Matteoli Ars
Matteoli Ars
Matteoli Ars
Marco Matteoli
Ars combinatoria e Ars memoriae in Giordano Bruno
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) Se si esamina la relazione tra l’arte di Lullo e la mnemotecnica di Bruno, per
prima cosa occorre considerare se e in che modo Bruno fosse un Lullista. In effetti,
i loro riferimenti teorici sono completamente diversi, poiché il contesto cristiano e
teologico del sistema di Lullo è totalmente assente nella prospettiva di Bruno. Lullo
stabilisce il suo universo sviluppando una trasmissione ‘trinitaria’ e gerarchica da Dio
no alla materialità (passando attraverso le facoltà umane), come è simbolizzato nei
nove gradi dell’Alfabeto lulliano. In modo diverso, Bruno sviluppa una loso a
naturale all’interno di un orizzonte cosmologico in nito, assolutamente distaccato da
Dio, senza alcuna gerarchia all’interno: tutti gli esseri – che siano stelle, pianeti o esseri
umani – sono ontologicamente uguali, fatti dalla stessa materia, vivono a causa di
un’unica anima universale. Di conseguenza, gli esseri umani sono completamente
assorbiti dal mondo naturale, così come la loro conoscenza. Ostile a qualsiasi
prospettiva mistica e antropocentrica, Bruno si confronta con Dio solo attraverso
l’in nità di tutta la natura: infatti, l’«Eroico furioso» preferisce contemplare l’essenza
intima di Diana nuda – cioè la substantia naturalis – rispetto alla ‘super cie’ di Apollo
(ossia Dio) che i teologi usavano indagare per mezzo della ragione. Questa posizione è
in parte dovuta a uno slittamento teorico che oscilla tra una gnoseologia neoplatonica
ed un aristotelismo ‘duro’: quello che pensiamo e conosciamo non è ltrato dalle idee,
ma dalle «ombre delle idee» (umbrae idearum), poiché la verità da Dio (la «luce») si
proietta attraverso la natura (il «corpo opaco») sulla nostra mente (la «super cie
umbratile») producendo ‘segni’ non direttamente connessi con la verità, ma per
l’intermediazione dell’esperienza naturale. Quindi, la conoscenza umana risulta
completamente dall’esperienza sensibile e sempre perfettibile: più è complessa e
completa, più tende a essere vera. All’interno di questo quadro interpretativo, la
ragione è solo una parte del processo intellettuale totale, mentre il ruolo centrale è
svolto dalla fantasia, in quanto ‘schermo’ che collega la realtà con i concetti interni:
ogni pensiero appartiene a un’immagine particolare e – forzando il senso del De anima
di Aristotele – senza immagini, l’uomo non può affatto pensare.
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) Nonostante queste istanze teoriche preliminari, Bruno ha scritto libri sull’arte
combinatoria di Lullo e la presenza di questa tecnica peculiare è ampiamente
diffusa in tutta la sua opera. Anche se le opere speci catamente dedicate a
spiegare l’arte di Lullo sono solo tre, Bruno applica la combinatoria lulliana alla
loso a, alla mnemotecnica, alla metodologia o alla retorica in circa dieci opere e, in
generale, possiamo trovare riferimenti alla tecnica di Lullo in ciascun testo bruniano. Il
primo scritto di commento alla combinatoria di Lullo è il De compendiosa architectura et
complemento Artis Lullii, pubblicato a Parigi nel 1582, nello stesso anno del De umbris
idearum e del Cantus Circaeus, due testi sulla mnemotecnica. Il De compendiosa architectura è
un breve commento all’Ars brevis, stampato da Gilles Gourbin, lo stesso editore del De
umbris idearum e molti altri lavori di Lullo, tra cui, nel 1578, l’Ars brevis stessa, ristampata
dall’edizione del 1514 curata da Bernardo De Lavinheta. In quegli anni Bruno
insegnava privatamente teologia e loso a presso il Collège de Paris; tuttavia, divenne
famoso come maestro di mnemotecnica e lullista: grazie a questi due interessi
particolari riuscì, infatti, a incontrare il re francese Enrico III e, in seguito a ciò, fu
accettato al College Royale. Il secondo lavoro su Lullo è il De lampade combinatoria
lulliana, un commento più lungo all'Ars brevis e con un’attenzione agli esiti retorici di
questa tecnica sicuramente più sostanziosa rispetto al primo. Questo scritto fu
stampato nel 1587 all’apice della breve carriera accademica di Bruno, dopo aver
trascorso due anni insegnando dialettica come professore presso l’Università di
Wittenberg. Lì raccolse un gran numero di studenti e molti di loro divennero suoi
devoti seguaci: Bruno cercava di ‘convertirli’ alla sua loso a naturale – ben esposta
durante il suo soggiorno inglese durato tre anni – proprio attraverso il lullismo e la
mnemotecnica. In ne, il terzo e ultimo testo, intitolato De specierum scrutinio et lampade
combinatoria Raymundi Lullii, fu edito a Praga nel 1588: è un semplice collage dei
precedenti due, assemblato da Bruno per presentarsi all’ambasciatore spagnolo presso
la Corte Imperiale, Guillen de Sanclemente, il quale era il politico più in uente
nell’entourage di Rodolfo II e, proprio come l’Imperatore, era un occultista, inoltre, un
ammiratore fanatico di Lullo, vantandosi addirittura di esserne un discendente.
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) Le opere di Bruno su Lullo nascono all’interno di un contesto culturale lullista:
durante tutto il XVI secolo, la Francia è stata infatti un’area importante per gli
studi lulliani, soprattutto dopo che Lefèvre D'Éstaples aveva chiamato Bernardo
De Lavinheta a insegnare il lullismo a Parigi. Allo stesso modo, all’Università di
Wittenberg c’era una forte tendenza a cercare alternative metodologiche ai ramisti, che
erano seguaci del calvinismo: quindi la tecnica di Lullo era ben conosciuta e il
cosiddetto movimento Filippo-Ramista proprio a partire da Wittenberg si diffuse in
tutta la Germania usando il lullismo come mezzo ‘tecnico’ per fondere il metodo
ramista e la dialettica di Filippo Melantone. In un’atmosfera simile, gli interessi
occultisti di Rodolfo II avevano trovato nel metodo di Lullo un modo per tentare di
veicolare dottrine eterodosse tra quelle accettate. In tutte queste circostanze, il lullismo
utilizzato non era il sistema lulliano ‘originale’: al contrario, veniva adottato uno
strumento dialettico ed enciclopedico basato su una versione della combinatoria di
Lullo che era stata totalmente o quasi totalmente privata della sua teologia e loso a. È
opportuno, a questo punto, considerare anche le altre opere di Bruno che si riferiscono
alla combinatoria, anche perché esse vengono elaborate all’interno di questa
particolare atmosfera culturale, sebbene esse riguardino più speci catamente la
mnemotecnica, la dialettica o la loso a. Le prime due, il De umbris idearum e il Cantus
Circaeus, vengono pubblicate a Parigi nello stesso anno del De compendiosa architectura;
l’Explicatio triginta sigillorum, invece, viene pubblicata l’anno successivo a Londra;
tuttavia, raccoglieva materiali sviluppati negli anni precedenti. Tutti questi scritti
costituiscono dei manuali sull’arte della memoria ed applicano la tecnica combinatoria
a diversi elementi di questo metodo: dalle ruote combinatorie utilizzate per formare
immagini per sillabe o parole, alla costruzione di architetture visive che ordinano gradi
e livelli di dati mnemonici. Il De lampade venatoria logicorum (Wittenberg 1587) e la Lampas
triginta statuarum (scritto per la prima volta nel 1587, ma edito solo alla ne del XIX
secolo in un volume sulle «opere magiche» di Bruno) facevano parte, insieme al De
lampade combinatoria lulliana, di un progetto editoriale riguardante la dialettica e la
loso a, una sorta di enciclopedia de nitiva – come Michele Ciliberto ha de nito la
Lampas – della Nolana philosophia. In ne, gli ultimi lavori ‘lulliani’, come il De imaginum
compositione, il De arti cium perorandi o la Medicina lulliana sono stati scritti e parzialmente
editi durante il periodo tedesco, quando Bruno si spostava da Wittenberg a
Francoforte, poi a Helmsted e Zurigo. In particolare, il De arti cium perorandi raccoglie
alcune lezioni sulla retorica – esposte secondo una struttura combinatoria – che Bruno
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ha impartito a Zurigo e sono state editate postume; la Medicina lulliana viene attribuita
agli anni di Helmsted, quando Bruno utilizza un ‘codice’ lulliano per attirare studenti
che coltivavano interessi ermetici, magici e dialettici.
