07 Santa Famiglia (B) LC 2, 22-40
07 Santa Famiglia (B) LC 2, 22-40
07 Santa Famiglia (B) LC 2, 22-40
Colletta: O Dio, nostro Padre, che nella santa Famiglia ci hai dato
un vero modello di vita, fa’ che nelle nostre famiglie fioriscano le
stesse virtù e lo stesso amore, perché, riuniti insieme nella tua casa,
possiamo godere la gioia senza fine. Per il nostro Signore Gesù
Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello
Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Oppure: O Dio, nostro creatore e Padre, tu hai voluto che il tuo
Figlio, generato prima dell’aurora del mondo, divenisse membro
dell’umana famiglia; ravviva in noi la venerazione per il dono e il
mistero della vita, perché i genitori si sentano partecipi della
fecondità del tuo amore, e i figli crescano in sapienza, età e grazia,
rendendo lode al tuo santo nome.
1
Prima Lettura: Gen 15, 1-6; 21, 1-3
In quei giorni, fu rivolta ad Abram, in visione, questa parola del
Signore: «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua
ricompensa sarà molto grande». Rispose Abram: «Signore Dio, che
cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è
Elièzer di Damasco». Soggiunse Abram: «Ecco, a me non hai dato
discendenza e un mio domestico sarà mio erede». Ed ecco, gli fu
rivolta questa parola dal Signore: «Non sarà costui il tuo erede, ma
uno nato da te sarà il tuo erede».
Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le
stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua
discendenza».
Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia.
Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come
aveva promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella
vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato. Abramo chiamò Isacco il
figlio che gli era nato, che Sara gli aveva partorito.
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dell’alleanza stabilita con Abramo
e del suo giuramento a Isacco.
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avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi
portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a
suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio,
dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano
di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli
è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno
di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –,
affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di
Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette
anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva
ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio
notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel
momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a
quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
[Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del
Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il
bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di
Dio era su di lui.]
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Prefazio di Natale I: Cristo Luce
È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.
Nel mistero dei Verbo incarnato
è apparsa agli occhi della nostra mente
la luce nuova del tuo fulgore,
perché conoscendo Dio visibilmente,
per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle cose invisibili.
E noi, uniti agli Angeli e agli Arcangeli,
ai Troni e alle Dominazioni
e alla moltitudine dei Cori celesti,
cantiamo con voce incessante l’inno della tua gloria:
Santo, Santo, Santo …
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Santo, Santo, Santo …
Commenti:
Stock
Maria e Giuseppe hanno cura di Gesù
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In questo brano l’evangelista ci mostra la santa Famiglia quaranta
giorni dopo la nascita di Gesù. Giuseppe e Maria portano il bambino
nel tempio, dove viene consacrato al Signore. Lì lo incontrano le due
persone anziane, Simeone e Anna, che credono in ciò che Dio ha
promesso e, piene di gioia, possono sperimentare come Dio realizzi
le sue promesse. Nelle parole rivolte a Maria, Simeone guarda avanti
verso il tempo in cui Gesù non vivrà più con sua madre, ma compirà
la sua missione. Alla fine essi ritornano a Nazaret, dove Gesù cresce
presso Maria e Giuseppe. La santa Famiglia si manifesta qui con i
suoi diversi rapporti e compiti. Essa non è chiusa in se stessa, ma
vive nel popolo d’Israele e sotto la Legge del Signore.
Corrispondentemente all’età e allo sviluppo del bambino, cambiano i
compiti dei genitori e il loro rapporto con lui.
Maria e Giuseppe non si preoccupano solo del bene fisico del
bambino. Lo introducono nei santi ordinamenti che Dio ha dato al
suo popolo. L’ottavo giorno dopo la nascita, il bambino viene
circonciso (cfr. Lv 12, 3) e accolto nell’alleanza che Dio ha concluso
con Abramo. Quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, i genitori lo
portano nel tempio. Questo è il giorno in cui una donna che ha
partorito un figlio maschio deve presentare l’offerta per la
purificazione (Lv 12, 1-8). Come offerte sono previste dalla Legge
una pecora e una colomba. Maria offre due colombe, come è
permesso ai poveri. La sua offerta mostra che ella è madre di un
figlio ed è una donna povera.
Poiché è il primogenito (2, 7), Gesù, secondo la Legge, appartiene
a Dio (Es 13, 2. 12-15). Questa disposizione ricorda che veramente
tutto appartiene a Dio, poiché egli ha creato tutto. L’uomo può
riconoscere questo dato di fatto, se nel sacrificio restituisce a Dio
qualcosa che ha ricevuto da lui. Secondo la Legge, i primi nati degli
animali maschi dovevano essere sacrificati, i bambini primogeniti
dovevano essere riscattati con denaro.
Luca non dice che Gesù sia stato riscattato, ma che è stato
presentato al Signore, consacrato. Gesù appartiene in modo singolare
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a Dio, perché Maria lo ha avuto per opera dello Spirito Santo.
Conformemente a ciò, l’angelo aveva affermato nella vocazione di
Maria: «Perciò il bambino sarà chiamato santo e Figlio di Dio» (1,
35). Il tempio è il luogo della presenza particolare di Dio in mezzo al
suo popolo. Maria porta nella casa di Dio colui che lei ha ricevuto
per mezzo della potenza di Dio e ha partorito. Riconosce che questo
bambino non appartiene a lei, ma a Dio. Gesù per la prima volta
viene, in braccio a Maria, nella casa di suo Padre. A dodici anni
tornerà nel tempio con Maria e Giuseppe, ma questa volta con le
proprie gambe. Quando poi, a insaputa dei genitori, rimarrà nel
tempio, e a loro, che lo hanno cercato, porrà la domanda: «Non
sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (2, 49),
farà loro capire in modo duro e doloroso che egli non appartiene ad
essi, ma è sottoposto innanzitutto alla volontà di Dio. È tanto quello
che i genitori fanno per i loro figli nel corso degli anni. Eppure essi
non hanno alcun diritto su di loro, né possono prescrivere ai figli la
loro vita. Ma i figli hanno il dovere di rispettare il padre e la madre
(Es 20, 12).
Simeone e Anna personificano il popolo d’Israele e la sua storia
con Dio. Essi credono nelle promesse di Dio e aspettano, con vivo
desiderio, che esse si compiano. Di solito sono le persone anziane
che sono legate alle radici di un popolo, che alimentano da lì la
corrente vitale, impedendole di disseccarsi in una piatta
superficialità. Di solito sono anche queste persone che conoscono il
valore del legame con Dio, vivono nella fiducia in lui e si ritagliano
del tempo per pregare. Il loro contributo è insostituibile per le
famiglie e per la formazione delle giovani generazioni. Simeone, il
vecchio, può prendere in braccio il piccolo bambino e può
riconoscere e proclamare qual è il suo significato per Israele e per
tutti i popoli. Può sperimentare con gioia che Dio mantiene la sua
parola e adempie le sue promesse.
Simeone benedice Maria e Giuseppe. Lui, che per una lunga
esperienza conosce la bontà e la fedeltà di Dio, pone Maria e
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Giuseppe sotto la benedizione di Dio. Con questa benedizione essi
devono adempiere alla responsabilità che hanno della crescita di
Gesù. Le parole che Simeone rivolge a Maria guardano, al di là del
presente, verso il tempo in cui Gesù compirà la sua missione.
Simeone dice a Maria: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di
molti in Israele, e come segno di contraddizione, e anche a te una
spada trafiggerà l’anima, affinché siano svelati i pensieri di molti
cuori» (2, 34-35). Gesù non sarà il Messia acclamato da tutti. Il fatto
che alcuni lo riconosceranno e altri lo respingeranno, avrà delle
conseguenze per Maria. La spada è lo strumento con cui si ferisce e
si uccide; essa ha per natura un carattere ostile alla vita. L’anima è
per l’uomo la fonte e il centro di tutta la vita. Ciò che accadrà a
Gesù, l’essere odiato e minacciato, colpirà Maria nella sua vita
intima come una spada, ferendo e offendendo. Proprio in questa
esperienza dolorosa si vede che Maria è unita a Gesù in modo totale,
personale e cordiale: la vita di Gesù è la sua vita; le offese a Gesù
sono le offese a lei; il destino di Gesù è il suo destino. Anche quando
finirà il lungo tempo della vicinanza e della vita in comune nella
santa Famiglia, Maria con la sua anima sarà presso suo figlio.
Ma questo tempo non è ancora arrivato. Maria e Giuseppe
ritornano con il bambino a Nazaret. Qui è la patria e il luogo della
comunione, per molti anni, della santa Famiglia, con una vita
modesta, con le gioie e le preoccupazioni di ogni giorno. Di Gesù si
dice: «Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la
grazia di Dio era su di lui» (2, 40). Sotto la protezione e la
benedizione di Dio, e sostenuto dall’amore e dalle cure di Maria e di
Giuseppe, il bambino può crescere e progredire. Questi primi anni
sono il tempo della più grande vicinanza e del più stretto legame. La
famiglia è un’intima comunione con un’unica vita, in cui al centro ci
sono il bambino e il suo bene.
Domande
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1. Che significato ha nelle famiglie il legame con Dio, la
preghiera e la vita secondo i suoi comandamenti? La fede viene
trasmessa ai bambini come il più grande valore?
