La Volpe Astuta
La Volpe Astuta
La Volpe Astuta
I.2 - Natura!........................................................................................................25
I.2.1 - Hukvaldy!................................................................................................27
I.3 - Animale!......................................................................................................33
I.3.1 - Il lupo!.....................................................................................................33
I.3.3 - La preistoria!...........................................................................................39
II.1.1 - Fonti!......................................................................................................44
II.1.1.1 - Vulpiculus!........................................................................................44
II.1.1.3 - Il gallo!..............................................................................................50
II.1.2 - Controcorrente!......................................................................................54
II.1.3.1 - La buona!..........................................................................................62
II.1.3.2 - Derivazioni!.......................................................................................65
II.1.3.3 - La fattoria!........................................................................................68
II.2 - Fiaba!.........................................................................................................72
II.2.1 - Struttura!................................................................................................74
1
II.2.2 - Ondine e silfidi!......................................................................................80
II.2.4 - Doppelgänger!........................................................................................95
II.2.4.2 - Kitsune!...........................................................................................102
IV.1.1 - La foresta!............................................................................................127
IV.1.2 - L’aia!....................................................................................................131
IV.1.3 - Il tasso!.................................................................................................135
IV.1.4 - La taverna!...........................................................................................136
IV.1.5 - La notte!...............................................................................................137
IV.1.6 - L’amore!...............................................................................................137
IV.1.7 - Il vagabondo!.......................................................................................139
IV.1.8 - Nostalgia!.............................................................................................141
IV.1.9 - Liberazione!.........................................................................................142
2
IV.2 - La storia imposta!..................................................................................145
CONCLUSIONI!......................................................................................157
APPENDICE I: DISEGNI E BOZZETTI ORIGINALI!.....................165
APPENDICE II: CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE
!...................................................................................................................195
BIBLIOGRAFIA!.....................................................................................200
B.I - Abbreviazioni!..........................................................................................201
B.III.1 - Generali!............................................................................................206
B.III.2 - Janáček!.............................................................................................216
B.IV - Discografia!............................................................................................222
3
INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
4
! Příhody lišky Bystroušky (1924) è l’opera in cui Leóš Janáček (1854-1928) ha espresso tutte
le sue idee sulla vita, la morte, la vecchiaia e la giovinezza, e in cui propone una nuova idea di
società utopico-libertaria, basata su un profondo connubio tra uomo e natura, modellata
sull’ideologia pan-slavista e sulla filosofia degli autori russi che tanto amava, soprattutto
sull’anarchismo pacifista dello scrittore Lev Tolstoj (1828-1910).
! Janáček la scrisse settantenne in una congiuntura particolare della sua vita, quando tutti i
suoi desideri concernenti la fama, la patria e l’amore passarono da una presunta concretizzazione a
una repentina, dolorosa disillusione.
! A lungo la vita culturale e musicale cèca lo aveva tenuto ai margini e aveva sottovalutato le
sue composizioni. Fuori dalla Moravia nessuno lo conosceva, finché, nel 1916, Karel Kovařovic
(1862-1920), uno dei boss del sistema produttivo musicale cèco e uno dei suoi più terribili
detrattori, finalmente accettò di rappresentare la sua Jenůfa al Teatro Nazionale di Praga, di cui era
direttore, a patto di avere il permesso di intraprenderne una profonda e completa revisione. L’opera
era stata già rappresentata nel provinciale teatro di Brno nel 1904 con un buon esito (presto
dimenticato), ma nella radicale riscrittura di Kovařovic ottenne un grande successo internazionale,
richiamando l’attenzione di Richard Strauss (1864-1949). 1 Fu la prima opera di Janáček
rappresentata all’estero2 con l’esecuzione di Vienna del 18 febbraio 1918, in una riscrittura in
tedesco wagneriano dell’intellettuale Max Brod (1884-1968), che si era innamorato della versione
di Kovařovic, e con la presenza della cantante Maria Jeritza (1887-1982), una star del tempo. Il
successo della Jenůfa viennese innescò una sorta di culto europeo di Janáček e da lì partì la sua
circolazione nel mondo.
! Con i proventi di Jenůfa, Janáček migliorò le sue condizioni economiche e cominciò a
potersi permettere lunghi soggiorni alle terme di Luhačovice (luogo che Janáček conosceva e
apprezzava da tempo ma che aveva potuto frequentare solo saltuariamente e per periodi brevi). Nel
luglio 1917 vi conobbe Kamila Stösslová (1891-1935). Con lei, il compositore fantasticò di
realizzare il sogno d’amore che non si era avverato con la moglie Zdenka (nata Schulzová,
1865-1938), né con le fugaci relazioni con Camilla Urválková (1875-1956) e con la cantante
Gabriela Horvátová (1877-1967).
1 Strauss si recò a vedere una delle repliche praghesi: era là per dirigere alcuni suoi poemi sinfonici con l’orchestra
filarmonica cèca. Vide metà del secondo atto e tutto il terzo. Cfr. JOHN TYRELL, Janáček: Years of a Life. Volume II
(1914-1928): Tsar of the Forests, London, Faber & Faber, 2007, pp. 109-110 (d’ora in poi TOTF).
2La prima composizione in assoluto di Janáček ad essere eseguita all’estero (per nulla concorrente alla sua fama) fu il
coro Ach, vojna, vojna (JW IV/17, per questa sigla vedi il punto I.2.1), durante una tournée, nella cittadina belga di Spa,
della Società Corale Smetana di Plzeň (organizzazione da subito entusiasta dei lavori corali di Janáček), nel 1905.
5
! A livello politico, nel 1918, alla fine della Prima Guerra Mondiale, l’attivista cèco Tomáš
Masaryk (1850-1937) ottenne dal presidente americano Woodrow Wilson (1856-1924)
l’indipendenza della nazione cèca (della cui definizione politico-geografica dovremo parlare
meglio) con la creazione della Cecoslovacchia, che metteva fine a trecento anni di dominio
austriaco sulla Moravia e la Boemia. Per Janáček il nuovo stato rappresentava il successo di una
vita di lotte politiche indipendentiste a cui aveva attivamente partecipato personalmente e
artisticamente.
! Ben presto, però, questi successi mostrarono risvolti meno felici. La Cecoslovacchia ebbe da
subito gravi problemi interni; la Russia, il paese la cui cultura aveva da sempre ispirato l’arte e
l’ideologia di Janáček cadeva vittima della dittatura bolscevica; Kamila Stösslová per un decennio
si mostrò contraria a ogni coinvolgimento sentimentale che esulasse dalla dimensione epistolare; e
la fama europea, che era sorta a partire da una versione fortemente rimaneggiata di una sua opera
(con testo emendato da Brod e riorganizzazione drammatico-musicale di Kovařovic), esigeva che
tutte le sue composizioni dovessero adeguarsi a leggi di mercato e a un gusto culturale esterofilo per
essere meglio vendute: per questo continuarono a circolare in versioni rimaneggiate e riscritte.
! Příhody lišky Bystroušky porta in sé, come vedremo, i frutti di tutte queste implicazioni: è
pervasa di felicità infantile, di baldanzosa sicurezza nella possibilità utopica di un mondo migliore
fatto di libertà e amore, ma ha anche istanti di sconforto senile e ripiegamento nostalgico.
! Janáček la fece rappresentare per la prima volta al Teatro Nazionale della sua città, Brno, il 6
novembre 1924, in un allestimento curato da lui stesso con la collaborazione di artisti amici: il
regista Ota Zítek (1892-1955), lo scenografo Eduard Milén (1891-1976) e il direttore d’orchestra
František Neumann (1874-1929). In quell’ambiente provinciale sicuro, in cui Janáček era una
grande personalità da decenni, l’opera ebbe un ottimo successo, ma a Praga, la capitale
cècoslovacca, il maggiore centro culturale dopo Vienna del vecchio Impero Austro-Ungarico, le
cose non andarono altrettanto bene.
! Příhody lišky Bystroušky venne eseguita durante il festival praghese della Società di Musica
Contemporanea, il 18 maggio 1925. Nonostante il buon rapporto del compositore con la Società3 ,
l’opera fu accolta con qualche perplessità.
3 Janáček fu quasi un ospite d’onore al festival successivo, svoltosi a Venezia nel settembre di quello stesso anno.
6
! Una grande estimatrice di Janáček, la giornalista londinese Rosa Newmarch (1857-1940), a
Praga come corripondente del «Times», inquadrò il problema nella sua recensione: «il libretto ha
provocato qualche critica insofferente da parte di chi non lo ha compreso».4
! È da quel momento che Příhody lišky Bystroušky ha cominciato a subire manipolazioni ed
emendamenti da parte degli esportatori (in primis la casa editrice Universal), atti a smussare gli
elementi ritenuti incomprensibili, secondo la diagnosi indicata da Newmarch: se il pubblico che non
comprendeva l’opera finiva per non gradirla, allora occorreva renderla più semplice possibile.
! A partire dal trionfo viennese di Jenůfa, lo abbiamo visto, le opere di Janáček vennero
distribuite in versioni più o meno riviste. Della revisione testuale e dell’adattamento ai canoni
culturali esteri si occupò sempre Max Brod, una figura molto controversa di cui dovremo parlare
meglio.
! Brod preferì sempre rielaborare piuttosto che limitarsi a tradurre le opere di Janáček,
condendo di idee drammatiche proprie l’impianto complessivo originario con un’evidente
propensione alla banalizzazione, alla semplificazione e al sentimentalismo; la sovrapposizione dei
suoi interventi all’idea originale causava molte discontinuità drammaturgiche.
! Nella sua edizione di Příhody lišky Bystroušky sono rimasti pochi riferimenti politici (quelli
che con molte rimostranze il compositore riuscì a far mantenere), e la vicenda, da fiaba utopica con
protagonista una volpe chiamata Bystrouška che prospetta nuove società basate sul connubio uomo-
natura, diventa una storia sentimentale imperniata sull’ossessione amorosa che tre uomini
(nell’originale ruoli marginali) hanno per una zingara: a questo personaggio, che nella versione
autentica non è affatto zingara e viene fugacemente nominata solo un paio di volte, Brod dà la
funzione di invisibile motore immobile dell’intero nuovo plot, con ripercussioni enormi sulla tenuta
scenica e sulla coerenza complessiva.
! Dato che il suo intreccio era completamente diverso da quello di Janáček, Brod ha coniato
un titolo completamente nuovo, Das schlaue Füchslein, che suona come «La vispa volpacchiotta».
Questo non ha nulla a che vedere con Příhody lišky Bystroušky, «Le avventure della volpe
Bystrouška», perifrasi di difficile traduzione (ne discerneremo meglio il senso quando parleremo del
romanzo a cui si è liberamente ispirato Janáček per il libretto): letteralmente, «Bystrouška» vuol
dire «Orecchiuccio fine», ed è usato come nome proprio della volpe.
! La genesi del titolo è complessa ed è connessa con la natura della vicenda originale.
Janáček, come vedremo, rielaborò, deformandoli, alcuni elementi della tradizione favolistica
4 «The libretto evoked some impatient criticism from those who did not understand it»: cito dalla recensione così come
riprodotta in ZDENKA F. FISCHMANN (ed.), Janáček-Newmarch Correspondence, Rockville (MD), Kabel, 1986, pp.
83-85, cfr. anche JOHN TYRELL (ed.), Janáček’s Operas: A Documentary Account, London, Faber & Faber, 1992 (d’ora
in poi DA), fonte LB54, p. 294. Dove non diversamente indicato, le traduzioni sono mie.
7
europea con gli animali parlanti (le storie di Esopo, Fedro, La Fontaine, il Roman de Renart) in una
chiave psicoanalitica fiabesca e folklorica, simile a quella dei racconti dei Grimm e di Afanas’ev, in
cui il rapporto tra uomini e bestie ha maggiori implicazioni simboliche. Brod giudicò tali
simbolismi troppo arcani e, come abbiamo visto, rovesciò la prospettiva di Janáček: quello che
nell’originale era in primo piano, gli animali antropomorfi con valenza simbolica, venne relegato
sullo sfondo, quasi a fungere da cornice idilliaca e farsesca insieme, e ciò che era di contorno, gli
umani, fu posto in primo piano. L’opera perse ogni connotazione fiabesca e apparve più simile a una
favola esopica: un genere a cui Janáček si era ispirato sì, ma solo per stravolgerlo. Il titolo di Brod,
«La vispa volpacchiotta», strizzava invece l’occhio proprio a Esopo.
! Dal 1925 al 1956, la versione semplificata di Brod non ebbe un successo europeo (venne
data solo a Magonza nel 1927) ma trovò un paradossale consenso nella stessa Cecoslovacchia, in
cèco, con un grande revival praghese nel 1937, diretta da Václav Talich (1883-1961): questi,
obbedendo alle richieste degli eredi di Janáček di renderla più commerciabile, dette all’opera una
nuova lussureggiante strumentazione ed estrapolò alcuni pezzi per creare una suite orchestrale.5
! Nel 1956, il regista Walter Felsenstein (1901-1975) allestì Das schlaue Füchslein alla
Komische Oper di Berlino, con tutti gli interventi strumentali di Talich e con alcuni accorgimenti:
sostituì il tedesco aulico e wagneriano di Brod con un linguaggio più colloquiale e calcò, se
possibile, ancora di più la mano sulla semplificazione, con una messa in scena che dava alla vicenda
connotati comici e disimpegnati, con, come vedremo, ingenti conseguenze drammaturgiche.
! La versione di Felsenstein ebbe successo in tutto il mondo e passò da Berlino a Wiesbaden,
Parigi, al Teatro alla Scala di Milano e al Sadler’s Wells di Londra tra il 1957 e il 1961, per
mantenersi quindi saldamente in repertorio.
! La comicità che Felsenstein aveva impresso alla vicenda, unita all’ignoranza dell’originale,
alterò molto l’interpretazione critica dell’opera, dal punto di vista sia estetico sia ideologico.
! L’estetica musicale imperante all’epoca del debutto della versione di Felsenstein era
fortemente influenzata delle idee di Theodor W. Adorno (1903-1969), secondo cui la strada di
ricerca di nuove logiche musicali intrapresa dalla Seconda Scuola di Vienna con il sistema
dodecafonico-seriale era l’unica via d’uscita dai condizionamenti dell’industria culturale; chi
continuava a comporre in maniera non congruente con quel linguaggio non faceva che –
semplificando molto – rendersi partecipe delle logiche capitalistiche, o quanto meno sottrarsi
5 Nel 1924 la Universal dette alle stampe la partitura completa secondo i voleri di Janáček, ma l’insuccesso dei noleggi
la convinse a richiedere a Talich una riorchestrazione. L’edizione della partitura approvata dall’autore è rimasta negli
archivi della casa editrice viennese fino al 1981. Fino alla commercializzazione dell’edizione critica di Jiří Zahrádka,
nel 2010, l’unica versione acquistabile dell’opera è stata lo spartito per canto e pianoforte di Das schlaue Füchslein,
edito da Universal nel 1925.
8
all’impegno che l’artista deve invece assumersi di fronte alla Storia.6 Das schlaue Füchslein non
presentava quel linguaggio, era scritta in una lingua o wagneriana (se letta nello spartito per canto e
pianoforte, distribuito da Universal con il testo di Brod) o da operetta (come risulta dalla
trivializzazione di Felsenstein circolata nei teatri), e aveva una vicenda comica e d’evasione che non
aveva niente delle grandi valenze etiche, immerse nella Storia, presenti nel teatro musicale degli
anni ’20, specie in capolavori come Erwartung (1909, rappresentata nel 1924) di Arnold
Schoenberg (1874-1951), A kékszakállú herceg vára (Il castello del duca Barbablù, 1918) di Béla
Bartók (1881-1945) o Wozzeck (1925) e Lulu (1934-1937) di Alban Berg (1885-1935).7
! In Italia, uno dei primi paesi a ospitare (entusiasticamente, come vedremo) Das schlaue
Füchslein di Felsenstein, la critica ha conosciuto la versione originale solo nel 1993, con
l’apparizione della monografia di Franco Pulcini.8 Prima di allora, gli articoli apparsi si sono basati
su Felsenstein, e parlano di un’opera gradevole, intitolata La piccola volpe astuta o La volpe astuta
(traduzione fedele del tedesco), di genere quasi comico, da interpretare secondo canoni
autobiografici (la storia d’amore tra il Guardiacaccia e la zingara, del tutto inventata da Brod, è vista
come un riflesso dei sentimenti che Janáček provava per Kamila Stösslová), di fattura musicale
deliziosa ma, ancora, non all’altezza dei risultati coevi di Maurice Ravel (1875-1937) e di Bartók,
senza la coerenza interna dei capolavori di Claude Debussy (1862-1918) e Modest Musorgskij
(1839-1881), dai quali, secondo questi articoli, Janáček non ha fatto altro che copiare, e, soprattutto,
priva dell’impegno ideologico-politico che pervade invece Jenůfa e Z mrtvého domu (Da una casa
di morti, l’ultima opera di Janáček, rappresentata postuma nel 1930). 9
6Per un brevissimo avviamento a queste tematiche cfr. ENRICO FUBINI, Il pensiero musicale del Novecento, Pisa, ETS,
2011, passim, soprattutto pp. 173-180; SERGIO GIVONE, Prima lezione di estetica, Roma-Bari, Laterza, 2003, 20105, pp.
94-99 e 101-115; VENIERO RIZZARDI, Musica, politica, ideologia, in JEAN-JACQUES NATTIEZ, ROSSANA DALMONTE,
MARIO BARONI, MARGARET BENT (a cura di), Enciclopedia della musica, vol. I: Il Novecento, Torino, Einaudi, 2001,
pp. 69-71, 73-80; e ALEX ROSS, Il resto è rumore. Ascoltando il XX secolo, trad. it. di Andrea Silvestri, Milano,
Bompiani, 2009, passim.
7 Tali idee sono evidenti, per esempio, in DANIEL MULLER, Leoš Janáček, Paris, Rieder, 1930; HANS HOLLANDER,
Janáček’s Development, in «The Musical Times», XCIX/1386 (August 1958), London, Musical Times, 1958, p. 427;
ID., Janáček. His Life and Works, London, John Calder, 1963, eng. tr. by Paul Hamburger of ID., Leos Janácek. Leben
und Werk, Zürich, Atlantis, 1964, pp. 142-144; DESMOND SHAWE-TAYLOR, The Operas of Leoš Janáček, in
«Proceedings of the Royal Musical Association», 85th Session (1958-1959), London, Taylor & Francis (Royal Musical
Association), 1959, pp. 49-64; GUY ERISMANN, Janáček: ou la passion de la vérité, Paris, Édition du Seuil, 1980.
8 FRANCO PULCINI, Janáček. Vita, opere, scritti, Firenze, Passigli/Torino, De Sono, 1993.
9 LUIGI PESTALOZZA, Leoš Janáček, in «L’approdo musicale», III/10 (aprile-giugno 1960), Torino, ERI, 1960, pp. 3-74;
ID., voce Janáček, Leós, in DEUMM: Dizionario enciclopedico universale della musica e dei musicisti, diretto da
Alberto Basso, seconda serie Le biografie, vol. 3: Fra-Ja, Torino, UTET, 1986, pp. 724-735; MARIO BORTOLOTTO,
Consacrazione della casa, Milano, Adelphi, 1982, pp. 45-64. Ancora nel 2007 sono apparsi voci di dizionari che recano
la sinossi della trama di Felsenstein, cfr. FEDERICO CAVALLONI, voce Volpe astuta, La, in PIERO GELLI (a cura di),
Dizionario dell'opera, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2007, pp. 1389-1390.
9
! In Cecoslovacchia, dal 1948 diventata un paese sovietico, il ministro della cultura Zdeněk
Nejedlý (1878-1962) guardò con sospetto le idee libertarie, anticomuniste e anticlericali espresse
nelle opere di Janáček e le silenziò patrocinando rappresentazioni ed edizioni fedeli alle riscritture
di Brod. In questo modo anche in patria non si sentì più la vera Příhody lišky Bystroušky ma si
continuò a replicare la versione del revival del 1937, che, come abbiamo visto, era Das schlaue
Füchslein di Brod ritradotta in cèco. La musicologia cèca ha quindi valutato quella versione e ha
prodotto saggi che descrivono l’opera come un divertissement leggero privo di senso.10
% La propaganda di Nejedlý, atta a costruire un panorama biografico controllato, finì con il
negare la verità storica, ed è responsabile dell’immagine complessiva di Janáček uomo e
compositore: le orchestrazioni di Kovařovic e Talich vennero tutte attribuite a Janáček, così come le
idee drammatiche incerte di Brod. Secondo quest’immagine Janáček fu un uomo profondamente
religioso, dedito più alla raccolta delle canzoni popolari morave che al teatro musicale, a cui
avrebbe regalato lavori discontinui, aderenti a modelli esteri (così apparivano i germanismi delle
riorchestrazioni e gli interventi di Brod) e dalle trame sconclusionate e sentimentali.11
! Nel 1947, il direttore australiano Charles Mackerras (1925-2010) approfittò di una borsa di
studio del British Council per seguire un corso di perfezionamento a Praga proprio con Václav
Talich, che gli mostrò molto materiale manoscritto di Janáček. Da quell’esperienza Mackerras
trasse fonti che, dopo uno studio durato quasi trent’anni, in piena Guerra Fredda, gli servirono per
realizzare incisioni discografiche che riproponevano le opere secondo il pensiero e le volontà
dell’autore.
! Nel 1981, con l’etichetta londinese Decca, Mackerras registrò per la prima volta Příhody
lišky Bystroušky, basandosi sulla prima edizione della Universal del 1924 (voluta e seguita
personalmente da Janáček e fino ad allora rimasta nascosta negli archivi della casa editrice), che
collazionò con la copia, vergata dai copisti di fiducia di Janáček, che František Neumann ebbe
davanti a sé alla prima rappresentazione di Brno.
! Per la prima volta il mondo, seppur in disco, ascoltò la vera opera di Janáček, con la trama
autentica, priva di qualsiasi riscrittura, e scoprì una vicenda complicatissima, zeppa di riferimenti
politici e anticlericali, che proponeva ideali di libertà, di nuovo connubio tra uomo e natura, e
nostalgiche considerazioni sull’eterno fluire del tempo e sulla fallibilità dell’uomo.
10JAROSLAV VOGEL, Leoš Janáček: His Life and Works, eng. tr. by Geraldine Thomsen-Muchová, London, Paul
Hamlyn/Praha, Artia, 1962.
11 MILAN KUNDERA, I testamenti traditi, trad. it. di Maia Daverio, Milano, Adelphi, 2000, p. 244. L’idea di un Janáček
religioso ha attecchito per un po’ anche in Italia, cfr. FEDELE D’AMICO, Il poetico mondo morale di Janacek, nel
programma di sala del Teatro alla Scala, Milano, Teatro alla Scala, 1958, p. 445; LUIGI PESTALOZZA, Leoš Janáček, cit.,
p. 30.
10
! Grazie al successo dell’incisione, la musicologia inglese, dopo il crollo del muro di Berlino
del 1989 che permise una maggior diffusione e accessibilità dei documenti, intraprese studi
sistematici su Janáček in generale e su Příhody lišky Bystroušky in particolare, ma la complessità
della trama non ha favorito interpretazioni facili, anche perché la versione di Felsenstein non ha mai
smesso di essere presente nei teatri, e l’immagine fittizia di Janáček proposta da Nejedlý è risultata
difficilmente scalfibile dalle singole volontà di restauro della verità.12
! La conseguenza di tutto questo è che ancora oggi Příhody lišky Bystroušky presenta un’aura
di mistero e numerosi punti interrogativi sembrano restare insoluti: è una favola o una fiaba? È
comica o tragica? Cosa vogliono dire i doppi ruoli voluti da Janáček secondo cui alcune parti
umane dovrebbero essere raddoppiate in altrettante parti animali? Il finale è lieto o triste? Perché la
protagonista muore alla fine e perché si trasforma in donna a metà dell’opera? Le vicende degli
animali vanno viste come separate da quelle umane o è più giusto considerarle connesse?13
! Quello che ci proponiamo di fare con questa tesi è di indagare sulla costruzione della trama
di Příhody lišky Bystroušky, cercando di dare una risposta a quegli interrogativi. Per fare questo, si
dedicherà una prima parte al pensiero di Janáček, e in particolare al suo concetto di realismo
(capitolo I.1), e alla sua personale visione della natura (I.2) e del mondo animale (I.3). Cercheremo
quindi di capire quanto Janáček conoscesse in materia di favola (II.1.1), il genere a cui appartiene il
romanzo a cui si ispirò, del quale percorreremo la genesi (II.1.2). Vedremo quanto Janáček abbia
tenuto conto degli elementi tradizionali favolistici e di quanto se ne sia discostato (II.1.3).
Indagheremo il rapporto di Janáček con le fiabe (II.2) e quanto queste abbiano influito sul suo modo
di pensare e sulla stesura di Příhody lišky Bystroušky. Spiegheremo le idee politiche di Janáček,
basate sul pan-slavismo, sull’ammirazione per la Russia e su Tolstoj, che lo hanno portato
all’adesione alle idee di Tomáš Masaryk (III.1), il cui fallimento ha avuto effetto sul tono triste di
molte scene di Příhody lišky Bystroušky. Osserveremo anche come per Janáček l’idealismo politico
sia stato così importante da fondersi con la vita amorosa, una prospettiva che troveremo ben salda
nell’opera (III.2).
12La prima analisi in lingua inglese dell’opera, scritta da uno studioso tedesco nel 1988 e edita nel 1995, si basò ancora
su Das schlaue Füchslein: NORS S. JOSEPHSON, Musical and Dramatic Organisation of Janáček’s «The Cunning Little
Vixen», in MICHAEL BECKERMAN, GLEN BAUER (eds.), Janáček and Czech Music: Proceedings of the International
Conference (Saint Louis, 1988), Stuyvesant (NY), Pendragron, 1995, pp. 83-91.
13 Saggi recenti come GEOFFREY CHEW, Is Leoš Janáček’s «Příhody Lišky Bystroušky» a Rejection of a Romantic Lie?,
in «Studia minora facultatis philosophicae universitatis brunensis», 41 (2006), Brno, Masarykova univerzita, 2006, pp.
75-82; e ID., The Adventures of «The Cunning Little Vixen»: Leoš Janáček, Max Brod and their Predecessors, in
«Austrian Studies», 17 (2009), London, Modern Humanities Research Assotiation, 2010, pp. 113-132, continuano a
considerare Příhody lišky Bystroušky incomprensibile e gli preferiscono Das schlaue Füchslein che almeno è coerente
nella sua comicità.
11
! Solo grazie a queste considerazioni potremo esplorare la vicenda scena per scena e cercare
di dare un senso ai suoi diversi episodi (IV.1). Quindi guarderemo più da vicino gli effetti degli
interventi di Max Brod e Walter Felsenstein sulla drammaturgia originale (IV.2).
! Insisteremo molto sulla natura libertaria, utopistica e anarchica di Příhody lišky Bystroušky,
che risulterà evidente nei capitoli che parlano della favola e della fiaba, un fatto che per decenni non
è stato compreso o è stato rimosso, nascosto sotto le riscritture e la propaganda.
! Sarà pertanto questa una trattazione quasi esclusivamente librettologica, che punta
l’attenzione sulla costruzione letteraria dell’opera, e all’interno dei diversi capitoli cercheremo di
comprendere il legame tra le vicende biografiche di Janáček e la sua visione del mondo;
individueremo nel catalogo delle sue opere composizioni che ci aiutino a definire il suo orizzonte di
pensiero su determinati argomenti; indagheremo i modelli culturali, letterari e musicali a cui
potrebbe essersi ispirato; ricercheremo nelle espressioni artistiche a lui contemporanee eventuali
percorsi affini, per arrivare alla conclusione che, perlopiù, le idee di Janáček non trovano riscontro
in quelle degli intellettuali coevi, ma si avvicinano piuttosto a ciò che scrittori e registi
cinematografici hanno attuato ben dopo di lui, segno che il suo modo di pensare era singolarmente
moderno.
! Quest’ultimo dato di fatto ci porterà alle considerazioni conclusive. Nonostante le riscritture,
la propaganda, il mercato, che per decenni sono riusciti a occultare la carica politica di Příhody
lišky Bystroušky, quest’opera si lascia oggi ancora apprezzare per la sua originalità e modernità. Un
segno, forse, della vitalità e della forza del pensiero utopico e libertario in essa contenuto.
12
PARTE PRIMA:
REALE, NATURALE,
ANIMALE
14La recensione integrale è pubblicata in inglese in MIRKA ZEMANOVÁ (ed.), Janáček’s Uncollected Essays on Music,
London, Marion Boyars, 1993, pp. 174-175, e tradotta in italiano in FRANCO PULCINI, Janáček. Vita, opere, scritti, cit.,
pp. 287-288.
15 ÉMILE ZOLA, Le roman expérimental, Paris, Charpentier, 1880, definisce teoricamente le regole del romanzo
naturalista; ID., Le Naturalisme au théâtre: les théories et les exemples, Paris, Charpentier, 1881, scritto in
collaborazione con Jullien, trasferisce quelle teorie in ambito teatrale.
16 La prima opera di Janáček, Šárka, fu scritta nel 1887 su libretto di Julius Zeyer (1841-1901), un allora noto verista
boemo, che si basò sulle leggende popolari che ispirarono anche Bedřich Smetana (1824-1884) per il terzo poema
sinfonico del ciclo Má vlast (1874-1879). Zeyer offrì il testo ad Antonín Dvořák (1841-1904), che dopo un iniziale
entusiasmo se ne disinteressò quasi consegnandola al trentenne e inesperto Janáček. Offeso, Zeyer negò a Janáček i
diritti di rappresentazione, e Šárka è stata eseguita solo nel 1925 ampiamente rivista dal compositore e dal suo allievo
Osvald Chlubna (1893-1971). Fino al 2000, dell’opera si conobbe solo il terzo atto orchestrato da Chlubna. La seconda
opera, Počátek románu (Inizio di un romanzo), del 1891, è costituita solo da una serie di danze di accompagnamento a
parti parlate tratte dal dramma verista di Gabriela Preissová, in una sorta di Singspiel cèco che Janáček distrusse dopo la
scoperta del soggetto di Jenůfa (anch’esso opera di Preissová). È stata riscostruita da un allievo di Janáček, Břetislav
Bakala (1897-1958), nel 1978. Il balletto Rákós Rákóczy, scritto in fretta nel 1891, si basava su danze popolari e sui
poemi di Vítězslav Hálek (1835-1874), una sorta di Giovanni Verga (1840-1922) cèco e fu pubblicato nel 1957.
14
Mascagni moravo. Kát’a Kabanová (1921) e Z mrtvého domu (Da una casa di morti, rappresentata
postuma nel 1930), fino agli anni ’80 conosciute solo nelle riscritture di Brod, furono viste come
buoni risultati di realismo musicale, e Jenůfa (nell’edizione Brod/Kovařovic) fu considerata il
capolavoro assoluto di Janáček, quello in cui le ricerche espresse nei feuilletons e nei primi lavori,
oggetti sì sconosciuti ma che tutto faceva pensare assolutamente veristi, trovavano la forma teatrale
più perfetta. Al contrario, gli esperimenti fantastici come Výlety páně Broučkovy (I viaggi del signor
Brouček, elaborata dal 1908 al 1917 in due parti e rappresentata come unicum nel 1920), Věc
Makropulos (L’affare Makropulos [letteralmente La cosa Makropulos], 1926) e Příhody lišky
Bystroušky, erano lavori minori di Janáček, discontinui, che si allontanavano dal suo altrimenti
coerente percorso realistico.17
! La riscoperta degli originali e dei documenti integrali, a partire dagli anni ’80, insieme
all’intuito di più acuti osservatori, portò infine alla luce quanto questa semplificazione interpretativa
combaciasse pochissimo con il corpus janáčekiano nella sua interezza. Grazie ai documenti
completi si poté provare quanto i rapporti di Janáček con il Naturalismo letterario e teatrale, infatti,
fossero critici, soprattutto riguardo all’importanza da dare alla psicologia del personaggio18: una
criticità che divenne ben evidente dalla lettura delle versioni originali delle opere, intrise di elementi
anti-naturalistici che Brod, Kovařovic e gli orchestratori come Talich avevano impoverito, tagliato o
decrostruito.
! Nella versione originale di Jenůfa, riscoperta, come gran parte delle opere di Janáček, grazie
alle registrazioni di Charles Mackerras tra gli anni ’70 e ’8019, si potevano sì notare tutti i fattori che
la propaganda di Nejedlý aveva individuato, come la propensione all’ambientazione verista, il
villaggio contadino all’ombra del mulino, la rievocazione dell’atmosfera agraria, le canzoni
folkloriche, la prodigiosa scansione ritmica del linguaggio parlato e la sorprendente varietà
melodica che rintraccia i più insoliti rapporti intervallari per carpire quell’intonazione precisa e
quella cadenza dialettale inconsueta. Però, nello stesso tempo, nella versione originale si scoprivano
alcuni episodi, che erano stati emendati da Brod, che non si potevano definire né “veri” né
naturalistici. Per esempio, la partecipazione della musica allo shock del parto di Jenůfa e al suo
vaniloquio stanco e disperato nell’apprendere la notizia della morte del bambino era così attiva da
17 L’immagine di Janáček naturalista è al centro degli studi di DANIEL MULLER, Leoš Janáček, cit.; HANS HOLLANDER,
Janáček. His Life and Works, cit.; DESMOND SHAWE-TAYLOR, The Operas of Leoš Janáček, cit.; GUY ERISMANN,
Janáček: ou la passion de la vérité, cit.; e traspare nella trattazione di CARL DAHLHAUS, Il realismo musicale: per una
storia dell’opera ottocentesca, Bologna, Il mulino, 1987, che sembra conoscere la sola Jenůfa.
18
Un consuntivo degli scritti di Janáček che riguardano il Naturalismo è in MILOŠ ŠTĚDROŇ, Janáček on Naturalism, in
MICHAEL BECKERMAN (ed.), Janáček and His World, Princeton (NJ), Princeton University Press, 2003, pp. 287-301.
19Il direttore australiano incise per la Decca molto teatro di Janáček nella forma voluta dall’autore: Kát’a Kabanová nel
1976, Makropulos nel ’78, Z mrtvého domu nell’’80, Příhody lišky Bystroušky nell’’81, Jenůfa nell’’82.
15
esulare qualsiasi realismo; il battere degli xilofoni all’inizio, che indicano il girare della ruota del
mulino, risultava così ossessivo da dare a quel mulinare un senso di inesorabile destino minaccioso,
di sciagura imminente, tanto da ripresentarsi puntuale e inquietante quando Laca, per sbaglio, taglia
la guancia di Jenůfa; e la decisione di Kostelnička di uccidere il neonato era immersa in uno
scenario musicale fatalistico e atroce, che fa sembrare la donna una strega cattiva delle fiabe.
! Partecipazione emotiva alla psicologia della protagonista; presenza di elementi non
realistici, come il destino, volti a caratterizzare drammaticamente la vicenda; deformazione della
realtà secondo suggestioni fantastico-fiabesche: tutto ciò era completamente avulso dalle idee
naturalistiche, ma appariva nondimeno chiaro e lampante nell’edizione originale dell’opera.
! Un rapporto meno immediato con il Naturalismo si scopriva anche nella lettura integrale dei
feuilletons. Come abbiamo in parte accennato, Janáček chiamava così gli articoli che pubblicava sul
«Lidové noviny». Fino agli anni ’80, si conobbe solo un numero esiguo di feuilletons, soprattutto
quelli scritti nell’‘800, durante la prima fase creativa, quando Janáček ancora non aveva concepito
nessuna delle sue opere maggiori.20 Erano articoli su vari argomenti, perlopiù costituiti da quelle
che venivano indicate come le «intonazioni del linguaggio parlato»: testi bonari e spiritosi che
Janáček cominciava spesso con la descrizione di una curiosa situazione e del luogo in cui si
svolgeva, per poi riportare quello che i personaggi presentati dicevano. Non si limitava tuttavia al
testo delle frasi che questi pronunciavano, ma ne tracciava la musica, schizzando di suo pugno il
pentagramma e la particolare melodia.
! Durante gli anni ’60 e ’70 i feuilletons furono dunque interpretati come prove della
vicinanza di Janáček al Verismo, dato che molti di questi descrivevano situazioni contadine tratte da
episodi dell’infanzia del compositore esposti in forma aneddotica: quasi come se con questi articoli
Janáček si impegnasse a realizzare vere e proprie tranches de vie uditive dell’universo umile e
campagnolo, in perfetto accordo con la prassi del Naturalismo teatrale.21 La tendenza all’autenticità
realistica dei primi feuilletons veniva messa in relazione al suo interesse etnomusicologico: la
20 Molti feuilletons sono pubblicati in traduzione inglese in VILEM TAUSKY, MARGARET TAUSKY (eds.), Janáček:
Leaves from His Life, London, Kahn & Averill, 1982 (paperback edition: 1989). Solo pochissimi sono riprodotti in
MIRKA ZEMANOVÁ (ed.), Janáček’s Uncollected Essays on Music, cit., pp. 31-61 e, in italiano, in FRANCO PULCINI,
Janáček. Vita, opere, scritti, cit., pp. 281-318. Alcuni sono stati tradotti in francese in MILAN KUNDERA, Les testaments
trahis, Paris, Gallimard, 1993, testo che ha un’edizione italiana, già citata, che traduce anche i feuilletons: ID., I
testamenti traditi, cit. Uno dei più caratteristici (che mostra come il modo di dire “Buona sera” di uno studente possa
essere intonato in musica in modi diversi a seconda che il saluto venga fatto a un professore in modo amichevole e
borioso o a una ragazza), è tradotto in italiano in LUIGI PESTALOZZA, Leoš Janáček, cit., nota 24, pp. 20-22 e
commentato in ALEX ROSS, Il resto è rumore, cit., p. 137.
21 Per un veloce avviamento agli sviluppi del Naturalismo teatrale e dell’idea della tranche de vie, cfr. MIRELLA
SCHINO, La nascita della regia teatrale, Roma-Bari, Laterza, 2003, pp. 38-40; FABRIZIO CRUCIANI, Lo spazio del
teatro, Roma-Bari, Laterza, 1992, 200512, pp. 111-115; ROBERTO ALONGE, Il teatro dei registi, Roma-Bari, Laterza,
2006, pp. 37-65 e CESARE MOLINARI, Storia del teatro, Roma-Bari, Laterza, 1972, 200210, pp. 243-244.
16
ricerca scientifica delle melodie popolari si rapportava a uno sguardo cronachistico sulla realtà che
fosse il più fedele possibile a questa.
! La lettura di tutti i
feuilletons, dopo la Guerra
Fredda, fece scoprire risvolti
che contraddicevano la loro
supposta perfetta aderenza alle
regole naturaliste. Dal 1912,
per esempio, i feuilletons si
fanno meno precisi nel
racconto di questi avvenimenti
e tendono a riferire
impressioni rapsodiche, vi
vengono messi in musica
sempre di più i suoni prodotti
dagli animali e dalle cose
inanimate (l’acqua degli
stagni, delle fontane, delle
onde, oppure le rocce e l’erba)
invece che dagli uomini. Per
esempio i feuilletons intitolati
Silenzio (1919), Sorgenti e
fontane (1922), Primavera
(1912), Le tre galline (1922),
Il galletto (1924), Sette corvi
(1922), Il piccolo cardellino
(1921), sono solo alcuni degli
articoli che hanno al centro storie immaginarie con fantasiosi dialoghi tra le bestie e le cose; e in La
figlia di Smetana (1924) e Inizio di un romanzo (1922, le cui intonazioni musicali sono riprodotte
nella figura22 ) Janáček trae interi soggetti e intere scene da frammenti di conversazione uditi di
22 Le intonazioni di La figlia di Smetana (copia fotostatica da MIRKA ZEMANOVÁ [ed.], Janáček’s Uncollected Essays on
Music, cit., pp. 52-53) sono sopra la linea, sotto ci sono le principali linee melodiche trascritte in Inizio di un romanzo
(copia fotostatica da VILEM TAUSKY, MARGARET TAUSKY [eds.], Janáček: Leaves from His Life, cit., pp. 49-51).
Entrambi i feuilletons sono stati tradotti in italiano in FRANCO PULCINI, Janáček. Vita, opere, scritti, cit., rispettivamente
alle pp. 301-305 e 294-296. Il feuilleton Inizio di un romanzo del 1922 non deve essere confuso con la seconda opera di
Janáček dello stesso titolo, composta nel 1891.
17
sfuggita, di cui si compiace di non conoscere esiti e motivazioni, sostenendo che il fascino del non
detto e dell’indeterminato supporta ancora di più la situazione drammatica.
! Tali prese di posizione sono opposte a quelle del Naturalismo e si avvicinano piuttosto agli
assunti del Simbolismo o dell’Espressionismo: movimenti questi, fino agli anni ’80 ritenuti
completamente estranei allo sviluppo artistico di Janáček, a eccezione di sporadiche voci, come
quella di Luigi Pestalozza.23
! La valutazione completa delle fonti fece riconsiderare alcune dichiarazioni di Janáček, fino
ad allora considerate semplici aneddoti. L’8 marzo 1928, Janáček concesse un’intervista al
quotidiano praghese «Literární svět» («Il mondo letterario»), nella quale affermò:24
Era assai bizzarro: quando qualcuno mi parlava, mi accadeva sovente di non comprendere le sue parole,
ma quale flusso di suoni!... Sapevo subito quello che aveva in mente: conoscevo i suoi sentimenti, sapevo
se mentiva, se era turbato, magari capivo perfino se aveva il pianto nel cuore benché stesse dicendo cose
più o meno comuni. I timbri, la tonalità del linguaggio umano e di ogni essere vivente, erano per me la
Questa dichiarazione, riportata nel contesto delle fonti integrali, prova che la psicologia era la base
dell’invenzione drammatica di Janáček. Al contrario della visione critica imperante che voleva uno
Janáček impegnato nel ricreare la realtà nel senso naturalistico della tranche de vie, le fonti integrali
restituirono il ritratto di un compositore interessato più alla rappresentazione effettiva della
psicologia del personaggio che non alla ricostruzione ambientale realistica, che giungeva a esiti e
risultati che si allontanavano radicalmente dal Naturalismo per approdare alla pura esaltazione dei
processi mentali tipica dell’Espressionismo.
! L’indagine completa delle fonti e l’esegesi attenta delle opere originali, lasciarono scoprire
come tutti i lavori teatrali di Janáček, come abbiamo visto con l’esempio di Jenůfa, popolavano un
ambiente apparentemente realistico di suggestioni irreali basate sulle ossessioni dei protagonisti, e
che la musica era al servizio della rappresentazione di processi mentali e portava in primo piano
ogni immagine incoscia. In questo modo si comprese che le opere di Janáček somigliavano molto di
23LUIGI PESTALOZZA, Leoš Janáček, cit., p. 15, nel 1960, nonostante la disinformazione, riusciva a intuire: «tutto ciò
che in Janáček lascerebbe supporre il naturalismo, conclude in ultima analisi a un’accentuazione realistica, che tuttavia
non conduce a una visione realistica del mondo, della società, della storia, ma piuttosto a uno psicologismo assai
prossimo alla angosce espressionistiche, benché compreso in un mitico umanesimo».
24L’intervista viene citata, per la prima volta in italiano, in JAROSLAV ŠEDA, Leoš Janáček, Praha, Orbis, 1960, p. 22 (a
cui si deve la traduzione); poi in LUIGI PESTALOZZA, Leoš Janáček, cit., p. 20; e in FRANCO PULCINI, Janáček. Vita,
opere, scritti, cit., p. 18. Nessuno di loro, però, cita il nome della rivista in cui apparve originariamente. La prima
pubblicazione che indica la fonte e la cita integralmente è MIRKA ZEMANOVÁ (ed.), Janáček’s Uncollected Essays on
Music, cit., p. 121; l’autrice torna sull’argomento, inquadrandolo criticamente, in ID., Janáček: A Composer’s Life,
Holliston (MA), Northeastern University, 2002, p. 75 (d’ora in poi MZCL).
18
più ai capolavori di Debussy, Schoenberg e Bartók che alle opere di Mascagni, e che i suoi lavori
apertamente fantastici, fino ad allora considerati fallimentari, erano di fatto la vera matrice del suo
percorso autoriale.
! Imposto come un Mascagni moravo, solo in tempi relativamente recenti Janáček ha potuto
essere considerato come fu in realtà: un lucido uomo di teatro che ha raggiunto risultati analoghi a
quelli dei giganti a lui contemporanei quali Konstantin Stanislavskij (Konstantin Sergeevič
Alekseev, 1863-1938), Gordon Craig (1872-1966), Max Reinhardt (1873-1943), Aurélien Lugné-
Poe (1869-1940) o Paul Fort (1872-1960), non cristallizzatosi in un genere ma pienamente
partecipe delle trasformazioni artistiche in atto durante la sua vita.
! Le letture di Janáček secondo interpretazioni aperte anche al Simbolismo e
all’Espressionismo contribuirono ad analisi più puntuali delle sue opere, poiché aspetti fino agli
anni ’80 considerati incongruenti in un’ottica realista poterono essere visti invece come elementi
fondanti della sua poetica.
! Janáček includeva nel reale anche
elementi che il Naturalismo rifiutava,
lasciava inespressi o relegava sullo sfondo.
Secondo Zola e Jullien, e i suoi seguaci
maggiori a livello teatrale (come André
Antoine [1858-1943]), la pièce doveva
risultare quasi come il resoconto di un
esperimento sociale spiato al microscopio o
dal buco della serratura, le cui conclusioni
dovevano rispondere alla funzione di “come
volevasi dimostrare”: ogni elemento che non
contribuisse alla dimostrazione scientifica,
come l’indugiare sulle psicologie dei singoli
personaggi, o il dilungarsi eccessivamente
nei dialoghi, doveva essere rimosso. Le
opere di Janáček, invece, abbondano di
questi elementi, e il lavoro maggiore di Max
Brod costituette per l’appunto nel tagliare
molte conversazioni dei protagonisti e molte illustrazioni musicali della psiche.
! L’idea di realtà di Janáček può essere accostata invece a quella di un quadro di Jan van Eyck
(1330 ca.-1441), per esempio i celebri Coniugi Arnolfini (1434, nella figura), che a prima vista
19
sembra assolutamente realistico (e molti lo hanno anche accusato di pedissequa copia della realtà),
ma che osservato meglio dimostra di avere in sé elementi simbolici e quasi onirici. 25
! Aprendo la valutazione critica verso il Simbolismo si può notare quanto le opere di Janáček,
come abbiamo visto più attente alla psicologia rispetto al Naturalismo, somiglino molto agli
esperimenti di messa in scena di taglio simbolista dei drammi realistici di Henrik Ibsen
(1828-1906): Spettri (1882), negli stessi anni veniva riletto dai registi simbolisti come Fort o
Lugné-Poe in chiave simbolico-espressionista, quasi come fosse ambientato nella mente della
protagonsita, con gli atroci ricordi del passato (gli spettri del titolo) che venivano materializzati e
illustrati, agiti da attori in carne e ossa che si aggiravano sul palco in modo del tutto irrealistico.26
! Stando alle dichiarazioni di Janáček27, le inverosimiglianze insite in una messa in scena del
genere non costituivano affatto un difetto che distruggeva la pretesa di realtà dell’opera, ma, al
contrario, erano un potenziamento della realtà, poiché solo conoscendo la motivazione psicologica
determinante l’agire del personaggio si potevano rappresentare meglio le sue azioni.
! Contemporaneamente a Janáček, anche Stanislavskij si trovò in disaccordo con il
Naturalismo sull’importanza da dare all’esattezza psicologica, e molti hanno accostato i loro
lavori28, ma è certo che Janáček va oltre il lavoro del maestro russo, riservando alla psicologia una
prominenza privilegiata da cui sgorga qualsiasi elemento scenico-musicale. Potremmo teorizzare
che in un ideale spettacolo su Don Chisciotte (1605-1615) di Cervantes (1547?-1616)29, per usare
un esempio chiarificatore, Stanislavskij avrebbe rappresentato i mulini a vento come sono
realmente, come li vede Sancho Panza, mentre Janáček avrebbe evocato in musica i mulini come
giganti e mostri, così come li vede Don Chisciotte, e in quel modo Janáček è convinto di dare un
25ROBERTO LONGHI, Breve ma veridica storia della pittura italiana, Firenze, Sansoni, 1980, pp. 68-69; PIERLUIGI DE
VECCHI, ELDA CERCHIARI, L’arte nel tempo, vol. 2: Dal Gotico internazionale alla Maniera moderna, tomo I, Milano,
Bompiani, 1992-1997, p. 92.
26OSCAR G. BROCKETT, Storia del teatro, ed. it. a cura di Claudio Vicentini, Venezia, Marsilio, 1988, 20059, pp.
486-487.
28La somiglianza tra le idee di Janáček e Stanislavskij è evidenziata bene in MILAN KUNDERA, I testamenti traditi, cit.,
pp. 125-134 passim; e adombrata in FRANCO PULCINI, Janáček. Vita, opere, scritti, cit., pp. 18-20. Sulla parabola
lavorativa di Stanislavskij vedi KONSTANTIN STANISLAVSKIJ, Il lavoro dell’attore su se stesso, ed. it. a cura di Gerardo
Guerrieri, Roma-Bari, Laterza, 1956, 200114; ID., Il lavoro dell’attore sul personaggio, ed. it. a cura di Fausto
Malcovati, Roma-Bari, Laterza, 1993, 201416; ANGELO MARIA RIPELLINO, Il trucco e l’anima. I maestri della regia nel
teatro russo del Novecento, Torino, Einaudi, 1965, 20022; FAUSTO MALCOVATI, Stanislavskij. Vita, opere e metodo,
Roma-Bari, Laterza, 2004; CESARE MOLINARI, Storia del teatro, cit., p. 246-249; ROBERTO ALONGE, Il teatro dei
registi, cit., pp. 66-84.
29MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA, El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha, Madrid, Juan de la Cuesta, 1605
(prima parte), 1615 (seconda parte), trad. it. di Alfredo Giannini: ID., Don Chisciotte della Mancha, Firenze, Sansoni,
1923-1927 (rist. Milano, Rizzoli, 1957, 19979).
20
servizio migliore al realismo, in quanto ingloba nella rappresentazione tutte le idee psicologiche che
determinano quella assurda situazione.
! I motivi che spingevano Janáček a includere nell’ambito del reale molti elementi che il
Naturalismo escludeva si possono probabilmente rintracciare nel suo carattere suggestionabile,
incline al fatalismo, derivato da alcune sue esperienze biografiche.
! Le morti premature del padre e della figlia Olga30 , unite all’educazione religiosa31 ,
svilupparono in lui un senso del destino particolare, quasi di predestinazione, simile alla credenza
odierna neo-pagana e orientaleggiante del karma. La mano del fato che, invisibile, condiziona i
comportamenti degli uomini, è una metafora che ritorna spesso nelle sue opere (di cui una si intitola
appunto Osud, Destino32).
