
Infine, è bene ricordare che i sistemi di PES sono altamente site-specific e ciò costituisce al contempo
un punto di forza molto promettente – lo strumento consente tarature molto mirate – e un punto di
debolezza – poco o niente ha valenza generale.
Le relazioni causa-effetto uso del suolo-modalità di gestione-servizio prodotto, i soggetti coinvolti e il
loro ruolo andranno quindi studiati e capiti a fondo prima che i PES possano trovare adeguato spazio
e applicazioni operative nelle politiche forestali ed ambientali sia a scala nazionale che regionale.
a) Acque interne
Sebbene l’acqua sia così importante per lo sviluppo delle società umane, a molti suoi servizi
non viene attualmente riconosciuto un valore economico.
Ad esempio, l’utilizzo a scopo turistico-ricreativo di un lago o di un fiume di cui si usufruisca in
zone non dedicate ed attrezzate a questo scopo, non ha un valore di mercato.
Tra i numerosi SE associati alle acque interne particolarmente importanti nelle aree ad elevato
insediamento umano sono quelli attribuibili al sistema suolo-terreno saturo che assicura il
rifornimento di acque di falda destinate alla potabilizzazione, l’uso irriguo delle acque superficiali
e profonde, quello per la produzione di energia idroelettrica, l’autodepurazione delle acque
reflue civili e industriali che avviene nelle acque superficiali, la regolazione del clima, la pesca e
l’acquacoltura (Emerton e Bos, 2004).
La già citata legge Galli introduceva sia il principio “chi inquina paga” sia quello “chi usa paga”,
fornendo gli strumenti operativi per l’applicazione di una politica dei PES.
Questa opportunità non è stata finora sfruttata al meglio anche per la frammentazione degli Enti
che dovrebbero valutare il valore di questa risorsa e la sua idoneità per gli usi più esigenti e che,
generalmente, non hanno competenze territoriali che corrispondono ai bacini idrografici,
naturale scala di gestione della risorsa idrica, ma a territori tracciati sulle carte politiche quali
sono i Comuni, le Provincie e le Regioni.
Il valore strategico della risorsa acqua è stato ribadito dalla Direttiva Quadro dell’Unione
Europea (2000/60/CE) che sancisce che “l’acqua non è un prodotto commerciale al pari degli
altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale” e che introduce “il principio
del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse”
prevedendo all’art. 9 “un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici a carico dei
vari settori d’impiego dell’acqua”.
La salvaguardia dei corpi idrici, oltre ad assicurare la disponibilità di una risorsa indispensabile
per l’agricoltura, l’industria, la produzione di energia e l’uso idropotabile, dovrebbe garantire
l’idoneità per la vita acquatica in tutte le sue forme.
La biodiversità delle specie ittiche, la presenza di specie esigenti dal punto di vista della qualità
dell’acqua garantisce da un lato il mantenimento e il corretto funzionamento dell’ecosistema e
dall’altro la fruibilità delle risorse idriche per gli usi umani.
Questo principio è stato recepito dalla Direttiva 2000/60/CE, che prevede l’utilizzo di indicatori di
biodiversità e idromorfologci, come parametri complementari alle analisi chimiche e fisiche per
valutare lo stato di qualità delle acque.
Del resto qualità e quantità sono intimamente legate e nel recente passato abbiamo
sperimentato situazioni in cui Comuni che disponevano di abbondanti risorse idriche sotterranee
21
e di superficie non le potevano utilizzare a causa della presenza di nitrati, solventi, metalli,
erbicidi a concentrazioni che superavano i livelli di accettabilità imposti per legge (Bettinetti et
al., 2007).
E per garantire sia la quantità sia la qualità dell’acqua è indispensabile attuare una corretta
gestione del territorio di cui gli ecosistemi acquatici fanno parte. La Direttiva 2000/60/CE
individua nelle Autorità di Distretto gli organi preposti al recupero dei costi dell’acqua per i
diversi usi e prevede che entro nove anni (2009) dalla sua entrata in vigore siano predisposti i
piani di gestione dei bacini idrografici atti a impedire il deterioramento e a ripristinare la qualità
ecologica riducendo gradualmente tanto l’inquinamento delle acque, quanto gli impatti
idromorfologici per pervenire, entro il 2015, al buono stato ecologico delle acque superficiali e al
buono stato quantitativo e chimico delle acque sotterranee.
L’Italia è in grave ritardo nell’attuazione di quanto richiesto dalla Direttiva 2000/60/CE e non
esistono a nostra conoscenza casi di applicazione dei PES al settore idrico.
Limitatamente all’esperienza derivante dall’applicazione della legge Galli ai bacini di captazione
si può dire che il calcolo della quota di tariffa da destinare alle risorse forestali non è sufficiente
a garantirne la tutela se i fondi vengono impiegati principalmente per opere di sistemazione dei
torrenti in alveo piuttosto che ad interventi selvicolturali più estensivi; in questo risultano
determinanti i contenuti delle Linee Guida e/o dei Piani di Intervento predisposti dalle Regioni.
A questo proposito si richiama quanto previsto dalla Regione Emilia Romagna, che ha
specificato che almeno il 50% dei fondi destinati alle opere di tutela delle risorsa idrica vada
speso in interventi di indirizzo e manutenzione degli arbusteti e boschi di neoformazione, dei
boschi di conifere, dei boschi cedui invecchiati e delle fustaie transitorie.