4
) Si è detto che il lullismo rinascimentale francese e tedesco non era
propriamente vicino al sistema originale lulliano, piuttosto era una
reinterpretazione dialettica e metodologica della sua combinatoria, così come lo
era il lullismo di Bruno. In ogni caso, da quali testi lo aveva derivato? La critica ha
mostrato come Bruno avesse già incontrato le opere di Lullo a Napoli, durante la sua
giovinezza: probabilmente, a quel tempo, lesse l’Arbor scientiae e più tardi, in Francia,
potrebbe aver potuto apprendere la tecnica combinatoria leggendo l’Ars magna e l’Ars
brevis. I suoi contatti con i lullisti francesi o, ancor più, con Gilles Gourbin, editore di
molte opere lulliane, potrebbero aver fatto conoscere a Bruno la Explanatio
compendiosaque applicatio artis Raymundi Lulli di Bernardo De Lavinheta, il più sistematico
e il più vasto compendio rinascimentale della loso a e dell’arte lulliana. Gilles
Gourbin fu anche l’editore dell’Ars brevis e del De auditu kaballistico, nonché del De umbris
idearum e del De compendiosa architectura di Bruno. A Parigi, inoltre, potrebbe aver letto
anche una versione manoscritta della Logica nova e la stampa del 1515 del In rethoricam
isagoge, una summa apocrifa del lullismo e un altro famoso manuale rinascimentale di
dialettica lullista. Bruno fa ampio riferimento a entrambi i testi in molte delle sue
opere.
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er descrivere ulteriormente il rapporto tra il lullismo bruniano e il suo ambiente
culturale, è utile citare anche l’edizione Zeztener, uscita a Strasburgo nel 1598,
dell’Opera Raymundi Lulli, che comprendeva il De specierum scrutinio e il De lampade
combinatoria lulliana, nonché il De lampade venatoria logicorum. Questi scritti bruniani
facevano parte della sezione dei commenti (insieme ai commenti di Agrippa), mentre la
sezione principale conteneva Ars brevis, Ars generalis ultima, De auditu kaballistico, In
rethoricam isagoge e Logica brevis et nova; quest’ultima era stata precedentemente inclusa
nella Explanatio di Lavinheta.
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) L’interesse di Giordano Bruno per la combinatoria di Lullo era primariamente
dialettico; egli aveva trovato in quella tecnica le caratteristiche giuste che avrebbe
potuto ben applicare alla propria prospettiva loso ca: una struttura coerente e
un dinamismo produttivo, proprio come era la sua idea di natura. In effetti, l’universo
naturale di Bruno è un organismo senza ne: è un’enorme struttura di esseri viventi,
complessa e in continua trasformazione, che comprende stelle e pianeti (quelli che
chiama «mondi») e tutte le creature viventi che li abitano. Non ha una gerarchia
ontologica, non ha un centro, non ha con ni; tuttavia, ha due semplici leggi, frutto
dell'unione di due principi teorici: la vicissitudo universalis e la concidentia oppositorum
derivata da Cusano. La prima ‘legge’ decreta che tutto cambia continuamente; la
seconda – che Bruno declina all’interno dell’orizzonte naturale – stabilisce che ogni
cambiamento è il passaggio da uno stato al suo opposto attraverso una progressione di
gradi simili. Questi peculiari fondamenti teorici richiedono una prospettiva
gnoseologica conseguente, una dialettica adeguata e una logica coerente. Secondo
Bruno, tutto è subordinato alla natura, compresa la conoscenza: si vedrà, più avanti,
come ogni atto di creazione – sia esso naturale o umano – derivi dalla natura e come
anche il pensiero possa essere considerato una creazione interiore. In ogni caso, ci si
concentri ora su ciò che Bruno scopre nella combinatoria di Lullo, su come applicarla
alla sua dialettica: da essa deduce, infatti, struttura e dinamismo, gestendo alfabeti,
alberi, scale, tabulae e, soprattutto, ruote combinatorie. Inserisce tutto ciò con forza
all’interno delle operazioni principali della retorica/dialettica rinascimentale, la
dispositio e l’inventio, come avevano già fatto molti altri lullisti rinascimentali. Ciò
signi ca in realtà che Bruno, a un primo livello, applica la combinatoria a ogni
argomentazione: ne utilizza le sequenze, gli schemi e le combinazioni – senza alcun
riferimento al loro sfondo teorico – per comporre, disporre e trasformare parole e
argomenti. Il suo obiettivo dialettico nale è generare il signi cato stesso, modellando
gli oggetti linguistici come se fossero parte della materia naturale vivente, poiché
considera la creatività intellettuale come l’espressione dell’anima universale incarnata
in tutte le creature. In un secondo momento, applica la combinatoria alla
mnemotecnica: le immagini fantastiche fanno strettamente parte della conoscenza,
perché sono il nesso fondamentale e unico tra l’esperienza sensoriale e l’astrazione
concettuale. Ogni dato sensoriale viene tradotto in un’immagine appropriata, così
come ogni realizzazione concettuale ha bisogno di un’immagine propria – un ‘corpo
fantastico’ – per essere messa in relazione con altri dati e concetti. Il pensiero non può
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essere possibile senza immagini; ancor più, noi pensiamo concretamente per mezzo di
immagini. Di conseguenza, l’antica arte di gestire le immagini – l’ars memoriae – risulta
essere lo strumento privilegiato di una nuova dialettica, la più consona all’esperienza
umana e all’azione naturale; una sorta di attività visiva razionale/irrazionale che Paolo
Rossi ha de nito «logica fantastica»1.
Si mostreranno ora alcuni esempi di questo peculiare modo di utilizzare la
combinatoria lulliana, soffermandosi dapprima sull’inventio e sulla dispositio di termini e
argomenti, per poi analizzare come e perché lo stesso atteggiamento dialettico possa
essere trasferito alle immagini e ai luoghi mnemonici.
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) Il primo esempio proviene dalla Explicatio triginta sigillorum, un’opera pubblicata a
Londra nel 1583. Si tratta di un libro sull’arte della memoria con un’importante
terza sezione sulla conoscenza e la dialettica, intitolata Sigillus sigillorum. Le due
sezioni principali presentano e spiegano trenta «sigilli», cioè insegnamenti simbolici e
concisi «per l’invenzione, la disposizione e la memoria di ogni scienza e disciplina»,2
come recita il frontespizio. Il quarto Sigillum è «l’Albero» e presenta un rigoroso schema
gerarchico costituito da sequenze subordinate che si originano da una principale ( g.
1). La sua struttura formale è ben descritta dall’immagine che Bruno ha aggiunto al
testo, che si ispira apertamente ai «diagrammi» lulliani e ha suggestivamente la forma
di un albero formato dalle lettere dell’«alphabetum». Esso può essere utilizzato per
l’inventio e la dispositio dei termini, anche se funziona anche per disporre le immagini
mnemoniche, sia ispirandone il modello, sia costruendo una semplice architettura che
le ospiti. In ogni caso, leggiamo ciò che Bruno designa speci camente per l’inventio
terminorum:
quando vogliamo discutere di qualsiasi argomento, sia raccogliendo
argomentazioni altrui, sia mietendo dalle nostre stesse ri essioni, facciamo come
se stessimo guardando un albero: dapprima le sue radici, cioè i princìpi da cui si
origina, le cause e gli elementi fondanti; poi il tronco, ovvero la propria essenza e
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l’essere; subito dopo i rami, cioè le potenzialità, le facoltà e le virtù; in seguito le
foglie, ovvero i suoi accidenti ed i suoi elementi circostanziali; poi i ori, cioè le
azioni e le operazioni e, in ne, i frutti che sono gli atti e le cose prodotte.3
Come si vede, non si tratta propriamente dell’inventio terminorum, ma della loro
disposizione (dispositio) come nella tradizionale tecnica retorica dei loci: tuttavia Bruno
considera questo modo di disporre i termini come una inventio, perché sviluppa una
sorta di processo e di procedura generatrice di termini, quindi «crea» il signi cato.