2. Nelle famiglie c’è posto per la generazione anziana? Ne viene
apprezzata e accolta l’esperienza?
3. Un bambino richiede molto tempo e molteplici servizi. Siamo
coscienti che il servizio prestato a un bambino conduce alla
comunione con Gesù e con Dio (9,46-48)?
(Stock K., La Liturgia de la Parola. Spiegazione dei Vangeli
domenicali e festivi, Anno B, ADP, Roma 2002, 60-63).
Vanhoye
La santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
Nella prima domenica dopo il Natale la Chiesa c’invita a
celebrare la santa famiglia di Nazaret. Anche le nostre famiglie
devono essere sante, secondo la chiamata di Dio, per rassomigliare a
questa famiglia.
Le prime due letture parlano di Abramo, per farci capire innanzitutto
che i figli sono un dono meraviglioso di Dio. La famiglia, con
l’amore reciproco del marito e della moglie e poi con la fecondità di
tale amore, è un dono di Dio, una partecipazione alla sua dignità di
Creatore. Infatti, per indicare la nascita dei figli, si usa proprio il
termine «procreazione». Dio ha dato all’uomo questa straordinaria
dignità di essere con lui procreatore di figli. Nel libro della Genesi
leggiamo che, quando è nato il primo figlio ai nostri progenitori, Eva
ha detto: «Ho acquistato un uomo dal Signore» (Gen 4, 1). Con
questa affermazione voleva significare di essere stata associata a Dio
per la procreazione di un figlio.
La prima lettura ci mostra Abramo pieno di tristezza, perché non
ha figli. Egli è già avanti negli anni, come pure Sara, sua moglie.
Perciò essi hanno perso la speranza di avere figli. Quando Dio si
rivolge ad Abramo dicendogli: «Non temere, Abram. Io sono il tuo
scudo; la tua ricompensa sarà molto grande», Abramo si lamenta
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con lui: «Mio Signore Dio, che mi darai? Io me ne vado senza figli e
l’erede della mia casa è Eliezer di Damasco».
In questo momento la grande tristezza sentita da Abramo è
causata dal fatto di doversene andare senza lasciare figli. Tutti i doni
di Dio gli sembrano vani. Ogni persona, infatti, ha il grande
desiderio di trasmettere ai figli i doni ricevuti, e Abramo non ha
questa possibilità. La sua domanda: «Mio Signore Dio, che mi
darai?», significa: «I tuoi doni, Signore, non mi soddisferanno,
perché non li potrò trasmettere ai figli». E pieno di delusione,
conclude: «Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio domestico
sarà mio erede».
Ma a questo punto il Signore gli fa una promessa, che corrisponde
al suo desiderio più profondo: «Non costui sarà il tuo erede, ma uno
nato da te sarà il tuo erede». In questa promessa Dio rivela una
generosità immensa. Poi conduce fuori Abramo e gli dice: «Guarda
in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle. Tale sarà la tua
discendenza».
Abramo crede al Signore, che glielo accredita come giustizia. Qui
si manifesta la fede di Abramo nell’accogliere la promessa di un
figlio, anzi di una discendenza innumerevole.
Accogliere i figli come un dono di Dio è un atteggiamento
abbastanza naturale, ma un atteggiamento che dobbiamo ravvivare
sempre. Dobbiamo sempre riconoscere che i figli sono un dono
meraviglioso di Dio, il quale infonde nel cuore dei genitori una gioia
del tutto particolare: la gioia della paternità e della maternità, che è
più grande di tante altre gioie.
La seconda lettura ci fa capire che il dono del figlio comporta
anche una responsabilità da parte dei genitori. I figli sono un dono di
tipo particolare. In realtà, essi non appartengono ai genitori come
fossero delle cose. Certo, un figlio o una figlia sono per i genitori un
tesoro, ma non un tesoro materiale. Essi sono persone, e quindi
appartengono a Dio molto più di quanto non appartengano ai
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genitori. I figli sono un dono di Dio che continua ad appartenere a lui
e che dev’essere rispettato proprio in quanto appartiene a lui.
Abramo ha dovuto vivere un’esperienza molto dolorosa, proprio
per diventare consapevole di questa realtà. La Lettera agli Ebrei ci
riferisce che egli viene messo alla prova: Dio gli chiede di offrire suo
figlio Isacco, ricevuto in forza della promessa divina. Abramo offre
suo figlio, si mostra disponibile a rendere a Dio questo suo figlio,
che è un dono meraviglioso di Dio e non appartiene veramente ad
Abramo.
La prova di Abramo ha questo significato profondo per tutti i padri e
per tutte le madri: i figli appartengono a Dio; i genitori non devono
avere nei loro confronti un affetto possessivo. Il che significa che
essi non devono cercare nei figli la propria soddisfazione, bensì il
bene loro in quanto persone amate da Dio, che devono conquistare a
poco a poco la loro autonomia e vivere la loro vocazione.
Questa però è una cosa non facile da realizzare. Infatti, in molte
famiglie l’affetto paterno o materno diventa possessivo, impedendo
al figlio di diventare una persona libera, che appartiene solo a Dio.
Da questo atteggiamento possessivo derivano conseguenze molto
negative. Ad esempio, quando il figlio si sposa, la madre pretende di
conservare nei suoi confronti la stessa relazione che aveva con lui
quando era bambino, di continuare a essere la madre che deve
dirigere in tutto il figlio e avere tutto l’affetto del figlio. Questo
atteggiamento allora provoca un conflitto con la moglie. L’ affetto
possessivo non è un affetto vero, perché ricerca la propria
soddisfazione, invece di rispettare e promuovere il bene della
persona amata.
Nel Vangelo vediamo come Maria e Giuseppe diventano
consapevoli che Gesù non è per loro un possesso, ma una
responsabilità, un dono di Dio che continua ad appartenere a Dio
molto più che a loro.
Pochi giorni dopo la nascita di Gesù essi conducono il bambino a
Gerusalemme per offrirlo al Signore, cioè per riconoscere che egli
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appartiene a Dio. La legge di Mosè infatti prescrive: «Ogni maschio
primogenito sarà sacro al Signore». Maria e Giuseppe vanno al
tempio, per mostrare che Gesù appartiene a Dio e che essi sono
soltanto, per così dire, gli amministratori, e non i proprietari, di
questo dono.
In questa circostanza Dio rivela in che modo Gesù deve essere
suo Servo. Ispirato dallo Spirito Santo, il vecchio Simeone dice a
proposito di questo bambino: «Egli è qui per la rovina e la
risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché
siano svelati i pensieri di molti cuori». Gesù ha il compito decisivo
di svelare i pensieri dei cuori, ed essere così segno di contraddizione.
Anzi, deve diventare egli stesso oggetto di persecuzione, di condanna
ingiusta. A Maria Simeone predice: «E anche a te una spada
trafiggerà l’anima». La sorte di Gesù e quella di Maria sono molto
dolorose, ma anche molto feconde. Sappiamo che con la sua passione
Gesù ha salvato il mondo, e che Maria ha avuto un ruolo di
cooperazione in questo grande mistero.
Maria conserva tutte queste parole nel suo cuore (cf. Lc 2, 19.
51). Così si prepara a essere «la serva del Signore» anche nel suo
modo di educare il figlio, e poi di lasciarlo andare per la sua
missione, che è tanto importante per la salvezza del mondo.
Il Vangelo ci riferisce che «quando ebbero tutto compiuto
secondo la legge del Signore, [i genitori e il bambino] fecero ritorno
in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si
fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui». La
gioia della famiglia proviene proprio dalla crescita dei figli. Anche
questa è una cosa meravigliosa che provoca stupore. I figli sono
destinati a crescere, a fortificarsi, per acquistare la sapienza e
accogliere la grazia di Dio. Gesù è veramente uno di noi: il Figlio di
Dio si fa bambino, accetta di crescere, di fortificarsi, è pieno di
sapienza, e la grazia di Dio è sopra di lui. Maria e Giuseppe hanno la
gioia di vedere il figlio che cresce e che acquista tutto ciò che è
necessario per la sua missione.
13
La famiglia ha il compito di favorire la crescita dei figli, di
rispettarla e di guidarla; ha il compito di favorire il pieno sviluppo di
tutte le qualità che Dio ha dato ai figli per l’adempimento della loro
vocazione. La famiglia dev’essere orientata anzitutto verso questa
missione.
Ognuno ha una sua vocazione; ad ognuno Dio affida una
missione da compiere nel mondo, determinate responsabilità da
assumere. In una famiglia ciascuno dei figli ha la sua vocazione
personale, e la famiglia ha il compito di creare tutte le condizioni
favorevoli per il pieno sviluppo di tale vocazione, perché i figli
vivano una vita veramente bella, degna di Dio e utile al mondo.
(Vanhoye A., Le Letture Bibliche delle Domeniche, Anno B,
ADP, Roma 2005, 41-44).