Per quanto riguarda le acque sotterranee, va ricordato che la maggior parte delle aree di ricarica
si trova in zone pedemontane in cui il suolo è caratterizzato da ecosistemi agro-forestali. Il
mantenimento e la gestione ecocompatibile dei suoli è cruciale per la salvaguardia delle acque
che scorrono del sottosuolo e di quelle superficiali che si raccolgono a valle di un bacino di
captazione: il già citato caso della città di New York (Box 1) è un esempio del riconoscimento
del valore economico attribuibile al servizio svolto dai suoli per la fornitura di acque potabili.
Nel caso della falda della Pianura Padana, la cui ricarica dipende dal percolamento di acque
meteoriche attraverso suoli permeabili di aree subalpine intensamente coltivate a cereali, l’uso
eccessivo di fertilizzanti e diserbanti ha provocato nei decenni passati contaminazioni tali da
rendere la qualità dell’acqua di falda inadeguata per il consumo umano. Tariffe imposte ai fruitori
del servizio di ricarica, che sono principalmente i cittadini dei grossi insediamenti urbani,
avrebbero potuto incentivare gli agricoltori ad adottare sistemi di produzione che minimizzino
l’utilizzo di sostanze inquinanti.
Si è invece assistito alla semplice sostituzione dei fitofarmaci, come l’atrazina, che hanno
contaminato in passato la falda, con altri principi attivi, come alachlor e terbutilazina, che
potrebbero creare problemi in futuro sia in seguito al percolamento in falda del composto
parentale, sia per il rilascio di metaboliti pericolosi per la salute umana (Provini et al., 1997).
Per quanto concerne la pesca nelle acque interne, sebbene l’Italia disponga di quasi 2 milioni di
ettari di superficie fra laghi, corsi d’acqua, stagni, paludi, canali e risaie, ambienti ritenuti
potenzialmente suscettibili di valorizzazione economica e produttiva, essa rappresenta un
settore produttivo marginale.
La pesca professionale nei laghi e nei fiumi è stata gradualmente abbandonata soprattutto per
effetto del deterioramento dei corpi idrici che ha determinato la riduzione delle popolazioni di
specie più pregiate.
Nel caso di molti laghi italiani, un degrado vistoso che ha ridotto drasticamente la biodiversità
delle comunità acquatiche è stato determinato dai fenomeni di “eutrofizzazione culturale”, dovuti
agli apporti di fosforo convogliati dalle acque fognarie e dal dilavamento dei concimi dai suoli
coltivati.
La perdita della produttività lacustre nei termini della diminuzione quali-quantitativa di biomassa
a tutti i livelli delle piramidi alimentari provocata dai fenomeni distrofici è documentata da molti
studi e si accompagna alla riduzione di un altro servizio ecosistemico, di più difficile
quantificazione, la fruizione delle acque lacustri per l’esercizio di sport acquatici.
22
b) Acque marine
Le acque marine nella loro comune percezione, ovvero ciò che viene denominato “mare” (qui
inteso come l’uno per il tutto vista la complessità dell’ecosistema marino), generano, in chi ne
fruisce, per via diretta o indiretta, una “sensazione di benessere”; sensazione, quest’ultima, per
lo più fisiologica, ma in taluni casi mediata o favorita da convinzioni culturali o mode, ormai
completamente incastonate nel nostro modus cogendi.
Il “mare” fornisce, dunque, benessere. E ciò è semplicemente comprovabile dai trend crescenti
delle percentuali di urbanizzazioni delle coste a livello globale.
Questo benessere dipende dai servizi ecosistemici forniti, che qui di seguito vengono
raggruppati, per facilità di lettura, nelle categorie, definite da Beaumont et al. (2007), di
“Produzione “ (ovvero i servizi che determinano prodotti), di “Regolazione” (i servizi di
mitigazione forniti dai processi fisici e biologici che si attuano insitamente all’ecosistema), di
“Cultura” (i servizi che l’ecosistema fornisce nella sfera valoriale estetica e socio-culturale), e di
“Supporto” (i servizi che l’ecosistema, grazie al suo corretto funzionamento, determina, e che, a
loro volta, generano i servizi elencati nelle categorie precedentemente descritte).
Per un dettaglio dei servizi e dei prodotti si veda quanto riportato in Tab. 5.
Valori legati alla sfera della tradizione, del folklore, della religione,
dell’estetica, dell’arte;
Educazione, divulgazione, ricerca, e conoscenza in generale;
CULTURA
Benessere, e piacere legato al turismo, allo sport, alla percezione
sensoriale, alla biofilia, …;
Potenziali usi futuri di servizi ecosistemici.
Resilienza e resistenza;
SUPPORTO Biogenesi;
Cicli bio e geo-chimici.
23
Tale approccio e’ finalizzato ad assicurare che la pressione di tali attività sia mantenuta entro
limiti compatibili, ovvero che venga mantenuto nel tempo un buono stato ecologico (sensu
allegato 1 direttiva 2008/56/CE) e che la resilienza dell’ecosistema marino alle perturbazioni
antropiche non sia compromessa, consentendo al tempo stesso l’uso sostenibile dei servizi
ecosistemici ora e in futuro.
