Progetto Carg: Pistoia
Progetto Carg: Pistoia
Progetto Carg: Pistoia
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Organo Cartografico dello Stato (legge n°68 del 2.2.1960)
NOTE ILLUSTRATIVE ET
della
CARTA GEOLOGICA D’ITALIA
alla scala 1:50.000
G
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foglio 262 G
PISTOIA
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A cura di
A. Puccinelli(1), G. D’Amato Avanzi(1), N. Perilli(1) , M.
Verani1)
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Responsabile del Progetto CARG per l’Università di Pisa -
Dipartimento di Scienze della Terra: R. Nardi
Coordinamento cartografico:
D. Tacchia (coord.), F. Pilato
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Revisione informatizzazione dei dati geologici:
L. Battaglini, V. Campo, M. Rossi (ASC)
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V. Vatovec, F. Pilato
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PER L’UNIVERSITÀ DI PISA – DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
I - INTRODUZIONE ..................................................................Pag. 7
II - CENNI STORICI.......................................................................» 13
1. - CARATTERISTICHE LITOSTRATIGRAFICHE
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DELL’UNITÀ TETTONICA MORELLO..................................» 14
2. - SUCCESSIONI LACUNOSE E CONDENSATE E
VARIAZIONI DI FACIES NELLE SUCCESSIONI
MESOZOICHEDELL’UNITÀ TETTONICA DELLA FALDA
TOSCANA A NORD DELL’ARNO ..........................................» 17
ET
3. - NATURA ED ETÀ DEI DEPOSITI INTERPOSTI TRA LE
SUCCESSIONI SILICOCLASTICHE OLIGO-MIOCENICHE DEL
MACIGNO E DELLE ARENARIE DI MONTE MODINO ......» 20
4. - CARATTERI LITOSTRATIGRAFICI ED ESTENSIONE
DELL’UNITÀ TETTONICA CERVAROLA.............................» 25
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5. - I DEPOSITI PLIO-PLEISTOCENICI AFFIORANTI
NELL’AREA DI LUCCA-MONTECARLO-VINCI..................» 27
5.1. - ETÀ DEI SEDIMENTI BASALI DEL I CICLO LACUSTRE AUCTT. E DEI
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2.1. - UNITÀ TETTONICA DELLA FALDA TOSCANA .................................» 52
2.1.1. - Calcare massiccio (MAS)............................................................» 53
2.1.2. - Calcari ad Angulati (ANL)..........................................................» 54
2.1.3. - Rosso ammonitico (RSA).............................................................» 55
2.1.4. - Calcare selcifero di Limano (LIM) .............................................»
ET 56
2.1.5. - Calcari e marne a Posidonia (POD) ...........................................» 57
2.1.6. - Calcare selcifero della Val di Lima (SVL) ..................................» 59
2.1.7. - Diaspri (DSD)..............................................................................» 60
2.1.8. - Maiolica ( MAI) ..........................................................................» 61
2.1.9. - Scaglia toscana (STO).................................................................» 61
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2.1.10. - Macigno (MAC) ..........................................................................» 63
2.1.11. - Olistostroma di Monte Modino (OMM) ......................................» 65
2.1.12. - Marne di Marmoreto (MMA)......................................................» 66
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1. - STUDIO STRUTTURALE.........................................................» 85
1.1. - PRINCIPALI MACROSTRUTTURE .....................................................» 86
2. - UNITÀ TETTONICA MORELLO.............................................» 88
3. - UNITÀ TETTONICA DELLA FALDA TOSCANA.................» 92
ET
4. - UNITÀ TETTONICA CERVAROLA........................................» 98
5. - TETTONICA FRAGILE ............................................................» 104
VI - CENNI MORFOLOGICI.........................................................» 107
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VII - GEOLOGIA APPLICATA ......................................................» 113
1. - ATTIVITÀ ESTRATTIVE........................................................» 113
2. - FRANE E DEFORMAZIONI GRAVITATIVE PROFONDE
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4.3. - ALGHE CALCAREE ........................................................................» 139
4.4. - INVERTEBRATI .............................................................................» 139
4.5. - MAMMIFERI .................................................................................» 139
BIBLIOGRAFIA.. ..................................................................................» 141
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I - INTRODUZIONE
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Villa di Baggio, Cireglio.
La zona è attraversata da una diffusa viabilità, anche se spesso insufficiente
a contenere l’intenso traffico, tra cui l’Autostrada A11 che collega Firenze a
Pistoia, Lucca, Pisa e alla costa tirrenica, la statale 435 che collega Pescia a
Montecatini Terme e Pistoia, la Statale 633 che collega Montecatini Terme alla
ET
montagna pistoiese, la statale 436 che collega la Val di Nievole a Fucecchio-
Empoli, la statale 64 che collega Pistoia a Bologna, la statale 66 che collega
Pistoia all’Abetone-Modena verso nord e a Prato-Firenze verso sud-est. Le due
linee ferroviarie presenti nell’area del Foglio, insufficienti alle moderne
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esigenze del traffico su rotaia, collegano Firenze a Lucca (via Pistoia,
Montecatini Terme e Pescia) e Pistoia a Bologna (via Porretta Terme) attraverso
l’Appennino Tosco-Emiliano.
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Lucca e 106 Firenze della Carta Geologica d’Italia in scala 1:100.000 (SERVIZIO
GEOLOGICO D’ITALIA, varie date), la Carta geologica e geomorfologica con
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indicazioni di stabilità della provincia di Pistoia alla scala 1:25.000 (NARDI et
alii, 1981), la Carta geologica dell’Appennino Settentrionale tra Pistoia e la Val
di Lima alla scala 1:25.000 (DALLAN et alii, 1981), lo stralcio cartografico dei
nuclei mesozoici di Monsummano Terme, Montecatini Terme e Marliana (Prov.
di Pistoia) (FAZZUOLI & MAESTRELLI MANETTI, 1973), la Carta geologica alla
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Cerbaie e limitatamente nella pianura di Firenze-Prato-Pistoia tra Quarrata e
Casalguidi.
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rispettando il criterio della priorità. In particolare, la definizione, la descrizione
ed il rilevamento delle formazioni del Giurassico, del Cretacico e del Paleogene,
già note in letteratura, non hanno presentato difficoltà di rilievo ad eccezione
della Scaglia toscana (Unità tettonica della Falda Toscana) e della Formazione
di Sillano (Unità tettonica Morello).
ET
Alla Scaglia toscana sono state attribuite le successioni sedimentarie
sovrastanti la successione calcareo-diasprina mesozoica (Calcare Selcifero della
Val di Lima, Diaspri e Maiolica nelle poche località dove quest’ultima affiora) e
sottostanti il Macigno. L’obbligo di procedere secondo questo criterio deriva dal
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fatto che le litofacies descritte in altre aree dell’Appennino Settentrionale (che
alcuni Autori hanno elevato anche al rango di formazioni) non sono
cartografabili a causa del loro spessore ridotto, della loro limitata continuità
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delle facies e dei litotipi, frammentazione dei corpi geologici per motivi
deposizionali o erosivi, percentuali d’affioramento assai basse, estese e fitte
coperture boschive, aree intensamente coltivate o antropizzate, che non
permettono d’individuare o ricostruire con adeguata attendibilità le superfici di
discontinuità; ET
- l’opportunità di mantenere una certa continuità, nonché denominazioni e
distinzioni litostratigrafiche, di significato tradizionale e talvolta di valore
storico non comune, utilizzate sia in quest’area che in Fogli contigui (carte
geologiche ormai storiche, edizioni precedenti della Carta Geologica d’Italia).
G
Comunque, nel corso del rilevamento delle successioni plio-pleistoceniche,
particolare attenzione è stata posta ai rapporti latero-verticali tra le formazioni,
alla loro correlazione ed alla valutazione dei loro spessori. In particolare esiste
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II - CENNI STORICI
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Nell’area del Foglio si sono alternati numerosi studiosi che, già a partire
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1.- CARATTERISTICHE LITOSTRATIGRAFICHE DELL’UNITÀ
TETTONICA MORELLO
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Fig. 2 - Stratigrafia dell’Unità Morello in varie zone della Toscana (da ABBATE & SAGRI, 1970 e
BOCCALETTI et alii, 1987).
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da Argille a palombini, Formazione di Sillano, Formazione di Villa a Radda,
Argille Varicolori, Formazione di Monte Morello e Formazione di Pescina.
Gli studi sulle successioni argilloso-calcaree e calcareo-marnose affioranti
nella area rilevata ed attribuite all’Unità tettonica Morello non sono numerosi.
In particolare, erano stati distinti:
ET
- un complesso di base (BRANDI et alii, 1967) o complesso argillitico
(FAZZUOLI et alii, 1999) corrispondente alla Formazione di Sillano, ovvero alla
Formazione di Villa a Radda ed alla Formazione di Vallina di MERLA et alii
(1967) o alle Argille siltose e marne con intercalazioni di calcari, calcari
G
marnosi, arenarie e calcareniti di TREVISAN et alii (1971a);
- la Formazione dell’Alberese (BRANDI et alii, 1967; MERLA et alii, 1967)
o Formazione di Monte Morello (FAZZUOLI et alii, 1999) corrispondenti
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che, come a nord di Prato, contengono anche grandi masse ofiolitiche con lembi
delle loro coperture sedimentarie, riferibili alle Unità Liguri Interne.
La Formazione di Sillano e/o la Pietraforte a loro volta passano alla
Formazione di Monte Morello, costituita da torbiditi calcareo-marnose con
sporadiche intercalazioni di argilliti, calcareniti ed arenarie quarzoso-calcaree
dell’Eocene inferiore-medio. In alcune aree dell’Appenino Settentrionale la
Formazione di Monte Morello è sua volta ricoperta dalla Formazione di Pescina
(non affiorante nell’area rilevata), che è caratterizzata da una successione
argilloso-calcarea con calcari marnosi e marne calcaree simili alla Formazione
di Monte Morello.
Senza entrare nel merito delle diverse ipotesi, per la maggior parte degli
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Dosso, Farini d’Olmo, ecc.) affioranti nell’Appennino Emiliano (BETTELLI et
alii, 1989b; CATANZARITI et alii, 2002).
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Senese), l’alto di Gerfalco-Montemerano ed il bacino dei Monti del Chianti-M.
Cetona (ad est della Montagnola Senese).
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Fig. 3 - I principali settori isopici dell’Unità tettonica della Falda Toscana a nord dell’Arno (da
FAZZUOLI et alii, 1985, modificato).
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strutturale.
