(Med ITA) (Farmacologia) TERAPIA DEL PARKINSON
(Med ITA) (Farmacologia) TERAPIA DEL PARKINSON
(Med ITA) (Farmacologia) TERAPIA DEL PARKINSON
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dell’Autore stesso.
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La patologia, che è clinicamente più complessa e interessa i nuclei della base, spesso prende origine in
maniera idiopatica, ma può anche essere legata alla encefalite virale o indotta da alcuni farmaci
(neurolettici). L’ereditarietà è poco importante nella sua patogenesi.
Dal punto di vista biochimico si osserva una netta diminuzione della dopamina nell’area nigro-striatale, con
degenerazione dei neuroni corrispondenti. La concentrazione di dopamina diminuisce fino a meno del 10%
dei soggetti normali. Ci sono anche modesti abbassamenti del livello di NA e di 5HT.
Gli unici neuroni a morire sono però quelli dopaminergici. I sintomi si manifestano quando la concentrazione
di dopamina scende fino al 20% del normale.
Inizialmente si verifica un compenso dato dall’iperattività dei neuroni dopaminergici residui, e anche
dall’aumento dei recettori. Quest’ultimo fatto è importante perché è alla base dell’efficacia di
somministrazione di levodopa a scopo terapeutico.
Dal punto di vista eziologico, assume una grande importanza lo stress ossidativo. I neuroni dopaminergici
sono infatti estremamente sensibili a questo danno a causa del loro notevole contenuto in mitocondri
necessario per la sintesi della dopamina.
I radicali liberi possono essere prodotti con l’invecchiamento o dalla presenza di tossine ambientali, oppure
virali. Ci può anche essere un deficit genetico degli enzimi antiossidanti oppure un alterato metabolismo
degli ioni Fe++ e Mg++. Una possibile strategia è la protezione dall’ossidazione.
Un ulteriore meccanismo è l’eccitotossicità mediata dal glutammato, che provoca la morte dei delicati
neuroni della sostanza nigra. Questa tossicità si verifica per l’aumento dell’attività dei neuroni
dopaminergici, in condizioni come l’ischemia e i traumi, oppure mediata da agenti virali.
Strategie terapeutiche
• Intervenire nella carenza di dopamina Æ levodopa, agonisti dopaminergici, I-MAO, amantadina
• Intervenire nello squilibrio fra dopamina e ACH Æ anticolinergici
• Protezione dei neuroni dal danno ossidativo Æ vitamina C ed E, chelanti del ferro, ubichinone,
antagonisti NMDA, antagonisti dei canali del calcio.
• Terapia genica, con sostituzione del gene per la tirosina idrossilasi
Di queste strategie terapeutiche, soltanto le prime due trovano attualmente applicazioni cliniche, mentre la
neuropotezione rappresenta, con tutta probabilità, il futuro della terapia del morbo di Parkinson.
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L’aumento di dopamina nel cervello è il meccanismo d’azione di questo farmaco. Non si sa ancora bene
però se l’effetto dipende dalla captazione di dopa da parte dei neuroni dopaminergici sopravvissuti o
dall’inondazione della sinapsi da parte di dopamina che viene da fuori. Però si è dimostrato che la L-dopa
agisce anche su animali che non hanno nessuna fibra dopaminergica.
Per prevenire il problema dell’attivazione periferica del farmaco (la dopamina è tossica per il sistema CV),
viene somministrato insieme alla levodopa un inibitore della dopa decarbossilasi che non passa la BBB,
come ad esempio la carbidopa o la benserazide.
Efficacia clinica
La levodopa è un farmaco da somministrare il più tardi possibile nella malattia, in quanto dopo un certo
periodo di trattamento è destinato a perdere la propria efficacia.
Circa il 20% dei pazienti trattati all’inizio recupera completamente la propria funzione motoria, l’80%
sperimenta un netto miglioramento di rigidità e ipocinesia.
Con il passare del tempo, l’efficacia del farmaco diminuisce fino alla perdita di praticamente tutti gli effetti
positivi sperimentati precedentemente.