La suddetta direttiva corrobora, inoltre, l’impegno - assunto dalla medesima CE nell’ambito della
Convenzione per la Diversità Biologica – di arrestare la perdita di biodiversità marina,
garantendone conservazione e uso sostenibile, grazie all’istituzione di una rete di aree marine
protette efficacemente gestite ed ecologicamente rappresentative entro il 2012.
Gli stati membri, ergo, come prima indicazione dalla direttiva 2008/56/CE, hanno l’obbligo di
individuare e designare i siti Natura 2000 a mare in virtù delle direttive 92/43/CEE (direttiva
“Habitat”) e 79/409/CEE (direttive “Uccelli”).
Il tutto, come primo passo, per arrestare la perdita di biodiversità dell’ecosistema marino,
nonché per mantenere la sua funzione di fornitore di servizi ecosistemici.
Se da un lato esistono precise indicazioni circa (1) il come quantificare la biodiversità marina in
relazione al funzionamento degli ecosistemi (Boero e Bonsdorff, 2007), (2) il suo mantenerla nel
tempo e nello spazio, nonché (3) sia stato anche chiaramente e largamente dichiarato lo stretto
legame tra biodiversità marina e produzione di servizi ecosistemici, va detto che la valutazione
di quest’ultimi, e soprattutto la loro gestione nei termini di PES risulta, a tutt’oggi, estremamente
complessa e poco definibile, soprattutto in Italia.
Scrivere, pertanto, in termini stretti di PES in contesto italiano marino risulta poco ragionevole, in
quanto, a nostro parere, non sono presenti casi assoggettabili a quelli citati nel presente
documento: ad esempio il caso della cittadinanza newyorkese e la tariffazione sul consumo
dell’acqua (si veda Box 1).
Sebbene, forse, potrebbero essere considerati esempi di PES a tutti gli effetti i pagamenti delle
visite guidate in aree protette marine o la gestione delle licenze di pesca sportiva, sempre nelle
stesse. In parte tali entrate vengono, infatti, dedicate al mantenimento dell’area naturale stessa.
Se, tuttavia, non ci si attiene strettamente alla definizione di PES, ma si prendono in esame tutti
gli strumenti economici disponili, come, ad esempio, alcuni assi di intervento pubblico delle
politiche di gestione dello sfruttamento delle risorse naturali - si pensi alle politiche della pesca
in ambito CE e la relativa declinazione in Mediterraneo, come il regolamento 1967/2006/CE, e la
conseguente applicazione del medesimo in Italia con lo strumento finanziario FEP (Fondo
Europeo Pesca) - è possibile, se non altro, individuare dei possibili casi di PES potenziali,
definibili come sussidi environmental-friendly.
Interventi pubblici nel settore alieutico potrebbero, infatti, essere utilizzati per azioni mirate al
mantenimento della biodiversità marina nel suo complesso, e quindi nella direzione del
mantenimento dei servizi ecosistemici che essa determina, che nel caso in oggetto sono
ascrivibili alla categoria della “Produzione”. E ciò sarebbe auspicabile.
Fondi pubblici potrebbero essere investiti nell’adeguamento di strumenti di pesca verso una loro
riduzione dell’impatto sulle specie bersaglio e sulla biodiversità non edule.
È il caso della richiesta da parte del regolamento 1967/2006/CE della modifica delle maglie del
sacco terminale (cod end) delle reti a traino poppiero, con il passaggio da maglia romboidale a
maglia quadrata di 40 mm di lato. Accorgimento, quest’ultimo, che ridurrebbe la cattura di
materiale biologico non vendibile a norma di legge o perché non edule (rigetti a mare sensu
Khellerer, 2005). Tale azione ridurrebbe gli impatti sull’ambiente marino.
Altro esempio, potrebbe essere il finanziamento di studi e delle relative applicazioni dei risultati
ottenuti sotto forma di piani di gestione della pesca (con relativa formazione di operatori,
assistenza tecnica, promozione di forme associative) in zone protette del tipo Natura 2000 a
mare, come richiesto dalla direttiva 2008/56/CE.
Ciò potrebbe anche essere da forte stimolo per indirizzare le analisi verso ambiti non solo
ecologici quantitativi, ma promuovere anche valutazioni economiche dei servizi ecosistemici
forniti delle aree protette marine.
A tutt’oggi, in tale direzione va, ad esempio, il lavoro di Marangon et al. (2008) mirato alla
valutazione del bilancio economico-ambientale della Riserva naturale marina di Miramare.
24
3. SCENARI E PROPOSTE VERSO LA STRATEGIA NAZIONALE PER LA
BIODIVERSITÀ
Un aspetto sempre più considerato riguardo alle politiche ambientali (si veda ad esempio il Rapporto
del Working Group 2 nel quarto Assessment Report dell’IPCC del 2007 in riferimento alle politiche di
adattamento ai cambiamenti climatici) è il cosiddetto “mainstreaming” delle politiche e delle misure
specifiche per un obiettivo particolare come, ad esempio, la conservazione della biodiversità e la
valorizzazione dei SE (Cowling et al., 2008).