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elisioni tettoniche, sono state tuttavia riconosciute importanti lacune
stratigrafiche nella porzione giurassica e cretacico-terziaria dell’Unità tettonica
della Falda Toscana, testimoniate dalla diretta sovrapposizione stratigrafica dei
Diaspri sul Calcare selcifero di Limano e dalla presenza all’interno della Scaglia
Toscana di una estesa lacuna stratigrafica che si estende dal Cretacico superiore
ET
al Paleogene inferiore;
- in questo Foglio l’Unità tettonica della Falda Toscana è prevalentemente
rappresentata dal Macigno, dalle Arenarie di Monte Modino e dai depositi tra
loro interposti, mentre le formazioni mesozoiche (esposte nei nuclei mesozoici
G
di Montecatini Terme, Monsummano Terme e Marliana) sovrastanti il Calcare
Massiccio, affiorano con spessori ridotti e/o in maniera discontinua (Calcare
selcifero di Limano, Maiolica). Sebbene anche in questo Foglio sia stata
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BRUNI & PANDELI (1992), pur accettando l’origine sedimentaria di questi
depositi, pongono il limite formazionale tra il Macigno e le Arenarie di Monte
Modino circa 400-500 m al di sotto della base dell’Olistostroma di Monte
Modino. PERILLI (1992, 1994), escludendo l’esistenza di una serie di base di M.
Modino, conferma l’origine sedimentaria dell’Olistostroma di Monte Modino,
ET
costituito da successioni senza nessun ordine stratigrafico ed interposto tra il
Macigno, le Argilliti di Fiumalbo e le Marne di Marmoreto. L’Autore comunque
non esclude che: 1) anche l’insieme Argilliti di Fiumalbo-Marne di Marmoreto
possa essersi deposto sulla scarpata tettonicamente attiva e che si sia
G
successivamente messo in posto (in parte o come insieme) come slumps e/o
slides sull’Olistostroma di Monte Modino; 2) tutta la successione (Argilliti di
Fiumalbo, Marne di Marmoreto e Arenarie di Monte Modino), sedimentatasi in
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Sulla base dei risultati ottenuti con nannofossili calcarei, la parte alta del
Macigno viene attribuita all’Oligocene superiore-Miocene basale da
CATANZARITI et alii (1991), da COSTA et alii (1992), da CATANZARITI et alii
(1997) e da PLESI et alii (1998); le Argilliti di Fiumalbo all’Eocene medio-
Oligocene inferiore da CATANZARITI et alii (1991) e PLESI et alii (1998, 2000);
ET
le Marne di Marmoreto all’Oligocene superiore e le Arenarie di Monte Modino
all’Oligocene sommitale-Miocene inferiore da CATANZARITI et alii (1991) e da
PLESI et alii (1998, 2000).
Questi Autori concordano quindi nell’attribuire la porzione superiore del
G
Macigno all’Oligocene sommitale-Miocene basale e l’insieme Argilliti di
Fiumalbo-Marne di Marmoreto-Arenarie di Monte Modino (in continuità di
sedimentazione) all’Eocene medio-Miocene inferiore; essi considerano inoltre
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l’Unità tettonica della Falda Toscana (la cui formazione più recente è
rappresentata dal Macigno o dalle Marne di Ponteccio) e l’Unità tettonica
G
Modino (i cui termini basali sono rappresentati dal complesso o Mélange basale)
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presenti note illustrative riconoscono nell’Olistostroma di Monte Modino più
litofacies (argillitico-calcarea, pelitico-arenacea, calcareo-marnosa clastica e
calcareo-pelitica) messe in posto come debris flow, slumps o slides, sia al
disotto che intercalate alle Argilliti di Fiumalbo o alle Marne di Marmoreto
(vedi Note illustrative del Foglio 250 Castelnuovo di Garfagnana, PUCCINELLI et
ET
alii, in stampa).
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Fig. 4 - Litostratigrafia dei depositi sommitali dell’Unità tettonica della Falda Toscana
nell’Appennino Tosco-Emiliano.
Per CHICCHI & PLESI (1995), PLESI et alii (1998, 2000) e MOCHI et alii
(1996), invece, all’interno dei depositi sottostanti le Argilliti di Fiumalbo e/o le
Marne di Marmoreto (Mélange delle Tagliole di PLESI, 2002) si possono
distinguere unità stratigrafiche ad affinità ligure (p. es. Argille variegate, Flysch
dell’Abetina Reale) ed unità ad affinità subligure (p.es. Argille e calcari di Ponte
Biola, Calcari del Rio Collagna e Calcari del Giardino). Queste unità
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discontinuità degli affioramenti e della limitata continuità laterale delle
formazioni, dei membri e delle litofacies. Inoltre la scarsa visibilità dei passaggi
stratigrafici, la presenza di estese coperture e l’intensa tettonizzazione, che
frequentemente caratterizzano queste successioni, in particolare quelle pelitiche,
rendono spesso difficile correlare tra loro successioni litologiche abbastanza
ET
monotone (come peliti emipelagiche o torbiditi silicoclastiche bacinali) ed
attribuirle con certezza all’Unità tettonica Cervarola. Queste difficoltà di
riconoscimento e di definizione, a scala regionale, delle successioni riferibili
all’Unità tettonica Cervarola hanno portato ad una proliferazione di nomi
G
formazionali ed unità litostratigrafiche.
Di seguito, sulla base della letteratura, viene proposta una breve descrizione
delle formazioni attribuite a quest’unità tettonica, mentre nella tab. 1 è riportata
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una sintesi delle unità litostratigrafiche distinte al suo interno dai diversi Autori
e delle aree in cui esse affiorano. Sebbene alcuni Autori suggeriscano di
G
attribuire alla successione del Monte Cervarola il rango di gruppo ed elevare al
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Serpiano, stratigraficamente ricoperta dalle Arenarie di Monte Cervarola.
Le Arenarie di Monte Cervarola, affioranti nell’Appennino Tosco-Emiliano
tra la finestra di Bobbio (PC) e il Mugello (FI), sono state descritte da CHICCHI
& PLESI (1991a, 1991b, 1992, 1995), ANDREOZZI (1992), MUTTI (1992),
ANDREOZZI & DI GIULIO (1994), ANDREOZZI et alii (1996), PLESI et alii (1998,
ET
2000) e BOTTI et alii (2002). All’interno di questa formazione sono stati distinti
più membri o sistemi deposizionali, che non è sempre facile o possibile
correlare tra loro. Comunque, il Membro del T. Dardagna distinto da BOTTI et
alii (2002) è correlabile con il Membro degli Amorotti di PLESI et alii (1998) e
G
il Membro del Rio Muschioso di CHICCHI & PLESI (1995), ovvero con il sistema
di Torre degli Amorotti di ANDREOZZI et alii (1996). Nell’Appennino Modenese
all’interno delle Arenarie di Monte Cervarola sono stati distinti inoltre il
O
Membro del T. Felllicarolo, il Membro del Rio Carnale ed il Membro del Rio
Lezza (BOTTI, 2003). G
Naturalmente nell’Appennino Settentrionale non sempre affiorano tutte le
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meridionale dell’Unità tettonica Cervarola in corrispondenza degli affioramenti
più meridionali delle Marne di Vicchio, situati nel Mugello (PLESI et alii, 2002,
cum bibl. ).
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affiorano successioni sedimentarie prevalentemente continentali, mentre in
quella centrale e meridionale sono presenti anche successioni paraliche e
marine. I lavori in cui vengono per la prima volta descritte queste successioni ed
individuati i principali elementi tettonici dell’area sono quelli di GHELARDONI et
alii (1968) e TREVISAN et alii (1971a).
ET
GHELARDONI et alii (1968), sulla base di dati stratigrafici e strutturali
provenienti da sondaggi profondi e dall’interpretazione di linee sismiche sino a
qualche chilometro di profondità, ricostruiscono in modo abbastanza esauriente
la natura e la geometria del substrato su cui poggiano gli oltre 500 m di
G
sedimenti neogenici, rappresentati da più di 20 m di sedimenti lacustri del
Miocene superiore e da quasi 500 m di sedimenti marini del Pliocene. Secondo
questi Autori, nell’area di Cerreto Guidi questa successione raggiungerebbe i
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2000 m di spessore.
TREVISAN et alii (1971a), Autori della carta geologica del Foglio Lucca
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(scala 1:100.000) e delle relative note illustrative, distinguono un ciclo
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Fig. 6 - Carta geologica schematica della Toscana nord-occidentale (da PUCCINELLI, 1992).
1) Depositi alluvionali; 2) Sabbie di Vicarello (Pleistocene sup.); 3) Ghiaie del Serchio (Würm II);
4) Depositi lacustri e fluvio-lacustri del II ciclo (Pleistocene medio); 5) Conglomerati e sabbie delle
Cerbaie (Pleistocene medio); 6) Conglomerati di Montecarlo e depositi fluviali antichi della
Garfagnana (Pleistocene inf.-medio); 7) Argille di Marginone-Mastromarco (Villafranchiano
medio-sup.); 8) Depositi marini (a: Pliocene inf.-medio; b: Pleistocene inf.); 9) Substrato (a:
sedimenti neoautoctoni miocenici, Falda Toscana, Unità Liguri s.l.; b: unità metamorfiche delle
Alpi Apuane e del Monte Pisano); 10) Spartiacque appenninico.
30
5.1. - ETÀ DEI SEDIMENTI BASALI DEL I CICLO LACUSTRE AUCTT. E DEI DEPOSITI
FLUVIALI SOVRASTANTI
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TREVISAN et alii, 1971a), avevano permesso di attribuire i sedimenti del I ciclo
lacustre al Villafranchiano superiore. Successivamente questa età è stata messa
in discussione da DALLAN (1988), in seguito al ritrovamento di un metacarpo
appartenente alla specie Alephis lyrix in un sondaggio presso la Fornace di
Lappato (margine est del contiguo Foglio 261 Lucca). Sulla base di questo resto
ET
e della presenza di gasteropodi e molluschi dulciacquicoli nella parte superiore
della successione, DALLAN (1988) attribuiva questo ciclo sedimentario al
Rusciniano superiore-Villafranchiano superiore.
Successivamente, ZANCHETTA et alii (1994) e ZANCHETTA (1995) hanno
attribuito l’Unità di Massarella (correlabile con la Formazione di Marginone-
G
Mastromarco, corrispondente al I ciclo lacustre), affiorante lungo il margine
occidentale di Monte Albano e nella porzione meridionale delle Cerbaie, al
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disponibili dati biostratigrafici originali; le età attribuite a queste formazioni si
basano quindi essenzialmente su correlazioni litostratigrafiche con formazioni
coeve affioranti in aree limitrofe (vedi stratigrafia).
Attribuiti genericamente al Quaternario da TREVISAN et alii (1971a),
secondo DALLAN (1988) questi depositi sono successivi al Villafranchiano
ET
superiore (età delle argille lacustri sottostanti) e anteriori al Pleistocene medio,
ovvero ai depositi del ciclo Altopascio-Cerbaie, correlati con le successioni
(Conglomerati e sabbie di Casa di Poggio ai Lecci) affioranti in sinistra del F.
Arno e caratterizzati dalla presenza di tufiti cineritiche (SQUARCI & TAFFI,
G
1967), datate al Pleistocene medio (vedi ZANCHETTA, 1995, cum bibl.). Sulla
base di considerazioni stratigrafiche, ovvero di correlazioni tra i depositi fluviali
sovrastanti la Formazione di Marginone-Mastromarco ed i depositi Pleistocenici
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III - INQUADRAMENTO GEOLOGICO
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L’Appennino Settentrionale è una catena a falde di ricoprimento
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(fig. 7).