! Il lavoro etnomusicologico, inoltre, portò Janáček in contatto con le superstizioni popolari,
basate su un animismo deterministico simile ai concetti del karma e della predestinazione. Unendo
le tradizioni morave con le proprie vicende personali, Janáček si convinse che il destino era un
concetto assolutamente reale, o, comunque, ben presente nella mente umana, esattamente come gli
30 Della morte del padre parleremo meglio al punto I.2.1. Olga, nata nel 1882, fu la primogenita di Janáček e della
moglie Zdenka (nel 1888 nacque anche un figlio, Vladimir, che non superò i due anni a causa della meningite). Da
tempo voleva andare a insegnare in Russia, e nel 1902 fu costretta a rifugiarsi lì, a San Pietroburgo, accompagnata dal
padre e ospitata dallo zio František (1856-1908, stabilitosi là già da molti anni), per difendersi da un violento
spasimante. Vi contrasse una non meglio identificata febbre tifoide che inasprì i cronici problemi reumatico-cardiaci di
cui soffriva dalla nascita. Peggiorò durante il viaggio di ritorno a Hukvaldy, città natale di Janáček e meta di molte delle
sue vacanze estive, dove giunse con scarsa sensibilità alle gambe. D’estate sembrò migliorare, ma poi contrasse una
bronchite. Arrivò nella casa ufficiale di famiglia a Brno con accentuate insufficienze cardiache, epatiche e renali e morì
il 26 febbraio 1903. Vedi MZCL, pp. 85-86; STEPHEN LOCK, What Olga died of, in JOHN TYRELL, Janáček: Years of a
Life. Volume I (1854-1914): The Lonely Blackbird, London, Faber & Faber, 2006, pp. 548-549.
31Janáček si è dichiarato agnostico per tutta la sua vita (lo afferma anche nell’intervista al «Literární svět» dell’8 marzo
1928, cfr. PAUL WINGFIELD, The Glagolitic Mass, Cambridge [UK], Cambridge University Press, 1992, pp. 2, 120).
Con grande dolore della moglie Zdenka, si rifiutò di dare una qualsiasi educazione religiosa alla figlia Olga (cfr. JOHN
TYRELL, voce Janáček, Leoš, in The New Grove of Music and Musicians Second Edition, edited by Stanley Sadie,
executive editor John Tyrell, vol. 12: Huuchir to Jennefelt, London, Macmillan, 2001-2002, p. 775), e rifiutò l’estrema
unzione al momento della sua morte (cfr. PAUL WINGFIELD, The Glagolitic Mass, cit., p. 2). La nipote Věra Janáčkova
disse al «Lidové noviny» dell’11 agosto 1940 che suo zio trovava la Chiesa «un concentrato di morte», che «non voleva
avere niente a che fare con lei» e che non sarebbe entrato in una chiesa «neanche per ripararsi dalla pioggia» (cfr.
MZCL, pp. 13, 267). La sua educazione, però, è stata rigorosamente cattolica (con tanto di obbligo di fare il segno della
croce prima di tutti i pasti, cfr. MZCL, p. 215), così come la sua istruzione musicale, impartita secondo canoni religiosi
nel monastero di Brno, dove passò gran parte della sua infanzia e giovninezza (cfr. infra, punto I.2.1).
32 Osud fu pianificata dal 1903 al 1905, ispirata alle conversazioni filosofiche che Janáček ebbe con l’amante Camilla
Urválková, generate dalle opere di Čajkovskij (Camilla si firmava Tat’jana nelle lettere, come la protagonista di Evgenij
Onegin), Charpentier (1860-1956: la Louise [1900] fu rappresentata a Praga proprio nel 1903) e Puccini. La trama si
originava dal flirt che causò l’allontanamento di Urválková dal legittimo marito, un fatto che aveva raggiunto la fama
grazie a molti articoli scandalistici praghesi e che era già stato alla base dell’opera Kamila, nel 1897, con musiche di
Vítěszlav Čelanský (1870-1931). Osud doveva andare in scena nel 1905, ma il ricco marito di Urválková, furioso di
vedere un’altra opera sull’adulterio della moglie, fece in modo di sabotare gli accordi di Janáček con i teatri di Praga e
Brno e l’opera rimase inedita per tutta la vita del compositore, fu rappresentata a Brno solo nel 1958. Cfr. MZCL, pp.
89-94; FRANCO PULCINI, Janáček. Vita, opere, scritti, cit., pp. 138-143.
21
archetipi fiabeschi che lo metaforizzavano, e perciò questi elementi dovevano essere inclusi nella
rappresentazione psicologica del reale.
! L’assunto di includere nella definizione di reale anche la coscienza psicologica del destino
giustifica molte scene fino agli anni ’80 ritenute superfue e sbagliate, come quelle zeppe di dialoghi
apparentemente inutili (che abbondano in Kát’a Kabanová e Z mrtvého domu) o, abbiamo visto, le
deformazioni fantastiche.
! La debolezza degli intrecci di alcune sue opere, evidenziata legittimamente da critici come
Hollander33, si giustifica con la volontà psicologista di Janáček e con la sua voglia di comprensione
di tutte le componenti del reale, anche quelle che non obbediscono alle leggi naturalistiche: come
abbiamo visto, quello che il Naturalismo scartava come inutile ai fini della sua ricerca para-
scientifica, per Janáček è una componente fondamentale di rappresentazione esatta del reale.
! Nelle sue opere sono molti i dialoghi lunghi e le rappresentazioni del quotidiano, usate non
come mera rievocazione di ambiente da relegare nello sfondo, come nel Naturalismo, ma con la
profonda convinzione che i processi mentali che determinano le azioni siano condizionati dalla vita
quotidiana che ogni individuo si trova a vivere nella propria comunità, come se la società stessa,
con i suoi ritmi e le sue divisioni gerarchiche, alterasse e imponesse certe convizioni, certi pensieri
e quindi certi comportamenti.
! Per Janáček, quindi, i discorsi che il personaggio fa in pubblico, in bar o in taverna, o i litigi
che ha in privato, con coniugi e familiari, sono importanti quanto le azioni: quei dialoghi fanno
parte della trama esattamente quanto i fatti e gli eventi, poiché illustrano un modo di pensare e
mettono in luce gli atteggiamenti, il modo di comportarsi, e l’orizzonte di attese della società che
sta intorno al personaggio. Tutto questo è evidente soprattutto nella sua ultima opera Z mrtvého
domu, ambientata in un campo di prigionia siberiano, in cui i ritmi alienanti del lavoro ispirano un
modo di pensare oppresso e disperato, evocato completamente nella musica, e in Kát’a Kabanová,
dove le rigide norme di comportamento aristocratico e alto-borghese, rievocate in tutti i dialoghi,
determinano la disperazione della protagonista con cui l’orchestra si identifica.
! Per di più, la fede nel destino di Janáček dà alle scene di dialogo, in cui la trama sembra
stagnare, una valenza importante: poiché tutta l’esistenza è regolata, allora anche tutto ciò che può
sembrare ininfluente è, al contrario, concorrente al massimo alla messa in moto del fato.
33 HANS HOLLANDER, Janáček. His Life and Works, cit., pp. 125-126, scrive: «If we consider two of his most
characteristic works, The Cunning Little Vixen and The House of Dead, we must ask ourselves what were the
considerations that prompted a dramatic composer to choose subjects of such obvious dramatic weakness» («Se
consideriamo due dei suoi lavori più caratteristici, Příhody lišky Bystroušky e Z mrtvého domu, dobbiamo chiederci
quali siano state le considerazioni che hanno spinto un compositore teatrale a scegliere soggetti di una debolezza
drammatica così ovvia»).
22
! In musica c’è un grande precedente a questa peculiare
drammaturgia janáčekiana: le opere di Modest Musorgskij
(nell’immagine)34 , anch’esse impegnate nel rendere in
musica la quotidianità più comune e nel dimostrare che
anche i fatti più banali e lontani tra loro nel tempo e nello
spazio, tanto da sembrare assolutamente casuali e a sé
stanti, sono in realtà connessi da un sottile filo e mossi da
un invisibile ma inesorabile destino. Entrambi i compositori
includono nella loro concezione del reale cose che
appaiono banalissime e che sembrano appesantire la trama
come i cori di contadini, o le canzoni popolari: cose che,
però, non possono essere escluse da una giusta rappresentazione realistica, poiché parti integranti di
quel reale che si vuole rievocare e concorrenti al medesimo destino che determina le azioni dei
protagonisti. Non stupisce che sia Musorgskij sia Janáček siano stati accusati di scarsa sapienza
drammaturgica e abbiano dovuto sopportare riscritture e riorchestrazioni atte ad avvicinare le loro
trame agli schemi canonici dell’opera.
! Quelle che in un’ottica di story-telling naturalistica sembrano debolezze, in realtà fanno
parte di una precisa visione del mondo e di un’idea di rappresentazione del reale comune anche a
molta letteratura russa, che, ancora a causa del suo ideale pan-slavita, per Janáček rappresentava un
must culturale.35
! Il fato che, misterioso e invisibile, regola l’incedere della Storia, è al centro delle
dissertazioni contenute nel grande romanzo Guerra e pace (Война и мир) di Lev Tolstoj36 , un
monumentale testo (quattro libri per un totale di quasi 1200 pagine) scritto esattamente mentre
34 I documenti odierni ci dicono che Janáček ha visto dal vivo un’opera di Musorgskij solo a settant’anni nel 1923, il
Boris Godonov a Brno (cfr. TOTF, p. 778). Le carte ci restituiscono, quindi, un Janáček ignaro di tutta la poetica del
compositore russo. Ciò nonostante non possiamo sapere quanto Janáček possa aver visto e letto di Musorgskij durante il
suo vaggio in Russia nel 1896 (vedi punto III.1.2) e non possiamo ignorare gli evidenti parallelismi drammaturgico-
musicali tra i due, forse determinati dal loro rifarsi, magari parallelamente e indipendentemente l’uno dall’altro ma con
sicura mentalità affine, alla materia letteraria slava.
35 È evidente che la scelta di soggetti da testi russi è costante in Janáček: le opere Kát’a Kabanová e Z mrtvého domu si
basano entrambe su testi di autori russi (la prima da Ostrovskij e l’altra da Dostoevskij), e progettò altre opere tratte da
Tolstoj: Anna Karenina (1906-1907) e Živá mrtvola (Il morto vivente, 1916). Inoltre, hanno matrici russe la rapsodia
sinfonica Taras Bulba (da Gogol’, 1915-1918), il quartetto d’archi Sonata a Kreutzer (ispirato ancora a Tolstoj, 1923) e
il pezzo per violoncello e pianoforte Fiaba (basato su un racconto di Žukovskij nel 1910, poi rivisto nel 1912 e
definitivamente pubblicato, con molti cambiamenti, nel 1923: ce ne occuperemo al punto II.2.1). Parlerò più
appropriatamente del rapporto tra Janáček con la Russia e il pan-slavismo al punto III.1.2.
36LEV NIKOLAEVIČ TOLSTOJ, Vojna i mir, Moskva, Russkij vestnik, 1869, ed. it. e introduzione a cura di Igor Sibaldi:
ID., Guerra e pace, 4 voll., Milano, Mondadori, 1999, 20022.
23
Musorgskij stava componendo Boris Godunov (fu pubblicato nel 1869, anno in cui Murorgskij
presentava la prima versione della sua opera, Борис Годунов, ai Teatri Imperiali di San
Pietroburgo37 ). Janáček aveva un autentico culto per Tolstoj e per la sua filosofia di inclusione38:
ogni aspetto del vissuto dei personaggi è importante, anche gli accadimenti più banali (quasi un
intero libro è dedicato soltanto alla descrizione di una battuta di caccia in cui sono coinvolti due
protagonisti).39 Il destino che incombe sui personaggi è allo stesso modo evidente in molti romanzi
di Fëdor Dostoevskij (1821-1881), autore dal quale Janáček ha tratto Z mrtvého domu. 40
! La presunta banalità e debolezza delle opere di Janáček, soprattutto delle sue opere
fantastiche, viste dai critici che hanno scritto prima dell’osservazione delle fonti, vengono comprese
se si considera l’opera di Janáček come facente parte non di un immutabile Naturalismo, ma di un
più ampio orizzonte, che ha in sé molte istanze della filosofia culturale russa (Tolstoj, Dostoevskij e
Musorgskij) e molte cose in comune con l’Espressionismo e il Simbolismo.
! La scelta di Janáček di soggetti fiabeschi e fantastici non è, quindi, da considerare come una
deviazione dal suo percorso realistico, ma come la risposta alla sua esigenza di includere nel reale
ogni componente psicologica che determina la realtà, anche a costo di mettere in scena
l’inverosimile, l’inspiegabile e il banale.
! Per comprendere Příhody lišky Bystroušky occorre tenere ben presente come Janáček fosse
un compositore così a suo agio nella psicologia e nelle immagini fiabesche inconscie da ritenerle
perfettamente integrate nella realtà, aspetti della natura veri ed effettivi quanto gli animali e gli
alberi; vedere una sua opera con al centro bestie parlanti non deve quindi stupire, poiché c’è una
sinergia tra questa visione ampliata della realtà e la sua particolare concezione della natura, che
adesso andiamo a indagare.
37La prima versione del 1869 fu rifiutata, ciò costrinse Musorgskij a comporre una nuova versione nel 1872, anch’essa
parzialmente osteggiata: il compositore riuscì finalmente a rappresentarla integralmente nel 1874 al Teatro Mariinskij.
Nel 1873, intanto, Tolstoj aveva cominciato a pubblicare a puntate Anna Karenina [Анна Каренина], che si concluderà
nel 1877. Cfr. RUBENS TEDESCHI, I figli di Boris. L’opera russa da Glinka a Šostakovič, Torino, EDT, 1990, pp. 52-55 e
LEV NIKOLAEVIČ TOLSTOJ, Anna Karenina, ed. it. a cura di Annelisa Alleva e Igor Sibaldi, Milano, Mondadori, 2009,
pp. V-XVI.
40
FËDOR MICHAJLOVIČ DOSTOEVSKIJ, Delitto e castigo, ed. it. a cura di Serena Prina, Milano, Mondadori, 1994, pp. V-
XX; oppure ID., L’idiota, ed. it. a cura di Maria Candida Ghidini, Milano, Frassinelli, 1999, pp. 797-818.
24
I.2 - Natura
! Una visione sommaria dell’universo di Janáček, che si ferma al realismo, viene distrutta
dall’evidenza che in Příhody lišky Bystroušky gli animali parlano, non solo con versi rievocati
dall’orchestra, ma con parole umane, una caratteristica del tutto estranea al realismo e al
Naturalismo, ma prassi comune per i movimenti culturali come il Simbolismo e l’Espressionismo.
! Nel 1921, quando Janáček comincia effettivamente a scrivere Příhody lišky Bystroušky, il
clima culturale non è affatto univoco, e l’atteggiamento verso il soprannaturale, il magico e il
favolistico è vario e multiforme. Sicuramente i perduranti ultimi cascami del Naturalismo (ormai
morto ma ancora imperante nell’isolata Moravia) osteggiavano qualsiasi indugio nell’irreale e in
tutto ciò che esula i confini scientifici, ma, al contrario, Simbolismo ed Espressionismo si
crogiolano nel mostrare le caratteristiche impossibili della vita, quelle che non rientrano nei canoni
della scienza, come la magia, la predestinazione del destino, le immagini della follia mentale, e
l’irrompere di eventi inspiegabili nella vita di tutti i giorni come l’apparizione di spettri, fantasmi,
spiriti e via dicendo. Abbiamo visto come il realismo di Janáček, a dispetto di un’apparenza
rigorosamente naturalista, si avvicini molto alla visione culturale simbolista o espressionista, grazie
a un vivo interesse per la psicologia che lo mette in contatto con i lavorii mentali psichici che
producono immagini molto simili alle irrealtà mostrate da Simbolismo e Espressionismo.
! La scelta di un soggetto favolistico rientra perfettamente nell’amalgama di realismo e di
psicologismo soprannaturale e fatalistico che abbiamo osservato in Janáček, e, allo stesso modo,
include in sé istanze rigorosamente naturalistiche di approccio alla realtà che si sposano con
componenti del tutto anti-reali.
! Spiegando meglio, possiamo dedurre che probabilmente la prima spinta al soggetto
animalesco di Příhody lišky Bystroušky è arrivata dalla tendenza onnicomprensiva del pensiero
rappresentativo di Janáček: esattemente come devono essere musicati i tormenti del pensiero umano
per raggiungere il vero realismo, nello stesso modo vanno rappresentate anche le manifestazioni
naturali, dato che non solo l’uomo, ma anche la natura fa parte della realtà che si deve raccontare. In
questo senso nascono i feuilletons con soggetto animalesco a cui abbiamo accennato. Per Janáček,
però, queste premesse scientifiche vengono contenute in una visione del mondo che comprende
anche la fede in un destino regolatore, in cui ogni cosa è coinvolta, tanto che perfino il girare delle
pale di un mulino (in Jenůfa) è la manifestazione di quel destino. Quindi, se la prima idea era quella
di applicare in Příhody lišky Bystroušky tutte le sue ricerche sui suoni della natura, il risultato è
divenuto una complessa ricapitolazione del pensiero filosofico, sociale e politico di Janáček, zeppa
di allegorie, psicologismi e metafore.
25
! Luigi Pestalozza scrive:41
La natura, l’ambiente in cui lo stesso mondo contadino si integra e riconosce la propria umanità, fu forse
il vero, grande amore di Janáček, che nell’una integrato nell’altro, e viceversa, trovò le fonti energetiche
del suo ottimismo finalistico nel momento stesso in cui lo portavano a un cupo pessimismo esistenziale,
al risentimento angoscioso verso la spietata aridità e crudeltà del mondo presente. E due sono
Příhody lišky Bystroušky finisce per incorporare le costanti individuate da Pestalozza e riassume al
massimo livello le componenti realistiche e fatalistiche di Janáček: è l’opera in cui trovano sintesi
complessa tutte le sue credenze sulla vita, dalle spinte naturalistiche alla sublimazione fantastica di
quelle spinte. Tutte idee che adesso cercheremo di chiarire, partendo dal modo in cui Janáček
intendeva il macro-organismo della natura.
43
ADOLF VESELÝ (a cura di), Leoš Janáček. Pohled do života a díla, Praha, Borový, 1924, p. 15, tradotto in inglese in
MZCL, p. 12.
44 In un articolo autobiografico sul «Lidové noviny» del 22 maggio 1928, tradotto in inglese in VILEM TAUSKY,
MARGARET TAUSKY (eds.), Janáček: Leaves from His Life, cit., pp. 29-30, in cui Janáček rievoca la sua terra, la prima
cosa che cita sono i fiumi.
45Il castello di Hukvaldy fu dimora di signori hussiti già ampiamente decaduti nel 1695. Fu distrutto da un incendio nel
1762 e lasciato incustodito fin dal 1820. Cfr. MZCL, p. 10.
46La chiesina di Hukvaldy aveva posto solo per pochi musicisti, e il grosso delle funzioni domenicali avveniva nella
chiesa di Rychaltice (il cui sagrestano era amico del padre di Janáček), situata a poco più di due chilometri di distanza e
dotata di un grande organo barocco. Cfr. Ivi, pp. 12-13.
47Nel monastero della capitale morava studiò con Pavel Křížkovský (1820-1885), un monolite della musica corale cèca,
che diverrà il suo primo modello compositivo. Nel 1868 fu eletto abate Gregor Mendel (1822-1884), allora già
impegnato, nel cortile, con i suoi studi sull’ereditarietà.
48 Sono le cose che Janáček rammenta per descrivere Hukvaldy a Kamila Stösslová nella lettera 79 di SVATAVA
PŘIBÁŇOVÁ (a cura di), Hádanka života: dopisy Leoše Janáčka Kamile Stösslové, Brno, Opus musicum, 1990, scritta il
10 agosto 1918 e tradotta in inglese in MZCL, p. 12.
27
! Durante la sua vita il legame con i boschi e gli animali di Hukvaldy fu costante. Qualsiasi
occasione era buona per tornare al suo paese, che molto spesso divenne la meta delle vacanze estive
e natalizie, quando si fermava l’attività della Scuola d’organo di Brno, dove per quasi tutta la vita
lavorò e visse. 49 Una vocazione agreste poco sopportata dalla moglie Zdenka, autentica cittadina e
figlia di una ricca famiglia borghese, ma assolutamente primaria per Janáček: nel 1921, con i primi
proventi internazionali di Jenůfa, Janáček comprò una casa a Hukvaldy, che da allora fu il suo
«paradiso»50, e dove tornò costantemente fino alla morte.51 La stesura di Příhody lišky Bystroušky
comicia nello stesso 1921, proprio quando Janáček può raggiungere le sue foreste natali senza
problemi d’alloggio e godere della sua nuova dimora.
! L’ambiente idealizzato di Hukvaldy alimenta l’interesse naturalista di Janáček evidente nei
feuilletons: i versi di animali che vi si trovano trascritti dal 1912 hanno origine quasi tutti dalle gite
a Hukvaldy.
! Il rapporto con gli animali e la natura è protagonista anche di alcune sue composizioni non
operistiche: ne sono un esempio, da un veloce sfoglio del catalogo delle opere52 , composizioni quali
L’oca selvaggia (Kačena divoká, per coro, 1885, JW IV/18), La nostra betulla (Což ta naše bříza,
per coro maschile, 1893, JW IV/22), e Lo sposalizio delle zanzare (Komáři se ženili, per coro e
orchestra, basato su una canzone popolare, 1891, JW III/2).
49 Janáček stesso fondò la Scuola d’organo di Brno nel 1881. Dall’anno successivo la scuola iniziò le lezioni e Janáček
ricoprì la carica di direttore. L’attività didattica era talmente intesa (con effetti di stress tali da influire sulla sua salute
cardiaca) che, nel 1910, il compositore e la moglie si stabilirono in una casa costruita nel cortile della scuola (che oggi
ospita l’Archivio Janáček). La dirigenza scolastica e l’insegnamento furono le occupazioni e le fonti di guadagno
principali di Janáček durante tutta la vita. Nel 1919, la scuola diventò un vero e proprio Conservatorio, che il
compositore diresse solo un anno, quando, sessantaseienne, diradò gli impegni, curando solo alcune master classes al
Conservatorio di Praga. Cfr. DA, pp. xx-xxiii.
50 Così la chiama in una lettera a Kamila Stösslová del 24 luglio 1928, tradotta in inglese in MZCL, p. 249-250.
51 Janáček morì il 12 agosto 1928 al sanatorio di Ostrava, la città principale della provincia morava di Lašsko, per una
polmonite contratta mentre cercava Otto, il figlio di Kamila Stösslová, che si era allontanato durante un’escursione con
lui e la madre intorno al castello di Hukvaldy.
52 NIGEL SIMEONE, JOHN TYRELL, ALENA NĚMCOVÁ (eds.), Janáček’s Works: A Catalogue of the Music and Writings of
Leóš Janáček, Oxford, Clarendon, 1997, la cui sigla è JW (Janáček Works). Il catalogo segue le cifre seguenti: I è il
teatro musciale come opere e balletti, II sono le composizioni liturgiche, III quelle per coro accompagnato da orchestra,
IV quelle solo corali o per coro e pianoforte, V i lavori per voce sola, VI quelli per orchestra, VII per complesso
cameristico, VIII per tastiera, IX gli incompiuti, X i perduti, XI i lavori di cui ha solo parlato verbalmente o che ha solo
minimamente pianificato o abbozzato, XII gli arrangiamenti e le trascrizioni, XIII le edizioni di musiche folkloriche,
XIV i lavori spuri attribuiti o firmati da lui ma probabilmente di allievi o assistenti o copisti, XV tutti gli scritti e gli
articoli, catalogati da Theodora Straková, a cui segue la cifra araba progressiva che indica l’ordine cronologico di
composizione.
28
I.2.2 - Ambivalenza e plurisemanticità
! Lo sguardo di Janáček sulla natura, però, va molto più in là della semplice registrazione
mimetica. L’idealizzazione dei suoi giorni infantili nel bosco e nella campagna di Hukvaldy
contribuì a sviluppare in lui l’idea che foreste, alberi, fiumi, laghi, acque, vento e tutti gli animali
costituissero un ambiente magico, fonte di ispirazione e di avventura, luogo in cui si manifestava
completamente quel destino a cui tanto credeva, e in cui si nascondeva il significato segreto della
vita, il senso di ogni cosa. Il rapporto filosofico tra Janáček è di derivazione romantica.53 Come la
maggior parte dei compositori romantici, Janáček sa che in essa è nascosta la chiave di ogni
problema e che basta decifrare il suo codice per arrivare alla verità che scioglie tutti i dubbi
dell’esistenza, sia esistenziali sia sociali, ma, al contrario dei romantici, Janáček non trascura il fatto
che la decodifica di quel messaggio mistico possa essere un’impresa tutt’altro che facile, e che i
tentativi che non vanno in porto abbiano le loro tragiche conseguenze.
! Alcune intuizioni di due grandi critici italiani che si sono occupati di Janáček ci aiutano a
comprendere la sua visione naturale. Luigi Pestalozza scrive che, per Janáček: «ciò che l’uomo
costruisce fuori dalla spontanea verità della vita naturale - i suoi costumi, i suoi pregiudizi, la sua
stessa organizzazione sociale -, non è altro che la falsa apparenza di una realtà tradita,
l’opportunistico edificio costruito ad umiliazione dell’intimo originario vincolo della natura, in cui
soltanto l’uomo può infatti trovare la propria dignità, il proprio destino»54, mentre Gianandrea
Gavazzeni, in uno dei primi articoli in assoluto (non solo italiani) riguardanti Janáček, datato 1938,
notava come il compositore «sa che esistono, dovunque, in noi stessi, nella natura, negli altri, forze
tempestose, buie, che possono, a volte, riuscire potentissime e disastrose». 55 Queste due posizioni
inquadrano perfettamente il problema.
53Sul rapporto tra Romanticismo e natura cfr. ENRICO FUBINI, La musica: natura e storia, Torino, Einaudi, 2004, pp.
29-35; GIOVANNI GUANTI (a cura di), Romanticismo in musica. L’estetica musicale da Kant a Nietzsche, Torino, EDT,
1981; CHARLES ROSEN, La generazione romantica, ed. it. a cura di Guido Zaccagnini, Milano, Adelphi, 1997, 20052
passim; MARIO BARONI, ENRICO FUBINI, PAOLO PETAZZI, PIERO SANTI, GIANFRANCO VINAY, Storia della musica,
Torino, Einaudi, 1988-1999, pp. 240-285; LEON PLANTINGA, La musica romantica. Storia dello stile musicale
nell’Europa dell’Ottocento, trad. it. di Franco Sgrignoli, Milano, Feltrinelli, 1989, pp. 11-115; RENATO DI BENEDETTO,
Romanticismo e scuole nazionali nell’ottocento, vol. 8 della Storia della musica a cura della Società italiana di
musicologia, Torino, EDT, 1991, pp. 3-16.
55GIANANDREA GAVAZZENI, Musicisti del nostro tempo: Leos Janáček, in «La rassegna musicale», XI/7-8 (luglio-
agosto 1938), Firenze, Le Monnier, 1938, p. 281.
29
! Per Janáček la natura è un florilegio di corrispondenze e
di simboli, esattamente come afferma Charles Baudelaire
(1821-1867, nell’immagine), uno dei massimi letterati francesi.
Nella sua poesia Correspondences, contenuta nella raccolta Les
fleurs du mal56 e fonte di ispirazione di tanta parte del
Simbolismo, il poeta presenta la natura come un luogo pieno di
simboli, in cui ogni cosa è in relazione con l’altra, e in cui i
colori e i profumi si rispondono a vicenda. 57 Una visione del
tutto analoga a quella di Janáček, che però afferma che quei
simboli non sono palesi, ma rimangono oscuri ed esoterici,
misteriosi e arcani, ed evocano immagini che l’uomo non capisce
e che finiscono per confonderlo: è evidente l’influsso di Hegel (1770-1831), secondo il quale la
natura rimane fuori dall’uomo ed è a lui estranea, risultandogli sempre inconoscibile e
incomprensibile.58 Janáček vorrebbe stare a metà tra le visioni mistico-idilliache dei romantici e di
Baudelaire da una parte e le idee radicali di Hegel dall’altra: certamente per lui la natura è benevola
e mistica, ma, se non la si comprende, può essere oscura e temibile.
! La fede nel destino, che come abbiamo visto è così presente nelle sue opere, si combina con
la sua concezione della natura, in modo che il fato sembra una manifestazione di quei simboli
naturali che rimangono inconoscibili e che risultano difficili da collocare in un’ottica umana di
positività e negatività. Il mulino di Jenůfa, prima minaccioso contraltare alle azioni sconsiderate di
Laca, poi confortante scenario del lieto fine; il fiume di Kát’a Kabanová, in cui la protagonista trova
la morte ma dove finalmente si libera dall’oppressione della società dopo un interiore colloquio con
il bosco; le foreste di Diario di uno scomparso, in cui la voce di tenore si perde e al contempo trova
pace dalla sua ossessione per la zingara: questi sono tutti esempi della concezione ambivalente di
Janáček, con la natura insieme benevola e ostile.
! Per Janáček la natura si colloca oltre le umane concezioni di bene e male. Le sue azioni non
hanno valore morale di per sé, ma vengono giudicate dagli uomini alternativamente ostili o
favorevoli a seconda della loro reazione a certi fatti inspiegabili che li riguardano. Janáček dà la
56 CHARLES BAUDELAIRE, Les fleurs du mal, Paris, Poulet-Malassis et de Broise, 1857, pp. 19-20.
57Gli spettacoli simbolisti che si ispiravano a questa poesia erano un trionfo di ricercate corrispondenze di elementi: ad
ogni battuta corrispondeva una musica a cui corrispondeva un colore e un profumo, che veniva spruzzato nel teatro,
creando particolare fastidio negli avventori, cfr. MARCO DE MARINIS, In cerca dell’attore, cit., pp. 230-231.
58VLADIMIRO GIACCHÈ, GIORGIO TOGNINI, La filosofia. Storia e testi, vol. 3: Dall’idealismo ai giorni nostri, Scandicci
(FI), La nuova Italia, 1996 (seconda rist. 1998), pp. 120-123. Un riassunto delle posizioni filosofiche sulla natura, tra
prometeismo (come intende Hegel) e orfismo (come dice Baudelaire) è in GIANFRANCO MARRONE, Addio alla natura,
Torino, Einaudi, 2011, pp. 61-67; e in FRANCESCO REMOTTI, Contro natura, Roma-Bari, Laterza, 2008.
30
stessa rappresentazione ai fenomeni naturali positivi e a quelli negativi e non prende posizione in
merito: la natura può essere sia minacciosa sia consolante.
! Il mondo naturale di Janáček è accostabile a quello di un compositore da lui molto
ammirato, Pëtr Čajkovskij (1840-1893). I due hanno infatti in comune l’idealizzazione dei paesaggi
agresti che hanno fatto da sfondo a momenti biografici felici: per Janáček, Hukvaldy e i luoghi
conosciuti nell’infanzia vissuta con il padre; per Čajkovskij le vacanze spensierate passate con i
nipoti, e con la famiglia della sorella maggiore Aleksandra, a Kamenka (oggi Kamjanka, nel
territorio di Čerkasy, in Ucraina), rievocate, tra le altre opere, nella Sinfonia n. 1 «Sogni
d’Inverno» (lavoro scritto e riscritto dal 1866 al 1888), e nel Concerto n. 1 per pianoforte e
orchestra (1875, soprattutto nel secondo movimento). 59
! Infatti, nelle opere di Čajkovskij, e anche in certe sue composizioni a programma, c’è il
medesimo trattamento della natura che troviamo in Janáček: i personaggi trovano nel mondo
naturale sia elementi di conforto sia motivi di follia. Nell’opera Pikovaja dama (1887, tratta da un
racconto di Aleksandr Puškin [1799-1837])60, il protagonista German è ossessionato dalla vittoria
alle carte, a cui pensa durante le sue notti insonni dove perfino le stelle sembrano tormentarlo, e la
deuteragonista Liza trova la morte in un fiume scurissimo che quasi la attrae. Di contro, in Evgenij
Onegin (1878, ancora da Puškin), Tat’jana si consola della sua delusione d’amore con i canti dei
contadini e immergendosi nella campagna, e nella sinfonia Manfred (1885, basata sul poema di
Lord Byron [1788-1824]), l’eroe trova nella foresta delle fate amiche.61
! Janáček è in perfetto accordo con Čajkovskij anche nel presentare elementi magici e
soprannaturali, che vengono intesi esattamente come manifestazione del destino: epifania di quegli
elementi e simboli naturali che non si comprendono, ma che esistono. Tutta l’opera Věc Makropulos
è basata sulla magia e l’alchimia rappresentate come fatti reali, esattamente come appaiono reali la
59 DAVID BROWN, Čajkovskij. Guida alla vita e all’ascolto, trad. it. Alessandra Burani e Luca Fontana, Milano, Il
saggiatore, 2012, pp. 46-49, 102-106; ALDO NICASTRO, Pëtr Il’ič Čajkovskij, Pordenone, Studio Tesi, 1990, pp. 33-36;
ALEXANDRA ORLOVA, Čajkovskij. Un autoritratto, ed. it. a cura di Maria Rosaria Boccuni, Torino, EDT, 1993, p. 17;
CLAUDIO CASINI, MARIA DELOGU, Čajkovskij, Milano, Bompiani, 2005, pp. 138-139; FERRUCCIO TAMMARO, Come
ascoltare Čajkovskij. Il musicista, le sinfonie, Milano, Mursia, 2008, pp. 113-142; LUIGI BELLINGARDI, Invito
all’ascolto di Čajkovskij, Milano, Mursia, 1990, pp. 111-115, 155-160.
60JOHN TYRELL, The Lonely Blackbird, cit., cap. 34: What Janáček learnt from ‘The Queen of Spades’, pp. 438-443,
sostiene che tutte le opere di Janáček si ispirano in qualche modo a Pikovaja dama.
61ALEXANDRA ORLOVA, Čajkovskij, cit., pp. 255, 276; DAVID BROWN, Čajkovskij. Guida alla vita e all’ascolto, cit., pp.
278-279; ALDO NICASTRO, Pëtr Il’ič Čajkovskij, cit., pp. 177-179; CLAUDIO CASINI, MARIA DELOGU, Čajkovskij, cit.,
pp. 443-445; FERRUCCIO TAMMARO, Come ascoltare Čajkovskij, cit., pp. 227-236; LUIGI BELLINGARDI, Invito
all’ascolto di Čajkovskij, cit., pp. 124-127; Janáček, nei suoi scritti, ci ha lasciato appassionate recensioni delle opere di
Čajkovskij: di Evgenij Onegin sul «Moravské listy» del 28 febbraio 1891, e di Pikovaja dama sul «Lidové noviny» del
21 gennaio 1896 (tradotte in inglese in MIRKA ZEMANOVÁ [ed.], Janáček’s Uncollected Essays on Music, cit., pp.
160-163, 176-179).
31
maledizione delle tre carte di Pikovaja dama (di cui il protagonista German è vittima) e le numerose
situazioni fantastiche dei balletti di Čajkovskij (Lebedinoe ozero [Il lago dei cigni], 1877; Spjaščaja
krasavica [La bella addormentata], 1890; Ščelkunčik [Lo schiaccianoci], 1892), in cui le tensioni e
gli orrori della fiaba vengono trattati in modo tutt’altro che superficiale e infantile, ma con serissimo
senso del dramma, al pari delle tragedie realistiche.
! La natura di Janáček (così simile a quella di Čajkovskij), quindi, è un organismo complesso,
è un tripudio di fenomeni che l’uomo non comprende perché al di là della sua categorizzazione
morale: un universo di fatti magici e misteriosi, l’allegoria ambientale dell’agire inintelligibile del
destino, in cui l’uomo può trovare sia conforto sia dannazione, ma in cui è evidente un ordine dal
sapore quasi nicciano e tolstoiano. Il destino scrive il suo libro nelle pagine della natura e l’uomo
può non comprendere quei segni e per questo può soffrire, ma perfino la sua sofferenza fa parte di
quel disegno: perciò basterà impegnarsi più a fondo e si scoprirà che tutto ha ragioni ben precise,
che trascendono le minuscole vicende umane; poi starà all’uomo continuare a soffrire, in modo del
tutto legittimo, o cercare di comprendere.
! Milan Kundera spiega che Janáček trova nella natura la bellezza del mondo al di là
dell’uomo, una bellezza che può essere consolante, in quanto «il pianto di un’anima [può] essere
consolato soltanto dalla non-sensibilità della natura. Proprio così [...] Perché la non-sensibilità è
consolante; il mondo della non-sensibilità, è il mondo al di fuori della vita umana; è l’eternità». 62
! Secondo Kundera, la natura di Janáček è il luogo oggettivo in cui ci si libera «dalla
soggettività umana, aggressiva e ingombrante. [La sua musica parla] della bellezza dolcemente
disumana del mondo prima o dopo il passaggio degli uomimi».63
!
63 Ibidem. Per rendere più chiaro tutto questo a un pubblico di massa si potrebbe far notare come la concezione della
natura di Janáček sia quasi identica a quella che anima il telefilm americano Twin Peaks, creato nel 1991 da David
Lynch (1946-) e Mark Frost (1953-), che ebbe un leggendario successo alla sua prima messa in onda: un fatto che
testimonia come la sua filosofia naturale sia tutt’altro che un vetusto oggetto ottocentesco, ma che abbia la stessa forza
delle più popolari creazioni contemporanee.
32
I.3 - Animale
! Uno sguardo sul particolare senso che Janáček dà alla natura ci introduce !al modo in cui il
compositore pensa i grandi protagonisti di Příhody lišky Bystroušky, ossia gli animali. Quello che
nell’opera può sembrare astruso o cerebrale, casuale o estraneo al pensare comune, fa parte di una
complessa idea, che supporta anche altre composizioni di Janáček, retaggio di concetti e di visioni
del mondo antichi e primitivi.
I.3.1 - Il lupo
! Come abitanti della natura, gli animali in
Janáček hanno il medesimo trattamento: sono
figure misteriose e imprevedibili, amichevoli o
violente. La cantata intolata Le tracce del lupo
(Vlčí stopa, per coro femminile, 1916, JW IV/39)
esempifica il suo modo di concepirli. Il testo è
tratto da una poesia contenuta nei Poemi epici di
Jaroslav Vrchlický (Emil Frída, 1853-1912,
nell’immagine)64, uno dei più grandi poeti cèchi e
un’eminente personalità della vita letteraria
boema (fu il primo a tradurre e introdurre in
patria molti autori, tra i quali Dante, Shelley,
Goethe, Baudelaire e Poe), ammirato da Janáček,
che nel 1897 era riuscito ad avvicinarlo per
ottenere il permesso per trarre dal suo poema
epico Amarus una cantata per solisti, coro e
orchestra (JW III/6, eseguita nel 1900, poi revisionata nel 1901 e nel 1906).
! Al centro del racconto c’è un vecchio hejtman65, fuori per la seconda notte consecutiva nella
pianura innevata alla ricerca delle tracce di un lupo. Non trova niente e ciò provoca in lui degli
oscuri presentimenti di sciagura. Decide di fare ritorno e in prossimità della sua dimora vede, nella
luce di una finestra, l’ombra della sua giovane e bellissima moglie tra le braccia di un altro uomo.66
65Un antico termine che indica una sorta di capovillaggio. TOTF, p. 42 lo traduce «local headman or captain»;
JAROSLAV VOGEL, Leoš Janáček: His Life and Works, cit., p. 223 usa «squire»; MZCL, p. 119 ha «army captain».
66 «Is this embrace to last forever?/The squire lifts his gun in doleful tremor/A shot - a cry - the snow and the night are
silent/At last the squire has found the wolf track!»: JAROSLAV VOGEL, Leoš Janáček: His Life and Works, cit., p. 223.
33
Quell’abbraccio durerà per sempre?
Il capitano solleva il fucile con dolente tremore
! Il tema della
gelosia è stato molto
frequentato da Janáček
nella sua prima fase
creativa. Negli anni ’80
dell’‘800, insieme
all’etnografo František
Bartoš (1837-1906),
Janáček aveva
collezionato 174 canti
popolari nel Bouquet di
canzoni popolari morave
(Kytice z národních písní
moravských, JW XIII/1,
pubblicato nel 1890), tra i
quali c’era la ballata
L’uomo geloso: vi si raccontava di un ragazzo morente che avrebbe preferito uccidere la sua amata
pittosto che saperla insieme a un altro. La ballata entrò nella testa di Janáček tanto che nel 1888
compose una musica tutta sua per lo stesso testo (inclusa nei Tre cori maschili [Tři sbory mužské],
JW IV/19) sulla quale basò un’altra composizione del 1894, intitolata Gelosia (Žárlivost, JW VI/
10), e concepita inizialmente come ouverture di Jenůfa67, che ha al centro la gelosia di Laca nei
confronti del personaggio eponimo (nella foto Janáček che ascolta i canti popolari nel 1906).
! Quello che interessa qui, però, è il simbolismo del lupo, che nella follia dello hejtman
diventa l’amante della moglie. L’animale reale, invano inseguito, viene inteso come infido
fuggiasco, che si prende gioco del cacciatore, tanto che lo hejtman lo associa all’uomo che con
l’inganno gli ruba la moglie. Ma Janáček complica le cose, conferendo al lupo significati molto più
complessi.
67Per vari motivi connessi con la complessa gestazione di Jenůfa, Janáček decise di scorporare l’ouverture come lavoro
autonomo. Da quando il direttore František Neumann la incluse in un suo concerto sinfonico a Praga, nel 1906, Gelosia
ha avuto una circolazione e una fortuna completamente indipendenti dall’opera.
34
! La cantata è divisa in tre momenti: il cacciatore nella neve, il suo galoppo inquieto con in
mente l’amata e il finale davanti alla finestra illuminata.68 Il primo motivo (1) sembra descrivere il
cacciatore con una morbida melodia a cui sussegue un tema che evoca il galoppo, che
contraddistingue sia il presagio nefasto che invade lo hejtman sia la sua corsa verso casa (2). Il
galoppo è intercalato dal pensiero/ricordo della giovane moglie, che risulta una appassionata
rielaborazione del primo tema (1B). Nel finale si ripresenta la melodia 1 in modo concitato e
pietoso, a simboleggiare il dolore della scelta di sparare. Dopo lo sparo, un soprano solo ripete il
verso «Quell’abbraccio durerà per sempre?» in uno struggente tempo lento costruito sul tema 1B
dell’amata, a cui segue una nuova ripresa, al pianoforte, del tema 1, sommesso e triste. Alla fine il
coro dice: «Alla fine il capitano ha trovato le tracce del lupo!» di nuovo sul primo tema, che,
accompagnato da figurazioni discendenti del pianoforte, sembra quasi un pianto che si spegne.
! La ripresa di «Alla fine il
capitano ha trovato le tracce del
lupo!» costruito sul tema 1, ci indica
Motivo 1
che la melodia si ripresenta ogni volta
che si parla del lupo e non dello
hejtman: la sezione 1, quindi, è il
tema del lupo. Il fatto che le sezioni 1 Motivo 2: il presagio e il ritorno a casa
68 Gli esempi sono una riproduzione fotostatica di JAROSLAV VOGEL, Leoš Janáček: His Life and Works, cit., p. 224.
Dopo il fallimento di alcuni tentativi di accordo con diverse case editrici (tra cui la praghese Hubední matice), Janáček
non pubblicò Le tracce del lupo. È apparsa per la prima volta in LEÓŠ JANÁČEK, Vlčí stopa/Wolfsspur, edizione a cura
di Jan Ledeč, Kassel-Praha, Bärenreiter, 1968. Successivamente ne è stata redatta un’accurata edizione critica: LEÓŠ
JANÁČEK, Vlčí stopa, Die Wolfsspur, Wolf-tracks, La piste du loup (1916), edizione critica a cura di Jiří Zahrádka e
Miloš Štědroň Jr. (supervisione Leoš Faltus), Brno, Editio Janáček, 2002.
35
soprano solo, come se la vera narratrice fosse la donna, che a quel punto appare quindi una donna-
lupo (il suo tema da subito mostra la sua derivazione da quello del lupo) piangente per la sua tragica
fine ma anche fidente nell’eternità del suo amore. 69
! Questo tripudio di sottotesti, di connessioni, di plurisemanticità che coinvolge il lupo della
cantata, dimostra come l’animale, per Janáček, sia un elemento complicatissimo, forse il segno più
inafferrabile di quelli offerti dalla misteriosa natura. Questo ci chiarisce perché, in Příhody lišky
Bystroušky, Janáček abbia optato per una rappresentazione dell’animale tutt’altro che semplice e
ovvia, e abbia invece investito le fiere protagoniste di una miriade di simboli nascosti, di allegorie
oscure e di sensi multipli, poiché l’animale di Janáček è sempre foriero di simbolismo e Le tracce
del lupo appare come la prova generale di Příhody lišky Bystroušky, il suo più importante
precedente semantico.
69 Le tracce del lupo è analizzata in JAROSLAV VOGEL, Leoš Janáček: His Life and Works, cit., p. 223-224; MZCL, p.
119; e JAN NOWAK, Vlčí stopa – sonda do Janáčkovy tvorby pro ženský sbor (scritto in occasione delle celebrazioni
annuali «Janáčkiana» nel 2008 e pubblicato sono on-line sul sito dell’Università di Ostrava: http://konference.osu.cz/
janackiana/dok/nowak_j-vlci_stopa-sonda.pdf [ultimo accesso: marzo 2014]), che verte soprattutto sulla ricerca di
motivi conduttori comuni alle altre maggiori composizioni corali di Janáček. Nessuno, però, ha interpretato il brano in
relazione con la rappresentazione degli animali di Janáček.
70PETER MARLER, La musica degli animali, in JEAN-JACQUES NATTIEZ, ROSSANA DALMONTE, MARIO BARONI,
MARGARET BENT (a cura di), Enciclopedia della musica, vol. II: Il sapere musicale, Torino, Einaudi, 2002, pp. 467-476.
Vedi anche JEAN BOIVIN, Musica e natura, in Ivi, vol I: Il Novecento, cit., pp. 322-347.
36
clarinetto i versi della quaglia, dell’usignolo e del cuculo71, o con Olivier Messiaen (1908-1992,
nella foto a pagina precedente), che per tutta la vita ha studiato ornitologia e ha dedicato una vasta
parte della sua opera ai canti delle specie volatili (basti citare il complesso Catalogue d’oiseaux, per
pianoforte del 1958, Le merle noir per flauto e pianoforte del 1952, e Chronochromie, per orchestra,
completata nel 1960). In tali composizioni, però, non c’è traccia di incomprensibili e magiche
ambivalenze tra uomo e animale come si sono viste ne Le tracce del lupo, anzi, Beethoven e
Messiaen sembrano attestarsi in una linea prettamente imitativa, che indaga le semplici
caratteristiche musicali del canto degli uccelli.
! A dire la verità, nella sua opera Saint François d’Assise (1983), Messiaen opera una forma
di rapporto tra uccelli e umani che può somigliare alle idee di Janáček: l’ascolto di una capinera
nelle Carceri di Assisi, dove il santo trascorreva molto tempo in meditazione, suggestionò il
compositore, che usò il verso dell’uccello per caratterizzare musicalmente il personaggio di
Francesco. Allo stesso modo, Messiaen trovò versi di volatili che metaforizzassero alcune
caratteristiche degli altri protagonisti: l’Angelo è annunciato dal canto del gerigone (Gerygone
palpebrosa), l’insofferente frate Élie è simboleggiato dal suono scuro del notou (una sorta di
piccione della Nuova Caledonia), e il saggio e anziano frate Bernard parla con gli accenti musicali
del filemone (Philemon corniculatus, detto in alcune lingue proprio «l’uccello frate»).
! Una soluzione suggestiva che sarebbe piaciuta a Janáček, che usa il verso animale in modo
simile a quello di Messiaen, per metafore e assonanze simboliche. Nel 1921, però, quando Příhody
lišky Bystroušky è saldamente in cantiere, i modi di usare i versi degli animali sono ben altri e la
mera imitazione onomatopeica, con finalità scherzose e farsesche, la fa da padrone. Un filone ludico
che sembra assestarsi a partire dall’anonimo Duetto buffo di due gatti (1825), che vede due soprani
cantare un onomatopeico “miao” su alcune musiche dell’Otello (1816) di Gioachino Rossini
(1792-1868), a cui il pezzo fu per lungo tempo attribuito. In questa linea si instrada anche Jacques
Offenbach (1819-1880), che nella sua opera buffa Orphée aux enfers (1858, poi ampliato nel 1874),
fa eseguire un grande duetto d’amore “ronzante” a Eurydice e Jupiter: il dio, per accoppiarsi con la
donna, ha dovuto trasformarsi in mosca e in questa forma riesce assurdamente a sedurla con il suo
ronzio a cui anche lei partecipa in una comica estasi.
71 Cfr. LUDWIG VAN BEETHOVEN, Symphonies Nos. 5, 6 and 7 in Full Score, Mineola (NY), Dover, 1989 (rist. di ID.,
Symphonies de Beethoven. Partitions d’Orchestre, Braunschweig, Litolff, sd), pp. 125-126. Janáček fu piacevolmente
colpito dalla Sinfonia Pastorale dai tempi dei suoi studi a Lipsia (dall’ottobre 1879 al febbraio 1880): ne sentì una
prova dell’orchestra del Gewandhaus diretta da Carl Reinecke (1824-1910), il capo del Conservatorio cittadino dove
stava studiando e direttore musicale dell’orchestra, e scrisse una lettera alla moglie Zdenka dove le spiegava tutte le
implicazione programmatiche della sinfonia. Cfr. JOHN TYRELL, The Lonely Blackbird, cit., p. 152; la lettera (datata
11-12 novembre 1879) è contenuta in JAKOB KNAUS (ed.), ‘Intime Briefe’ 1879/80 aus Leipzig und Wien, Zürich, Leoš
Janáček-Gesellschaft, 1985, pp. 84-86.
37
! La tradizione francese elevò questo gioco quasi a sistema, come è evidente nella suite per
pianoforte a quattro mani Dolly (1893-’96) di Gabriel Fauré (1845-1924), il cui secondo movimento
descrive i giochi di una bambina con un gatto, e in Children’s Corner (scritto per pianoforte nel
1908, poi orchestrato da André Caplet, amico dell’autore, nel 1911) di Claude Debussy, che nel
secondo movimento ha al centro Jimbo, una bambola a forma d’elefante. Maurice Ravel, sembra
ispirarsi ancora ai ronzii di Offenbach nel Duo miaulé («duetto miagolato») di L’enfant et les
sortilèges (1925) e, nonostante usi i versi degli uccelli in un ambiente fiabesco (in Pollicino,
secondo movimento di Ma mère l’oye, scritto per pianoforte a quattro mani nel 1910, poi
strumentato per una grande orchestra per farne un balletto nel 1911-’12), sembra non riuscire a
staccarsi da un’idea calligrafica di semplice imitazione spensierata.
! Nel Romanticismo si possono invece riscontrare alcune idee che possono accostarsi alle
simbologie bestiali di Janáček: l’uccellino della foresta nel Siegfried (1871, la terza giornata del
colossale Ring des Nibelungen, rappresentato interamente nel 1876) di Richard Wagner
(1813-1883), e il falco di Die Frau ohne Schatten (1919) di Richard Strauss, per esempio,
annunciano profezie, incarnano il destino, e fanno parte di un fatato mondo naturale che è in
perfetta linea con la concezione che Janáček ha dell’animale e della natura.
! Ciò che però di più si avvicina alla simbologia di Příhody lišky Bystroušky si trova nel
modello di rappresentazione stabilito da Igor’ Stravinskij (1882-1971) in opere come Renard
(1916-1922) e Le rossignol (Solovej, 1914). Questi due lavori, soprattutto Renard, ci aiuteranno
molto nello stabilire cosa in Příhody lišky Bystroušky è favola e cosa no, e quindi parleremo di loro
diffusamente nella seconda parte; qui ci limitiamo a dire che il modo in cui esse mostrano l’animale
è molto simile ai processi operati nell’opera di Janáček.