Per mainstreming si intende in pratica l’inserimento di misure specifiche, come nel caso
dell’adattamento ai cambiamenti climatici, nel corpus delle politiche ambientali, evitando la creazione
di percorsi e politiche paralleli, non sempre coerenti e altrettanto sostenibili dal punto di vista
finanziario e del consenso politico. In linea generale, lo sviluppo di strategie per la biodiversità e, più in
particolare, di quelle che sfruttano approcci basati sui PES dovrebbero quindi essere possibilmente
inserite nell’ambito delle politiche ambientali esistenti, sviluppandosi però sulla base di una serie di
fasi conoscitive e di elaborazione, che dovrebbero essere applicate anche nell’ambito di un piano
nazionale italiano.
Con Mäler et al. (2007), possiamo elencare le componenti principali delle analisi preparatorie per il
piano stesso, nell’ambito di strategie PES:
- in primis si rende necessaria l’identificazione degli ecosistemi nazionali sui quali focalizzare
l’attenzione per le successive analisi; in particolare quelli per i quali esiste una maggiore qualità
ambientale, rispetto alla biodiversità locale;
- in secondo luogo è necessario approfondire il comportamento di tali ecosistemi e le loro dinamiche;
- successivamente si tratterà di identificare gli attori che attualmente o nel prevedibile futuro giocano
un ruolo importante per la gestione di tali sistemi;
- quindi bisognerà sviluppare tecniche adeguate per la valutazione dei servizi offerti da ognuno di
essi;
- e infine bisognerà applicare tali tecniche standard per la valutazione dei diversi ecosistemi e dei loro
servizi.
Come risultato di tali analisi si potrà avere uno strumento conoscitivo fondamentale, che consiste nella
catalogazione e mappatura degli ecosistemi di pregio, dei servizi da loro offerti e dei gestori di tali
territori. Assieme a questi sforzi conoscitivi, sarà necessario esplorare la dimensione istituzionale,
identificando le istituzioni pubbliche o private che possono svolgere un ruolo efficace nella gestione
degli strumenti PES identificati, tenendo conto, come sopra accennato, dell’opportunità di non creare
possibilmente nuove strutture e nuovi strumenti legislativi, ma inserendo i PES nel contesto
istituzionale e legislativo esistente.
Su questa solida base si potrà quindi procedere alla pianificazione delle azioni da mettere in atto,
inclusa l’istituzione di adeguati meccanismi per il pagamento dei servizi ecosistemici da parte di
beneficiari privati, o per mano pubblica, nell’interesse della comunità.
Riguardo alla costruzione del quadro conoscitivo a livello nazionale, è opportuno notare che, pur nella
relativa carenza di informazioni specifiche, molto può essere fatto a livello di analisi alla scala di
riconoscimento, per l’identificazione delle aree problema e per orientare successivi studi di dettaglio.
La Fig. 7 mostra un esempio di identificazione di aree dove orientare l’istituzione di strumenti PES per
la protezione delle acque dai deflussi di inquinanti di origine diffusa.
25
A D
B E
C F
Figura 7: Esempio di modello cartografico per l’individuazione di aree dove orientare l’istituzione di meccanismi
PES per il servizio di regolazione del ciclo idrogeologico in termini di tutela della qualità delle acque profonde.
Da un precedente studio di Giupponi e Vladimirova (2006) a scala di Europa dei 15, abbiamo estratto
la mappa della vulnerabilità del territorio per fenomeni di deflusso verticale (leaching) (Fig.7- A).
Riclassificando tale mappa per evidenziare le aree a maggiore vulnerabilità si sono identificate le aree
dove sarebbe opportuno finanziare servizi ecosistemici di regolazione del ciclo idrogeologico in termini
di conservazione della qualità delle acque (Fig.7- B).
In termini puramente esemplificativi si sono quindi estratte dalla mappa Corine Land Cover (Fig.7- C)
tutte le aree agricole complesse, con elevata presenza di spazi naturali e le aree agro-forestali (codici
241-244), ipotizzando che queste aree siano generalmente caratterizzate da un basso livello di
intensità di coltivazione e da impieghi di fitofarmaci ridotti o assenti e pertanto da mantenere e
valorizzare (Fig.7- D).
26
Si è inoltre ritenuto che l’istituzione di PES sia più probabile in aree sulle quali esiste già una forma di
protezione naturalistica (Fig.7- E).
Si è quindi applicato un modello classificatorio cartografico in ambiente GIS del tipo B x E + D,
ottenendo quindi una nuova mappa (Fig.7- F), che evidenzia tutte le aree protette di interesse per la
qualità delle acque profonde e con presenza di sistemi agricoli o agroforestali di interesse.
Anche in assenza del quadro conoscitivo appena descritto, sembra comunque più che opportuno che
le proposte per una Strategia Nazionale per la Biodiversità vengano sviluppate nell’ambito della
Comunicazione della CE “Arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010 – e oltre. Sostenere i servizi
degli ecosistemi per il benessere dell’uomo” (COM (2006) 216 finale).
In particolare, nell’allegato 1, si riporta un Piano di azione della UE fino al 2010 e oltre, nel cui ambito
si identificano gli obiettivi 2 e 3 come di interesse diretto per il contesto dei servizi ecosistemici e per la
possibilità di valorizzarli per mezzo di azioni di piano.
