Antropologia Culturale
Antropologia Culturale
Antropologia Culturale
APPROFONDIMENTO
Le differenze tra la concezione ‘classica’ e ‘antropologica’ di ‘cultura’:
La concezione classica di ‘cultura’ (Cicerone) definiva la cultura come ‘animi philosophia’.
Quella antropologica (Tylor) la definisce ‘quell’insieme complesso che include la
conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e
abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società’.
2. Storia dell’antropologia
-Tutto il capitolo è riassunto in maniera schematica alla fine dei paragrafi-
2) L’etnologia francese
Il maggior esponente dell’etnologia francese è Emile Durkheim, il quale da un
apporto positivista alla ricerca antropologica, ritenendo che i fatti sociali nelle
società più semplici presentino in una forma elementare le loro caratteristiche
fondamentale, quindi più facilmente analizzabili dal punto di vista scientifico.
Un esempio della dottrina di Durkheim è ravvisabile nel ‘totemismo’ australiano: il
totem, simbolo del clan, è venerato da tutti i membri del clan, che dunque si
riconoscono e si identificano come tali, perciò totemismo australiano, religione
degli antichi e religione contemporanea hanno tutti, per Durkheim, la stessa natura.
In un altro saggio composto da lui e dal nipote Mauss, gli autori riconoscono al
contrario degli evoluzionisti, che ogni società abbia le sue forme distintive di
pensiero ma che considerino il pensiero primitivo come una fase del processo
storico il cui esito è costituito dalla classificazione in generi e specie.
Per Lévy-Bruhl invece, il pensiero nelle società inferiori è caratterizzato dal carattere
emozionale e affettivo delle rappresentazioni collettive.
3) L’antropologia sociale britannica
All’inizio del Novecento in Gran Bretagna l’etnografia diventa parte fondamentale
dello studio antropologico. La crescente quantità di materiale etnografico
contribuisce in modo determinante a porre in discussione il paradigma
evoluzionista. L’antropologia britannica del periodo classico è così caratterizzata
dall’affermarsi del paradigma funzionalista, che considera la società, sulla scia di
Durkheim, come totalità integrata.
Come abbiamo già visto, Malinowski cerca di costruire una scienza antropologica
secondo l’ideale positivistico, fondata sull’osservazione neutrale e imparziale del
ricercatore.
Radcliffe-Brown, invece, definisce la prospettiva teorica che dominerà l’antropologia
sociale: costruire una scienza che indaghi le leggi e i meccanismi di funzionamento
della società. Si definisce perciò sostenitore del ‘funzionalismo’.
Vista la complessità e la vastità della storia dell’antropologia culturale, propongo qui uno
schema riassuntivo:
FRANCIA
E.Durkheim ‘Positivismo’:
i fatti sociali nelle società più semplice presentano in una forma
elementare le loro caratteristiche fondamentali, quindi sono più
facilmente analizzabili da un punto di vista scientifico.
Ad esempio il totemismo nelle società aborigene, ha la stessa natura e
la stessa funzione della religione contemporanea: è cioè un insieme di
rappresentazioni che la società ha di se stessa e insieme di riti che
assicurano la devozione alla società e quindi la coesione sociale.
INGHILTERRA
B. Malinowski ‘Funzionalismo’:
l'idea di società come un organismo, ogni elemento del quale
contribuisce all'armonica funzionalità dell'intero corpo biologico.
‘Argonauti del pacifico occidentale’ è il libro più importante di
Malinowski, all'interno del quale vengono posti in essere tutti i principi
teorici del suo funzionalismo.
Il nocciolo centrale del libro è rappresentato da una specifica forma di
scambio, chiamato Kula, che vige presso alcuni gruppi abitanti piccole
isolette al largo del continente australiano.
All'interno di questo complesso sistema vengono scambiati due tipi di
oggetti, che circolano in direzioni tra loro opposte; la prima serie di
oggetti, ossia collane di conchiglie rosse, circola sempre in senso
orario, mentre la seconda serie, composta da braccialetti di conchiglie
bianche, circola solamente in senso anti-orario, cosicché lo scambio
può avvenire solo tra oggetti diversi, braccialetti al posto di collane e
viceversa: è la base concettuale per poter pensare alla società come un
insieme di elementi interrelati funzionalmente tra di loro, al fine di
permettere il funzionamento stesso del sistema.
A.Radcliffe- ‘Struttural-funzionalismo’:
Brown vi è interdipendenza tra la nozione di struttura e di funzione sociale: ‘la
struttura sociale’ è la trama dei rapporti realmente esistenti in una
società, i quali sono organizzati in attività regolate da istituzioni e la
‘funzione’ di ogni istituzione garantisce l’equilibrio del sistema.