! Renard è composta per due tenori e due bassi, che cantano con l’orchestra le frasi del testo
(scritto dallo stesso Stravinskij), mentre, sul palco, dei ballerini danzano le azioni teatrali. Spesso al
primo tenore corrisponde il gallo, al secondo la volpe, e ai due bassi (che cantano quasi sempre lo
stesso testo) il gatto e il montone, ma le parti non sono fisse. Stravinskij stesso descrive la
situazione al suo collaboratore Robert Craft:72
Gli attori devono essere acrobati ballerini con cui i cantanti si identificano solo in parte. Il rapporto tra
ruoli è lo stesso che nelle Noces, e come nelle Noces gli esecutori, musicali e mimici, devono essere in
Questi scarti tra voce e performer e tra le diverse parti, che si scambiano e si ricongiungono
continuamente, rendono l’idea di quello che Janáček ha in mente quando parla di animali: esseri che
72IGOR’ STRAVINSKIJ, ROBERT CRAFT, Ricordi e commenti, trad. it. di Franco Salvatorelli, Milano, Adelphi, 2008, p.
173. Les noces sono un più fortunato balletto-pantomima di Stravinskij, rappresentato nel 1923.
38
si trasformano, che sembrano uomini e degli uomini prendono la forma, ma sono altro,
suggeriscono l’umanità ma non la rappresentano, come se fossero simboli di come l’umanità
potrebbe essere, o allegorie di un diverso rapporto uomo-natura.
! Forme che mutano e bestie che cambiano sono alla base de Le tracce del lupo, e in Příhody
lišky Bystroušky le cose si complicano ulteriormente, grazie ad espedienti comuni a quelli usati da
Stravinskij, come la danza e la pantomima, che dànno agli animali aspetti ancora più caleidoscopici
e inafferrabili. In Příhody lišky Bystroušky, l’animale può essere uguale all’uomo, con tutte le sue
caratteristiche ma restare animale, o può essere un animale che si trasforma in uomo, può avere solo
una voce umana, o può anche non avere alcun contatto con l’uomo ed esistere solo in orchestra,
essere puro suono, o avere soltanto il corpo del danzatore e nient’altro, con gli strumenti a rendere
tutto il resto: un animale fatto di sola musica incarnata nella danza.
! Un modo di pensare l’animale che è difficile da comprendere e non somiglia affatto ad altri
modi di rappresentazione che abbiamo sotto gli occhi. Per comprendere meglio, infatti, non bastano
gli esperimenti neoclassici, comunque utili, ma dobbiamo chiedere aiuto ad altre scienze come
l’antropologia e l’etnografia e dare uno sguardo complessivo al millenario rapporto tra l’uomo e
l’animale.
I.3.3 - La preistoria
! Fin dalla preistoria, l’uomo ha avuto a che fare con gli altri abitanti del mondo, con cui ha
dovuto competere, finché non è riuscito a trovare modi di convivenza prima e di sfruttamento poi.
Lo sfruttamento, soprattutto, ha avuto un così grande successo che, in un primo tempo, gli
antropologi hanno osservato solo la relazione utilitaristica tra l’uomo e l’animale: un mero rapporto
di catena alimentare e di soddisfacimento dei bisogni nutritivi. Bronisław Malinowski (1884-1942),
uno dei fondatori dell’antropologia culturale, pensava che ogni raffigurazione simbolica
dell’animale prodotta dall’uomo derivasse da tale relazione.73 Successivamente, Claude Lévi-
Strauss (1908-2009) ripensò le categorie del pensiero primitivo74 , dimostrando come l’entità dei
simbolismi inquadrasse un orizzonte culturale molto più stratificato: se la sola funzione degli
animali è quella di riserva di cibo, perché vengono usati come simboli religiosi e divini, fatto che
comporta anche il divieto di mangiare certe specie?
73BRONISŁAW MALINOWSKI, Myth in Primitive Psychology, London, Norton, 1926; ID., Magic, Science and Religion
and Other Essays, Glencoe (IL), Free Press, 1948.
I processi antropo-poietici [...] esigono l’elaborazione di modelli di umanità. Questi ultimi [...]
comportano spesso un atteggiamento definitorio e separatorio. Ma il problema della reperibilità dei
modelli di umanità (reso acuto dalla loro insopprimibile arbitrarietà e dalla loro insuperabile precarietà,
oltre che dalla carenza biologica originaria dell’uomo) apre la ricerca, costante e assidua, non soltanto
nella direzione degli altri uomini (delle altre forme di umanità), ma anche nella direzione degli altri
animali (e in generale delle altre forme di vita). Sarà anche per questo che agli animali - a certi animali -
vengono fatti assumere poteri straordinari, che consentono di trascendere i limiti di contesti e situazioni
date, e che alcuni risultano addirittura divinizzati. È comunque probabilmente per questa ragione che gli
75 MARVIN HARRIS, Cannibali e re. Le origini delle culture, trad. it. di Mario Baccianini, Milano, Feltrinelli, 1979,
20096, sembra ridimensionare le prospettive di Lévi-Strauss ancora in termini utilitaristici, con particolare attenzione al
rapporto tra cibo e popolazione: una specie animale si sacralizzava e ne veniva proibito il consumo, e di conseguenza
l’allevamento, quando essa minacciava le sempre meno disponibili riserve nutritive di una comunità sempre più
numerosa.
76 FRANCESCO REMOTTI, introduzione a ALESSANDRO BONGIOANNI, ENRICO COMBA (a cura di), Bestie o Dei?
L’animale nel simbolismo religioso, Torino, Ananke, 1996, pp. i-v.
77 PIERRE LÉVÊQUE, Bestie, dei e uomini. L’immaginario delle prime religioni, Roma, Editori Riuniti, 1991, p. 22.
40
all’uomo, «perciò dotate di una coscienza e di una volontà analoghe alle sue, anche se il loro livello
energetico è infinitamente superiore».78 Nella mente primitiva, quindi, «si costituisce un doppio del
mondo naturale, una sopra-natura, secondo un processo logico di straordinaria importanza
evolutiva, che produce uno schema nel quale fra mondo degli animali e mondo degli uomini
funzionano scambi sia sul piano del reale e dell’immaginario, sia del naturale (-sociale) e del
soprannaturale». 79
! Gli animali divinizzati, immagini delle potenze supreme della foresta, non scompaiono con
la rivoluzione neolitica, la sedentarizzazione e lo sviluppo dell’agricoltura, ma continuano negli dei
zoomorfi dell’Egitto e della Grecia80 , nonostante il processo crescente dell’antopomorfizzazione del
pantheon politeista delle grandi civilità antiche.
! Sulla rappresentazione zoomorfica degli dèi egizi, Alessandro Bongioanni scrive:81
La mancanza di un tema specifico sull’origine dell’uomo all’interno del repertorio mitologico e letterario
prova, oltreché l’apparente disinteresse della classe sacerdotale impegnata ad elaborare altri tipi di testi,
più teologici, il fatto che l’egizio non avvertiva in maniera traumatica il distacco esistente tra sé e gli altri
esseri viventi. Per la mentalità antico-egiziana uomini, dei e gli altri elementi costitutivi dell’universo
sono “consustanziali”, secondo la ben nota e felice definizione che diedero John Wilson e Henry
Frankfort: tutto ciò che esiste partecipa cioè di un’unica sostanza. Di qui deriva la facoltà che possiede
ogni elemento di poterne rappresentare un altro, insieme con la necessità di mettere in relazione il mondo
fenomenico, reale degli individui con quello immaginato, dunque simbolico, rappresentato dalle divinità e
dalle loro storie “esemplari”. Anche in questo modo si spiega lo zoomorfismo delle divinità egiziane, pure
nella sua forma ibrida (metà uomo - metà animale).
Stupisce come il modo di vedere paleolitico e quello egizio siano identici a quello di Janáček. Nelle
sue opere, soprattutto in Příhody lišky Bystroušky, gli animali sono protagonisti di scambi
concettuali tra reale, immaginario e soprannaturale che gli antropologi ipotizzano per il pensiero
paleolitico, e vi è rappresentata una natura in cui uomini e animali sono consustanziali di un’unica
sostanza come avviene nel mondo egizio.
78 Ivi, p. 23.
79MASSIMO BONAFIN, Le malizie della volpe. Parola letteraria e motivi etnici nel «Roman de Renart», Roma, Carocci,
2006, p. 207.
81ALESSANDRO BONGIOANNI, Per un Bestiario ideale degli antici Egizi, in ALESSANDRO BONGIOANNI, ENRICO COMBA
(a cura di), Bestie o Dei?, cit., p. 102.
41
PARTE SECONDA:
FAVOLE E FIABE
82Cfr. LUIGI PESTALOZZA, voce Janáček, Leós, in DEUMM, cit., pp. 724-735. Per la distinzione tra favola e fiaba che
uso, cfr. infra, punto II.2.
83
ESOPO, Favole, trad. it. di Elena Ceva Valla, Milano, Rizzoli, 1951, 19984, riproduce il testo critico stabilito in ÉMILE
CHAMBRY, Ésope: Fables, Paris, Les belles lettres, 1926, 19673, che elimina molte favole già attribuite a Esopo.
84 La sistemazione filologica degli scritti di Fedro ha avuto esiti meno definitivi, soprattutto sull’intendere autentiche o
meno le 32 favole contenute in un manoscritto conservato a Napoli, compilato tra il 1465 e il 1470 dall’umanista
Niccolò Perotti, sulla base di codici poi perduti. La tendenza contemporanea è quella di includere quelle favole dubbie
nella cosiddetta Appendice Perottina, che spesso viene pubblicata nelle odierne edizioni. Cfr. FEDRO, Favole, trad. it. e
introduzione di Fernando Solinas, Milano, Mondadori, 1992, p. XIV, XXVIII, il cui curatore è un convinto assertore
dell’autenticità dell’Appendice e sceglie di riprodurre il testo critico più attento alla sua risoluzione ecdotica
(DOMENICO BASSI, Phaedri Fabulae ad fidem codicis neapolitani denuo excussi, Torino, Paravia, 1920).
86 JEAN DE LA FONTAINE, Fables choisies, mises en verse par M. de La Fontaine et par lui revues, corrigées et
augmentées, Paris, Thierry et Barbin, 16923, trad. it. in versi di Emilio De Marchi: ID., Favole, Milano, Rizzoli, 1980,
20013 (edizione che presenta una versione italiana di Maria Novella Pierini dell’introduzione all’edizione francese
curata da Georges Couton: GEORGES COUTON, La Fontaine: Contes et nouvelles en vers, Paris, Garnier Frères,
1961-1966, che riassume alcuni assunti contenuti in ID., La politique de La Fontaine, Paris, Les belles lettres, 1959).
43
classifica “morale” del bestiario favoloso, la volpe è all’ultimissimo posto, anche più bassa dei
serpenti, che già nella grecità erano simbolo di viscidume e cattiveria innata, ma che hanno dalla
loro l’essere palesemente cattivi, mentre la volpe è ingannevole, doppiogiochista, furba, ipocrita e
menzognera. Al contrario degli altri accoppiamenti bestia/indole che abbiamo visto, che sono
passibili di più o meno grandi variabili, il binomio volpe/astuzia-cattiveria è universale e attraversa
indenne tutti i secoli della storia, in una linea diretta che va da Esopo a Trilussa (Carlo Alberto
Salustri, 1873-1950).
II.1.1 - Fonti
! La Bystrouška di Janáček sembra partecipare di tutto questo, soprattutto perché incorre in
avventure simili a quelle che si trovano nel Roman de Renart, l’espressione letteraria che concentra
in sé al massimo grado tutte le istanze favolistiche riguardanti la volpe e dove confluiscono tutte le
susseguenti credenze occidentali sul binomio volpe/malvagità tipico delle favole. Ma forse la
somiglianza di Bystrouška con la medioevale Renart è solo apparente, come la trama di Příhody
lišky Bystroušky è solo apparentemente una favola classica.
! Per districare la matassa mi servirò, come modelli di riferimento, di alcuni lavori che
gemmano dal Roman de Renart, che recano idee e suggestioni che ci aiuteranno a inquadrare alcune
sfumature di Příhody lišky Bystroušky, e che forse hanno rappresento delle probabili fonti per
Janáček, data anche la curiosa vicinanza cronologica. Descriverò il Roman de Renart e le opere che
ne derivano singolarmente e, alla fine, capiremo come si rapportano all’opera di Janáček.
II.1.1.1 - Vulpiculus
! Il Roman de Renart è costituito da una serie di storie di varia natura, confluite in un romanzo
redatto in francese intorno al XIII secolo (per gran parte attribuito a Pierre de Saint-Cloud87), che
per la formazione della lingua francese ha avuto un’importanza fondamentale: basti dire che proprio
in quella lingua, a partire dal XVII secolo, la volpe ha assunto appunto il nome di «renard» (cioè
«Renart» dopo una semplice sonorizzazione), che ha sostituito il termine romanzo
«goupil» (derivato dal latino «vulpiculus», oggi presente solo in certi regionalismi).88
87Il complesso tentativo di indagare l’origine delle storie e di ricostruire la genesi del romanzo è in MASSIMO BONAFIN,
Le malizie della volpe, cit.; e in KLAUS MAILAHN, Reineke Fuchs und die Göttin: Neue Erkenntnisse über ein heiliges
Tier der Großen Mutter, München-Ravensburg, GRIN, 2010. Vedi anche MASSIMO BONAFIN (a cura di), Il romanzo di
Renart la volpe, Alessandria, Dell’orso, 1998.
88 Il romanzo della volpe, trad. it. e nota di Salvatore Battaglia, Palermo, Sellerio, 1980 [ristampa di Roman de Renart:
il romanzo della volpe, Roma, Colombo, 1947], p. 241. L’importanza letteraria e artistica del Roman de Renart è
immensa; tra le decine di lavori ad esso ispirati ricordo almeno una delle sue rielaborazioni più appassionate, il Reineke
Fuchs (1793) di Johann Wolfgang Goethe (1749-1832).
44
! Il personaggio principale, Renart la volpe, incarna tutte le caratteristiche del malvivente, ed
è una miscela purulenta di tutti i mali possibili. Nel Roman de Renart la classica identificazione che
abbiamo visto tra la volpe e la malvagità si combina con una componente eretica e blasfema, dovuta
al tratto comune del pensiero due-trecentesco di paragonare gli eretici alle volpi, che si evince dal
Cantico dei cantici di Bernardo di Clairvaux e dal commento di Bonaventura da Bagnoregio al
Vangelo di Luca: gli eretici bruciano la vigna di Dio come le volpi distruggono le vigne terrestri. 89
! A sua volta la volpe che distrugge le vigne è un topos biblico-sermonistico, derivato dal
libro dei Giudici, in cui Sansone brucia vigne e messi dei filistei, liberando delle volpi a cui ha
legato torce fiammeggianti alle code. Nel Roman de Renart la natura meschina della volpe ha,
infatti, origini para-bibliche e coinvolge Adamo ed Eva durante la creazione. Dio dona ad Adamo
un bastone di legno che ha la capacità di creare: se verrà scosso, il bastone darà origine a esseri che
allevieranno la sua solitudine e lo aiuteranno nel lavoro. Quando Adamo scuote la verga per la
prima volta si crea una pecora, che donerà all’uomo la pelliccia. Una sera, però, è Eva a scuotere il
bastone, creando un lupo, che agguanta la pecora e fugge nel bosco. Atterrita, Eva chiama Adamo,
che agita di nuovo il legno generando un cane, che lottando con il lupo, recupera la pecora, per
fortuna ancora viva.90
Una sera Eva si sentiva inquieta e non poteva prender sonno. Allora si mise a fantasticare, inseguendo
un’idea dietro l’altra; e arrivò a pensare ad un essere strano che fosse animale ma possedesse
l’intelligenza dell’uomo, una bestia di forma elegante e di mente sottile, che potesse ricordare la natura
muliebre. E con questa immaginazione si diede a battere sulla terra. Nacque così la volpe, astuta e
bugiarda, diffidente e insidiosa, vile e aggressiva, ma sempre girovaga, audace, estrosa. È da questa razza
che discende l’esemplare perfetto: Renart pelorosso, l’eroe di questo romanzo.
Renart mantiene per tutta la vita rapporti con il cugino lupo, chiamato Ysengrin, istituendo con lui
quasi una associazione a delinquere. In una delle prime avventure, però, Renart cerca di derubare
Ysengrin, innescando un odio profondo che durerà tutta la vita, finché Renart non verrà chiamato a
rispondere dei suoi tanti delitti davanti a sua maestà il leone, in un processo che vede Ysengrin tra
gli accusatori. In questa linea narrativa viene assorbito e variato un antichissimo motivo, risalente ai
sumeri, che nelle sue tracce più arcaiche vede il lupo e la volpe accusati insieme di molti reati, in un
processo presieduto dal cane, dal leone e dagli dèi Šamaŝ ed Enlil, a cui la volpe dovrebbe essere
formalmente fedele, in quanto suo animale sacro: il fatto che tra i Sumeri, e quindi secoli prima di
89 Cfr. GRADO GIOVANNI MERLO, Animali ed eretici medievali, in ALESSANDRO BONGIOANNI, ENRICO COMBA (a cura
di), Bestie o Dei?, cit., pp. 67-76.
90Il romanzo della volpe, cit., pp. 13-14. La traduzione italianizza i nomi, e pertanto reca «Renardo». Ho corretto con
«Renart» per uniformità.
45
Esopo, un mito rappresenti la volpe come traditrice della dèa a cui è sacra, testimonia l’arcaicità
dell’attribuzione alla volpe di ogni dote negativa.91
! Il ciclo di storie che riguardano il processo trova soluzione ricorrendo all’espediente più
frequente con cui Renart risolve i suoi problemi: il fingersi morto. È in questo modo, infatti, che
Renart si salva dalla condanna, costruendo una sua finta tomba vicino alla sua tana (la rocca di
Malpertuis) e mettendo in giro, con l’aiuto del cugino tasso Grimbert, la voce della sua morte, a cui
credono perfino il leone e Ysengrin.
! Anche in un altro ciclo di storie, Renart si finge morto per procurarsi del cibo: alcuni
pescatori lo vedono sdraiato sulla strada e lo prendono, posizionandolo insieme agli otri col pesce,
per vantarsi di averlo catturato e ucciso, e pensando ai caldi indumenti che potranno ricavare dalla
sua pelliccia; durante il viaggio, di soppiatto, Renart ha tutto il tempo di mangiare quanti più pesci
può.
91 KLAUS MAILAHN, Der Fuchs in Glaube und Mythos, Münster (Nordrhein-Westfalen), Lit, 2006, pp. 53-55.
93 Esopo, invece che di formaggio, parla di carne, cfr. ESOPO, Favole, cit., p. 193, ma di questa favola esistono molte
altre varianti, già attribuite a Esopo, che si riferiscono al formaggio.
94GEOFFREY CHAUCER, I racconti di Canterbury, ed. it. a cura di Ermanno Barisone, Milano, Mondadori, 2004, pp.
309-319.
95ALEKSANDR NIKOLAEVIČ AFANAS’EV, Narodnye russkie skazki, Moskva, Soldatënkov, 1873, trad. it. di Gigliola
Venturi: ID., Antiche fiabe russe, Torino, Einaudi, 1953, 19972, pp. 121-122.
96Il titolo completo sarebbe Renard. Histoire burlesque chantée et jouée, in russo Bajka pro lisu, petucha, kota da
barana. Vesëloe predstavlenie c peniem i muzykoj [La favola della volpe, del gallo, del gatto e del montone. Divertente
rappresentazione con canto e musica]. Cfr. IGOR’ STRAVINSKIJ, Renard. Histoire burlesque chantée et jouée, London,
Chester, 1917 (ristampa di ID., Id., Genève, Henn, 1917).
98 Il suo vero nome era Winnaretta Singer (1865-1943), la ventesima delle 24 figlie di Isaac Singer (1811-1875), il
ricchissimo inventore della macchina da cucire che porta il suo nome. Nel 1893, all’età di 29 anni, contrasse un
matrimonio di comodo con il nobile compositore Edmond de Polignac (1834-1901), discendente della leggendaria
Contessa di Polignac (al secolo Yolande de Polastron, 1749-1793), amica della regina Maria Antonietta (1755-1793). I
due, entrambi omosessuali, condividevano la passione per la musica, e usarono la loro ricchezza per patrocinare molti
compositori. Il loro salotto era uno dei più prestigiosi d’Europa e fu frequentato, tra gli altri, da Chabrier, Debussy,
Ravel, d’Indy, Milhaud, Poulenc, Marcel Proust, Jean Cocteau, Isadora Duncan, Claude Monet, Nadia Boulanger e
Vladimir Horowitz. Cfr. IGOR’ STRAVINSKIJ, ROBERT CRAFT, Ricordi e commenti, cit., p. 173; SYLVIA KAHAN, Music’s
Modern Muse: A Life of Winnaretta Singer, Rochester (NY), Rochester University Press, 2006; EAD., In Search of New
Scales: Edmond de Polignac, Octatonic Explorer, Rocherster (NY), Rocherster University Press, 2009; MICHAEL DE
COSSART, Food of Love: Princess Edmond de Polignac (1865-1943) and her Salon, London, Hamish Hamilton, 1978.
101Nella partitura il testo è in russo, francese (il traduttore indicato è Charles F. Ramuz) e tedesco (Rupert Koller). La
versione per canto e pianoforte dell’editore Chester reca anche una traduzione in inglese di Rollo Myers datata 1956,
usata dal direttore d’orchestra Ernest Ansermet (che diresse la prima dell’opera nel 1922) per la sua coeva registrazione
Decca. Quando registrò l’opera con la casa discografica Columbia nel 1962, Stravinskij disse di non apprezzare il testo
di Myers e approntò alcune piccole ma sostanziali modifiche. Il direttore d’orchestra Robert Craft, allievo e stretto
collaboratore di Stravinskij negli ultimi anni, affermò che nel 1953, per una esecuzione a Los Angeles, il compositore
usò una sua personale traduzione inglese, che Craft utilizza, con minime variazioni, per la sua registrazione del 2005
con l’etichetta Naxos. Nel 1958, comunque, Stravinskij confessò a Craft che preferiva sentire Renard in russo o non
sentirlo affatto, cfr. IGOR’ STRAVINSKIJ, ROBERT CRAFT, Conversations with Igor Stravinsky, Berkeley (CA), University
of California Press, 1958, 19802, p. 35.
103 IGOR’ STRAVINSKIJ, ROBERT CRAFT, Conversations with Igor Stravinsky, cit., p. 102.
48
fargli conoscere il Paradiso (qui i due bassi accompagnano le iperboli insidiose della volpe
pronunciando proverbi popolari), e allora il gallo, con lo stesso salto mortale con rullo di tamburi,
scende al suolo e, di nuovo, viene preso. Il gallo chiama in aiuto il gatto e il montone, che stavolta
tardano ad arrivare, tanto che la volpe già comincia a spennarlo. Finalmente i salvatori giungono,
distraendo la volpe con delle canzoni adulatorie con cui si spacciano per suoi cavalieri, pronti a
difenderla sempre, grazie alla loro bellissima spada. La volpe dapprima è attratta dai canti, ma poi si
rende conto che la spada viene sguainata contro di lei e che la sua bellissima coda, di cui si è
sempre tanto vantata, adesso è il mezzo della sua cattura. Infatti, viene presa per la coda e trascinata
nella sua tana, dove viene strangolata. Gatto, gallo e montone festeggiano la sua morte prima di
rivolgersi al pubblico, chiedendo, senza canto, una ricompensa per lo spettacolo, per poi uscire di
scena sulle note della marcetta iniziale.
! Stravinskij riteneva Renard divertente e si concentrò sulla comicità per strutturarlo:104
Cominciando a comporre la musica, mi accorsi che il mio testo era troppo breve, sicché ebbi l’idea di
ripetere l’episodio del «salto mortale». Nella mia versione il gallo, sedotto due volte, finisce due volte
nelle grinfie di Renard; questa ripetizione fu un felice accidente, perché la ripresa è l’elemento principale
del divertimento.
Sempre restio a trovare significati profondi nei suoi lavori, Stravinskij si rifiutò di vedere in Renard
qualcosa di più di «una banale favola morale»105 e disconobbe anche la satira religiosa insita nella
volpe travestita da suora, liquindandola come «solo una blanda presa in giro». 106 Nonostante questo,
il compositore apprezzò certe allusioni presenti nell’originale messa in scena parigina di Bronislava
Nižinskaja, senz’altro la sua preferita, visti gli indesiderati interventi di Djagilev nelle riprese.107 La
coreografa aveva reso Renard «una vera satira russa. Gli animali facevano un saluto militare molto
simile a quello dell’esercito russo (avrebbe divertito Orwell), e nei loro movimenti era sempre
sottinteso un significato».108 Un riferimento a George Orwell (Eric Arthur Blair, 1903-1950) che
dovremo ricordarci.
106 Ibidem.
107 «La sua [di Nižinskaja] coreografia per le produzioni originali di Renard (1922) e delle Noces (1923) mi piacque di
più di ogni altra mia opera rappresentata dalla troupe di Djagilev negli anni Venti, eccettuato l’Apollon di Balanchine
[...] Il Renard della Nižinskaja era superiore in tutto alla ripresa di Lifar del 1929, anche se bisogna dire che
quest’ultima fu rovinata da certi giocolieri che Djagilev aveva preso a prestito da un circo - uno dei suoi molti capricci
sbagliati»: Ivi, p. 149.
108 Ibidem.
49
II.1.1.3 - Il gallo
% La fama del Roman de Renart non si evince solo dal fatto che in Francia il nome «renard»
ha indicato la volpe per antonomasia a tal punto da attecchire nel vocabolario ufficiale, ma anche
che una nuova specie di gallo, creata in tentativi successivi (dal 1907 al 1918) dai monaci
dell’Istituto agricolo di Oka, nel Québec (ospitato nell’Abbazia di Nôtre-Dame du Lac e associato
all’Université de Montréal), sia stata classificata nello standard (nel 1921) con il nome di
«Chantecler», ossia Chanteclerc privo della ‘c’ finale: la forma comunemente circolata del nome
medioevale del gallo protagonista del romanzo.109
! Una fama che non toccò Stravinskij,
dato che, insieme al nome, il suo gallo ha perso la
capacità di salvarsi da solo (si affida sempre al
gatto e al montone), e appare come uno stupido
buffone, che per due volte cade nelle trappole
della volpe. Lo Chanteclerc del Roman de Renart,
invece, merita la sua fama, non solo perché riesce
da solo a salvarsi ma anche perché è re
incontrastato nella sua aia. Edmond Rostand
(1868-1918, nella foto), nella sua pièce intitolata
Chantecler, rappresentata al Théâtre de la Porte
Saint-Martin di Parigi nel 1910, si ispira
all’aspetto regale del gallo costruendo per lui una
storia completamente diversa dall’originale
medioevale, che non prevede neanche la presenza
di una volpe, in cui è un grande protagonista romantico, eroico e impareggiabile.
! Chantecler è un lungo testo in versi di quattro atti, in cui il gallo è il padrone della sua aia,
con straordinarie abilità canore che stupiscono e ingelosiscono gli altri animali, soprattutto il corvo.
Il fedele cane Patou, suo amico, avverte Chantecler che il carattere cinico e sarcastico del corvo è
un tarlo al suo regno eroico. Nell’aia tutti gli animali sono convinti che il sole non sorga per leggi
astronomiche, ma grazie all’influsso del miracoloso canto di Chantecler: per questo lo hanno
incoronato e lo adorano, convinti che senza di lui sarebbero immersi in una eterna notte. Patou è
109 CAROL EKARIUS, Storey’s Illustrated Guide to Poultry Breeds, North Adams (MA), Storey, 2007. Il fatto che il gallo
sia diventato il simbolo nazionale della Repubblica francese, della Vallonia e della Comunità francofona del Belgio ha
origini per nulla connesse con il Roman de Renart, la cui importanza si riscontra solo nel nome colloquiale del gallo,
«chanteclair», che però non ce l’ha fatta a scalzare il termine «coq» dal vocabolario come invece è riuscito «renard» con
«goupil».
50
preoccupato che le battute sprezzanti del corvo possano far vacillare questa fede. Chantecler
minimizza, quando improvvisamente una fagiana irrompe nell’aia, e prega di essere nascosta dal
cacciatore che la insegue. La fagiana ha un piumaggio dorato (che in natura dovrebbe avere solo il
maschio) che affascina Chantecler, che acconsente a darle rifugio nella cuccia di Patou.
! Tra il secondo e terzo atto va in scena il tenativo dei loschi animali notturni (il corvo, il
barbagianni, l’assiolo e il gufo reale) di uccidere Chantecler: è durante la notte che compiono
malefatte e il canto del gallo interrompe molte loro imprese. Il corvo ha l’idea di provocare
Chantecler a combattere con un gallo da combattimento professionista assunto per ucciderlo.
Chantecler sembra cadere nella trappola ma è lui a uccidere il rivale per poi dichiarare di aver
capito subito i sotterfugi del corvo, a cui risponde che il suo cinismo senz’anima non potrà mai
trionfare poiché la vera via è quella dettata dai sogni e dalle idee.
! Parallelamente a questa linea narrativa, tra il secondo e il terzo atto capiamo che Chantecler
e la fagiana si stanno innamorando, ma che quest’ultima è irritata dall’assurda convinzione del gallo
di far sorgere il sole con il suo chicchiare: la fagiana teme che Chantecler sacrifichi l’amore per lei
in ossequio alla sua idea di essere il sacerdote dell’aurora con il sacro dovere di evocare l’alba ogni
mattina.
! Nel quarto atto, Chantecler e la fagiana si amano tutta la notte nella selvaggia foresta fuori
dall’aia, in cui si odono, poetiche, alcune voci silvestri. Sta per arrivare l’ora di cantare, allora la
fagiana prova a convincere Chantecler a stare con lei e che il sole sorgerà ugualmente, anche senza
di lui. Per perdere tempo, la fagiana innesca una diatriba linguistica: il cantare del gallo è
«canticchiare» o «canterellare»?110 Per risolverla, i due si rivolgono al picchio, un accademico, che
decreta che entrambe le dizioni sono giuste: «canticchiare» è più dolce, «canterellare» più lirico. 111
Chantecler, dice alla fagiana che per lei «canticchia», ma lei risponde stizzita che però lui
«canterella» per l’aurora e che per questo è gelosa ed esige una prova d’amore da Chantecler: che
eviti di cantare per un giorno. Chantecler non cede e ammette di amare di più l’aurora senza poterci
fare niente, il suo è un dovere sacro. La fagiana comincia a distrarlo, per ritardare il suo canto, in
modo che si renda conto che il sole sorge anche senza di esso. Chantecler sta per perdere la
pazienza e sta per cantare quando ode la meravigliosa armonia dell’usignolo. Chantecler, animale
domestico chiuso per tutta la vita nell’aia, si incanta a sentire la magia dell’usignolo: i due scoprono
di essere spiriti affini, ma sentendo lui, Chantecler capisce che il suo chicchiriare è orribile in
110 Cito dall’unica traduzione italiana disponibile, quella in versi di Lorenzo Stecchetti (pseudonimo di Olindo Guerrini)
e Adolfo Giaquinto in EDMONDO [sic] ROSTAND, Chantecler, Milano, Vitagliano, 1920, p. 200. Rostand pubblicò il
testo in EDMOND ROSTAND, Chantecler, Paris, Fasquelle, 1910, in cui i verbi sono «coqueliner» e «coqueriquer».
111 «“Line” est tendre et “rique” est plus lyrique»: EDMOND ROSTAND, Chantecler, cit., p. 205.
51
confronto alla musica dell’usignolo, e che gli animali dell’aia non dovrebbero adorarlo ma
prenderlo in giro.
! All’improvviso, un colpo di fucile uccide l’usignolo. Sopraggiunge Patou e Chantecler
capisce che è stato il padrone della sua aia a sparare, e mentre è tramortito dalla notizia la fagiana
gli fa notare che il sole è sorto. I sogni e le convinzioni di Chantecler sono in frantumi, ma la sua
disperazione è alleviata quando incredulo ode di nuovo l’usignolo cantare: le voci della foresta lo
consolano dicendo che, qualunque cosa accada, ci sarà sempre un usignolo nel bosco. A questa
notizia Chantecler riprende coraggio; nonostante abbia visto che in realtà il sole sorge senza di lui,
decide comunque di tornare alla sua aia e di continuare a svolgere il suo dovere: grazie al suo canto,
la gente semplice saprà che il sole sta per sorgere, anche quando c’è nebbia; sentendolo, gli uccelli
notturni sapranno che i loro loschi piani andranno in fumo; il suo cantare sarà un importante
conforto per le piccole anime.
! Vedendolo partire, la fagiana gli chiede se, tornando alla sua aia, dimenticherà per sempre lei
e la foresta, ma Chantecler la conforta dicendo: «Non certe,/Je n'oublierai jamais la noble forêt
verte/Où j'appris que celui qui voit son rêve mort/Doit mourir tout de suite ou se dresser plus
fort!».112
! Mentre Chantecler vola fiero verso l’aia, la fagiana e Patou si accorgono che il cacciatore
che ha ucciso l’usignolo sta mirando a lui. La fagiana, allora, si pente di aver distrutto i sogni di
Chantecler e si scusa con l’aurora per aver tentato di distrarre un suo animale sacro; per rimediare si
sacrificherà per salvarlo volando per distrarre su di lei l’attenzione del cacciatore. Spicca il volo e si
sente uno sparo e la fagiana teme che, al posto suo, sia stato colpito Chantecler e, in preda al terrore,
cade in una rete. Imprigionata, la fagiana capisce che il cacciatore, il padrone dell’aia, è lo stesso da
cui lei fuggiva nel primo atto; la rete in cui è caduta l’ha messa lui per intrappolarla. Giunge Patou,
che la rassicura che Chantecler è vivo e sta volando in salvo, ma che presto il cacciatore arriverà per
portare anche lei nell’aia. La fagiana non se ne dispiace, perché là starà insieme a Chantecler,
entrambi insieme devoti all’aurora.
! Il successo di Cyrano de Bergerac travolse Rostand ventinovenne nel 1897. Il
commediografo tentò il bis con L’aiglon nel 1900, ma fu un fiasco, che la presenza della grande
attrice Sarah Bernhardt (1844-1923), protagonista della prima al Théâtre de la Ville di Parigi (allora
chiamato proprio Théâtre Sarah-Bernhardt), non riuscì ad evitare. 113 Chantecler nasceva come
risposta ai suoi detrattori, che lo accusavano di essere un idealista retrogrado, attaccato a vetusti
112Ivi, p. 239. La traduzione italiana citata (EDMONDO [sic] ROSTAND, Chantecler, cit., p. 234) riporta: «No, della selva
non scorderommi mai! Qui appresi che chi vide de’ sogni suoi la morte o deve morir subito, o levarsi più forte».
113Nel 1937, Arthur Honegger (1892-1955) e Jacques Ibert (1890-1962) composero un’opera basata su L’aiglon di
Rostand.
52
cliché romantici. Rostand lo concepì dal 1902, e scrisse il ruolo principale per Benoît-Constant
Coquelin (1841-1909), colui che aveva creato Cyrano, e che era appunto soprannominato le «Coq»,
il «gallo». Proprio mentre le prove erano in corso, Coquelin morì per un attacco cardiaco e fu
sostituito da Lucien Guitry (1860-1925). Per Rostand la performance di Guitry fu insoddisfacente e
fu uno dei motivi del fiasco della pièce. Durante la vita dell’autore Chantecler non ebbe fortuna,
giacché solo una ripresa con Victor Francen (1888-1977), nel 1927, fu salutata da un successo.114
114
EDMOND ROSTAND, Chantecler, eng. tr. and introduction by Sue Lloyd, Minehead (Somerset, UK), Genge, 2010;
MARCO F. LIBERMA, Story of Chantecler. A Critical Analysis of Rostand’s Play, New York, Moffat/Yard, 1910; SUE
LLOYD, The Man Who Was Cyrano: A Life of Edmond Rostand, Bloomington (IN), Unlimited, 2002.
53
II.1.2 - Controcorrente
! Adesso che abbiamo visto tre esempi di come la materia favolistica riguardante la volpe è
stata elaborata in narrativa, musica e teatro, c’è da capire se Příhody lišky Bystroušky possa inserirsi
in questa materia e se abbia qualche rapporto con le storie che abbiamo incontrato. Per fare questo
occorre ancora vedere come Příhody lišky Bystroušky effettivamente ebbe origine. Inizieremo
parlando dalla genesi del romanzo a cui si ispirò Janáček (punto II.1.2.1), quindi vedremo quanto e
in che modo le caratteristiche di questo romanzo si discostano dalla tradizione favolistica vista
finora (II.1.2.2), infine verificheremo come Janáček ha elaborato il romanzo (II.1.3): questo ci
permetterà di scoprire quanto Příhody lišky Bystroušky abbia in comune con le favole (II.1.3.1 e II.
1.3.2) e anche di verificare quanto se ne discosti (II.1.3.3).
115 La sua lettera è datata 19 maggio 1916, ed è catalogata A678 nell’Archivio Janáček di Brno.
116 Tutto quello che segue riguardo a Lolek deriva dalla ricerca di Jiří Zahrádka in EC, p. LXI.
54
all’Accademia di Belle Arti di Praga, negli anni ’90 dell’‘800, Lolek disegnò, per puro diletto,
molte caricature di Kořínek intento in diverse attività, dal risvolto anche umoristico, mentre attende
ai suoi doveri di gestione del bosco e di salvaguardia degli animali. In esse Kořínek viene ritratto
con i suoi amici all’osteria; quando è alle prese con il suo disobbediente cane da caccia; quando
cerca di fare un pisolino ma viene disturbato da rane e libellule; quando spara per sbaglio al suo
maiale; e quando cerca invano di addomesticare una volpe, che finisce per scombinargli la casa.
! Tra le quasi 200 tele, quelle che vedono protagonista la volpe sono molte: forse i tanti
grattacapi che dava a Kořínek (di cui Lolek era testimone oculare) spesso avevano una conclusione
comica, cosa che probabilmente fece simpatizzare il pittore per il canide. Lolek disegna la volpe che
viene corteggiata, che ha a che fare con altri animali come gufi, picchi e tassi, che si sposa, che ha
figli: le sue tavole non sono numerate, ma sembrano appartenere a una vera e propria serie, simile
alle incisioni teatrali di William Hogarth (1697-1764) come A Harlot’s Progress e A Rake’s
Progress 117, e sembrano suggerire una storia ben precisa anche se non definita.
! Lolek non deve aver dato troppa importanza a questi disegni dilettevoli, spesso appena
schizzati: tutto suggerisce che li considerasse semplici giochi. All’inizio del ‘900, si affermò come
paesaggista e, intorno al 1918, un redattore del «Lidové noviny», Jarmomír John (Bohumil
Markarous, 1882-1957), si presentò nel suo studio per offrirgli un lavoro. Il direttore, Arnošt
Heinrich (1880-1933), aveva l’ambizione di far diventare la rivista il primo quotidiano moravo con
immagini e a questo scopo intendeva aprire una rubrica umoristica, con una serie di divertenti
strisce disegnate accompagnate da un testo: aveva riunito un team di illustratori118 di cui sperava
potesse far parte anche Lolek. Sarebbero state dodici tavole a settimana: un serio impegno per cui il
pittore disse di non avere tempo. Per non tornare dal suo capo a mani vuote, John chiese a Lolek se
nello studio non avesse qualcosa di pronto che fosse adatto. Lolek gli fece vedere le tavole con
soggetto la volpe e Kořínek e acconsentì a consegnargliele, ma non accettò nessun altro ulteriore
coinvolgimento.
! John portò i disegni e le condizioni di Lolek a Heinrich, che non prese bene il rifiuto. Aveva
concepito la rubrica come una collaborazione tra sceneggiatori e disegnatori, con i testi che si
accompagnavano alle figure. I disegni erano nello stile che cercava ed erano in numero sufficiente a
completare la rubrica, ma il disinteresse di Lolek rendeva impossibile una sua sinergia con un
117 A Harlot’s Progress (sei incisioni del 1732) ha per protagonista una prostituta e A Rake’s Progress (otto dipinti del
1735) raccontano la vicenda di un libertino. Quest’ultima ispirò Igor’ Stravinskij, Wystan Hugh Auden (1907-1973) e
Chester Kallman (1921-1975) per l’opera The Rake’s Progress del 1951. Sul carattere narrativo-teatrale delle serie di
Hogarth e di altre cfr. CESARE MOLINARI, Il concetto di serie nell’iconografia teatrale, in RENZO GUARDENTI (a cura
di), Sguardi sul teatro. Saggi di iconografia teatrale, Roma, Bulzoni, 2008, pp. 111-118.
118Tra i quali Josef Lada (1887-1957), Ondřej Sekora (1899-1967) e Eduard Milén, quest’ultimo avrebbe curato scene e
costumi della prima di Příhody lišky Bystroušky a Brno nel 1924.
55
soggettista per abbinarci uno scritto divertente. Il direttore dovette pertanto risolvere il problema di
trovare qualcuno disposto, da solo, a scrivere testi umoristici ispirati ai disegni di Lolek.
! Dopo molti rifiuti da parte dei suoi
redattori, lasciò la gatta da pelare a Rudolf
Těsnohlídek (1882-1928, nella foto come appariva
poco prima della morte), che si occupava di
cronaca giudiziaria.
! Těsnohlídek non ebbe una vita facile119 : le
urla degli animali squoiati nella macelleria del
padre (a Hradec Králové, in Boemia) lo
tormentarono per tutta la vita nei suoi incubi; nel
1901 vide affogare un suo compagno di scuola
(tale Filo Weber) e venne colto da un attacco di
panico che gli impedì di salvarlo, lasciandolo con il
sempiterno senso di colpa, inasprito anche dalla
morte della madre, avvenuta quello stesso anno. Il
padre si risposò con una donna che odiava, e
pianificò per lui una vita monastica. Fuggì a Praga,
dove, con l’eredità della madre, riuscì a laurearsi in
lingue e in filosofia, trovò lavoro come traduttore e
cominciò la sua attività poetica.
! Nel 1905 sposò Jindra Kopecká, detta Kaja, anche lei traduttrice, appassionata come lui di
poeti scandinavi. Questo amore per il Nord li fece intraprendere un viaggio in Norvegia. Kaja era
cresciuta in una non convenzionale famiglia spiritista, con la nonna cartomante, che aveva avvertito
la nipote di non partire, poiché non sarebbe più tornata. Těsnohlídek si era accorto del carattere
poco allegro di Kaja, ma diceva che «quella sua tristesse aveva uno speciale, irresistibile
fascino».120 In Norvegia, Těsnohlídek si accorse drammaticamente che Kaja aveva portato una
pistola, piccola, simile a un giocattolo. Dopo una cena, Kaja la prese e cominciò a giocarci.
Těsnohlídek le disse di metterla giù e che avrebbe potuto ferirsi. Kaja intese l’avvertimento come
una sfida, e dichiarò di avere tutto il coraggio di spararsi. Si puntò la pistola al petto: Těsnohlídek
119Una simpatetica biografia di Těsnohlídek si trova nella postfazione (curata da Robert T. Jones) alla prima edizione
americana del suo romanzo Liška Bystrouška: RUDOLF TĚSNOHLÍDEK, The Cunning Little Vixen, eng. tr. by Tatiana
Firkusny, Maritza Morgan and Robert T. Jones, illustrations by Maurice Sendak, New York, Farrar, Straus & Giroux,
1985, pp. 167-186.
120 «Her tristesse had a special, irresistible charm for me»: Ivi, p. 170.
56
cercò di fermarla, ma non riuscì a impedirle di tirare il grilletto. Si colpì al cuore. La successiva
autopsia rivelò che era affetta da tubercolosi e che sarebbe comunque morta presto.
! Těsnohlídek venne accusato di avere ucciso la moglie, e visse molto male il processo, in cui
fornì testimonianze disperate e spesso incoerenti che rischiarono di farlo condannare. L’incarico al
«Lidové noviny» nella provinciale Brno fu per lui un rifugio, un luogo appartato in cui elaborare i
suoi tanti dolori. L’attività al quotidiano gli dette una gradevole stabilità, e i boschi moravi lo
gratificarono di poetiche suggestioni. Si interessò alla speleologia e durante una sua escursione nella
località di Bílovice nad Svitavou trovò una bambina di diciassette mesi abbandonata nella foresta.
La portò al locale posto di polizia, dove venne battezzata Liduška: fu adottata da una famiglia
praghese (visse fino al 1997). Un lieto evento che sembrò alleviare per un po’ la sua disperazione,
ma le voci e i pettegolezzi sul suo processo, e le insinuazioni a riguardo gli fecero sempre temere
che la gente lo considerasse un assassino.
! L’incarico di trovare un soggetto allegro per i disegni caricaturali di Lolek non fu bene
accetto da Těsnohlídek. Svogliato si portava dietro le tavole durante le sue avventure speleologiche
a Bílovice, e si convinse a lavorarci seriamente solo quando vide il suo fido locandiere ridere di
gusto sfogliandoli.121 Cominciò nel febbraio 1920 e cercò la collaborazione di Lolek, a cui scrisse
una lettera l’8 marzo 1920:122
Sto scrivendo una storia per accompagnare i disegni. L’ho ambientata nel Carso Moravo, una regione
boscosa a sud-est di Brno, famosa per le sue grotte calcaree. Si adatta bene ai disegni. Ho completato il
testo fino all’incidente con il tasso. Se avrete qualsiasi suggerimento da darmi, ve ne sarò molto grato.
Si evince che Těsnohlídek era riuscito a trovare un ordine ai disegni sparsi, probabilmente guidato
dalla natura di serie delle tavole riguardanti la volpe. Forse non riusciva a dare assetto agli altri e
per questo scrisse a Lolek. Visto il rifiuto che il pittore inflisse al redattore John, non sappiamo se
Lolek rispose a Těsnohlídek, né se contribuì al risultato finale: una storia zeppa di doppi sensi
politici, umorismo nero, e venature di scettico e sarcastico pessimismo, che incorporava 187 disegni
e vedeva la volpe, battezzata Bystronožka (“zampetta lesta”), come assoluta protagonista.
121È Těsnohlídek a raccontare questo aneddoto nella sua autobiografia, mai pubblicata, i cui dattiloscritti sono
conservati nel Moravské zemské muzeum (il Museo della Moravia) di Brno, nel fondo numero G426, dedicato al
«Lidové noviny», sezione 145, numero d’inventario 94/1. Cfr. EC, p. LXII.
122Un estratto della corrispondenza tra Těsnohlídek, il redattore John e Lolek è stato raccolto da CTIBOR LOLEK, Liška
Bystrouška. Z korespondence Jaromíra Johna a Rudolf Těsnohlídka se Stanislavem Lolkem, in «Severní Morava.
Vlastivědný sborník», vol. 35 (1978), Šumperk, Vlastivědné muzeum, 1978, pp. 29-33, che io cito dalla traduzione
inglese presente in EC, pp. LXII-LXIII: «I’m writing a story to accompany the pictures, which I have set in the
Moravský kras, a forested region south east of Brno famous for its complex of limestone caves. The pictures go nicely
together. I’ve completed the text up to the incident with the badger. If you have any suggestions for me, I’d be very
grateful».
57
! Nella sua autobiografia, Těsnohlídek dice di
aver scritto tutto di getto «così selvaggiamente che
la tipografia non riusciva a decifrare nulla, e
minacciò di andare in sciopero».123 Lo scrittore
intervenne quanto poté per aiutare la decifrazione,
ma alcune cose ormai erano già andate in stampa
definitivamente, tra cui una rondine scambiata per
ghiandaia e il nome della protagonista che da
“zampetta lesta”, Bystronožka, era diventata
Bystrouška, “orecchiuccio fine”: l’aggettivo
«bystry», che significa «acuto», «fine», «svelto»,
«furbo», era stato attribuito da Těsnohlídek al
sostantivo «noha», «zampa» nella sua forma
diminuitivo-vezzeggiativa «nožka», «zampetta»,
formando Bystronožka; i tipografi avevano
scambiato «nožka» per «ouška», il diminuitivo di
«ucha», «orecchio» e scrissero Bystrouška. Avere le
zampe leste e avere le orecchie fini, sono espressioni
riferibili entrambe alla furbizia e all’intelligenza124,
quindi l’errore dei tipografi non fu così grave: sia che fosse “zampetta lesta” sia “orecchiuccio fine”
il significato di fondo non cambiava e denotava in ogni caso la scaltrezza della volpe.
! La natura della vicenda, il nome della protagonista e l’effetiva partecipazione di Lolek
interessavano poco il direttore Heinrich, a cui bastava che fosse presente una certa componente
comica, che, in effetti, nel lavoro di Těsnohlídek non mancava: con gli schizzi di Lolek
accompagnati dal testo la sua rubrica si completava. Heinrich divise la storia in 51 puntate, che
vennero pubblicate, insieme alle altre strisce del suo team grafico, nelle edizioni del mattino del
«Lidové noviny» dal 7 aprile al 23 giugno 1920.
! Il successo fu enorme, e nel 1921 la storia venne pubblicata autonomamente in un vero e
proprio romanzo, intitolato Liška Bystrouška, “La volpe Bystrouška”, dall’Istituto poligrafico di
Brno (nell’immagine vediamo il frontespizio).125 Il titolo suonava letteralmente come “La volpe
123«I scribbled so wildly that they couldn’t decipher it at the printing house and threatened to go on strike»: biografia
dattiloscritta di Těsnohlídek tradotta in inglese in EC, p. LXII.
124
MZCL, p. 170; CHARLES SUSSKIND, Janáček and Brod, New Haven (CT), Yale University Press, 1986, pp. 76-77;
FRANCO PULCINI, Janáček. Vita, opere, scritti, cit., p. 203; DA, p. 285.
125 RUDOLF TĚSNOHLÍDEK, STANISLAV LOLEK, Liška Bystrouška, Brno, Nákladem polygrafie, 1921.
58
orecchiuccio fine” ma veniva inteso come “La volpe furba”, con l’aggettivo che fungeva anche da
nome proprio dell’animale. Per chiarire una volta per tutte la natura del titolo possiamo paragonare
la situazione a quella di un film di Franco Amurri che nel 1994 arrivò sul mercato italiano intitolato
Il mio amico Zampalesta. Il protagonista era una simpatica e sveglia scimmietta: anche in quel caso
“zampa lesta” serviva sia come nome proprio dell’animale sia come riferimento alla sua sagacia, in
quanto anche in italiano «avere una zampa lesta» può essere inteso in senso figurato come «essere
abili» o «essere furbi».126
! Janáček si imbatté nel soggetto nel 1920, quando sentì la sua cameriera Marie Stejskalová
ridere di gusto mentre leggeva l’episodio numero 46.127 Il compositore si procurò tutti i numeri
della rivista (nel suo archivio manca solo la puntata 38), e ritagliò alcune parti che lo
suggestionarono, ma si trovò più a suo agio a lavorare sul romanzo: la copia posseduta da
Janáček128 contiene le prime annotazioni per il libretto.
! Il compositore cercò di coinvolgere Těsnohlídek, a cui il successo di Liška Bystrouška
sembrava aver dato nuova gioia di vivere, tanto che riuscì a sposarsi di nuovo. Stejskalová si
ricorda di alcuni incontri tra i Janáček (Leóš e la moglie Zdenka) e i Těsnohlídek nei caffé di Brno.
Il rapporto tra i due artisti fu cordiale, ma da subito fu evidente che lo scrittore non considerava
Liška Bystrouška un capolavoro ed era incredulo che un musicista affermato come Janáček lo
ritenesse degno della sua arte: fu comunque lieto di rispondere alle richieste del compositore, e per
lui scrisse il testo di una canzone da far cantare al Guardiacaccia (“Bývalo, bývalo”, nella seconda
scena del secondo atto), ma non collaborò attivamente al libretto, lasciando a Janáček piena libertà
d’azione.