Questo perché egli si riferisce a una nozione di inventio più dinamica, cioè più vicina a
un’idea di foecunditas naturale come risultato di una struttura universale viva, piuttosto
che dialettica. Questa caratteristica peculiare è esplicitamente attribuita alla tecnica di
Lullo, come Bruno dichiara all'inizio della spiegazione (explicatio) del quarto Sigillo:
«l’albero serve all’invenzione e al giudizio, come è manifesto da quanto è esposto nel
libro Arbor scientiae».4 Bruno ripropone questo legame con la famosa opera di Lullo
anche nel De imaginum compositione, ma lì aggiunge un’importante osservazione
metodologica:
Il nostro albero differisce da quello di Lullo, perché il nostro è una gura solida, il
suo è una gura piana: appunto come la piramide differisce dal triangolo, il
corpo dalla super cie. Perciò quello apre la via dell’invenzione in altezza e in
larghezza, questo invece anche in molteplici profondità.5
Bruno sta confrontando un «albero» bidimensionale con uno tridimensionale, il che
signi ca in realtà uno schema argomentativo unidirezionale o «piano» contro uno
schema rami cato più ef cace, un percorso multidirezionale per la generazione di
signi cati. Inoltre, nel De imaginum compositione, Bruno vuole mostrare il suo profondo
3 Cfr. ivi, pp. 104-105: «De quocunque enim subiecto cum dicere volumus, sive ex alienis inventis
colligentes sive ex nostris meditationibus emetentes, ita facimus ut in ipsum velut in arborem
respicientes, primo eius radices, puta principia originalia, causas et elementa; deinde stipitem, id est
propriam essentiam et esse, mox ramos, id est potentias, facultates atque virtutes; subinde folia, puta
accidentia propria et circumstantias; proinde ores, utpote actiones et operationes; tum demum
fructus, qui sunt actus et opera, considerentur».
4Ibid.: «Arbor ad inventionem facit atque iudicium, ut manifestum est in iis quae in libro Arboris scientiae
perhibentur».
5 De imaginum compositione, OMN II, p. 840: «Differt ab illa arbor nostra, quia haec solida est, illa plana,
nempe sicut pyramis differt a triangulo, corpus a super cie. Ideo illa promit inventionis viam per altum
et latum, haec vero etiam per multiplex profundum».
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tradimento del sistema lulliano, non solo rafforzando gli esiti degli strumenti
combinatori di Lullo, ma, ancora una volta, evidenziando la propria originalità
dialettica e loso ca. Di conseguenza, sottolinea la sua radicale distanza dal background
teorico di Lullo. In ne, cita anche la sua nuova idea di combinatoria applicata alla
mnemotecnica, totalmente ignorata dallo stesso Lullo:
ebbene, quello è il padre, questo il glio per quanto concerne l’aspetto formale
dell’attività inventiva, giacché riguardo al contenuto delle scienze speculative non
c’è ragione di consultare Lullo. Per quanto invece attiene ad altre potenze
intellettive dell’anima, quest’albero è di tutt’altro genere ed è evidente che ad esso
Lullo neppure pensò.6
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) Il secondo esempio, sempre intorno alla dialettica, riguarda direttamente la
dispositio terminorum. Anch’esso proviene dall’Explicatio triginta sigillorum e si riferisce
in modo particolare al diciottesimo sigillo che si intitola De quadrato encyclio, cioè
«un’enciclopedia quadrata», dove ‘quadrato’ sta per ‘quadruplo’, come il numero di
parti e sottoparti in cui può essere suddiviso un argomento ( g. 2). Infatti esso offre un
modo di organizzare i concetti con uno schema a base quattro:
Lo schema di organizzazione a base quadrata si ottiene dunque quando quattro
signi cati o concetti prendono forma intorno ad un argomento solo, e, partendo
da ciascuno di questi singoli signi cati, che a loro volta diventano argomenti di
riferimento, se ne formano altri quattro, dai quali, ulteriormente, saranno derivati
altri quattro signi cati, e si prosegue così, di seguito, nché lo permette la volontà
di chi dispone e la cosa da disporre.7
Questo peculiare paradigma – al quale corrisponde un sigillo ‘gemello’ denominato De
binarii encyclio – è speci camente dedicato alla dispositio degli argomenti: funziona come
una struttura regolare e ricorsiva quadripartita secondo diversi livelli subordinati che
6 Ibid.: «Atqui illa est mater, haec vero lia quoad opus inventionis attinet formalis: de materia quippe
scientiarum speculativarum non est quod Lullium consulamus. Quod vero ad alias animae potentias intellectivas
attinet quasdam, alius generis omnino haec arbor est, de quo certe ne cogitasse quidem Lullius apparet».
7 Cfr. Explicatio triginta sigillorum, cit., p. 134: «Quadratum igitur encyclium ef citur, cum quatuor super uno
subiecto formantur intentiones et supra quatuor intentionum singulas, quae modo subiecti vicem subeunt,
quatuor efformantur alia<e>, quarum quaeque subsequentibus quatuor iterum subiacent intentionibus, et ita
deinceps progrediendo, quoadusque et disponentis intentio et rei disponendae negotium patiatur».
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O
ccorre però rilevare la problematicità del fatto che, secondo Bruno, l’inventio e
la dispositio dialettica sembrano essere la stessa cosa. In effetti, entrambe
offrono una disposizione strutturata dei termini, ma la differenza tra loro è il
modo di considerare la componente dinamica: l’inventio ‘muove’ i termini e genera il
loro signi cato ‘lungo’ un modello e una disposizione; la dispositio conferisce invece loro
‘quel’ modello. In ogni caso, i sigilli, sia per l’inventio che per la dispositio sono ‘strumenti’
per dispiegare e comporre termini, argomenti e concetti: negli effetti ‘ gure’ (in senso
lulliano) di una ‘combinatoria’.
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) Si è mostrato come Bruno cerchi di trasferire la tecnica di Lullo alla dialettica
tradizionale. Questo singolare spostamento è dovuto a una diversa visione della
dialettica stessa, che considera ogni termine come un oggetto ‘atomistico’ in un
sistema strutturato di relazioni logiche neutre, come un punto discreto all’interno dello
spazio geometrico. Ciò corrisponde profondamente all’idea rinascimentale di
dialettica, che prende nettamente le distanze dalla ‘logica terministica’ della tarda
Scolastica, totalmente assorbita dall’analisi ‘quantitativa’ dei termini all’interno della
struttura sillogistica. Diversamente, autori rinascimentali come Lorenzo Valla, Rodolfo
Agricola o Pierre de la Ramée avevano contribuito a riformare la dialettica in un
quadro ‘ideologico’ completamente rinnovato, in cui retorica e dialettica
convergevano. Inoltre, la dispositio o topica diventava il nuovo e principale modello per
comporre un discorso o un testo, mentre l’inventio era considerata sinonimo di foecunditas
e creatività, piuttosto che di ricerca del giusto termine medio. Questo è lo stesso
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orizzonte teorico in cui Bruno colloca anche la sua dialettica. In aggiunta a ciò, egli
sottolinea ancora di più il valore sia della disposizione che dell’invenzione attraverso la
combinatoria. Infatti, egli gestisce i termini come se fossero i ‘pezzi’ di una composita
macchina dialettico-linguistica, per cui l’equivalenza tra le lettere dell'alfabeto lulliano
e le parti fondamentali delle parole sembrerebbe essere più di un mero formalismo
simbolico. È per questo che ogni sigillo può essere sistematicamente adattabile sia alla
dispositio dei termini, sia alla loro inventio, oppure alla disposizione o alla formazione di
immagini mnemoniche. Così come ogni elemento di qualsiasi espressione può essere
considerato come un atomo o un punto all'interno di una rete di relazioni, allo stesso
modo ogni relazione sintattica può essere espressa come una ‘composizione’ dinamica
di termini, come l’aggregazione di atomi che formano un corpo o il segno della linea
che collega i punti in una gura. Tra l’altro, questo parallelismo teorico tra dialettica,
atomismo e geometria troverà una de nizione formale nella tarda loso a di Bruno,
quando teorizzerà il concetto di minimo. Nonostante la differenza tra parole e
immagini, la loro ‘grammatica’ e la loro ‘sintassi’, Bruno si sforza di gestire parole e
immagini con gli stessi strumenti combinatori, perché è riuscito a ‘tradurre’ la
dialettica in un’attività visuale. Così la dispositio diventa un’architettura di luoghi e
l’inventio un movimento attraverso di essi. I soggetti (grammaticali) possono essere
addirittura considerati come personaggi, i predicati verbali come le azioni che essi
compiono.