ANTROPOLOGIA CONTEMPORANEA
C.Lévi- ‘Strutturalismo’:
Strauss vi sono delle strutture all’interno della mente umana comune a tutte
le menti. Vi è dunque un ‘pensiero selvaggio’ (e primitivo) comune a
tutte le culture.
Ad esempio, nell’opera Le strutture elementari della parentela, Lévi-
Strauss identifica nella proibizione dell’incesto e nell’esogamia le
costanti universali che segnano il passaggio dal puro stato di natura a
una società umana organizzata. La proibizione dell’incesto è dunque
“il passo fondamentale grazie al quale, per il quale, e soprattutto nel
quale, si compie il passaggio dalla natura alla cultura.
Evans-Pritchard e Continuazione dello ‘struttural-funzionalismo’:
Fortes i due autori introducono il concetto di ‘società segmentarie’, che verrà
analizzato nel capitolo 7
Max Gluckman e Critica dello ‘struttura-funzionalismo’:
la Scuola di gli autori riconoscono il flusso e il mutamento come caratteristiche
Manchester imprescindibili di ogni realtà sociale e che si propongono di restituire
all’attore sociale la sua centralità nella dinamica sociale.
Vengono elaborati nuovi concetti e metodi per il passaggio dall’analisi
della struttura a quella del processo sociale e spostano l’attenzione al
piano delle pratiche sociali.
L. White e la ‘Neoevoluzionismo’:
Scuola di Yale riemerge l’interesse per l’evoluzionismo: non ci sono fattori esterni
che determinano l’evoluzione ma solo condizioni interne alla cultura,
ed il principio dell’evoluzione è la tecnologia
Nasce l’Etnoscienza, ovvero la conoscenza del mondo naturale proprio
di una certa cultura.
C. Geertz ‘Prospettiva interpretativa’:
nasce come alternativa a modelli come lo struttural-funzionalismo o il
neoevoluzionismo, in un momento in cui vi è una crisi generale
dell’antropologia negli anni Sessanta.
La ricerca antropologica consiste in un'interpretazione, un'attività che
attribuisce significato ai fenomeni collocandoli nel loro contesto
particolare. Il problema principale con cui si confronta l'antropologo è
quello della comprensione dei diversi livelli di significato, e
successivamente della loro traduzione da una cultura all'altra: questi
sono i limiti entro cui si può tentare di offrire una visione della cultura
«dall'interno».
1. Il passaggio all’umanità
A lungo gli studiosi delle scienze socio-umane hanno sottolineato l’unicità dell’uomo, a
differenza dei loro colleghi delle scienze biologiche che, sulle orme di Charles Darwin,
hanno posto l’accento sulla continuità tra il mondo animale e l’uomo.
L’essere umano ha una natura animale, ma è un animale diverso dagli altri: costruisce
utensili, parla, si serve di simboli. In questa prospettiva, fino circa al 1960, la soluzione
condivisa al problema del passaggio dall’animale all’uomo è stata la ‘teoria del punto
critico’, per la quale la capacità di acquisire cultura era comparsa all’improvviso e
rappresentava una rottura nella storia evolutiva dei primati.
Secondo Alfred Kroeber soltanto quando era terminata l’evoluzione organico, e il cervello
umano aveva raggiunto le sue attuali dimensioni e configurazioni, era cominciata
l’evoluzione culturale e l’uomo aveva iniziato a costruire utensili e a parlare. Oggi prevale
invece l’idea che la capacità di cultura sia emersa gradualmente in un lungo arco di tempo
e che lo sviluppo culturale sia iniziato assai prima che quello organico finisse, secondo un
modello ‘interattivo’.
Andrè Leroi-Gourhan sostiene che il punto di partenza di tutto il processo è il
raggiungimento della stazione eretta, a partire dal quale gli antenati dell’Homo sapiens
hanno potuto utilizzare le mani.
Quindi la mano che poteva liberamente afferrare ha a sua volta liberato gli organi facciali
da questa funzione, rendendoli disponibili per al parola. Queste nuove abilità hanno
comportato l’aumento della capacità cranica, la quale ha significato, per le esigenze del
parto, la nascita di una prole immatura.
La conseguente lunga dipendenza dei piccoli, incapaci di sopravvivere da soli, ha richiesto
forme di organizzazione sociale e culturale fondate sulla cooperazione e la divisione del
lavoro, in grado di farsi carico della loro crescita. Così la maturazione progressiva del
cervello ha favorito la definizione del processo di apprendimento e di socializzazione su
cui si fonda la cultura. Il cervello nella sua configurazione attuale è quindi prodotto della
cultura: senza i simboli e le pratiche culturali che ha elaborato e che lo hanno
progressivamente modificato non sarebbe in grado di guidare il comportamento
dell’uomo.