1. - UNITÀ TETTONICHE
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(Conglomerati di Montecarlo, Conglomerati delle Cerbaie) e, in un’area molto
limitata a sud di Lamporecchio, parte dei depositi marini del Pliocene inferiore-
medio (Sabbie di Sant’Ansano) appartenenti al bacino dell’Elsa.
ET
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oppure intercalati nelle sequenze torbiditiche calcareo-marnose (Argilliti di
Monte Veri, cfr. Complesso di Monte Veri MVE).
Nel Foglio 262 Pistoia l’Unità tettonica Ottone, affiorante sui rilievi ad est di
Montevettolini e segnalata qui per la prima volta, è rappresentata solo da lembi
disarticolati di torbiditi calcareo-marnose (Flysch di Ottone) e da successioni
ET
argilloso-calcaree scompaginate (debris flows e slumps), presumibilmente
riferibili, per la loro posizione stratigrafica, al membro delle Argilliti di Monte
Veri, intercalato all’interno del Flysch di Ottone. Purtroppo le cattive
esposizioni e la discontinuità dei limitati affioramenti impediscono di tracciare
con sicurezza i limiti stratigrafici e di descrivere dettagliatamente le successioni
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affioranti.
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Come già accennato, nel Foglio 262 l’Unità tettonica della Falda Toscana è
prevalentemente rappresentata dalle torbiditi silicoclastiche oligo-mioceniche
del Macigno e molto limitatamente dalla successione calcareo-siliceo-marnosa
del Giurassico inferiore-Cretacico inferiore e dalla sovrastante successione
pelitico-calcarea del Cretacico inferiore-Oligocene. La successione calcareo-
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siliceo-marnosa affiora, con estensione e spessori limitati, soprattutto a
Montecatini Terme, Monsummano Terme e Marliana.
Questa unità, che in altre aree dell’Appennino settentrionale (Val di Serchio
e Val di Lima) è più spessa e completa (vedi cenni storici), comprende
successioni sedimentarie non metamorfiche costituite da:
ET
- depositi di piattaforma carbonatica del Triassico superiore-Giurassico
inferiore (Calcare massiccio);
- depositi calcareo-siliceo-marnosi emipelagici e pelagici del Giurassico
inferiore-Cretacico inferiore (Calcari ad Angulati, Rosso ammonitico, Calcare
G
selcifero di Limano, Calcari e marne a Posidonia, Calcare selcifero della Val di
Lima, Diaspri e Maiolica);
- successioni pelitiche e pelitico-calcaree bacinali e di rampa del Cretacico
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calcareo-silicee);
- torbiditi arenacee e arenaceo-pelitiche (Macigno e Arenarie di Monte
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Modino).
2. - DOMINI PALEOGEOGRAFICI
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del margine meridionale della Tetide. Di seguito vengono descritti i principali
domini paleogeografici riconosciuti nell’Appennino Settentrionale (dall’interno
verso l’esterno) e l’evoluzione tettono-sedimentaria delle successioni in essi
deposte. Al fine di delineare un quadro sintetico e sufficientemente chiaro,
verranno descritti anche il Dominio Ligure Interno e quello Subligure, sebbene
ET
le successioni sedimentarie di loro pertinenza non affiorino in questo Foglio.
Bisogna sottolineare che, nonostante alcune differenze, la posizione
reciproca assegnata a questi domini è abbastanza coerente nelle ricostruzioni
paleogeografiche suggerite dai diversi Autori, ad eccezione delle unità
G
tettoniche Morello e Modino (vedi cenni storici). Le differenze esistenti tra le
diverse ricostruzioni paleogeografiche riguardano soprattutto il tipo di crosta su
cui le successioni sedimentarie attribuite a queste unità si sono deposte ed i
O
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all’Unità tettonica Morello è indicativa, anche perché non è ancora noto il tipo
di crosta (oceanica o continentale) su cui le successioni attribuite ad essa si sono
sedimentate. Comunque, nei pochi lavori in cui viene discussa la sua posizione
paleogeografica essa viene generalmente localizzata nei settori esterni del
Dominio Ligure Esterno (BORTOLOTTI, 1992).
ET
2.3. - DOMINIO SUBLIGURE
G
Sulla base delle relazioni geometriche esistenti tra l’Unità tettonica Canetolo
e le unità tettoniche sottostanti (Unità Toscane) e sovrastanti (Unità Liguri), la
maggior parte degli Autori localizza l’area di sedimentazione delle successioni
O
della Placca Adria, e alle fasi compressive che hanno portato alla chiusura della
Tetide ed alla migrazione del sistema catena-avanfossa, legate alla evoluzione
geodinamica dell’Appennino Settentrionale durante il Terziario.
In questo quadro paleogeografico, per alcuni Autori le successioni
silicoclastiche appartenenti all’Unità tettonica Cervarola rappresentano (almeno
per la parte più interna) l’espressione sedimentaria di un bacino tettonicamente
attivo (bacino di thrust-top) posto sul fronte in compressione della paleocatena,
in avanzamento verso i quadranti orientali (MARTINI & PLESI, 1988; CHICCHI &
PLESI, 1992; LABAUME, 1992; COSTA et alii, 1998; PLESI, 2002). Altri Autori
invece attribuiscono le successioni torbiditiche dell’Unità tettonica Cervarola ai
depositi dell’avanfossa (burdigaliano-langhiana) nord-appenninica esterna e
39
3. - EVOLUZIONE TETTONO-SEDIMENTARIA
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superiore), il Dominio Toscano è caratterizzato da una sedimentazione prima
fluviale e poi costiera (Formazione del Verrucano), che nel Triassico superiore-
Giurassico inferiore evolve ad una sedimentazione evaporitica e/o carbonatica di
piattaforma (Gessi di Sassalbo, Calcare cavernoso, Calcari a Rhaetavicula
contorta e Calcare massiccio). Nel Giurassico inferiore e medio, a causa della
ET
tettonica distensiva, la piattaforma carbonatica si frammenta e la
sedimentazione, calcareo-siliceo-marnosa emipelagica e pelagica (Calcari ad
Angulati, Rosso ammonitico, Calcare selcifero di Limano e Calcari e marne a
Posidonia) è controllata dalla subsidenza differenziale tra i vari blocchi. Questo
G
porta allo sviluppo di successioni sedimentarie tra loro anche molto diverse sia
per tipo di deposito, che per spessori (vedi cenni storici). In alcuni settori infatti
si accumulano successioni condensate e lacunose (“serie ridotta” Auctt.).
O
TO
Placca Africana. La sovrastante sedimentazione silicoclastica dell’Oligo-
Miocene (Arenarie di Ponte Bratica ed Arenarie di Petrignacola), invece, è
legata alla migrazione verso i quadranti orientali del fronte compressivo e
dell’antistante avanfossa.
Nel Dominio Toscano, dal Cretacico superiore all’Oligocene, la
ET
sedimentazione bacinale prevalentemente pelitica (Scaglia toscana) è
caratterizzata da significative variazioni di facies e di spessore, con la messa in
posto di successioni pelitiche e pelitico-calcaree, calcaree (Formazione di
Puglianella Auctt.), torbiditico-calcaree, talora molto grossolane (Nummulitico
G
Auctt.) o clastiche (Brecce Cenomaniane Auctt.). Nell’Oligocene, con lo
sviluppo dell’avanfossa appenninica, la sedimentazione di rampa (Scaglia
toscana) evolve ad una sedimentazione torbiditica silicoclastica (Macigno e
O
DURANTE IL PLIO-PLEISTOCENE
Per quanto riportato nei cenni storici, risulta evidente che la ricostruzione
dell’evoluzione sedimentaria dei depositi continentali del bacino di Lucca-
Montecarlo-Vinci è certamente condizionata dall’età attribuibile alle successioni
affioranti nell’area, che, come abbiamo visto, è ancora assai controversa.
In base ai dati di TREVISAN et alii (1971a), per FEDERICI & MAZZANTI
(1988) nel Pliocene inferiore tutta l’area è caratterizzata da una sedimentazione
marina, che nel Pliocene medio s’interrompe per una regressione regionale ed
una successiva emersione. Nel Pleistocene inferiore, in seguito ad una
accentuata subsidenza, s’instaura una sedimentazione continentale
41
TO
nell’ampia depressione che dalla Val d’Era-Val d’Elsa a sud si prosegue fino a
Lucca, si distinguono due diversi tipi di sedimentazione: una continentale a
nord, compresa all’incirca tra Lucca-Montecarlo-Vinci, di età Rusciniano
superiore-Villafranchiano medio/superiore, ed una marino-salmastra a sud,
molto estesa ed affiorante nelle valli degli affluenti di sinistra del medio-basso
ET
corso dell’Arno e del Cecina, del Pliocene inferiore e medio. Questi due bacini
sarebbero divisi da un’ipotetica linea di lidi, compresi all’incirca tra S. Ginese e
Vinci, le cui evidenze geologiche potrebbero essere state obliterate da eventi
successivi (fig. 8). Secondo PUCCINELLI (1992), i sedimenti lacustri poggiano
G
quindi su un substrato costituito ora dall’Unità tettonica della Falda Toscana,
ora dalle Unità Metamorfiche del Monte Pisano, ora dalle Unità Liguri.
O
G
PR
AR
importante ciclo fluviale con limitati episodi lacustri, la cui superficie erosiva
basale interessa sia i depositi lacustri, sia i Conglomerati di Montecarlo, sia i
depositi marini più meridionali. Questo episodio non coinvolge la Piana di
Lucca propriamente detta, dove invece s’imposta un nuovo e limitato bacino
lacustre (II ciclo lacustre di TREVISAN et alii, 1971a). Allo stesso intervallo di
tempo è da attribuire il definitivo sollevamento delle Pizzorne (BARTOLINI et
alii, 1983; BARTOLINI et alii, 1984; BARTOLINI & NISHIWAKI, 1985), che ha
TO
obbligato il Serchio a cercarsi un nuovo corso, probabilmente molto simile
all’attuale.
CAREDIO et alii (1995) escludono l’esistenza dei due bacini, lacustre e
marino-salmastro, pressoché coevi, ipotizzati da PUCCINELLI (1992) e
riconoscono, al di sopra di sedimenti francamente marini (Argille e sabbie di
ET
Cerreto Guidi) e di transizione (Sabbie di Sant’Ansano e Argille limoso-torbose
di Toiano) del Pliocene inferiore-medio (non affioranti in questo Foglio, ma più
a sud nel limitrofo Foglio 274 Empoli), una successione continentale distale
(Argille e sabbie di Mastromarco) ed una prossimale (Conglomerati di Vinci)
G
del Villafranchiano superiore. Essi distinguono inoltre, sui versanti della dorsale
di Monte Albano al di sopra dei Conglomerati di Vinci, delle brecce di pendio
(Brecce di Casa Vetralla, corrispondenti alle Brecce di Lamporecchio),
O
TO
un lago la cui estinzione è avvenuta in parte (zona fiorentina) per svuotamento
delle acque e in parte (zona Prato-Pistoia) per colmamento del lago. Secondo
quest’ipotesi, confermata poi da successivi studi (CAPECCHI et alii, 1976), la
parte sud-orientale del bacino, presso Firenze, avrebbe subito un sollevamento
maggiore di quella nord-occidentale, presso Pistoia, con conseguente
ET
svuotamento attraverso la stretta della Gonfolina. Più in dettaglio l’evoluzione
del bacino di Firenze-Prato-Pistoia può essere così sintetizzata:
- all’inizio nel bacino lacustre si sedimentano i materiali portati dai
vari emissari;
G
- quando il lago non è ancora colmato, a causa di un sollevamento
differenziato, la conca di Firenze si svuota in quella di Prato-Pistoia, dove la
sedimentazione lacustre continua fino al riempimento;
O
TO
Comunque, fino alla prima metà del XV secolo sembrò prevalere l’azione di
bonifica, quando, nel 1435, si favorì la formazione del Lago Nuovo, per
sfruttare le risorse ittiche e per disporre di una difesa militare naturale.