S
i esamini, innanzitutto, come la dispositio possa essere trasformata in
un’architettura visiva, leggendo un importante estratto del Cantus Circaeus (Parigi
1582), la seconda opera mnemotecnica di Bruno:
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ale sostrato – in quanto particolarmente adatto a recepire le forme
memorizzabili, così come devono essere memorizzate – può essere, secondo
quanto risulta più conveniente, [...] o comunissimo, in quanto lo si concepisce
pari per estensione all’universo, o più comune, in quanto si estende nello spazio
descritto dalla geogra a, o comune, in quanto coincide con i con ni di un determinato
continente; può essere inoltre proprio, in quanto corrisponde ad una città, o più
proprio in quanto lo si immagina della grandezza di una casa o di ampiezza
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domestica, oppure proprissimo, in quanto coincide con una delle molteplici e
numerose parti e sezioni della casa.9
Questo passaggio è piuttosto ambiguo e, in verità, molti commentatori non l’hanno
capito affatto: uno di loro, ad esempio, una volta ha affermato che esso si riferisce al
soggetto del discorso, che potrebbe riguardare l’astronomia, la geogra a, la politica, gli
affari o l’architettura. Naturalmente, non si può negare che ciò lo sia ‘letteralmente’, se
si guarda ai gradi di questa sequenza. Ma cosa intende Bruno con il termine subiectum?
Lo spiega lui stesso una pagina prima: «in questo trattato il concetto di sostrato non si
assume nel signi cato secondo cui lo intendono la logica e la sica, ma secondo un
signi cato che è particolarmente appropriato alla nostra disciplina e che si de nisce
‘tecnico’, ovvero nel senso di ‘prodotto dell’arte’». In altre parole: «il sostrato delle
forme plasmabili dalla fantasia, apponibili e rimovibili, vaganti e procedenti qua e là
secondo il volere della fantasia e della facoltà cogitativa di chi opera».10
B
runo intende quindi il soggetto in senso mnemotecnico, ossia il luogo in cui
collocare le immagini mnemoniche; di conseguenza, descrive quanto deve
essere grande un luogo mnemonico e, soprattutto, come devono essere disposti
i luoghi per ospitare al meglio tutti i dati mnemonici. Il luogo più grande accoglie la
maggior quantità di immagini, mentre il luogo più piccolo (propriissimum) ospiterà una
sola immagine. Questo signi ca che esiste una connessione strutturale decisiva tra
l’estensione sica/visiva dei loci e l’estensione logica dei dati mnemonici: quanto più è
generale l’informazione, tanto più deve essere grande il luogo; al contrario, un singolo
dato ha bisogno di una sola immagine; quindi, sarà collocato in un unico e piccolo
locum. In pratica, se si vuole memorizzare un libro diviso in tre sezioni, ognuna delle
quali è suddivisa in cinque capitoli formati da decine di paragra , si contemplerà nella
fantasia un palazzo di tre piani, dove ogni piano ospiterà cinque grandi stanze, nelle
quali si individueranno decine di luoghi piccoli e particolari, come angoli, nestre,
9 Cantus Circaeus, OMN I, p. 672-673: «Subiectum vero istud – utpote quod est aptum natum ad recipiendas
formas memorabiles, ut memorandae sunt – pro commodo esse potest [...] communissimum, extentum iuxta
latitudinem ambitus universi, vel communius iuxta latitudinem geographiae, vel commune iuxta latitudinem
alicuius continentis, vel proprium iuxta latitudinem politicam, vel proprius iuxta latitudinem domesticam seu
oeconomicam, vel propriissimum iuxta multitudinem atque numerum partium domus et particularum eiusdem».
10 Ivi, pp. 670-672: «Subiectum ergo in proposito non sumitur secundum intentionem logicam vel
phisicam, sed secundum intentionem convenientem, quae technica appellatur, utpote secundum
intentionem arti cialem. […] Sed est subiectum formarum phantasiabilium, apponibilium et
remobilium, vagantium et discurrentium ad libitum operantis fantasiae et cogitativae».
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rientranze. In seguito, si potranno inserire al loro interno, nel giusto ordine che
avevano in origine, tutte le immagini di ciò che si deve memorizzare. Bruno identi ca
questo processo architettonico e creativo come un approccio combinatorio alla
mnemotecnica: più l’architettura è ben formata, più la logica e il sistema dialettico dei
dati saranno preservati. Si può vedere come questa idea possa essere simboleggiata
visivamente, osservando questa immagine ( g. 3): un uomo con le braccia aperte – una
sorta di ripresa del paradigma dell’uomo vitruviano e già fatto proprio dalla
mnemotecnica classica – è posto al centro di un quadrato, accanto a un pozzo (lettera
U); tutt’intorno, agli angoli, ci sono altre immagini più piccole: il globo celeste (A), la
Terra (E), il quadrante di un cerchio (I), un quadrato (O). Esse raf gurano le diverse
forme di luoghi ‘generali’: il «comunissimo», cioè la sfera astronomica (come aveva
insegnato Metrodoro di Scepsi, collegando i ricordi alle quarantotto costellazioni); il
«più comune», cioè la terra, in quanto luogo geogra co o ‘politico’. Poi, il luogo «più
proprio», «domestico» o «economico», grande quanto una casa: è descritto da un
‘quadrante’ di circonferenza, perché questo è il simbolo che Bruno usa per l’atrio, cioè
un’unica e grande sala suddivisa in diversi ambienti più piccoli chiamati cubilia o
of cinae. Inoltre, abbiamo il cubilium, cioè una stanza che può ospitare no a nove luoghi
singoli: i quattro angoli, più altri cinque recessi, se consideriamo il centro di ogni parete
e il centro della stanza stessa. In ne, c’è il luogo particolare (posto al centro di tutta la
gura), che è quello in cui deve essere collocata la singola immagine: di solito si tratta
di un’intera scena complessa con un personaggio vivente che fa qualcosa all’interno di
questa particolare cornice visiva.
P
iù avanti si esaminerà come e perché questa peculiare idea dei luoghi
mnemonici rappresenti un’innovazione nella gestione delle strutture
mnemoniche: al momento sia suf ciente osservare che una disposizione così
rigorosa dei luoghi signi ca, per Bruno, la migliore traduzione visuale possibile della
dispositio dialettica.
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) Si consideri ora un ulteriore esempio, in cui la prospettiva combinatoria è
ancora più rilevante del precedente. Si tratta dell’Ars memoriae, la grande sezione
mnemonica che completa il De umbris idearum e che tratta speci camente della
memoria verborum. La mnemotecnica tradizionale aveva sempre considerato la memoria
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rerum (memorizzazione delle cose) e la memoria verborum (memorizzazione delle parole)
come questioni distinte. La prima serviva a tradurre il signi cato di una cosa in
un’immagine equivalente; la seconda lavorava per dare forma al ‘suono’ di una parola,
perché presumeva che il suo signi cato fosse sconosciuto o, semplicemente, perché si
necessitava di ricordarlo in quella forma. I mnemonisti organizzavano dunque una
sorta di alfabeto visivo, in cui le gure richiamavano la forma delle lettere: a volte
utilizzavano personaggi viventi (Albericus, Bernardus, Caesar, ...), oppure animali (avis,
bos, canis, ...), le cui iniziali rappresentavano appunto le lettere. Per comporre
un’immagine-parola si univano semplicemente tutte le immagini-lettere come una
scena unica, facendo in modo che le singole immagini si collegassero tra loro con delle
azioni particolari. Alcuni dispositivi di memoria di parole più complessi potevano
contemplare la possibilità di creare un alfabeto visivo di sillabe, per poi comporle
direttamente. In effetti, più l’alfabeto era complesso, più l’immagine risultava semplice.