1. Cultura e significati
Oltre che dai segni basilari del linguaggio, la cultura è costituita da significati e da simboli
variamente organizzati in corpi di conoscenze (per esempio miti, dottrine scientifiche,
precetti morali o terminologia di parentela) che trasmettono la ‘visione del mondo’ propria
di una società.
Tali forme di conoscenza sono la base per interpretare l’esperienza e organizzare la realtà,
e allo stesso tempo per legittimare l’ordine costituito. Le forme simboliche che
costituiscono le visioni della realtà proprie di ogni cultura sono state classificate ed
etichettate dagli antropologi a partire dalla distinzione fondamentale tra conoscenza e
credenza, la quale riconduce alle varie dicotomie che nella storia dell’antropologia hanno
contrapposto ‘noi’ agli ‘altri’: la società moderna, occidentale e complessa, alla società
primitiva, selvaggia e arretrata.
Nel prendere inconsiderazione le altrui concezioni del mondo, gli antropologi hanno
lasciato spesso implicito il significato della distinzione tra conoscenza e credenza: mentre
la conoscenza è vera, la credenza è falsa.
Se infatti consideriamo la conoscenza come lo specchio di una realtà oggettiva al modo
delle scienze naturali, la diversità dei sistemi di pratiche e credenze magico-religiose non
può che risultare incomprensibile e irrazionale.
Così val punto di vista funzionalista le attività simbolico-rituali non devono essere valutate
sulla base delle regole della razionalità, ma piuttosto sulla base della loro funzione sociale:
la risoluzione dei conflitti e la realizzazione della coesione sociale.
La nozione corrente di credenza è stata discussa dalle concezioni relativiste della cultura,
opponendosi alla dicotomia tra razionalità e irrazionalità. Secondo queste concezioni le
diverse ‘forme di vita’ costruiscono le loro visioni della realtà sulla base di criteri specifici di
evidenza, coerenza e verità, che hanno le loro radici nella lingua e nella cultura.
Pertanto ogni rappresentazione della realtà, sia essa magica, religiosa o scientifica, può
essere compresa solo a partire dalle regole e dal sistema di concetti e valori presenti in
una società. Ogni forma di pensiero, anche quello scientifico, ha una natura sociale e
affonda le sue radici nei costumi culturali: vero e falso sono relativi alle categorie che le
culture impiegano.
2. Il senso comune
È stato il pregiudizio verso l’esotico che ha spinto l’antropologo a privilegiare gli universi
della magia e della stregoneria piuttosto che le conoscenze di senso comune, il sapere
informale e pratico che governa la vita quotidiana, cui oggi gli studiosi prestano maggior
attenzione, riconoscendolo, come diceva Geertz, come una forma di rappresentazione del
reale socialmente definita, una rete di assunti impliciti che, come ogni altro sistema
culturale, deve essere interpretata.
L’antropologia cognitiva si è occupata di campi del sapere legati al senso comune come le
terminologie di parentela, le classificazioni del colore, le tassonomie relative al mondo
naturale (i modi di classificare per esempio animali e piante) sottolineando l’importanza
dei fattori culturali nella loro organizzazione e nel loro impiego.
3. Religione e magia
La maggior parte delle definizioni di religione sottolinea che l’elemento comune alla
varietà dei fenomeni religiosi è il riferimento ad una realtà che si pone al di là della
normale esperienza umana, un regno esterno al mondo quotidiano, anche se non tutte le
culture hanno un concetto che risponde a quello di religione o ad un’idea di
soprannaturale, per quanto fluidamente si possano intendere le potenze soprannaturali
(ad esempio, in numerose società africane l’idea che la morte sia provocata dalla
stregoneria è del tutto normale, fa parte del normale ordine delle cose).
Allo stesso modo, la magia è spesso definita come costituita di pratiche occulte, connesse
a forze soprannaturali, le quali vengono manipolate con gesti, parole e oggetti per
conseguire specifici obiettivi. Tuttavia, sono poche le culture che classificano in modo
netto le conoscenze secondo le categorie contrapposte di naturale e soprannaturale. Sotto
l’etichetta di magia sono state comprese del resto pratiche molto diverse tra loro, la cui
unica caratteristica comune sembra essere quella di contrastare la concezione del mondo
dell’antropologo. Perciò oggi si ritiene necessario, prima di etichettare qualcosa come
magia, evidenziare i suoi aspetti significativi come il linguaggio metaforico, i contesti in cui
emergono le sue interpretazioni e , soprattutto, le motivazioni che i soggetti forniscono
per le loro azioni.