L’obiettivo strategico 1 mira direttamente alla salvaguardia degli habitat e delle specie più importanti e
in particolare l’azione 1.2.1 ad esempio, in analogia a quanto proposto più sopra, propone di attuare
un’indagine scientifica volta a identificare tutti gli habitat di interesse, mentre la 1.2.2 propone
l’inserimento in nuove aree protette, sulla base delle evidenze dello studio sistematico degli habitat,
ma sono soprattutto gli obiettivi strategici 2 e 3 di interesse in questa sede, come sopra accennato.
L’obiettivo strategico 2, riguarda la conservazione e il ripristino dei servizi ecosistemici e della
biodiversità nel contesto rurale dell’UE e individua come obiettivo principale negli agro-ecosistemi
(terrestri, di acqua dolce, acqua salmastra al di fuori della rete Natura 2000), che la perdita di
biodiversità sia arrestata entro il 2010 e mostri segni di sostanziale miglioramento entro il 2013.
E’ evidente che tali obiettivi temporali sono assolutamente irrealistici allo stato attuale, ma resta
comunque l’interesse per perseguirli nel più breve tempo possibile.
Sempre con orizzonti temporali ormai irraggiungibili, l’obiettivo strategico 2 si focalizza sulle politiche
agricola e rurale, quella forestale e più in generale su quella ambientale, identificando una serie di
obiettivi operativi.
Nel caso delle politiche agro-forestali tali obiettivi operativi riguardano in pratica l’ottimizzazione delle
politiche stesse in termini di protezione della biodiversità almeno con un prodotto secondario delle
politiche stesse.
Le politiche agro-ambientali, come accennato nelle pagine precedenti, si prestano evidentemente per
una interpretazione in termini di pagamenti pubblici per i servizi ambientali offerti dagli agricoltori che
aderiscono e in questo campo varie misure riguardano direttamente o indirettamente la biodiversità.
E’ chiaro che se da un lato varie misure specifiche già esistono, molto si potrebbe ancora fare per
rendere tali misure più efficaci, ma anche e forse soprattutto per migliorare i meccanismi di stima
dell’efficacia delle misure stesse e per la valutazione economica dei servizi, a supporto di una sempre
migliore e più equa definizione delle compensazioni, ovvero dei pagamenti per i servizi offerti.
Si veda ad esempio il riferimento fatto nell’azione 2.1.9 al primo pilastro della Politica Agricola
Comunitaria (PAC) per mirare più incisivamente verso la conservazione della biodiversità per mezzo
di meccanismi come la condizionalità ambientale.
Altre misure, in parte già proposte a livello locale potrebbero essere rafforzate per il mantenimento
della variabilità genetica di specie coltivate e allevate tradizionalmente in Italia.
Nel caso delle politiche ambientali la conservazione della biodiversità diventa un effetto diretto delle
misure, ma anch’essa collegata a politiche ambientali settoriali di altro tipo, come ad esempio quelle
per il controllo dell’inquinamento e il miglioramento della qualità delle acque. In questo ambito si
richiamano più volte azioni miranti al miglioramento delle conoscenze e al monitoraggio delle
dinamiche dei fenomeni, ma anche alla valutazione degli stessi, come proposto più sopra, anche se
mancano di fatto azioni mirate specificamente alla valutazione economica dei servizi.
L’obiettivo strategico 3 riguarda l’ambiente marino ma gli obiettivi operativi vanno sostanzialmente in
parallelo e la politica per la pesca costituisce l’omologo di quella agro-forestale in ambiente terrestre.
27
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30
Allegato 1
“Arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010 – e oltre. Sostenere i servizi degli ecosistemi
per il benessere dell’uomo” (COM (2006) 216 finale).
OBIETTIVO STRATEGICO 2: CONSERVARE E RIPRISTINARE I SERVIZI ECOSISTEMICI E
DELLA BIODIVERSITÀ NEL CONTESTO RURALE DELL’UE
OBIETTIVO PRINCIPALE: negli agro-ecosistemi (terrestri, di acqua dolce, acqua salmastra al di
fuori del network di Natura 2000), la perdita di biodiversità è arrestata entro il 2010 e mostra
segni di sostanziale miglioramento entro il 2013.
POLITICA DI SVILUPPO AGRICOLO & RURALE
OBIETTIVO OPERATIVO: nel periodo 2007-2013 gli Stati Membri hanno ottimizzato
A2.1 l’impiego delle risorse disponibili nell’ambito delle politiche agricole, di sviluppo
rurale e forestali per apportare benefici alla biodiversità
AZIONE: su iniziativa degli stati membri e nell’ambito di ogni Piano di Sviluppo Rurale
(PSR) nazionale/regionale destinare adeguati co-finanziamenti comunitari e nazionali
A2.1.1 in favore delle misure finanziarie previste nell’ambito dei tre assi del Regolamento PSR di
sostegno diretto o indiretto a natura e biodiversità [2006/07 ed ogni successiva revisione].
(Cfr. Azione B.1.1.2)
AZIONE: applicare Piani di Sviluppo Rurale (PSR) nel prossimo periodo di
programmazione [2007-2013] in modo da ottimizzare i benefici a lungo termine per la
A2.1.2
biodiversità – in particolare per le aree Natura 2000 e per altre aree agricole e forestali “ad
elevato valore naturalistico”
AZIONE: definire criteri e identificare [2006-07] aree agricole e forestali ad elevato
valore naturalistico (incluso aree della rete Natura 2000) minacciate dalla perdita di
biodiversità (con particolare attenzione alle coltivazioni estensive e ai sistemi di selvicoltura
A2.1.3
a rischio di intensificazione o di abbandono, o già soggetti ad abbandono) e programmare
ed attuare interventi per conservare e/o ripristinare lo stato di conservazione [dal 2007 in
poi].