Al contrario, troppe lettere-immagini producevano una scena troppo ricca, soprattutto
se la parola era lunga. Un buon compromesso poteva essere un alfabeto mediamente
ricco e uno strumento di composizione ben versatile, proprio come fecero alcuni
mnemonisti, come Jacopo Publicius, Johannes Romberch e anche Bruno: avevano
infatti scelto di utilizzare la combinatoria come mezzo per gestire le immagini delle
lettere/sillabe e formare così la scena della parola più appropriata.
N
onostante, dunque, che l’idea di Bruno non sia assolutamente originale, il
modo in cui applica la combinatoria lulliana alla memoria verborum nel De
umbris idearum è piuttosto innovativo. Egli crea un macchinario
progressivamente più complesso di ruote combinatorie, offrendo ai lettori una serie
graduale di strumenti per imparare a gestire dinamicamente le immagini. Così, inizia
con un primo esercizio costituito da un alfabeto di trenta immagini e due ruote. Poi
considera tre ruote per comporre un’immagine di tre lettere e sillabe. In ne, propone
un alfabeto sillabico di centocinquanta immagini (trenta lettere per cinque vocali)
‘mosse’ da cinque ruote combinatorie per formare una scena per parole no a cinque
sillabe. Si osservi come funziona il primo livello: si immaginino trenta personaggi
viventi per altrettante lettere; nel suo sistema Bruno inserisce tutte le lettere
dell’alfabeto latino (23), più quattro lettere del greco e tre dell’ebraico, poiché nessuno
di questi sette suoni aggiunti esiste in latino o nelle lingue romanze e la memoria
verborum, come si è detto, risulta essere particolarmente utile per le parole straniere. Per
comporre un’immagine-sillaba di due lettere, si ha bisogno di un secondo alfabeto: il
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passo successivo consiste quindi nel creare un’altra serie di trenta immagini: questa
volta rappresenteranno azioni da collegare ai precedenti trenta personaggi viventi.
Bruno propone un elenco tratto dalle Metamorfosi di Ovidio: Licia (A) sdraiato a un
banchetto (A); Decaulione (B) lancia pietre (B); Apollo (C) uccide il Pitone (C); Argo (D)
pascola le sue mucche (D), e così via. L’ordine delle immagini nel testo di Ovidio
suggerisce sia la sequenza che il valore delle lettere che esse rappresentano. Come
passo nale i due gruppi devono essere disposti ‘come se’ fossero su due ruote
combinatorie mobili:
Fissate innanzitutto nella memoria le ruote in precedenza raf gurate, si faccia in
modo di avere chiaro una volta per tutte quali siano le azioni e le insegne
attribuite a ciascun personaggio agente quando il sistema è immobile: è tempo
infatti di procedere ad una operazione più complessa, mediante la quale verrai
prima di tutto a comporre la prima combinazione, che consta di due lettere.
Tieni presente la prima gura, che consta di due ruote sse. Adesso, mentre la
ruota esterna continua a mantenersi immobile, si dovrà far scorrere quella
interna. Questa ruota, in precedenza, si supponeva ssa in quanto era funzionale
ad un atto associativo ugualmente sso; adesso invece deve essere capace di
volgersi in ogni direzione, per produrre associazioni che devono essere
innumerabilmente molteplici, in ragione delle molte e innumerevoli operazioni
possibili.11
Bruno sta descrivendo il passaggio dai due alfabeti ‘fermi’ alla loro composizione, per
dare forma a una sillaba: muovendo la ruota interna, tutte le sue trenta lettere possono
essere associate a ciascuna delle trenta lettere della ruota esterna. Questo accade anche
nella combinatoria di Lullo; cosa intende dunque Bruno con questa operazione
mnemotecnica? Forse, come alcuni critici hanno frainteso, si ha forse bisogno di
immaginare quelle ruote che girano nella nostra mente? In realtà, Bruno sta
insegnando come applicare il principio combinatorio a uno scenario mnemonico e
visivo. Quindi, si devono prima memorizzare i due alfabeti ‘fermi’ – cioè i trenta
personaggio con le loro azioni – come se fossero un unico sistema visivo. Poi, dopo aver
11 Cfr. De umbris idearum, cit., pp. 238-239: «Apprime igitur praesignatis rotis mente xis quoad quid cuique
conveniat immobiliter, habeatur in promptu, tempus est ut ad maiorem praxim hunc in modum expediaris, ut
primo primam compositionem, quae duobus constat elementis quibuscumque, veneris. Vides primam guram
duabus constantem rotis xis. Iam exteriori in sua xione perseverante, solvatur interior. Cuius olim xio ad
habitum eius, qui debet esse xus, spectabat: nunc pro actu, qui ratione multorum operabilium atque
innumerorum debet esse innumerabiliter multiplex, undique revolvenda occurrit».
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considerato i personaggi e le azioni come due serie diverse, dobbiamo mescolare tutte
le azioni e i personaggi. Quindi, le ruote mobili sono solo un simbolo – anche gra co,
visto che Bruno le ha disegnate all'interno del suo libro ( g. 4) – di un processo
combinatorio che, in realtà, implica la composizione dinamica delle immagini
mnemoniche. In conclusione, è necessario combinare tutte le azioni con tutti i
personaggi per formare le scene di tutte le coppie possibili a partire da due alfabeti di
trenta lettere. Per esempio: se Licia, invece di riposare al suo banchetto, lancia pietre,
come fa Deucalione, signi cherà AB. Di conseguenza le due, tre e cinque ruote dell’Ars
memoriae sono semplicemente ‘formule’ combinatorie di altrettanti sistemi visuali che
devono essere applicati alle immagini. Ancora una volta, il loro ordinamento, i loro
movimenti e le loro mutazioni devono esprimere, a livello visivo, le relazioni
semantiche e logiche dei loro signi cati.
1
0) Nei Sigilli si può osservare la versione de nitiva della ‘combinatoria fantastica’ di
Bruno. L’ultimo esempio sarà quindi tratto dal ventunesimo sigillo, che si intitola De
rota guli, cioè la ruota del vasaio. Bruno utilizza questa metafora per simboleggiare
l’operazione di combinazione delle immagini, signi cando assieme il loro ordinamento
e la loro ‘modellazione’, come Bruno sembra suggerire proprio nelle battute iniziali
della explicatio di questo sigillo: «l’«atrio corrisponde alla ruota del vasaio, il formatore
al vasaio ed i signi cati secondo cui si dà forma al sostrato sono analoghi alla creta».12
La descrizione di Bruno non potrebbe essere più esplicita: il sistema stesso dei loci è lo
‘strumento combinatorio’, perché il mnemonista può modellare e modi care le
immagini in essi e attraverso di essi. Infatti, chi gestisce i luoghi e le immagini può
imporre loro qualsiasi gerarchia e dinamica: prima compiendo movimenti ‘orizzontali’
percorrendo visivamente i luoghi; poi operando attraverso le immagini il passaggio
‘verticale’ dai livelli superiori a quelli subordinati, mescolando sia le sequenze che gli
ordini. Tuttavia, è nel seguito del testo che è possibile leggere un’applicazione molto
curiosa, ma ‘illuminante’:
se vorrai esercitarti nell’astrologia e, ad esempio, memorizzare i signi cati degli
aspetti delle stelle e quelli delle disposizioni dei pianeti nei segni, potrai preparare
12Cfr. Explicatio triginta sigillorum, cit., pp. 140-141: «Rotae subiectum atrium, gulo gurator, luto
subiecta intentio formabilis proportionantur».