Nel 1515 vi fu una nuova inversione di tendenza, con il progetto di
prosciugare quasi totalmente il lago. Ma nel 1550 Cosimo I de’ Medici volle che
ET
nuovamente si riformasse il lago, sbarrando l’alveo del suo emissario. Fu in quel
periodo che la malaria divenne endemica e 12 epidemie segnarono i due secoli
successivi. Comunque, già verso la fine del XVI secolo i Granduchi Francesco I
e Ferdinando I attuarono varie opere di colmata, riducendo l’area allagata e
G
incrementando le coltivazioni. Iniziò così a formarsi e consolidarsi un vasto e
fiorente patrimonio agrario, con organizzazione di tipo poderale e sviluppo di
molteplici attività agricole, di caccia e pesca, artigianali e di trasformazione
O
Le opere legate alla bonifica proseguirono anche nei secoli successivi con
l’istituzione di diversi consorzi per curare la manutenzione delle opere
AR
idrauliche, la cui evoluzione ha portato poi all’attuale Consorzio di Bonifica.
Furono eseguiti ancora molti lavori di regimazione delle acque e di
manutenzione di canali, di argini, di strade e di cateratte, volte a impedire il
riflusso delle acque dell’Arno nell’area del Padule.
Verso la fine del XIX secolo, vari provvedimenti normativi dettero nuovi
C
TO
definitiva, come si vedrà anche nel capitolo dedicato all’inquinamento idrico
delle pianure.
ET
G
O
G
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C
46
PR
O
G
C ET
AR TO
G
47
TO
ET
IV - STRATIGRAFIA
G
Le unità tettoniche affioranti nel Foglio 262 Pistoia sono, dall’alto verso il
basso: l’Unità tettonica Ottone, l’Unità tettonica Morello, l’Unità tettonica della
O
TO
1.1. - UNITÀ TETTONICA OTTONE
TO
pacchi di strati sono costituiti da torbiditi calcareo-marnose grigie in strati da
medi a spessi, a cui s’intercalano sottili livelli di argilliti calcaree e marne
argillose (simili alle successioni del Flysch di Ottone) con estensione laterale
ridotta (inferiore ai 10 metri) e spessore di qualche metro.
Lo spessore della formazione nella zona di Montevettolini supera i 200 m;
ET
quello del membro delle Argilliti di Monte Veri è stimabile in circa 60 m.
In letteratura il Flysch di Ottone e le Argilliti di Monte Veri intercalate
vengono riferite al Campaniano-Maastrichtiano inferiore. Nell’ambito di questo
Foglio le associazioni più significative ritrovate sono riferibili al Campaniano
G
inferiore per la concomitante presenza, tra gli altri, di Aspidolithus parcus
parcus, Calculites obscurus, Lucianorhabdus caeyuxii e Ceratholitoides
aculeus. Quindi, in base ai dati acquisiti ed ai dati della letteratura, la porzione
O
Pistoia e Pescia; sebbene l’unità sia arealmente molto diffusa, gli affioramenti
sono discontinui e limitati, spesso alterati o o degradati dall’attività agricola. La
Formazione di Monte Morello affiora principalmente tra Serravalle Pistoiese e
Montevettolini.
TO
calcarenitici a volte è possibile osservare la gradazione. Nell’area compresa tra
Montegattoli e Le Quattro Querce, all’interno della Formazione di Sillano è
stata cartografata una litofacies (SILa) costituita da una monotona alternanza di
strati sottili di argilliti e argilliti siltose grigio-verdi, siltiti (prevalenti) ed
arenarie fini (subordinate), che sebbene scompaginate, sono ben riconoscibili in
ET
campagna anche quando le esposizioni sono pessime.
All’interno della formazione sono inoltre presenti depositi di debris flow
matrice sostenuti ed olistoliti. I primi sono costituiti da una matrice argillitica e
da clasti di calciluti silicee con patine di alterazione ruggine o ocra, mentre su
G
sezioni fresche hanno un colore grigio; gli olistoliti sono costituiti da blocchi di
calcari marnosi (simili ai clasti dei debris flow), da brecce calcaree grossolane
cementate, con granuli e clasti spigolosi e da ammassi di serpentiniti (Σ, ove
O
TO
letteratura, la formazione viene dubitativamente riferita ad un intervallo che va
dal Cretacico superiore al Paleocene. I campioni raccolti nell’area di Bacchereto
e nella cava di Colle sono caratterizzati da associazioni a nannofossili calcarei
del Cretacico (Watznaueria barnesae, Cretarhabdus angustiforatus,
Cretarhabdus crenulatus) oppure del Paleocene (Braarudosphaera bigelowii,
ET
Cruciplacolithus tenuis, Coccolithus pelagicus, Coccolithus cavus, Toweius
spp., Prinsius martinii, Prinsius bisulcus, Markalius apertus, Markalius
inversus). Queste associazioni suggeriscono di attribuire la formazione al
Cretacico superiore-Paleocene.
G
Cretacico superiore - Paleocene
O
TO
di Globorotalia velascoensis, Globorotalia equa, Globorotalia cf aragonensis,
Globorotalia crassata-bulbrooki e Globigerina triloculoides.
Le campionature effettuate in questo Foglio (cava Le Piagge nei pressi di
Quarrata, località Colle a sud-est di Quarrata, località Bacchereto a sud di
Quarrata, cava di Lucciano, cava di Serravalle Pistoiese, ecc.) hanno fornito
ET
associazioni a nannofossili calcarei riferibili ad un intervallo di tempo compreso
tra l’Eocene inferiore p.p. e l’Eocene superiore p.p. In particolare, l’Eocene
inferiore (Ypresiano) è caratterizzato dalla concomitante presenza di
Tribrachiatus orthostylus, Discoaster lodoensis, Discoaster mirus, Toweius
G
gammation, Pseudotriquetrorhablus inversus, Zygrablithus bijugatus,
Cyclicargolithus floridanus; l’Eocene medio (Luteziano) dalla concomitante
presenza di Sphenolithus radians, Sphenolithus spp., Cyclocargolithus
O
2. - DOMINIO TOSCANO
C
TO
Albano e lungo il Vincio di Brandeglio. Le Arenarie di Monte Modino affiorano
tra le valli del Vincio di Brandeglio e del Piestro.
con le associazioni citate da FAZZUOLI et alii (1998) per la parte bassa della
formazione e da BOCCALETTI et alii (1969) e FAZZUOLI et alii (1985) per la
parte medio-alta. L’età viene qui attribuita all’intervallo Hettangiano -
Hettangiano superiore/Sinemuriano inferiore.
Hettangiano - Hettangiano superiore/Sinemuriano inferiore
TO
2.1.2. - Calcari ad Angulati (ANL)
Sinonimie:
Calcare ceroide grigio e rosso ammonitifero p.p. (ZACCAGNA, 1882)
Calcari grigio-chiari con selce e calcare rosso con Arietiti p.p. (SERVIZIO GEOLOGICO D’ITALIA,
1908)
ET
Formazione di Ferriera p.p. (BOCCALETTI & BORTOLOTTI, 1965)
Calcari stratificati con liste di selce p.p. (BRANDI et alii, 1967)
Calcari grigio-chiari e rosei con selci chiare (TREVISAN et alii, 1971b)
Calcare selcifero di Grotta Giusti (FAZZUOLI & MAESTRELLI MANETTI, 1973)
G
Questa formazione è costituita da una regolare alternanza di calcilutiti,
calcilutiti marnose e calcareniti in strati spessi 10-20 cm (raramente 30 cm), con
O
TO
Hettangiano superiore/Sinemuriano inferiore - Pliensbachiano inferiore
rosato (più raro). In sezione sottile le microfacies più comuni sono mudstone,
wackestone e packstone a bioclasti (embrioni e frammenti di ammoniti,
AR
gasteropodi, crinoidi, ostracodi, lamellibranchi pelagici e spicole di spugna) ed
ossidi di ferro. I caratteri litologici e sedimentologici ed il contenuto
paleontologico suggeriscono per questa formazione un ambiente di
sedimentazione pelagico, con una profondità prossima al limite di
compensazione dell’aragonite (ACD) (FAZZUOLI et alii, 1985).
C
TO
2.1.4. - Calcare selcifero di Limano (LIM)
Sinonimie:
Calcare selcifero inferiore (LOSACCO, 1953)
Calcari grigi con selce (GIANNINI & NARDI, 1965)
ET
Calcari selciferi (1) (MERLA & ABBATE, 1969)
Calcari grigio-chiari o rosei con selci chiare (TREVISAN et alii, 1971a)
Calcari grigio-chiari stratificati con liste di selce (TREVISAN et alii, 1971b)
Calcari selciferi grigio-chiari (DALLAN NARDI & NARDI, 1972)
G
Cacari grigi a selci chiare (NARDI et alii, 1981)
Calcilutiti silicee grigie, ben stratificate con noduli e liste di selce grigio-
O
quello dei livelli pelitici di solito varia da 2 a 7 cm. I noduli e le liste di selce
chiara (a volte scura, soprattutto nella porzione inferiore, marrone chiaro o
AR
violacea) sono spessi 1-5 cm; le liste possono avere una continuità laterale da
decimetrica a metrica ed uno spessore fino a 10-15 cm.
La formazione è caratterizzata anche dalla presenza di rari livelli di
calciruditi e brecce calcaree intraformazionali (Cimitero di Monsummano
Terme). Le rare strutture sedimentarie riconoscibili, più frequenti negli strati più
C
TO
Rosso ammonitico ed ai Calcari e marne a Posidonia suggeriscono di riferire la
formazione al Pliensbachiano superiore (Domeriano) (MENEGHINI, 1881; DE
STEFANI, 1887a; AZZAROLI, 1948; FAZZUOLI, 1992). Sulla base di associazioni
a nannofossili calcarei, PERILLI & REALE (1998) e PERILLI et alii (2008)
attribuiscono il tetto della formazione al Pliensbachiano superiore/Toarciano
ET
inferiore. Questi dati sono coerenti con le associazioni a nannofossili calcarei
del Pliensbachiano superiore/Toarciano inferiore, recuperate nella parte alta di
questa formazione nel nucleo mesozoico di Marliana e caratterizzate dalla
concomitante presenza di Crepidolithus crassus, Parhabdolithus liasicus,
G
Calcivascularis jansae, Lotharingius hauffii e Lotharingius sigillatus. Quindi il
Calcare selcifero di Limano può essere riferito al Pliensbachiano superiore p.p.-
Pliensbachiano superiore/Toarciano inferiore.