Garofalo:
La famiglia
Le letture liturgiche di questa domenica sono tutte esplicitamente
intonate al tema della famiglia, dalle esortazioni del Siracide (I
lettura) piene di religiosa saggezza a quelle di Paolo (II lettura)
vibranti di tutta la novità cristiana, al brano evangelico nel quale la
Famiglia di Nazaret è un modello unico, ma non del tutto
irraggiungibile. Luca, infatti, comincia a presentarla come esemplare
nella esatta osservanza della Legge del Signore (vv. 23-24. 27. 39),
alla quale non si sottraeva nonostante la sua condizione eccezionale e
i prodigi senza esempio compiutisi nel suo seno. L’incrollabile base
che assicura saldezza, coesione, serenità e buona riuscita ad ogni
famiglia fu e resta la sua completa disponibilità ai disegni di Dio
nella creazione e nella redenzione.
*
In Israele, ogni puerpera doveva offrire o far offrire al tempio di
Gerusalemme il sacrificio prescritto per liberarsi dalla impurità
legale contratta con il parto (Lv 12, 1-8). Per la nascita di un
maschio, il periodo di segregazione durava quaranta giorni, durante i
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quali la donna non poteva recarsi al tempio né avvicinare o toccare
cose sacre. Il sacrificio da offrire consisteva in un agnello di un anno
e un colombo oppure una tortora; i poveri, come Maria, potevano
sostituire l’agnello con un altro colombo o tortora. Per la nascita di
un primogenito, poi, si imponeva il riscatto del bambino. Dopo lo
sterminio dei primogeniti egiziani, Dio aveva riservato a sé tutti i
primi nati di uomini e di bestie in Israele (Es 13, 2-15; Nm 18, 15-
16). I primogeniti della tribù di Levi erano consacrati al culto divino,
quelli delle altre tribù – Gesù era della tribù di Giuda – dovevano
essere riscattati mediante il versamento ai sacerdoti di cinque sicli
d’argento. Né la Legge né l’uso imponevano di presentare il bambino
nel tempio; Maria e Giuseppe vanno perciò oltre i confini della
Legge e di una ordinaria pietà (come in Le 2, 41).
*
In tutto l’episodio, Maria e Gesù sono intimamente uniti; Luca li
accomuna addirittura nel rito della purificazione, che riguardava
soltanto la madre, come a sottolineare l’inseparabilità di quel Figlio e
di quella Madre, che viene personalmente ad offrire il suo Bambino
al Signore, dal quale soltanto lo ha avuto.
L’evangelista si compiace anche di circondare il piccolo Gesù
dell’affettuosa e festosa premura di due anziani, di quelli, cioè, che di
solito vengono considerati esclusi dalla vita attiva, emarginati dalla
società, come oggi si dice. Sono due nobilissime figure: Simeone,
giusto e timorato di Dio, e Anna, fedele nella lunga vedovanza alla
memoria del marito e intesa alle pratiche ascetiche caratteristiche del
suo popolo: la preghiera e il digiuno. L’uno e l’altra si distinguono
ancora per il carisma profetico di cui sono dotati: Simeone, anzi,
muove i suoi passi sotto l’azione dello Spirito Santo e in virtù di una
illuminazione soprannaturale che aveva preveduto quell’incontro nel
tempio; Anna continua, e forse conclude, la serie delle profetesse
dell’Antico Testamento (Es 15, 20; Gdc 4, 4; 2Re 22, 44). I due
spiriti eletti sono in attesa della Consolazione di Israele e della
Redenzione di Gerusalemme, cioè del Messia; si tratta dunque di due
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anime non logorate dal lungo trascorrere degli anni, ma intatte nella
loro fede e nella loro speranza: due anime vive e vivaci che,
illuminate dallo Spirito di Dio e da una sicura sapienza ed
esperienza, hanno ancora qualcosa da dire alle generazioni future. La
loro perseverante pietà ha ben meritato il privilegio di cui si incorona
la loro esistenza.
*
Dei due, Simeone esprime i suoi sentimenti con un breve cantico,
ispirato alle pagine più frementi del libro di Isaia, come un sereno
addio alla vita nell’esultanza di una mèta raggiunta. Egli saluta la
grande luce che sorge all’orizzonte del mondo, pago soltanto di
vederla sorgere. Le parole di Simeone respirano l’universalismo
dell’antico profeta, il frutto più maturo dell’Antico Testamento: il
Bambino stretto fra le braccia del pio figlio di Abramo è la luce
venuta ad illuminare tutti i popoli e la gloria di Israele, che gli ha
dato i natali e al quale il Signore lo aveva promesso. Il nuovo Popolo
di Dio allarga le sue tende accogliendo, con Israele, le genti che
conosceranno finalmente il vero Dio e le sue promesse di salvezza.
La meraviglia di Giuseppe e di Maria riflette l’eccezionalità
dell’avvenimento: Simeone conosce Gesù senza che essi gliene
abbiano parlato e per primo annunzia con esplicite e solenni parole la
missione universale del Bambino. Ma la meraviglia cresce quando,
dopo parole di lode e di benedizione a Maria e a Giuseppe, Simeone
si rivolge in particolare alla Madre, per predirle che Gesù viene a
provocare in Israele una crisi. La Bibbia parlava di Dio «pietra
d’inciampo» per Israele e di una misteriosa pietra scelta dal Signore
per porla – a dispetto di coloro che l’avevano scartata – a
coronamento dell’edificio di salvezza eretto da lui. Gesù sarà la
pietra contro la quale i maldisposti urteranno e cadranno, mentre sarà
sostegno sicuro per quanti lo accoglieranno nella loro vita. La
presenza e l’opera di Cristo nel mondo sono destinate a mettere a
nudo i pensieri degli uomini, i quali dovranno prendere posizione per
lui o contro di lui. Egli sarà «segno di contraddizione» o «segno
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contraddetto»: un segno, perché manifesterà la volontà di Dio
nell’opera della salvezza; contraddetto, perché si oserà negargli
ascolto e consenso di fede, facendo prevalere sui pensieri di Dio i
propri pensieri.
La Madre parteciperà alla sorte del Figlio, perché «anche a lei»
una spada trafiggerà l’anima. Poche parole del vangelo come queste
di Simeone sono state sottoposte fin dall’antichità al bisturi della
critica. Il grande Maldonado, uno dei fondatori dell’esegesi moderna,
elencando per il suo tempo – seconda metà del secolo XVI – una fila
già troppo lunga di interpretazioni, scriveva: «Talvolta è più vera la
sentenza del volgo che quella dei sapienti, perché, cercando con più
semplicità la verità, più facilmente la trova». La pietà cristiana,
infatti, vede nella spada predetta da Simeone il dolore che ferirà la
Vergine nel corso della passione del Figlio, quando la contraddizione
degli uomini raggiungerà il culmine della ingiustizia e della crudeltà.
Questa esegesi regge ancora, anche se le parole generiche di
Simeone devono estendersi a tutto il tempo in cui Cristo sarà, nella
sua vita pubblica, segno contraddetto. Maria vivrà in attesa della
spada, senza sapere, per ora, in quale direzione precisa verranno
vibrati i colpi più dolorosi, senza sapere quando e in che modo verrà
il colpo mortale; dovrà chiudere in cuore anche le parole di Simeone
e meditare assiduamente (cf. Lc 2, 19. 51) sul doloroso presagio. Tra
le sue braccia, Maria stringerà, col Bambino, un peso di gioia e un
più grave peso di tristezza, che poteva essere sostenuto soltanto con
una fede senza sottintesi e senza riserve.
Dal racconto di Luca si avvia alla conclusione nel segno di una
gioia dilagante, grazie ad Anna, che non riesce a tenere per sé ciò di
cui era stata testimone; ancora una prova di vitalità nel segno della
grazia. Poi tutto ritorna nella quiete e nel nascondimento di Nazaret:
la parentesi più misteriosa della vita del Figlio di Dio sulla terra, il
quale, come perfetto uomo, cresceva fisicamente e si riempiva di
sapienza secondo le leggi della natura umana, sotto lo sguardo
compiacente del Padre.
17
*
La famiglia di Nazaret anticipa quella «chiesa domestica» che
dev’essere ogni famiglia cristiana, nella quale i genitori sono per i
figli, con la parola e con l’esempio, i primi annunciatori della fede e
secondano la vocazione propria di ognuno (Lumen Gentium, 11), in
armonia di intenti e di sforzi che metta al riparo del forsennato
assalto che una certa mentalità moderna porta all’istituto familiare.
Di questo si preannuncia addirittura la estinzione entro non molto
tempo, mentre si è già alla ricerca di succedanei, dal momento che, si
dice, la famiglia di vecchio stampo si è dimostrata impari ai suoi
compiti.
Come al solito, si va cercando lontano ciò che si ha sotto gli
occhi, come se la salvezza dovesse necessariamente venire dal
nuovo, qualunque esso sia. Se la famiglia fosse quale Dio l’ha voluta
nel disegno della creazione e della redenzione, tutto sarebbe sempre
nuovo nella società, perché nulla c’è di più nuovo della verità e della
virtù. I vizi hanno tutti il volto grinzoso di una tetra vecchiaia.
(Garofalo S., Parole di vita, Anno A, LE Vaticana, Vaticano
1981, 57-63).