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dodici case dotandole di elementi aggiuntivi, in modo che con le loro parti e
membra contengano cose tali da essere ben appropriate alle singole
considerazioni da farsi in esse e relativamente ad esse. Potrai poi destinare sette
supporti circolari e ruotanti per quelle gure che rappresentano i pianeti e che,
secondo il proprio ordine, riceveranno varie passioni ed affezioni nelle varie
case.13
Questa implementazione astrologica della Rota guli è molto utile per far capire come
dovrebbe funzionare realmente la combinatoria fantastica. Per prima cosa il
mnemonista deve organizzare il sistema dei loci, cioè dodici domus: si tratta di piccole
‘stanze’ con molti oggetti e diversi recessi all’interno; sono tutte ordinate in una
sequenza ‘circolare’, come se fossero la galleria di un palazzo o un chiostro. Esse
devono simboleggiare i segni zodiacali o, meglio, le dodici case astrologiche in cui è
suddivisa la carta dell’oroscopo, come si vede nell’immagine ( g. 5). Così, con la prima
operazione Bruno mette a punto la struttura di base della sua modellazione interna, la
‘ruota’ come dice lui stesso con la sua metafora: si tratta di uno spazio mnemonico
composito formato anche da un grande corredo di accessori virtuali utili a formare
molte scene. Il secondo passo consiste nel combinare le sette immagini attive con gli
oggetti assegnati alle case, facendole vagare e operare attraverso i luoghi mnemonici, in
modo da formare molte scene. In questo caso, le immagini di sette personaggi viventi
personi cheranno i pianeti: un uomo molto vecchio e lento per Saturno, un Giove
tonante, un Sole brillante, Marte il guerriero, una Venere giovane e affascinante, il
Mercurio volante e vitale, in ne la Luna pallida e fredda. Questa suggestiva
compagine, insieme a tutti i luoghi e gli oggetti presenti in essi, sono la ‘creta’, la
materia grezza che il mnemonista deve modellare per dare forma a tutti i possibili
signi cati che potrebbe generare dalla combinazione reciproca dei suoi numerosi
elementi visivi (come nel precedente sistema il mescolamento di caratteri e azioni ha
prodotto tutte le sillabe): in questo caso speci co l’opera del vasaio potrà formare tutti i
signi cati e gli schemi delle gure astrologiche. Infatti, muovendo l’immagine di un
pianeta nei segni potrà rappresentarne il singolo valore; in secondo luogo, potrà
mostrare le sue relazioni con altri pianeti collocati nelle loro case-segno, facendo
13 Ibid.: «si velis in mathematicis exerceri, ut si velis stellarum aspectus quoad earum signi cationem et
signi cationes dispositionum planetarum in signis retinere, poteris duodecim suis circumstantiis domos
efformatas ita apparare, ut suis partibus atque membris talia contineant, quae ad singulas considerationes de ipsis
et in ipsis faciendas sint adcommodatiora. Poteris insuper septem circum rotantia supposita destinare, quorum
passionibus et affectibus / aliis, quae in locis recipiunt, ea quae in planetis signi cari debent ordinate habeas».
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interagire entrambi. Inoltre, sarà possibile esprimere il livello più generale del loro
signi cato, riferendoli tutti all’intero sistema dei segni.
N
uovamente, Giordano Bruno si mostra abile nel mescolare diversi sistemi
teorici, codici e linguaggi, al ne di proporre la sua visione loso ca. Utilizza
l’astrologia, anche se non sostiene realmente la cosmologia tolemaica, perché
la prospettiva geocentrica è la stessa di quella fantastica, implica cioè un occhio interno
posto al centro di una sfera di immagini in movimento/mutamento. Così, mentre
Bruno costruisce il suo mondo fantastico, cerca anche di descrivere la sua idea di
natura; infatti, le sue operazioni mnemoniche ricorrenti e ricorsive ci svelano
simbolicamente l’ombra della vicissitudo rerum.
1
1) È giunto dunque il momento di uscire dal mondo onirico delle mnemotecniche e
cercare di riassumere de nitivamente il signi cato della combinatoria lulliana in
Bruno. È ormai evidente, del resto, che la combinatoria di Lullo non ha alcuna
funzione teorica all’interno della loso a di Giordano Bruno, ma è soprattutto una
strumentazione di tipo tecnico. Egli la utilizza per gestire in modo dinamico e creativo
termini, argomenti e immagini mnemoniche; considera semplicemente le gurae di
Lullo, come le scale, le tabulae e le ruote, come formule ‘gra che’ per operazioni
combinatorie. Le applica – come facevano altri dialettici e mnemonisti – al linguaggio,
con la particolarità che egli ritiene che la visualità fantastica sia integralmente parte
della sfera semantica e linguistica.
T
uttavia, questa premessa non impedisce che Bruno conferisca un forte valore
teorico al suo uso della combinatoria e, soprattutto, che gli esiti e l’impatto
della combinatoria di Lullo sulla dialettica e sulla mnemotecnica di Bruno
siano molteplici. Si torni quindi a d esaminare il rapporto tra l’architettura dei luoghi e
la struttura logica dei dati conservati. Questa caratteristica è fondamentale per la
mnemotecnica rinascimentale, ancor più secondo la prospettiva di Bruno, che la
considera la principale innovazione da lui scoperta. Non è quindi senza motivo se,
proprio all'inizio dell’Ars memoriae, Bruno illustri uno degli aspetti più problematici del
ricordare per mezzo di luoghi ed immagini:
Un errore nel modo di stabilire tale connessione [tra luoghi e immagini] produce
il difetto per cui quanti fanno uso dell’arte non riescono a ricordare un’immagine
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più volte collocata. Ma gli autori che ci hanno preceduto non sembrano aver
considerato la cosa sotto questo aspetto.14
Così, Bruno rivela subito il punto centrale:
Ma poiché ci è stato concesso di scoprire e perfezionare quella tecnica, non
abbiamo avuto più bisogno di luoghi materiali – vale a dire, di luoghi che siano
stati veri cati dai sensi esterni – né abbiamo dovuto connettere l’ordine dei
concetti da memorizzare all’ordine dei luoghi; af dandoci invece al puro
architetto della fantasia, abbiamo fatto dipendere l’ordine dei luoghi dall’ordine
delle cose da ricordare.15
Bruno ha appena sottolineato ciò che i mnemonisti facevano tradizionalmente: prima
visualizzavano un sistema di luoghi e poi vi inserivano delle immagini. Non pensavano
ai luoghi come speci camente ordinati per quelle immagini, piuttosto sceglievano
semplicemente un luogo che per loro era abituale, come una cattedrale o un palazzo
che conoscevano bene. Era la familiarità con questo luogo ad assicurare la propria
memoria, tuttavia tutti i loci, al loro interno, non avevano nulla a che fare con l’ordine
delle immagini in essi collocate: rappresentavano solo una sequenza grezza di
posizioni. Pertanto, egli suggerisce di cambiare radicalmente questo paradigma: se si
vuole che tutte le immagini siano un intero e vero ‘segno’ mnemonico, allora si devono
modellare anche le immagini e i luoghi, in modo che entrambi siano in accordo con
l’intero dato mnemonico. Infatti, come ogni immagine deve rappresentare un dato
speci co, allo stesso modo il sistema dei luoghi deve rappresentare il sistema dei dati.
In altre parole, la loro struttura logica deve essere tradotta nella struttura dei loci. Ecco
perché un mnemonista ‘bruniano’ deve usare la combinatoria lulliana: essa può
conferire ordine ai luoghi e alle immagini, meglio di quanto possa fare qualsiasi altro
strumento dialettico o mnemonico. La combinatoria ha le sue formule, ha regole forti
per comporre e combinare le ‘cose’: ha struttura e dinamismo, come è stato detto.
14De umbris idearum, cit., pp. 140-141: «Ex adnexionis defectu accidit in rmitas illa, qua utentibus arte multoties
collocata species non occurrit; non tamen ex hoc capite rem ipsam perpendisse videntur praedecessores nostri».
15Ibid.: «Nobis autem cum datum est illam invenisse et / perfecisse, nec locis materialibus – veri catis scilicet per
sensus exteriores – ultra non indiguimus, nec ordini locorum memorandorum ordinem adstrinximus, sed puro
phantasiae architecto innixi, ordini rerum memorandarum locorum ordinem adligavimus».