! Abbandonato dalla seconda moglie, Těsnohlídek si sposò una terza volta e si dedicò con più
costanza alla poesia e alla scrittura: pubblicò un paio di romanzi, altre storie per bambini, e molte
raccolte di poesie, che divennero quasi dei classici in patria. Evidentemente, però, la depressione e
la tristezza per le sue disgrazie passate non cessarono mai: quando seppe che un suo ampio saggio
sulle amate grotte morave fu pubblicato in una versione pesantemente rimaneggiata da altri si sparò,
il 12 gennaio 1928, come l’adorata Kaja. La terza moglie si suicidò con il gas appena ricevette la
notizia.
126Il titolo italiano e il nome da dare alla scimmia furono scelti dalla produzione americana, la casa cinematografica
New Line Cinema, e dai responsabili dell’edizione italiana Alberto Piferi e Maria Fiore. Il titolo originale del film è
Monkey Trouble, e il nome originario della bestia è Dodger, in riferimento a un personaggio del romanzo Oliver Twist
(1838) di Charles Dickens (1812-1870): CHARLES DICKENS, Oliver Twist, or The Parish Boy’s Progress, London,
Bentley, 1838.
127EC, p. LXIV; MARIE TRKANOVÁ, U Janáčků: podle vyprávění Marie Stejskalové, Praha, Panton, 1964, p. 99; DA,
fonte LB1, pp. 282-283; TOTF, pp. 382, 422.
130Brod pubblicò molti racconti inediti di Kafka in FRANZ KAFKA, Beim Bau der Chinesischen Mauer, Berlin,
Kiepenheuer, 1931.
132MARY SHELLEY, Frankenstein, or The Modern Prometheus, London, Lackington, Hughes, Harding, Mavor & Jones,
1818.
60
! Per esempio, se la favola tende ad avere protagonisti o solo gli animali parlanti o solo gli
uomini, con pochissime interazioni, supponendo la sostanziale incomunicabilità delle due sfere,
così come avviene nella vita quotidiana, Těsnohlídek complica le cose: attribuisce alle bestie
capacità mentali e speculative uguali a quelle degli uomini, ma li fa rimanere fino in fondo bestie.
Quando la sua volpe entra in contatto con il guardiacaccia, questi è descritto dal punto di vista di
una volpe che si suppone avere capacità intellettive umane. Gran parte dell’umorismo che ha
assicurato il successo alla storia è derivato da questo tono: la volpe descrive in termini umani una
vita bestiale, e stigmatizza i comportamenti umani come assurdi da un punto di vista animale.
! Scrive Franco Pulcini:133
La sua [di Těsnohlídek] Bystrouška [...] si chiede come l’uomo possa gustare il «fetore orrendo» della
pipa, che lei chiama «curioso succhiatoio»; lo paragona alla iena, comprendendo che si nutre di corpi
morti; ritiene il maiale una specie animale prossima all’uomo, a causa della pelle simile, tanto diversa
dalla sua pelliccia; considera segno di buona educazione e autentica cavalleria il venire annusata dal cane
Per caricare ancora la caratteristica parodica dell’insieme, si accentua un fatto presente nella
tradizione esopica, in cui gli uomini e le bestie usano la stessa lingua ma, come abbiamo visto,
parlano poco tra loro: in Těsnohlídek tutto ciò viene sottolineato dal fatto che la volpe e il
Guardiacaccia sembrano sì parlare la stessa lingua, ma l’animale comprende l’uomo, mentre l’uomo
non comprende la volpe. Si originano così malintesi e scenette comiche: il Guardiacaccia che
interpreta come ostile una domanda della volpe (o di altri animali) completamente innocua o,
viceversa, trascura un avvertimento o un comportamento minaccioso scambiandolo per un gioco o
un frivolo capriccio.
! Un altro fattore favolistico che viene completamente distorto nelle distopie animali e in
Těsnohlídek è il concetto di “morale”. Se il significato moralistico può rimanere oscuro in certe
storie di Esopo, le mani ellenistiche sono state zelanti nell’applicarlo sistematicamente, anche dove
risultava forzato, generando l’archetipo esopico della favola come componimento a scopo
precipuamente moraleggiante. Un archetipo che viene rispettato alla lettera da Fedro e La Fontaine,
e che il Roman de Renart incarna raccontando una storia ammonitrice di quanto possa essere
nefasto il male, da cui si deve stare ben lontani. La natura malvagia della volpe, supportata da tutte
le storie che si collocano in questo filone, serve alla funzione moralistica in quanto indica il cattivo
esempio da non seguire o aiuta a recare l’edificante insegnamento di non fidarsi di nessuno e di
stare all’erta in un mondo popolato da tentazioni e perfide intenzioni. Těsnohlídek va in completa
134Abbiamo accennato al rapporto di Janáček con la religione al puno I.1. Qui aggiungiamo la trattazione sintetica
dell’argomento che fa JOHN TYRELL, Janáček’s Religion and Belief, in «Musicologica brunensia», XLIV/1-2 (2009),
Brno, Masarykova univerzita, 2009, pp. 209-215.
62
poietica di Janáček: quel soggetto era quello che ci voleva per fare un maestoso consuntivo delle
sue idee “bestiali”, evidenti nelle sue opere precedenti come Le tracce del lupo. Secondariamente, il
romanzo dava a Janáček l’occasione per portare avanti la sua idea artistica secondo la quale il
destino e le manifestazioni della natura sono al di là delle fallaci e contingenti concezioni umane del
bene e del male.135 In quest’ottica Janáček si sentiva supportato dalla nuova idea di morale, da
ripensare totalmente, che Těsnohlídek dimostrava in Liška Bystrouška.
! Lavorando all’opera, Janáček arrivò a risultati quasi più radicali del romanzo, fatto che
mette in serio dubbio la possibilità di assimilare il suo lavoro alla favola classica. Se c’è una cosa
sicura e certa nelle favole è che la volpe è un personaggio negativo; abbiamo visto come
Těsnohlídek calchi la mano su questo punto, rovesciando quasi i termini, ma Janáček va certamente
al di là, facendo di Bystrouška la volpe più positiva che la cultura avesse mai visto in quel
momento.
! Per vedere un’altra volpe così benevola c’è da attendere quasi vent’anni, quando in Le petit
prince (1943), lo scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry (1900-1944)136 ne fa un simbolo di
amicizia e fedeltà, con venature curiosamente molto simili a quelli di Bystrouška. Da Saint-Exupéry
in poi sono state molte le volpi buone, tra cui la più celebre è senz’altro quella protagonista del film
d’animazione Robin Hood (1973) della Disney137 , pertanto per uno spettatore odierno è facile
vedere una volpe simbolo di positività, ma le cose stavano diversamente nel 1924.
! La caratterizzazione amichevole di Bystrouška forse deriva da fatti autobiografici: nella sua
infanzia a Hukvaldy, Janáček potrebbe aver vissuto una serie di avventure nelle foreste e sulle rive
dei fiumi del territorio Lašsko in cui forse compiva bravate simili a quelle di Bystrouška. Certo è
che quasi da subito il compositore si identifica con la volpe. Nella sua autobiografia scrive che,
nonostante dovesse ancora completare Kát’a Kabanová, pensava sempre al nuovo personaggio: «il
rosso ruggine della sua pelliccia mi balenava continuamente negli occhi».138
! Forse già durante la sua istruzione musicale nel monastero di Brno, Janáček sviluppò il suo
anticlericalismo, e non è escluso che, durante i sermoni, si identificasse con gli eretici e i personaggi
negativi, piuttosto che con i modelli integerrimi: magari trovava più simpatiche personalità malevoli
136ANTOINE DE SAINT-EXUPÉRY, Le petit prince, Paris, Gallimard, 1943, trad. it. di Nini Bompiani Bregoli: ID., Il
piccolo principe, Milano, Bompiani, 1949, 201275, pp. 91-98 ssgg. passim.
137Il film fu realizzato sette anni dopo la morte di Walt Disney (1901-1966) da Wolfgang Reitherman (1909-1985) che
da lui ereditò la dirigenza del reparto animazione, cfr. ROBERTO LASAGNA, Walt Disney e il cinema, Alessandria,
Falsopiano, 2001, pp. 262-265.
138
«The rusty red of her fur continually blazed in my eyes»: DA., cit., fonte LB6, p. 286, che traduce in inglese ADOLF
VESELÝ (a cura di), Leoš Janáček, cit., p. 96.
63
ma dinamiche come Barabba invece delle figure fissamente mistiche come i vari santi. Non
stupisce, quindi, che nella sua opera, la volpe, per secoli il simbolo dell’eretico, si trovi a incarnare
la metafora di una nuova morale.
! La forte identificazione emotiva di Janáček con la volpe è provata anche dal curioso
aneddoto che racconta il guardiacaccia Vincenc Sládek (1865-1944), con cui il compositore era
d’accordo per andare alla ricerca di volpi da osservare:139
Janáček arrivò in abito bianco. Noi scoppiammo a ridere. «Dr. Janáček, sembra si sia vestito più per
attirare una gazza ladra che per vedere una volpe [...]» Il signor Janáček dovette tornare a casa a mettersi
Rybí. Come per incanto, al nostro arrivo una volpe e i suoi cuccioli uscirono dalla tana e cominciarono a
zampettare in giro. Janáček cominciò ad additarli (con eccitazione) e finì per spaventarli.
+ «Perché non è stato fermo, Dr. Janáček? Sarebbe riuscito a guardarli meglio!»
+ Janáček, completamente estasiato e felice, ci arrivò incontro dicendo: «L’ho vista! L’ho vista!»
139 «Janáček came in a white suit. We burst out laughing. ‘You’re more likely, Dr Janáček, to catch sight of a magpie on
a willow than a vixen [...]’ Mr Janáček had to return and change into less striking clothes. We reached Babí hora [Old
Woman Montain] by way of the Ondřejnice and Rybí stream. And indeed, as if to order, the vixen’s family emerged
from the den and began to show off and frisk about. Janáček started fidgeting (with excitement) until in the end he
frightened the foxes away. ‘Why couldn’t you keep still Dr. Janáček? You could have gone on looking!’ Janáček,
completely exhilarated and happy, just brushed this aside with the words ‘I saw her!, I saw her!’»: cito dalla traduzione
inglese presente in DA, fonte LB23, p. 291 di JAN SLÁDEK, Hukvaldské miniatury, Ostrava, Profil, 1979, p. 42. Jan è il
nipote di Vincenc, che raccolse le sue memorie.
64
II.1.3.2 - Derivazioni
! Una volpe buona è già di per sé un elemento estraneo alla tradizione favolistica. Ciò
nonostante, in Příhody lišky Bystroušky sono presenti alcune somiglianze superficiali con le storie
raccontate nelle favole.
! Non ci sono prove che Janáček conoscesse il Roman de Renart direttamente, ma, come
abbiamo notato, le sue storie si diffusero a macchia d’olio per l’Europa (il Reineke Fuchs di Goethe
e le Fiabe russe di Afanas’ev lo provano), quindi è ragionevole pensare a una conoscenza indiretta,
mentre che Janáček conoscesse Chantecler di Rostand è certo. Sul «Lidové noviny» del 15 maggio
1921, Janáček annunciava al suo intervistatore Adolf Veselý140 il soggetto della sua nuova opera,
parlando proprio di Chantecler:141
“Non vedo l’ora di tornare al lavoro! La scorsa estate a Luhačovice ho pensato al soggetto, lo porto in giro
con me, ci sto lavoranto. Beh, di certo ci vorrà un paio d’anni...”
questo lo sapete già dal romanzo. Sarà un’opera e insieme una pantomima.”
“Cioè - dico - come il Chanteclaire [sic] di Rostand?”
“Gli animali-umani di Chanteclaire filosofeggiano e basta. Nella mia Volpe ci sarà azione drammatica,
azione scenica. E gli animali! Per anni li ho ascoltati, memorizzando i loro linguaggi; con loro mi sento a
casa.”
La dichiarata antipatia per il troppo «filosofeggiare» di Rostand non ha certo incoraggiato una
derivazione diretta, ma la seconda scena del primo atto di Příhody lišky Bystroušky è ambientata
nell’aia del Guardiacaccia, in una situazione che ricorda il primo incontro tra Chanteclerc e Renart
così come narrato nel Roman de Renart e nelle sue gemmazioni di Chaucer e Afanas’ev.
! Non ci sono gatti e montoni, come nel Renard di Stravinskij, ma c’è un cane, molto meno
sveglio del Patou di Rostand, di nome Lapák, letteralmente «acchiappa-tutto», che cerca di insidiare
sessualmente Bystrouška, che al contrario della volpe di Těsnohlídek non è affatto lusingata dalle
sue avances, e quindi lo accoppa. Inoltre Bystrouška non è il trionfo di malvagità che è Renart,
141«I’m looking forward to the work! In the summer in Luhačovice I thought over the matter, I carry it about with me,
I’m working on it. Well, it will certainly take two years... ‘Will it be an opera in the ordinary sense?’, I ask. - People will
act in it as well as speak, but like animals. Foxes, old and young, frogs, mosquitoes - but you know it from the book. It
will be an opera as well a pantomime. ‘What’, I say, like Rostand’s Chanteclaire [sic]?’ - The human-animals in
Chanteclaire just philosophize. In my Vixen there will be dramatic action, stage action. And then the animals! For years
I have listened to them, memorizing their speech; I’m at home with them»: traduzione inglese dell’intervista in DA,
fonte LB7, p. 287.
65
perciò non intende affatto mangiare il gallo e le galline, però vuole fuggire dall’aia, e per farlo si
comporta esattamente come farebbe lui.
! Legata per aver morso due ragazzini (Frantík e Pepík) che si prendevano gioco di lei,
Bystrouška deve sopportare le invettive del gallo che approva la giustizia umana, grazie alla quale
una grande assassina di galline come la volpe è fatta prigioniera, senza neanche potersi muovere. Il
gallo addita la condizione della volpe come monito alle galline: il canide è legato anche perché non
sa fare le uova, perciò loro devono covare e lavorare. Le galline, quasi automaticamente,
concordano col gallo e ripetono di dover deporre uova e lavorare ininterrottamente, mentre
stigmatizzano la rea Bystrouška dicendole che merita di soffrire.
! Come il Renart medioevale escogita un espediente per raggirare Chanteclerc che lo
canzonava, allo stesso modo Bystrouška fa lavorare il cervello su ispirazione delle parole del gallo.
Comincia a dire alle galline che il gallo è un capo orribile, che prende dagli uomini le cose migliori
e a loro lascia solo il lavoro, e le invita a creare un nuovo regime, dove ci sarà bontà, gioia e
uguaglianza. Anche nel Renard di Stravinskij e nella versione tramandata da Chaucer, la volpe ha
qualcosa da ridire sulla condotta del gallo: ma se nelle loro vicende si tratta di una critica ad
atteggiamenti licenziosi, qui si parla espressamente di politica e di ordine sociale.
! Le galline restano perplesse, chiedendosi come ci possa essere un mondo senza il gallo.
Quest’ultimo, intanto, le esorta a riflettere sul fatto che la volpe predica la liberazione per poterle
mangiare meglio. Una volta creato questo scompiglio, Bystrouška dichiara di non poter sopportare
l’arretratezza delle galline e piuttosto che vederle assoggettate preferisce seppellirsi viva. Così
Bystrouška fa esattamente come Renart in molte avventure: si finge morta, generando la curiosità di
alcune galline e del gallo, che si avvicinano per sincerarsi della sua dipartita, tanto quando basta per
essere azzannati. La confusione nel pollaio agita la moglie del Guardiacaccia, che nel vedere le
galline sgozzate, chiama il marito e gli intima di uccidere la perfida volpe per farne un manicotto. 142
Il Guardiacaccia sopraggiunge con il suo fucile e minaccia di spaccare la testa a Bystrouška, ma lei
ribatte che, forse, sarà lei a spaccarla a lui, prima di approfittare della confusione per mordere la
corda e fuggire.
! Nel Roman de Renart le galline hanno tutte un nome (Noire, Blanche, Roussotte, Pinte,
Copette e Coupée, quella che ha un ruolo più importante); in Janáček solo una gallina si distingue
dalle altre (in modo simile a Coupée, ma con un spazio assai minore) e viene detta Chocholka, che
letteralmente vuol dire «ciuffo». A differenza del Roman de Renart e delle storie da esso gemmate,
142 Nel terzo atto sarà Harašta a farsi un manicotto con la pelle di Bystrouška (ne parleremo meglio al punto IV.1.7).
Che la volpe finisca per diventare un manicotto è un topos favolistico: anche i pescatori del Roman de Renart vogliono
farsi una pelliccia con la pelle del protagonista (cfr. supra, punto II.1.1.1).
66
in questa scena dell’aia non c’è traccia di mastini o di giochi d’astuzia tra volpe e gallo: Bystrouška
è senza alcun dubbio l’animale più intelligente dell’aia.
! Una volta libera nel bosco, Bystrouška si trova ad affrontare un tasso, in una scena di cui
dovremo più tardi interpretare meglio la natura143 , per poi conoscere un maschio, di nome
Zlatohřbítek («pelo d’oro»), di cui si innamora. Appena si accorge di essere incinta, Bystrouška si
rammarica di non essere sposata, e Zlatohřbítek pone immediato rimedio, chiamando un saggio
picchio a celebrare le nozze, mentre un coro, che interpreta la voce gioiosa del bosco, esulta felice.
Il picchio saggio, interpellato alla bisogna, e la voce della foresta, sono tutti elementi presenti nel
quarto e decisivo atto di Chantecler, così come la visione del bosco come luogo d’amore in cui si
consumano le passioni sia di Chantecler e della fagiana sia di Bystrouška e Zlatohřbítek. Le voci del
bosco non sono nuove in Janáček e se ne trova traccia in Diario di uno scomparso e in Kát’a
Kabanová: forse il compositore apprezzò che anche Rostand avesse popolato di voci la sua foresta.
Invece, che il picchio diventi un
celebrante di nozze non è
previsto da Rostand, dove è
chiamato solo per risolvere un
problema lessicale. È semmai
curioso notare come nella poesia
nonsense di Edward Lear
(1812-1888), The Owl and the
Pussycat (1867)144 , sia il
tacchino che vive sulla collina
(«the Turkey who lives on the hill») a sposare il gatto e il gufo protagonisti, in una scena che
l’autore stesso disegna (nella figura) e che si adattatterebbe perfettamente anche al matrimonio di
Bystrouška e Zlatohřbítek se fosse più popolata (da confrontare con il disegno di Lolek riprodotto in
Appendice I). Forse Janáček ha fuso la saggezza del picchio di Rostand e la sacralità del tacchino di
Lear nel picchio di Příhody lišky Bystroušky.
! Un altro passo che presenta qualche derivazione da Rostand si osserva nel terzo atto, quando
Bystrouška e Zlatohřbítek, con i loro cuccioli, si imbattono nel bracconiere Harašta. In Těsnohlídek,
Harašta è solo una delle tante vittime di Bystrouška nella seconda parte del romanzo, quasi
completamente dedicato alle sue scorrerie. In Janáček, quella di Harašta è una figura più complessa
144 EDWARD LEAR, Nonsense Songs, Stories, Botany, and Alphabets, London, Bush, 1871, pp. 1-3. Il testo della poesia è
stato musicato da Stravinskij nella sua ultimissima composizione prima della morte, intitolata appunto The Owl and the
Pussycat, per canto e pianoforte, pubblicata nel 1966.
67
che dovremo analizzare meglio. Qui basta far notare come nell’affrontarlo, Bystrouška dimostri un
grande coraggio, molto simile a quello che sfoggia Chantecler: con lui, la nostra volpe porta avanti,
come vedremo meglio in seguito, un idealismo egualitario con una forza simile a quella che
Rostand dà al suo gallo.
II.1.3.3 - La fattoria
! Si è visto dunque come la complessità di Příhody lišky Bystroušky travalichi la linearità dei
racconti favolistici. La scena dell’aia, così come la scena di Harašta, hanno implicazioni politiche
che richiederanno una trattazione a parte145, quindi è ovvio che Janáček si spinge oltre Těsnohlídek
nella deformazione dei valori favolistici e nella riflessione sul suo presente mediante personaggi
animali.
! Dato il valore antropo-poietico sentito da Janáček negli animali-simbolo, si evince che più
che il sistema sintetico della rappresentazione bestiale delle favole, in Příhody lišky Bystroušky è
presente un’allegoria umana vorticosa e sfaccettata.
! Per capirla è forse d’aiuto il romanzo Die unendliche Geschichte (1979) di Michael Ende
(1929-1995).146 In questo che è diventato un piccolo classico della letteratura per ragazzi, sono
presentati due mondi, quello della fantasia e quello umano. Il mondo fantastico, denominato
Phantásien (in italiano reso con Fantàsia), viene alimentato dai sogni degli uomini. Il romanzo
comincia quando gli uomini smettono di sognare, determinando la progressiva distruzione di
Phantásien. Via via che la complessa trama va avanti (con consuntivi di molto del pensiero
filosofico tedesco da Kant a Nietzsche, e con affascinanti metafore meta-letterarie simili a quelle
usate da Italo Calvino147), si scopre che i due mondi, fantasia e realtà, un tempo erano uniti e che la
loro scissione fu provocata dalla sfiducia umana, che impediva alle persone di sognare e amare. I
due protagonisti, Bastian e Atréju, un umano e un phantasiano, comprendono che la fantasia è vana
senza l’amore e che l’amore è arido senza la capacità di sognarlo e inventarlo. Decidono, quindi, di
lavorare insieme: Atréju insegnerà l’amore a Phantásia, e Bastian, con le sue storie, insegnerà alla
Terra a sognare di nuovo. Le storie dell’uno supporteranno l’amore dell’altro e viceversa, così che
Terra e Phantásia, fantasia e amore, sogni e realtà possano di nuovo congiungersi in perfetto
equilibrio.
146MICHAEL ENDE, Die unendliche Geschichte, Stuttgart-Wien, Thienemanns, 1979, trad. it. di Amina Pandolfi: ID., La
storia infinita, Milano, Longanesi, 1981.
147Immanuel Kant (1724-1804), Friedrich Nietzsche (1844-1900), Italo Calvino (1923-1985), il cui più grande meta-
romanzo, Se una notte d’inverno un viaggiatore, uscì proprio nel 1979 (ITALO CALVINO, Se una notte d’inverno un
viaggiatore, Torino, Einaudi, 1979, rist. Milano, Mondadori, 1994 e successive innumerevoli edizioni).
68
! Per Janáček sussiste un dualismo tra mondo animale e mondo umano simile a quello
immaginato da Ende. L’uomo fa parte della natura ma sembra essersene scordato. Una storia come
quella di Příhody lišky Bystroušky potrebbe prefigurare la possibilità che i due mondi si
ricongiungano, in una magnifica utopia naturalistica: al di là del bene e del male gli uomini riescono
a partecipare del grande panismo perfettamente equilibrato della natura, lasciando perdere le loro
strutturazioni moralistiche e le loro fallimentari organizzazioni societarie, che creano solo infelicità
(come si evince dalle altre opere di Janáček, in primis in Kát’a Kabanová).
! In una lettera a Max Brod dell’11 marzo 1923, Janáček scrive:148
+ Ricordo un avvenimento del mio villaggio natale. Il figlio del sindaco, in preda a un raptus
passionale - era stato lasciato dall’innamorata - avrebbe ucciso gli invitati alle sue nozze. Sparava su di
loro dalla finestra della stanza dove furono festeggiate le nozze della sua ex compagna innamorata.
+ Fu giudicato e condannato.
+ E sta bene. Una volta ritornato a casa, dopo aver scontato la pena, Lei pensa che la gente lo
evitasse?
+ Era per me una dimostrazione che la gente semplice non considera il male come un eterno
marchio d’infamia. C’è stato - e ora non c’è più.
+ Anche la mia volpe è così: rubava, sgozzava, ma era capace di sentimenti nobili.
Queste affermazioni provano quanto Janáček intendesse superare le vetuste distinzioni tra bene e
male e come in Příhody lišky Bystroušky si affermi l’idea di una nuova società. È curioso come
l’aneddoto della lettera somigli molto alla storia personale di Těsnohlídek, con la differenza che il
«marchio d’infamia» del suo essere un presunto assassino non si estinse mai. Probabilmente
Janáček sentì una certa empatia con la sorte dello scrittore e assentì con lui riguardo alla morale
come entità da ripensare. In un mondo in perfetta comunione con la natura, come l’adorata
Hulvaldy, pettegolezzi come quelli sorti all’indirizzo di Těsnohlídek a Brno non sarebbero mai nati:
là la gente sa bene che la natura è al di là del bene e del male e che quindi, in modo ciclico, le
nozioni umane di bene e di male sono destinate a subire fluttuazioni, anche veri e propri
rovesciamenti.
! Per le sue oscillazioni moralistiche, per le idee utopistiche che vi sono propugnate, Příhody
lišky Bystroušky somiglia più a un’allegoria che a una favola, e il suo intento dimostrativo è più
indirizzato rispetto al generico ammonimento moralistico delle favole. Nonostante le dichiarate
148 Cito dalla traduzione italiana presente in FRANCO PULCINI, Janáček. Vita, opere, scritti, cit., p. 204.
69
antipatie, in Příhody lišky Bystroušky Janáček finisce per raccontare una storia tutto sommato simile
a quella di Chantecler di Rostand, scritto per inneggiare ai sogni e all’idealismo.
! Nella letteratura ci sono altre opere che, partendo dalla materia favolistica, arrivano a
risultati somiglianti a Příhody lišky Bystroušky, evitando il corrusco nichilismo di Těsnohlídek e dei
suoi colleghi: i teneri racconti di formazione di Beatrix Potter (1866-1943) come Peter Rabbit
(1902) e Benjamin Bunny (1904)149, per esempio, o l’adorabile nonsense di Edward Lear, forse
citato direttamente, come abbiamo visto, nella scena del matrimonio delle volpi.
! Rispetto a questi esempi, significativi ma forse latori di un sentimentalismo estraneo a
Příhody lišky Bystroušky, somiglianze più evidenti si riscontrano con momenti successivi della
storia letteraria e musicale, confermando ancora una volta la modernità di Janáček e la sua capacità
di andare oltre quello che rappresentava il suo presente.
! Quasi certamente il compositore non vide la prima
rappresentazione del Renard di Stravinskij, creata da
Bronislava Nižinskaja nel 1922, ma, così come c’è una
curiosa somiglianza con Příhody lišky Bystroušky nella
rappresentazione animale, così c’è una perfetta coincidenza
distopico-utopica. Con le armi della parodia, che ridicolizza
quelle società che intendono rifondare, entrambe le opere
auspicano una vita sociale diversa rispetto alla società
costituita. Nižinskaja, come abbiamo visto dalle stesse parole
di Stravinskij, fece dell’assurdità di Renard una metafora della
società sovietica, mettendo alla berlina certi aspetti che la
contraddistinguono, come il saluto militare. Allo stesso modo
Janáček prende in giro la vita degli uomini e le sue
organizzazioni politiche (come si evince dalla scena nell’aia, in cui il gallo si fa portavoce di un
divertente schematismo sociale) e auspica una società diversa.
! In quest’ottica di satira e di distopia che propone un nuovo genere di società, il favolismo di
Příhody lišky Bystroušky è simile alla prospettiva di Trilussa (la cui attività spazia dal 1889 al
1945), che usava gli animali per parlare di libertà e per farsi beffe dell’ignoranza fascista, e,
soprattutto, al piccolo romanzo Animal Farm di George Orwell (1945: l’autore nella foto)150, in cui
149BEATRIX POTTER, The Tale of Peter Rabbit, London, Warne, 1902; EAD., The Tale of Benjamin Bunny, London,
Warne, 1904. La somiglianza di Příhody lišky Bystroušky con i romanzi di questa scrittrice è suggestiva, ma forse è stata
eccessivamente enfatizzata da LOREDANA LIPPERINI, «La piccola volpe astuta» nella rete in FRANCO MANFRIANI (a
cura di), La piccola volpe astuta, programma di sala del Maggio Musicale Fiorentino, Firenze, Giunti, 2009, p. 88.
150 GEORGE ORWELL, Animal Farm: A Fairy Story, London, Secker & Warburg, 1945.
70
la teoria, intuita da Těsnohlídek, Janáček e Bronislava Nižinskaja (parlare di presente e idealismo
politico all’interno di un racconto con bestie) trova la sua più perfetta espressione.151
! Parallelismi con Orwell si trovano nella ripetitività stupida delle galline dell’aia, che fanno
tutto quello che gli si dice di fare, del tutto simili alle pecore di Animal Farm, che ripetono in
continuazione i dettami della propaganda di Napoleon (il bieco maiale che governa malamente la
fattoria). Inoltre, leggendo la prima monografia italiana di Franco Pulcini, si osserva come
Bystrouška152,
nella sua spontanea naturalezza animale, è l’unica femmina senza complessi del [...] teatro [di Janáček],
l’unica ad avere un’unione felice, perché vissuta al di fuori di un tessuto sociale umano, fuori da un
ambiente considerato con sospetto dal nostro autore. L’ideale femminile prediletto da Janáček era proprio
la donna-animale, il personaggio zingaresco e ribelle; non una donna senz’anima, ma una donna libera,
senza istinti repressi, e soprattutto liberata dagli sguardi del pregiudizio patriarcale.
Una descrizione che si adatterebbe a pennello anche al personaggio di Julia del famoso romanzo di
Orwell 1984 (1949) 153, la cui libertà morale, incurante dei pregiudizi, affascina molto il
protagonista Winston Smith.
! Per concludere si può dire che Příhody lišky Bystroušky, può essere intesa come una favola,
ma in modo nuovo. È una favola in cui la morale e la metafora uomo-animale sono sottoposte a un
radicale ripensamento rispetto a Esopo, Fedro e La Fontaine. L’incipiente componente utopico-
distopica prefigura molti esperimenti favolistici noventeschi, anticipando la nostalgia libertaria di
Trilussa e la sagacia di Orwell. Una favola, quindi, non assimilabile alla tradizione classica.
151 Vedi quanto dice Stravinskij a questo proposito supra, punto II.1.1.2.
153GEORGE ORWELL, Nineteen Eighty-Four, London, Secker & Warburg, 1949; trad. it. di Gabriele Baldini: ID., 1984,
Milano, Mondadori, 1950; nuova trad. it. di Stefano Manferlotti: ID., Id., Milano, Mondadori, 2000.
71
II.2 - Fiaba
! Nel 1930, nel primo saggio critico su Janáček, lo studioso francese Daniel Muller trovò che
l’interscambio tra uomo e animale di Příhody lišky Bystroušky o la presentazione realistica della
magia in Věc Makropulos, non erano affatto credibili. Affermava che Shakespeare (1564 ca.-1616)
faceva apparire i suoi spettri in stanze deserte, per lasciare aperta la possibilità che siano solo
allucinazioni dei personaggi che li vedono, di Amleto, di Riccardo III o altri, mentre l’Emila Marty
di Makropulos vive trecento anni davvero, senza ombra di dubbio, anche se ciò è assolutamente
inverosimile. Allo stesso modo affermava: «dans le Rusé Renard, ces dialogues d’hommes et
d’animaux semblent inadmissible; notre Rostand, qui a fait aussi une pièce sur les animaux, a eu
soin, dans un charmant et spirituel prologue, de nous avertir que la gente humaine avait quitté la
farme, laissant le champ libre à la gente animale». 154
! È ovvio che le implicazioni antropo-poietiche insite nella visione favolistica di Janáček, così
come il suo modo di intendere la natura e il destino, non erano granché note a Muller, ma come lui
molti hanno avuto, giustamente, perpressità nel considerare Příhody lišky Bystroušky dal punto di
vista narrativo. Se la favola, che abbiamo indagato, si adatta solo parzialmente a definire la trama
dell’opera, forse la fiaba, altro genere a cui viene accostata molto spesso, ha più fortuna nel farci
capire le pieghe della vicenda.
! I due oggetti letterari, e soprattutto i due termini, si sovrappongono nel linguaggio comune,
forse non a torto: quando le matrici favolistiche dell’antichità greco-latina (Esopo e Fedro) si
intrecciarono con le storie folkloriche europee si verificarono assimilazioni e mescolamenti
profondi, che giunsero all’indistricabilità. Lo prova il fatto che nella raccolta delle Fiabe russe di
Aleksandr Afanas’ev si trova una variante di quella che è una delle più classiche delle favole di
Esopo.155 Perciò non si può considerare errata la sovrapposizione terminologica. Per comodità e
chiarezza, comunque, ripristineremo una distinzione. Le ‘favole’ riguardano prevalentemente gli
animali e sono state oggetto della narrativa compresa tra Esopo e Trilussa, passando per Fedro e La
Fontaine. Sono caratterizzate da una funzione moralizzatrice ben definita e da minime variazioni
narrative (visto che si può trovare la medesima favola, pressoché identica, in Esopo, nella Grecia
antica, e in La Fontaine, nella Francia del ‘600). Le ‘fiabe’ fanno parte di quel grande corpo di
racconti popolari, di novelle di tradizione folklorica, che hanno più spesso personaggi umani, meno
154«nella Volpe, quel dialogo tra uomini e animali pare inammissibile; il nostro Rostand, che ha fatto anche lui una
pièce sugli animali, ha avuto l’accortezza, in un affascinante e ispirato prologo, di avvertirci che gli umani avevano
abbandonato la fattoria, lasciando il campo libero agli animali»: DANIEL MULLER, Leoš Janáček, cit., p. 59.
156
Questa distinzione è adottata da tutti testi critici che citerò nel corso del capitolo. Qui mi limito a indicare ITALO
CALVINO, Sulla fiaba, Torino, Einaudi, 1988, e DIETER RICHTER, La luce azzurra. Saggi sulla fiaba, Milano,
Mondadori, 1995.
157 Le mille e una notte, ed. it. a cura di Francesco Gabrieli, 4 voll., Torino, Einaudi, 1948.
158CHARLES PERRAULT, Histoires ou contes du temps passés, avec des moralités, Paris, Claude Barbin, 1697, trad. it. a
cura di Elena Giolitti: ID., I racconti delle fate. Fiabe francesi alla corte del re Sole, Roma, Newton Compton, 1994,
20032.
159 JACOB GRIMM, WILHELM GRIMM, Kinder- und Hausmärchen, Göttingen, Dieterichsche Buchhandlung, 1837-1857
(prima edizione: Berlin, Realschulbuchhandlung, 1812-1815), trad. it. di Maria Vittoria Chiaramonti: IDD., Fiabe,
Milano, Mondadori, 2002.
160 GIAMBATTISTA BASILE, Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille, Napoli, Beltrano/Scoriggio,
1634-1636 (firmato con lo pseudonimo Gian Alessio Abbattutis). Il testo è ricostruito in ID., Lo cunto de li cunti,
edizione a cura di Michele Rak, Milano, Garzanti, 1986, 20082; e in ID., Il racconto dei racconti ovvero il trattenimento
dei piccoli, a cura di Alessandra Burani e Ruggero Guarini, Milano, Adelphi, 1994. Illuminante, per districarsi nel
problema ectodico dell’opera, la tesi di dottorato in Filologia Moderna: CAROLINA STROMBOLI, La lingua de «Lo cunto
de li cunti», Napoli, Università degli Studi Federico II, 2005, consultabile on-line sul sito web: http://
www.fedoa.unina.it/2796/1/Stromboli_Filologia_Moderna.pdf (ultimo accesso: marzo 2014).
161 ITALO CALVINO, Fiabe italiane raccolte dalla tradizione popolare durante gli ultimi cento anni e trascritte in lingua
dai vari dialetti da Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1956.
162VLADIMIR JAKOVLEVIČ PROPP, Morfologija skazki, Leningrad, Akademija, 1928, ed. it. a cura di Gian Luigi Bravo:
ID., Morfologia della fiaba, Torino, Einaudi, 1966, 20003; ID., Istoričeskie korin volšebnoj skazki, Leningrad,
Izdatel’stvo Leningradskogo universiteta, 1946, trad. it. di Clara Coïsson (1949) con introduzione (1972) e bibliografia
(1985) di Alberto Mario Cirese: ID., Le radici storiche dei racconti di fate, Torino, Bollati Boringhieri, 1972, 19852,
20123 (ristampa anastatica della prima traduzione italiana: ID., Id., Torino, Einaudi, 1949); trad. it. di Salvatore Arcella
con introduzione di Cecilia Gatto Trocchi: ID., Le radici storiche dei racconti di magia, Roma, Newton Compton, 1976,
20123.
163 HANS CHRISTIAN ANDERSEN, Fiabe, trad. it. di Alda Manghi e Marcella Rinaldi, Torino, Einaudi, 1954, 20052.
164 GIANNI RODARI, Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie, Torino, Einaudi, 1973, 201340.
73
genere di Příhody lišky Bystroušky. Nelle primissime stesure scrive che Příhody lišky Bystroušky è
una «bajka», mentre alla fine dell’opera, alla battuta 766 dell’atto terzo, fa dire al Guardiacaccia:
«Je to pohádka či pravda?», ossia «Questa è una fiaba o è verità?»165 Probabilmente, all’inizio della
gestazione il compositore aveva pensato all’esteriore affinità tra la sua opera ed Esopo, e quindi
aveva usato il termine «bajka» per definirla, ma una volta completato il lavoro si era reso conto che
assomigliava forse più a una «pohádka».166
II.2.1 - Struttura
! Alcuni indizi ci dicono quanto Janáček frequentasse le storie che chiamiamo ‘fiabe’: per
esempio, paragonava la figlia Olga al personaggio di Cenerentola167 e nel 1910 scrisse un pezzo per
pianoforte e violoncello intitolato proprio Pohádka, Fiaba (JW VII/5), che si trovò a revisionare
curiosamente mentre scriveva Příhody lišky Bystroušky, nel 1923, per onorare alcuni vecchi accordi
contrattuali con la casa editrice praghese Hubední matice.
! Esattamente come Le tracce del lupo ci ha aiutato a chiarire come Janáček pensasse gli
animali, Fiaba ci dà un’idea di quello che il compositore intendesse quando parlava di fiabe, anche
se gli esiti stavolta sono molto più criptici, se non altro per il fatto che la composizione ha tre
versioni (1910, 1912 e 1923) assai distanti tra loro, di cui ci è pervenuta solo l’ultima.
! Jaroslav Šeda riassume così la vicenda di Fiaba:168
Lo zar da molti anni è addolorato per la mancanza di un figlio. Decide di andarsene per il mondo alla
ricerca del sapere e della felicità e cade nelle mani di Scheletro [Kaščej]. Questi acconsente a rendergli la
libertà ad una condizione: dovrà dargli quello che ancora non sa di avere. Rientrato nel suo paese lo zar si
rende conto di aver promesso a Scheletro il suo bambino nato nel frattempo. Allorché molti anni dopo lo
tsarevič Ivan va nel regno di Scheletro, riceve l’aiuto accorto della figlia del mostro, la buona zarina
Maria. Ivan si innamora di lei e la chiede in sposa. I due amanti finiscono per liberarsi dal terribile
incantesimo di Scheletro.
166
Vedi anche JENNIFER SHEPPARD, How the Vixen Lost its Mores: Gesture and Music in Janáček's Animal Opera, in
«Cambridge Opera Journal», XXII/2 (July 2010), Cambridge (UK), Cambridge University Press, 2010, p. 154.
167Così la chiama in una lettera a Josefa Jungová del 3 dicembre 1897, citata in MARIE TRKANOVÁ, U Janáčků, cit., p.
146 e in MZCL, p. 79.
169
Skazka o Care Berendee, o syne ego Ivane-Careviče, o chitroctjach Kaščeja Bessmertnogo i o premudrosti Mar’i
Carevny, kaščeevoj dočke.
170FRIEDRICH DE LA MOTTE FOUQUÉ, Undine [1811] in ID., Die Jahreszeiten. Eine Vierteljahrschrift für romantische
Dichtungen, Berlin, de La Motte Fouqué, 1814 (edizione moderna: ID., Id., Berlin, Kessinger, 2010).
171Apprendiamo dalle lettere di Čajkovskij che, dopo alcuni accordi con i Teatri Imperiali di San Pietroburgo andati in
fumo nel 1869, almeno tre pezzi della sua Undina furono eseguiti al Teatro Bol’šoj di Mosca nel 1870. Il compositore
non fu granché soddisfatto del risultato, ma affidò comunque la partitura al suo editore Vasilij Bessel, presso il quale
sono rimasti solo tre brani orchestrati, mentre altri due sono stati reperiti dalle parti del concerto eseguito al Bol’šoj,
nell’archivio del teatro. Ancora dalle lettere si evince che Čajkovskij richiese a Bessel stralci della partitura per
integrare alcune parti di Undina nella Sinfonia n. 2 «Piccola Russia» (1872), nelle musiche di scena per il dramma
Sneguročka (La fanciulla di neve) di Ostrovskij (1873) e nel passo a due, accompagnato da violoncello e violino, nel
secondo atto del balletto Lebedinoe ozero (Il lago dei cigni, 1877).
172 Chissà quanto pesò nella scelta del soggetto di Kát’a Kabanová il fatto che anche Čajkovskij scrisse un’ouverture
basata sull’Uragano di Ostrovskij nel 1864, mai eseguita durante la vita dell’autore e poi riscoperta in una performance
della società dei Concerti Sinfonici Russi patrocinata da Mitrofan Beljaev (1836-1904) a San Pietroburgo nel 1896, con
la direzione d’orchestra di Aleksandr Glazunov (1865-1936). Beljaev si occupò della sua pubblicazione quello stesso
anno, con la sua casa editrice, stabilita a Lipsia col nome occidentalizzato Beliaeff, associata all’editore Peters. È
davvero una sorprendente coincidenza che Janáček fosse a San Pietroburgo, insieme al fratello František, proprio nel
1896 (cfr. infra, punto III.1.2).
75
lo carevič Ivan e Kaščej sono al centro anche del balletto L’oiseau de feu (Žar-ptica) di Stravinskij,
dedicato a Rimskij-Korsakov173 e rappresentato proprio nel 1910, quando la Fiaba di Janáček viene
scritta nella sua prima versione.
! Alla base di Fiaba del 1910 c’è dunque un coacervo di
suggestioni incrociate, basate sul modello fiabesco russo a cui si erano
rifatti i suoi eroi (Čajkovskij e Ostrovskij: quest’ultimo nell’immagine)
e su cui Janáček sembra volesse basarsi per una sorta di poema musicale
da camera, con una trama precisa. Però i tentativi di legare musica e
vicenda si rivelarono più difficili del previsto e ci sono giunte due idee
della trama che la musica avrebbe dovuto illustrare.
! La prima è presente in una sinossi autografa di Janáček, scritta
probabilmente a ridosso della prima esecuzione, ritrovata negli archivi
della casa editrice Hubední matice:174
C’era una volta lo zar Berendej, che aveva una barba lunga fino alle ginocchia. Si era sposato da tre anni e
viveva con la moglie in perfetta armonia; ma Dio non aveva ancora dato loro nessun figlio, cosa che lo
addolorava terribilmente. Un giorno lo zar sentì il bisogno di esplorare il suo regno. Disse addio alla
consorte e viaggiò per otto mesi.
Janáček, però, non deve essere stato molto convinto di questo soggetto, tanto che alla première,
avvenuta il 13 marzo 1910, durante i concerti denominati «L’ora della sonata» della Scuola
d’Organo di Brno, che lui stesso presiedeva, presentò il lavoro dichiarando che si trattava di un
work in progress non ancora ultimato. Dalla recensione apparsa sul «Lidové noviny» del 17 marzo
1910, firmata dall’allievo di Janáček Jan Kunc (1883-1976), apprendiamo che la pianista Ludmila
Prokopová (1888-1959) e il violoncellista Rudolf Pavlata (1873-1954), entrambi docenti della
Scuola, eseguirono tre movimenti, con il terzo che somigliava a una danza popolare russa. 175
! La dichiarazione iniziale di Janáček sulla non completezza del lavoro, suggerisce che
almeno un quarto movimento doveva essere ancora composto, e infatti, alla seconda esecuzione, a
173Rimskij-Korsakov ha dedicato un’intera opera a Kaščej: Kaščej bessmertnyj [Kaščej, l’immortale] nel 1902, che è
servita da importante fonte per Stravinskij, che di Rimskij-Korsakov fu allievo.
174 «Once upon a time there lived Tsar Berendyey, who had a beard down to his knees. He had been married fot three
years and lived with his wife in perfect harmony; but God still had not given them any children, which grieved the tsar
terribly. One day the tsar felt the need to inspect his kongdom. He bade farewell to his consort and for eight months he
was on his travels». Nel 1949, il grande studioso janáčekiano Bohumir Štědroň, suggerì che quel testo era destinato a
essere stampato insieme allo spartito della composizione, e lo trascrisse nella prefazione della sua edizione del lavoro
(LEÓŠ JANÁČEK, Pohádka, edizione a cura di Bohumir Štědroň, Praha, Hubední matice, 1949). Io cito dalla traduzione
inglese di quella prefazione contenuta in JOHN TYRELL, The Lonely Blackbird, cit., p. 744.
C’era una volta lo zar Berendej. Egli visse sposato felicemente per tre anni, ma senza avere figli
(movimenti I e II-I: Calma con l’ombra del dolore e del suo insoddisfatto desiderio di avere una famiglia;
II Dubbi e speranze). Un giorno egli decide di esplorare il suo impero per osservare la vita e i bisogni dei
suoi sudditi (III Lo zar parte nella piena gloria del suo seguito; la processione alla fine svanisce in
sottofondo). Nel frattempo, nasce suo figlio. Al ritorno, egli si rende conto che il bambino è il suo più
grande tesoro, ma lo ha promesso a un malvagio (IV Ninna-nanna, poi orrore per quella promessa).
Non sappiamo se questo programma fu scritto da Janáček come quello del 1910, ma di certo la
composizione non lo accontentò neanche stavolta, visto che si rifiutò di pubblicarla.
! Nel 1923, a dieci anni di distanza, Janáček era diventato un uomo artisticamente diverso, e
quando si approcciò di nuovo a Fiaba, lo fece in un modo totalmente nuovo e soppresse quei
riferimenti precisi a una trama che nel 1910-’12 aveva tanto cercato.
! Senza un riferimento alla trama, il titolo Fiaba risulta difficile da capire, ma la composizione
del 1923, l’unica che ci è giunta, ha senza dubbio una componente narrativa. Il primo tempo è
costituito da due motivi che si intrecciano con una innegabile forza tensiva che non è difficile
associare, istitivamente, a un vero e proprio racconto, fatto di un inizio e di uno svolgimento: è in
questa struttura, infatti, che sembra riflettersi l’andamento complessivo del movimento, fatto di
un’introduzione simile alla situazione iniziale di una storia, con un’apparente calma che non riesce
a nascondere i problemi da affrontare, poi di un dialogo tra le due componenti (un micro-motivo
nervoso pizzicato del violoncello e un più cantabile, ma malinconico, tema principale), insistito fino
a un serrato livello di inquietudine che adombra lo svolgimento concitato dell’azione, a cui manca
perfino una risoluzione, vista l’improvvisa interruzione del pezzo.
! Il secondo movimento presenta una struttura molto simile a quella di una classica parabola,
così come la descrivono gli esperti in narratologia, con la situazione iniziale, uno svolgimento dalle
peripezie sempre più emozionanti (simboleggiate dal tempo sempre più veloce e dalla sempre più
176 «Once upon a time there lived Tsar Berendyey. He had lived peacefully for three years in marriage, though without
having children (movements I and II-I: Calm with the shadow of grief and unquenched longing for a family; II Doubt
and hopes). One day he set off into his empire to observe the life and needs of his subjects (III The tsar departs in the
full glory of his retinue; the procession finally dies away in the background). Meanwhile, however, a child has been
born to him. On his return, he realizes that his child is his dearest treasure, which he has promised to a villain (IV
Lullaby, then horror at this promise)». Il programma si è conservato ed è riprodotto nella prima edizione nazionale delle
opere di Janáček: LEÓŠ JANÁČEK, Souborné kritické vydáni, supervisione di Jiří Vysloužil, serie E: Skladby pro
violoncello a klavír, a cura di Jiří Fukač, Praha-Kassel, Bärenreiter/Praha, Supraphon, 1988, p. ix. Cito dalla traduzione
inglese contenuta in NIGEL SIMEONE, JOHN TYRELL, ALENA ALENA NĚMCOVÁ (eds.), Janáček’s Works, cit., pp.
221-222. Cfr. anche TOTF, p. 261.
77
pungente voce del violoncello che giunge a potenti figurazioni brevi e marcate), e un ritorno al
principio (con le ultime battute identiche alle prime, in tutto simile al ritorno a casa dell’eroe).
! Il terzo tempo è l’unico che ha un carattere univoco, e indica indubbiamente una situazione
felice, serena e totalmente priva degli elementi inquieti degli altri due movimenti, senza alcun
dialogo tra componenti diverse per creare tensione e senza nessun pizzicato, marcato o progressione
crescente di velocità: solo una regolare e piacevole danza quasi scherzosa.
! I programmi scritti per le versioni del 1910 e del 1912 non si adattano affatto alle strutture
dei tempi del 1923. Il carattere malinconico del tema principale del primo movimento potrebbe
identificarsi bene con i movimenti «I e II-I» descritti nel 1912 come «calma con l’ombra del dolore
e del suo [dello zar] insoddisfatto desiderio di avere una famiglia», ma il generico «dubbi e
speranze» indicato per il tempo II del ’12 non sembra sufficiente per qualificare la crescente
suspence del secondo movimento del ’23, e la felicità del terzo movimento non trova riscontri né
nella gloriosa processione del tempo III del ’12, né tanto meno nella «Ninna-nanna» con
conseguente orrore del tempo IV.
! Stupisce, inoltre, che le versioni proposte dall’autore nei programmi del ’10 e del ’12 si
riferiscano solo alla prima parte del racconto di Žukovskij, che descrive una situazione molto
statica, che risulta priva delle ansie insite nei movimenti del ’23. Ansie che, invece, si adatterebbero
perfettamente all’intera trama scritta dal poeta romantico così come descritta da Šeda. Infatti, se
torniamo a guardare i movimenti del ’23 da un punto di vista puramente narratologico, è
sorprendente quanto le loro strutture narrative auto-sufficienti si fondano insieme in una classica
trama convenzionale di un racconto generico, con il primo tempo che indica una situazione iniziale
poco confortevole per il protagonista, il secondo che narra le sue spettacolari peripezie piene
d’azione e passione, e il terzo che glorifica la sua raggiunta felicità grazie alla conclusione positiva
delle avventure. 177
! Il fatto che il Janáček del 1923 abbia abbandonato la trama di Žukovskij, per poi costruire
una serie di tensioni che si adattano perfettamente ai concatenamenti di un trama archetipica in tutto
simile a quella soppressa, sembra suggerire che, per Janáček, l’archetipo e la dimensione narrativa
sono molto più importanti della trama stessa. In altre parole, nei più di dieci anni di gestazione di
Fiaba, Janáček era forse arrivato alla conclusione che ciò che conta nelle fiabe è la struttura in cui
177 Le strutture delle trame narrative sulle quali mi sto basando sono presentate molto bene in GÉRARD GENETTE, Figure
III. Discorso del racconto, trad. it. di Lina Zecchi, Torino, Einaudi, 2003; in CHRIS VOGLER, Il viaggio dell’eroe. La
struttura del mito ad uso di scrittori di narrativa e cinema, trad. it. di Jusi Loreti, Roma, Dino Audino, 2004; e,
soprattutto, in DIETER RICHTER, La luce azzurra, cit., passim, che ha appunto scansionato la trama fiabesca in tre fasi: 1.
situazione di abbandono, privazione, compito da assolvere con partenza dalla casa, e conseguente uscita dal mondo
consueto; 2. viaggio nell’aldilà, nell’altro mondo, nell’altrove dove si compiono atti eroici (a volte assistiti da aiutanti
magici) e dove grazie al proprio coraggio e alla propria astuzia si superano i pericoli; 3. ritorno a casa e trasformazione
del mondo consueto in qualcos’altro grazie ai doni portati in dote dal viaggio.