AZIONE: assicurare l’effettiva attuazione della condizionalità ambientale (che condiziona
A2.1.4
la maggior parte degli interventi dell’Asse 2 del Regolamento di Sviluppo Rurale)
AZIONE: assicurare che i Piani di Sviluppo Rurale (PSR) degli stati membri si conformino
A2.1.5 alla legislazione ambientale e in particolare alle direttive sulla natura in modo da prevenire
e minimizzare potenziali danni alla biodiversità [2007-2013].
AZIONE: estendere i servizi di sviluppo agricolo, i sistemi di consulenza agricola e
gli interventi di formazione agli agricoltori, ai proprietari terrieri e ai braccianti per
A2.1.6
rafforzare gli adempimenti connessi alla biodiversità nella prossima programmazione di
sviluppo rurale [dal 2007 in poi] incluso il sostegno dall’asse LEADER.
AZIONE: assicurare che il futuro regime comunitario delle zone svantaggiate agricole
A2.1.7 (LFA) [dal 2010] in base all’Asse 2 accresca il proprio contributo alla biodiversità e alle
aree agricole e forestali ad “elevato valore naturalistico”.
AZIONE: dare attuazione allo schema comune di monitoraggio e di valutazione e ai
requisiti della Direttiva sulla Valutazione Ambientale Strategica (VAS), ove applicabili,
A2.1.8
per i programmi di sviluppo rurale, inclusa la definizione degli indicatori, in modo tale che
l’impatto degli interventi sulla biodiversità venga valutato [dal 2006 in poi].
AZIONE: incoraggiare l’attuazione del primo pilastro in quanto portatore di benefici per
la biodiversità della Politica Agricola Comune, soprattutto attraverso la condizionalità
A2.1.9
ambientale obbligatoria, il disaccoppiamento (pagamenti agricoli singoli) e incoraggiando
l’adozione della modulazione da parte degli Stati Membri
AZIONE: considerare, se opportuno, una possibile revisione dei requisiti di
A2.1.10 condizionalità ambientale correlati alla conservazione della biodiversità nella
revisione del 2007 del sistema di condizionalità ambientale.
AZIONE: rafforzare le misure per garantire la conservazione, e la disponibilità d’uso, della
diversità genetica delle varietà di cereali, dei vari tipi di bestiame e delle razze, e delle
A2.1.11
specie di alberi commerciali nell’UE, e promuovere in particolare la loro conservazione in
situ [dal 2006 in poi].
AZIONE: sfruttare le opportunità nell’ambito della PAC [2007-2013] per attuare tutti gli
A2.1.12
interventi sopraelencati nelle Regioni Ultra-periferiche.
31
POLITICA FORESTALE
AZIONE: assicurare che il prossimo Piano di Azione Forestale dell’UE [atteso per il
A2.1.13 2006] faccia riferimento alla biodiversità forestale tra le priorità, in linea con la Strategia
Forestale dell’UE e il 6° Programma Quadro di Azione Ambientale
AZIONE: attuare la risoluzione sulla biodiversità forestale della Conferenza
Ministeriale di Vienna (2003) attraverso politiche forestali degli stati membri e il Piano di
A2.1.14
Azione Forestale dell’UE con particolare riferimento al Programma di Lavoro Esteso sulla
Diversità Biologica delle Foreste della CBD [dal 2006 in poi].
AZIONE: valutare il potenziale impatto sulla biodiversità dei piani, dei programmi e
dei progetti di rimboschimento (o, se del caso, di deforestazione); agire in conformità
A2.1.15
con queste valutazioni, in modo da impedire un impatto negativo generale a lungo termine
sulla biodiversità [dal 2006 in poi].
POLITICA AMBIENTALE
OBIETTIVO OPERATIVO: rischi per la biodiversità del suolo sostanzialmente ridotti
A2.2
entro il 2013
AZIONE: identificare aree geografiche a rischio per i fattori che influenzano la
A2.2.1 biodiversità del suolo (impermeabilizzazione del suolo, perdita di sostanza organica,
erosione del suolo, ecc.) [entro il 2009]
AZIONE: minimizzare la impermeabilizzazione del suolo, mantenere la sostanza
organica del suolo e prevenire l’erosione del suolo attraverso la tempestiva
A2.2.2
applicazione dei provvedimenti chiave identificati nell’imminente Strategia Tematica per la
Protezione del Suolo [dal 2010 in poi].
OBIETTIVO OPERATIVO: progressi sostanziali verso un “buono stato ecologico”
A2.3
per le acque dolci entro il 2010 e ulteriori progressi sostanziali entro il 2013
AZIONE: assicurare l’attuazione dei programmi di monitoraggio operativi [entro il 2006]
e la pubblicazione dei Piani di Gestione dei Bacini Fluviali e l’istituzione dei Programmi
A2.3.1 di Intervento Distrettuali del Bacino dei Fiumi [entro il 2009] e che questi Piani e
Programmi di Intervento siano pienamente operativi [entro il 2012], in linea con le
disposizioni della Direttiva Quadro sull’Acqua
OBIETTIVO OPERATIVO: ridurre notevolmente le principali pressioni inquinanti per la
A2.4
biodiversità terrestre e delle acque dolci entro il 2010, e ulteriormente entro il 2013.