O
TO
30-40% e più raramente da packstone o grainstone in cui si riconosce anche una
componente terrigena (quarzo e miche). L’abbondanza nei bioclasti di
organismi pelagici e la prevalenza dei litotipi marnosi su quelli calcarei
suggeriscono, rispetto alla formazione sottostante, un approfondimento
progressivo del bacino (presumibilmente al di sotto del limite di compensazione
ET
dell’aragonite, ACD), in cui occasionalmente sedimentavano torbiditi calcaree.
I Calcari e marne a Posidonia passano stratigraficamente al Calcare selcifero
della Val di Lima o ai Diaspri. A Marliana i Calcari e marne a Posidonia, a
luoghi, passano direttamente ai Diaspri, con l’interposizione di una litofacies
G
calcareo-diasprina (Marne diasprine Auctt.) costituita da marne, argilliti silicee
grigio-verdi o rosso vinaccia e da radiolariti rosse il cui spessore è di qualche
metro.
O
(FUCINI, 1905; FAZZINI et alii, 1968; REALE in FAZZUOLI & SANI, 1992), la
parte bassa dei Calcari e marne a Posidonia può essere riferita al Toarciano
AR
inferiore/medio. La parta alta è stata riferita al Bajociano medio-Bathoniano
superiore in base ai radiolari (CHIARI et alii, 1994) o al Calloviano p.p. in base
agli Aptici (KALIN et alii, 1979). I campioni prelevati nella porzione inferiore
dei Calcari e marne a Posidonia affioranti a Monsummano Terme e Marliana
hanno fornito associazioni a nannofossili calcarei del Toarciano inferiore, per la
C
TO
Calcari grigio-scuri a selci nere (DALLAN et alii, 1981; NARDI et alii, 1986)
ambiente di conoide sottomarina (CERRINA FERONI & PATACCA, 1975; BRUNI &
FAZZUOLI, 1981).
AR
Il Calcare selcifero della Val di Lima affiora discontinuamente in tutti e tre i
nuclei mesozoici ed ha uno spessore di circa 50 m. Nelle poche località dove è
visibile, il passaggio stratigrafico con i sovrastanti Diaspri è netto.
L’eteropia osservata in campagna con i Diaspri e/o con la parte alta dei
Calcari e marne a Posidonia e i dati di letteratura (MUCCHI et alii, 1968;
C
FAZZUOLI & MAESTRELLI MANETTI, 1973; FAZZUOLI et alii, 1998; PERILLI &
REALE, 1998; PERILLI, 1997) permettono di attribuire alla porzione inferiore di
questa formazione un’età non più antica del Bajociano superiore/Bathoniano
inferiore (età del tetto dei Calcari e marne a Posidonia), mentre il tetto non può
essere più recente del Titoniano superiore (età del tetto dei Diaspri). Questo
intervallo è coerente con le associazioni a foraminiferi bentonici riconosciute da
FAZZUOLI et alii (1998), come Trocholina cf. alpina, Trocolina elongata e
Protopeneroplis striata e con le specie di alghe calcaree riconosciute da
BOCCALETTI et alii (1969), come Thaumatoporella parvovesiculifera e Clypeina
jurassica. In sintesi la formazione può essere attribuita a un intervallo compreso
tra il Bajociano superiore/Bathoniano inferiore ed il Titoniano superiore p.p.
60
TO
Radiolariti e selci rosse, verdi, grigie, rosso mattone o grigio-scure
all’alterazione, in strati spessi da 2-10 cm a 30 cm, intensamente fratturate, con
sottilissime intercalazioni di argilliti silicee rosse, verdi e grigio-verdi, più
spesse (1-3 cm) e frequenti nella porzione superiore della formazione, dove si
ET
notano anche lenti e noduli di selce grigia, violacea o rosso mattone. A
Monsummano Terme, nella parte alta della formazione, è discontinuamente
presente una breccia clasto-sostenuta ad elementi silicei. Quando l’alterazione
non è intensa, le rare strutture sedimentarie visibili con la lente sono
G
rappresentate da laminazione e gradazione (soprattutto negli strati più
grossolani) e più raramente da bioturbazione. In sezione sottile le radiolariti
sono costituite da silice amorfa o da quarzo microcristallino, ossidi di ferro e
O
TO
Calcilutiti e calcilutiti silicee grigie e grigio-chiare, a frattura concoide, in
strati spessi da 10 a 30 cm, con noduli e liste di selce grigio-chiara o più
raramente di colore scuro o avana (nella porzione superiore della formazione)
spesse fino a 5-10 cm, con intercalazioni di strati medi di calcareniti grigie o
ET
grigio-scure e rari e sottili interstrati di argilliti calcaree o argilliti siltose grigie,
grigio-verdi, rosse o scure. In sezione sottile le calcilutiti sono prevalentemente
rappresentate da mudstone e wackestone a bioclasti (radiolari e rare calpionelle)
e quarzo sia detritico che neomorfico, mentre le calcareniti risultano essere
G
packstone e grainstone con pellets, ooliti e bioclasti (radiolari, foraminiferi
bentonici, frammenti di alghe e di echinodermi). Queste successioni si sono
sedimentate in un bacino pelagico profondo, al di sopra del limite di
O
Maona e presenta spessori molto ridotti (10 m circa), sia per ragioni
geometriche, in quanto affiora solo il tetto, sia per elisioni tettoniche.
AR
In letteratura la parte bassa della Maiolica viene riferita al Titoniano
superiore-Berriasiano, mentre la porzione sommitale viene attribuita al
Berriasiano superiore-Valanginiano inferiore (BOCCALETTI & SAGRI, 1964,
1966; BOCCALETTI & BORTOLOTTI, 1965; MUCCHI et alii, 1968; BURCHIETTI,
1991). In altre aree dell’Appennino (Val Gordana, Foglio 233 Pontremoli) il
C
TO
Nell’Appennino Settentrionale la Scaglia toscana può comprendere
numerosi membri e litofacies, che in passato alcuni Autori hanno elevato al
rango di formazione (BORTOLOTTI et alii, 1970; FAZZUOLI et alii, 1985, cum
bibl.). In questo Foglio affiorano la litofacies pelitica, quella calcareo-pelitica e
quella calcarenitico-pelitica, non distinte in carta, mentre è stato cartografato il
ET
membro delle Calcareniti di Montegrossi (STO3).
La litofacies pelitica è la più diffusa, sebbene siano pochi gli affioramenti in
cui essa è ben esposta, essendo pedogenizzata e coperta dalla vegetazione.
Questa litofacies, prevalente nella porzione medio-superiore della formazione, è
G
costituita da argilliti e argilliti silicee o marne e marne siltose rosse, grigio-
verdi, grigio-scure (rosso-scure, ruggine o nere all’alterazione), a frattura
scagliosa o aghiforme, spesso molto alterate, con intercalazioni sottili (da 3-5 a
O
selce scura, in strati spessi da 20-50 cm a 3-4 m (massimo 6 m), con rare
intercalazioni di calcilutiti silicee grigie o grigio-verdi spesse 10-20 cm e di
sottili livelli di argilliti o argilliti marnose, rosse o verdi. Questo membro, molto
deformato, è ben esposto a nord-est di Montevettolini e nell’alta valle del F.
Nievole, dove raggiunge uno spessore di circa 50 m.
Nonostante la grande variabilità litologica che caratterizza la Scaglia
toscana, vi è ormai un sostanziale accordo nel ritenere che questa formazione
TO
registri il passaggio da una sedimentazione pelagica profonda, in parte
caratterizzata anche da risedimenti di conoide sottomarina, ad una
sedimentazione di scarpata nella sua porzione sommitale.
A causa della tettonica polifasata che ha interessato l’Unità tettonica della
Falda Toscana, responsabile anche dello scollamento tra la Maiolica e la Scaglia
ET
toscana e tra questa e il Macigno, lo spessore della Scaglia toscana è
difficilmente valutabile e può essere essere stimato in circa 200 m.
Interposta tra la Maiolica ed il Macigno, essa viene riferita all’intervallo
Aptiano inferiore-Oligocene superiore (COCCIONI & PERILLI, 1997;
G
CATANZARITI et alii, 2004). Campioni prelevati nella parte alta della Scaglia
toscana in prossimità del contatto con il Macigno, nell’area di Calamecca, hanno
fornito associazioni a nannofossili calcarei riferibili all’Oligocene inferiore e
O
TO
invece sono solitamente caratterizzati da sequenze Tc-e Tc-d. Tutti gli Autori
sono concordi nel riferire questa formazione ad un bacino di avanfossa,
delimitato ad occidente dalla paleocatena appenninica.
L’intensa alterazione superficiale che caratterizza questa formazione
impedisce spesso di osservare le caratteristiche stratimetriche e le strutture
ET
sedimentarie, e favorisce lo sviluppo di una spessa coltre detritica, su cui
s’impianta anche un’abbondante vegetazione. Nell’area rilevata la formazione
affiora lungo le pendici meridionali dell’Appennino Pistoiese e lungo la dorsale
di Monte Albano. Lo spessore massimo della formazione non è valutabile per la
G
mancanza di una sezione continua dalla base al tetto, comunque quello
affiorante supera i 2000 m.
Sulla base dei pochi e puntuali dati biostratigrafici forniti dalle associazioni
O
TO
Oligocene superiore p.p. - Miocene inferiore p.p.
TO
Marne di S. Polo (BORTOLOTTI, 1964)
Marne di Pontecchio (GÜNTHER, 1966)
Argilliti di Fiumalbo-Marne di Le Piastre p.p. (DALLAN et alii, 1981)
Macigno siltoso p.p. Auctt.
ET
Si tratta di marne e marne calcaree grigio-verdi o verdi, dure ed a frattura
scagliosa, marne argillitico-siltose, alternate a strati sottili di areniti a grana
media, talvolta spessi fino ad 1 m, areniti manganesifere e siltiti. A luoghi
questa formazione è costituita da marne argillitico-siltose, grigio-scure, a cui si
G
intercalano argilliti cinerine e varicolori e strati sottili di siltiti. La stratificazione
e la continuità laterale degli strati silicoclastici spesso non sono riconoscibili. Le
fratture (talvolta abbondanti), di apertura centimetrica ed estensione metrica,
O
sono riempite da più generazioni di vene di calcite, che in alcuni casi formano
un fitto reticolo. All’interno della formazione si possono intercalare lenti di
G
debris flow, con clasti di calcilutiti silicee (prevalenti), marne e calcareniti in
PR
alcuni casi con una tessitura di argille a blocchi. Queste litofacies, ben esposte
nell’attiguo Foglio 251 Porretta Terme in località le Piastre (PT), sono simili a
AR
quelle argillitico-calcaree distinte all’interno dell’Olistostroma di Monte
Modino (DALLAN et alii, 1981). La formazione si è presumibilmente deposta in
un ambiente di scarpata tettonicamente instabile.
Nell’area tra Forrottoli e Casalguidi all’interno delle Marne di Marmoreto si
intercalano delle arenarie grossolane, molto alterate, grigie al taglio e grigio-
C
300 metri.