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opo aver analizzato gli esiti tecnico-teorici della combinatoria bruniana, è
utile leggere rapidamente anche come egli intenda realmente le ‘strutture’
logiche, poiché dovendo esse rispecchiare la natura, non possono avere
alcuna gerarchia. Di conseguenza, devono formare un’intera rete sistematica di
relazioni logiche e semantiche, proprio come un corpo vivente, o meglio ancora, come
l’intero corpo vivente universale. In effetti, questo parallelismo tra il mondo della
logica e il mondo naturale è così stretto da costituire il nucleo fondamentale e teorico
della stessa dialettica di Bruno:
Quando muovendo da una pluralità confusa sarai capace di accedere ad una
unità distinta, allora veramente scoprirai e sperimenterai di aver concluso
l’itinerario da noi descritto. Ma questo non signi ca certo gon are a dismisura gli
universali logici, i quali muovendo dalle specie in me, e tuttavia ben distinte,
permettono di conoscere in modo confuso le specie intermedie e mediante queste
afferrano in modo ancor più confuso le specie supreme; signi ca, invece,
costituirsi una totalità unica e armoniosamente formata quasi muovendo da parti
informi e molteplici. La mano congiunta al braccio, il piede alla caviglia e
l’occhio alla fronte, una volta posti insieme, hanno la capacità di essere conosciuti
in modo più chiaro di quando sono posti separatamente l’uno dall’altro; allo
stesso modo, poiché nessuna delle parti e con gurazioni dell’universo è posta
separatamente e fuori dall’ordine – che nella prima mente è semplicissimo,
perfettissimo e indipendente dal numero –, se costituiremo i nostri concetti
congiungendo l’una con l’altra le diverse parti e unendole secondo ragione, cos’è
che non potremo intendere, ricordare e fare?16
16 Cfr. ivi, cit., pp. 100-101: «Talem quidem progressum tunc te vere facere comperies et experieris, cum a
confusa pluralitate ad distinctam unitatem per te at accessio. Id enim non est universalia logica con are, quae
ex distinctis in mis speciebus confusas medias exque iis confusiores supraemas captant, sed quasi ex informibus
partibus et pluribus formatum totum et unum aptare sibi. Sicut manus brachio iuncta pesque cruri et oculus
fronti, cum sunt composita, maiorem subeunt cognoscibilitatem quam posita seorsum, ita, cum de partibus et
universi speciebus nil sit seorsum positum et exemptum ab ordine – qui simplicissimus, perfectissimus et citra
numerum est in prima mente –, si alias aliis connectendo et pro ratione uniendo concipimus, quid est quod non
possimus intelligere, memorari et agere?»
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2) Nel cercare di trarre alcune conclusioni di carattere più loso co, è necessario
mostrare come, nella loso a di Bruno, il pensiero interiore possa essere
considerato come una commistione di razionalità e irrazionalità. Pensare per
immagini, infatti, signi ca perseguire concetti e intuizioni in una sfera
‘tridimensionale’, un microcosmo virtuale, dove il passato e il presente, la realtà esterna
e quella interna, sono collegati attraverso visioni fantastiche. Del resto pensare senza
immagini è assolutamente impossibile, perché tutti i pensieri, anche i più astratti, sono
necessariamente legati a esperienze percettive. Nessuna idea è collegata alla verità
meta sica. Sono tutte «ombre di idee», perché hanno sempre bisogno della realtà per
essere messe in piedi. Pertanto, solo le immagini mediano tra le cose e i concetti;
inoltre, ne abbiamo bisogno anche per gestire i contenuti intellettuali. Come si è letto
in precedenza, gli universalia logici sono «confusi», perché sono contenitori vuoti e non
legati veramente alla realtà. Al contrario, le idee devono essere considerate come
«classi», cioè insiemi di insiemi subordinati o di membri. Infatti, quanto più un
concetto è generale, tanto più ampia è la rete di riferimenti che ha con altri concetti
correlati. Così, ogni pensiero è concepito da Bruno come un «oggetto intellettuale
versatile» all'interno di una rete «aperta», costituita cioè da tutte le sue possibili
relazioni concettuali. In particolare, ogni idea generale è un ‘aggregato’ di
rappresentazioni mentali simili, che a loro volta derivano dall’esperienza. Un concetto
quindi non è mai chiuso in sé, ma è costantemente regolabile a seconda della quantità
e della qualità delle sue relazioni concettuali sia con altri concetti che con le esperienze.
In virtù di questo nucleo teorico, Bruno preferisce la combinatoria di Lullo alla logica
tradizionale, poiché permette di gestire i concetti come punti geometrici e di generare
argomenti, come se fossero gure geometriche all'interno dello spazio linguistico. In
altre parole: 1) il mondo logico/linguistico deve essere inserito in un quadro
strutturato; 2) ogni punto di questo quadro deve essere collegato agli altri; 3) abbiamo
bisogno di formule logiche dinamiche per muoverci all'interno di questo quadro e
generare signi cati. (Tra l'altro, queste sono le stesse condizioni teoriche che Pierre de
la Ramée assegna alle sue tre aureae regulae sul metodo).
A
ssumendo questa prospettiva teorica è possibile osservare un’ulteriore
caratteristica derivante dal background gnoseologico di Bruno. Il pensiero per
immagini presuppone la formazione di rappresentazioni fantastiche in modo
‘bidirezionale’: in primo luogo, quando riceviamo le percezioni; in secondo ordine,
quando utilizziamo i concetti. In entrambi i casi, astraendo o ri ettendo, diamo forma
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ai ‘contenuti’ (species o intentiones) per mezzo di immagini fantastiche (phantasmata). In
questo modo, i concetti assumono una forma corporea, ‘impressionano’ la fantasia
come le forme si imprimono nella materia, mentre un soggetto intellettuale, cosciente e
inde nito (l’intera anima universale che agisce in ogni singolo ente) svolge il ruolo di
creatore. In effetti, Bruno considera il pensiero come un atto di creazione, come si
evince da questo brano che stabilisce la proporzione tra creatività umana, natura e
meta sica:
In questo trattato [cioè il De imaginum compositione] noi abbiamo stabilito un
metodo che non concerne le cose, ma tutto quanto è in grado di signi care le
cose e nel quale è racchiusa la virtù di produrre tutte le cose, come potranno
scoprire senza dif coltà quanti presteranno anche super cialmente attenzione ai
caratteri e alla voce della natura, che da ogni luogo leva la propria voce e disegna
le specie delle cose, dal momento che non la materia, ma l’idea e la forma
sembrano determinanti nello speci care la cosa da produrre. In quel principio
infatti tutte le cose convengono e sono uno; in questo e attraverso questo invece
tutte le cose si distribuiscono secondo generi, specie e in ne individui
numericamente distinti.17
L'arte della memoria, come dice Bruno, è un metodo (methodus), cioè una tecnica
disciplinata. Tuttavia, essa affonda le sue radici nel primo principio naturale, «la virtù
di produrre tutte le cose» (virtutem rerum omnium producendarum). Questa non è la materia,
bensì la forma, cioè l’anima universale (anima mundi), perché genera in atto tutte le
forme di tutte le cose possibili e le suscita dalla materia nella quale sono custodite in
potenza. Quindi, così come dobbiamo considerare la fantasia stessa come la ‘materia’
del nostro pensare, allo stesso modo scopriamo che la creatività interiore (l’azione della
facoltà inventiva/memorativa) corrisponde alla creatività universale. Pertanto,
l’obiettivo nale di Bruno è di farci capire che la nostra immaginazione può
comportarsi come la forma universale all’interno della materia naturale, producendo
ogni segno mnemonico da qualsiasi sistema di immagini, mescolando i simboli e
generando così nuovi signi cati.
17 Cfr. De imaginum compositione, cit., pp. 494-495: «Nos in proposito haudquaquam de rebus, sed de rerum
signi cativis methodum instituimus, in quibus sane virtutem rerum omnium producendarum sitam esse facile
comperietur iis, qui vel mediocriter naturae undique conclamantis et rerum species describentis vocem atque
characteres contemplabuntur. Quandoquidem non tantum ad rei producendae speci cationem materia conferre
videtur, quantum idea atque forma. In eo enim principio omnia conveniunt unumque sunt, in hoc vero atque per
hoc omnia per genera atque species suosque tandem numeros distribuuntur».