78
organizzare le situazioni piuttosto che i fatti e le vicende, che possono variare in innumerevoli
modi, mentre la struttura rimane sempre la stessa. I tentativi del ’10 e del ’12 fallirono proprio
perché cercarono di rifarsi a semplici fatti, o a singoli personaggi (tutti i programmi che abbiamo si
riferiscono al solo zar Berendej), mentre oggetto della composizione sarebbe dovuta essere la
stuttura che ingloba tutte le azioni, e che è comune a tutti i racconti popolari e alle fiabe. La Fiaba
del 1923, quindi, non fa altro che mettere in musica quella struttura, generica, costante e universale,
che può essere riempita con qualsiasi vicenda.
! Lo zar Berendej scompare, perché è la funzione che svolge a contare, quella
dell’insoddisfazione che innesca il racconto, e che può essere attribuita a qualsiasi altro
personaggio, e che come oggetto può avere qualsiasi cosa e non solo il desiderio disatteso di
diventare padre. Non conta chi agisce, conta quello che viene fatto, per cui parlare di Berendej, di
suo figlio, di Mar’ja, di Kaščej, non è importante quanto riferirsi alla funzione che quei personaggi
svolgono all’interno della struttura archetipica. Non stupisce, infatti, che uno dei primi esegeti di
Janáček, Jaroslav Vogel, legga Fiaba dal punto di vista dello carevič e di Mar’ja, prigionieri di
Kaščej e poi felici insieme, con il connubio tra pianoforte e violoncello a rappresentarli (Mar’ja
impersonata dal sinuoso pianoforte e Ivan dal più nervoso violoncello), e il motivo del primo
movimento interpretabile come un tema d’amore, malinconico solo perché entrambi sono ancora
prigionieri.178 Una identificazione che può estendersi ancora di più ed esulare completamente
dall’idea primigedia di Žukovskij, per includere qualsiasi personaggio folklorico, quasi sempre
impegnato in una concatenzione di eventi simile, con il risultato che alla struttura di Fiaba del ’23
si può attribuire qualsiasi storia. 179
! Il fatto che Fiaba sia stata scritta esattamente durante la gestazione di Příhody lišky
Bystroušky ci aiuta a capire quanto quest’ultima possa essere considerata una fiaba, poiché,
senz’altro, Janáček ha importato nell’opera teatrale tutte le problematiche affrontate per il pezzo
cameristico, e si può concludere che quello che in essa può definirsi fiabesco è completamente
mutuato dalla concezione di Fiaba: la struttura e gli elementi archetipici della trama sono più
importanti della trama stessa e le componenti simboliche dei personaggi sono più importanti dei
personaggi stessi. Basandoci su queste idee possiamo trovare un senso ad alcuni degli elementi più
incomprensibili di Příhody lišky Bystroušky.
178 JAROSLAV VOGEL, Leoš Janáček: His Life and Works, cit., pp. 201-203.
179 Una sintetica analisi dei rapporti poco immediati di Janáček con la musica a programma, che giungono spesso a
risultati che vertono di più all’identificazione di una struttura archetipica che a una precisa identità con un testo,
esattamente come nel caso di Fiaba, è in TOTF, pp. 248-278. Vedi anche HUGH MACDONALD, Narrative in Janáček’s
symphonic poems, in PAUL WINGFIELD, Janáček Studies, Cambridge (UK), Cambridge University Press, 1999, pp.
48-54.
79
II.2.2 - Ondine e silfidi
! Se trovare un’opera che presenta gli animali nel modo in cui li presenta Příhody lišky
Bystroušky è molto difficile, tanto che occorre limitarsi e accontentarsi di semplici tangenze come
quelle con Renard e Le rossignol di Stravinskij o con Saint François d’Assise di Messiaen, scritto
sessant’anni dopo, trovare opere che usino il genere fiaba così come fa Janáček non è complicato. In
una sorta di reazione anti-borghese, precedente o appena successiva alla Prima Guerra Mondiale
(1914-1918), i compositori e gli intellettuali tout court hanno quasi sistematicamente usato la fiaba
in modo allegorico.
! Molti la intendono come veicolo per ritrovare una pace e una serenità perdute: i
comportamenti nobili che vi tengono i personaggi così come la speranza di raggiungere un lieto fine
sublimando le disgrazie, sono tutti i lati positivi di un genere da frequentare spesso e che propone
magnifici modelli da imitare per vivere una vita felice, per evitare le guerre e per essere tutti
contenti. Questo modo di concepire le fiabe è presente in Die Frau ohne Schatten (1919) di Richard
Strauss; nelle tre opere di Engelbert Humperdinck (1854-1921), Hänsel und Gretel (1893),
Dornröschen (1902), e Königskinder (1910); in alcune opere di Erich Wolfgang Korngold
(1897-1957) come Die tote Stadt (1920) e Das Wunder der Heliane (1927); nei soggetti fiabeschi di
Ma mère l’oye e L’enfant et les sortilèges di Maurice Ravel; nell’opera Ariane et Barbe-Bleue
(1907) di Paul Dukas (1865-1935).
! Per alcuni la schematicità convenzionale delle fiabe è uno sfondo perfetto per satireggiare le
assurdità del comportamento umano, fatto di modelli inconsistenti e auto-imposti, o per evidenziare
la crudeltà dell’umanità, cattiva proprio come un orco fiabesco. In questo modo di intendere le fiabe
si collocano molti lavori di Stravinskij (oltre a quelli che abbiamo visto, Renard e Le rossignol,
anche i balletti da Petruška, 1911, a Le baiser de la fée, 1928, tratto, come Le rossignol, da
Andersen e costruito quasi come un pastiche di musiche di Čajkovskij), e Ljubov’ k trëm apel’sinam
(L’amore delle tre melarance, 1921-1926) di Sergej Prokof’ev (1891-1953), basato su un testo di
Carlo Gozzi e sulle idee teatrali di Vsevolod Mejerchol’d (1874-1940): qui la fiaba viene usata
anche in senso meta-narrativo e come divertente parodia delle idee dei regnanti e dei borghesi,
dipinti come inconsistenti despoti coinvolti in situazioni improbabili generate da streghe, maghi e
fate che li disturbano in ogni maniera e che smascherano la loro incapacità.
! Per altri la fiaba non fa altro che simboleggiare il terribile lato istintuale dell’uomo, a cui è
impossibile sottrarsi nonostante gli sforzi civilizzanti, nonché la forza inesorabile di un destino
crudele, che si ripresenta in un eterno ritorno dell’uguale, che giunge sempre a distruggere qualsiasi
condizione di benessere raggiunta e qualsiasi storia d’amore intrapresa. Nelle opere che si rifanno a
queste idee, fiaba è sinonimo di patologia, e presenta gli istinti più abnormi e deformi di un’umanità
80
prigioniera della volontà di potenza, della prevaricazione e di una psicotica tendenza alla
distruzione e all’autodistruzione fisico-mentale. Sono da collocare in questo gruppo le fiabe di Béla
Bartók come i balletti Il principe di legno (A fából faragott királyfi, 1917) e Il mandarino
meraviglioso (A csodálatos mandarin, 1926), e l’opera A kékszakállú herceg vára (Il castello del
duca Barbablù, 1918); e il monodramma Erwartung (1909-1924) di Arnold Schoenberg, che è
ambientato in un bosco molto simile a quelli in cui si muovono i personaggi dei fratelli Grimm,
deformato in senso espressionistico.
! Příhody lišky Bystroušky sembra avere presente tutti questi modi: ha in sé componenti della
visione ottimistica della fiaba di Strauss, Humperdinck, Korngold, Ravel e Dukas; certi elementi
beffardi e meta-narrativi che troviamo in Stravinskij e Prokof’ev; e non ignora il fatto che le fiabe
siano anche le proiezioni di una mente umana collettiva malata e distruttiva, come affermano
Bartók e Schoenberg. Certamente, però, questi modi di pensare la fiaba in musica (a parte quello di
Bartók, di cui dovremmo parlare meglio in seguito) sembrano generarsi da atteggiamenti
intellettualistici e da visioni programmatiche: è evidente che gli autori utilizzano la fiaba come
genere letterario ben preciso, allo scopo di presentare messaggi ben codificati e definiti nelle loro
menti; in queste opere, quindi, si può dire, che la fiaba è un mezzo piuttosto che un fine. In Janáček,
invece, la materia fiabesca è più assorbita che pensata, è più immediata e quasi innata, e sembra
scaturire pura e semplice, senza alcuna traccia di mediazione letteraria e senza alcuna evidenza di
elaborazione. Per questo è così difficile ricostruire modelli narratologici per Příhody lišky
Bystroušky, perché tutto vi accade in maniera così naturale che per scovare riferimenti, derivazioni e
modelli c’è da intrufolarsi in un quotidiano che dà per scontate molte cose.
! Janáček si muove nella fiaba in modo così agile e naturale prima di tutto perché, come
Bartók, è stato a stretto contatto con il folklore durante la sua attività di etnomusicologo
pionieristico. Abbiamo accennato alle sue edizioni di canzoni morave stilate insieme a František
Bartoš intorno al 1890.180 Questa frequentazione profonda del pensiero popolare, dei modi di
pensare contadini, delle superstizioni e delle credenze folkloriche, gli fecero capire quanto i
personaggi delle fiabe come orchi, mostri, fate e streghe siano simboli che scaturiscono dalla vita di
tutti i giorni, che simboleggiano perfettamente certi bisogni e certi modi di soddisfare quei bisogni,
costituendosi come enti non separati dalla vita quotidiana. Perciò non stupisce che Janáček usi quei
simboli non come costruzioni astratte e speculative ma come si usa un oggetto indispensabile, senza
intellettualismo ma quasi con trivialità e con ovvietà. Per lui le metafore folkloriche fanno parte
della vita e della realtà né più né meno delle montagne, del dolore o dei fiumi. Come abbiamo visto,
questa dimestichezza folklorica ha un effetto enorme sul suo modo di intendere la rappresentazione
181 Elementargeister è contenuto in HEINRICH HEINE, Der Salon. Dritter Teil, Hamburg, Hoffmann und Campe, 1837. I
testi di Heine che usano quel tipo di eziologia sono alla base anche delle opere Guglielmo Ratcliff (1895) di Pietro
Mascagni (1863-1945), Le Villi (1884) di Giacomo Puccini (1858-1924) e Loreley (1890) di Alfredo Catalani
(1854-1893). Per un panorama della complessiva importanza di Heine nella musica del Romanticismo, vedi ENRICO
FUBINI, Il pensiero musicale del Romanticismo, Torino, EDT, 2005, pp. 81-108. Per uno sguardo sull’influenza che
questi miti hanno avuto sulla musica e l’opera romantica, vedi ELISABETTA FAVA, Ondine, vampiri e cavalieri. L’opera
romantica tedesca, Torino, EDT/Torino, De Sono, 2006. Per una genealogia letteraria di questo tipo di storie cfr. REMO
CESERANI, Il fantastico, Bologna, Il mulino, 1996; e VIKTOR ŽMEGAČ, ZDENKO ŠKREB, LJERKA SEKULIĆ, Breve storia
della letteratura tedesca. Dalle origini ai giorni nostri, trad. it. di Giuseppina Oneto, Torino, Einaudi, 1995, 20002.
82
novella di Andersen La sirenetta (Den lille Havfrue, 1837) e dei balletti La sylphide182 e Giselle
(1841).183 Questo filone eziologico penetrò in area slava grazie alla già ricordata versione in versi
che Žukovskij approntò di de La Motte Fouqué e ai racconti che Gogol’ (1809-1852) trasse dalla
stessa materia mitica, contenuti, soprattutto, nella raccolta Veglie alla fattoria presso Dikan’ka 184,
del 1832.
! Oltre all’incompiuta Undina di Čajkovskij185, in ambiente slavo si ispirano al mito della
fanciulla annegata, della sirena, degli spiriti elementali e della ondina altri innumerevoli
compositori, come Aleksej L’vov (1799-1870) con una sua Undina (1848, anch’essa derivata dalla
stessa traduzione di Žukovskij usata da Čajkovskij), ancora Rimskij-Korsakov con Majskaja
noč’ (1880), Aleksandr Dargomyžskij (1813-1869) con Rusalka (1856, entrambe basate su Gogol’)
e soprattutto Antonín Dvořák (1841-1904) in lavori come Leggende (Legendy, composto come duo
per pianoforte nel 1880, poi orchestrato nel 1882), i poemi sinfonici Il mostro acquatico (Vodník),
La strega di mezzogiorno (Polednice), L’arcolaio d’oro (Zlatý kolovrat, tutti composti nel 1896), La
colomba selvaggia (Holoubek, 1898) e l’opera Rusalka (1901).
! In queste opere e balletti c’è un continuo interscambio tra realtà, fantasia e mito molto simile
a quello presente in Příhody lišky Bystroušky, che però rimane distaccata da questo filone perché si
affranca dalla forse eccessiva sintesi dell’eziologia per dare agli stessi miti e allo stesso folklore una
dimensione molto più importante: per Janáček sono componenti indispensabili di una utopia e non
un mera storia divertente e di puro intrattenimento. Inoltre, Janáček interpreta le storie popolari in
182 La prima versione del balletto, firmata da Filippo Taglioni (1777-1871) con musiche di Jean Schneitzhöffer
(1785-1852) andò in scena all’Opéra di Parigi nel 1832. Per una replica a Copenhagen, il coreografo August
Bouronville (1805-1879) trovò esagerato il prezzo che l’Opéra richiedeva per i passi di Taglioni e per le musiche di
Schneitzhöffer, quindi decise di mettere in scena una sua versione completamente nuova, con danze originali e musiche
composte appositamente da Herman Severin Løvenskiold (1815-1870), che andò in scena nel 1836 con grande
successo. Il modo di fare di Bouronville, di basarsi sul libretto ma di coreografare e musicare autonomamente invece
che di chiedere in prestito la versione di Taglioni e Schneitzhöffer, si consolidò per il resto dell’Ottocento, dando vita a
nuove produzioni sullo stesso soggetto ma completamente originali, per esempio quella di Marius Petipa (1818-1910)
con musiche di Riccardo Drigo (1846-1930) andata in scena a San Pietroburgo nel 1892. La versione Taglioni/
Schneitzhöffer e quella Petipa/Drigo sono irrimediabilmente andate perse (di quest’ultima si conserva solo una
variazione perché l’etoile Anna Pavlova [1881-1931] la incorporò nel suo Grand pas classique de Paquita nel 1904), è
rimasta solo l’edizione Bouronville/Løvenskiold, tuttora eseguita con successo. I tentativi di ricostruzione della
primigenia coreografia di Taglioni, come quello tentato dalla compagnia dell’Opéra nel 1972, basati su stampe, note e
disegni, si sono rivelati fallimentari.
183
Con soggetto di Théophile Gautier (1811-1872), coreografia di Jean Coralli (1779-1854) e musiche di Adolphe
Adam (1803-1856).
184NIKOLAJ VASIL’EVIČ GOGOL’, Večera na chutore bliz Dikan’ki, pubblicato sulla rivista «Otečestvennye zapiski»,
Sankt Peterburg, Kraevskij i Svin’in, 1831-1832.
185Nel 1886-’87, Čajkovskij cercò di riciclare il soggetto in un balletto: proposito presto abbandonato in favore di La
bella addormentata.
83
maniera psicologica, come l’origine dei comportamenti umani, che determinano e simboleggiano la
psiche umana, invece di essere un ameno pretesto ricreativo per evadere dalla realtà.!
! Apparirà strano che i lavori di Dvořák non aiutino alla comprensione di Příhody lišky
Bystroušky, vista la conclamata importanza che nell’immaginario collettivo quel compositore ha
avuto per lo sviluppo artistico di Janáček.
! È ovvio che per il giovane Janáček, le idee del già affermato Dvořák rappresentarono un
modello imprescindibile, insieme a quello dell’altro grande compositore boemo Bedřich Smetana.
Nei suoi scritti il nome di Dvořák appare centinaia volte, e Janáček diresse perfino la prima
esecuzione del poema sinfonico La colomba selvaggia, il 20 marzo 1898, ma tra i due c’è un
rapporto simile a quello che incorre tra Janáček e il Naturalismo. Forse un giovane Janáček trovò
interessanti e dense di significato le opere di Dvořák, le prime, insieme a quelle di Smetana, che
traducevano in musica “colta” la materia folklorica cèca. Tra i due ci fu un rapporto di amicizia e
grazie a Dvořák Janáček guadagnò le prime occasioni di successo.
! Una influenza, artistica e personale, è sicuramente riscontrabile nella scelta dei primi
soggetti: la prima opera di Janáček, Šárka, composta nel 1887, era un progetto abbandonato di
Dvořák186, e la cantata Amarus (1897, eseguita nel 1900) è uno dei suoi lavori in cui l’impronta
dvořákiana è più evidente.
! A partire dalla composizione di Jenůfa, però, la cui complessa gestazione passò attraverso la
morte della figlia e le prime separazioni dalla moglie, l’atteggiamento di Janáček riguardo al
rapporto tra la musica e la vita cambiò radicalmente, e, come abbiamo già visto, si osserva in lui
una volontà di andare oltre l’apparenza che si avvita con lo sviluppo di una idea del destino che si fa
progressivamente più determinante. Questi fatti si accompagnarono a un’esigenza nazionalista
alquanto pressante, che cominciò a contrapporsi al generico patriottismo di Dvořák e Smetana, per i
quali il modello tedesco permase di interesse culturale primario. Probabilmente la spinta verso il
folklore cèco c’è stata grazie a Dvořák, in un’ottica di iniziale patriottismo indeterminato e ideale,
ma successivamente, la ricerca di un senso da dare ai miti, in cui l’affermazione indipendetista cèca
era una componente fondamentale187 , fece giungere Janáček ad approcci più profondi, più autentici
186 Come già visto al puno I.1, il librettista Julius Zeyer aveva scritto il testo per Dvořák, che dopo un iniziale
entusiasmo quasi lo consegnò al trentenne e inesperto Janáček. Offeso, Zeyer negò a Janáček i diritti di
rappresentazione, e Šárka è stata eseguita solo nel 1925. Zeyer era molto devoto al mitologismo dvořákiano: nel 1898
scrisse il dramma Radúz e Mahulena, una storia d’amore simile a Romeo e Giulietta, intrisa della stessa idea folklorica
di Rusalka e dei poemi sinfonici di Dvořák, che andò in scena con le musiche di Josef Suk (1874-1935), amico di
Janáček, poi ampliate in un poema sinfonico intitolato Pohádka, nel 1912, molto probabilmente ispirato al
contemporaneo e similare (oltre che omonimo) lavoro di Janáček che abbiamo indagato al punto II.2.1.
187
Su questo argomento vedi infra, punto III.1.2. Cfr. anche BOJAN BUJIC, Le tradizioni nazionali, in JEAN-JACQUES
NATTIEZ, ROSSANA DALMONTE, MARIO BARONI, MARGARET BENT (a cura di), Enciclopedia della musica, vol. I: Il
Novecento, cit., pp. 93-94.
84
e di maggiore immedesimazione con la cultura popolare. Per questo motivo tra la Rusalka di
Dvořák e Příhody lišky Bystroušky ci sono molte più differenze che somiglianze, nonostante
un’analoga idea di partenza sul connubio tra reale e fantastico.
! Rusalka non costruisce nessi tra folklore e politica, né tra umanità e natura, né riflette sulla
portata utopica della materia mitica che tratta. Questi aspetti, invece, sono molto presenti in Příhody
lišky Bystroušky, poiché la ricerca etnografica di Janáček va molto più in profondità dell’interesse,
vivo ma in fin dei conti esteriore, che nutriva Dvořák: se per lui il folklore è un fattore importante
per la creazione di un retroterra comune cèco, ma niente di più, per Janáček è anche un fondamento
del comportamento umano, la base del modo di pensare degli uomini, la pianta generativa
dell’intera cultura, l’origine della psiche, che occorre indagare con sicurezza e in maniera totale se
si vuole generare una società nazionale, e non con la superficialità che traspare dalle pur suggestive
composizioni di Dvořák. Una superficialità evidente anche nel trovare materia sonora al tessuto
fantastico, come crudelmente osserva Massimo Mila: «Dieci battute di “musica della notte” di
Bartók, oppure la seconda scena del Wozzeck sono più dense e ricche di misteri dell’organica vita
della materia, che non le due ore di musica melodiosa del primo e terz’atto della Rusalka, pur con
tanta abbondanza di creature sorgenti dalle acque e d’effetti di onde sotto i raggi lunari».188
! In base a queste considerazioni si può affermare che la Rusalka di Dvořák ci è utile solo per
comprende pochi elementi di Příhody lišky Bystroušky, in misura non maggiore di altre fiabe
musicali europee.
188 MASSIMO MILA, Cronache musicali 1955-1959, Torino, Einaudi, 1959, p. 278. Una analisi consuntiva dei rapporti
tra Janáček e Dvořák è in JOHN TYRELL, The Lonely Blackbird, cit., pp. 258-265.
85
II.2.2.2 - La principessa cinese
! Il rintracciare nel folklore i sistemi di pensiero rende le idee di Janáček molto simili a quelle
di Bartók. Infatti, tra A kékszakállú herceg vára e Příhody lišky Bystroušky ci sono somiglianze
cocenti, che occorrerà definire meglio nelle conclusioni. Il pensiero sottostante alle due opere è il
medesimo: una vicenda complessa e ricca di significati psichici che incorpora in sé storie popolari e
inconscio collettivo. Come vedremo meglio, per motivi connessi alla grande fede utopico-politico-
naturalista di Janáček, in Příhody lišky Bystroušky le premesse presenti anche in A kékszakállú
herceg vára si risolvono in un insolito lieto fine, invece che nell’oscurità nichilista voluta da Bartók.
Di questo argomento parleremo meglio in seguito. Qui basti sottolineare come, per quel che
riguarda l’utilizzo della forza psicologica della fiaba, Janáček si comporta in modo analogo a
Bartók.
! Un’ultima fiaba musicale che sorprendentemente sembra basarsi sui medesimi criteri seguiti
da Janáček è la Turandot (1924-1926) di Giacomo Puccini. Pur nata in circostanze del tutto
indipendenti da qualsivoglia mito folklorico, l’opera di Puccini ha in comune con Příhody lišky
Bystroušky molti elementi: anche lei presenta un sistema misto di realtà e magia189 e anche lei usa i
simboli fiabeschi per arrivare a un lieto fine.
! Janáček nomina spesso Puccini, sia perché invidia i suoi guadagni190, sia perché ammira la
sua libertà armonica e motivica, insieme a quella di Mascagni.191 Però, nella ideale lista di
compositori vicini a lui quanto a poetica, che inviò a Max Brod e che poi pubblicò sul «Lidové
noviny» del 13 febbraio 1927, non lo menziona, così come non cita altri operisti come Musorgskij,
Wagner e Strauss, a cui vengono preferiti Beethoven, Debussy e i cèchi Smetana e Dvořák.192
189 Il connubio tra reale e fantastico è evidente in due scene del primo atto di Turandot: l’invocazione alla luna, che
sembra compiersi in un’atmosfera di trance collettiva, e l’apparizione dei fantasmi, quasi un adynaton allucinato che
però il protagonista Calaf accetta come assolutamente reale, come ben spiegano gli esegeti pucciniani: «[nella scena dei
fantasmi], come nel coro di invocazione alla luna, non c’è sensazione di trapasso fra il reale e il fantastico; piuttosto la
fusione tra incubo e realtà»: MICHELE GIRARDI, Giacomo Puccini. L’arte internazionale di un musicista italiano,
Venezia, Marsilio, 1995, p. 462, un connubio che si riscontra identico anche in Janáček.
190 In una lettera a Gabriela Horvátová (del 26 febbraio 1918) Janáček si lamenta che per i diritti di rappresentazione
estera di Jenůfa, la drammaturga Gabriela Preissová, autrice del soggetto, gli chiedeva una somma che «non avrebbe
pagato neanche Puccini». La lettera è in JAN RACEK, Korespondence Leoše Janáčka s Gabrielou Horvátovou, Praha,
Hubendí matice, 1950, pp. 75-76, commentata in inglese in TOTF, pp. 228-229.
191Al punto I.1 abbiamo accennato alla sua recensione di Cavalleria rusticana sul «Moravské listy» del 12 marzo 1892
(pubblicata in inglese in MIRKA ZEMANOVÁ [ed.], Janáček’s Uncollected Essays on Music, cit., pp. 174-175, e tradotta
in italiano in FRANCO PULCINI, Janáček. Vita, opere, scritti, cit., pp. 287-288, da cui cito), in cui ammirava «i
compositori [...] che si liberano dalle loro catene [...] e gioiscono della loro riacquistata libertà nel progresso armonico e
tonale». LEON BOTSTEIN, The Cultural Politics of Language and Music: Max Brod and Leoš Janáček, in MICHAEL
BECKERMAN (ed.), Janáček and His World, cit., p. 33, estende l’ammirazione per Mascagni anche a Puccini.
192La lettera pubblicata è tradotta in inglese in MIRKA ZEMANOVÁ (ed.), Janáček’s Uncollected Essays on Music, cit.,
pp. 105-107 e commentata in TOTF, p. 507.
86
! Sappiamo, comunque, di una sicura suggestione che le opere del maestro lucchese gli
procurarono, tra le altre novità che giungevano a Praga all’inizio del ‘900. Vide dal vivo solo due
opere di Puccini, Tosca (1900), al Teatro Nazionale, il 26 novembre 1903, e Madama Butterfly
(1904), al Teatro Vinohrady, il 16 febbraio 1908. Per quest’ultima provò un autentico entusiasmo,
che si rinnovò a una seconda visione, a Brno, il 5 dicembre 1919 e che gli fece scrivere a Kamila
Stösslová che «Batrflay [sic], [è] una delle opere più belle e tristi».193
! Molti ritengono che l’opera di Puccini sia stata una fonte primaria per Kát’a Kabanová194,
ed è certo che il suo soggetto si impresse nella mente di Janáček, che nomina Madama Butterfly
anche nel feuilleton del 1922 Inizio di un romanzo:195
15 febbraio, verso sera. Il crepuscolo delle sei, non lontano dalla stazione. Due ragazze aspettano. Sul
marciapiede, la più alta delle due, che aveva l’incarnato roseo e portava un cappotto rosso, ebbe un
brivido. Cominciò a parlare con tono brusco: “Lo aspetteremo qui e già so che non verrà”. L’altra, che
aveva un colorito pallido ed era vestita in modo assai dimesso, interruppe l’ultima nota con l’eco mesta,
cupa, del suo animo: “Che m’importa”. E rimaneva là, incerta tra la ribellione e l’attesa [...] “Che
m’importa”. Avrà atteso che lui arrivasse o non arrivasse? Madama Butterfly? Avrà aspettato invano?
Oltre agli echi di Madama Butterfly, tra Janáček e Puccini si possono osservare altre somiglianze
benché paradossali. Per esempio, certi critici notano che è quasi impossibile non pensare a una
derivazione pucciniana davanti al doppio duetto del finale del secondo atto di Kát’a Kabanová,
strutturato in modo pressoché identico al finale del terzo atto di La bohème (1896).196
! Queste curiose affinità, comunque, sono state ridimensionate da certa critica, che avverte che
ogni cosa che riusciva ad arrivare alle orecchie di Janáček nella lontana Brno non era sentita come
un modello da imitare ma come una consolazione, una gradita conferma che qualcun’altro, in un
193«Batrflay [sic] [is] one of the most beautiful and saddest of operas»: la lettera, datata proprio 5 dicembre 1919, è la
numero 145 di SVATAVA PŘIBÁŇOVÁ (a cura di), Hádanka života, cit., tradotta in inglese in JOHN TYRELL (ed.), Intimate
Letters: Leoš Janáček to Kamila Stösslová, London, Faber & Faber, 1994, p. 29.
194DIANE M. PAIGE, Janáček and the Captured Muse, in MICHAEL BECKERMAN (ed.), Janáček and His World, cit., p.
86; e TOTF, pp. 360-361.
195Abbiamo già parzialmente citato il feuilleton (vedi supra, punto I.1), di cui riporto la traduzione parziale ma poetica
presente in MILAN KUNDERA, I testamenti traditi, cit., pp. 134-136, che paragona lo scritto di Janáček al finale del
racconto di Ernest Hemingway Hills Like White Elephants del 1927: per Kundera, le due espressioni artistiche sono due
tappe del processo di superamento delle convenzioni rappresentative romantiche e del raggiungimento del «presente
perduto».
196 «Si consideri, inoltre, la situazione del finale II di Kát’a Kabanová, dove la coppia felice e spensierata, Varvara e
Kudrijáš, fronteggia in una sorta di quartetto che è, in realtà, un doppio duetto, quella degli amanti seri e tormentati,
Katěrina e Boris: come non pensare al finale III di Bohème»: MICHELE GIRARDI, «Kát’a Kabanová», una tragedia in
riva al Volga, in RICCARDO PECCI (a cura di), Leoš Janáček: Kát’a Kabanová, programma di sala del Teatro La Fenice
di Venezia, Venezia, Teatro La Fenice, 2003, p. 10. Inoltre, TOTF, p. 805, considera i soprani drammatici di Janáček
estremamente imparentati con quelli di Puccini.
87
ambiente più cosmopolita del suo, fosse arrivato alle sue stesse conclusioni; qualsiasi scampolo
della cultura europea all’avanguardia che raggiungeva i suoi stessi intenti veniva salutato da
Janáček come un amico: voleva significare che le sue idee, così bistrattate in Moravia, erano invece
moderne e ispiravano anche i più grandi compositori europei, ed era l’ambiente culturale cèco ad
essere retrogrado. Per cui quando nei suoi appunti troviamo riferimenti a Puccini (o anche a
Debussy) sono da intendere più come stimoli e conferme del suo lavoro che come influenze da
seguire.197
! Nonostante la doverosa prudenza,
occorre constatare che entrambi hanno usato la
fiaba nel medesimo modo. Tutti e due si
instradano nel solco della fiaba musicale a lieto
fine di Strauss, Korngold e Ravel, ma entrambi
giungono al finale lieto attraverso la morte di
uno dei protagonisti: Liù in Turandot e la stessa
Bystrouška in Příhody lišky Bystroušky (fatto
totalmente estraneo alla trama di Těsnohlídek,
in cui la volpe vive per sempre felice e
contenta con Zlatohřbítek).
! Un happy end che arriva di sorpresa, ad
allietare una storia tutto sommato tragica, è un
topos presente sia in Janáček sia in Puccini
(nella foto). In Jenůfa, la terribile vicenda di
infanticidio e di oppressione viene riscattata
dalla sorprendente speranza della protagonista, che riesce a perdonare Laca per i fatti passati e
avviarsi con lui verso un futuro migliore198; in Kát’a Kabanová la pace che Kát’a trova nel bosco e
nel fiume fanno quasi dimenticare il suo suicidio, dando al finale, certamente tragico, un’aura di
compiutezza tutt’altro che negativa; in Makropulos, nella morte, Elina Makropulos trova finalmente
il senso della vita, e la distruzione del foglio che reca la maledetta formula in grado di conferire la
vita eterna, da parte della giovane Kristina, fa apparire la conclusione come un ristabilirsi di un
197Vedi MILOŠ ŠTĚDROŇ, Leoš Janáček a hudba 20. století, Brno, Nadace Universitas Masarykiana, 1998, e MZCL, p.
178-179; LUIGI PESTALOZZA, Leoš Janáček, cit., p. 37, avverte anche come certi puccinismi nella musica di Janáček
siano da attribuirsi spesso ad esecuzioni non rispettose delle implicazioni culturali e stilistiche necessarie: su questo
argomento vedi anche JAN RACEK, JIŘÍ VYSLOUŽIL, JESSIE KOCMANOVÁ, Problems of Style in 20th-Century Czech
Music, in «The Musical Quarterly», LI/1 (January 1965), Oxford, Oxford Unversity Press, 1965, pp. 191-204.
198ALEX ROSS, Il resto è rumore, cit., p. 139, afferma che il finale di Jenůfa colpì profondamente il pubblico di Vienna
nel 1918. «Dopo la devastazione dela guerra, Janáček aveva provocato lo shock della speranza».
88
equilibrio da lungo tempo perduto, in una sorta di sospiro di sollievo musicale. In un modo simile a
quello di Janáček, almeno due delle opere di Puccini cercano un finale felice, sfidando anche la
verosimiglianza: La fanciulla del West (1910) si conclude con un’orda di cowboy forcaioli che si
muove quasi magicamente a pietà per via delle suppliche di Minnie, e Suor Angelica (1918) con la
Madonna in persona che, pietosa, accoglie un’anima innocente, seppur suicida, in Paradiso.199
! La morte di Bystrouška in Příhody lišky Bystroušky, e quella di Liù in Turandot si risolvono
in lieto fine in modo sorprendentemente identico. Entrambe indicano che la felicità si può
raggiungere solo con il sacrificio e sembrano asserire che qualsiasi gioia (e, di conseguenza,
qualsiasi utopia politica) è imperfetta in quanto generata da sacrifici; ed entrambe ispirano
comunque un cambiamento in senso quasi libertario del mondo in cui vivono: la scomparsa di
Bystrouška, come vedremo meglio, ispira al Guardiacaccia una riflessione sull’importanza di una
maggiore congruenza tra l’umanità e la natura, e la dipartita terribile di Liù riesce a mettere in crisi
la crudeltà di Turandot, tanto da farla aprire all’amore di Calaf e a mettere fine al suo regno di
terrore.
! Turandot, quindi, è un ottimo esempio per comprendere come Příhody lišky Bystroušky usa
la fiaba, perché in essa sono presenti elementi, messaggi e finalità molto simili.200
199L’apparizione della Madonna dà quasi sempre dei grattacapi ai registi impegnati nel mettere in scena Suor Angelica,
che si chiedono se interpretare la cosa come effettiva o in senso metaforico, vedi WILLIAM FRIEDKIN, Il buio e la luce.
La mia vita e i miei film, trad. it. di Alberto Pezzotta, Milano, Bompiani, 2013, pp. 521-523.
200 Janáček ha che fare con Turandot in una curiosa circostanza. Durante una sua visita in Inghilterra, nel 1926, Rosa
Newmarch tentò di far rappresentare Jenůfa al Covent Garden; l’impresa era quasi riuscita, ma il battage pubblicitario
operato da Casa Ricordi per la promozione di Turandot (l’ultima opera di Puccini) fecero propendere i gestori del teatro
a rappresentare quella al posto di Jenůfa, che ricevette la sua prima britannica solo nel 1956, proprio al Covent Garden,
con la direzione d’orchestra di Rafael Kubelík (1914-1996). Cfr. TOTF, p. 606.
89
II.2.3 - Bambini, psicanalisi, utopia
! Uno dei motivi che probabilmente hanno spinto Janáček ad avvicinarsi alla fiaba è stato la
possibilità di attribuire una vita agli oggetti inanimati, esattamente come vuole il pensiero animista.
! Bruno Bettelheim201 afferma che la fiaba è animista per adattarsi alla visione dei bambini,
che, ancora a 12 anni, sono convinti che le cose e gli oggetti abbiano una vita propria, come hanno
perfettamente dimostrato gli esperimenti di Jean Piaget. 202
! Scrive Bettelheim:203
+ Per il bambino di otto anni (per citare gli esempi di Piaget), il sole è vivo perché dà la luce (e si
può aggiungere, la dà perché vuole darla). Per la mentalità animistica del bambino, il sasso è vivo perché
può muoversi, quando rotola giù dal pendio in un colle. Perfino un bambino di dodici anni e mezzo è
convinto che un fiume è vivo e ha una volontà, perché le sue acque scorrono. Egli crede che il sole, il
sasso e l’acqua siano abitati da spiriti assai simili alle persone, e che quindi sentano e agiscano come
persone.
+ Per il bambino, non esiste una linea netta che separa gli oggetti dagli esseri viventi, e qualsiasi
cosa abbia vita ha una una vita molto simile alla nostra. Se noi non capiamo quello che rocce, alberi e
animali hanno da dirci, il motivo è che non siamo abbastanza in sintonia con loro. Per il bambino che
cerca di capire il mondo sembra ragionevole attendersi delle risposte da quegli oggetti che suscitano la
sua curiosità. E, dato che il bambino è egocentrico, si aspetta che l’animale parli delle cose che sono
realmente importanti per lui, come gli animali fanno nelle fiabe, e come il bambino stesso fa con i suoi
animali veri o animali giocattolo. Un bambino è convinto che l’animale comprenda e senta con lui, anche
se esso non lo mostra palesemente.
Stando alle sue particolari idee su ciò che si può considerare ‘reale’, idee che abbiamo esplorato
nella prima parte di questo lavoro, non si esagererebbe nel dire che il tipo di animismo infantile che
descrive Bettelheim calza a pennello con il modello di pensiero dello stesso Janáček: questa
interpretazione dà un senso psicanalitico al suo trattamento simbolico dei boschi, dei fiumi e dei
mulini, tutti oggetti a cui Janáček sembra dare una vita propria (con tanto di frequenti «voci della
foresta», presenti in molte sue opere) esattamente come fa il bambino animista e come fa la fiaba
che traduce quell’animismo in narrazione. Queste idee raggiungono l’apoteosi in Příhody lišky
Bystroušky, in cui libellule, alberi e girasoli vengono trattati con la stessa importanza dei
201BRUNO BETTELHEIM, Il mondo incantato: uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, trad. it. di Andrea
D'Anna, Milano, Feltrinelli, 1977, 200813, pp. 48-51.
202JEAN PIAGET, La rappresentazione del mondo nel fanciullo, trad. it. di Maria Villaroel, Torino, Bollati Boringhieri,
1966, 20133, parte seconda L’animismo infantile, pp. 175-258.
204Per il gallo, la gallina Chocholka, il cane Lapák, i polli dell’aia, il grillo, la cavalletta e il piccolo ranocchio, Janáček
voleva «ragazze approssimativamente quindicenni» («girls approximately fifteen years old»), cfr. EC, p. 14.
sono poi così diverse dalle personificazioni della fiaba. Quando parliamo dell’asociale e irragionevole Es
che travolge il debole Io, o dell’Io che esegue gli ordini del Super-Io, queste immagini scientifiche non
sono molto diverse dalle allegorie della fiaba. In essa, il povero e debole fanciullo si trova di fronte alla
potente strega che conosce soltanto i propri desideri e agisce conformandosi ad essi, senza minimamente
badare alle conseguenze. Quando l’umile sarto nella storia del fratelli Grimm Il sartino coraggioso riesce
a sconfiggere due colossali giganti inducendoli a combattere tra loro, non agisce forse come fa l’Io debole
quando oppone l’Es al Super-Io e, neutralizzando le loro energie contrarie, ottiene un controllo razionale
su queste forze irrazionali?
Lo studioso ne deduce, quindi, che la fiaba è il tipo di storia migliore per aiutare la mente del
lettore! a fare ordine in sé stessa: la fiaba, con il suo particolare uso di allegoria mentale, coadiuva la
psiche ad armonizzare i suoi diversi elementi. Le avventure anche inquietanti di cui è costituita
rappresentano i conflitti delle diverse parti dell’inconscio, e il lieto fine che si raggiunge, grazie alla
sagacia, al coraggio, o alla tranquillità dell’eroe funziona come modello consolante: trovare una
sintesi serena di queste laceranti lotte interiori è possibile, e il «vissero tutti felici e contenti» della
maggior parte delle conclusioni fiabesche simboleggia la vita di una mente che finalmente ha
trovato un’armonia unitaria.
! Le biografie di Janáček ci informano di un precoce interesse verso la psicologia: nel 1869,
una volta terminato lo studio della musica al monastero di Brno con Pavel Křížkovský, Janáček,
quindicenne, si iscrisse all’Istituto per insegnanti di Brno, per seguire le orme del padre, maestro di
scuola. Qui presenziò alle lezioni di psicologia di Josef Parthe208 ed entrò in contatto con gli
esperimenti di Wilhelm Wundt (1832-1920), il primo medico a definirsi uno ‘psicologo’. Inoltre, ci
sono coincidenze anagrafiche che lo avvicinano a Freud: lo psicanalista è nato a Přibor, il paese
natale della madre di Janáček, a neanche dieci chilometri di distanza da Hukvaldy, solo due anni
dopo il compositore.209
208Nella sua autobiografia, Janáček appunta un unico ricordo riferito ai suoi tre anni di frequentazione dell’Istituto per
insegnanti: «The Teachers’ Institute in the Minorite monastery. I think with gratitude of Dr Parthe from
psychology» («L’Isitituto per gli insegnanti nel convento francescano. Penso con gratitudine al Dr Parthe di
psicologia»): ADOLF VESELÝ (a cura di), Leoš Janáček, cit., p. 29, tradotto in inglese in JOHN TYRELL, The Lonely
Blackbird, cit., p. 64. Vedi anche VLADIMÍR HELFERT, Leoš Janaček: obraz životního a uměleckého boje, vol. I: V
poutech tradice, Brno, Oldřich Pazdírek, 1939, p. 72.
209 Cfr. FRANCO PULCINI, Janáček. Vita, opere, scritti, cit., p. 45.
92
! Abbiamo visto nella prima parte quanto la psicologia sia
importante per la concezione di realismo di Janáček: grazie a
essa si può andare oltre la superficie delle cose e si può
comprendere meglio la realtà. Perciò utilizzare sistematicamente
in un’opera intera un genere che, come dice Bettelheim (nella
foto), è così connesso con i lavorii mentali, rappresenta uno step
quasi ovvio per Janáček, che, abbiamo notato, sembra da
sempre ansioso di dare materia sonora alla mente umana. Infatti,
molte caratteristiche che Bettelheim porta come prova del fatto
che la fiaba sia letteralmente ambientata nell’inconscio sono
presenti in Příhody lišky Bystroušky. Per esempio nell’opera i personaggi non hanno nome: non si
sa come si chiamino il Guardiacaccia, l’Insegnante e il Parroco; gli animali hanno appellattivi che
richiamano le loro qualità (Bystrouška che ha le orecchie piccole e fini, Zlatohřbítek che ha il pelo
d’oro, Lapák che acchiappa tutto, la gallina Chocholka che ha il ciuffo); e se ci sono nomi (il
bracconiere Harašta, l’oste Pásek, i bambini Frantík e Pepík) sono comunissimi, tanto da essere
quasi termini generici. Questa spersonalizzazione del nome svincola la vinceda da qualsiasi ombra
di individualismo: non parla a nessuno in particolare, e quindi può parlare a tutti, e si riferisce ad un
generico stato mentale privo di identificazione.210
! Inoltre, l’opera è ambientata in una intricata foresta che «fin dall’antichità [...] ha
simboleggiato l’oscuro, nascosto, quasi impenetrabile mondo del nostro inconscio».211
! Un altro fattore che molti considerano precipuo della fiaba è quello secondo cui le narrazioni
fiabesche hanno dentro di loro un alto valore utopico. Franco Cambi osserva che «in quella società
dei “felici e contenti” si instaura un ordine equlibrato, sano e giusto; di una società idillica, ma che
rispecchia un quadro naturale, sereno, in cui la realizzazione dell’individuo è prospettata,
egualitariamente, per tutti dal racconto (nella possibilità)».212 Riccardo Pontegobbi afferma che «il
modus operandi dell’intreccio fiabesco è fondamentalmente quello del viaggio intrapreso dall’eroe,
211 Ivi, p. 93. Il parallelismo inconscio-foresta è comunissimo e indagato anche in VLADIMIR JAKOVLEVIČ PROPP, Le
radici storiche dei racconti di fate, cit., capitolo III La foresta misteriosa, pp. 83-178; e, più in generale, in JOSEPH
CAMPBELL, L’eroe dai mille volti, trad. it. di Franca Piazza, Torino, Lindau, 2012; e JESSIE L. WESTON, Indagine sul
Santo Graal, trad. it. di Laura Forconi Ferri, Palermo, Sellerio, 2005. La critica letteraria ha trovato un uso inconscio
della foresta anche in Shakespeare, vedi GIORGIO MELCHIORI, Shakespeare. Genesi e struttura delle opere, Roma-Bari,
Laterza, 1994, 20102, soprattutto i capitoli che riguardano As You Like It e The Tempest; e RICHARD DUTTON, Modern
Tragicomedy and the British Tradition, Brighton, Harvester, 1986.
212FRANCO CAMBI, Società arcaica e società ideale nella fiaba, in FRANCO CAMBI, SANDRA LANDI, GAETANA ROSSI,
L’immagine della società nella fiaba, Roma, Armando, 2008, p. 24.
93
che altro non è se non un viaggio utopico, un percorso attraverso il quale si compie la
trasformazione della propria vita migliorandola».213 Gianni Rodari, nel discorso di ringraziamento
per il premio Andersen nel 1970, disse che le fiabe avevano in sé la fantasia per «immaginare un
mondo migliore di quello in cui viviamo e [davano la forza per] mettersi a lavorare per
costruirlo».214 Infine, Jack Zipes e Dieter Richter hanno scritto saggi interi sulla capacità sociale
delle fiabe.215
! Abbiamo visto nel capitolo precedente che Příhody lišky Bystroušky si inquadra solo
parzialmente nel genere della favola a causa della sua componente utopistica, che la fa somigliare
più a Orwell che a Esopo. Non stupisce, pertanto, che Janáček apprezzi di più un genere come la
fiaba, che, al contrario, ha una grande carica utopica. La fiaba, quindi, sintetizza perfettamente
molte delle componenti della poetica janáčekiane: animismo infantile, psicologismo e utopia.
! Riassumendo in una singola frase le caratteristiche che abbiamo enunciato fino a questo
momento, diremo che la fiaba è un tipo di narrazione in cui il guardare con lo sguardo di un
bambino che vede vita e sentimento in ogni cosa, e quindi è in un contatto privilegiato con la
natura, ci fa giungere a una sintesi armoniosa delle nostre pulsioni psichiche, generando così un
mondo migliore. Questa sintesi è anche perfetta per compendiare il pensiero di Janáček. La visione
idilliaca della sua infanzia, fatta di totale felicità a contatto con le bestie e i boschi, per lui costituiva
la cellula di una possibile società nuova. Nelle sue avventure fanciullesche a Hukvaldy, il
compositore credeva di aver trovato il segreto della felicità, in una ideale condizione di perenne
benessere infantile, in cui l’uomo adulto con la capacità di vedere il mondo con la stessa estasi dei
bambini, ritorna a essere parte della natura, e a riconoscersi fratello degli animali e delle fronde e
non un loro dominatore. Nel ricreare quella condizione si realizza l’utopia di Janáček. Detto questo
appare quasi ovvio che Janáček si sia sentito attratto dal modello narrativo fiabesco, che ha tutte le
caratteristiche per dare forma narrativa a quell’utopia.
! In Příhody lišky Bystroušky c’è, quindi, tutta la carica utopica del pensiero di Janáček
presentata come fiaba, un genere che gli permette di parlare nel modo più universale, persuasivo,
sintetico e consolante possibile, grazie al suo sicuro lieto fine, al suo linguaggio animista, e al suo
fascinoso utilizzo della metafora psicanalitica.
! La fiaba gli permette anche di sintetizzare nel miglior modo possibile il suo pensiero
antropo-poietico. Grazie al pensiero animista e al simbolismo inconscio, la fiaba ha in sé un modo
215JACK ZIPES, Spezzare l’incantesimo. Teorie radicali su fiabe e racconti popolari, trad. it. di Giorgia Grilli, Milano,
Mondadori, 2004; ID., Chi ha paura dei fratelli Grimm? Le fiabe e l’arte della sovversione, trad. it di Giorgia Grilli,
Milano, Mondadori, 2006; DIETER RICHTER, La luce azzurra, cit., passim.
94
di rappresentare le relazioni tra uomini e animali molto più congeniale alla filosofia di Janáček.
Abbiamo visto come la favola, nonostante le apparenze, tendesse a tenere separati i due mondi: le
caratteristiche umane si trasferivano agli animali ma solo superficialmente, visto che tra umani e
bestie permaneva una sostanziale separazione che solo la favola novecentesca ha cercato di
distorcere. Come abbiamo visto a proposito di Le tracce del lupo, per Janáček uomo e animale sono
quasi la stessa cosa, come accade nella fiaba, un genere che ha una più diretta derivazione dal
pensiero primitivo antropo-poietico così simile a quello di Janáček. Non si contano, infatti, i casi di
identità tra uomini e bestie nelle fiabe216 , così come tra bambini e animali.217 Per tutte queste
ragioni, Janáček si è affidato alla fiaba per recare il suo messaggio utopistico e per sintetizzare la
sua poetica.
II.2.4 - Doppelgänger
II.2.4.1 - Lo sdoppiamento stimolante
! Apparirà strano affiancare Příhody lišky Bystroušky a un tipo di storia come la fiaba, pieno di
matrigne, orchesse e lupi che divorano le nonne. Guardando da vicino, però, scopriamo che quei
personaggi, non solo sono stati già visti con interesse da Janáček (abbiamo molte volte citato le
sembianze da matrignia grimmiana di Kostelnička in Jenůfa), ma aiutano a comprendere uno dei
più disperati grattacapi che l’ermeneutica janáčekiana si è trovata a dover risolvere: i doppi ruoli
che in essa sono presentati.
! Nella partitura è indicato che l’Insegnante deve cantare anche la parte della zanzara, il
Parroco quella del tasso, la moglie del Guardiacaccia della civetta, e chi interpreta il gallo deve
incarnare anche una ghiandaia.
! I primi esegeti di Janáček hanno attribuito la cosa a esigenze di casting: più le parti sono
sdoppiate, meno cantanti occorrono e più si riducono i costi.218 Chi dice questo non ricorda che
anche in una delle prime opere di Janáček, Výlety páně Broučkovy (elaborata dal 1908 al 1916 in
due parti e rappresentata come unicum nel 1920), è presente un tipo di sdoppiamento simile.
216 Per una trattazione sintetica dell’argomento, vedi NICOLE BELMONT, L’animalità nella fiaba. Metamorfosi degli
animali nella fiaba, trad. it. di Sergio Dalla Bernardina, in «La ricerca folklorica», 48 (ottobre 2003), Brescia, Grafo,
2003, pp. 77-88; MARIE-LOUISE VON FRANZ, Le fiabe interpretate, trad. it. di Nadia Neri, Torino, Bollati Boringhieri,
1980 (rist. 2012); e BRUNO BETTELHEIM, Il mondo incantato, cit., § Il ciclo fiabesco dello sposo-animale. La lotta per
la maturità, pp. 266-298.
217«animali o ragazzini[, nella fiaba, hanno entrambi una] maggiore vicinanza allo “stato di natura”»: RICCARDO
PONTEGOBBI, C’era una volta l’utopia, cit., p. 63.