Le Marne di Marmoreto affiorano con discontinuità in una fascia parallela al
bordo orientale del Monte Albano, tra Spazzavento e Casalguidi. Purtroppo,
l’intensa alterazione e la diffusa antropizzazione (presenza di vigneti ed oliveti)
in alcuni casi hanno reso difficile individuare con precisione la loro estensione e
di definire con esattezza i contatti, sempre tettonizzati, con il Macigno e la
Formazione di Sillano. La formazione è stata inoltre cartografata all’estremità
TO
settentrionale del Foglio, lungo la valle del Vincio di Brandeglio, quale
terminazione meridionale di una anticlinale rovesciata, a vergenza orientale. Il
passaggio alle Arenarie di Monte Modino, in successione rovesciata, è stato
considerato, anche se poco visibile, di natura stratigrafica, in analogia a quanto
osservato in zone limitrofe (DALLAN et alii, 1981). Altre volte il contatto è netto
ET
ed è caratterizzato dalla sovrapposizione delle torbiditi arenacee alle peliti
emipelagiche.
A causa dell’intenso piegamento, lo spessore della formazione è
difficilmente determinabile; DALLAN et alii (1981) lo valutano in alcune
G
centinaia di metri; lo spessore totale delle marne emipelagiche, con l’esclusione
del membro delle Arenarie di Forrottoli, risulta di oltre 300 m; nell’area
settentrionale della carta può esso essere stimato in 200 m circa.
O
TO
2.1.13. - Arenarie di Monte Modino (MOD)
Sinonimie:
Macigno p. p. (LOTTI & ZACCAGNA, 1913; MERLA, 1952; ABBATE & BORTOLOTTI, 1961;
ET
GHELARDONI et alii , 1962; CIPRIANI & MALESANI, 1964)
Macigno alloctono (LOSACCO, 1953; AZZAROLI, 1955; DAINELLI, 1955)
Arenaria superiore (DALLAN & RAGGI, 1961; SAGGINI, 1961)
Arenaria di M. Modino-M. Cimone (GIANNINI et alii, 1962)
G
Macigno A-Macigno B (LOSACCO, 1963)
Cerreto Sandstein (KRAMPE, 1964)
Arenarie di M. Modino (NARDI, 1964a, 1964b, 1965; BERTOLLI & NARDI, 1966; REUTTER,
O
1969)
M. Modino Sandstein (REUTTER, 1965; RENTZ, 1971; GROSCURTH & GÜNTHER, 1971)
G
Arenarie del crinale appenninico (GHELARDONI, 1965)
PR
marne siltose ed argilliti o argilliti siltose con sequenze di Bouma Tc-e e Td-e.
L’intervallo pelitico è rappresentato più frequentemente da marne siltose con
tipica alterazione a saponetta e da argilliti laminate. Le areniti litofeldspatiche
hanno matrice silicea (raramente carbonatica) e cemento calcitico (PLESI et alii,
2000); come nel Macigno, anche nelle Arenarie di Monte Modino è assente la
dolomite clastica (CIPRIANI & MALESANI, 1964; CIPRIANI et alii, 1985). Gli
strati metrici mostrano spesso basi erosive e clay cheaps centimetrici, mentre a
volte sono presenti slumps plurimetrici intraformazionali. Sono presenti anche
rare torbiditi calcareo-marnose da fini a medie, potenti da pochi centimetri ad
1,5 m, con sequenze di Bouma Tc-e e Td-e. Sono stati riconosciuti anche
olistostromi (MODa) messi in posto come slump e debris flow, con spessore
69
TO
Macigno secondo una superficie di sovrascorrimento tettonico e sovrascorre a
sua volta sull’Unità tettonica Morello. In aree contigue, le Arenarie di Monte
Modino passano stratigraficamente alle Marne di Pievepelago (DALLAN et alii,
1981) oppure ad una litofacies argillitico-calcarea contenente clasti di calcilutiti
silicee (prevalenti), di marne e di calcareniti, messa in posto come debris flows e
ET
simile all’Olistostroma di Monte Modino.
I dati biostratigrafici disponibili sono pochi (vedi cenni storici). In base ai
foraminiferi la formazione è riferita all’Oligocene superiore (COCCIONI &
WEZEL, 1980), mentre, in base alle associazioni a nannofossili calcarei
G
(CATANZARITI et alii, 1991; PLESI et alii, 1998, 2000), la porzione inferiore
della formazione è riferita all’Oligocene superiore-Miocene inferiore, ovvero al
Chattiano sommitale-Aquitaniano basale. Campioni prelevati in località
O
TO
Formazione di Londa p.p. (MERLA et alii, 1967; MERLA & ABBATE, 1969)
Formazione di Monte Cervarola p.p. (GÜNTHER & REUTTER, 1985)
Marnoso arenacea p.p. (GHELARDONI et alii, 1962; CIPRIANI et alii, 1985)
Arenarie di Monte Modino p.p. (BALDACCI et alii, 1967)
Arenaria di Monte Beccara (MERLA & ABBATE, 1969)
ET
In quest’area le Arenarie di Monte Cervarola sono rappresentate dal Membro
del T. Dardagna (PLESI et alii, 2000), correlabile con il Membro del Rio
Muschioso di CHICCHI & PLESI (1995) e con il Membro degli Amorotti di PLESI
G
et alii (2000). Le successioni affioranti sono costituite da arenarie torbiditiche
silicoclastiche litofeldspatiche, in strati da medi a spessi, alternati a pacchi di
strati torbiditici più fini e sottili. Le arenarie, con grana da fine a media, a luoghi
O
possono essere grossolane, mentre gli strati spessi, talvolta amalgamati, possono
presentare la base microconglomeratica. Le sequenze torbiditiche, spesso
G
incomplete negli orizzonti sommitali, mostrano strutture basali erosive,
PR
TO
Questa successione pliocenica, ben affiorante nell’area del Foglio 274
Empoli, è qui rappresentata solo dalle Sabbie di Sant’Ansano, che si trovano
nella zona sud-orientale, non lontano dal paese di Lamporecchio.
ET
3.1. - SABBIE DI SANT’ANSANO (SBS)
Sinonimie:
Argille grigie lignitifere, argille sabbiose e sabbie (TREVISAN et alii, 1971a)
G
Sabbie e sabbie siltose micacee, a luoghi grossolane, prevalenti nella
porzione inferiore della formazione, a cui si intercalano lenti di conglomerati
clasto-sostenuti, più frequenti nella porzione sommitale. Le sabbie, con
O
sabbioso.
La formazione affiora con spessore ridotto (20-30 m) in un’area molto
limitata all’estremità sud-orientale del Foglio, in destra della Forra del Sorbo, a
sud-est di Lamporecchio. Nell’area di Vinci (Foglio 274 Empoli, poco a sud
degli affioramenti cartografati), la formazione, interposta tra il Macigno ed i
Conglomerati di Vinci, raggiunge uno spessore di oltre 100 m. Per i rapporti di
eteropia con le sottostanti Argille e sabbie di Cerreto Guidi del Pliocene
inferiore e medio (MARRONI et alii, 1990) e per la presenza di malacofaune
marine con Venus sp., Ostrea sp., Cardium sp. e Cladochora sp., CAREDIO et
alii (1995) attribuiscono le Sabbie di Sant’Ansano al Pliocene inferiore-medio.
Pliocene inferiore - medio
72
TO
successiva evoluzione dei bacini marini e continentali plio-pleistocenici si
rimanda ai cenni storici.
A partire dal basso verso l’alto, nel bacino di Lucca-Montecarlo-Vinci sono
compresi i sedimenti basali, prossimali (Conglomerati di Vinci) e distali
(Formazione di Marginone-Mastromarco), seguiti dai depositi di chiusura
ET
(Conglomerati di Montecarlo) e da quelli fluviali delle Cerbaie (Conglomerati
delle Cerbaie) e quindi dalle brecce di pendio poste sulle propaggini occidentali
del Monte Albano (Brecce di Lamporecchio). Nel bacino di Firenze-Prato-
Pistoia si hanno successioni che, benché molto alterate ed affioranti solo
G
sporadicamente, mostrano analogie litostratigrafiche con quelle del bacino di
Lucca-Montecarlo-Vinci, dalle quali pertanto non sono state differenziate.
O
TO
4.2. - FORMAZIONE DI MARGINONE-MASTROMARCO (MNG)
Sinonimie:
Argille grigie lignitifere, argille sabbiose e sabbie (TREVISAN et alii, 1971a)
Serie lacustre di Montecarlo (DALLAN, 1988)
ET
Argille e sabbie di Marginone (CAREDIO et alii, 1995)
erosiva, che diventano più frequenti nella porzione sommitale della successione;
sono presenti anche livelli conglomeratici con ciottoli prevalentemente
G
carbonatici, spesso cementati, riferibili, nella parte settentrionale e centrale dei
PR
due bacini, in prevalenza all’Unità tettonica della Falda Toscana, ma anche alle
Unità Liguri e, nella parte occidentale del bacino di Lucca-Montecarlo-Vinci,
AR
alle formazioni metamorfiche del Monte Pisano. Tali livelli conglomeratici
aumentano di spessore e si ripetono a brevi intervalli nella parte medio-alta della
formazione.
La Formazione di Marginone-Mastromarco, interpretrata come una
successione fluvio-lacustre da CAREDIO et alii (1995), è stata considerata da
C
sia dai Conglomerati delle Cerbaie nelle cave di Marginone. Lungo il margine
occidentale del Monte Albano (nord-ovest di Lamporecchio) essa è coperta da
depositi alluvionali terrazzati.
Lo spessore è valutabile solo nella parte occidentale del Foglio, dove pozzi
per acqua, profondi anche 200 m, non hanno mai raggiunto il substrato e dove
GHELARDONI et alii (1968) indicano la base della formazione ad una profondità
di circa 500 m.
TO
L’età è stata attribuita al Villafranchiano superiore (FUCINI, 1891; MERLA,
1949; RICCIARDI, 1952; TREVISAN et alii, 1971a), al Rusciniano superiore-
Villafranchiano superiore (DALLAN, 1988), al Villafranchiano medio-superiore
(ZANCHETTA et alii, 1994; ZANCHETTA, 1995; CAREDIO et alii, 1995) e più
recentemente al Villafranchiano (SARTI et alii, 2001). Nelle presenti note la
ET
formazione viene riferita al Villafranchiano medio-superiore (vedi cenni storici).
Villafranchiano medio - superiore
G
4.3. - CONGLOMERATI DI MONTECARLO (MNE)
Sinonimie:
Conglomerati, ciottoli e argille lignitifere (TREVISAN et alii, 1971a)
O
TO
Questa successione continentale pleistocenica affiora nella zona di
Marginone, a sud-est di Montecarlo, da dove si estende verso sud fino al F.