Le teorie antropologiche talvolta hanno sottolineato le differenze tra religione e magia,
altre volte ne hanno rilevato le caratteristiche condivise. Credenze e pratiche magico-
religiose fanno la loro comparsa quando le conoscenze e le tecniche vengono meno:
essere aiutano a ridurre l’ansietà che deriva da quegli eventi della vita quotidiana che non
sono sotto il controllo dell’uomo, la morte, le disgrazie o le calamità naturali, consentendo
di affrontare i momenti di crisi della vita. La religione può essere inoltre considerata come
un sistema di simboli che pone l’uomo in relazione all’universo e che permette di dare un
ordine alla molteplicità dei fenomeni.
Infine gli studi antropologici hanno esplorato aspetti diversi dei sistemi religiosi: le forme
di rappresentazione come il mito o il dogma, le pratiche come il sacrificio o la preghiera, le
forme di organizzazione e culto come le società sciamaniche o le chiese, mettendo in luce
il legame tra la sfera delle attività religiose e gli altri ambiti della società, l’organizzazione
sociale, politica, economica o ideologica.
4. Il mito e il rito
I miti sono narrazioni che illustrano come il mondo naturale e umano, le sue
caratteristiche e le sue istituzioni si sono originate.
Secondo Malinowksi il mito interviene a giustificare e a garantire l’antichità e la legittimità
di un tipo di vita sociale: delle regole sociali e morali, dei rituali e delle consuetudini di una
comunità. Per quanto il termine venga impiegato con differenti significati, il mito è un
racconto di carattere generale ed esemplare, spesso collegato ad altre narrazioni dello
stesso tipo in una mitologia, che si trasmette di generazione in generazione. Si concentra
spesso su imprese di eroi, antenati, spiriti e divinità.
Mito e rito sono aspetti complementari di pratiche decisive nella riproduzione di un
sistema sociale.
Il rito è solitamente inteso come una sequenza di comportamenti standardizzati e ripetitivi
costituiti di atti, parole, posture e rappresentazioni che in tempi e luoghi prestabiliti
esprimono un determinato significato simbolico comprensibile all’individuo o alla
comunità che lo condivide, con l’intento di influenzare il corso degli eventi.
Se Durkheim sostiene che dalla periodicità dei riti dipenda l’efficacia della religione nel
rafforzare il senso di appartenenza alla società, allo stesso modo per Radcliffe-Brown il rito
è una componente fondamentale della vita sociale.
Victor Turner, invece, pone l’accento sulla dimensione simbolica e sulle idee implicate nel
rito: attraverso i suoi simboli e le sue forme standardizzate ricostruisce e ristabilisce
periodicamente le categorie e i valori culturali.
Molte sono le forme rituali, non tutte classificabili in una tipologia ristretta: dai riti di
iniziazione a quelli che ruotano intorno alla regalità e che ne definiscono la sacralità, dai
riti di inversione ai rituali funebri.
5. Costruire la persona
2. Cultura e personalità
L’antropologia culturale americana ha elaborato la prospettiva di ‘cultura e personalità’
secondo la quale la personalità degli individui è inevitabilmente plasmata dalla cultura a
cui appartengono. A ogni società corrisponderebbe un’unica cultura e quindi una
particolare personalità.
Secondo Ruth Benedict, l’integrazione dei tratti culturali risulta da un processo di
‘modellizzazione sociale’, cioè di produzione e trasmissione di un ‘modello culturale di
pensiero e di azioni’ che determini la personalità dei membri di una società.
Nel suo studio su alcune popolazione degli Indiani Pueblo, egli riscontrava un tipo
psicologico ‘apollineo’, fondato sul controllo rigoroso delle emozioni e un tipo ‘ dionisiaco’,
fondato sulla manifestazione pubblica ed estrema dei sentimenti e delle passioni.
Margareth Mead si concentrò sul processo di socializzazione per comprendere l’influenza
esercitata dalla cultura sull’individuo.
Abram Kardiner, invece, ideò il concetto di ‘personalità di base’, intesa come ‘l’insieme
degli elementi costitutivi della personalità che i membri di una data cultura possiedono in
comune’, alla cui costituzione concorrono istituzioni primarie (che organizzano la relazione
genitore-bambino, sulla base di meccanismi di soddisfazione, punizione ecc.) e secondarie
(che derivano dall’azione delle ist. primarie sulla psiche individuale, come religione, mito,
ecc.)