AZIONE: ridurre notevolmente l'incidenza di fonti puntuali di inquinamento a danno
degli ecosistemi terrestri e delle acque dolci attraverso l’incremento dell’attuazione delle
A2.4.1 Direttive rilevanti, in particolare di quelle sulla Prevenzione e Controllo Integrato
dell’Inquinamento, sui Grandi Impianti di Combustione, Incenerimento dei Rifiuti,
Trattamento delle Acque di Scarico Urbane (cfr. Azione 3.2.1) [dal 2006 in poi].
AZIONE: ridurre notevolmente l’inquinamento trasportato dall’aria eutrofizzante e
acidificante degli ecosistemi terrestri e delle acque dolci in linea con la Strategia Tematica
A2.4.2
sulla Qualità dell’Aria [dal 2006 in poi]; rivedere la Direttiva sui Tetti Nazionali di Emissioni
(NEC) [entro il 2007]. (cfr. Azione 3.2.3)
AZIONE: ridurre notevolmente l’inquinamento degli ecosistemi terrestri e delle acque
dolci da parte di fonti agricole (principalmente pesticidi, nitrati) attraverso provvedimenti
A2.4.3
in linea con la Strategia Tematica per l’Uso Sostenibile dei Pesticidi, con la legislazione sui
pesticidi e biocidi , con la Direttiva sui Nitrati [dal 2006 in poi]. (cfr. Azione 3.2.3)
AZIONE: ridurre notevolmente l’esposizione attuale e limitare l’esposizione futura
degli ecosistemi terrestri e delle acque dolci a sostanze chimiche tossiche attraverso
A2.4.4
interventi in linea con la legislazione europea sulle sostanze chimiche incluso il REACH
[dal 2006 in poi]. (cfr. Azione 3.2.4)
OBIETTIVO OPERATIVO: piani per la gestione del rischio di inondazioni operativi ed
A2.5 elaborati in modo tale da prevenire e minimizzare la perdita di biodiversità ed
ottimizzare i benefici per la biodiversità entro il 2015
AZIONE: come parte della valutazione preliminare del rischio di inondazione per ogni
A2.5.1 fiume, valutare i rischi e i benefici delle inondazioni per la biodiversità [entro 3 anni
dall’adozione della Direttiva].
AZIONE: assicurare che i piani di gestione per il rischio di inondazione per ogni
bacino fluviale ottimizzino i benefici per la biodiversità, in particolare, consentendo la
A2.5.2 disponibilità di acqua dolce necessaria negli habitat delle aree paludose e delle piane
alluvionali e creando, ove possibile, ulteriori habitat idonei di aree paludose e piane
alluvionali che aumentino la capacità di ritenzione dell’acqua [entro il 2015]
32
OBIETTIVO STRATEGICO 3: CONSERVARE E RIPRISTINARE LA BIODIVERSITA’ ED I SERVIZI
ECOSISTEMICI NELL'AMBIENTE MARINO DELL’UE.
OBIETTIVO PRINCIPALE: nell'ambiente marino (al di fuori dei siti Natura 2000), perdita di
biodiversità arrestata entro il 2010 e con segni di sostanziale recupero entro il 2013.
POLITICA AMBIENTALE
OBIETTIVO OPERATIVO: progresso sostanziale raggiunto entro il 2010 e
A3.1 ulteriormente entro il 2013 verso uno “stato ambientale buono” dell’ambiente
marino.
AZIONE: effettuare valutazioni iniziali, determinare lo “stato ambientale buono” e
A3.1.1 stabilire obiettivi ambientali per ogni Regione Marina in linea con il programma
specificato nella Direttiva sulla Strategia Marina proposta [dal 2006 in poi].
AZIONE: sviluppare programmi di interventi ideati per raggiungere un buono stato
A3.1.2
ambientale in ogni Regione Marina [entro il 2016 al più tardi, prima ove possibile].
AZIONE: assicurare che le disposizioni chiave sulla biodiversità e l’ecosistema della
A3.1.3 Strategia Tematica per l’Ambiente Marino siano garantite nel prossimo Documento Verde
sulla Futura Politica Marittima dell’Unione ed ogni successiva politica.
AZIONE: assicurare l’attuazione tempestiva della Direttiva Quadro Acque così come
A3.1.4
applicata alle zone costiere [dal 2006 in poi].
AZIONE: assicurare l’attuazione tempestiva e riesaminare la Raccomandazione di
A3.1.5
Gestione Integrata della Zona Costiera dell’UE [dal 2006 in poi].
OBIETTIVO OPERATIVO : principali fattori di inquinamento sulla biodiversità
A3.2
marina sostanzialmente ridotte entro il 2010, ulteriormente entro il 2013.
AZIONE: ridurre notevolmente le pressioni inquinanti da fonte puntuale sugli
ecosistemi marini rafforzando l’attuazione di Direttive rilevanti, in particolare sulla
A3.2.1 Prevenzione e sul Controllo Integrato dell’Inquinamento, Piante a Lunga Combustione,
Incenerimento dei Rifiuti, Trattamento delle Acque di Scarico Urbane[dal 2006 in poi] (cfr.