Arno, nel Foglio 274 Empoli. È rappresentata dai Conglomerati delle Cerbaie,
descritti di seguito. ET
5.1. - CONGLOMERATI DELLE CERBAIE (BCE)
Sinonimie:
G
Sabbie argillose rossastre, conglomerati e depositi ciottolosi in terrazzi, tufiti (TREVISAN et alii,
1971a)
Conglomerati e sabbie di Casa di Poggio ai Lecci (BARSOTTI et alii, 1974; MAZZANTI, 1983)
O
(fino a 15 cm), a cui si intercalano livelli di sabbie fini, sabbie siltose arrossate e
silt argillosi da grigi a gialli; i depositi grossolani e quelli fini sono spesso molto
AR
alterati. I clasti da arrotondati a subarrotondati provengono sia dai versanti
orientali del Monte Pisano, dove affiorano formazioni metamorfiche (quarziti
bianche, rosa, viola o verdi), sia dalle pendici meridionali dell’altopiano delle
Pizzorne, dove sono presenti i vari termimi dell’Unità tettonica della Falda
Toscana e delle Unità Liguri. La matrice, a luoghi anche abbondante, è spesso
C
molto alterata. Gli strati conglomeratici, spessi fino a qualche metro, possono
avere una estensione massima di alcune decine di metri, come le sottili
intercalazioni sabbiose e siltose. I Conglomerati delle Cerbaie presentano suoli a
plintite, frutto di una pronunciata e diffusa alterazione pedogenetica, formatisi
per lunga esposizione in ambiente caldo-umido, durante l’interglaciale Mindel-
Riss (MAGALDI et alii, 1983).
La formazione affiora estesamente nella zona di Montecarlo, al margine sud-
occidentale del Foglio, dove rappresenta una porzione di un più vasto ripiano
morfologico tettonicamente sollevato e immergente verso ovest-nordovest con
inclinazione media di 2-3°. Nella zona d’affioramento più settentrionale essa
giace in discordanza sui Conglomerati di Montecarlo, da cui si differenzia per le
76
ridotte dimensioni dei clasti e per una loro maggiore eterogeneità; in quella
centrale poggia sui sedimenti del bacino lacustre del Villafranchiano medio-
superiore (I ciclo lacustre di TREVISAN et alii, 1971a; ciclo di Montecarlo di
DALLAN, 1988), come si poteva ben osservare durante la fase di scavo di alcune
cave nella zona di Marginone e Fattoria del Teso a nord di Altopascio; in quella
meridionale giace sui sedimenti marini e salmastri del Pliocene inferiore e
medio. (fig. 8).
TO
Lo spessore della formazione, valutato in aree limitrofe in circa 20-30 m,
nella zona rilevata non supera i 10 m. In letteratura i Conglomerati delle Cerbaie
vengono attribuiti al Pleistocene medio (ZANCHETTA, 1995, cum bibl.), sulla
base della loro correlabilità con i Conglomerati e sabbie di Casa di Poggio ai
Lecci, che affiorano in sinistra nella medio-bassa valle dell’Arno (SQUARCI &
ET
TAFFI, 1967; MAZZANTI, 1983; NENCINI, 1983; MARRONI et alii, 1990) ed al cui
interno sono segnalate le tufiti datate a circa 0,6 Ma da ARIAS et alii (1981) e da
BIGAZZI et alii (1994).
Pleistocene medio
G
Essa giace in discordanza sul Macigno e (fuori carta, a sud dell’area rilevata)
sulla Sabbie di Sant’Ansano e sui Conglomerati di Vinci ed è a sua volta
ricoperta da depositi alluvionali terrazzati del Pleistocene superiore.
Distinguere le Brecce di Lamporecchio dalle altre formazioni detritiche
continentali è stato spesso difficoltoso, a causa della somiglianza dei depositi
detritici e del loro elevato grado di alterazione, che hanno portato alla
formazione di suoli molto simili tra loro.
TO
Lo spessore, anche se di difficile valutazione, può essere stimato intorno ai
40-50 m. In assenza di dati paleontologici, le Brecce di Lamporecchio,
sovrastanti le sabbie affioranti tra Lamporecchio e Stabbia, attribuite da
ZANCHETTA et alii (1994) al Villafranchiano superiore, possono essere
dubitativamente riferite al Galeriano (Pleistocene medio-superiore). Questa età è
ET
coerente con il sollevamento della dorsale di Monte Albano, datato al
Pleistocene medio-superiore (BARTOLINI et alii, 1983).
Pleistocene medio - ?superiore
G
7. - DEPOSITI CONTINENTALI QUATERNARI
O
TO
sud-ovest della dorsale di Monte Albano. La loro distribuzione è più discontinua
ai margini della pianura di Pistoia, dove si trovano soprattutto lungo il basso
corso dei torrenti Ombrone, Vincio e Bure e localmente lungo il lato nord-est
del Monte Albano. In alcune aree sono riconoscibili, ma difficilmente
correlabili, alcuni ordini di terrazzamento. Lo spessore dei depositi alluvionali
ET
terrazzati varia tra qualche metro e poche decine di metri. L’età è attribuita al
?Pleistocene medio/superiore-Olocene.
?Pleistocene medio/superiore – Olocene
G
7.2. - COLTRI ELUVIO-COLLUVIALI (b2)
O
TO
molto variabili, dipendono dal tipo di movimento e dall’entità del fenomeno: nei
corpi di maggiori dimensioni possono superare il centinaio di metri. L’età è
attribuibile al ?Pleistocene medio/superiore-Olocene.
?Pleistocene medio/superiore – Olocene
ET
7.4. - DEPOSITI PALUSTRI (e3)
TO
all’Olocene.
Olocene
TO
Lo spessore dei depositi alluvionali recenti e attuali è generalmente ridotto
lungo le valli citate, dove di rado supera la decina di metri. Nelle zone di
pianura, invece, tale spessore può raggiungere 30-40 m. L’età è riferita
all’Olocene.
Olocene ET
7.8. - TRAVERTINO (f1)
G
Si tratta di concrezioni calcaree di origine chimica idrotermale, spesso
caratterizzate da struttura vacuolare. Gli affioramenti sono ubicati in
corrispondenza di emergenze d’acqua termale nell’area di Montecatini Terme-
O
AR
7.9. - DEPOSITI DI BONIFICA PER COLMATA (h1c)
Sono il prodotto delle modifiche idrauliche che nei secoli hanno portato alla
bonifica di una parte del Padule di Fucecchio, in passato assai più esteso. Come
illustrato precedentemente, la bonifica avvenne in periodi diversi,
C
TO
ET
G
O
G
PR
AR
C
83
TO
ET
V - TETTONICA
G
TO
fase deformativa oligo-miocenica (Fase Toscana), che le ha portate a
sovrascorrere sul Dominio Toscano e su quello Umbro-Marchigiano.
L’Unità tettonica Canetolo (Dominio Subligure) comprende corpi
sedimentari di età paleocenica superiore-miocenica inferiore, depostisi in tempi
e luoghi diversi per la migrazione del fronte compressivo, probabilmente in
ET
bacini di piggy-back; essa è stata interessata nella porzione inferiore argillitico-
calcarea anche dalla fase dell’Eocene medio e nella porzione superiore
silicoclastica solo da quella oligo-miocenica.
Durante la Fase Toscana, l’Unità tettonica della Falda Toscana e l’Unità
G
tettonica Cervarola sono state essenzialmente coinvolte in una prima
deformazione (fase tangenziale o fase sin-nappe) dell’Oligocene superiore-
Miocene inferiore e in una fase tardiva (post-nappe), a partire dal Miocene
O
TO
sovrappongono alla struttura a falde di ricoprimento. In tali depressioni si
sedimentano potenti successioni sia marino-salmastre, sia continentali.
Ammettendo che tale sedimentazione sul versante tirrenico sia iniziata
pressoché contemporaneamente, o con piccolo ritardo, rispetto ai primi
movimenti di sprofondamento, la datazione delle varie successioni ha permesso
ET
di formulare ipotesi attendibili circa l’età di apertura delle depressioni stesse.
Considerando che:
- l’età dei depositi basali del ciclo fluvio-lacustre del bacino di Aulla-
Olivola in Val di Magra è riferita al Rusciniano superiore da BERTOLDI (1988),
G
in base a studi palinologici;
- in Val di Serchio, nei bacini di Barga e di Castelnuovo G. (Foglio 250
Castelnuovo di Garfagnana) l’età dei depositi fluvio-lacustri basali, sulla base di
O
dei primi sedimenti non coinvolti nella deformazione, ovvero della Formazione
di Marginone-Mastromarco, riferita al Villafranchiano medio-superiore (vedi
AR
cenni storici);
si può sostenere che nella Toscana settentrionale e nella Liguria di levante
l’inizio della tettonica distensiva e quindi l’apertura dei bacini continentali può
essere datata al Pliocene.
C
1. - STUDIO STRUTTURALE
Per consentire una più agevole ed immediata lettura della carta geologica, il
Foglio Pistoia può essere suddiviso in quattro settori, all’interno dei quali sono
state individuate e descritte le principali strutture tettoniche.
TO
Gli affioramenti più diffusi appartengono alle formazioni presenti al tetto
dell’Unità tettonica della Falda Toscana (Macigno, in prevalenza, e Scaglia
toscana), mentre quelle del Giurassico e del Cretacico si trovano solo al nucleo
dell’anticlinale di Marliana; un poco più estesa è l’Unità tettonica Morello, che
affiora al nucleo della sinclinale lungo la Pescia, tra Pontito e Lanciole e lungo
ET
l’alto corso del F. Nievole.
Le principali macrostrutture sono costituite dalla grande piega rovesciata,
stretta e allungata per qualche chilometro tra Castelvecchio e Pescia; il suo asse
è disposto in direzione nord-sud e immerge verso ovest, in sponda destra del T.
G
Pescia di Pescia, dove la formazione di Sillano è coinvolta in un piegamento
successivo al suo sovrascorrimento sulla formazione del Macigno; in alcuni casi
le culminazioni assiali, disposte in direzione appenninica (Calamecca e medio-
O
TO
Settore sud-orientale (Monte Albano e pianura di Pistoia)
L’elemento strutturale più marcato è costituito dall’alto tettonico che ha dato
luogo alla dorsale di Monte Albano che separa la pianura di Pistoia da quella
che si sviluppa tra Pescia-Montecatini Terme e Lamporecchio-Altopascio; tale
ET
alto morfo-strutturale, che sembra essersi sollevato in tempi assai recenti, come
testimonia la cospicua presenza di depositi alluvionali terrazzati e detriti di falda
sui fianchi della dorsale (vedi capitoli precedenti), comprende le arenarie del
Macigno (Unità tettonica della Falda Toscana) e le formazioni dell’Unità
G
tettonica Morello (Formazione di Sillano e Formazione di Monte Morello). Per
chiarezza d’esposizione, saranno descritte prima le strutture presenti sul
versante orientale e poi su quello occidentale.