5. Questioni di emozione
Le emozioni sono state intese da questi studi come ‘pensieri inscritti nel corpo’, schemi
cognitivi socialmente appresi che collegano la persona, l’azione sociale e il contesto
culturale. L’antropologia psicologica e interpretativa ha rivelato perciò che le emozioni
sono ‘il prodotto di un particolare contesto’, hanno una ‘dimensione pubblica’ e una
‘funzione comunicativa’. Sono uno dei dispositivi che le culture elaborano per interpretare
e trasformare al realtà, uno dei discorsi attraverso cui organizzano le relazioni sociale.
Le nozioni connesse alle emozioni ‘riflettono il modo in cui le persone sono rappresentate
nei diversi contesti’.
1. Il processo di inculturazione
In ogni società sono presenti dei dispositivi per trasmettere la cultura da una generazione
all’altra, ma anche a persone provenienti da altre società. Il processo attraverso cui la
società recluta i suoi membri plasmandoli con la propria cultura, secondo forme
istituzionalizzate o in modo spontaneo, è stato definito dagli antropologi come
‘inculturazione’. Diventiamo esseri umani compiuti sotto la guida di modelli culturali che
danno forma, ordine e scopo alla nostra vita e che allo stesso tempo rappresentano dei
vincoli indispensabili del nostro agire.
Il processo di inculturazione non si concentra solo nel periodo dell’infanzia e
dell’adolescenza, quando cioè è più intenso, ma di fatto si dispiega nell’intero corso della
vita, in relazione alle posizione e ai ruoli che l’individuo si trova ad assumere.
Inculturazione e socializzazione sono due etichette per le stesse modalità di
apprendimento, prevalentemente informali e fondate sull’interazione sociale e
sull’imitazione, secondo Durkheim esercitano un vero e proprio condizionamento sugli
individui.
2. Valori, norme e modelli
La norma stabilisce qual è il modo ‘giusto’ di fare le cose, prescrive il comportamento
socialmente approvato e vieta quello disapprovato, definisce il ruolo associato a uno
status sociale: secondo Radcliffe-Brown le norme sono obblighi sociali la cui infrazione
comporta sanzioni. Non vi è, tuttavia, una corrispondenza matematica tra norma e azione,
e la distinzione tra conformità e devianza dei comportamenti non è sempre così netta.
Le situazioni della vita quotidiana sono fluide e indeterminate, e le azioni e relazioni
rimandano in realtà a una pluralità di norme, talvolta in conflitto tra loro.
Si possono guardare le norme da un diverso punto di vista, come parte di ‘ modelli
operativi’ o ‘modelli decisionali’, distinti dai modelli ideali. Tali modelli sono un insieme di
istruzioni per prendere decisioni e agire nel modo in modo appropriato, e sono costituiti
oltre che da regole, anche da strategie e obiettivi.
Infine i valori culturalmente definiti, come il prestigio, l’indipendenza economica o il
coraggio, sono parte essenziale degli obiettivi che le persone tendono a raggiungere, e
sono un fattore importante nell’indirizzare il corso dell’azione.
I valori non sono legati a una situazione specifica come le norme; possono quindi rendere
conto di una molteplicità di situazioni: a essi si ricorre per legittimare un comportamento
che non si accorda alle regole previste per il caso. Poiché i valori sono la matrice delle
norme e dei modelli di comportamento, hanno una portata più ampia e generale, e come
tutti i significati culturali sono continuamente intrepretati in maniera nuova.
1. La struttura e il processo
Due nozioni particolarmente importanti per l’antropologia culturale sono ‘struttura’ e
‘processo’: il passaggio dalla struttura al processo sociale è stato definito da alcuni
studiosi una vera e propria rivoluzione.
Il significato del termine ‘struttura’, in origine ristretto a contesti organici per poi
rapidamente estendere le sue potenzialità metaforiche alla lingua e, infine, alla società,
vede due definizioni più o meno opposte: quella di Radcliffe-Brown, sulla base della
metafora organica (la società è come un organismo), con un ritorno al significato biologico
per definire la ‘trama dei rapporti realmente esistenti tra gli individui’, e quello di Levi-
Strauss, per cui le strutture sono i legami tra le diverse realtà e si dispongono
trasversalmente rispetto ai contesti locali.
In senso più generale invece, la concezione di ‘processo’ è connessa all’idea del fluire della
vita sociale ed è stata rilevante per le prospettive che hanno studiato le società nel loro
contesto e nel loro tempo. ‘Processo’ indica dunque le sequenze di eventi che ricorrono ,le
regolarità delle azioni e interazioni che generano una forma di organizzazione sociale.
La discendenza
La ‘discendenza’ è definibile, dunque, come l’insieme dei legami socialmente riconosciuti
tra una persona e i suoi antenati, in base ai quali si formano i gruppi di parentela.