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3) Il forte parallelismo tra l’inventività umana (facultas inventiva) e la creazione
naturale è descritto anche all'inizio dell’Ars memoriae, quando Bruno indaga sul
rapporto tra arte e natura, sovvertendo il paradigma aristotelico. Infatti, non è la
natura a essere artifex, ma tutti gli arte ci ad essere pienamente ‘natura’, esseri umani
compresi:
Ma una facoltà del genere, mi domando, da dove si comunica all’arte? Muovendo
– senza dubbio – da ciò in cui vige l’ingegno. A chi appartiene, propriamente,
l’ingegno? All’uomo. E da che cosa trae la sua prima origine l’uomo con tutte le
facoltà che gli sono proprie? Certo dalla natura che lo genera. Se vuoi
considerare la cosa n dalla sua scaturigine e trapiantare quest’albero svellendolo
n dalle sue radici, inchinati dunque al culto e all’agnizione della natura. Lo
farai, certamente, quando presterai attenzione al principio che ci chiama, ci
esorta a gran voce e ci illumina nell’intimo.18
L'attenzione si concentra, ancora una volta, sul principium, che «che ci esorta» e «ci
illumina» dalla super cie della realtà no alla sua stessa e più intima profondità. Esso
costituisce la potenza attiva e creativa dell'unica sostanza universale, cioè l’anima mundi
(mentre la sua controparte passiva è la materia assoluta). Bruno intende dimostrare che
se consideriamo l’intelligenza umana come una potenza attiva e creativa, essa deve
necessariamente appartenere alla potenza attiva e creativa sostanziale della natura
umana, cioè alla natura stessa. Si tratta di un terreno molto pericoloso: la critica ha
spesso notato come queste pagine, così come le altre simili del De la causa, dello Spaccio
de la bestia trionfante o della Cabala del cavallo Pegaseo, possano segnare il punto più vicino
all’averroismo rinascimentale. In effetti, Bruno afferma che la creatività intellettuale
umana è parte di una creatività universale, quindi presume un tipo di intelletto
universale o qualcosa di simile. Inoltre, nel De la causa ha considera come la parte attiva
della sostanza universale possa essere una sorta di ‘intelligenza’:
18 Cfr. De umbris idearum, cit., pp. 128-129: «Sed unde, inquam, haec arti facultas? Inde nimirum ubi viget
ingenium. Ingenium cuius est proxime? Hominis. Homo vero cum suis facultatibus omnibus unde emanavit
primo? A natura sane parturiente. Ergo si rem ab exordio intueberis et ab ipsa radice hanc arborem
transplantandam velis evellere, ad naturae cultum atque recognitionem inclinator. Id sane praestabis cum
vociferanti clamantique principio intimiusque nos illustranti animum intenderis».
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20 Ivi, p. 117.
21 Cfr. De umbris idearum, cit., pp. 130-131: «Cum igitur omne possibile natura praestet, sive ante
naturalia, sive in naturalibus, sive per naturalia, ita intelligas a naturalibus omnibus actionem pro cisci,
ut naturam per eadem agere non ignores».
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stessa crea attraverso di noi. Si può dunque chiudere questo ragionamento mostrando
come l’arte della memoria possa fornirci l’esperienza concreta di questa fondamentale
affermazione teorica.
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4) L’ultimo passaggio si concentra dunque su questa importante connessione tra la
sfera intellettuale e la nozione meta sica di anima del mondo. Non si tratta
propriamente di un’unione mistica, piuttosto, e in questo frangente, di
un’acquisizione metodologica e loso ca. Se, pertanto, si comprende realmente e
profondamente come è la realtà, come è strutturata la sostanza universale e come il
principio formale si unisce alla materia, si è in grado di conoscere il giusto ruolo svolto
dagli esseri umani come parte integrante di una natura universale e in nita. Ciò è
dovuto, come è stato mostrato, all’identità sostanziale di anima personale e anima del
mondo – come una sorta di ‘averroismo sico’ – che non ha esiti teologici, ma limita
completamente la condizione umana al suo orizzonte naturale, conoscenza e pensiero
compresi. Così – all'inizio della seconda parte del Sigillus sigillorum – considerando «i
quattro princìpi interni che reggono gli atti»22, cioè l’amore, l’arte, la magia e la
matematica, Bruno afferma che «l’arte opera dunque in modo perfetto allorché si
congiunge alla natura agente»23; in altre parole e ancora più esplicitamente:
Per acquisire un’arte assoluta e perfetta ti devi dunque congiungere all’anima del
mondo e operare in unione con quest’anima, la quale piena di princìpi razionali
per naturale fecondità genera un mondo ugualmente pieno di princìpi razionali.
E questi princìpi razionali – come pensa anche Plotino – racchiusi in semi
plasmano e formano le universe cose a guisa di microcosmi. Poiché dunque
l’anima è ovunque presente, e quella è tutta in tutto e tutta in qualsiasi parte,
allora secondo la condizione della materia potrai vedere in qualsiasi cosa – pur
piccola ed esigua – un mondo, e non semplicemente un simulacro del mondo, di
22 Sigillus sigillorum, OMN II, pp. 256-257: «Videto primum quatuor internos actuum rectores».
23 Ivi, p. 258: «perfecte agit ars, cum naturae agenti connectitur».
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modo che non senza ragione possiamo affermare con Anassagora ‘tutto in
tutto’.24
Il nucleo della ri essione teorica di Bruno non è quindi l’unione tra uomo e natura, ma
suggerisce di indagare la connessione tra principio formale e principio materiale
all'interno della natura, per capire che noi siamo già connessi alla natura. Infatti,
ricordando Plotino, dice che l’anima del mondo riempie la natura di «principi
razionali» e questi principi sono i semi con cui l’anima mundi modella tutte le singole
cose. Questa è già l’ontologia del De la causa, ossia Bruno si riferisce all’intelletto
universale, alla «facoltà» e potenza attiva dell’anima del mondo.
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5) In conclusione, per riassumere schematicamente quanto esposto, si può
considerare che:
c) Bruno forza una tecnica tradizionale e ben nota all’interno della propria cornice
ideologica: perché lo ha fatto? Si è cercato di dare due risposte:
24 Ivi, pp. 258-260: «Ut igitur absolutam consummatamque artem adipiscare, animae mundi te
copulari cumque ipsa copulatum agere oportet, quae naturali foecunditate rationibus plena mundum
rationibus similibus plenum generat. Quae quidem rationes – ut et sentit Plotinus – in seminibus
ngunt formantque universa quasi exiguos mundos. Unde cum anima ubique praesens existat, illaque
tota et in toto et in quacumque parte tota, ideo pro conditione materiae in quacumque re etiam exigua
et abscisa mundum, nedum mundi simulacrum valeas intueri, ut non temere omnia in omnibus dicere
cum Anaxagora possimus».
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C.1. In primo luogo, egli sapeva che l’arte di Lullo era un linguaggio comune tra gli
studiosi non allineati, soprattutto quelli che ri utavano la Scolastica aristotelica
guardando al neoplatonismo ciniano. La prima ragione è quindi l’af nità
ideologica.
C.2. La seconda ragione è del tutto teorica. Bruno sviluppò una prospettiva
loso ca nuova e radicale: la natura universale e in nita è l’unico essere esistente,
mentre tutti gli altri esseri sono ‘parte’ di essa. Non sono sostanze, ma piuttosto
accidenti dell’unica sostanza. La natura ha un corpo in nito – la materia – e
un’anima onnipervasiva (la forma). Quest’ultima è proprio come l’anima personale
aristotelica: fa ‘vivere’ la natura (anima vegetativa), poiché tutto cambia senza sosta; fa
‘sentire’ la natura (anima sensitiva), poiché tutto è connesso a tutto; fa ‘pensare’ la
natura (anima intellettiva), poiché genera tutto attraverso in niti singoli atti di
produzione. Ovviamente questa potenza non è antropomorfa, ma è un principio
unico e universale comune a ogni attore operante, esseri umani compresi. Pertanto,
questa peculiare prospettiva loso ca necessita di una speciale struttura teorica, che
si diffonde su ogni ambito culturale. Così, dalla logica e dalla teoria della
conoscenza, alla retorica e alla dialettica, passando per la matematica, la
mnemotecnica, persino l’arte magica: tutti devono essere inquadrati in questa teoria
universale. Di conseguenza, possiamo dire che Bruno ha trovato nella combinatoria
derivata di Lullo una sorta di linguaggio primario per gestire questa egemonia
teorica, grazie alla sua speci ca versatilità combinatoria e alla sua neutralità
dialettica.
Marco Matteoli
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BREVE BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
Si vedano anche:
P. ROSSI, Clavis universalis: arti della memoria e logica combinatoria da Lullo a Leibniz, Milano-
Napoli 1960.
R. STURLESE, Dio, Universo, uomo. Studi e ricerche su Giordano Bruno, Pisa 2020.
N. TIRINNANZI, ‘Umbra naturae’. L’immaginazione da Ficino a Bruno, Roma 2000.
N. TIRINNANZI, L’antro del losofo. Studi su Giordano Bruno, a cura di E. Scapparone,
Roma 2013.
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Figura 1
Figura 2
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Figura 3
Figura 4
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Figura 5
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