I motivi di questo sostanziale fallimento sono probabilmente da ricercarsi in queste considerazioni:
• Il farmaco non influenza il decorso naturale della malattia. Il naturale aggravarsi di questa è
probabilmente il motivo alla base della diminuzione e perdita dell’effetto terapeutico
• I recettori D1 sono downmodulati dalla levodopa
• L’aumento della concentrazione di dopamina porta ad un danno ossidativo dei neuroni residui che si
esplica dopo parecchio tempo di trattamento
Effetti indesiderati
• Sviluppo di movimenti involontari coreiformi: questi dipendono dalla durata del trattamento, e possono
anche essere molto gravi. Si verificano perché con l’aumentare del trattamento diminuisce la finestra
terapeutica del farmaco, e infatti regrediscono se si diminuisce la dose. Questo però provoca la perdita
dei benefici della terapia
• Effetti “on/off” della terapia: non si osserva nei pazienti non trattati o trattati con altri farmaci. Nel giro
di ore, o a volte minuti, si ha un rapido peggioramento sintomatologico che tende poi a scomparire.
L’effetto può anche essere drammatico e il paziente rimane inchiodato per qualche minuto o ora nella
posizione in cui si trova (stone curse). I fenomeni di on/off possono essere ridotti da somministrazioni
molto frequenti di farmaco.
Oltre a questi effetti, che tendono a svilupparsi avanti nel trattamento, abbiamo alcune alterazioni che si
manifestano invece subito:
• Nausea e anoressia (antagonizzate efficacemente dal domperidone, antagonista dopaminergico
periferico)
• Ipotensione posturale in pazienti trattati con antipertensivi
• Effetti psicotici (trattati con antipsicotici atipici che non agendo sul D2 non compromettono la cura del
Parkinson)
Associazioni farmacologiche utilizzate
• Carbidopa: inibisce la dopa decarbossilasi, ma non penetra nella BBB. Questo effetto di inibizione degli
effetti periferici della dopamina consente di ridurre la concentrazione di L-dopa fino ad 8 volte e
diminuisce notevolmente gli effetti collaterali
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La pergolide e l’apomorfina sono attualmente in sperimentazione per quei pazienti che sono in fase avanzata,
e si spera di somministrarli insieme alla levodopa con il risultato di diminuire le reazioni on/off.
Gli effetti collaterali di questi farmaci sono l’ipotensione e le allucinazioni.
Amantadina
Farmaco antivirale con effetti di aumento della concentrazione di dopamina. Ha risultati terapeutici simili
alla levodopa, ma meno efficaci e che si esauriscono nel tempo. Da meno effetti collaterali.
ANTAGONISTI MUSCARINICI E COLINERGICI
L’ACH esercita effetti opposti a quelli della dopamina sul nucleo nero di Sommering e sul corpo striato. La
soppressione di questi effetti provoca un parziale bilancio della mancanza di dopamina. In realtà, gli effetti
sono più limitati e sono in grado di ridurre il tremore, ma molto poco la rigidità e l’ipocinesia.
Gli effetti collaterali atropinosimili sono comunque molto pesanti.
Questi farmaci sono utilizzati per trattare il Parkinson in pazienti trattati con farmaci neurolettici. Si usano
benztropina, prociclidina, benzexolo, che hanno meno effetti periferici dell’atropina.
Gli antagonisti dell’ACH possono peggiorare la demenza che spesso si accompagna al Parkinson.
I-MAO B SELETTIVI
Selegilina (deprenil)
E’ un inibitore selettivo delle MAO-B, che predominano nelle regioni contenti dopamina del SNC. Non
presenta quindi gli effetti periferici indesiderati dei MAO-A selettivi, e non provoca quindi la cheese
reaction.
Viene utilizzato da solo nelle fasi iniziali della malattia, che riesce a ritardare di diversi mesi nell’insorgenza
della sintomatologia. Successivamente si da insieme alla levodopa. Il risultato terapeutico è il rallentamento
della progressione della malattia, cosa estremamente importante perché per il Parkinson si hanno terapie che
durano poco nel tempo a causa della progressiva neurodegenerazione.
Uno dei metaboliti della selegilina è l’amfetamina, che provoca ansia e insonnia come effetto collaterale.
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