218 Parlo meglio delle reazioni critiche ai doppi ruoli, con le dovute indicazioni bibliografiche, al punto IV.2.
95
! L’opera nacque come accusa dell’atteggiamento pavido e opportunista della classe borghese
cèca, che non si curava di ottenere una maggiore libertà intellettuale ma si limitava ad adeguarsi e a
vivacchiare sotto il giogo del potente di turno. Per criticare questo atteggiamento, Janáček inventò,
con non pochi ripensamenti e riscritture (l’opera è stata “in cantiere” per quasi vent’anni), due
metafore, che satireggiavano i comportamenti del meschino Matěj Brouček, il borghesissimo
protagonista.
! Nella prima parte, ambientata nel 1888, Brouček, un anonimo possidente, dopo una notte
passata in taverna, si trova a consolare Málinka, innamorata di un suo fittavolo, lo squattrinato
Mazál. Un po’ alticcio, Brouček accetta di sposare Málinka al posto di Mazál, ma, ritrovata la
lucidità, si rammarica di dover sposare una donna molto meno ricca di lui. Cerca Málinka e la
convince a ritornare da Mazál. Infastidito dal suo coinvolgimento nelle storie personali dei suoi
fittavoli, Brouček torna a bere e sogna di vivere in una fantastica nuova società sulla luna. I seleniti
sono sereni e buoni ma, con grande orrore di Brouček, sotto tutti artisti squattrinati che amano la
poesia e la musica. In un tempio, Brouček vede che il cantore ha le fattezze di Mazál, ma dice di
chiamarsi Blankytný, e si dichiara servo della dea Etherea. Il canto di Blankytný è un’invocazione
alla dea, che si manifesta, e Brouček si accorge che è identica a Málinka. Ritenendola la più ricca
tra i seleniti, Brouček si mette a fare la corte a Etherea, che ricambia, preferendo lui all’aedo
Blankytný. Etherea e Brouček spiccano insieme il volo sul cavallo alato Pegaso, arrivando al grande
tempio delle arti, in cui Brouček è salutato come un ospite d’onore e come l’avventore più moderno
e alla moda. Nel tempio gli artisti fanno sfoggio di poesia e di talento pittorico, e, nonostante
abbiano tavole imbandite con polli allo spiedo e invitanti arrosti, non mangiano nulla, preferendo
annusare i fiori. Si aspettano che anche Brouček si comporti allo stesso modo; questi però si
dimostra infastidito dal profumo, e irritato dalle arti, che lui considera inutili. Si mette a mangiare
un maiale arrostito, provocando la furia degli artisti seleniti che si avventano contro di lui,
costringendolo a fuggire in groppa a Pegaso. A quel punto, Brouček si risveglia nella taverna di
Praga, sollevato di non essere inseguito da nessuno, e sentendo in lontananza il duetto d’amore tra
Málinka e Mazál tornati felicemente insieme.
! Nella seconda parte, Brouček, ancora in taverna, parla con gli avventori dei tunnel
medioevali di Praga. Ubriaco, si ritrova nel 1420, durante la rivolta di Jan Hus (1369-1415) contro
il Sacro Romano Impero. Tra i rivoltosi hussiti, Brouček riconosce Málinka e Mazál nei popolani
Kunka e Petřík. Viene sospettato di essere una spia germanica, visto che non conosce i modi di dire
cèchi e usa molti vocaboli tedeschi. Riesce a convincerli che è dalla loro parte, ma una volta vista
nella piazza di Praga la legione imperiale armata contro di loro, fugge via, disertando la battaglia.
Gli hussiti ottengono una faticosa vittoria e condannano Brouček per tradimento: sarà bruciato vivo
96
in una botte di birra. Rinchiuso nella botte, Brouček si lamenta, cercando di uscire, e quando ci
riesce, si ritrova tra le botti della sua taverna di Praga.
! Nell’opera non solo Málinka e Mazál ma anche tutti i personaggi che Brouček incontra
hanno un corrispettivo sulla luna e nel 1420. Il padre di Málinka, Sakristán, sulla luna è Lunobor e
tra gli hussiti è il saggio Domšík; il taverniere Würfl è il cuoco selenita Čaroskvoucí, che prepara il
maiale arrosto che Brouček addenta, e anche il consigliere hussita Kostka.
! In ogni mondo, quindi, c’è un doppio per ogni
personaggio, con Brouček unico elemento fisso
immutato nelle due ambientazioni. Un modo simile
di concepire lo sdoppiamento personale è presente
in Les contes d’Hoffmann (1881) di Jacques
Offenbach (nell’immagine). In quest’opera, l’ultima
fatica di Offenbach, che riuscì a completarla ma non
ad approntarne una definitiva revisione, Hoffmann e
il suo fido amico Nicklausse sono in una taverna di
Norimberga e attendono la diva Stella, una cantante
di cui Hoffmann è innamorato, ma che sembra
essere già in accordi amorosi con il taverniere
Lindorf. Ubriaco, Hoffmann ricorda le sue tre storie
d’amore con tre donne diverse (Olympia, Antonia,
Giulietta), ambientate in tre diverse città (Parigi,
Monaco di Baviera, Venezia), a cui un essere
malvagio (Coppélius, Miracle, Dapertutto) ha dato
sempre una conclusione tragica, uccidendo l’amata.
Le tre donne hanno lo stesso volto e sono la personificazione del bisogno d’amore del poeta, e i tre
identici malvagi sono il simbolo della disperazione che sempre riesce a raggiungelo. Hoffmann si
rende conto che la storia sta per ripetersi, poiché Stella è identica alle altre tre e Lindorf è una nuova
personificazione del male. Nel finale, l’amico Nicklausse si rivela essere la Musa di Hoffmann,
colei grazie alla quale il poeta può sublimare le sue disperazioni nell’arte.
! Janáček vide l’opera di Offenbach nel 1892 e ne scrisse una entusiastica recensione per il
«Moravské listy» del 20 gennaio di quell’anno219 : non è, quindi, un azzardo dire che potrebbe
essersi ispirato al collega francese per la strutturazione dei doppi ruoli in Výlety páně Broučkovy. In
219La recensione è tradotta in inglese in MIRKA ZEMANOVÁ (ed.), Janáček’s Uncollected Essays on Music, cit., pp.
172-173.
97
Příhody lišky Bystroušky i doppi ruoli non sono trattati in modo sostanzialmente diverso, salvo che i
due mondi in cui sono coinvolti non sono nettamente separati come in Výlety páně Broučkovy e in
Les contes d’Hoffmann, ma fanno parte della medesima storia e del medesimo ambiente. Questa
fusione dei diversi mondi in uno trova una spiegazione nel fatto che, in Příhody lišky Bystroušky, le
persone non sdoppiano loro stesse in altre persone, ma si rispecchiano in animali; il Parroco,
l’Insegnante e la moglie del Guardiacaccia non proiettano il loro spirito in un sogno o in altri
personaggi lontani, ma in bestie che popolano il bosco che hanno dietro casa.
! Nel capitolo sugli animali abbiamo illustrato quanto Janáček considerasse il mondo degli
umani e quello delle fiere come completamente uniti e consustanziale, esattamente come facevano
gli uomini preistorici e gli egizi. L’espediente di vedere lo stesso carattere di un personaggio umano
in una bestia sottolinea questo aspetto: il mondo umano e quello naturale sembrano divisi, ma in
realtà sono la stessa cosa, per cui è assurdo pensarli come separati, e quando gli uomini capiranno
questo, allora potrà originarsi una nuova e più giusta società.
! Nel capitolo sulla favola, abbiamo cercato di contestualizzare la necessità di Janáček di
vedere come unici i mondi dell’uomo e della natura, paragonando il suo pensiero a quello di
Michael Ende nel romanzo Die unendliche Geschichte, che raccontava delle avventure e
tribolazioni necessarie per riunificare l’universo fantastico alla realtà. Come per Ende quella unione
era alla base di un vivere più profondo e libero, così è per Janáček l’identità tra uomo e natura, e per
decantarla poeticamente il compositore usa la stessa arma dello scrittore tedesco: una fiaba.
! Bettelheim ci informa che in accordo con il modo di pensare infantile, lo sdoppiamento è
una componente essenziale del racconto. Secondo Margaret Mahler220, il bambino riesce a elaborare
i diversi caratteri di chi gli sta attorno, soprattutto della madre, se personifica i diversi modi in cui
ella gli appare: il bambino non riesce a comprendere che la madre che sgrida e che detta regole è la
stessa che lo cura e che gli dà affetto, pertanto, nelle prime fasi di sviluppo psicologico, il fanciullo
sdoppia la figura della madre in due entità, una buona e una cattiva, e solo dialogando con questi
enti come separati svilupperà una maturità psicologica che progressivamente gli permetterà di
considerarli uniti. Gli studi della Mahler fanno affermare a Bettelheim che la presenza di matrigne
malvage e di idealizzate ma assenti madri naturali è una strutturazione narrativa di questa esigenza
infantile: la madre e la matrigna sono la stessa persona, solo sdoppiata per venire incontro alla
comprensione del bambino, non ancora pronto a considerarle uniche.
220 MARGARET MAHLER, FRED PINE, ANNI BERGMAN, La nascita psicologica del bambino. Simbiosi e individuazione,
trad. it. di Massimo Ammaniti e Anna Zambon, Torino, Bollati Boringhieri, 1978. Ringrazio Latti per avermi fatto
scoprire questi studi.
98
! Bettelheim prende in considerazione Cappuccetto rosso, in cui l’eroina trova un lupo al
posto della nonna. Il vedere la nonna come un lupo viene incontro al bisogno di sdoppiamento, la
trasformazione della nonna in lupo, per il bambino, dice Bettelheim:221
non è più allarmante dell’improvvisa trasformazione della sua affettusissima nonna in una figura che
minaccia niente meno che il suo senso d’identità quando lo umilia perché gli è capitato di bagnarsi i
calzoncini. Per il bambino, la nonna non è più la stessa persona che era appena un momento prima; è
diventata un’orchessa. Come è possibile che una persona che era così amorevole, che faceva regali ed era
più comprensiva, tollerante e accomodante perfino della sua mammina, si comporti tutt’a un tratto in un
modo così radicalmente diverso?
+ Incapace di ravvisare una qualsiasi coerenza fra queste diverse manifestazioni, il bambino in
realtà percepisce la nonna come due entità distinte: quella amorevole e quella minacciosa. Essa è in effetti
la nonna e il lupo.
In Příhody lišky Bystroušky, quindi, ci troviamo di fronte a uno sdoppiamento che è comunissimo
nelle fiabe e che, con l’ausilio della narrazione, aiuta a considerare unite entità che appaiono
distinte.
! Caratteristiche simili nelle due incarnazioni dei personaggi, sono evidenti: il tronfio tasso è
uno specchio perfetto del bigottismo del Parroco (entrambi hanno con sé anche una maleodorante
pipa); l’amore per il vino dell’Insegnante è evidente nella zanzara, che, nel primo atto, si ubriaca del
sangue del Guardiacaccia, tanto da barcollare; e i pettegolezzi della civetta, nel secondo atto, che
disapprovano il comportamento licenzioso di Bystrouška, che vengono spalleggiati da una
ghiandaia, sono un perfetto richiamo al primo atto, in cui la moglie del Guardiacaccia (con lo stesso
volto della civetta) non fa che disprezzare la volpe, con il gallo (la ghiandaia) che le fa da bordone.
! Lo sdoppiamento, quindi, aiuta anche a codificare i due mondi, umani e naturali, non solo
dal punto di vista apparente (i due mondi sono popolati da doppi con le stesse sembianze), ma,
come in Výlety páně Broučkovy, anche per via delle caratteristiche comportamentali e funzionali.
Una delle più grandi intuizioni di Vladimir Propp222 è stata quella di comprendere che i singoli
personaggi della fiaba, così multiformi e numerosi, spesso, non fanno che rispondere a poche
funzioni costanti: i personaggi possono anche essere migliaia, ma spesso molti di loro svolgono la
medesima funzione. Janáček, abbiamo visto, aveva compreso questo proprio durante la gestazione
di Příhody lišky Bystroušky, mentre revisionava la Fiaba per violoncello e pianoforte: era arrivato a
capire che è la struttura della fiaba, sempre costante, a dover essere evidenziata attraverso la musica,
222 VLADIMIR JAKOVLEVIČ PROPP, Morfologia della fiaba, cit., pp. 25-30 ssgg.
99
e quindi non bisognava riferirsi ai personaggi ma alle funzioni che esercitano.223 Incorporando
queste intuizioni nella stesura di Příhody lišky Bystroušky, Janáček giunge a usare i personaggi
secondo le loro funzioni. Per esempio, la funzione della moglie del Guardiacaccia è quella di essere
contraria al comportamento di Bystrouška e quindi porterà avanti questa funzione anche nella sua
incarnazione animale, così come l’Insegnante sarà ubriaco e il Parroco bigotto.
! In un primo tempo, lo sdoppiamento dei personaggi avrebbe dovuto attenersi molto di più
alla funzionalità del personaggio. Da alcuni fogli manoscritti di Janáček, conservati nell’Archivio
Janáček a Brno, si evince che era il bracconiere Harašta, e non l’Insegnante, a doversi sdoppiare
nella zanzara.224 Una zanzara molto meno buontempona di quella definitiva, che, in una primitiva
scena dell’inizio dell’opera, punge il Guardiacaccia con cattiveria. Harašta, quindi, era una perfetta
espressione della funzione del male perenne, simile a Lindorf, Coppélius, Miracle e Dapertutto di
Offenbach. Per ragioni forse connesse con l’indole stessa di Janáček, che vedeva nella natura
qualcosa di benevolo ma anche oscuro e non facilmente leggibile, la diretta identità tra funzione e
personaggio è stata quindi ridotta: invece che uno sdoppiamento dei personaggi teso a sottolineare
funzioni archetipiche come il male, il bene o la compassione, Janáček decise di concentrarsi su
caratteristiche più semplici ed evidenti come l’ubriachezza, il disprezzo pettegolo e il bigottismo.
! Questa, però, è una semplificazione solo apparente, perché privare il perfido Harašta di un
doppio animale, suggerisce che il male sta solo nel mondo degli uomini (aspetto che va molto più
d’accordo con il pensiero di Janáček), e la non immediatezza degli altri sdoppiamenti contribuisce a
lasciare tutto in un certo senso misterioso e a incoraggiare così riflessioni ulteriori. Affermare in
maniera inequivocabile simboli e funzioni avrebbe creato più un trattato che una fiaba, che non
deve presentare le cose in modo scientifico, quanto piuttosto stimolare l’elaborazione: deve aiutare
l’ascoltatore a trovare da solo il senso del messaggio e non imporglielo. Perciò gli sdoppiamenti e le
sovrapposizioni presenti in Příhody lišky Bystroušky restano con margini d’affascinante
indeterminatezza: capiamo che uomini e animali sono consustanziali, ma non c’è la presentazione
scientifica di questo assunto, ma solo elementi che vi accennano, rendendo la scoperta delle identità
ancora più stimolante.
224 EC, pp. LXIX-LXX. Zahrádka, nell’edizione critica, numera queste fonti come L5 e FSA2. La partitura ci è arrivata
solo scritta dalla mano dei fedeli copisti di Janáček, ma esistono 28 fascicoli autografi del compositore in cui possiamo
vedere la genesi dell’opera. Questi fascicoli sono scritti in inchiostro blu con precise correzioni in rosso che riportano le
facies presenti nella versione finale. Purtroppo, i fascicoli non si sono conservati nella loro interezza, poiché Janáček
strappava le pagine che richiedevano una rielaborazione corposa, e della stesura in blu teneva solo le pagine con le brevi
correzioni rosse. Del fascicolo che riporta la primitiva introduzione dell’opera, datato 1922 (il secondo dei 28 fascicoli
in nostro possesso), sono rimaste solo poche pagine: indizio che l’introduzione del primo abbozzo era completamente
diversa da quella a cui giunse il compositore alla fine del lavoro. Cfr. EC, pp. LXXXIX-XCVI.
100
! In questa continua tensione tra i due mondi, consustanziali e vicini ma apparentemente
divisi, Janáček proietta perfettamente la sua idea di natura a metà strada tra Baudelaire e Hegel:
tutto è davanti a noi, ma il significato sembra sfuggirci; solo leggendo meglio riusciamo a scorgere
verità insospettate e identità sostanziali. Questa caratteristica fa dei doppi ruoli di Příhody lišky
Bystroušky un sistema narrativo molto più complesso di quelli riscontrabili in Výlety páně
Broučkovy e in Les contes d’Hoffmann. L’indeterminatezza della fiaba si rivela efficace per
comprendere che gli elementi sono stati sdoppiati solo per meglio essere unificati in una visione del
mondo e della società più adulta e matura.
! In musica nessuno ha usato i doppi ruoli nel modo tensivo e psicologico presente in Příhody
lišky Bystroušky. Come abbiamo già più volte notato, Janáček trova soluzioni che l’arte ripresenterà
solo molti anni dopo. Una doppiezza di ruoli indefinita, ma ugualmente costante e stimolante, molto
simile a quella che si trova in Příhody lišky Bystroušky, si trova in molti film e lavori teatrali di
oggi.
! Per esempio il film per la televisione di Mike Nichols (1931-), Angels in America (2003),
basato sull’omonima pièce di Tony Kushner (1956-) del 1993, attua sdoppiamenti ugualmente
misteriosi tra i personaggi: la madre saggia ma castrante di Louis ha le stesse sembianze di altre
figure simili ma non identiche (di un burbero rabbino e di Ethel Rosenberg, accusata di spionaggio
nel 1951); l’infermiere bonario Belize è identico all’individuo che Harper si immagina la venga a
salvare; Louis cerca di tradire il suo amante Prior con uno sconosciuto che però ha un aspetto
uguale a quello di Prior. Le identità tra i personaggi è presentata più per echi e suggestioni (la
saggezza per la madre; la caratteristica di salvare le persone presente nell’infermiere e nel
personaggio immaginario; il tradimento che non riesce per via dell’identità tra gli amanti) che per
certezze, conferendo alla narrazione significati plurimi e attraenti, che starà allo spettatore disvelare
a seconda delle sue interpretazioni, esattamente come avviene in Příhody lišky Bystroušky.
! In Femme Fatale (2002) di Brian De Palma (1940-), la protagonista, una ladra, sta morendo
annegata e sogna tutta un’avventura i cui protagonisti hanno lo stesso volto delle persone che nella
vita reale la stanno inseguendo. La sovrapposizione delle immagini conosciute alle entità sognate
invogliano lo spettatore a rintracciare le identità, che il regista non specifica e dissimula in scene
buie e in ruoli piccolissimi. Una tensione visiva e concettuale simile a quella di Janáček.
! In Big Fish (2003) di Tim Burton (1958-) il protagonista Edward Bloom si inventa un
complicato sistema di miti per narrare la sua vita al figlio. In essi si osservano molte illogiche
identità, che ignorano la dimensione temporale: la strega che spaventava Edward nell’infanzia è
presentata come la versione vecchia di una sua tenera affittuaria conosciuta in età adulta; il pesce
della baia che Edward pesca il giorno della nascita del figlio sembra un’allegoria della moglie ma
alla fine si scopre essere metafora di lui stesso. Questo magma cangiante di simbolismi stimola la
101
percezione dello spettatore, che è sempre spronato a trovare un’unità in elementi che a prima vista
sembrano essere del tutto scollegati. Un tipo di narrazione che sarebbe piaciuto molto a Janáček.
II.2.4.2 - Kitsune
! Dire, fin dal primo atto, o magari in un prologo, come avviene in Chantecler di Rostand, che
il mondo degli umani e il mondo degli animali sono la stessa cosa e che l’eroismo e lo stile di vita
libertario di Bystrouška andrebbe imitato, avrebbe reso Příhody lišky Bystroušky un didascalico
pasticcio. Dire allo spettatore che Bystrouška in realtà è una bellissima donna ideale che inneggia
alla libertà susseguente a un maggior rapporto con la natura, sarebbe, con le parole di Bettelheim,
come dire a un bimbo piccolo che sua madre può avere allo stesso tempo comportamenti sia
amorevoli sia punitivi. Il povero spettatore andrebbe in confusione, poiché ha bisogno di vedere
uomini e bestie separati, così può elaborarli uno alla volta, e riuscire e congiungerli alla fine
dell’opera, grazie ai tanti indizi presenti nella storia. Per introdurre l’idea che Bystrouška potrebbe
essere umana, Janáček ricorre a un’espediente non raro nel folklore e in molta tradizione fiabesca:
fa trasformare, per un attimo, la volpe in donna.
! Se nelle favole la volpe è sempre cattiva, nelle fiabe gode di un’altra quasi costante
proprietà: riesce a trasformarsi, o, spesso, è l’aspetto “secondario” di una persona, sotto il quale si
nasconde una identità più profonda.
! Nel racconto dei Grimm L’uccello d’oro (Der goldene Vogel), il principe scorge un
bellissimo uccello d’oro rubare le mele, anch’esse d’oro, che crescono nel magico giardino del re
suo padre. Il re chiede al principe di cercare l’uccello, e durante il viaggio questi affronta
innumerevoli peripezie e pericoli, da cui riesce a salvarsi grazie all’aiuto di una volpe parlante, che
lo consiglia. Su suggerimento dell’animale, il principe riesce anche a trovare l’amore di una
principessa, ma, sorprendentemente, al ritorno al castello del re, la volpe chiede al principe di
tagliarle la testa. A malincuore il principe acconsente, e una volta tagliata la testa, la volpe si
trasforma in un uomo, il fratello maggiore della principessa.
! Questo è solo uno dei tanti episodi fiabeschi in cui la volpe si tramuta in persona. Anche in
Renard di Stravinskij, abbiamo visto che la volpe usa il travestimento/trasformazione.225
! La psicologa junghiana Marie-Louise von Franz cita una storia con protagonista una volpe
trasformista per spiegare l’origine delle fiabe:226
proprietario tornò a casa, piuttosto scosso perché le volpi che parlano non rientravano nella sua esperienza
quotidiana. A casa egli scoprì che l’acqua faceva girare, da sola, la ruota del mulino. Gridando, chiese chi
avesse messo il mulino in movimento. Nessuno! Due giorni dopo egli morì. Nelle descrizioni di
esperienze spiritiche o parapsicologiche questa è una storia tipica. In tutto il mondo accadono a volte fatti
simili prima che qualcuno muoia: strumenti che si comportano come esseri viventi, orologi che si
arrestano come se fossero parte del proprietario che sta morendo,... accadono cose strane.
+ Ora, l’uomo che aveva letto questa storia nella cronache della sua famigla si recò al villaggio e
domandò notizie sul mulino alle persone del luogo. Il mulino era in rovina. Alcuni gli dissero: “Sì, lassù
c’era un mulino, intorno al quale c’era qualcosa di misterioso. Dicevano che ci fosse un fantasma.” [...]
Successivamente [...] questo ricercatore s’imbatté in altre persone anziane che dissero: “Oh sì, noi
ricordiamo la storia: un mugnaio uscì per colpire la volpe e la volpe disse: ‘Mugnaio, non colpirmi,
ricordati come ho macinato il grano di tua zia Jette.’ Poi egli morì: al banchetto funebre si ruppe un
bicchiere di vino e zia Jette, la zia del mugnaio, impallidì; tutti sapevano che era lei la volpe, ed era lei
che aveva ucciso il mugnaio.”
La curiosa identificazione della volpe con la vecchia assassina è la prova che il trasformismo delle
volpi è ben radicato in qualunque storia popolare. La studiosa ricorda ancora:227
Secondo una credenza diffusa, le streghe prendono la forma di volpi. Di notte, si dice, le streghe escono
come spiriti che assumono le sembianze di volpe, commettono molti misfatti sotto questa forma, per
ritornare poi nei loro corpi, rimasti nel frattempo stesi come morti nei loro letti. Ciò può essere “provato”;
tavolta, infatti, un cacciatore incrocia una volpe, spara e la ferisce a una zampa. La mattina seguente vede
la Signora Tal dei Tali che si nasconde con il suo braccio al collo e le domanda che cosa è accaduto, ma
lei non sa rispondere. Naturalmente era lei la volpe fantasma che andava in giro a compiere misfatti. Nelle
Alpi e in Austria, come in Giappone e in Cina, si registra una credenza d’origine archetipica secondo la
quale le streghe e le donne isteriche hanno l’anima di una volpe.
Abbiamo visto come Janáček basi la sua poetica sul trasformismo animale e sui richiami
folklorici228 , ma è singolare constatare quanto la sua Bystrouška sia identica alla cangiante volpe
giapponese, la kitsune. Come accenna von Franz, infatti, quest’ultima ha la prerogativa di
trasformarsi in donna, e molto altro ancora.
228Vedi supra, punti I.2 e I.3. In particolare i paragrafi I.3.1 - con al centro la composizione per coro femminile Le
tracce del lupo, in cui la plurisemanticità del trasformismo animalesco raggiunge il parossismo - e I.3.3, che illustra
quanto il modo di Janáček di pensare il mondo animale sia curiosamente identico a quello dell’uomo dell’antico Egitto
e del Paleolitico.
103
! Cristina Vetturini ci informa che in Giappone:229
La cultura contadina, molto più legata d’oggi agli eventi e fenomeni naturali e dipendente da essi, aveva
con gli animali un rapporto privilegiato, esito questo di credenze che affondavano le loro radici
nell’antico animismo. Ad essi rimanda la dottrina secondo la quale tutti gli animali sono potenzialmente
kami, ossia divinità. Su queste antichissime credenze si innestò la dottrina buddhista che, con l’enfasi data
alla teoria della reincarnazione non fece che accrescere e rafforzare il rispetto per la natura e per gli
animali. In presenza di tali presupposti non sorprende che il pensiero giapponese abbia elaborato nel
corso dei secoli un simbolismo animale molto ricco, con testimonianze particolarmente suggestive in
campo novellistico e mitologico, dove gli animali vengono rappresentati come esseri vicini ai kami
La volpe, in particolare, è venerata come la più importante divinità in templi come quello di Inari a
Kyoto.230 Tra i suoi poteri, oltre quello di tramutarsi in donna, c’è quello di possedere le persone sia
per scombinare la loro la vita, sia per procurare fortuna e felicità. Ha «l’abilità di trasformarsi e
creare illusioni [che] le permette anche di assumere la forma di oggetti».231 La sua rossa pelliccia ha
fatto identificare l’animale anche con il fuoco, tanto che, in giapponese, i fuochi fatui notturni
hanno assunto il nome di «kitsunebi», letteralmente «i fuochi-volpi».
! Nella Bystrouška di Janáček possiamo osservare tutte le caratteristiche della kitsune: nella
seconda scena del primo atto, Bystrouška, legata dopo essersi vendicata di Frantík e Pepík, si
addormenta e sogna di diventare una donna, finalmente libera da ogni costrizione e da ogni catena.
Nella terza scena del secondo atto, l’Insegnante e il Parroco, ubriachi, a tarda notte, camminano
nella foresta per tornare a casa dopo la sera passata alla taverna di Pásek. A turno, i due si fermano a
farneticare davanti a un girasole, ricordando avventure sentimentali e brutte esperienze avute con
due donne, l’Insegnante con la giovane Terynka, che ama non corrisposto, e il Parroco con una
ragazza, di cui si innamorò ma che si concedette al garzone del macellaio, rimanendo incinta e
lasciandolo vittima di maldicenze (nel paese si vociferava che fosse il Parroco il padre del
bambino). Esattamente come un fuoco fatuo, appare Bystrouška che, semplicemente muovendo il
229CRISTINA VETTURINI, Simbolismo animale in Giappone, in ALESSANDRO BONGIOANNI, ENRICO COMBA (a cura di),
Bestie o Dei?, cit., pp. 155-156.
230 Vedi anche ANTONIO MARRAZZI, La volpe di Inari, Firenze, Sansoni, 1990.
231 CRISTINA VETTURINI, Simbolismo animale in Giappone, cit., p. 160. Vedi anche SHIGERU MIZUKI, Nippon yôkai
taizen, Tokyo, Kodansha, 1991, pp. 163, 170, 235; ROYALL TYLER, Demoni e mostri del Giappone, Milano, Arcana,
1988, pp. 287-289; ROBERT BLUST, The Fox’s Wedding, in «Anthropos», XCIV/4-6 (1999), Sankt Augustine
(Nordrhein-Westphalen), Anthropos Institute (Fribourg, Academic), 1999, pp. 487-499; U. A. CASAL, The Goblin Fox
and Badger and Other Witch Animals of Japan, in «Folklore Studies», 18 (1959), Nagoya, Nanzan University, 1959, pp.
1-93; KLAUS MAILAHN, Der Fuchs in Glaube und Mythos, cit., pp. 169-212; MICHAEL BATHGATE, The Fox's Craft in
Japanese Religion and Folklore: Shapeshifters, Transformations, and Duplicities, New York, Routledge, 2004.
104
girasole, quasi possedendolo, come fa la kitsune, fa sembrare la sua sagoma simile a quella di
Terynka, destando la meraviglia dell’Insegnante, che si getta ai piedi del fiore (e di Bystrouška che
si nasconde dietro), pronunciando parole d’amore e cercando anche di abbracciare la volpe,
credendola Terynka. Subito dopo, il Parroco, proprio mentre parla degli occhi maliardi delle donne,
vede gli occhi di Bystrouška brillare nel buio, come i fuochi fatui nipponici, i «kitsunebi».
! Le similitudini di Bystrouška con la kitsune sono curiose e testimoniano l’uso immediato e
puro che Janáček fa dei materiali folklorici. Probabilmente il compositore non sapeva niente dei
miti giapponesi, oppure si era interessato all’oriente dopo la visione entusiasta di Madama Butterfly,
suscitando forse almeno una curiosità in materia che è rimasta non documentata232 ; ma quello che è
sicuro è che la sua simbiosi con i modelli rappresentativi popolari, cominciata con le sue ricerche
etnofoniche con František Bartoš, è tale che, come si diceva nei capitoli precedenti, per lui i
simbolismi magici e le credenze etniche fanno parte della vita quotidiana, li usa quasi senza
accorgersene, sembra esserci immerso dentro, tanto da arrivare a usare il repertorio archetipico di
altre etnie, forse per lui sconosciute. Nelle conclusioni affermeremo che proprio perché parla una
lingua archetipica universale, Příhody lišky Bystroušky ce l’ha fatta a giungere a noi nella sua
versione originale, resistendo a tutte le riscritture e alle censure imposte.
! L’identificazione con la kitsune, pur lontana dalla tradizione morava, concorre ugualmente
all’allegoria libertaria di Bystrouška, poiché la kitsune è senz’altro il kami più libero e anarchico
dell’intero panorama spiritico giapponese. Una libertà che Bystrouška incarna in tutti i sensi, sia
morali sia sociali sia nazionali, e a cui l’identità con la kitsune attribuisce un valore etico profondo,
quasi non umano, ma naturale: Bystrouška diventa un folletto dei boschi, una delle rappresentazioni
dell’incomprensibile natura che affollano, come abbiamo visto, anche le altre opere di Janáček, ma
che in Příhody lišky Bystroušky acquistano una valenza libertaria. In quest’opera, tramite l’uso della
fiaba e i trasformismi folklorici della protagonista, Janáček sembra dirci che il lavoro della natura,
pur rimanendo oscuro all’uomo, che fraintende i suoi messaggi, non fa altro che esprimere l’idea di
un universo completamente libero, idea che noi uomini, essendo anche noi parte della natura,
232 Non dobbiamo dimenticarci che Janáček ha vissuto in un’epoca in cui orientalismi e giapponeserie erano una moda
continua, oggetto di clamorose esposizioni universali che ispiravano i compositori di tutta Europa, di cui è impossibile
sostenere che non sia giunta almeno notizia nella pur remota Moravia. Inoltre, sappiamo che adorava Mascagni, autore
dell’opera Iris su soggetto giapponese. Cfr.. CARLO MAJER, Iris: fiore o arcobaleno in MARIO MORINI, PIETRO OSTALI
(a cura di), Mascagni e l’Iris tra simbolismo e floreale. Atti del secondo convegno di studi su Pietro Mascagni, Livorno
7-8 maggio 1988, Milano, Sonzogno, 1989, pp. 37-40; SUSANNE STRASSER-VILL, Exoticism in Stage Art at the
Beginning of the 20th Century, in JÜRGEN MAEHDER (a cura di), Esotismo e colore locale nell’opera di Giacomo
Puccini. Atti del I convegno internazionale sull’opera di Giacomo Puccini. Torre del Lago, Festival Pucciniano 1983,
Pisa, Giardini, 1985, pp. 53-64; RUBENS TEDESCHI, Addio fiorito asil, Pordenone, Studio Tesi, 1992, pp. 97-104; GUIDO
SALVETTI, La nascita del Novecento, vol. 10 della Storia della musica a cura della Società italiana di musicologia,
Torino, EDT, 1977, 19912, pp. 52-53, 316-320; CESARE ORSELLI, Pietro Mascagni, Palermo, L’Epos, 2011, pp.
208-209.
105
abbiamo scolpita nella nostra corteccia cerebrale come tutte le altre creature, come dimostrano le
utopie di liberazione che vengono espresse nelle fiabe di tutto il mondo, che sono espressione di
quella corteccia. La mente umana e la natura sono in contatto, sono quasi la stessa cosa, ed
esprimono eternamente libertà: la fiaba, con le sue capacità di sintesi e con le sue radici sia nella
psicologia sia nel folklore (il luogo dove mente e natura sono più vicini), aiuta lo spirito umano,
oppresso da sovrastrutture non naturali, a ritrovare quella libertà, mentale e naturale, che da solo si
nega per paura della malvagità.
! Una malvagità che neanche Janáček nega, ma che si augura venga superata, quasi
riassorbita, così come, in natura, viene assorbita qualsiasi altra cosa.
106
PARTE TERZA:
UTOPIA DELLA POLITICA
E DELLA VITA
236MICHEL MOURRE, voce Austria, in Dizionario mondiale di Storia (trad. it. rivista e corretta di ID., Le petit Mourre.
Dictionnaire de l’Histoire de Michel Mourre, Paris, Bordas, 2003), Milano, Rizzoli Larousse, 2003, pp. 74-75;
GABRIELE TURI, Il nostro mondo. Dalle grandi rivoluzioni all’11 settembre, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 127-128.
110
popolare. La reazione di parte della popolazione a questo stato di cose comportò un generale
ripudio del germanismo che si manifestò nell’adozione di riferimenti culturali basati sulle radici
slave, comuni a molti paesi dell’Europa centrale e orientale, come Slovacchia, Slovenia, Croazia,
Bosnia, Serbia, Bulgaria, Polonia e Russia. Questo tipo di interesse culminò nel movimento pan-
slavista, che riproponeva «l’antagonismo millenario fra slavismo e germanesimo [che] è stato uno
degli elementi essenziali della storia europea».237
! I pan-slavisti constatavano che la divisione dei popoli slavi aveva portato alla loro
dominazione straniera (cèchi, slovacchi, croati, bosniaci, sloveni e molti polacchi erano sotto il
giogo degli imperi germanici austro-ungarici e tedeschi, mentre bulgari e serbi erano asserviti agli
Ottomani), quindi una loro unione, culturale e politica, sarebbe stata la via migliore verso la libertà.
Una unione in un certo senso federalista dei tanti stati slavi, che doveva avere il suo centro
governativo in Russia, lo stato slavo più potente, e storicamente il primo esponente e il più grande
protettore dello slavismo.238
237 MICHEL MOURRE, voce Slavi, in Dizionario mondiale di Storia, cit., p. 1142.
238Vedi HANS KOHN, Pan-Slavism: its History and Ideology, New York, Vintage, 1960. Il pan-slavismo fu uno dei
primi concetti identitari del movimento anarchico di Michail Bakunin (1814-1876), cfr. MICHAIL ALEKSANDROVIČ
BAKUNIN, Gosudarstvennost’ i anarchija, Zürich, Armand Ross, 1873, trad. it. di Nicole Vincileoni e Giovanni
Corradini con introduzione di Massimo Maggiani: ID., Stato e anarchia, Milano, Feltrinelli, 2013; e ALEX
BUTTERWORTH, Il mondo che non fu mai. Sognatori, terroristi, anarchici e agenti segreti, trad. it. Mario Marchetti,
Torino, Einaudi, 2011.
111
III.1.2 - Il rifiuto del germanismo: Russia e Tolstoj
! Janáček dimostrò da subito la sua adesione all’ideale pan-slavista, anche perché nella sua
Brno l’occupazione era maggiormente evidente: in primis poiché, situata a pochi chilometri da
Vienna, aveva visto insediarsi una comunità austriaca molto numerosa e molto fedele ai sovrani,
che la rendeva il luogo più tedescofono e filo-germanico della nazione cèca, con conseguenti
insofferenze negli abitanti cèchi; secondariamente perché quasi al centro della città, nel castello
denominato Špilberk, antica dimora dei margravi moravi, venne istituita una terribile prigione, a cui
ci si riferiva con il nome tedesco Spielberg, che fu la più rigida dell’Impero, in cui venivano
rinchiusi e torturati molti combattenti indipendentisti provenienti da tutti gli angoli del regno.239
! La vista di quel triste luogo provocava una disperata empatia in Janáček, che sfociava in un
profondo odio verso l’oppressione che il castello rappresentava240: ne troviamo tracce in alcune sue
composizioni patriottiche, che documentano la miseria del popolo e le ingiustizie a cui doveva
sottostare. La sonata per pianoforte in due movimenti 1.X.1905 (JW VIII/19, 1905) si ispira alla
repressione che le guardie asburgiche operarono nei confronti del corteo a favore dell’apertura di
un’università cèca a Brno, che causò la morte del falegname ventenne František Pavlík, un fatto che
provocò una forte impressione negli abitanti cèchi della città e inasprì ancora di più la loro rivalità
con la comunità austriaca.241 Tre pezzi per coro maschile, su testi del poeta Petr Bezruč (Vladimír
Vašek, 1867-1958), raccontano altrettanti episodi di prevaricazione: Kantor Halfar (JW IV/33,
1906) parla di un parroco «perseguitato per la sua parlata cèca: solo, senza lavoro, alcolizzato e
infine [...] suicida»242; Maryčka Magdónova (JW IV/34-35, 1906-1907) narra la triste storia della
figlia di un minatore, che, alla morte del padre, rimasta sola con i quattro fratelli piccoli, per non
morire di freddo prende un po’ di legna nella foresta appartenente al signorotto austriaco Gero, che
la scopre e la denuncia, provocandone il suicidio per sfuggire alla vergogna mentre viene portata in
239È qui che furono imprigionati molti patrioti carbonari della prima stagione del Risorgimento italiano, tra cui Silvio
Pellico (1789-1854), che denunciò la durissima gestione del carcere in SILVIO PELLICO, Le mie prigioni, Torino, Bocca,
1832, il cui successo europeo contribuì a qualsiasi causa indipendentista avversa all’Impero Austro-Ungarico.
240Cfr. MZCL, p. 169. Janáček parlò dei suoi sentimenti verso lo Špilberk in un feuilleton sul «Lidové noviny» del 24
dicembre 1927, intitolato Moje město [La mia città], pubblicato in inglese in VILEM TAUSKY, MARGARET TAUSKY
(eds.), Janáček: Leaves from His Life, cit., pp. 41-43.
241Cfr. JAROSLAV DŘIMAL, VÁCLAV PEŠA (a cura di), Dějiny města Brna, Brno, Blok, 1973, p. 66; JOHN TYRELL, The
Lonely Blackbird, cit., p. 634; FRANCO PULCINI, Janáček. Vita, opere, scritti, cit., pp. 145-147.
112
prigione243; 70000 (JW IV/36, 1909) ha al centro la rivolta di settantamila cèchi del paese di Těšín,
al confine con la Polonia, «stufi della germanizzazione e polonizzazione della loro terra». 244
! La spinta pan-slavista di Janáček è evidente fin dai subito nei suoi scritti, in cui dice di
considerare come fratelli i popoli che soffrivano la stessa sorte della Moravia, soprattutto i vicini
slovacchi, e giudica insopportabile qualsiasi eco culturale tedesca, ricercando nella Russia
l’ispirazione musicale e filosofica. Come abbiamo già osservato, infatti, molti aspetti dell’arte e del
pensiero di Janáček derivano dalle opere di Gogol’, Dostoevskij, Ostrovskij, Žukovskij, Musorgskij
e, soprattutto, di Čajkovskij e Tolstoj. Janáček volle rendere evidente a tutti la sua ammirazione per
la cultura slava, adottando una versione russa del suo nome, Lev, con cui firmò le composizioni fino
al 1880 e dando ai figli i nomi russi Olga e Vladimir (la coppia deuteragonista di Evgenij Onegin di
Puškin e Čajkovskij).245 Fu entusiasta quando Olga decise di diventare un’insegnante e di vivere in
Russia (proposito, purtroppo, reso impossibile dalla sua prematura scomparsa) e quando i suoi
fratelli minori trovarono lavoro a San Pietroburgo.246 Nel 1896, appoggiandosi proprio ai fratelli,
riuscì a visitare l’adorato paese in un viaggio di studio. In seguito al viaggio partecipò alla
fondazione di un circolo russo a Brno.
! Un turbine di devozione russa che lo rese una mosca bianca agli occhi dei musicisti boemi
come Smetana e Dvořák, che auspicavano sì di costruire un retroterra comune cèco senza però
pensare di affrancarsi dalla tradizione germanica che nella musica aveva raggiunto, secondo loro,
risultati imprescindibili.247 Ai modelli tedeschi, infatti, Janáček preferiva la musica popolare
morava, e sono da intendere in ottica pan-slavista i suoi interessi etnomusicologici: la ricerca delle
matrici culurali slave, nei ritmi e nella musica, doveva costruire una musica autenticamente
nazionale estranea dagli elementi scolastici di origine tedesca, da sconfessare in quanto appartenenti
243
JAROSLAV ŠEDA, Leoš Janáček, cit., p. 20, racconta l’aneddoto secondo cui qualcuno disse a Janáček: «Ma questa
Maryčka è un convegno socialista!», e lui rispose: «Sì. È esattamente quello che ho voluto fare».
246Janáček era il nono di quattordici figli, nati in un intervallo di venticinque anni, cinque femmine e nove maschi.
Cinque non hanno superato il sesto mese di vita, e una, Rosalie, morì diciottenne di tifo nel 1868 a pochi chilometri da
Hukvaldy. Janáček ebbe pochissimi contatti con i due fratelli maggiori (Karel [1844-1919] e Bedřich [1846-1918]), che
hanno vissuto tra la Germania, la Polonia e l’Austria. Intercorsero, invece, ottimi rapporti con i fratelli minori Josef
(1858-1941) e František (1856-1908), con il quale ebbe una grande affinità, testimoniata da molte lettere: lui era il suo
punto di riferimento a San Pietroburgo, e a lui si appoggiò per ospitare la figlia Olga (vedi supra, punto I.1). Ebbe un
rapporto fecondo con le sorelle Eleonora (1840-1919) e Josefa (1842-1931), vissute a Hukvaldy o in paesi vicini, ma
non ci sono certezze sulla frequentazione che poté avere con la primogenita Viktorine (1838-1894), di sedici anni più
anziana di lui: emigrò col marito in America quando il compositore aveva sette anni e, una volta rimpatriata in data
imprecisata, visse a Hukvaldy fino alla morte, che la colse a cinquantacinque anni nel 1894, quando Janáček era
quarantenne e già sposato da tredici anni. Cfr. Ivi, pp. 30-32; MZCL, pp. 18-19.
248 DEREK KATZ, A Turk and a Moravian in Prague: Janáček’s «Brouček» and the Perils of Musical Patriotism, in
MICHAEL BECKERMAN (ed.), Janáček and His World, cit., p. 150; cfr. anche JOHN TYRELL (ed.), My Life with Janáček:
The Memoirs of Zdenka Janáčková, London, Faber & Faber, 2003, pp. 16-17, 28, 104 (un testo che però è stato
ridimensionato criticamente in PAUL WINGFIELD, Zdenka Janáčková’s Memoirs and the Fallacy of Music as
Autobiography, in MICHAEL BECKERMAN [ed.], Janáček and His World, cit., pp. 165-195).
249 TOTF, p. 750. Janáček rifiutò anche un libretto francese (cfr. Ibidem), ma nel 1928, poco prima della morte, accettò
di scrivere le musiche di scena per una rappresentazione del dramma di Gerhart Hauptmann (1862-1946), Schluck und
Jau (1900), che riuscì solo ad abbozzare.
252 «Today [recte yesterday] I wrote a few lines about how I see my cathedral. I’ve set it in Luhačovice. Not bad, eh?
Where else could it stand than there, where we were so happy! And that cathedral is high - reaching right to the vault of
the sky. And the candles that burn there, they are the tall pine trees, and at the top they have lighted stars. And the bells
in the cathedral, threy’re from the flock of sheep. [There] nightingales, thrushes, ducks, geese make music!» La lettera è
la numero 522 di SVATAVA PŘIBÁŇOVÁ (a cura di), Hádanka života, cit., tradotta in inglese in TOTF, p. 756, da cui cito.
Cfr. anche PAUL WINGFIELD, The Glagolitic Mass, cit., p. 119.
115
Oggi [recte ieri] ho scritto qualche riga su come vedo la mia cattedrale.
+ L’ho ambientata a Luhačovice. Non male, eh? In quale altro posto potrebbe stare se non là, dove
alti pini, che sulla cima hanno le luminose stelle. E le campane della cattedrale, vengono dal gregge di
pecore. [In essa] usignoli, allodole, oche e papere fanno musica!
Questa descrizione dell’ideale cattedrale janáčekiana spiega perfino alcuni aspetti del suo
anticlericalismo, connesso anch’esso con l’avversione austriaca: in quella cattedrale si canta non per
un indeterminato Dio imposto, con una lingua straniera (il tedesco o anche il latino della religione
cattolica asburgica), ma con il linguaggio identitario della comunità slava (l’antico glagolitico253 ), si
parla dell’unico Dio autentico, che si identifica con le montagne, i cieli, gli alberi e gli animali della
madre patria. Un’idea che laicizza il concetto divino e lo trasferisce, in senso perfettamente
animista, alla natura e al sentimento patriottico, intesi come inscindibili in una visione del mondo
che vede connesse terra, natura, cultura e spirito. Scacciare l’austriaco e tutte le sue idee culturali,
significava riappropriarsi di ogni aspetto del vivere libero, con ogni popolo asservito (i cèchi come
gli slovacchi o i bosniaci ecc.) che trovava da solo il modo migliore per rapportarsi alla sua terra,
quindi alla sua natura, quindi alla sua cultura.
! Per Janáček il pan-slavismo era tutto questo: un complesso crogiolo di cause ed effetti che si
intersecavano e mescolavano con la sua etica animista.254
253 In realtà il termine «glagolitico» si riferisce a una prima versione dell’alfabeto cirillico, così chiamato
successivamente in quanto introdotto dai santi Cirillo e Metodio per la trascrizione dell’antico slavo, parlato dalle
popolazioni che da loro vennero cristianizzate nel IX sec.: è quindi un alfabeto e non una lingua. Per di più Janáček non
usa quell’alfabeto per il testo della messa (l’uso del glagolitico non sostituì le lettere latine già usate tra i popoli che
parlavano le lingue slave occidentali come il cèco), perciò non ci sarebbe ragione di chiamare la composizione Messa
glagolitica e dovrebbe essere chiamata Messa slava, in quanto cantata in quella lingua. Però il termine «glagol’», da cui
deriva «glagolitico», significa «voce» e ha dato origine alla parola cèca «hlahol» che indica una gioiosa combinazione
di voci e suoni (quasi come la locuzione inglese «glee»): un fatto che portò molte società corali cèche a definirsi
«glagolitiche». Janáček, quindi, usa il termine in quella accezione. Cfr. TOTF, pp. 646-647; PAUL WINGFIELD, The
Glagolitic Mass, cit., pp. 26-32.
254 Alcuni aspetti del Pan-slavismo di Janáček, soprattutto riguardo alle opere Jenůfa e Kát’a Kabanová, sono ben
sintetizzati in LARRY WOLFF, The Operatic Tragedy of Central Europe, in «The Journal of Interdisciplinary History»,
XXXVI/4 (Spring 2006), Cambridge (MA), MIT Press, 2006, pp. 683-695. Cfr. anche BOJAN BUJIC, Le tradizioni
nazionali, cit., pp. 93-94. Sulla definizione, le caratteristiche e le problematiche dello slavismo musicale è fondamentale
JAN STĘSZEWSKI, Slavismo musicale. Realtà, ipotesi o illusione?, in JEAN-JACQUES NATTIEZ, ROSSANA DALMONTE,
MARIO BARONI, MARGARET BENT (a cura di), Enciclopedia della musica, vol. IV: Storia della musica europea, Torino,
Einaudi, 2004, pp. 1022-1031.
116
III.1.3 - Masaryk: speranza e delusione
! Quanto detto finora giustifica l’adesione di Janáček alle idee politiche portate avanti dal
Partito del popolo cèco, d’ispirazione pan-slavista, guidato da Tomáš Masaryk. Anch’egli moravo
(di Hodonín, situato a circa 150 km da Hukvaldy), lavorò tutta la vita per la realizzazione
dell’indipendenza cèca e per la sconfitta austriaca da parte delle forze slave.255 Durante la Prima
Guerra Mondiale, istituì una legione cèca all’interno dell’esercito russo, e si recò negli Stati Uniti a
parlare con il presidente americano Woodrow Wilson.256 I colloqui tra i due cementarono certe idee
di Wilson sul nazionalismo, e contribuirono al conio del programma in 14 punti che l’America
espresse in vista della pace futura, in cui «la fine della diplomazia segreta condotta dai governi sulla
testa dei popoli e l’autodeterminazione delle nazioni [...] acquistavano concretezza con l’auspicio di
una Società delle nazioni capace di dirimere le controversie internazionali e con precise indicazioni
sulla sistemazione territoriale delle colonie e dell’Europa, sulla base del principio di nazionalità da
far valere in particolare negli imperi austro-ungarico e ottomano oltre che in Polonia».257
! Sulla base del suo programma e delle insistenze di Masaryk, Wilson acconsentì, nel 1918,
alla creazione della Cecoslovacchia, uno stato indipendente che realizzava la tanto sognata
indipendenza cèca, seppur gemellata con la causa slovacca.258
! Per Janáček la Cecoslovacchia rappresentava la realizzazione del sogno pan-slavista, la fine
dei quasi trecento anni di occupazione austriaca, e fu inorgoglito del fatto che rappresentasse
l’unico esperimento democratico duraturo tra i paesi nati dalla dissoluzione dell’Impero Austro-
Ungarico, che in poco tempo si trovarono governati da regimi autoritari o fascisti.259 Si trovò quindi
quasi a idolatrare Masaryk, l’artefice della nuova nazione: alla sua legione cèca dell’esercito russo
dedicò il poema sinfonico Taras Bulba (JW VI/15, 1915-1918), basata sul racconto di Gogol’ sul
leggendario eroe dell’independenza dei cosacchi ucraini dalla Polonia e il coro maschile La legione
cèca (Česká legie, JW IV/42, 1918)260; proprio a Masaryk dedicò la versione finale di Výlety páně
Broučkovy (1920) e La ballata di Blaník (Balada Blanická, JW VI/16, 1920), poema sinfonico
255 LARRY WOLFF, The Operatic Tragedy of Central Europe, cit., p. 686.
256 MICHEL MOURRE, voce Masaryk, Tomáš Garrigue, in Dizionario mondiale di Storia, cit., p. 771.
258 Masaryk «nel maggio 1918, con l’accordo di Pittsburgh, realizzò l’unione dei cèchi e degli slovacchi in vista di un
futuro stato comune; ebbe dei colloqui con Wilson che influenzarono profondamente le idee del presidente e si fece
riconoscere ufficialmente capo di uno stato alleato del governo degli Stati Uniti (3 settembre 1918)»: MICHEL MOURRE,
voce Masaryk, Tomáš Garrigue, in Dizionario mondiale di Storia, cit., p. 771. Cfr. anche MZCL, pp. 117, 151.