1) La discendenza è quasi sempre di tipo ‘unilineare’, ovvero l’affiliazione di una persona
al gruppo di parenti passa attraverso uno solo dei genitori, secondo:
1. La discendenza matrilineare, secondo cui un individuo è
considerato appartenere allo stesso gruppo di discendenza della
propria madre (come l’ebraismo, in cui un individuo è ebreo se la
madre è ebrea)
2. La discendenza patrilineare, secondo cui un individuo è
considerato appartenere allo stesso gruppo di discendenza del
proprio padre.
Distinguiamo inoltre due tipi di gruppi fondati sulla discendenza:
1) Il clan, un gruppi i cui membri non possono ricostruire la successione degli
individui che connettono i loro rispettivi lignaggi all’antenato comune, ma che
hanno solo un sentimento di appartenenza a una comune discendenza, e spesso
l’antenato è una figura mitica
2) Il lignaggio, costituito da tutti quegli individui che possono tracciare una comune
discendenza da un unico individuo riconosciuto
2) Se la discendenza non è di tipo unilineare è bilaterale o cognatica, quella più diffusa
nei paesi occidentali, nei quali un individuo traccia i suoi legami di parentela sia
attraverso il padre sia attraverso la madre, andando a formare un gruppo sociale
definito ‘parentado’, che tuttavia non nasconderà tratti patrilineari, come ad esempio
il cognome, che nella nostra società viene ereditato dal padre.
Il matrimonio
Possiamo definire il matrimonio come l’istituzione fondamentale della parentela e il suo
fine è, piuttosto che garantire la continuità di un gruppo secondo l’interpretazione dei
teorici della discendenza, quello di favorire l’interazione sociale fondandosi sulla
proibizione dell’incesto e sul principio di reciprocità, la cui finalità principale, secondo Levi-
Strauss, è quella di stabilire o rinsaldare alleanze tra i gruppi.
Lo stesso Levi-Strauss distingue due tipi di sistemi di scambio matrimoniale:
1) Il sistema elementare, il cui obiettivo è quello di rendere stabili le alleanze, per
questo non solo si specificano i gruppi entro cui non si può decidere un partner
sessuale, ma si definisce un determinato lignaggio;
2) Il sistema complesso, in cui si indica solo chi non può sposare, lasciando entro
certi limiti aperta la scelta del coniuge.
Il matrimonio può avvenire all’interno di uno stesso gruppo sociale o meno; in tal caso di
parla di:
1) Endogamia, la norma sociale che prescrive la scelta del coniuge all’interno dello
stesso gruppo sociale;
2) Esogamia, secondo la cui norma la scelta del coniuge può soltanto avvenire nel
contesto di un altro gruppo sociale, diverso dal proprio.
Un matrimonio può anche variare in base al numero di coniugi che i due individui possono
permettersi; in tal casi distinguiamo:
1) Monogamia, ovvero la norma del matrimonio italiano, secondo la quale i coniugi
possono soltanto essere sposati tra di loro;
2) Poligamia, secondo la quale i coniugi possono avere altri mariti o mogli:
1) Poliginia, nel caso in cui è il marito ad avere più mogli (è la più diffusa);
2) Poliandria, nel caso in cui è la donna ad avere più mariti
Gli antropologi hanno inoltre individuato due categorie di compensazione economica
matrimoniale che hanno etichettato come:
1) La ricchezza della sposa, che è cioè l’insieme dei beni che la famiglia dello sposo
conferisce alla sposa
2) La dote, l’esatto contrario, ovvero l’insieme dei beni che la famiglia della sposa
conferisce allo sposo.
La residenza
Analizziamo adesso i diversi modelli di residenza che seguono il matrimonio:
1) La residenza neolocale, ovvero una nuova unità domestica a scelta della coppia,
separata dai nuclei precedenti al matrimonio (è la più diffusa);
2) La residenza patrilocale, nel caso in cui la coppia risieda presso il padre dello
sposo, la cui soluzione è analoga a quella virilocale, ovvero nel caso in cui si
trasferiscano dai parenti generici allargati dello sposo;
3) La residenza matrilocale, nel caso in cui la coppia vada a risiedere presso la madre
della sposa, la cui soluzione è analoga a quella uxorilocale, nel caso in cui si
trasferiscano dai parenti della sposa;
4) La residenza avuncolocale, ovvero la residenza presso il fratello della madre
dell’uomo, che è il parente matrilineare per lui più importante e dal quale un giorno
erediterà.
Le caratteristiche e gli spostamenti residenziali sono influenzati dalle circostanze
ecologiche, economiche e demografiche in cui le persone si trovano a vivere.