Fabro
La Madre di Dio
Si riflette nella celebrazione dei misteri natalizi l’umiltà e la
grandezza, il sovrumano splendore e l’infinito abbassamento
dell’Incarnazione. Nessuna nascita ha avuto tanto squallore, ma
nessuna neppure ha conosciuto tanto splendore: lo sfavillare del cielo
incendiato dal canto degli Angeli. Nessuna Madre ha conosciuto,
nell’angoscia della maternità imminente, le snaturate ripulse che
hanno ferito il cuore della Madre di Dio: ma nessuna Madre ha avuto
la gioia di Maria, di vederselo innanzi il Figlio Suo, senza dolore,
come un boccio di rosa che a Lei benedetta fra tutte le donne donava
la sua prima presenza e il primo omaggio dell’umanità che da Lei
aveva ricevuta.
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Quest’alternativa di gioia e di pena, di umiltà e di grandezza, si
ripete con un tono ancor più sconcertante anche nella Presentazione
al Tempio, che si legge nel Vangelo della presente Domenica
dell’Ottava Natalizia.
Leggere: Lc 2, 33-40.
Anzitutto adunque il momento della gioia, della grandezza; la
celebrazione della Missione eccezionale del Bambino. Il Santo
vecchio Simeone aveva atteso a lungo quel giorno: il Signore gli
aveva rivelato che non avrebbe visto la fine dei suoi giorni prima di
vedere il suo Cristo. Ed ecco che finalmente quel giorno lo spirito di
Dio lo scuote, lo illumina e gli guida gli stanchi passi incontro alla
giovane e umile coppia che avanzava confusa nella folla. Il
Vegliardo prende fra le sue braccia il tenero fardello che Maria,
timida e consenziente gli cedeva, e alza a Dio il suo ringraziamento:
«Ora Signore lascia pure che se ne vada in pace il tuo servo secondo
la tua parola. Perché gli occhi miei hanno veduto la tua salute – da te
preparata al cospetto di tutti i popoli – luce per illuminare le nazioni
e gloria del popolo d’Israele».
L’Evangelista, aggiunge che Maria e Giuseppe «rimanevano
meravigliati delle cose che si dicevano del bambino». Di meraviglia
in meraviglia, la persona di Cristo Verbo Incarnato per tutta la vita,
anche durante la Passione e perfino sulla Croce mostrerà la sintesi di
umanità e di divinità, nella contemporanea manifestazione di umiltà
e di grandezza, di abiezione e di gloria, per porre il dilemma della
fede ovvero additare nella grandezza il fondamento del credere e
lasciare nell’abiezione il merito della fede.
Nessuna Madre poteva essere più felice, più gloriosa di Maria in
quel momento: l’Angelo, che l’aveva visitata a Nazareth
annunziandole l’ineffabile visita dello Spirito, era stato veramente un
messaggero di verità; gli Angeli che avevano parlato ai pastori e
cantato sulla culla del Figlio suo erano Angeli veri, spiriti buoni
discesi dal cielo per il suo Figlio ed anche per Lei, l’unica creatura
che può chiamare " Figlio mio " il Figlio di Dio può presentarlo a
19
Simeone che lo chiede come Figlio suo. Il crocchio dei curiosi e
ammiratori che si forma attorno al Santo Vecchio ha per centro
Maria che si meraviglia. La meraviglia di S. Giuseppe è nell’ordine
delle cose: egli, come uomo giusto accetta umilmente il mistero della
nascita del Verbo Incarnato che non comprende. È la meraviglia
della fede. La meraviglia di Maria è di gioia e di trepidazione.
L’Angelo dell’Annunciazione aveva predetto cose stupende del Suo
Bimbo: «Non temere Maria, perché tu hai trovato grazia presso Dio.
Ecco tu concepirai nel tuo seno e darai alla luce un figliolo, al quale
porrai nome Gesù. Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio
dell’Altissimo. Il Signore Iddio gli darà il trono di David, suo padre,
ed egli regnerà in eterno nella casa di Giacobbe e il suo Regno non
avrà mai fine» (Lc. 1, 30). Questo il momento della gloria, ed essa
aveva creduto, la povera verginella; per questo la cugina Elisabetta
l’aveva chiamata la benedetta fra le donne: «Te beata che hai
creduto, perché si compiranno le cose a te dette dal Signore» (Lc 1,
42-44). La meraviglia di cui è invasa l’anima dolcissima di Maria
non è quella della semplice sorpresa: essa aveva creduto, quindi era
certa delle, promesse divine, quindi sapeva e non cercava altrove
prove e conferme. La meraviglia della Madre di Dio era per
l’immediata manifestazione al mondo di quelle promesse, per il
rapido annunzio della missione del Figlio, per la solida coerenza che
in sì breve volgere di giorni gli avvenimenti prendevano. La Sua è la
meraviglia della fede e dell’amore: è quel sussulto che con infinita
dolcezza scuote il cuore all’avverarsi di una promessa e cui è legato
il filo della vita.
Ma l’annunzio dell’Angelo si era fermato alla prima parte della
profezia. La seconda parte toccava al vecchio Simeone essa irrompe
improvvisa nell’idillio dei sorrisi e delle carezze che il S. Bambino si
prendeva dai circostanti, rapiti dalla sua bellezza. La profezia di
Simeone è il pilastro di tutto il Vangelo. Essa anticipa il dramma
intero dell’opera e della vita di Cristo. Sarà vita di lotta e di contrasti
ad oltranza; porterà lo scompiglio, la rovina di molti: sarà il segno di
20
contraddizione. È questa la legge della vita del mondo che si rinnova
soltanto quando si spezzano le catene dei privilegi di casta: Cristo
ch’era venuto a salvare il mondo, doveva spezzare le catene del
giudaismo terreno. Perciò, segno di contraddizione: venuto al mondo
per dare la luce della vita divina, gli uomini invece preferiscono le
tenebre e le bazzecole di questa terra e Gesù diventa pietra di
scandalo. Segno di contraddizione e pietra di scandalo, Cristo si pone
sul versante dei tempi e spezza il corso della storia: nessun uomo si
può esimere dalla risposta. Sì e no – e il sì e il no per Cristo dividono
gli uomini nel corso dei secoli di fronte a Dio per il giudizio
dell’eternità.
La maturità spirituale di un’epoca come di ogni uomo singolo si
misura dalla presenza del mistero di Cristo nella vita pubblica e
individuale. Il risveglio spirituale si conosce dal ritorno a Cristo, che
non ha lasciato il mondo perché vive nella Sua Chiesa, con la luce
del suo Magistero e il calore della vita della grazia. E la Chiesa, ch’è
il suo Corpo Mistico, diventa a sua volta segno di contraddizione per
i nemici di Dio, che non osano – perché più non possono, legare,
torturare, sputare, crocifiggere Cristo – ma non cessano di falsificare
la sua dottrina, di profanare il suo culto, di legare, torturare, sputare
sui suoi ministri, angariare i suoi fedeli.
E la Vergine assiste e partecipa ancora a questo dramma che ha le
dimensioni insondabili della prova che la divina Provvidenza assegna
all’umanità su questa terra, finché sia compiuto il numero degli
eletti. La spada di dolore si è conficcata inesorabile nel Cuore
dolcissimo di Maria in quella comprensione d’animo per le
sofferenze del Figlio, ch’è più penosa della morte; per lo stupore
della resistenza dell’uomo ad accogliere le sue parole di vita; per lo
strazio infine di vederlo pendente sulla Croce malfamata.
Questi tristi presagi si addensavano alle commosse e lente parole
del santo Vecchio: mentre la profetessa Anna, per conservare le
divine proporzioni della Grazia, lodava fra le donne il Signore e
parlava tenera di gioia del Bambino. Il nostro Vangelo si chiude
21
ancora in un quadro di festa degli occhi e del cuore: «E il fanciullo
cresceva e s’irrobustiva pieno di sapienza e la grazia di Dio era sopra
di Lui».
Quindi ormai pronto per la lotta e sicuro della vittoria.
(Fabro C., Vangeli delle domeniche, Morcelliana, Brescia 1959,
32-35).
Paolo VI
L’esempio di Nazaret
La casa di Nazaret è la scuola dove si è iniziati a comprendere la
vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare,
ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e
così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto
semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza
accorgercene, ad imitare.
Qui impariamo il metodo che ci permetterà di conoscere chi è il
Cristo. Qui scopriamo il bisogno di osservare il quadro del suo
soggiorno in mezzo a noi: cioè i luoghi, i tempi, i costumi, il
linguaggio, i sacri riti, tutto insomma ciò di cui Gesù si servì per
manifestarsi al mondo.
Qui tutto ha una voce, tutto ha un significato. Qui, a questa
scuola, certo comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina
spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare
discepoli del Cristo. Oh! come volentieri vorremmo ritornare
fanciulli e metterci a questa umile e sublime scuola di Nazaret!
Quanto ardentemente desidereremmo di ricominciare, vicino a
Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore
sapienza delle verità divine! Ma noi non siamo che di passaggio e ci
è necessario deporre il desiderio di continuare a conoscere, in questa
casa, la mai compiuta formazione all’intelligenza del Vangelo.
Tuttavia non lasceremo questo luogo senza aver raccolto, quasi
furtivamente, alcuni brevi ammonimenti dalla casa di Nazaret.
22
In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi
la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello
spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci
clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh!
silenzio di Nazaret, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri,
intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di
Dio e le esortazioni dei veri maestri. Insegnaci quanto importanti e
necessari siano il lavoro di preparazione, lo studio, la meditazione,
l’interiorità della vita, la preghiera, che Dio solo vede nel segreto.
Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazaret ci
ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua
bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci
faccia vedere com’è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia,
ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale. Infine
impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazaret, casa del
Figlio del falegname! Qui soprattutto desideriamo comprendere e
celebrare la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana; qui
nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti;
ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se
stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da
quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge
al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il
mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il
profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro
Signore.
(Discorso, Nazaret 5 gen. 1964).
Benedetto XVI
Il bambino cresceva pieno di sapienza...
Quello della Santa Famiglia è il pellegrinaggio della fede,
dell'offerta dei doni, simbolo della preghiera, e dell'incontro con il
Signore, che Maria e Giuseppe già vedono nel figlio Gesù. La
contemplazione di Cristo ha in Maria il suo modello insuperabile. Il
23
volto del Figlio le appartiene a titolo speciale, poiché è nel suo
grembo che si è formato, prendendo da lei anche un'umana
somiglianza.
Alla contemplazione di Gesù nessuno si è dedicato con altrettanta
assiduità di Maria. Lo sguardo del suo cuore si concentra su di Lui
già al momento dell'Annunciazione, quando Lo concepisce per opera
dello Spirito Santo; nei mesi successivi ne avverte a poco a poco la
presenza, fino al giorno della nascita, quando i suoi occhi possono
fissare con tenerezza materna il volto del figlio, mentre lo avvolge in
fasce e lo depone nella mangiatoia. I ricordi di Gesù, fissati nella sua
mente e nel suo cuore, hanno segnato ogni istante dell'esistenza di
Maria. Ella vive con gli occhi su Cristo e fa tesoro di ogni sua parola.
San Luca dice: «Da parte sua [Maria] custodiva tutte queste cose,
meditando le nel suo cuore» (Lc 2, 19), e così descrive
l'atteggiamento di Maria davanti al Mistero dell'Incarnazione,
atteggiamento che si prolungherà in tutta la sua esistenza: custodire
le cose meditandole nel cuore...
Il Vangelo, come sappiamo, non ha conservato alcuna parola di
Giuseppe: la sua è una presenza silenziosa, ma fedele, costante,
operosa. Possiamo immaginare che anche lui, come la sua sposa e in
intima consonanza con lei, abbia vissuto gli anni dell'infanzia e
dell'adolescenza di Gesù gustando, per così dire, la sua presenza
nella loro famiglia. Giuseppe ha compiuto pienamente il suo ruolo
paterno, sotto ogni aspetto. Sicuramente ha educato Gesù alla
preghiera, insieme con Maria. Lui, in particolare, lo avrà portato con
sé alla sinagoga, nei riti del sabato, come pure a Gerusalemme, per le
grandi feste del popolo d'Israele. Giuseppe, secondo la tradizione
ebraica, avrà guidato la preghiera domestica sia nella quotidianità - al
mattino, alla sera, ai pasti -, sia nelle principali ricorrenze religiose.
Così, nel ritmo delle giornate trascorse a Nazaret, tra la semplice
casa e il laboratorio di Giuseppe, Gesù ha imparato ad alternare
preghiera e lavoro, e ad offrire a Dio anche la fatica per guadagnare
il pane necessario alla famiglia.
24
(Udienza generale, 28 dicembre 2011).
25
aveva ricevuto l’assicurazione dallo Spirito Santo «che non sarebbe
morto prima di aver visto il Cristo del Signore».
Non era poi venuto al tempio né per caso né semplicemente ma
venne al tempio mosso dallo Spirito di Dio: "infatti tutti quelli che
sono condotti dallo Spirito di Dio sono figli di Dio" (Rm 8, 14). Lo
Spirito Santo lo condusse dunque al tempio. Anche tu, se vuoi tenere
in braccio Gesù e stringerlo tra le mani, se vuoi esser degno di essere
liberato dalla prigione, dedica ogni tuo sforzo per essere condotto
dallo Spirito e venire al tempio di Dio. Ecco, ora tu stai nel tempio
del Signore Gesù, cioè nella sua Chiesa; questo è il tempio costruito
di "pietre vive" (1Pt 2, 5). Ma tu stai nel tempio del Signore quando
la tua vita e i tuoi costumi sono quanto mai degni del nome che
designa la Chiesa.
Se verrai al tempio mosso dallo Spirito, troverai il fanciullo Gesù,
lo solleverai nelle tue braccia e dirai: "Ora, Signore, lascia che il tuo
servo se ne vada in pace secondo la tua parola" (Lc 2, 29). Osserva
nello stesso tempo che la pace si aggiunge allo scioglimento e alla
liberazione. Non dice infatti Simeone: io voglio morire, ma aggiunge
voglio morire «in pace». Anche al beato Abramo fu promessa la
stessa cosa: "Quanto a te, andrai dai tuoi padri in pace, dopo aver
vissuto in una felice vecchiaia" (Gen 15, 15). Chi è che muore in
pace, se non colui che possiede "la pace di Dio, pace che va al di là
di ogni intelligenza e custodisce il cuore" (Fil 4, 7) di chi la
possiede? Chi se ne va da questo secolo in pace, se non colui che
comprende che "Dio era in Cristo per riconciliare con sé il mondo"
(2Cor 5, 19), colui che non nutre inimicizia e rancore verso Dio, ma
ha conseguito in sé, con le buone opere, la pienezza della pace e
della concordia, e se ne va quindi in pace per raggiungere i santi
padri, verso i quali se n’è andato anche Abramo?
Ma perché parlo dei patriarchi? Si tratta di raggiungere lo stesso
capo e Signore dei patriarchi, Gesù, di cui è detto: "Meglio è morire
ed essere con Cristo" (Fil 1, 23). Possiede Gesù colui che osa dire:
"Vivo, non più io, ma vive Cristo in me" (Gal 2, 20). Affinché
26
dunque anche noi, qui presenti nel tempio, tenendo in braccio il
Figlio di Dio e serrandolo tra le nostre mani, siamo degni di essere
liberati e di partire verso una migliore vita, preghiamo Dio
onnipotente, preghiamo lo stesso fanciullo Gesù, con il quale noi
desideriamo parlare tenendolo in braccio, Gesù "cui appartengono la
gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen" (1Pt 4, 11).
(Origene, In Evang. Luc., 15, 1-5).
27
non ai giusti (cf. 1Cor 14, 22). Ecco che anche Simeone profetizza
che il Signore Gesù Cristo è venuto per la rovina e per la risurrezione
di molti, per fare tra i giusti e gli ingiusti la divisione secondo i
meriti, e per darci, come giudice vero e equo, sia le pene sia i premi,
a seconda delle nostre azioni.
(Ambrogio, Exp. in Luc., 2, 58-60)
Briciole
28
456. Qual è la natura della famiglia nel piano di Dio? – Un uomo
e una donna uniti in matrimonio formano insieme ai loro figli una
famiglia. Dio ha istituito la famiglia e l’ha dotata della sua
costituzione fondamentale. Il matrimonio e la famiglia sono ordinati
al bene degli sposi, e alla procreazione e all’educazione dei figli. Tra
i membri di una stessa famiglia si stabiliscono relazioni personali e
responsabilità primarie. In Cristo la famiglia diventa Chiesa
domestica, perché è comunità di fede, di speranza e di amore.
457. Quale posto occupa la famiglia nella società? – La famiglia
è la cellula originaria della società umana e precede qual-siasi
riconoscimento da parte della pubblica autorità. I principi e i valori
familiari costituiscono il fondamento della vita sociale. La vita di
famiglia è un’iniziazione alla vita della società.
458. Quali doveri ha la società nei confronti della famiglia? – La
società ha il dovere di sostenere e consolidare il matrimonio e la
famiglia, nel rispetto anche del principio di sussidiartela. I pubblici
poteri devono rispettare, proteggere e favorire la vera natura del
matrimonio e della famiglia, la morale pubblica, i diritti dei genitori
e la prosperità domestica.
459. Quali sono i doveri dei figli verso i genitori? – Verso i
genitori, i figli devono rispetto (pietà filiale), riconoscenza, docilità e
obbedienza, contribuendo così, anche con le buone relazioni tra
fratelli e sorelle, alla crescita dell’armonia e della santità di tutta la
vita familiare. Qualora i genitori si trovassero in situazioni di
indigenza, di malattia, di solitudine o di vecchiaia, i figli adulti
debbono loro aiuto morale e materiale.
460. Quali sono i doveri dei genitori verso i figli? – Partecipi
della paternità divina, i genitori sono per i figli i primi responsabili
dell’educazione e i primi annunciatori della fede. Essi hanno il
dovere di amare e di rispettare i figli come persone e come figli di
Dio, e di provvedere, per quanto possibile, ai loro bisogni materiali e
spirituali, scegliendo per loro una scuola adeguata e aiutandoli con
29
prudenti consigli nella scelta della professione e dello stato di vita. In
particolare hanno la missione di educarli alla fede cristiana.
461. Come i genitori educano i loro figli alla fede cristiana? –
Principalmente con l’esempio, la preghiera, la catechesi familiare e
la partecipazione alla vita ecclesiale.