260Altre composizioni di Janáček dedicate alla Cecoslovacchia sono La nostra bandiera (Naše vlajka, JW IV/44,
1925-’26, per due soprani e coro maschile) e la Sinfonietta (JW VI/18, 1926), per le neonate forze armate.
117
basato sulle ballate contadine (Selské ballady) di Jaroslav Vrchlický (1885)261 , ispirate alle leggende
al centro anche dell’ultimo pezzo del ciclo Má vlast (La mia patria, 1874-1879) di Bedřich
Smetana, che raccontano degli spiriti degli antichi cavalieri dormienti sotto la collina di Blaník, a
sud-est di Praga, pronti a risorgere per aiutare i cèchi quando ce n’è bisogno. 262 Janáček fu felice
che l’università di Brno fosse intitolata a Masaryk e nel 1925 accettò entusiasta la laurea honoris
causa che l’ateneo gli attribuiva in filosofia.263
! La stima era reciproca, tanto che Masaryk attribuì a Janáček un ruolo chiave nella sua
politica culturale, rendendolo quasi un compositore nazionale: fece del suo settantesimo
compleanno (1926) un evento istituzionale, presenziò ai suoi concerti e lo invitò molte volte per
parlare della vita musicale morava.264
! L’idillio, però, così come l’utopia pan-slavista, non fu eterno, poiché Masaryk rifiutò alle
popolazioni tedesche rimaste nella regione cèca, che abitavano molte zone di confine (soprattutto
quelle situate alle pendici dei monti Sudeti che percorrono gran parte del confine nord e nord-ovest
del paese), «uno statuto conforme al diritto dei popoli di governarsi da soli, diritto che giustamente
aveva reclamato per sé la Cecoslovacchia, creando così un problema di minoranze che doveva
essere fatale al nuovo stato. Nei riguardi degli slovacchi dimostrò la stessa intransigenza
accentratrice e le concessioni che dovette fare loro tardivamente, nel 1928, non poterono impedire il
crescente aggravarsi della situazione».265 A questo claudicante panorama interno, si aggiungeva
261 JAROSLAV VRCHLICKÝ, Selské ballady, Praha, Grégr & Valečka, 1885.
262 MZCL, p. 156. Vedi anche HUGH MACDONALD, Narrative in Janáček’s symphonic poems, cit., pp. 48-54, che
traduce in inglese il testo di Vrchlický.
263 È rimasto il discorso di ringraziamento che pronunciò durante il conferimento, intitolato Spondeo ac polliceor!,
pubblicato in ADOLF E. VAŠEK, Po stopách dra Leoše Janáčka, Brno, Brněnské knižní nakladatelství, 1930, pp.
152-156, tradotto in italiano in FRANCO PULCINI, Janáček. Vita, opere, scritti, cit., pp. 305-308. Alla Facoltà di Filosofia
dell’Università Masaryk, Janáček lasciò molta parte della sua eredità: nel testamento specificò che, alla morte della
moglie Zdenka, prima beneficiaria, i proventi di quasi tutte le sue composizioni (tranne Kát’a Kabanová, la cantata Il
diario di uno scomparso, Z mrtvého domu e il secondo quartetto d’archi Lettere intime, assegnati a Kamila Stösslová)
fossero intestati alla facoltà, cfr. MZCL, p. 263 e JIŘÍ ZAHRÁDKA, Janáček’s finances V: Janáček’s estate and last will,
in TOTF, pp. 902-908. Per celebrare l’inizio dei lavori di costruzione dell’Università, Janáček compose anche il Coro
per la posa della prima pietra dell’Università Masaryk di Brno (Sbor při kladení základního kamene Masarykovy
university v Brně, JW IV/45, 1928, per una formazione maschile).
264Sulle celebrazioni del compleanno cfr. TOTF, pp. 376-377; e LARRY WOLFF, The Operatic Tragedy of Central
Europe, cit., p. 690. Masaryk vide dal vivo Taras Bulba nel 1924, e la Messa glagolitica nel 1928, ma non poté
accettare gli inviti di Janáček alle prime di Výlety páně Broučkovy e di Kát’a Kabanová, cfr. TOTF, pp. 379, 444, 521,
862. Sugli incontri privati o pubblici che ebbero cfr. TOTF, pp. 342, 521-522, 687-688. I rapporti tra Janáček e Masaryk
sono indagati complessivamente in JARMILA PROCHÁZKOVÁ, Prezident a skladatel, in «Opus musicum», XXII/6 (1990),
Brno, Opus musicum, 1990, pp. 168-182.
265 MICHEL MOURRE, voce Masaryk, Tomáš Garrigue, in Dizionario mondiale di Storia, cit., p. 771.
118
anche una catastrofe in ottica pan-slavista: il faro culturale della Russia, da sempre visto da Janáček
come indispensabile, cadeva nella maglie del bolscevismo.
! La tanto sperata patria, che per un attimo aveva realizzato i sogni di libertà perpetua nella
felicità personale, si rivelava capace delle stesse prevaricazioni dell’Impero Austro-Ungarico, e il
paese che aveva dato i natali a Tolstoj e Čajkovskij, che con la sua cultura aveva creato quasi tutto il
pensiero etico e musicale di Janáček, si macchiava dei più atroci delitti contro i diritti dell’uomo.
! Come Pierre Bezuchov in Guerra e pace, Janáček aveva riposto la fiducia in una istituzione,
la Cecoslovacchia, e in una idea, il Pan-slavismo, che, come Napoleone, erano in apparenza latori di
libertà, ma, in concreto, si erano rivelati come ennesime irreggimentazioni e mortificazioni della
felicità di molti. La morte di Bystrouška in Příhody lišky Bystroušky riflette la disillusione di quella
constatazione.
! Il 10 febbraio 1922 scrisse a Kamila:266
Ho degli attimi di tristezza, li scongiuro in tutti i modi, ma è inutile, non riesco a liberarmene. Mi ricordo
troppo bene come era prima. Perché certi pensieri vogliono tornare alla luce? Prima non avevo tempo per
questo: c’era la vita. È come se si stesse preparando una sorta di ribellione nel corpo e nel sangue. Ho
cominciato a scrivere Liška Bystrouška. Una cosa allegra con un finale triste; e anche io sto prendendo
Questo stato d’animo esprime perfettamente lo spirito di disillusione per la mancata realizzazione di
un’utopia tanto vagheggiata, e contribuisce a spiegare la decisione di dare alla sua fiaba musicale un
significato anche amaro, in linea con quella disillusione: il «vissero per sempre felici e contenti»
delle fiabe sembra essere quasi negato dalla morte assurda della protagonista, per mano di un banale
bracconiere. La malvagità, insita negli uomini, tarpa le ali a qualsiasi libertà.
! Se l’opera si fosse conclusa con quella scena, Příhody lišky Bystroušky sarebbe diventata il
manifesto dell’impossibilità della realizzazione dei sogni, dell’inutilità di ogni fede nell’uomo e nel
suo possibile ricongiungimento con la natura in una società nuova. Ma Janáček si ricordò di
Chantecler, che eroico esclama: «chi vide de’ sogni suoi la morte o deve morir subito, o levarsi più
forte!»267, e quindi dà all’opera un’ultima scena, facendo della morte di Bystrouška non la definitiva
pietra tombale di ogni utopia, ma lo sprone decisivo per la sua realizzazione, con il «vissero sempre
266 «I have sad times, I talk myself out of them in all sorts of ways but what’s the point when I can’t find a way out. I
remember too much how it was before. Why do these old thoughts fight for the light? Formerly, I didn’t have time for
it: that was life. Some sort of revolt in the body, in the blood, is being prepared. I’ve begun writing Liška Bystrouška. A
merry thing with a sad end; and I’m taking up a place at that sad end myself. And I so belong there!»: lettera numero
193 in SVATAVA PŘIBÁŇOVÁ (a cura di), Hádanka života, cit., tradotta in inglese in TOTF, p. 425, da cui cito.
268 Nell’estate del 1928, Janáček, sul suo diario, celebrò trionfante il primo bacio scambiato con Kamila. Questo fa
pensare che nei precedenti undici anni tra i due fosse intercorso un rapporto tutto di fantasia, esagerato
dall’immaginazione del compositore. Infatti, dalle più di 700 lettere che si scambiarono (quasi tutte di Janáček), si
evince che il loro rapporto si divide in due fasi. Dapprima le insistenze e le iperboliche passioni di Janáček, professate
nelle lettere, vengono poco sopportate da Kamila, che mincaccia di interrompere la corrispondenza e di non vederlo più
se non si fosse controllato. Dalla Pasqua 1927, però, tra i due cambia qualcosa: Kamila sembra non protestare più di
fronte alle assurde fantasie del compositore (come quella di sposarla e di fare figli con lei), c’è lo scambio del primo
bacio, e i due trovano ogni scusa per vedersi, anche senza i rispettivi coniugi; un comportamento che ha generato ogni
sorta di pettegolezzo nella provinciale Brno.
269Cfr. GEOFFREY CHEW, Reinterpreting Janáček and Kamila: Dangerous Liaisons in Czech Fin-de-Siècle Music and
Literature, in MICHAEL BECKERMAN (ed.), Janáček and His World, cit., p. 134.
120
! Che Janáček si trovasse a cementificare opinioni e concetti in contrasto ai comportamenti di
altre persone non era un fatto nuovo. Per esempio, il suo pan-slavismo fu quasi inasprito dalla
condotta filo-germanica della moglie Zdenka (nata Schulzová, 1865-1938), che faceva parte della
comunità austriaca di Brno.270 Con Stösslová, però, si assiste per la prima volta a un’idea sociale
che si conferma in Janáček non per reazione a un modo di fare, giudicato negativo, di un’altra
persona, bensì per ammirazione e quasi per imitazione, poiché il compositore giudicò il carattere di
Kamila benevolo e buono. Nella prima lettera che si scambiarono (il 16 luglio 1917), il compositore
le dice: «[In vostra presenza] si respira cordialità, si guarda il mondo con tanta gentilezza che si
vuole fare solo cose buone e piacevoli per voi in cambio».271 Che questa benevolenza fosse
immaginata, reale, edulcorata o quant’altro, è certo che Janáček credeva fermamente nella bontà di
Kamila, e questo generò in lui una fascinazione personale che durò per tutta la vita, supportata,
fortificata e alimentata da copiosi modelli letterari e artistici, precedenti e contemporanei.272
! L’immagine di una Kamila buona, vera o immaginata che fosse, funzionò per Janáček come
prova che potesse esistere un mondo migliore, in cui tutti potevano assecondare la loro felicità
contribuendo alla nascita della felicità degli altri. In lei, Janáček vide che i suoi sogni, ispirati a
Tolstoj, di felicità personale latrice di libertà universale, non erano solo velleità irrealizzabili da
270Janáček si era innamorato di lei mentre le dava lezioni private di pianoforte nel 1877: lui aveva 23 anni e lei poco
più di 12. Mentre il compositore era a studiare a Lipsia (dall’ottobre 1879 al febbraio 1880) e a Vienna (tra l’aprile e il
giugno del 1880) l’infatuazione si cementificò per due ragioni: per l’impeto delle missive che si scambiarono mentre lui
era lontano, solo e in preda alla nostalgia della patria; e per l’eccitazione di stare vivendo un amore contrastato (i
genitori di Zdenka, austriaci convinti, odiarono fino all’ultimo Janáček). In preda alla furia romantica si sposarono nel
1881 ed ebbero subito la figlia Olga (l’anno dopo): tutto accadde in fretta e non lasciò loro il tempo di rendersi conto di
non conoscersi affatto in modo effettivo ma solo in maniera letteraria e immaginosa. Da subito fu un matrimonio
segnato dall’incomprensione culturale: la maniera di educare Olga, la proibizione di usare il tedesco e l’interesse
smodato per la Russia furono tutti motivi di estraneità della coppia. La reazione alla scomparsa del figlio Vladimir (a
poco più di due anni, nel 1890), la gestione delle reciproche famiglie d’origine, così diverse e inconciliabili, crearono un
clima di distacco che si inasprì con la morte di Olga (nel 1903), dopo la quale Janáček si sentì come disgiunto dalla
moglie e cercò la compagnia di altre donne (prima Camilla Urválková nel 1903, con cui ebbe una breve relazione che
Zdenka sopportò a stento, poi Gabriela Horvátová, che portò la coppia quasi al divorzio).
271 «you breathe warm-heartedness, you look on the world with such kindness that one wants to do only good and
pleasant things for you in return»: lettera 1 di SVATAVA PŘIBÁŇOVÁ (a cura di), Hádanka života, cit., tradotta in inglese
in TOTF, p. 169, da cui cito.
272GEOFFREY CHEW, Reinterpreting Janáček and Kamila, cit., pp. 99-144, dimostra quanto le peripezie platoniche di
Janáček e Kamila siano molto somiglianti alle vicende della letteratura sentimentale del periodo, per esempio a ciò che
avviene nei romanzi di Julius Zeyer (Jan Maria Plojhar, 1887-1888, cfr. anche supra, punto II.2.2.1), Otakar
Auředníček [1868-1947] (Malířské novelly, 1892), Jaroslav Kvapil [1868-1950, il librettista della Rusalka di Dvořák]
(Bludička, 1896), Emanuel z Lešehradu [1877-1955] (Shroucení, 1904) e Lothar Suchý [1873-1959] (Sláva, 1905).
L’Album che i due scrissero insieme tra il 1927 e la morte del compositore, così pieno di suggestioni letterarie,
conferma che per loro la finzione romanzesca era fondamentale. DIANE M. PAIGE, Janáček and the Captured Muse, cit.,
pp. 79-98, insiste che tra i due c’era una relazione tra artista e musa simile ai modelli classici e molto affine a quella
che, in anni vicini, ebbero Franz Kafka con Felice Bauer (1887-1960); Čajkovskij con Nadežda von Meck (1831-1894);
Alban Berg con la moglie Helene Nahowski (1885-1976); Zdeněk Fibich (1850-1900) con Anežka Schulzová
(1868-1905).
121
idealizzare nelle sue opere e destinate a svanire a contatto con la realtà, come continuavano a
ricordagli la moglie e le altre persone, ma potevano invece avverarsi.
! Kamila, per una serie di coincidenze valutate con esagerazione da un fatalista Janáček,
sempre credente nella mano del fato (per esempio il fatto che sia spuntata dal nulla, alle terme in cui
andava di continuo, proprio all’indomani del successo artistico finalmente ottenuto e alla vigilia
dell’indipendenza che realizzava l’ideale pan-slavista)273, diventò, ai suoi occhi, l’incarnazione dei
principi che aveva tanto faticosamente profuso nelle sue opere precedenti (in Šárka, come in
Jenůfa, come in Osud, come, perfino, in Počátek románu, nel balletto Rákós Rákóczy274 , nella
cantata Amarus e nelle composizioni patriottiche), il loro dimostrarsi come realizzabili. Kamila, con
la sua gentilezza contagiosa, i modi franchi e sinceri, profusi nel dire sempre la verità, anche
quando poteva farlo soffrire (fino al 1927 Stösslová rifiutò quasi tutte le sue profferte d’amore)
diventò, per Janáček, la libertà personificata, un modello da imitare, un esempio da seguire e
decantare nelle nuove opere.
! Janáček si immaginò una Kamila che con la sola grazia si opponeva, quasi eroicamente, alle
strutturazioni sociali vetuste e opprimenti, che riusciva a liberare lei e chi le stava attorno dalle
convenzioni e dalle imposizioni della società. Lei ispirò la protagonista di Kát’a Kabanová, forte e
tragica figura prigioniera di un ambiente bigotto e moralista; pensando a lei nei panni di Zefka
compose Diario di uno scomparso (Zápisník zmizelého, JW V/12, 1917-1919, ciclo di canzoni a
carattere semi narrativo per tenore, coro femminile e contralto, basato su un testo anonimo
comparso sul «Lidové noviny» nel maggio 1916, poi attribuito a Jozef Kalda [1871-1921]), in cui
un mite contadino, pur con dolore e un senso quasi di dannazione, lascia la sua casa e la sua
famiglia, simbolo di una strutturazione sociale infelice, per amare una zingara, personaggio legato
alla natura, con caratteristiche quasi faunistiche (Kamila aveva fattezze zingaresche e Janáček pensò
al pezzo solo un mese dopo averla vista); con lei Janáček immagina di sposarsi nella cattedrale della
Messa glagolitica, come abbiamo visto emblema della nuova unione tra cultura e natura suggellata
dalla ritrovata libertà pan-slavista.275 Kamila diventò la protagonista di ogni nuova invenzione
musicale di Janáček, la base su cui si poggiò ogni sua spinta creativa successiva.
273 Sul carattere fatalista di Janáček cfr. anche supra, punto I.1.1.2. La sua suggestione per Kamila si alimentò anche
della coincidenza che si chiamasse come Camilla Urválková: l’incontrare, nello stesso luogo, due donne con lo stesso
nome (la differenza di grafia dei nomi era meno che una minuzia nella mente di Janáček) capaci di affascinarlo
fisicamente e intellettualmente fu per lui motivo di grande emozione. Si convinse che quella coincidenza non fosse
avvenuta per caso.
277Tra il 1916 e il 1918, Janáček ebbe una relazione con la cantante Gabriela Horvátová. La liaison fu un vero caso di
cronaca rosa e rese il suo matrimonio quasi una facciata. Zdenka rimase a vivere con lui ma da allora i due condussero
esistenze pressoché completamente separate.
279 In una lettera del 15 luglio 1924 ammise: «But I know, don’t I, that I’ll never have you [...] You know, we dream
about paradise, about heaven and we never get to it. So I dream about you and I know that you’re the unattainable sky».
È la numero 243 di SVATAVA PŘIBÁŇOVÁ (a cura di), Hádanka života, cit., tradotta in inglese in TOTF, p. 492, da cui
traduco: «Ma io so, vero, che non ti avrò mai. [...] Sai che sognamo del paradiso, del cielo e non ci arriviamo mai. Così
io ti sogno e so che sei il cielo irraggiungibile».
123
! Non ci sono prove che Kamila sia stata il modello per Bystrouška. Janáček dichiarò di
essersi ispirato a lei per le opere che abbiamo elencato prima, ma non abbiamo analoghe
ammissioni per Příhody lišky Bystroušky. C’è però un cenno a riguardo: Janáček donò a Kamila una
copia dello spartito per canto e pianoforte in cui scrisse: «In ogni mio lavoro c’è almeno un’ombra
della tua anima. Qui è quando dicono “lo voglio”!» (in riferimento allo sposalizio delle volpi
nell’atto secondo).280
! Non c’è dubbio che la figura di Bystrouška, il simbolo della libertà, sia una estensione di
quello che Janáček vedeva in Kamila. Abbiamo già notato 281 quanto Janáček si impegnasse nel fare
della volpe una figura positiva, la volpe più buona che l’arte avesse mai conosciuto fino ad allora.
Supponevamo che Janáček quasi si identificasse con il canide. Le implicazioni autobiografiche
connesse a Kamila ci potrebbero far ricredere e dire che, piuttosto che identificarsi, Janáček si
innamorò del carattere della volpe, così simile a quello della sua amata.
! Il fatto che Příhody lišky Bystroušky sia una fiaba, e quindi narrata per simboli e funzioni, ci
fa però sospettare di certe identificazioni sicure tra personaggi e persone reali. Il rapporto tra
Bystrouška e Kamila, quindi, non può essere immediato come quello che c’è tra Kamila e Kát’a
Kabanová, poiché Bystrouška ha caratteristiche simboliche, è una funzione fiabesca, obbediente a
una struttura archetipica, non una persona vera. Detto questo, però, è certo che Kamila,
impersonando gli ideali di unione tra uomo e natura alla base della felicità, fu un modello molto
forte.
! Nel Diario di uno scomparso era accaduta una cosa simile: la sola vista di Kamila aveva
dato vita alla zingara Zefka. Senza conoscere la benevolenza del suo carattere, Janáček aveva dato
le fattezze di Kamila a una figura ambigua che simboleggia perfettamente la natura ambivalente e
amorale intesa da Janáček. Non stupisce quindi che, quando cominciò a identificare Kamila con la
nuova unione tra uomo e natura capace di creare una nuova società, Janáček abbia ideato un
personaggio, Bystrouška, latrice degli stessi ideali.
! Le suggestioni autobiografiche hanno valso molto nell’ispirazione dell’opera: la seconda
giovinezza trovata con Kamila si riflette dell’animismo infantile con cui Příhody lišky Bystroušky è
narrata282 ; Janáček trasferisce da Kamila a Bystrouška l’identificazione del suo ideale libertario; la
nostalgia senile del Guardiacaccia è la stessa provata da Janáček. Ciò nonostante, concludere, in
base a queste suggestioni, che Příhody lišky Bystroušky sia in realtà la storia dell’amore non
280«In every work of mine there is at least a shadow of your soul. It is in this work when they cry ‘I want!’»: TOTF, p.
847.
282
Vedi supra, punto II.2.3. Cfr. anche JOHN TYRELL, voce Cunning Little Vixen, The, in The New Grove Dictionary of
Opera, edited by Stanley Sadie, vol. 1: A-D, London, Macmillan, 1992, p. 1029.
124
corrisposto tra il Guardiacaccia e Bystrouška, che raddoppia in narrazione la relazione inappagata
tra il compositore e la sua musa, è quanto mai fuori luogo. Gli stati d’animo provati dal compositore
sono certamente riflessi nelle sue opere, ma le caratteristiche fiabesche di Příhody lišky Bystroušky
testimoniano l’idea di fare dell’opera una storia universale, in cui le pur presenti implicazioni
personali vengono sublimate in un messaggio globale fatto di archetipi e di simboli. Tra Bystrouška
e il Guardiacaccia c’è, quindi, una tensione costante che allegorizza il comportamento umano nei
confronti della libertà: il Guardiacaccia cerca di irreggimentare Bystrouška, di educarla, di
controllarla, di imbrigliarla, come l’uomo fa con la libertà, ma essa sfugge, scappa, si divincola e si
sottrae a qualunque controllo, così come fa la libertà, restia a entrare nelle strette maglie di
costrizione in cui l’uomo vuole confinarla. Solo alla fine il Guardiacaccia comprende che
l’addomesticamento di Bystrouška, e quindi della libertà, è inutile e che lei va presa così com’è,
senza interventi: la libertà va accettata e non costretta. Relegare tutto questo a semplice storia
sentimentale, di conquista amorosa, significa ignorare le implicazioni etiche di Janáček e fare di lui
un autore da romanzi rosa.
! Eppure la traduzione con cui Příhody lišky Bystroušky è circolata fino a poco tempo fa, ha
cercato di farne una storia da romanzetto. Prima di vedere da vicino le metamorfosi di quest’opera
da fiabesco apologo etico e utopico a vicenda semplicemente sentimentale, occorrerà precisare
come i tratti salienti del logos janáčekiano che abbiamo fin qui trattato si manifestino nelle singole
scene.
!
125
PARTE QUARTA:
LA STORIA CHE SI VUOLE
RACCONTARE
283 Gli esempi sono una riproduzione fotostatica (per la quale ringrazio Ilaria Calliope Palloni) di EC, pp. 15-457. Le
battute sono indicate con il numero arabo, preceduto da una barra e dalla cifra romana che indica l’atto (la battuta I/1 è
la prima del primo atto).
285 La fonte L6 individuata da Zahrádka, costituita di ottanta pagine vergate da Janáček e datate 2 settembre 1924,
catalogate «L V,1» dall’Archivio Janáček di Brno, cfr. EC, p. LXXXVIII.
287THÉODULE RIBOT, L’évolution des idées générales, Paris, Félix Alcan, 1897, p. 206, citato in JEAN PIAGET, La
rappresentazione del mondo nel fanciullo, cit., pp. 238-239.
289 Zahrádka segna qui il dodicesimo numero di chiamata, cfr. EC, p. 47.
290BRUNO BETTELHEIM, Il mondo incantato, cit., pp. 155-161, interpreta la voracità di Hänsel e Gretel come simbolo
della loro fase orale.
291 «Revírník vynoří svou dravčí tvář z houští a jako šelma polapí»: EC, p. 50.
! La prima scena si conclude con la libellula che svolazza per cercare Bystrouška e si
rammarica di non trovarla, con una riproposizione malinconica della sua danza (bb I/42-72),
stavolta senza moscerini o accenni ai bambini, ma con svolazzi ascendenti del flauto solo, che
sembrano richiamare il dispiacere della libellula ed esprimere perplesse domande su dove sia la
volpe. Alla tristezza dell’insetto fa eco il ritorno del brulichio incessante della foresta (bb I/
341-359), quasi identico a quello dell’inizio (bb I/1-37) ma con i trilli e le biscrome del divincolarsi
di Bystrouška che riecheggiano tristi.
294Cfr. SERGIO MICELI, Musica per film. Storia, estetica, analisi, tipologie, Sesto Ulteriano, San Giuliano Milanese
(MI), Universal Music/Lucca, LIM, 2009, pp. 215-231.
130
IV.1.2 - L’aia
! Nella seconda scena siamo nell’aia del Guardiacaccia che sopraggiunge portando con sé
Bystrouška e presentandola al cane Lapák, che subito si sente attratto da lei (lo nota perfino il
Guardiacaccia), e alla moglie, che al contrario non è affatto contenta che il marito abbia portato quel
sacco di pulci.
! Lapák è un soprano anche se è un maschio, così come, abbiamo visto295, il gallo e come sarà
Zlatohřbítek, la volpe maschio che riesce a conquistare Bystrouška nell’atto secondo. Stupisce la
constatazione che tutti gli animali (tranne la zanzara e il tasso che ripropongono le fattezze
dell’Insegnante e del Parroco) abbiano voci femminili. Alcuni hanno visto in questo, oltre alla
caratterizzazione secondo l’equazione più piccolo l’animale più acuta la voce, anche la volontà di
Janáček di popolare il suo mondo animale con voci femminili per evidenziare quanto la natura sia
espressione di ancestralità matriarcali.296 Riconosco che questa ipotesi della natura-madre espressa
con i soprani sia affascinante, però, a mio avviso, l’isistenza di Janáček per le voci bianche o acute è
da attribuire più a una volontà di sottolineare la loro giovinezza piuttosto che la loro origine
femminea; e il genere fiaba, con il suo linguaggio adatto ai bambini e l’animismo infantile, mi fa
insistere su questo punto. Nel secondo atto, infatti, le voci della foresta che accompagnano il
matrimonio delle volpi, sono costituite non da un coro solo femminile, ma da un coro misto, con
anche tenori e bassi.297
! Nell’aia (bb I/359-553) Bystrouška si lamenta della prigionia, e Lapák si unisce a lei,
piangendo per la sua solitudine: durante i mesi amorosi (febbraio e marzo), sublima le sue
disperazioni romantiche con canzoni lacrimose che improvvisa la sera, ma che gli procurano solo
bastonate. L’argomento sembra destare la curiosità di Bystrouška, che, pur ammettendo di non
avere esperienze sentimentali, racconta al cane degli stornelli che abitavano sopra la sua tana,
impegnati in una relazione turbolenta fatta di passioni e litigi, e delle effusioni, da lei spiate, che si
scambiavano le giovani storne con i cuculi e i corvi in maniera assai spudorata. Tutto quel parlare
296LUIGI PESTALOZZA, voce Janáček, Leós, in DEUMM, cit., pp. 724-735. Della sterminata bibliografia sull’espressione
femminea della natura cito solo DANIELA BRACCINI, Fate o befane, streghe o guaritrici. Mistero e potenza delle antiche
madri, Firenze, Press & Archeos, 2012; ROBERT GRAVES, La dea bianca. Grammatica storica del mito poetico, trad. it.
di Alberto Pelissero, Milano, Adelphi, 1992, 20092; JOSEPH CAMPBELL, L’eroe dai mille volti, cit.; MIRCEA ELIADE,
Miti, sogni, misteri, trad. it. di Giovanni Cantoni, Torino, Lindau, 2007, pp. 201-244; ERICH NEUMANN, La grande
madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell'inconscio, trad. it. di Antonio Vitolo, Roma, Astrolabio,
1981.
297 Per molta parte del teatro d’opera, da Mozart (1756-1791) a Strauss, la voce femminile è stata usata per sottolineare
la giovinezza del personaggio, con molti ruoli en travesti.
131
eccita Lapák, che tenta di afferrare Bystrouška e di farla maldestramente sua. La volpe si divincola
facilmente e mette fuori combattimento il cane in poco tempo.
! Il parlare libero e privo di vergogna di Bystrouška in materia di sesso e amore è identico a
quello di Julia in 1984 di Orwell ed è segno della sua libertà, e della necessità di riconsiderare la
moralità tradizionale, secondo la quale tali istinti e parole dovrebbero essere bandite. Qui Janáček si
accoda a Těsnohlídek nell’affermare che tutto ciò che è naturale, come l’amore, non dovrebbe
essere condannato da una imposta e presunta moralità, né rappresentare un motivo di prevaricazione
e violenza, come lo intende Lapák, un animale ormai rovinato dalla società umana.
! Dopo aver abbattuto Lapák, Bystrouška deve anche sopportare le angherie dei piccoli
Frantík e Pepík, venuti a vedere la nuova arrivata e prendersi gioco di lei (bb I/554-600). Che
Příhody lišky Bystroušky sia narrata come una fiaba e con il modo di guardare infantile non vuol
dire che Janáček neghi la presenza di bambini cattivi, così come non nega l’esistenza di uomini
cattivi. Frantík e Pepík, educati secondo le regole della società prevaricatrice, trattano Bystrouška
come se gli appartenesse: ci giocano, la punzecchiano, la maltrattano, esattamente come l’uomo fa
con la natura e con la libertà. Non comprendendola, i bambini la considerano sbagliata e la
umiliano. Bystrouška, però, li avverte che non è un cane qualsiasi e non possono trattarla così e
comincia a ringhiare e ribellarsi. I ragazzi la picchiano e a quel punto Bystrouška si difende
mordendo Pepík a una gamba. La natura e la libertà si ribellano ai soprusi.
! Il Guardiaccaccia e la moglie accorrono alle urla del ragazzo (bb I/601-608). Il
Guardiacaccia dimostra la sua indole buona comprendendo la situazione e punendo con uno
scapellotto i non rispettosi ragazzi: il morso se lo sono meritato. La moglie, però, dà tutta la colpa a
Bystrouška: il Guardiacaccia si fa convincere da lei e lega la volpe con una corda.
! Al giungere del crepuscolo (bb I/609-618) Bystrouška sogna di trasformarsi in donna (bb I/
619-683), come abbiamo già notato.298 Il sogno, con perfetto linguaggio allusivo fiabesco, lega la
volpe all’essere umano, suggerendo ma non dimostrando: il pubblico può elaborare il dualismo tra
donna e animale come vuole, senza costrittive imposizioni didascaliche.
! Nelle storie fiabesche e fantastiche, il rapporto tra due personaggi che sono l’uno il doppio
dell’altro viene spesso contrassegnato da un riferimento visivo quasi onirico. Nella Storia infinita di
Michael Ende, più volte citata in quanto conforme alle idee di Janáček, ci viene suggerito che
Atréju è il doppio fantasiano di Bastian quando Atréju vede l’immagine di Bastian nello specchio
invece della propria. Numerosi esempi simili si potrebbero rintracciare in molte opere fantasy.
Perciò che Bystrouška sogni di essere una donna sottolinea che l’animale è un doppio dell’uomo.
bb I/717-721, oboe, clarinetto primo e secondo, Chocholka, coro di galline, violini primi e
secondi, viole
301
Lo scritto più eloquente su quest’argomento è il foglio etichettato S60 dall’Archivio Janáček di Brno, citato in
MZCL, p. 172. Per i colloqui con Masaryk cfr. JARMILA PROCHÁZKOVÁ, Prezident a skladatel, cit., pp. 179-180.
304I valori politici della scena dell’aia sono perfettamente sintetizzati in MICHAEL EWANS, Janáček’s Tragic Operas,
Bloomington (IN), Indiana University Press, 1978, pp. 147-148.
134
IV.1.3 - Il tasso
! Nel secondo atto, dopo un breve preludio orchestrale (bb II/1-61) Bystrouška,
completamente libera e autocosciente, affronta, spalleggiata da un coro di creature del bosco 305
(soprani e contralti), un tronfio tasso (bb II/62-146) che la riprovera di essere una vagabonda piena
di pulci. Bystrouška lo prende in giro, chiamandolo sprezzantemente «vossignoria»306, e il tasso le
intima di andarsene dalla sua proprietà. La prepotenza del tasso innesca le rappresaglie libertarie
della volpe e delle altre creature, che lo rimproverano di avere atteggiamenti prevaricanti, come
quelli dei signorotti. Schernito, il tasso reagisce violentemente e bastona la volpe. Bystrouška non
sopporta questa violenza: il bosco è grande abbastanza per tutti e non c’è bisogno di usare la forza
per difendere la proprietà privata.
! Nella concezione etica di Janáček, in accordo con Tolstoj e i teorici della prima stagione
anarchica307, la proprietà privata può esistere solo se non comporta oppressione degli altri: il
comportamento tiranneggiante del tasso ricorda i modi dell’odiata nobiltà asburgica già
rappresentati da Janáček nelle sue composizioni patriottiche (specie in Maryčka Magdónova 308). Le
parole «il bosco è grande»309 (bb II/115-116), pronunciate dalla volpe, riassumono tutti i sentimenti
di libertà naturale professati da Janáček.
! Il tasso minaccia Bystrouška di denunciarla in un tribunale (Janáček vedeva tali organismi
come strumenti di oppressione, si veda la sua avversione per lo Špilberk310 ), quindi Bystrouška,
offesa, umilia il tasso con una ostentazione di totale libertà: solleva la coda mostrandogli il
deretano. Sconcertato, il tasso fugge dalla sua tana, tacciando il popolo di ingratitudine
(l’aristocratico, con le sue regole, ha sempre la presunzione di portare un giusto ordine nella vita dei
suoi sudditi311 ). La vittoria non violenta di Bystrouška suscita la grande gioia della foresta.
! In questa scena l’anarchismo pacifista di Janáček (mutuato da Tolstoj) e l’esigenza di un
nuovo ordine sociale strutturato secondo natura (veicolato da Bystrouška, giusta e incruenta),
305 Il coro viene indicato da Janáček solo come «Ženský sbor: lesní havět’» («Coro femminile: animaletti della
foresta»), cfr. EC, p. 147.
307 Cfr. ALEX BUTTERWORTH, Il mondo che non fu mai, cit., pp. 389-402.
311
Cfr. MARIO DOMENICHELLI, Cavaliere e gentiluomo. Saggio sulla cultura aristocratica in Europa (1513-1915),
Roma, Bulzoni, 2002, pp. 501-518.
135
trovano una felice espressione: il canto di letizia del bosco è l’inno di una intensa voglia di
libertà.312
IV.1.4 - La taverna
! Le celebrazioni della foresta liberata dal tasso (bb II/147-205) funzionano anche come
interludio per preparare la scena della taverna. Il Parroco, interpretato dallo stesso cantante del
tasso, che reca la stessa pipa, entra superando i tavoli e raggiunge il Guardiacaccia e l’Insegnante:
come l’animale ha appena lasciato la tana, il Parroco annuncia che sta per trasferirsi in una nuova
parrocchia. 313
! Il Guardiacaccia informa i presenti (oltre ai detti, anche l’oste Pásek) che l’Insegnante si è
malauguratamente innamorato (bb II/206-244), e la notizia viene accolta da un arcigno Parroco (che
impersona un insopportabile bigottismo così come il suo analogo tasso aveva incarnato la spocchia
aristocratica) che avverte, in latino, il Guardiacaccia di stare lontano dalle donne.
! Il Guardiacaccia, per prendere in giro l’Insegnante, canta una canzone (bb II/245-272) su
una certa Verunka, prima giovane e poi vecchia, come un larice prima fiorente poi spoglio, quasi
avvertendo l’amico che il suo amore svanirà come la bellezza dell’oggetto della sua infatuazione.
Questa canzone fu fortemente voluta da Janáček e volle che a scriverla fosse proprio
Těsnohlídek.314 Il soggetto, riguardante l’eterno divenire del tempo, rispecchia bene il senso di
invecchiamento che provava il compositore, e rovescia il senso di un episodio della vita di Andrej
Bolkonskij nel secondo libro di Guerra e pace di Tolstoj: uno stanco Andrej si sta dirigendo
controvoglia dai Rostov per un lungo soggiorno; per lui il risvegliarsi della primavera è fastidioso e
non si riconoscere nella natura che sboccia. Durante la strada vede che una quercia giace ancora
completamente spoglia e secca in una radura dove tutte le altre piante sono rinverdite. Andrej si
sente simile a quella pianta: entrambi non vengono toccati dall’odiosa gioia del mondo. Dai Rostov,
Andrej conosce la giovane Nataša Rostova, che lo fa innamorare e al ritorno, durante una sosta
della carrozza, riconosce la radura in cui aveva visto la quercia nel viaggio di andata. La quercia,
però, sembra non esserci. Ci vuole un po’ di tempo perché Andrej la riconosca: anche l’albero ha i
fiori come tutti gli altri.
! La canzone irrita l’Insegnante, che infatti si vendica, rinfacciando al Guardiacaccia di non
essere riuscito ad addomesticare la volpe (bb II/273-328). L’argomento deve essere spinoso per il
312Cfr. anche MICHAEL EWANS, Janáček’s Tragic Operas, cit., p. 150, che vede nella felicità del bosco un preludio della
gioia del finale dell’opera.
313 Ibidem.
IV.1.5 - La notte
! Un piccolo interludio orchestrale (bb II/432-466) introduce alla scena in cui Bystrouška si
comporta come una kitsune giapponese, che abbiamo già affrontato315 (bb II/467-743). Il fatto che il
Guardiacaccia sia l’unico a riconoscere Bystrouška tra i cespugli adombra forse che tra lui e la
volpe c’è una sorta di legame.316 Quando la vede il Guardiacaccia spara due colpi, spaventando e
facendo fuggire gli ubriachi Parroco e Insegnante, ma sembra essersi reso conto di non poterla
prendere, e la musica che lo accompagna non è minacciosa come nel primo atto, ma sembra
maestosa come l’eternità della foresta.
IV.1.6 - L’amore
! La completa felicità di Bystrouška libera nel bosco, in piena estate, è perfettamente
riecheggiata nella brevissima introduzione della scena del suo sposalizio (bb II/744-754), in cui
risuonano (bb II/748-749 e II/752-755) le voci della foresta (soprani, contralti, tenori e bassi) simili
a quelle di Chantecler.317 ! ! !
! Bystrouška, uscita dalla tana, vede improvvisamente Zlatohřbítek e subito si emoziona. Il
maschio attacca bottone chiedendole se nella zona ci sono uccelli facili da cacciare e offrendosi di
riaccompagnarla a casa (bb II/756-819). Zlatohřbítek è ammirato dal vedere una volpe
indipendente, e Bystrouška si vanta di essere sopravvissuta agli umani, esagerando di molto il
racconto della scena dell’aia e la sua lotta per la libertà (bb II/820-968). La musica riprende
scherzosamente ed esageratamente le figurazioni impiegate in rapporto alla sua cattura, quando era
319 La lettera è del 19 ottobre 1927, ed è la numero 502 di SVATAVA PŘIBÁŇOVÁ (a cura di), Hádanka života, cit., tradotta
in inglese in TOTF, p. 846, da cui traduco («You’re the source of tenderness in my composition»).
320MICHAEL BECKERMAN, Pleasures and Woes: The Vixen’s Wedding Celebration, in MICHAEL BECKERMAN, GLEN
BAUER (eds.), Janáček and Czech Music, cit., pp. 45-53, ritiene che lo sposalizio delle volpi rappresenti un microcosmo
che è metonimia drammatica e musicale dell’intera opera.
bb III/238-244, flauti, oboi, celesta, coro, violini primi, violini secondi, viole
322ZDENĚK KOUMAL, Janáček’s folk settings and the «Vixen», in PAUL WINGFIELD (ed.), Janáček’s Studies, cit., pp.
139-143, dimostra bene il trattamento deformato dell’originale canzone.
139
! Sopraggiunge una famiglia di volpi: Bystrouška, Zlatohřbítek e i loro cuccioli.323 I piccoli
danzano felici (bb III/230-261, il loro canto è in esempio a pagina precedente come a bb I/238-244),
poi vedono la lepre morta. La trovano divertente e Bystrouška ha insegnato loro bene a riconoscere
le trappole: se l’uomo ha lasciato così una lepre, vuol dire che ha in mente un inganno, ma loro non
sono sciocchi e non cadranno nell’insidia (bb III/262-353).
! Bystrouška e Zlatohřbítek gioiscono del tanto tempo passato insieme e della loro splendida
famiglia. Zlatohřbítek vorrebbe altri figli, ma Bystrouška, pur lusingata, gli risponde di aspettare
almeno il mese di maggio. I due si scambiano affettuosi complimenti, poi vedono Harašta ed è
Bystrouška a dire a Zlatohřbítek di nascondersi (bb III/354-408).
! Harašta vede Bystrouška e prende il fucile, deciso a colpirla e sfruttare la sua pelliccia.
Bystrouška non sopporta la violenza dell’umano: vuole ucciderla solo perché lei è quello che è, una
volpe. Harašta vede in lei solo un pretesto di sfruttamento dovuto alla semplice considerazione che
la natura esiste solo per servire l’uomo: le volpi esistono solo per la loro pelliccia e i polli solo per
la loro carne. Per Bystrouška questo modo di pensare biecamente utilitaristico rappresenta una
prepotenza terribile (bb III/409-457). Come Chantecler di Rostand, Bystrouška affronta coraggiosa
il bracconiere e riesce e tenergli testa. Già rapita da bambina da un uomo, non tollera altri
maltrattamenti e si erge come paladina della nuova libertà: in un mondo ideale nessuno deve subire
persecuzioni solo perché esprime il suo essere. Se lei è una volpe nessuno dovrà punirla o
schiavizzarla per questo.
! Le sue battute: «Bít, zabít, jen proto, že su liška!» («picchiata, ammazzata, solo perché sono
una volpe») vengono ripetute quasi una decina di volte.
! Come con il tasso, Bystrouška passa all’azione con il sarcasmo: distrae Harašta mentre fa
segno ai suoi cuccioli di mangiare la selvaggina nel suo cesto (bb III/458-514). Harašta si rende
conto tardi che i volpacchiotti hanno mangiato il suo bottino e, esasperato, non si limita ad
andarsene come il tasso, ma fa pagare cara la derisione alla volpe. Prende il fucile e spara due colpi
(bb III/515-518).
323Janáček si era informato scrupolosamente sui tempi di gestazione della volpe e di crescita dei cuccioli con i
cacciatori di Hukvaldy, cfr. DA, p. 290.
140
IV.1.8 - Nostalgia
! Che la morte di Bystrouška non sia simbolo di sfacelo, ma sprone alla speranza, è evidente
dall’introduzione alla seconda scena (bb III/519-582). La musica non è piangente né patetica, ma
sembra inneggiare all’ordine ciclico della natura con un tema circolare, affidato dapprima al corno
inglese (bb III/525-528), che rimbalza per tutta l’orchestra, raggiungendo a una grande intensità (bb
III/537-541). Segue una dolce melodia, ripetuta da quasi tutti gli strumenti (bb III/542-582), che
esprime calma e tranquillità piuttosto che dolore. La vita continua.
! La quotidianità dell’osteria di Pásek (bb III/583-697), però, non è più la stessa: l’oste non
c’è più, ed è sua moglie a servire da bere al Guardiacaccia e all’Insegnante. Il Parroco si è trasferito
e manda lettere in cui dice di essere molto solo.
! Il Guardiacaccia prova a risollevare il morale generale, ma l’Insegnante è triste: la sua
Terynka si è sposata con Harašta e al matrimonio sfoggiava un manicotto di volpe nuovo di zecca,
che il Guardiacaccia, lì per lì, non collega a Bystrouška, poiché si preoccupa esclusivamente di
consolare l’amico: che vita avrebbe mai fatto con una donna simile?
! La malinconia prende anche il Guardiacaccia, che decide di andarsene, lasciando di stucco
l’Insegnante: è la prima volta che va via dalla taverna così presto. Il Guardiacaccia risponde che è
stanco e vecchio, come il suo cane Lapák: tutto invecchia.
! La morte di Bystrouška, del sogno di libertà, ha lasciato agli umani l’evidenza della
transitorietà della vita e della infelicità causata dalle loro costruzioni sociali. Milan Kundera ha
descritto bene la scena:324
siamo in una locanda di campagna dove un guardiacaccia, un maestro di scuola e la moglie dell’oste
stanno parlando del più e del meno: ricordano gli amici lontani, l’oste che, quel giorno, è andato in città,
il parroco che ha cambiato casa, una donna di cui il maestro era innamorato e che si è sposata da poco. La
conversazione è di una banalità assoluta (prima di Janáček non era mai apparsa sul palcoscenico d’opera
una situazione così banale e priva di drammaticità), ma l’orchestra esprime una nostalgia tanto intensa,
che la scena diventa una delle più belle elegie mai dedicate alla fugacità del tempo.
324MILAN KUNDERA, I testamenti traditi, cit., p. 136. Vedi anche VLADIMÍR ZVARA, Leoš Janáček and the »Slavic
Catharsis«, in «International Review of the Aesthetics and Sociology of Music», XLIII/1 (June 2012), Zagreb, Croatian
Musicological Society, 2012, pp. 29-31.
141
Che in assenza di libertà l’amore non riesca a realizzarsi pienamente è un concetto già espresso da
quest’opera e non raro nel teatro in musica ottocentesco: quando c’è una tirannia, gli amanti non
trovano il modo di essere felici. A rugardo possiamo trovare esempi disparati ed eterogenei: da
Mathilde e Arnold, sotto il regno di Gessler, nel Guillaume Tell (1829) di Rossini, a Edgardo e
Lucia, vittime dei giochi di potere di Enrico Ashton, in Lucia di Lammermoor (1835) di Gaetano
Donizetti (1797-1848), a Manrico e Leonora ne Il trovatore (1853) di Giuseppe Verdi (1813-1901),
all’ombra di un’atroce guerra civile.325 Quindi che l’Insegnante veda deluse le sue speranze
d’amore, dopo la morte di Bystrouška, è un topos ben consolidato: l’amore non può esserci senza
libertà.
IV.1.9 - Liberazione
! Il Guardiacaccia esce dalla taverna (con un interludio orchestrale, bb III/698-750) e si trova
nella radura dell’atto primo, quando rapì Bystrouška nel vano tentativo di addomesticarla con
violenza. C’è stata la pioggia e il sole si sta facendo largo tra le nuvole.
! Il fatto di essere nello stesso luogo dove vide per la prima volta la volpe, lo fa riflettere su
tutta la sua avventura. Si ricorda il passato (la testa della volpe, dritta come quella di una ragazzina),
quasi come se fosse un sogno: si chiede anche se quella che sta rivivendo è la verità o solo una
fiaba.326 I suoi ricordi sembrano rievocare tempi lontanissimi.
! Nel quarto atto di La bohème di Giacomo Puccini, Rodolfo si trova accanto al letto di morte
della sua adorata Mimì, e insieme si rammentano di come si sono conosciuti, un evento visto nel
primo atto, che loro ricordano con grande nostalgia, come se dal loro primo incontro fosse passata
un’eternità. In questa scena (bb III/751-851) c’è un’atmosfera simile. Il Guardiacaccia si scopre a
ricordare non solo i fatti vicini di Bystrouška, ma tutta la sua giovinezza: come nel primo atto, il
luogo gli ha ricordato il giorno dopo le sue nozze, quando con la moglie era un ragazzino
scapestrato, così innamorato da non vedere neanche i fiori che stava calpestando mentre copriva di
baci la sua amata.
! Si sente stanco e decide di raggiungere la cima dell’altura per riposare, e lì viene colto dalla
bellezza del sole che spunta dalle nuvole (bb III/807-825), che lo fa pensare alla bellezza del bosco
e della primavera, quando a maggio ritorna l’amore (b III/826) e rifiorisce la foresta (bb III/
827-843): capisce che la felicità naturale, di tutte le creature (delle ninfe, delle primule, delle
campanule), è ultraterrena, al di là della piccolezza dell’uomo. La morte di Bystrouška gli ha fatto
325Cfr. ALESSANDRO BARICCO, GABRIELE VACIS, Totem. Letture, suoni e lezioni, Milano, Rizzoli, 1999-2000, vol. 1,
con vhs.
327 Alla metà di Balle spaziali un personaggio guarda una videocassetta che scopre essere lo stesso film che sta ancora
andando avanti: si ritrova, perfino, a guardare nel video sé stesso come in uno specchio. Alla fine di Il seme della follia,
il protagonista entra in un cinema dove proiettano proprio Il seme della follia.
Come in un sogno appare al guardiaboschi la foresta, con tutti i suoi esseri sguscianti e volanti; lui cerca
la sua volpe Bystrouška. Che non c’è più. Ma eccone un’altra, piccola, tale e quale, che arriva barcollando
329 Janáček volle che le ultime battute dell’opera venissero suonate al suo funerale.
330Lettera di Janáček a Max Brod dell’11 marzo 1923, che cito nella traduzione contenuta in FRANCO PULCINI, Janáček.
Vita, opere, scritti, p. 205 (cfr. anche supra, punto II.1.3.1). La frase «Così il bene e il male ruotano nella vita
nuovamente» potrebbe essere compresa meglio se tradotta: «Così il bene e il male si scambiano di nuovo il posto nella
vita»; un motto che esprime molto bene il senso di nuova moralità implicito nel finale dell’opera.
144
IV.2 - La storia imposta
IV.2.1 - La voglia di unità di Brod!
! Per capire come Příhody lišky Bystroušky sia diventata La volpe astuta bisogna considerare
due aspetti: uno narrativo, e l’altro riguardante l’idealismo politico.!
! Come abbiamo già visto, Janáček è così sensibile al folklore che tratta elementi magici,
soprannaturali e simbolici in maniera del tutto quotidiana, ovvia e immediata, apparentemente senza
alcun filtro letterario, come invece fanno altri compositori che, come lui e negli stessi anni, si sono
dedicati alle fiabe.331 Per questo motivo Příhody lišky Bystroušky scorre liscia e veloce, e i suoi
episodi si susseguono con una piacevole casualità, tanto che è forse difficile ricordare la loro
successione esatta, un po’ come succede agli eventi di un sogno. Questo andamento quasi rapsodico
è peculiare anche ad altri maestri del fiabesco, come Lewis Carroll (1832-1898) e Andersen.332
! Per di più, Příhody lišky Bystroušky è totalmente immersa in un linguaggio vernacolare
moravo, inintelligibile perfino per molti boemi. Questo aspetto è connesso con la teoria libertaria
anarco-pacifista che Janáček ha desunto dai romanzi di Tolstoj.333 Secondo lo scrittore russo,
abbiamo visto, in un’ottica che va dal particolare all’universale, è la felicità personale che porta alla
libertà: ognuno deve essere felice individualmente (particolare) e se riesce a esserlo senza intaccare
le felicità di altri tutto il mondo potrà dirsi libero (universale). Per Janáček lo stesso ragionamento
può valere per i popoli e le nazioni: ogni nazione deve essere libera di per sé (particolare), e solo
così tutti i popoli potranno essere liberi insieme in una comunità delle nazioni di tutto il mondo
(universale). Un’idea, questa, ampiamente perseguita in quegli anni anche in ambito politico: nella
fattispecie, come abbiamo osservato, da Masaryk e dal presidente americano Wilson, che fecero
dell’autodeterminazione delle nazioni, in contrasto con gli esistenti imperi sovranazionali, uno dei
punti decisivi per i trattati che avrebbero dovuto salvaguardare la pace dopo la Prima Guerra
Mondiale.334 Il linguaggio strettamente vernacolare di Příhody lišky Bystroušky rispecchia questo
aspetto: la grande celebrazione del dialetto moravo, dei costumi moravi, delle leggende popolari
morave, vale il riconoscimento alla Moravia di una cultura forte e concreta, e quindi una libertà
intellettuale; in modo che essa possa dirsi una regione libera, insieme a tutte quelle che abbiano
intrapreso un percorso simile. In questo senso la quasi volgarità di certo linguaggio dell’opera, tutta
332L’aspetto di piacevole casualità che produce una certa difficoltà nel lettore a ricordare le trame di Carroll è bene
evidenziato nell’introduzione a LEWIS CARROLL, Alice nel Paese delle Meraviglie/Attraverso lo specchio [1975], ed. it.
a cura di Milli Graffi, Milano, Garzanti, 1989, 19969, p. XXIII.