Solo in epoca relativamente recente gli antropologi hanno riconosciuto che il termine
famiglia ha indicato legami tra gli individui diversi a seconda del tempo e del contesto
preso in esame. Interessata a studiare l’intrecciarsi di queste variabili piuttosto che un
denominatore comune, la ricerca antropologica ha proposto espressioni come ‘gruppo
domestico’ per individuare le differenti unità di base quotidianamente coinvolte nei
processi di produzione e riproduzione, protezione e consumo.
3. L’organizzazione politica
Nella prospettiva struttural-funzionalista di Pritchard e Fortes, i sistemi politici erano
divisibili in due grandi categorie:
1) le società senza stato (acefale)
2) le società statuali (gli stati primitivi)
La società segmentaria, ovvero acefala e non centralizzata, è un tipico caso in cui le
relazioni politiche si esprimono nei termini di parentela.
I lignaggi (o segmenti) sono disposti nell’ordine gerarchico definito dalla genealogia che
lega i capi lignaggio all’antenato capostipite della tribù.
La principale funzione è quella di fornire uno schema per le alleanze politiche: i lignaggi
che ad uno stesso livello di segmentazione si trovano in una relazione di opposizione, si
alleano per difendere gli interessi comuni in situazioni di conflitto con un lignaggio di
livello superiore.
In questo tipo di società acefale l’ordine è il bilanciamento tra conflitto e cooperazione.
Un esempio di società segmentaria è quella dei Nuer del Sudan.
Gli antropologi di corrente neo-evoluzionista avevano individuato 4 tipi di sistemi politici:
1) La banda, non centralizzato, le cui decisioni sono prese dal gruppo e il cibo, così
come gli altri beni essenziali sono divisi;
2) La tribù, che, per quanto non centralizzata, si distingue dalla banda per l’esistenza
di sodalizi pantribali che uniscono insieme membri provenienti da diversi gruppi
parentali, e che possono essere uniti secondo un criterio di età, sesso, interesse
personale o di ruolo;
3) Il dominio, società centralizzata intermedie tra tribù e stato, in cui il potere
acquisisce un carattere formale, e in cui l’autorità del capo diventa una carica
ereditaria, dotata di stabilità, e il cui accesso alla carica è di solito riservato ai
lignaggi aristocratici;
4) Lo stato, la forma di organizzazione politica oggi dominante, in cui vi è un’autorità
centralizzata e un rapporto di subordinazione tra la diverse ‘ classi’, in cui non è più
la parentela a regolare i rapporti sociali, ma vengono adottati criteri impersonali,
come quello territoriale, e la gestione è affidata ad un apparato burocratico che
impone tasse e controlla le risorse, e vi è poi un clero ed un esercito.
La vita politica in qualsiasi contesto non ha soltanto una dimensione strutturale, non è
fatta soltanto dei meccanismi che la organizzano ma è sempre presente anche un’attività
politica, l’agire consapevole di individui e gruppi, fatto di scelte e di manipolazioni delle
regole. La politica è una dimensione della vita sociale non sempre separabile dalle altre:
come abbiamo visto spesso le relazioni di potere passano attraverso i legami di parentela.
È possibile affermare che il potere ha una natura sfaccettata, non è tanto una forma di
relazione ben distinta e ristretta ad un preciso ambito politico, quanto piuttosto un
aspetto di tutte le relazioni sociali: sono presenti asimmetrie di potere nelle relazioni
uomo-donna, maestro del culto-iniziato, curatore-malato, e ovviamente sovrano-sudditi.
Il potere ha anche una fondamentale dimensione simbolica, legata all’elaborazione
ideologica di significati.
4. L’organizzazione economica
È difficile dare una definizione universale di ‘economia’: a volta è utile pensare
all’economia come ad un insieme di attività, oggetti, rapporti ed istituzioni che può essere
separato da altri aspetti della vita sociale, ma altre volte è adeguato interpretare il
comportamento economico come un modo di pensare che può essere presente in
qualunque ambito culturale.
Per questo motivo si sono da sempre contrapposti due punti di vista:
1) Il punto di vista formalista, che ritiene che le proposizioni elaborate dalla scienza
economica occidentale siano applicabili a tutte le società, e per i formalisti il
comportamento economico è razionale ed indipendente dalle caratteristiche dei
contesti particolari. Le loro indagini adottano pertanto le categorie dell’economica
classica: utilità, interesse, capitale, mercato, domanda, offerta ecc.
2) Il punto di vista sostanzialista, proposto dallo storico dell’economia Polanyi,
secondo cui l’economico assuma una configurazione particolare a seconda della
società: l’economia si basa su principi totalmente diversi nelle varie società.