462. I legami familiari sono un bene assoluto? – I vincoli
familiari, sebbene importanti, non sono assoluti perché la prima
vocazione del cristiano è di seguire Gesù, amandolo: «Chi ama il
padre o la madre più di me, non è degno di me; chi ama la figlia o il
figlio più di me, non è degno di me» (Mt 10, 37). I genitori devono
favorire con gioia la sequela di Gesù da parte dei loro figli, in ogni
stato di vita, anche nella vita consacrata o nel ministero sacerdotale.
463. Come va esercitata l’autorità nei vari ambiti della società
civile? – Va sempre esercitata come un servizio, rispettando i diritti
fondamentali dell’uomo, una giusta gerarchia dei valori, le leggi, la
giustizia distributiva e il principio di sussidiarietà. Ognuno,
nell’esercizio dell’autorità, deve ricercare l’interesse della comunità
anziché il proprio, e deve ispirare le sue decisioni alla verità su Dio,
sull’uomo e sul mondo.
464. Quali sono i doveri dei cittadini nei confronti delle autorità
civili? – Coloro che sono sottomessi all’autorità devono considerare i
loro superiori come rappresentanti di Dio, offrendo loro leale
collaborazione per il buon funzionamento della vita pubblica e
sociale. Ciò comporta l’amore e il servizio della patria, il diritto e il
dovere di voto, il versamento delle imposte, la difesa del paese e il
diritto a una critica costruttiva.
465. Quando il cittadino non deve obbedire alle autorità civili? –
Il cittadino non deve in coscienza obbedire quando le leggi delle
autorità civili si oppongono alle esigenze dell’ordine morale: «
Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5, 29).
San Tommaso
30
I. Insegnamenti dell’Incarnazione
Dall’incarnazione possiamo a nostra erudizione trarre alcune
conclusioni:
1°) Primo: viene infatti confermata la nostra fede. Poiché se
qualcuno raccontasse qualcosa di una terra sconosciuta e dove lui
non fosse stato, non gli si crederebbe come se invece vi avesse
abitato. Ora, prima che Cristo venisse nel mondo, i Patriarchi, i
Profeti e Giovanni Battista dissero alcune cose di Dio; tuttavia gli
uomini non credettero loro così come a Cristo, il quale fu con Dio,
anzi una sola cosa con Lui. Pertanto la nostra fede, trasmessaci dallo
stesso Cristo, è molto solida. «Nessuno ha mai veduto Dio: il Figlio
unigenito che è nel seno del Padre, egli stesso ce ne ha parlato» (Gv
1, 18). Per cui, molti segreti della fede, che prima erano occulti, ci
sono stati manifestati dopo la venuta di Cristo.
2°) Secondo: da queste verità si leva in alto la nostra speranza. È
chiaro, infatti, che il Figlio di Dio non venne in mezzo a noi,
prendendo la nostra carne, per cosa da poco; bensì per una nostra
grande utilità; fece, cioè, una specie di scambio, perché assunse un
corpo animato e si degnò nascere da una Vergine, affinché ci venisse
elargita la sua divinità; e così si fece uomo per fare Dio l’uomo. «Per
il quale abbiamo avuto, mediante la fede, adito a questa grazia, in
cui siamo e ci gloriamo nella speranza della gloria dei figli di Dio»
(Rm 5, 2).
3°) Terzo: da questo si accende la carità. Non v’è infatti alcuna
prova così evidente dell’amore divino, quanto il fatto che Dio,
creatore di tutte le cose, si è fatto creatura, il nostro Signore è
diventato nostro fratello, il Figlio di Dio si è fatto figlio dell’uomo.
«Dio ha talmente amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito»
(Gv 3, 16). E, pertanto, da questa considerazione deve riaccendersi e
infiammarsi il nostro amore verso Dio.
4°) Quarto: siamo indotti a conservare pura la nostra anima. Di
tanto, infatti, la nostra natura fu nobilitata ed esaltata dall’unione con
Dio, poiché fu assunta a partecipazione della persona divina, che
31
l’Angelo, dopo l’incarnazione, non permise che il beato Giovanni lo
adorasse, ciò che prima aveva consentito anche ai massimi
Patriarchi. Di conseguenza, l’uomo, ricordando e considerando
questa sua esaltazione, deve sdegnare di avvilire sé e la sua natura
con il peccato: perciò dice il beato Pietro: «Per mezzo di lui ci ha
dato la massima e preziosa promessa, affinché per loro mezzo
diventiamo partecipi della natura divina, fuggendo la corruzione di
quella concupiscenza che è nel mondo» (2Pt 1, 4).
5°) Quinto: da queste considerazioni si infiamma il nostro
desiderio di pervenire a Cristo. Difatti, se qualche re avesse un
fratello, che stesse lontano da lui, questo fratello del re desidererebbe
raggiungerlo, e stare presso di lui e rimanervi. Ora, dato che Cristo è
nostro fratello, dobbiamo desiderare di essere con lui e di unirci a lui:
«Dovunque sarà il cadavere, ivi si raduneranno le aquile» (Mt 24,
28); e l’Apostolo desiderava essere sciolto dalla vita ed essere con
Cristo: certamente questo desiderio cresce in noi quando meditiamo
l’incarnazione di Lui.
(Dal Commento al Credo, nn. 47-51).
Caffarra
I. Sacra Famiglia...
1. "Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come
aveva promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella
vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato". Nella luce del Verbo
che si fa uomo e viene ad abitare in mezzo a noi, siamo oggi invitati
a meditare sulla famiglia. Esiste infatti uno stretto legame fra il
mistero della nascita del Verbo-Dio nella nostra natura umana e la
famiglia. Egli infatti è entrato a far parte della nostra umanità nel
modo comune a noi tutti: attraverso e dentro ad una famiglia. Se, con
la sua incarnazione Cristo svela pienamente all’uomo la verità
sull’uomo, lo fa a cominciare dallo svelare la verità della famiglia.
32
Questa rivelazione è dunque una dimensione essenziale del mistero
natalizio.
E quale è la verità della famiglia? Quale è il suo intimo valore?
Rileggiamo attentamente la prima e la seconda lettura: esse si
riferiscono allo stesso fatto, carico di grandi misteri. Parlano di due
sposi, Abramo e Sara, che non hanno potuto avere figli ed ora, data
l’età avanzata, avevano perduto ogni speranza. Essi ricevono una
promessa: nonostante la loro età tarda, avranno un figlio. Abramo
"credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia"; "per fede
anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare
madre, perché ritenne fedele colui che glielo aveva promesso".
Siamo portati all’origine stessa della famiglia, al momento in cui
essa si costituisce: nel momento in cui nella e dalla comunione di
amore che unisce gli sposi, viene concepita una nuova persona
umana, prima attesa per nove mesi e poi "manifestata" ai genitori, ai
fratelli e sorelle, al mondo intero. È in questo modo, mediante cioè
l’inserimento di un nuovo "tu" umano dentro al "noi" degli sposi, che
la comunità coniugale diventa comunità familiare: lo sposo diventa
padre, la sposa diventa madre, i coniugi diventano genitori.
Come deve essere pensata questa intima trasformazione della
comunità coniugale nella comunità famigliare? Quale è la sua verità?
Abramo e Sara sono incapaci di generare un figlio; diventano padre e
madre per pura grazia di Dio: il figlio è un puro dono che viene fatto
loro. È questo vero solo di Abramo e Sara oppure di ogni sposo e
sposa? Ogni figlio è un puro dono che viene fatto da Dio creatore?
Carissimi fratelli e sorelle, qui entriamo nel "grande mistero"
dell’amore coniugale, in ciò che ne misura la dignità e la preziosità.
La venuta al mondo di ogni nuova persona umana si radica certo
nei processi biologici della fertilità umana, ed è risultato di essa. Ma
questo non spiega ultimamente la venuta all’esistenza di una nuova
persona umana. Nel concepimento di ogni persona umana è implicata
l’attività creatrice di Dio. La genesi dell’uomo non è il risultato
soltanto di processi biologici, ma è il termine diretto ed immediato
33
della volontà creatrice di Dio. Dio ha voluto "fin dal principio"
l’uomo, e Dio lo vuole in ogni concepimento umano. Lo vuole come
un essere fatto "a sua immagine e somiglianza", lo vuole cioè come
persona, e quindi lo vuole per se stesso e non in vista di qualcosa
d’altro. Gli sposi, davanti alla nuova persona umana, hanno o
dovrebbero avere piena consapevolezza di essere stati, come Sara,
"visitati dal Signore": piena consapevolezza che Dio ha voluto
quest’uomo "per se stesso". La S. Scrittura ha custodito la memoria
delle parole dette dalla prima donna quando si rese conto per la
prima volta di essere incinta: "ho acquistato un uomo dal Signore"
(Gen. 4,1), disse. Il figlio, ogni figlio, è un dono fatto da Dio
creatore. "Il processo del concepimento e dello sviluppo nel grembo
materno, del parto, della nascita serve a creare quasi uno spazio
adatto perché la nuova creatura possa manifestarsi come "dono" …
Potrebbe forse qualificarsi diversamente questo essere fragile ed
indifeso, in tutto dipendente dai suoi genitori e completamente
affidato a loro? Il neonato si dona ai genitori per il fatto stesso di
venire all’esistenza. Il suo esistere è già un dono, il primo dono del
Creatore alla creatura" [Giovanni Paolo II, Lettera alle
famiglie 11,3].