Max Brod ha creato l’immagine di Kafka e quella della sua opera; e al tempo stesso ha creato la
kafkologia. I kafkologi, pur attenti a prendere le distanze dal loro capostipite, non si avventurano mai
fuori del territorio che quest’ultimo ha delimitato. Nonostante l’astronomica quantità di testi che ha
prodotto, la kafkologia non fa che elaborare, con infinite varianti, un unico discorso, un’unica
speculazione, e questa, ogni giorno più indipendente dall’opera di Kafka, si nutre ormai solo di se
medesima. Mediante un incalcolabile numero di prefazioni, postfazioni, note, biografie e monografie,
conferenze e tesi, essa produce e tiene in vita la propria immagine di Kafka, sicché l’autore noto al
pubblico sotto il nome di Kafka non è più Kafka ma il Kafka kafkologizzato.
In modo del tutto analogo, Brod cercò di instillare e trasmettere alla società l’immagine di Janáček
che si era fabbricato dentro di sé alla visione di Jenůfa, ignorando, o volendo ignorare, che di
quell’opera non aveva visto la versione d’autore.
! Janáček, nonostante l’età, non aveva esperienze in ambito europeo: il successo internazione
di Jenůfa fu per lui una sorpresa, perciò si fece guidare dal giovane intellettuale già affermato 336,
soprattutto riguardo al tono da dare alle versioni straniere. Per Vienna, nel 1918, Brod creò una
speciale traduzione per Jenůfa, completamente aderente ai canoni romantici, che si adattò
336Brod era una figura di primo piano anche al livello diplomatico: fu vice-presidente del Consiglio nazionale ebraico
della neonata Cecoslovacchia nel 1918.
146
perfettamente alla versione di Kovařovic (che si rifaceva agli stessi orizzonti culturali): il duro
linguaggio agrario di Gabriela Preissová si trasformò in un aulico tedesco letterario, simile a quello
usato nei libretti di Richard Wagner.
! Era veramente ironico per un anti-tedesco convinto come Janáček arrivare al successo con
un’opera morava travestita per assomigliare a un lavoro romantico tedesco, ma la Jenůfa così
conciata gli aprì le porte della fama e dei guadagni. Fu così che, per l’opera successiva, Kát’a
Kabanová, egli continuò ad affidarsi alle cure di Brod, sicuro che il suo marketing letterario sarebbe
stato di nuovo efficace.337
! Quando i due cominciarono a lavorare a Příhody lišky Bystroušky, però, Janáček aveva
raggiunto un livello di consapevolezza maggiore e per la prima volta presentò numerose obiezioni
al lavoro di Brod.
! Per eludere il problema della non consequenzialità degli eventi, Brod insisteva per trovare
un espediente che desse a tutto l’intreccio un’unità precisa. In particolare Parroco, Guardiacaccia,
Insegnante e Bystrouška non avrebbero dovuto farsi latori ognuno di vicende personali destinate, in
uno scontro dialettico, ad alimentare i conflitti fiabeschi da cui sorgeva la morale ‘tolstoiana’, ma
avrebbero dovuto figurare tutti come agenti di un’unica trama. Vista la natura simbolica di
Bystrouška, che nell’opera si suggerisce essere connessa stranamente con gli umani, tanto da
trasformarsi in donna nel secondo atto, Brod concluse che dovesse essere lei il trait d’union di tutto,
e non in quanto simbolo di libertà e nuova sinergia tra uomo e natura, ma proprio in quanto donna:
la volpe sarebbe potuta essere il doppio animale di Terynka, che poteva diventare l’amata non solo
dell’Insegnante e di Harašta ma anche del Parroco e del Guardiacaccia. Poiché i doppi animali sono
peculiari dell’opera, un doppio in più, secondo Brod, si poteva giustificare benissimo, e l’amore che
tutti i personaggi provano per la stessa donna funzionava altrettanto bene come collante unitario.
Per rendere Terynka in un certo senso più “animalesca”, Brod insistette per trasformarla in una
zingara, strizzando così l’occhio alla Zefka di Diario di uno scomparso, di cui stava curando la
traduzione quasi negli stessi giorni in cui si dedicava a Příhody lišky Bystroušky: già in questo è
evidente la volontà di Brod di rendere le diverse opere di Janáček il più possibile simili tra loro,
cercando di perpetuare e “vendere” un Janáček, per dirla con Kundera, “janáčekizzato”.
! Brod aveva sicuramente in mente un rapporto tra uomo e animale molto più semplice
rispetto a quello voluto da Těsnohlídek e Janáček, di stampo molto più favolistico che fiabesco e,
sicuramente, molto più diretto, facile e positivo di quello che aveva approntato Janáček.
337Il rapporto tra Janáček e Brod è indagato complessivamente in CHARLES SUSSKIND, Janáček and Brod, cit.;
GEOFFREY CHEW, The Adventures of «The Cunning Little Vixen», cit., pp. 113-132; LEON BOTSTEIN, The Cultural
Politics of Language and Music: Max Brod and Leoš Janáček, cit., pp. 13-54; e TOTF, pp. 124-131.
147
! La consustanzialità primitiva e antro-poietica338, nonché lo sdoppiamento atto a stimolare
l’elaborazione unificante, tipico delle fiabe339, così importanti per il modo di pensare di Janáček
furono visti da Brod, un sicuro esponente dell’intelligencia europea ortodossa e della pièce bien
faite, come barbarismi e inutili complicazioni. Per Brod, gli indizi di una unione tra il mondo
animale e umano, che nell’opera originale vengono centellinati e mantenuti ambigui e cangianti,
dovevano invece essere chiari fin dall’inizio, così come li aveva resi Rostand nel prologo di
Chantecler e come si faceva nel sistema metaforico delle favole, cristallino fin da subito.
! Inoltre, Brod (nella foto) contava su una tematica
amorosa per rendere più appetibile la storia per un
pubblico più ampio, lasciando quasi perdere le
implicazioni politico-culturali. La vicenda, per Brod,
doveva essere quella del Guardiacaccia, del Parroco e
dell’Insegnante, tutti innamorati di Terynka, che
sublimano (soprattutto il Guardiacaccia) il loro amore
trasferendolo a Bystrouška, tanto da vedersi animali come
lei. Solo il Guardiacaccia, nella conclusione, forse alla fine
della sua vita, riesce a comprendere, con nostalgia, che gli
amori impossibili sono un nulla nel mare magnum
dell’esistenza. Libertà, nazionalismo, nuovo connubio
uomo-natura: tutto questo non era per Brod materia da
opera, che al contrario avrebbe dovuto narrare piccole cose, sublimandole in superba arte, ed era
quindi adattissima alle storie d’amore (come quelle dell’opera italiana, che mietevano successi in
Europa), e alle commedie (come quelle che scrisse Richard Strauss dopo il 1909).
! Janáček era arrivato alla stesura della sua opera con naturalezza e istinto, senza speculazioni
di story-telling né concettismi su cosa dovesse essere l’opera in musica, per cui non capiva le
obiezioni di Brod: per il compositore il rapporto tra simbolo e realtà non abbisognava di ulteriori
spiegazioni didascaliche e la pretesa di ridurre tutto a una storia d’amore non corriposto gli
sembrava molto riduttiva. Janáček, però, si fidava di Brod: grazie a lui aveva trovato il successo, e
quindi acconsentì ad alcune sue richieste.
! Il dualismo Bystrouška-Terynka (un personaggio che, non si vede mai e viene solo
nominata) poteva accettarlo, così come il fare della volpe-donna l’oggetto del desiderio di tutti gli
uomini. Quando però Janáček si accorse che le trovate di Brod per cementificare quelle idee nella
+ Nello spartito per canto e pianoforte c’è scritto che, nell’ultima scena, al guardiaboschi cade
semplicemente il fucile di mano. Nient’altro; ognuno può pensare quello che vuole.
+ Quanto voleva fare il signor Pujman - il guardiaboschi che doveva contorcersi con crampi
mortali ecc. - era tremendo.
In questo caso Brod (che fin da subito aveva giudicato «Kitsch!»341 i gesti del cantante di Praga),
nonostante fosse poco incline a lasciare le cose nel non-detto, fu d’accordo e la caduta del fucile si
affrancò da significati funebri.
340 Cito dalla traduzione italiana che della lettera dà FRANCO PULCINI, Janáček. Vita, opere, scritti, cit., p. 209.
341 Così scrive a Janáček in una lettera del 13 giugno 1925 citata in italiano in Ivi, p. 208.
149
! Quello su cui Janáček non poté nulla fu la decisione di Brod di usare per la traduzione il
tedesco aulico e wagneriano già utilizzato per le versioni di Jenůfa e Kát’a Kabanová. Brod era
convinto che quella fosse l’unica lingua in grado di far comprendere l’opera all’estero.
! La Příhody lišky Bystroušky di Brod fu stampata dall’editore viennese Universal e quindi
l’opera si diffuse all’estero nelle partiture e negli spartiti secondo quella traduzione, che edulcorava
molte componenti e la faceva somigliare molto di più a una favola che a una fiaba: i risvolti
psicanalitici e animisti venivano sostituiti da una classica storia d’amore. Anche il titolo tedesco di
Brod, Das schlaue Füchslein, serviva a sottolineare la carica favolistica dell’opera e non le sue
valenze fiabesche. Come abbiamo già notato342 , il titolo Příhody lišky Bystroušky significa «Le
avventure della volpe Bystrouška», che suona come «Le avventure della volpe Orecchiuccio-fine»,
una caratteristica che indica sia il nome dell’animale sia la sua furbizia, come l’italiano
«zampalesta». Abbiamo visto come Bystrouška sia la crasi di «bystry» (acuto, fine, svelto, furbo) e
«ouška», il diminuitivo di «ucha» (orecchio), ma Brod trasferì il diminuitivo dall’orecchio alla
volpe, e tradusse il nome come «Füchslein», cioè «volpacchiotta». Il titolo suonò così come una
sorta di «La vispa volpacchiotta», senza il nome proprio della protagonista e con una strizzata
d’occhio alle favole tradizionali, che pullulano di volpi sagaci e impertinenti. Il lavoro di
Těsnohlídek e Janáček per rovesciare i canoni favolistici venne in questo modo quasi annullato,
poiché tutte le altre traduzioni si sono formate a partire da Das schlaue Füchslein e non da Příhody
lišky Bystroušky e quindi si sono avuti The Cunning Little Vixen e La piccola volpe astuta o La
volpe astuta.
343Cfr. anche quanto detto nell’Introduzione. Per aumentare le royalties, amici ed eredi di Janáček chiesero a Talich di
lavorare anche a una breve suite orchestrale da far circolare a parte. Il giovane direttore, già restio a rimaneggiare il
lavoro del suo maestro, si rifiutò di comporre musica nuova e si limitò a fare una parafrasi orchestrale dei temi
principali del primo atto.
344 MASSIMO MILA, Cronache musicali, cit., pp. 282-285, recensì l’allestimento di Felsenstein in un articolo intitolato
Scoperta della «Volpe scaltra»: un documento prezioso anche a livello storico poiché testimonia dell’interessante
differenza culturale e sociale vigente allora, in piena Guerra Fredda, tra Berlino Est e Berlino Ovest.
345FEDELE D’AMICO, Il poetico mondo morale di Janacek, nel programma di sala del Teatro alla Scala per la prima
rappresentazione italiana del 13 maggio 1958, Milano, Teatro alla Scala, 1958, pp. 443-450.
l’italiano Briscola, la carta appartenente a quel seme che vince gli altri: il quale termine è stato scelto
anche per il riferimento onomatopeico a qualcosa di rapido e guizzante, e infine per l’identità della sua
Però l’opera andò in scena con il titolo La volpe astuta: «[titolo che] s’è preferito come quello
comunemente adoperato da noi ogni volta che ci si è occupati di quest’opera, e perciò il più
noto».347
! Secondo i voleri di Felsenstein, gli animali maschi furono interpretati da tenori: Luigi Alva
(1927-) fu Zlatohřbítek (tradotto «Pelodoro»), Aldo Bertocci (1915-2004) ebbe la doppia parte di
Lapák (chiamato semplicemente «il bassotto») e dell’Insegnante, Rinaldo Pelizzoni (1920-1998)
quella del gallo, Paolo Montarsolo (1925-2006) fu il Parroco e il tasso; i protagonisti furono Dino
Dondi (1925-2007) nei panni del Guardiacaccia, e Mariella Adani (1934-) che interpretò Briscola. Il
direttore d’orchestra fu Nino Sanzogno (1911-1983).
! Dall’Italia, la versione di Felsenstein approdò al Sadler’s Wells di Londra nel 1961, diretta
da Colin Davis (1927-2013)348, e da lì si diffuse in tutto il mondo.
! Il pubblico non cèco ha quindi conosciuto una versione molto diversa da quella voluta da
Janáček, ed è stata quella versione l’oggetto delle prime intuizioni critiche, soprattutto in Italia. Le
voci di molti dizionari specializzati italiani raccontano, ancora nel 2007, la trama di Felsenstein.349
! Le incomprensioni principali a carico di Příhody lišky Bystroušky nascono tutte da questo
problema, poiché Felsenstein cercò maldestramente di coniugare le esigenze di palco con una
malintesa fedeltà all’originale, ottenendo un guazzabuglio tutt’altro che logico. Per esigenze
sceniche la zanzara doveva essere un ballerino, per cui non poteva essere interpretata
dall’Insegnante, che, per motivi di caratterizzazione comica, doveva apparire impacciato e goffo. In
quel caso non ci si poteva adeguare all’originale, che però poteva essere rispettato, se non alla
lettera almeno nella sostanza: sarebbe stato sufficiente mantenere comunque un doppio ruolo per
l’Insegnante, in una parte più consona alle sue caratteristiche insicure, quella del cane Lapák, che
con la sua attrazione per Bystrouška obbedisce anche all’idea di Brod sulla volpe che è l’oggetto
347Ibidem. d’Amico pubblicò la sua traduzione del libretto in FEDELE D’AMICO, Le avventure della volpe Briscola,
Milano, Carisch/Wien, Universal, 1958.
348La prima edizione inglese è recensita in ANDREW PORTER, COLIN GRAHAM, BARRY KAY, The Cunning Little Vixen,
in «The Musical Times», CII/1417 (March 1961), London, Musical Times, 1961, pp. 146-147. Cfr. anche GUSTAV
KOBBÉ, Dizionario dell’opera, ed. it. a cura di Luca Conti, Milano, Mondadori, 2007, pp. 459-462.
349Vedi LUIGI PESTALOZZA, voce Janáček, Leós, in DEUMM, cit., p. 729; e FEDERICO CAVALLONI, voce Volpe astuta,
La, in PIERO GELLI (a cura di), Dizionario dell'opera, cit., pp. 1389-1390.
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amoroso di tutti gli uomini. Che Lapák fosse un ruolo previsto per un soprano poteva passare in
secondo piano: l’animismo/giovanilismo fiabesco doveva cedere in favore delle granitiche necessità
teatrali, per cui una femmina doveva essere corteggiata da un maschio, cosa ancora più evidente nel
caso di Zlatohřbítek, che, in maniera imperativa, doveva essere un uomo.350
! Felsenstein aveva un grande istinto scenico, ma era attento più al grande effetto immediato
che alla minuzia intellettualistica, e quindi non si rendeva conto che scelte del genere,
apparentemente geniali soluzioni teatrali, non facevano altro che minare la logica profonda
dell’opera. È a partire dalla sua edizione, che incorpora anche le idee di Brod, approvate sì da
Janáček ma ancora prive di un’opportuna verifica scenica, che Příhody lišky Bystroušky diventa
un’opera totalmente incomprensibile, che ottiene il successo solo perché intesa come divertente
favola infantile che può permettersi molte inverosimiglianze.
! Per esempio i doppi ruoli, gestiti nel modo di Felsenstein, senza alcun rispetto per i dettagli
voluti da Janáček, sono risultati arbitrari, quasi casuali, e, nell’ignoranza dell’originale, vennero
intesi dalla critica come un capriccio del vecchio compositore351 ; e la volontà di uniformare tutti gli
amori degli uomini verso Terynka, applicata a una musica e a una struttura drammaturgica che
invece ignorava quell’aspetto, hanno creato uno scarto di senso notevole.
! Nella versione di Felsenstein/Brod è a Terynka che il Guardiacaccia pensa all’inizio e alla
fine dell’opera, e non alla sua intera vita passata: sembra che il guardiacaccia abbia in qualche modo
perfino violentato la ragazza nel bosco352 , e quindi il grande trasporto finale che sentiamo nella
musica sembra apparecchiato non per la rigenerazione eterna della natura ma per il ricordo di uno
stupro; nella scena dell’aia, non è Bystrouška a sognare di essere una donna, ma è il Guardiacaccia
a immaginarsi Terynka, e ciò risulta strano, poiché il Guardiacaccia non è in scena in quel momento
e deve rientrare macchinosamente nell’aia apposta per fare il sogno; nella taverna, la canzone
popolare riguardante una generica Verunka, prima bella poi invecchiata, suonata dal Guardiacaccia
per prendere in giro l’Insegnante, si trasforma in uno strano “a solo” del Guardiacaccia in cui lui
continua a pensare a Terynka, rammaricandosi di non essersi degnamente dichiarato a lei: in questo
modo la scena risulta quasi incomprensibile, poiché il tono languente del nuovo testo della canzone
si adatta assai male al ritmo dileggiante della musica, e gli interventi del Parroco rivolti al
350 Felsenstein odiava i ruoli en travesti: nella sua vasta produzione berlinese (fondò e diresse la Komische Oper dal
1947 al 1975) mantenne solo Cherubino di Le nozze di Figaro (1786) di Mozart e cercò in tutti i modi di eliminare gli
altri. Nella sua edizione di Les contes d’Hoffmann di Offenbach, filmata nel 1970, il ruolo maschile di Nicklausse (un
mezzosoprano quasi sempre tramutato in tenore negli allestimenti teatrali e nelle registrazioni) sparisce del tutto.
351ERIK CHISHOLM, The Operas of Leos Janáček, New York, Pergamon, 1971, pp. 154-155, 176, è una delle voci più
contrarie al rispettare gli sdoppiamenti: propone di evitarli totalmente.
352MASSIMO MILA, Cronache musicali, cit., p. 283, dice: «Terynka [è] la più bella giovane del villaggio, una zingara
procace, che il maturo ed aitante guardiacaccia ha una volta selvaggiamente posseduto nel bosco».
153
Guardiacaccia si spiegano poco se la canzone deve considerarsi un “a parte”; le spiritosaggini sulla
religione che reagiscono al bigottismo del Parroco si trasformano in una volgare sfida maschile, in
cui il Guardiacaccia dice agli altri due di lasciar perdere perché non hanno la forza necessaria per
conquistare Terynka; nella scena notturna successiva alle bevute all’osteria, oltre all’Insegnante
anche il Parroco dice di aver conosciuto Terynka da giovane, e che lei era rimasta incinta del
garzone, e non si dànno indizi su dove sia finito il presunto figlio.
! Terynka diventa, quindi, onnipresente353 , anche se, musicalmente, non c’è assolutamente
nulla che la leghi a Bystrouška; in questo modo, le avventure degli umani e quelle della volpe,
invece di unificarsi, si scollano ancora di più, visto che l’elemento che dovrebbe unirle (l’identità tra
la donna e la volpe) è così esile da non poter essere registato dallo spettatore. Quest’ultimo
percepisce quindi due vicende che procedono quasi distinte: la storia degli animali, che parla del
raggiungimento di una maturità felice che però non dura, per via della casuale fatalità, e la storia
che riguarda gli uomini, che sembra vertere solo sul patetico chiodo fisso amoroso dei tre
protagonisti, incapaci di crescere e tutti ancora folli di nostalgia per una donna conosciuta in
gioventù. Inoltre, in questa versione il Guardiacaccia assume anche caratteristiche molto più oscure
dell’originale, essendo capace di usare violenza carnale, cosa che va poco d’accordo con il finale
conciliante che lo vede come figura centrale: perché il pubblico dovrebbe provare simpatia o essere
in linea con lui quanto a visione del mondo?354
! La critica che cercò di interpretare Příhody lišky Bystroušky, senza però conoscere
l’originale, ignorò la vicenda animale, che nella versione di Felsenstein/Brod sembra fare solo da
contorno, e si concentrò sulla trama umana, che lesse sulla base di parametri biografici. Il
Guardiacaccia, burbero e spiccio, fu visto come un autoritratto di Janáček, e in Terynka, con i suoi
tratti zingareschi (voluti da Brod, per darle un fascino esotico), fu individuato un riflesso di Kamila
Stösslová.355 Questa interpretazione autobiografica avvalorò l’idea che Příhody lišky Bystroušky
fosse un’opera sentimentale e senile, «per adulti coi primi capelli grigi»356, e non comprese i tratti
politici rimasti nella vicenda animale (la parodia bolscevica di Bystrouška, il suo ripetere «il bosco
è grande» al tasso e «picchiata, ammazzata, solo perché sono una volpe» a Harašta), che vennero
353ERIK CHISHOLM, The Operas of Leos Janáček, cit., p 146, non riesce proprio a spiegarsi i continui riferimenti a
Terynka nella verisone tedesca.
354Anche GEOFFREY CHEW, The Adventures of «The Cunning Little Vixen», cit., p. 130, pur concludendo che la
versione di Brod/Felsenstein risulta più compatta, nota che in essa le azioni del Guardiacaccia sono da considerarsi
alquanto sordide.
355Vedi MASSIMO MILA, Cronache musicali, cit., p. 284; JAROSLAV VOGEL, Leoš Janáček: His Life and Works, cit., pp.
275-292; LUIGI PESTALOZZA, voce Janáček, Leós, in DEUMM, cit., pp. 724-735, e le considerazioni fatte
nell’Introduzione.
357 MZCL, p. 172, trova l’aspetto ribellistico di Bystrouška contraddittorio rispetto al finale conciliante e panista. La
studiosa ritiene anche che la morte della volpe sia solo deprimente e la vede del tutto avulsa dalla presa di coscienza
finale del Guardiacaccia. HANS HOLLANDER, Janáček. His Life and Works, cit., pp. 142-144, evita accuratamente di
parlare di politica, concentrandosi su una generica descrizione dell’umanesimo di Janáček.
358 JAROSLAV VOGEL, Leoš Janáček: His Life and Works, cit., pp. 275-292.
359C’è traccia di queste idee perfino in LUIGI PESTALOZZA, Leoš Janáček, cit., e in GIANANDREA GAVAZZENI, Musicisti
del nostro tempo: Leos Janáček, cit., studi che per altri aspetti sono invece ottimi.
155
patria, che, via via, si isolava culturalmente sempre di più: «Janáček non si libererà mai del marchio
di provincialismo affibbiatogli dai suoi compatrioti e sanzionato da Brod», che non riusciva a capire
né lui né Kafka, e «sforzandosi di liberarli dal loro isolamento sociale non fece altro che ribadire la
loro solitudine estetica. Perché la sua dedizione per loro significava: perfino chi li amava, ed era
quindi pronto a comprenderli più di chiunque altro, rimaneva estraneo alla loro arte».360
CONCLUSIONI
157
! Come abbiamo visto nell’Introduzione, il mondo sentì per prima volta la versione originale
di Příhody lišky Bystroušky non in una performance teatrale, ma in una registrazione discografica,
diretta da Charles Mackerras per l’etichetta inglese Decca nel 1981. Quella registrazione fu una
scoperta perfino per la Repubblica Cèca, dove, ricordiamo, anche prima del grande revival praghese
del 1937, fu imposta Das schlaue Füchslein. Questo avvenne probabilmente anche in ragione di ciò
che Milan Kundera chiama «sindrome delle piccole nazioni»:361
Le piccole nazioni non hanno la beata consapevolezza di esistere da sempre e per sempre; tutte quante, in
qualche momento della loro storia, sono passate per l’anticamera della morte; sempre costrette a fare i
conti con l’arrogante ignoranza dei grandi di questo mondo, esse vedono la loro esistenza costantemente
minacciata o messa in dubbio; perché la loro esistenza è di fatto problematica.
Problematica perché quelle nazioni tendono a considerarsi una grande famiglia e ciò può essere
controproducente. La famiglia può essere infatti soffocante, perché difendendo con le unghie e con i
denti i propri membri, finisce spesso col nuocere loro e portare acqua ad altri mulini. È questo il
motivo per cui al Janáček autentico veniva preferito il Janáček “internazionale”, benché privo di
senso, di Brod e Felsenstein: per una forma di protezionismo ossequioso dei canoni estetici
stranieri, riconosciuti come più autorevoli.
! Spiega ancora Kundera:362
Nella grande famiglia di una piccola nazione, l’artista è [...] avvinto in molti modi, da molteplici lacci.
Quando Nietzsche proclama a gran voce il suo disprezzo per l’indole tedesca, quando Stendhal dichiara di
preferire l’Italia al suo paese natale, né tedeschi né francesi se ne sentono minimamente offesi; ma se un
greco o un cèco osasse fare lo stesso, su di lui cadrebbe l’anatema dell’intera famiglia, come sul più
+ Nascoste dietro le loro inaccessibili lingue, le piccole nazioni europee (con la loro vita, la loro
storia, la loro cultura) sono molto mal conosciute; viene naturale pensare che sia questo l’ostacolo
maggiore al riconoscimento internazionale della loro arte. E invece, è proprio il contrario: l’ostacolo
maggiore che quest’arte incontra è il fatto che tutti quanti (la critica, la storiografia, i compatrioti non
meno degli stranieri) la incollano sulla grande foto di famiglia nazionale e non la lasciano uscire di là.
Prendiamo Gombrowicz: senza alcun profitto (e, anche, senza alcuna competenza), i suoi commentatori
stranieri si accaniscono a spiegare la sua opera disquisendo sulla nobiltà polacca, il barocco polacco, ecc.
[...] essi non fanno altro che «polacchizzarlo», «ripolacchizzarlo», ricacciandolo nel suo ristretto contesto
nazionale. Ma non sarà certo la conoscenza della nobiltà polacca a farci capire la novità e, dunque, il
valore del romanzo di Gombrowicz, bensì la conoscenza del romanzo mondiale moderno (in altri termini,
! Inoltre,! dal 1948, la Cecoslovacchia staliniana, nella figura del ministro della cultura Zdeněk
Nejedlý, mise in atto un processo di “normalizzazione” della figura di Janáček, di cui abbiamo già
in parte detto nell’Introduzione: un’operazione perfettamente conforme all’idea di Kundera di
«sindrome della piccola nazione». Le sue opere vennero prese in considerazione non più secondo le
versioni originali ma in accordo con le riscritture e quindi furono tacciate di sentimentalismo inutile
e trattate come lavori minori rispetto alle edizioni di musica folklorica (l’istituzionalizzazione della
tradizione popolare era un aspetto molto caro alla politica sovietica). Il suo anarchismo tolstoiano
venne taciuto, così come il suo ribellismo anticlericale, la sua figura fu lasciata in secondo piano
rispetto a quella di altri compositori, soprattutto di Smetana, di gran lunga il compositore preferito
di Nejedlý. Janáček, fino al crollo del muro di Berlino nel 1989, fu considerato un compositore
minore e pochi riuscirono a comprendere il suo contributo estetico alla storia dell’opera europea;
solo la musicologia inglese, grazie al successo delle registrazioni di Mackerras, innescò sistematici
studi janáčekiani a partire dagli anni ’90.
! Noi abbiamo invece tentato di porci su un piano diverso, quello della “cèchizzazione” di
Janáček, cercando di comprenderlo indossando panni pan-slavisti e non travestendo lui dei canoni
culturali europei. Questo, a mio avviso, era necessario, non certamente per relegare Janáček nel suo
angolo di mondo, ma, al contrario, per supportare l’idea che Janáček abbia utilizzato un linguaggio
universale e per comprendere meglio quanto la sua opera sia parallela, e artisticamente simile nei
risultati, a quella di compositori a lui contemporanei tradizionalmente considerati erroneamente
“maggiori”.
363
Ivi, pp. 186-187. Kundera parla di Witold Gombrowicz (1904-1969) con riferimento alla teoria espressa da LAKIS
PROGUIDIS, Un écrivain malgré la critique: essai sur l’œuvre del Witold Gombrowicz, Paris, Gallimard, 1989.
159
! La capacità di lettura artistica della realtà da parte di Janáček è del tutto simile, e della stessa
statura culturale, a quella che presentano compositori come Arnold Schoenberg o Alban Berg, che,
stranamente, vengono ancora considerati gli unici che, all’alba degli imminenti regimi totalitari,
riuscirono a profetizzare la catastrofe con le loro opere di stampo nichilistico. La necessità di lieto
fine insita in Janáček, unita al trattamento evasivo/sentimentale di Brod e Felsenstein, lo ha fatto
etichettare come un compositore ingenuo, che evitò di prendere posizioni chiare, rifugiandosi nelle
favole e nel folklorismo piuttosto che proporre un’idea etica o un linguaggio specifico.
! L’imponente saggio di Luigi Pestalozza, che abbiamo citato spesso, arriva alla conclusione
che la parabola di Janáček sia da considerarsi minore poiché non riesce a trovare una sintesi
specifica tra etica e linguaggio, come auspicava l’estetica musicale di allora, e si pone un gradino
sotto ai grandi risultati conseguiti da Musorgskij e Bartók. Sulla stessa lunghezza d’onda è Mario
Bortolotto, più indulgente nel considerare il valore etico di Janáček, ma attento a circoscriverlo alle
sole opere Jenůfa, Kát’a Kabanová e Z mrtvého domu, mentre l’happy end di Příhody lišky
Bystroušky, è visto come una semplice pausa del suo percorso autoriale.364
! È certo che la conoscenza dell’opera nella versione Brod/Felsenstein ha contribuito molto al
sedimentarsi di queste teorie, ma ancora oggi, con l’edizione originale che circola agevolmente nei
teatri, c’è perplessità sulla possibilità di considerare Janáček dal punto di vista etico-politico: perché
un acuto osservatore della realtà avrebbe consegnato la sua visione del mondo in una fiaba a lieto
fine? Non sarebbe stato più chiaro se Příhody lišky Bystroušky si fosse conclusa con la morte di
Bystrouška? Il simbolo della libertà che muore disperatamente uccisa da un anonimo bracconiere è
la conclusione allegorica migliore per provocare il pubblico borghese: finché quel pubblico si
comporterà come Harašta e ucciderà la libertà, allora non ci potrà essere felicità. Inoltre, quel finale
sarebbe potuto servire anche da monito a qualsiasi sciocco idealismo che non fa i conti con la realtà:
ogni splendida utopia è destinata a soccombere poiché l’uomo è malvagio, e quello è
l’insegnamento che si sarebbe dovuto logicamente trarre dalla conclusione tragica di Příhody lišky
Bystroušky. Invece, alla fine si assiste a una consacrazione poco chiara della vecchiaia e della
continuazione della vita, come a dire che le cose, nonostante la morte della libertà/Bystrouška,
possano comunque andare bene. Come si può trovare consolazione con la morte della libertà?365
! Tutto questo dà luogo a considerazioni che vedono nelle fiabe novecentesche di Schoenberg
e Bartók366 il modo giusto di usare la fiaba come allegoria del comportamento umano: in quei lavori
364LUIGI PESTALOZZA, Leoš Janáček, cit., passim, soprattutto pp. 14, 50-51; MARIO BORTOLOTTO, Consacrazione della
casa, cit., pp. 45-64. Ad alcuni di questi temi abbiamo già accennato nell’Introduzione.
365 Cfr. MZCL, p. 172; GEOFFREY CHEW, Is Leoš Janáček’s «Příhody Lišky Bystroušky» a Rejection of a Romantic Lie?,
cit., pp. 75-82; e ID., The Adventures of «The Cunning Little Vixen», cit., pp. 113-132.
367 JAROSLAV VOGEL, Leoš Janáček: His Life and Works, cit., pp. 275-292.
368 Della sterminata bibliografia che vede lo stato nazista come un crogiolo di patologie psicanalitiche zeppe di simboli
fiabeschi mi limito a citare: WILHELM REICH, Psicologia di massa del fascismo [1933], trad. it. di Anneliese Wolf e
Fulvio Belfiore, Torino, Einaudi, 2002, 20092; e GIORGIO GALLI, Hitler e il nazismo magico, Milano, Rizzoli, 2005.
369 A parte la diversa concezione dell’arte, Janáček e Bartók si apprezzarono vicendevolmente anche ideologicamente,
cfr. JAMES PORTER, Bartók and Janáček: Ideological Convergence and Critical Value, in «The Musical Quarterly»,
LXXXIV/3 (Autumn 2000), Oxford, Oxford University Press, 2000, pp. 426-451. Vedi anche PHILIPPE ALBÈRA, Il
teatro musicale, in JEAN-JACQUES NATTIEZ, ROSSANA DALMONTE, MARIO BARONI, MARGARET BENT (a cura di),
Enciclopedia della musica, vol. I: Il Novecento, cit., pp. 228-235.
161
radicato nella tradizione etnica di quello di Bartók, poiché riprende le idee degli antichi riti iniziatici
basati sulla rigenerazione possibile solo dopo la morte370 , e auspica per l’Europa un futuro migliore
inteso con il superamento dei sistemi sociali e non nel loro perpetuarsi.
! In un certo senso, Bartók e Schoenberg non fanno che insistere sul fallimento dell’uomo, in
senso quasi schopenhaueriano 371 e wagneriano, e per loro l’unica soluzione all’eterno ritorno di
malvagità è la fine dell’esistenza. Janáček, al contrario, sembra dire che anche il nichilismo
(simboleggiato da Harašta) è una forma di cecità che non fa altro che contribuire a quell’eterno
ritorno e che basterebbe un reset socio-culturale (simboleggiato dall’epifania finale del
Guardiacaccia che fa coincidere i presunti opposti, come presente e passato, vecchiaia e giovinezza,
cultura e natura ecc.) per trovare la soluzione, sostituendo ai circoli viziosi nichilisti un nuovo
circolo virtuoso naturale e pacifico.
! In musica altri, negli stessi anni, hanno insistito su questo punto. Come abbiamo visto372,
Puccini, in Turandot, fa prendere coscienza amorosa a una spietata principessa grazie al sacrificio di
Liù, con conseguente liberazione finale, che ha valenze anche etiche: il regno, alla fine, si mostra
molto più felice di quanto non fosse all’inizio, quando appariva come un barbarico luogo in cui
vigeva la legge del più forte. Maurice Ravel, pur con tutte le differenze di lingua e stile musicale
che abbiamo notato373, in L’enfant et les sortilèges afferma che anche un egosintonico bambino
cattivo, di fronte alla quasi morte di un povero scoiattolo, riesce a crescere e trovare un modo nuovo
di vivere, rispettoso di tutti gli esseri viventi.374
! Le fiabe di Puccini, Ravel e Janáček non devono essere considerate più sciocche, poco
preveggenti e poco capaci di capire il loro presente (con le numerose avvisaglie di dittatura) solo
perché sublimano l’osservazione della realtà in un auspicio positivo: anche se tendono a un lieto
fine, ciò non vuol dire che quei compositori non vedessero la realtà nello stesso modo in cui la
vedevano Schoenberg, Bartók e Berg. Forse Janáček comprendeva altrettanto bene il mondo e
sapeva che malvagità e ignoranza (impersonate da Harašta) avrebbero prodotto distruzione e
370 Riguardo a questi riti c’è una ingente letteratura, da cui cito solamente: ARNOLD VAN GENNEP, I riti di passaggio,
trad. it. di Maria Luisa Remotti, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, 20122; MIRCEA ELIADE, Miti, sogni, misteri, cit., pp.
230-244; JOSEPH CAMPBELL, L’eroe dai mille volti, cit., pp. 301-366 e 425-440.
371Arthur Schopenhauer (1788-1860) è un filosofo tedesco che ha avuto un’immensa influenza nel pensiero post-
romantico e decadentista. La sua opera maggiore è Die Welt als Wille und Vorstellung (Il mondo come volontà e
rappresentazione) del 1819.
374Uno dei primi a intuire un’assonanza tra Janáček e Ravel è stato MASSIMO MILA, Cronache musicali, cit., p. 279:
«Se Janáček fosse stato francese, oggi sarebbe importante e famoso come Ravel».
162
infelicità, ma non si è limitato a constatarlo (come Bartók e Schoenberg), ha invece usato una fiaba
per esorcizzare malvagità e ignoranza dimostrando quando i loro prodotti (morte, sfacelo e
violenza) possano stimolare reazioni positive che finiranno per annientarle.
! Dato che abbiamo più volte ripetuto quanto Janáček si trovi ad anticipare prospettive
estetiche contemporanee, non ci stupirà adesso costatare che il dualismo tra arte nichilista (come
Bartók e Schoenberg) e idealista (come Janáček) sia giunto fino a noi e che Janáček sia in ottima
compagnia nel trovare implicazioni positive nelle assurde violenze quotidiane: Příhody lišky
Bystroušky, infatti, oltre a tutti i film e libri che abbiamo già citato, anticipa i lavori dell’artista
Maurice Sendak (1928-2012)375, che, guarda caso, fu incaricato di illustrare l’edizione americana
del romanzo di Těsnohlídek 376 e che oggi è considerato un grande maestro della narrativa e
dell’illustrazione.377 Il modo di narrare e le idee etiche di Janáček sono quindi arrivate fino a noi e
sono riuscite, nonostante le incomprensioni e le distorsioni di Brod/Felsenstein, a ispirare molte
espressioni artistiche.378
! La sopravvivenza di Janáček e il fatto che sia riuscito ad affrancarsi dalle riscritture sono la
prova che il suo logos idealistico ed etico, nel lungo periodo, è stato vincente, poiché portatore di un
nuovo ordine che vede l’universalismo solo come insieme di molti particolarismi, e all’origine di un
pensiero che oggi, eticamente, risulta quasi più rivoluzionario di quello di Schoenberg e Bartók.
! Janáček ha dato alle matrici popolari un’importanza così forte che su di loro ha fondato
l’idea che non ci può essere globalizzazione autentica se non si conoscono i minimi dettagli di tutte
le culture di tutto il mondo. Con lui si può affermare che se non si conosce tutto, allora la
globalizzazione non significherà la coesistenza di culture sorelle, affini o distanti, in cooperazione e
in contatto, ma denoterà solo il prevaricare di una cultura dominante sulle altre; una cultura che
userà il pur necessario bisogno di una koinè non a scopo di dialogo e conoscenza, ma per
condannare a una ignominiosa “spirale del silenzio” quelle espressioni culturali che non si confanno
a uno standard, generando un sensibile impoverimento del bagaglio intellettuale. Non stupisce che
proprio uno dei primi etnomusicologi come Janáček abbia composto una fiaba in strettissimo
dialetto cèco, inintelligibile quasi anche ai suoi connazionali, per parlare di speranza universale in
375Quasi identici al modello di rappresentazione di Příhody lišky Bystroušky sono MAURICE SENDAK, Where the Wild
Things Are, New York, HarperCollins, 1963; ID., Higglety Pigglety Pop! or There Must Be More to Life, New York,
HarperCollins, 1967; ID., In the Night Kitchen, New York, HarperCollins, 1970; ID., Outside Over There, New York,
HarperCollins, 1981.
377Voce Sendak, Maurice, in PIERLUIGI DE VECCHI, ANTONELLO NEGRI (a cura di), Enciclopedia dell’arte, Milano,
Garzanti, 1973, 20023, p. 1137.
378
Un ottimo saggio che cerca di trovare parallelismi tra Janáček e i contemporanei è DEREK KATZ, Janáček Beyond the
Borders, Rochester (NY), Rochester University Press, 2009.
163
una magica utopia naturalistico-anarchico-pacifista tolstoiana. E, in quest’ottica, non stupisce che
altri dopo di lui (dai vicini cronologicamente come Puccini ad altri più lontani come Orwell, Ende,
Saint-Exupéry, Tony Kushner, Brian De Palma, David Lynch, Tim Burton e Maurice Sendak) siano
giunti a conclusioni analoghe, senza ragionevolmente avere avuto occasione di conoscerlo: Janáček
ha solo rivestito di dialetto la lingua cosmica dell’inconscio, comune a tutti gli uomini e a tutte le
menti, e ha dimostrato che quella è la vera lingua della cultura, che supporta dall’interno tutte le
invenzioni proncunciate e pensate in ogni dialetto e in ogni intelletto passato, presente e futuro.
! La croce e delizia di Janáček è l’essere stato confinato, anche dalla critica del suo paese, in
un dialetto e in una nazione, un po’ per iper-protezionismo della patria, un po’ per incomprensione
del genio.379 Un’incomprensione che si è fusa con l’idea imperialista della globalizzazione e del
mercato, che ha costretto a traduzioni, da una parte impossibili e dall’altra castranti la vera natura
della forza inconscia, di Janáček in generale e di Příhody lišky Bystroušky in particolare (vedi le
versioni di Brod e Felsenstein). Ma, come Ian Malcom e Alan Grant dicono nel film Jurassic Park
(1993) di Steven Spielberg (1946-), tratto da un romanzo di Michael Crichton (1942-2008): «Life
finds a way»380, e la vita di Příhody lišky Bystroušky, la sua grande carica inirreggimentabile di
inconscio collettivo, è arrivata comunque fino a noi e risulterà evidente a chiunque non si lascerà
scoraggiare dalle imposizioni della koinè prevaricante e andrà avanti nel voler comprendere i
potenti legami che quest’opera ha con le storie che fondano il tessuto intellettuale di tutti noi.
!
!
379 Cfr. MILAN KUNDERA, I testamenti traditi, cit., p. 182: «Vi è qualcosa di patetico, direi presino di tragico, nel fatto
che Janáček abbia concentrato la maggior parte delle sue energie innovatrici proprio nell’opera, mettendosi in tal modo
alla mercé del pubblico borghese più conservatore che si possa immaginare. Inoltre: il suo contributo più innovativo
consiste in una valorizzazione senza precedenti della parola cantata, vale a dire in concreto della parola cèca,
incomprensibile nel novantanove per cento dei teatri del mondo. Difficile immaginare una consapevole accumulazione
di ostacoli più grande di questa. Le sue opere sono il massimo omaggio che mai sia stato reso alla lingua ceca. Un
omaggio? Sì. In forma di sacrificio. Poiché Janáček ha immolato la sua musica universale a una lingua pressoché
sconosciuta».
380 L’edizione italiana di Manlio De Angelis traduce questa battuta «La vita vince sempre» quando pronunciata
dall’attore Jeff Goldblum (che interpreta il matematico Ian Malcom, doppiato da Roberto Chevalier) e «La vita alla fine
ha trionfato» quando la recita Sam Neill (che interpreta il paleontologo Alan Grant, doppiato da Stefano De Sando).
164
APPENDICE I:
DISEGNI E BOZZETTI
ORIGINALI
! 166
! 167
! 168
! 169
! 170
! 171
! 172
! 173
! 174
! 175
! 176
! 177
! 178
! 179
! 180
! 181
! 182
! 183
! 184
! 185
! 186
! 187
! 188
! 189
! 190
Le 187 immagini finora riprodotte sono quelle che
Rudolf Těsnohlídek scelse per la sua storia tra le altre
disegnate da Stanislav Lolek. Tratte dall’edizione in
forma di romanzo: RUDOLF TĚSNOHLÍDEK,
STANISLAV LOLEK, Liška Bystrouška, Brno,
Nákladem polygrafie, 1921
! 191
Bozzetti di Eduard Milén per i costumi della
prima rappresentazione a Brno nel 1924. Tratti
da DANIEL MULLER, Leoš Janáček, Paris,
Rieder, 1930
! 192
Bozzetto di Eduard Milén per la prima rappresentazione di Brno, 1924. Tratto da DANIEL MULLER, Leoš Janáček,
Paris, Rieder, 1930
! 193
Ripdoduzione fotografica di una scena della prima rappresentazione a Brno nel 1924, scene di Eduard Milén, regia
di Ota Zítek. Tratta da JENNIFER SHEPPARD, How the Vixen Lost its Mores: Gesture and Music in Janáček's Animal
Opera, in «Cambridge Opera Journal», XXII/2 (July 2010), Cambridge (UK), Cambridge University Press, 2010,
pp. 147-174
Božena Snopková nel ruolo di Bystrouška alla prima rappresentazione. Tratta da JENNIFER
SHEPPARD, How the Vixen Lost its Mores: Gesture and Music in Janáček's Animal Opera,
in «Cambridge Opera Journal», XXII/2 (July 2010), Cambridge (UK), Cambridge
University Press, 2010, pp. 147-174
! 194
APPENDICE II:
CRONOLOGIA DELLA
VITA E DELLE OPERE
Anno Vita di Janáček Opere Altre composizioni
Il padre, insegnante, lo
1865 iscrive al coro del Monastero
di Brno, prima di morire
A ottobre si iscrive al
Conservatorio di Lipsia (vi
1879
rimane fino al febbraio
1880)
196
Anno Vita di Janáček Opere Altre composizioni
Il 24 luglio va in scena a
1891 Scrive Počátek románu Praga il balletto Rákós
Rákóczy
Compone la cantata
1897 Conclude il primo atto di Jenůfa Amarus per solisti, coro e
orchestra
197
Anno Vita di Janáček Opere Altre composizioni
Compone il pezzo
1905 Compone Osud patriottico 1.X.1905, per
pianoforte
Compone i cori
1906 Revisiona Osud e Jenůfa nazionalisti Kantor Halfar
e Maryčka Magdónova
198
Anno Vita di Janáček Opere Altre composizioni
La Cecoslovacchia celebra il
Příhody lišky Bystroušky viene Compone il sestetto per
1924 suo 70esimo compleanno
rappresentata a Brno il 6 novembre fiati Giovinezza
come una festa nazionale
199
BIBLIOGRAFIA
B.I - Abbreviazioni
DA: JOHN TYRELL (ed.), Janáček’s Operas: A Documentary Account, London, Faber & Faber, 1992
EC: LEÓŠ JANÁČEK, Příhody lišky Bystroušky, Das schlaue Füchslein, The Cunning Little Vixen, edizione critica a cura
di Jiří Zahrádka, Wien, Universal, 2010
MZCL: MIRKA ZEMANOVÁ, Janáček: A Composer’s Life, Holliston (MA), Northeastern University, 2002
TOTF: JOHN TYRELL, Janáček: Years of a Life. Volume II (1914-1928): Tsar of the Forests, London, Faber & Faber,
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1634-1636 (firmato con lo pseudonimo Gian Alessio Abbattutis); edizioni moderne: ID., Lo cunto de li cunti, a cura di
Michele Rak, Milano, Garzanti, 1986, 20082; ID., Il racconto dei racconti ovvero il trattenimento dei piccoli, a cura di
DOMENICO BASSI, Phaedri Fabulae ad fidem codicis neapolitani denuo excussi, Torino, Paravia, 1920
CHARLES BAUDELAIRE, Les fleurs du mal, Paris, Poulet-Malassis et de Broise, 1857, tra le numerose edizioni italiane
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201
MICHAIL AFANAS’EVIČ BULGAKOV, Sobač’e serdce [1925], Moskva, Znamja, 1987 [МИХАИЛ АФАНАСЬЕВИЧ
БУЛГАКОВ, Собачье сердце, Москва, Знамя, 1987], tra le numerose edizioni italiane segnalo: ID., Romanzi e
MIGUEL DE CERVANTES SAAVEDRA, El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha, Madrid, Juan de la Cuesta, 1605
(prima parte), 1615 (seconda parte), trad. it. di Alfredo Giannini: ID., Don Chisciotte della Mancha, Firenze, Sansoni,
ITALO CALVINO, Fiabe italiane raccolte dalla tradizione popolare durante gli ultimi cento anni e trascritte in lingua dai
vari dialetti da Italo Calvino, Torino, Einaudi, 1956
ITALO CALVINO, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Torino, Einaudi, 1979, rist. Milano, Mondadori, 1994 ssgg.
LEWIS CARROLL, Alice’s Adventures in Wonderland, London, Macmillan, 1865 (la prima versione del 1864 sopravvive
in un manoscritto alla British Library il cui facsimile è in ID., Alice’s Adventures Under Groud, London, Macmillan,
1886, trad. it. di Adele Cammarata: ID., Alice Underground, con il manoscritto illustrato dall’autore, Viterbo, Stampa
alternativa/Nuovi equilibri, 2002); Carroll scrisse un seguito: ID., Through the Looking-Glass, and What Alice Found
There, London, Macmillan, 1871. Tra le numerose edizioni italiane, che spesso trattano i due romanzi come un unicum,
ho fatto riferimento a: ID., Alice nel Paese delle Meraviglie/Attraverso lo specchio [1975], ed. it. a cura di Milli Graffi,
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B.IV - Discografia
Delle edizioni discografiche e in video cito nell’ordine:
anno - etichetta - DIRETTORE
versione eseguita
-
Aldershof Studio, Berlin - regia Walter Felsenstein - regia video Georg Mielke
versione Universal 1924 con le alterazioni di Václav Talich del 1937 e traduzione tedesca di Walter Felsenstein
-
1981 - Decca - CHARLES MACKERRAS
Wiener Philharmoniker - Lucia Popp, Dalibor Jedlicka, Eva Randová, Vladimír Krejčík, Richard Novák
Sofiensaal, Wien - registrazione in studio
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1995 - ArtHaus - CHARLES MACKERRAS
Orchestre de Paris - Eva Jenis, Thomas Allen, Hanna Minutillo, Josef Hajna, Richard Novák
Théâtre du Chatelet, Paris - regia Nicholas Hytner - regia video Brian Large
versione Universal 1924 rivista da Charles Mackerras
-
2001 - BBC - KENT NAGANO
Deutsches Symphonie-Orchester, Berlin - Christine Buffle, Grant Doyle, Richard Coxon, Peter van Hulle, Andrew
Foster-Williams
film di animazione prodotto da BBC, OpusArte e Los Angeles Opera - regia Geoff Dunbar
partitura ridotta per la colonna sonora del film da Kent Nagano e Christophe Durrant,
Opéra Bastille, Paris - regia André Engel - regia video Don Kent
versione Universal 1924
-
2010 - ArtHaus - SEIJI OZAWA
Maggio Musicale Fiorentino - Isabel Bayrakdarian, Quinn Kelsey, Lauren Curnow, Dennis Petersen, Kevin Langan
Teatro Comunale, Firenze - regia Laurent Pelly - regia video Paola Longobardo
Avery Fisher Hall, Lincoln Center, New York - versione semiscenica, mise en espace Doug Fitch
edizione critica di Jiří Zahrádka (Universal 2010) nella traduzione inglese di Norman Tucker in essa pubblicata
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