Azione 2.3.1)
AZIONE: ridurre notevolmente l’inquinamento trasportato dall’aria eutrofizzante e
acidificante degli ecosistemi marini in linea con la Strategia Tematica sulla Qualità
A3.2.2
dell’Aria [dal 2006 in poi]; rivedere la Direttiva Nazionale sul Tetto delle Emissioni [entro il
2007]. (cfr. Azione 2.3.2)
AZIONE: ridurre notevolmente l’inquinamento degli ecosistemi marini da parte di
fonti agricole (pesticidi, fertilizzanti) attraverso provvedimenti in linea con la Strategia
A3.2.3
Tematica per l’Uso Sostenibile dei Pesticidi, con la legislazione sui pesticidi e biocidi , con
la Direttiva sui Nitrati [dal 2006 in poi]. (cfr. Azione 2.3.2)
AZIONE: ridurre notevolmente l’esposizione attuale e limitare l’esposizione futura
A3.2.4 degli ecosistemi marini a sostanze chimiche tossiche attraverso interventi in linea con
la legislazione europea sulle sostanze chimiche [dal 2006 in poi]. (cfr. Azione 2.3.4)
POLITICA DELLE ZONE DI PESCA
OBIETTIVO OPERATIVO: approccio ecosistemico alla protezione del mare a regime
A3.3
e con interventi di gestione dell’industria della pesca non più tardi del 2016
AZIONE: introdurre gli interventi di gestione dell’industria della pesca richiesti dalle
A3.3.1 Strategie Marine Regionali adottate dagli Stati Membri in linea con i requisiti della Direttiva
sulla Strategia Marina [entro il 2017].
OBIETTIVO OPERATIVO : finanziamenti destinati alla gestione eco-sostenibile
A3.4
dell’industria della pesca sostanzialmente incrementati dal 2007 in poi
AZIONE: applicare i nuovi Fondi Europei per la Pesca e i Fondi degli Stati Membri per
A3.4.1
interventi in favore della biodiversità marina [dal 2007 in poi] (cfr. Azione B1.1.3)
OBIETTIVO OPERATIVO: livello delle scorte ittiche mantenuto o ristabilito a livelli
A3.5
che consentano la massima resa sostenibile, possibilmente non più tardi del 2015
AZIONE: preparare un piano di intervento per conseguire la massima resa possibile,
preparare ed attuare piani di ripristino delle scorte ittiche, non appena necessario, per
A3.5.1
ogni riserva al di sotto di limiti biologici sicuri e piani di gestione per mantenere le altre
riserve a livelli biologici sicuri.
AZIONE: sviluppare, adottare e attuare programmi di ripristino per specie migratorie (es.
A3.5.2
trota, salmone, storione). [dal 2006 in poi]
A3.5.3 AZIONE: adeguare la capacità di pesca e le riserve di pesce disponibili [dal 2006 in poi]
33
AZIONE: adottare ed attuare le disposizioni previste dalla PCP per l’istituzione più ampia
A3.5.4
di Zone di Tutela Biologica
AZIONE: prendere iniziative concertate a livello UE per combattere la pesca illegale,
A3.5.5
non dichiarata e non regolamentata . [dal 2006 in poi]
OBIETTIVO OPERATIVO: ridurre sostanzialmente l’impatto dell’industria della
A3.6 pesca sulle specie non commerciali e sugli habitat progressivamente dal 2006 in
poi
AZIONE: prendere provvedimenti tecnici per aiutare a garantire uno stato di
conservazione favorevole delle specie marine e degli habitat non sfruttati dal punto di
A3.6.1
vista commerciale, allo scopo di limitare la cattura accidentale e i danni al benthos [dal
2006 in poi]
AZIONE: adottare i Piani di Azione Comunitari per la conservazione degli squali e
A3.6.2
degli uccelli marini e quindi metterli progressivamente in atto.
AZIONE: identificare, definire,adottare ed applicare i provvedimenti richiesti per i siti
A3.6.3
di Natura 2000 nell’ambiente marino [per data di designazione]
AZIONE: assicurare l’adeguato trattamento di tutte le problematiche legate alla
biodiversità in tutti i casi in cui la valutazione d’impatto ambientale o la valutazione
ambientale strategica siano richieste in relazione alle zone di pesca o all’acquacoltura , e
A3.6.4 assicurare che il processo di autorizzazione e la successiva attuazione tengano in dovuto
conto le conclusioni della VIA e della VAS per prevenire impatti negativi sulla biodiversità
o, laddove possibile, minimizzare, mitigare e/o compensare per questi impatti negativi [dal
2006 in poi]
OBIETTIVO OPERATIVO: informazioni e resoconti sull’integrazione ambientale
A3.7
della Politica Comune sulla Pesca sostanzialmente migliorati dal 2008 in poi
AZIONE: effettuare valutazioni periodiche [dal 2006 in poi] dei progressi della PC sulla
A3.7.1 Pesca nel recepimento dei requisiti di protezione ambientale (con particolare riferimento
alla biodiversità)
34
VERSO LA STRATEGIA NAZIONALE PER LA BIODIVERSITÀ