Polanyi ha inoltre individuato tre modalità di integrazione dell’economia all’interno della
società, che corrispondono a tre forse di scambio reciproco:
1) La reciprocità, o scambio di doni, tipica delle società egualitarie: è un modo di
condividere basato sul senso di obbligo reciproco, sul principio del dare e ricevere.
Alcuni distinguono:
1) Una reciprocità generalizzata, come nello scambio tra un genitore ad un
figlio, quando non ci si aspetta una contropartita immediata ma si sa che gli
scambi col tempo si bilanceranno
2) Una reciprocità equilibrata, un dono che richiede invece di essere
contraccambiato entro un certo limite di tempo, come il baratto
2) La ridistribuzione, secondo cui chi occupa la posizione centrale riceve beni da tutti i
membri del gruppo e ha la responsabilità di ridistribuirli, come ad esempio il
potlatch, una cerimonia di ridistribuzione presso gli Indiani d’America
3) Lo scambio di mercato, ovvero la modalità più recente di scambio, che avviene
attraverso un mezzo intermediario, la moneta, e in cui è il mercato a regolare il
prezzo della merce.
Caratteristica dello scambio di mercato è la contrattazione, in cui ognuno cerca di
ottenere il prezzo migliore.
L’unicità del capitalismo consiste nel genere di rapporti stabilitisi tra commercio,
mercato e moneta.
Alcuni antropologi, principalmente francesi, hanno sostenuto che non si possono
conoscere i meccanismi dello scambio senza prima conoscere i meccanismi della
produzione, come già aveva fatto Karl Marx, alle cui opere questi ricercatori si allacciano.
Secondo questi, i modi della produzione sono il motore dell’attività economica. Il loro
interesse principale è rivolto all’analisi dei cambiamenti sociali ed economici, in particolare
nei contesti africani.
Alcuni antropologi invece hanno privilegiato l’indagine del consumo rispetto a quella della
produzione e dello scambio dei beni, sostenendo che in questo modo è possibile
realizzare una migliore comprensione degli ordinamenti economici delle società. I dati
etnografici dimostrano che nessuna società sfrutta tutte le fonti di nutrimento che ha a
disposizione, rivelando che i ‘bisogni’ di consumo non sono imposti dalle condizioni
ambientali ma sono plasmati dalla cultura.
La scienza economica neoclassica fonda al sua analisi su una netta distinzione tra al sfera
pubblica della produzione e l’ambito privato della gestione domestica e del consumo
familiare.
Le studiose femministe hanno evidenziato come l’economia moderna impieghi categorie
culturali proprie della società occidentale per quanto riguarda genere e divisione del
lavoro, assegnando le donne all’ambito domestico e gli uomini a quello economico, e
trasformi questo modello culturale in regola universale.
5. L’antropologia medica
È stato di importanza grandiosa lo sviluppo dell’antropologia applicata nel settore medico.
L’antropologia medica, una delle branche dell’antropologia applicata, si occupa del
significato culturale delle malattie e della salute, dei sistemi delle pratiche sanitarie ecc.
Un importante insegnamento dell’antropologia medica è quello sulla relatività di
concezione, istituzioni e pratiche che ciascuna società costruisce intorno a salute e
malattia: gli antropologi possono essere quindi oggi chiamati in causa della formazione
del personale medico-infermieristico, nella preparazione di programmi di prevenzione,
nella gestione da parte di servizi sociosanitari territoriali delle terapie a pazienti di culture
diverse.
6. L’antropologia dell’educazione
Come l’antropologia medica, anche l’antropologia dell’educazione ha sviluppato
risultati interessanti: essa si occupa principalmente di considerare i significati culturali della
globalità dei fattori implicati nel sistema educativo, il modo in cui questi interagiscono con
la società nel suo complesso, con i gruppi che lo costituiscono e con la totalità di vita dello
studente. Gli antropologi dell’educazione hanno cercato di analizzare la misura in cui un
sistema scolastico può essere flessibile alla diversità culturale, consapevole dei problemi
delle minorazione oppure magari organizzato in maniera rigida sui presupposti della
cultura dominante.
7. L’antropologia dell’impresa
Esiste anche un’altra branca dell’antropologia applicata, ovvero quello dell’antropologia
dell’impresa, i cui antropologi hanno osservato in chiave comparativa le ‘culture
dell’impresa’, sia allo scopo di affrontare il trapianto di imprese in contesti socioculturali
diversi sia con l’obiettivo di esaminare la possibilità di applicare all’interno delle
organizzazioni approcci alla produzione mutuati da diverse culture.