2. La verità che oggi la parola di Dio ci rivela, a riguardo della
venuta all’esistenza di una nuova persona umana, ci libera da due
errori che oggi insidiano la famiglia nel suo momento originario.
Due errori riguardanti l’attitudine degli sposi verso il concepimento
del figlio.
Se il figlio è un dono, il fatto che dall’intima unione dei due sposi
possa essere concepita una nuova vita, non deve essere e non può
mai essere ritenuto uno "spiacevole inconveniente" da cui liberarsi
attraverso la contraccezione o perfino la sterilizzazione. La
potenzialità procreativa costituisce, al contrario, un bene che
comporta una particolare responsabilità dell’uomo e della donna: la
responsabilità procreativa, che deve divenire effettiva, quando non ci
siano ragioni proporzionatamente gravi ed impedirlo.
34
Se, ancora, il figlio è un dono, nessuno possiede il diritto ad
avere un figlio, a qualunque costo ed in qualunque modo. Si ha
diritto ad avere "qualcosa", mai ad avere "qualcuno". "Un figlio non
può essere una sorta di peluche che riempie i vuoti affettivi, che
scavalca fittiziamente i limiti imposti dalla natura, che spezza
solitudini senza prospettive di soluzione. L’arbitrio sulla vita altrui è
nemico della democrazia e della libertà" (B. Fasani). E’ questa la
ragione profonda per cui il ricorso alla fecondazione in vitro, in
qualunque forma avvenga, è gravemente lesiva della dignità
dell’uomo.
Carissimi fratelli e sorelle: il recupero della consapevolezza della
verità circa la nascita di nuove persone, dettaci oggi dalla parola di
Dio, è particolarmente necessaria alla nostra città. La Santa Famiglia
di Nazareth, icona e modello di ogni famiglia umana, aiuti ogni
famiglia a camminare nel suo spirito. Aiuti gli sposi e i genitori ad
approfondire ed a vivere la verità del loro amore: Maria, madre del
bell’amore, Giuseppe, il custode del Redentore, li accompagnino
sempre nel compimento della loro sublime missione. E che ogni
bambino sia sempre accolto, fon dal momento del suo concepimento,
dagli sposi della nostra città come un dono.
(Sacra Famiglia, 26 dicembre 1999).
35
stesso tempo li superano. Non viene generato solamente un individuo
della specie umana: è concepita e generata una persona. La vicenda
di Abramo e di Sara è rivelatrice di un grande mistero: nella paternità
e maternità umane Dio stesso è presente in modo diverso da come è
presente in ogni altra generazione. È solamente da un atto creativo di
Dio che può provenire quell’ "immagine e somiglianza" di Dio stesso
che troviamo impressa in ogni persona fin dall’istante del suo
concepimento: il corpo della donna che concepisce è il tempio dove
Dio celebra la liturgia del suo amore creativo. Ogni uomo concepito
è voluto da Dio: come essere simile a Sé, come persona.
Un grande maestro del pensiero cristiano, S. Tommaso d’Aquino,
dice che mentre l’individuo delle altre speci viventi sono voluti da
Dio creatore per il bene della specie stessa, la persona umana
è voluta per se stessa [cfr. Contra Gentes Lib. III, cap. CXII]. "I
genitori, davanti ad un nuovo essere umano, hanno o dovrebbero
avere, piena consapevolezza del fatto che Dio "vuole" quest’uomo
"per se stesso"" [Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie (1994) 9,4;
EV14/193]. Viene affidato a voi genitori come un dono del Signore,
perché sia aiutato ad essere pienamente persona.
"Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui,
che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio". Questo
gesto di Abramo esprime la consapevolezza che il figlio è "voluto
per se stesso"; è puro dono di Dio, che a Lui solo appartiene.
Carissimi sposi, è viva ancora oggi la consapevolezza che il figlio
è un dono? che ogni figlio è voluto da Dio "per se stesso"? Questa
consapevolezza viene insidiata quando si comincia a vedere il figlio
nel contesto del desiderio della propria felicità individuale. In
quest’ottica infatti il figlio diventa o un bene a cui si ha diritto per la
propria autorealizzazione: qualcosa che si può avere ad ogni costo;
oppure un grave incomodo che si deve evitare perché contrasta colla
propria autorealizzazione: qualcosa di male. La prima posizione
porta alla legittimazione di ogni procedimento di procreazione
artificiale; la seconda porta alla giustificazione di qualsiasi pratica
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contraccettiva. Carissimi sposi, nell’amore coniugale e nell’amore
paterno-materno deve sempre dimorare la verità sull’uomo, secondo
la quale ogni persona è voluta per se stessa. La grandezza etica, la
bellezza splendida che si trova nella comunità coniugale e famigliare
risiede proprio in questo: nell’una (la comunità coniugale) l’uomo e
la donna si incontrano nell’affermazione reciproca della dignità della
loro persona; nell’altra (la comunità famigliare) il figlio non è
qualcosa cui si ha diritto o un male da evitare, ma una persona da
volere per se stessa.
2. "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele,
segno di contraddizione". È questa la prima profezia pronunciata sul
neonato bambino di Betlemme: Questi è anche in un certo senso la
figura di ogni bambino, nei confronti del quale si svelano i pensieri
del cuore. Ben-voluto o minacciato fin dal concepimento. Qual è
dunque l’atteggiamento nostro verso il dono della vita?
Non mancano certo famiglie generose nel dono della vita, ma c’è
ancora poca vita umana nelle famiglie ferraresi e la scarsa natalità
resta ancora un problema assai grave. Al punto che uno dei principali
quotidiani del mondo ha scelto proprio la nostra città come sede di
un’inchiesta basata sulla c.d. "crescita zero". Sono dunque da lodare
tutte le iniziative che le nostre amministrazioni locali prendono per
favorire la paternità-maternità.
È un profondo cambiamento di mentalità che i coniugi cristiani,
come luce del mondo, devono introdurre nel nostro popolo: la vita
umana è un bene comune da condividere ed oggi "mancano le
persone con le quali creare e condividere il bene comune … il bene
quanto più è comune tanto più è anche proprio: mio-tuo-nostro.
Questa è la logica intrinseca dell’esistere nel bene, nella verità e nella
carità" [Giovanni Paolo II, loc. cit. 10,6]. E questa è la vera vita
coniugale e famigliare: una vita nel bene, nella verità e nell’amore.
(Cattedrale 29 dicembre 2002).
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1. "Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece come aveva
promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella
vecchiaia, nel tempo che Dio aveva fissato". Carissimi fratelli e
sorelle, come avete sentito, le prime due letture parlano di due sposi,
Abramo e Sara, che non avevano avuto figli, ed ora già in età
avanzata avevano perduto ogni speranza.
Ma essi ricevono una promessa: nonostante la loro tarda età, il
Signore avrebbe dato loro un figlio. Abramo "credette al Signore,
che glielo accreditò come giustizia"; Sara ugualmente per fede
"sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre,
perché ritenne fedele colui che glielo aveva promesso".
Il significato immediato di questi testi è facile da cogliere.
Naturalmente incapaci di generare, Abramo e Sara diventano
padre/madre per pura grazia di Dio: il figlio è un puro dono che
viene fatto a loro.
Istruiti dalla parola di Dio, chiediamoci: questo è vero solo per
Abramo e Sara? oppure è vero per ogni sposo e sposa? ogni figlio è
sempre un puro dono fatto da Dio creatore? La risposta a questa
domanda ci porta ad una intelligenza assai profonda della bellezza,
della dignità, della preziosità dell’amore coniugale.
La venuta al mondo di ogni persona umana si radica certo nei
processi biologici della fertilità umana, ma essi non spiegano
interamente il concepimento di una nuova persona umana. In esso è
implicata sempre l’azione creatrice di Dio. La venuta all’esistenza di
una persona umana non è soltanto il risultato dei processi biochimici,
ma è il termine diretto ed immediato di un atto creativo di Dio. Ogni
persona umana riceve l’esistenza direttamente ed immediatamente da
Dio stesso. E Dio vuole ogni persona come un essere fatto "a sua
immagine e somiglianza"; cioè, la vuole per se stessa e non in vista
di qualcosa d’altro.
Gli sposi ogni volta che generano un figlio, sono – come è
accaduto a Sara - "visitati dal Signore", ed il loro amore è il tempio
santo in cui Dio celebra la liturgia del suo amore creativo. La S.
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Scrittura ha custodito la memoria delle prime parole che la prima
donna disse quando per la prima volta si accorse di essere incinta:
"ho acquistato un uomo dal Signore" [Gen 4,1], disse. Il figlio, ogni
figlio è un dono: fatto in primo luogo ai genitori, ma anche alla intera
umanità.
2. La verità che oggi la parola di Dio ci rivela a riguardo della
venuta all’esistenza di una nuova persona umana, ci libera da due
errori che oggi insidiano la famiglia nel suo momento originario.
Due errori che possono corrompere l’attitudine degli sposi verso il
concepimento del figlio.
Se il figlio è un dono, il fatto che dall’intima unione dei due sposi
possa essere concepita una nuova vita, non deve essere e non può
mai essere ritenuto uno "spiacevole inconveniente" da cui liberarsi
attraverso la contraccezione o perfino la sterilizzazione. La
potenzialità procreativa costituisce, al contrario, un bene moralmente
significativo, che comporta una particolare responsabilità dell’uomo
e della donna, la responsabilità procreativa. Questa deve divenire
effettiva quando non ci siano ragioni proporzionatamente gravi per
non donare la vita.
Se, ancora, il figlio è un dono, nessuno possiede il diritto ad avere
un figlio, a qualunque costo ed in qualunque modo. Si ha diritto ad
avere "qualcosa", mai ad avere "qualcuno". Un figlio non può essere
qualcosa che riempie i vuoti affettivi; che serve a spezzare solitudini
senza prospettive di soluzione. In una parola: non è parte del progetto
della propria felicità. È questa una delle ragioni per cui il ricorso alla
fecondazione in vitro, in qualunque forma avvenga, è gravemente
lesiva della dignità dell’uomo.
Carissimi fratelli e sorelle: il recupero della consapevolezza della
verità circa la nascita di nuove persone, dettaci oggi dalla parola di
Dio, è particolarmente necessaria alla nostra comunità nazionale. La
Santa Famiglia di Nazareth, icona e modello di ogni famiglia umana,
aiuti ogni famiglia a camminare nel suo spirito. Aiuti gli sposi e i
genitori ad approfondire ed a vivere la verità del loro amore: Maria,
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madre del bell’amore, Giuseppe, il custode del Redentore, li
accompagnino sempre nel compimento della loro sublime missione.
E che ogni bambino sia sempre accolto, fin dal momento del suo
concepimento, dagli sposi come un dono.
(Parrocchia della Sacra Famiglia, 30 dicembre 2005).
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membra di ciascuno di voi" [2Mac 7,22]. Dio che ha voluto l’uomo
fin dal principio, lo vuole in ogni concepimento.
2. Cari fratelli e sorelle, illuminati dallo splendore di questa
divina verità, non possiamo ignorare inquietanti interrogativi che
tanti uomini e donne oggi si pongono: ma è proprio vero che il figlio
è sempre un dono? Un dono per i propri genitori e per la società? Il
numero spaventoso di aborti sembra dimostrare che molti rispondono
negativamente a queste domande.
Eppure, cari fedeli, resta vera una convinzione ovvia nella sua
semplicità ed ovvietà: "il bene comune dell’intera società dimora
nell’uomo" [Giovanni Paolo II, Lett. ap. Gratissimum sane 11,5;
EV]. Ogni bambino, giungendo alla esistenza, fa dono di se stesso ai
genitori e all’intera società, poiché ciascuno è una preziosa risorsa
per ogni altro. La mancanza di bambini è sempre il segno che una
civiltà ha imboccato la via del tramonto.
Ma c’è anche un’altra dimensione dell’esperienza umana che
viene singolarmente illuminata dalla verità divina che oggi la parola
di Dio ci insegna.
Cari fratelli e sorelle, se il figlio è un dono, egli può essere solo
atteso come qualcuno e non come qualcosa che è dovuto, un diritto.
Comprendiamo la profonda verità dell’insegnamento della Chiesa,
che possiamo riassumere nel modo seguente: solo l’unione coniugale
è degna di porre le condizioni del concepimento di una persona
umana.
Il desiderio di un figlio non può giustificarne la "produzione" in
laboratorio: si producono le cose, non le persone, così come il
desiderio di non avere un figlio già concepito non può giustificarne
la soppressione.
La dignità personale propria del figlio respinge da sé ogni
riduzione del medesimo a semplice "oggetto di desiderio".
"Ricordate le meraviglie che ha compiute, i suoi prodigi e i
giudizi della sua bocca", abbiamo detto col salmo responsoriale. La
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meraviglia più grande è l’uomo, è ogni uomo: in ciascuna vita umana
che viene concepita Dio celebra il suo amore creativo.
(Bologna, 28 dicembre 2008).
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Cari fratelli e sorelle, questa verità che oggi la parola di Dio ci
dona, ci fa comprendere e la grande dignità di ogni persona
umana e la sublime dignità dell’amore coniugale.
Ogni persona umana è in un rapporto diretto ed immediato con
Dio creatore. Essa non è proprietà di nessuno, e di essa nessuno può
disporre.
È per questo che l’aborto, cioè l’uccisione deliberata e diretta,
comunque venga attuata, chirurgicamente o chimicamente, di una
persona umana già concepita e non ancora nata, è, come lo definisce
il Concilio Vaticano II, un "delitto abominevole" [Cost.
past. Gaudium et spes 51]. La vita umana, in qualunque stadio, è
sacra ed inviolabile; in essa si rispecchia la stessa inviolabilità del
Creatore.
Ma il fatto che all’origine di ogni persona umana ci sia un atto
creativo di Dio, getta anche una luce particolare sull’amore
coniugale. Esso è il tempio in cui Dio celebra la liturgia del suo
amore creativo. Come dunque esso deve essere splendente di santità!
È per questo che il divino Redentore ha elevato il matrimonio alla
dignità di Sacramento: perché gli sposi fossero santi nel corpo e nello
spirito.
2. La grande verità che oggi la Parola di Dio ci insegna e la
conseguenza etica derivante da essa – ogni vita umana è un bene che
non è a disposizione di nessuno – possono essere accolte anche dalla
ragione retta. Ed infatti esse hanno costituito uno dei pilastri portanti
della nostra civiltà occidentale: il pilastro della dignità
incommensurabile di ogni persona.
Ora la nostra civiltà si è ammalata e mortalmente. Perché si è
verificato questo? Perché essa si è distaccata dalla piena verità
sull’uomo; ha perso la vera misura del valore incondizionato di ogni
persona umana.
Alcuni sintomi di questa grave malattia: la distinzione fra vita
degna e vita indegna di essere vissuta; la negazione del carattere di
persona all’embrione; la progressiva legittimazione del suicidio e
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quindi dell’assistenza ad esso; il cambiamento sostanziale della
definizione della professione medica, non più univocamente orientata
alla vita.
Cari amici, come credenti e come persone ragionevoli non
possiamo rassegnarci a questa deriva. Non si fa luce in una stanza
piombata nel buio discutendo sulla natura fisica della luce, ma
riaccendendola.
La Chiesa oggi prega per ogni famiglia perché sia questa luce:
luce che mostri la verità e la bellezza del vero amore.
(Parrocchia della Sacra Famiglia, 30 dicembre 2011).
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che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta
delle nazioni» [1, 4-5]. Gli fa eco il Salmista, che si rivolge al
Signore colle seguenti parole: «su di te mi appoggiai fin dal grembo
materno, dal seno di mia madre tu sei mio sostegno». [Sal 71 (70),
6].
Cari fratelli e sorelle: l’offerta che Giuseppe e Maria fanno del
bambino al Signore nasce da questa profonda consapevolezza.
Non possiamo allora non chiederci: è ancora viva questa
consapevolezza negli uomini e nelle donne di oggi? E se si sta
spegnendo, che cosa rischiamo di perdere con essa?
Sembra di poter dire che oggi il figlio più che un dono atteso, sia
un diritto da programmare. Quale oscuramento della coscienza
morale comporta questa trasformazione culturale! Si dimentica che
non si ha diritto ad una persona, ma solo alle cose. La persona umana
non è un bene di cui posso disporre.
Per introdurre questa visione nel nostro modo di pensare, è stato
necessario rendere il figlio funzionale al proprio progetto di felicità;
al proprio benessere psicologico. “Ho bisogno di un figlio per la mia
realizzazione”. A questo punto tutto diventa possibile, anche la
negazione di fondamentali esigenze della persona del bambino: di
avere un padre ed una madre. Il bambino diventa – come ha detto
papa Francesco – una cavia su cui sperimentare la decisione di fargli
intenzionalmente mancare una delle due fondamentali esigenze della
sua crescita: la relazione alla madre – la relazione al padre.
La consapevolezza di questa duplice esigenza è stata così radicata
nella coscienza dell’umanità che, quando per eventi indipendenti
dalla volontà umana il bambino si è trovato privo di una famiglia, gli
ordinamenti giuridici hanno costruito per il suo bene l’istituto
dell’adozione.
2. Cari fedeli, la parola di Dio parlando della crescita di Gesù, fa
un’annotazione assai importante: [Gesù] «era sottomesso a loro» [a
Giuseppe e Maria]. Non ci rimane più il tempo di riflettere su questo.
Il rapporto educativo non è un rapporto fra uguali. L’educatore – in
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particolare: il genitore – gode di un’autorevolezza senza la quale il
rapporto educativo crolla. Non aggiungo altro.
Cari fratelli, la Parola di Dio è più forte di ogni potere umano.
Anche delle sentenze della Corte Costituzionale. Non lasciatevi
rubare il coraggio di testimoniare la dignità di ogni bambino,
pensando: “ma tanto il mondo ormai va in questa direzione!”. Questo
fatalismo nasce dalla mancanza della certezza che il Signore ed il suo
Vangelo sono più forti di ogni potere umano. È questo che noi, nella
nostra povertà, siamo chiamati a dire. Vasi di creta, ma che hanno un
tesoro inestimabile.
(Parrocchia della Sacra Famiglia, 28 dicembre 2014).
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