O
Versante orientale del Monte Albano: al tetto dell’Unità tettonica della Falda
Toscana si osserva il sovrascorrimento dell’Unità tettonica Morello, secondo un
G
contatto con direzione appenninica, spesso ripiegato per successivi eventi
PR
tettonici di tipo compressivo (da Bracali alla Croce di San Gimignano e a nord-
ovest delle Capannacce). Intorno alla Valle del Rio Vinacciolo a nord e tra Case
AR
Salocchi e Montemagno più a sud sono presenti anche sedimenti pelitici di
difficile attribuzione, interpretati come il tetto dell’Unità tettonica della Falda
Toscana (Olistostroma di Monte Modino e Marne di Marmoreto, Membro delle
Arenarie di Forrottoli). Il contatto tettonico con direzione appenninica e
immergente verso nord-est, che separa le Marne di Marmoreto e le Arenarie di
C
Forrottoli poste al tetto e la Formazione di Sillano alla base tra Case Salocchi e
C. Pacini, potrebbe esserre interpretato come un retrocarreggiamento del tetto
dell’Unità tettonica della Falda Toscana sull’Unità tettonica Morello, durante
una fase tettonica compressiva tardiva. Tra Cantagrillo, Casalguidi, Santonuovo
e Quarrata sono presenti i sedimenti fluvio-lacustri della Piana di Firenze-Prato-
Pistoia, trasgressivi sia sulle formazioni dell’Unità tettonica della Falda
Toscana, sia su quella dell’Unità tettonica Morello.
Versante occidentale del Monte Albano: sul fianco sud-occidentale sono
presenti dei limitatissimi affioramenti di sedimenti grossolani marini del
Pliocene inferiore-medio, sottostanti ai depositi continentali del bacino di
Lucca-Montecarlo-Vinci, i cui rapporti con il substrato prepliocenico non sono
88
visibili.
All’estremità settentrionale la prima fase deformativa ha causato il
sovrascorrimento dell’Unità tettonica Morello sul tetto dell’Unità tettonica della
Falda Toscana, secondo un contatto disposto all’incirca nord-sud, a vergenza
orientale e immergente verso sud-sud-ovest. Procedendo verso sud la seconda
fase deformativa è responsabile: del sovrascorrimento della Scaglia toscana
sull’Unità tettonica Morello e sul Macigno del Monte Albano, secondo un piano
TO
disposto nordovest-sudest e immergente verso sud-ovest e del sovrascorrimento
del Macigno di Montevettolini sull’Unità tettonica Ottone, a sua volta
sovrascorsa sulla Scaglia toscana.
rigetto probabilmente superiore a 3.000 metri, i cui piani sono ben visibili nelle
cave abbandonate di Monsummano Terme. Lungo queste faglie vengono a
G
giorno le acque termo-minerali dei serbatoi carbonatici mesozoici, dando luogo
PR
TO
ciò, è stato possibile raccogliere sufficienti elementi per un inquadramento
strutturale esauriente.
Dall’analisi dei dati raccolti emerge che l’Unità tettonica Morello è
caratterizzata da almeno due fasi deformative distinte: D1 (corrispondente alla
Fase Ligure) e D2 (corrispondente alla Fase Toscana).
ET
Prima fase deformativa
Nella fig. 10 sono illustrate pieghe di prima fase a scala metrica nella
Formazione di Monte Morello, a nord di Pistoia sulla strada che porta da
AR
Collegigliato a Germinaia, appena passato Collegigliato; si tratta di pieghe sub-
isoclinali, con angolo di apertura di 15°, cerniere arrotondate e asse orientato
N65/22SW, che ripiegano la stratificazione e alle quali è associata una fitta e
penetrativa scistosità di piano assiale, orientata N90/32S. La proiezione
stereografica degli assi di prima fase A1 (fig. 11) mostra come questi ultimi,
C
TO
ET
G
O
G
PR
AR
C
TO
ET
G
O
G
PR
AR
C
Fig. 11 - Proiezioni stereografiche della stratificazione (S0) e degli elementi strutturali relativi alle
fasi deformative D1 e D2 e alla tettonica trasversale dell’Unità tettonica Morello.
Nell’area in esame, non sono mai state osservate pieghe di seconda fase alla
TO
scala dell’affioramento; esse sono però intuibili dall’andamento della
stratificazione, soprattutto dove quest’ultima si verticalizza, associandole alle
pieghe di seconda fase per lo più a scala cartografica date da una serie di
anticlinali e sinclinali ad assi appenninici, piani assiali molto inclinati e
vergenza verso i quadranti nord-orientali.
ET
Alla scala dell’affioramento, la D2 si manifesta principalmente attraverso
una foliazione S2, osservabile sopratutto nelle rocce meno competenti, dove
assume il carattere di un clivaggio di fratturazione, più o meno fitto e
penetrativo, con spaziatura variabile da 2 a 8 cm, sempre molto inclinato
G
rispetto all’orizzontale e con direzioni prevalentemente appenniniche (fig. 11).
Dall’analisi dello stereogramma di densità dei poli della S2, si può vedere come
la distribuzione di tali poli ammetta un chiaro asse di dispersione orientato
O
Tettonica trasversale
AR
L’Unità tettonica Morello è interessata anche, ma solo localmente, da una
terza fase deformativa, a carattere più fragile rispetto alle prime due fasi D1 e
D2, che si manifesta esclusivamente come un clivaggio di fratturazione molto
spaziato (S3), con direzione antiappenninica (N20-N80) e sempre molto
inclinato o sub-verticale (fig. 11). La fratturazione associata a questa fase è ben
C
TO
nord-nordovest/sud-sudest.
È stata inoltre riconosciuta una tettonica trasversale “antiappenninica” che si
sovrappone alle strutture delle prime due fase deformative; questa terza fase,
meno intensa, deforma l’edificio strutturale già creato con blande pieghe con
assi orientati da N20 a N80, alle quali sono spesso associati décrochements con
ET
direzione variabile da N20 a N80.
come una scistosità di flusso (slaty cleavage) fitta e penetrativa, che conferisce
alla roccia un aspetto fogliettato dovuto all’appiattimento, alla rotazione e
all’isorientazione dei minerali della paragenesi originaria ed alla
ricristallizzazione di alcuni minerali di neoformazione (mica bianca, quarzo,
calcite, ossidi e idrossidi), concentrati e allungati lungo la S1. Inoltre, nelle rocce
meno competenti la S1 è generalmente sub-parallela alla S0. In molti casi, si ha
una trasposizione della superficie di stratificazione sulla S1, mentre negli altri
casi la S1 risulta debolmente più inclinata (fino a 20°) rispetto alla S0. Nelle
rocce più competenti, sia calcaree che silicoclastiche, la S1 è difficilmente
osservabile; quando riesce ad esprimersi, si presenta come un clivaggio di
frattura, spaziato (2-7 cm) e non penetrativo. In affioramento, laddove la S1
94
riesce a penetrare nelle rocce più competenti al passaggio fra i livelli meno
competenti e quelli più competenti, si può osservare il fenomeno della rifrazione
della scistosità: nei livelli meno competenti la S1 è poco inclinata (fino a 15-20°)
rispetto alla superficie di strato S0, mentre nelle rocce più competenti forma con
essa angoli maggiori (20-60°).
Sono state osservate rarissime pieghe di prima fase alla mesoscala, che si
trovano solo in alcune formazioni (Calcaro selcifero di Limano, Calcari e marne
TO
a Posidonia, Calcare selcifero della Val di Lima). Si tratta di piccole pieghe, da
centimetriche a metriche, generalmente sub-isoclinali a geometria simile, con
cerniera ispessita, fianchi assottigliati (Classe II di RAMSAY, 1967) e assi con
direzione media di circa N150. Non sono state osservate pieghe di prima fase di
più grandi dimensioni. ET
La fig. 12 riassume i risultati dell’elaborazione statistica. I poli dei piani di
scistosità S1 si disperdono secondo un grande cerchio corrispondente ad un
piano orientato N62/74SE, che ammette un asse orientato N151/15NO.
G
O
G
PR
AR
C
Fig. 12 - Proiezioni stereografiche della stratificazione (S0) e degli elementi strutturali relativi alle
fasi deformative D1 e D2 e alla tettonica trasversale dell’Unità tettonica della Falda Toscana.
95
Gli assi medi di dispersione dei poli dei piani delle superfici di
stratificazione e di scistosità di prima fase S1 corrispondono perfettamente agli
assi A2 di deformazione di seconda fase, che si addensano intorno ad una
direzione di N150 con una inclinazione di circa 20° verso NO. Come si può
vedere dagli stereogrammi, la distribuzione statistica dei poli dei piani di
scistosità S1 è molto simile a quella dei poli dei piani di stratificazione S0.
Rispetto alla S0, i poli della S1 sono debolmente più concentrati nel quadrante
TO
nord-orientale, ovvero la S1, rispetto alla S0, risulta leggermente più inclinata
verso sud-ovest. Tenendo conto che nella maggiore parte dei casi la superficie di
stratificazione risulta normale, mancando pieghe di prima fase che provochino
importanti rovesciamenti, per questa prima fase deformativa si può indicare una
vergenza verso nord-est.ET
Seconda fase deformativa
Le strutture più evidenti, in tutti i litotipi e a tutte le scale, sono associate alla
G
seconda fase deformativa D2; si tratta principalmente di pieghe F2, caratterizzate
da una foliazione di piano assiale S2, i cui elementi strutturali sono riassunti in
fig. 12. A questa fase sono associate le megastrutture più importanti dell’area in
O
(dal Calcare massiccio fino alla Scaglia toscana) sono coinvolte in una grande
anticlinale rovesciata di seconda fase, con asse orientato nord-nordovest/sud-
sudest. Tra le megastrutture associate alla seconda fase, si ricorda anche
l’anticlinale rovesciata che interessa il Macigno e la Formazione di Sillano
lungo la valle del T. Pescia di Pescia.
Infine, le Arenarie di Monte Modino, che affiorano a nord-ovest di Pistoia,
sono interessate da una serie di antiformi e sinformi ben evidenti a scala
cartografica, caratterizzate da un’ampiezza di centinaia di metri, assi sub-
orizzontali con direzione media N150, piano assiale molto inclinato e ancora
vergenza verso i quadranti nordorientali. Alla scala dell’affioramento, queste
strutture possono essere riconosciute lungo la S.S. n. 56 che da Gello porta a Le
96
Piastre e lungo la strada secondaria che costeggia il torrente Vincio e serve gli
abitati di Statigliana, Campiglio e Marciana.
Le pieghe di seconda fase F2 sono osservabili frequentemente e mostrano
uno stile deformativo variabile e fortemente influenzato dai litotipi interessati.
Nelle rocce più competenti si sviluppano pieghe da aperte a molto aperte, con
angoli di apertura generalmente superiori a 90°; nelle formazioni meno
competenti (Calcari e marne a Posidonia, Diaspri, Scaglia toscana), le pieghe
TO
risultano generalmente meno aperte, con angoli di apertura che variano da circa
90° ad angoli molto inferiori.
che va da Monsummano
GTerme a Monsummano Alto.
Nella figura sono
PR
TO
crenulazione con spaziatura variabile da 5 mm a 1 cm. La S2 risulta sempre
molto inclinata rispetto all’orizzontale; questa caratteristica la rende sempre
abbastanza evidente alla scala dell’affioramento.
Nella fig. 14 sono illustrati i rapporti tra S0, S1 e S2 nella parte pelitica del
Macigno presso S. Giovanni (a nord di Pescia), al bivio tra la strada per S.
ET
Quirico e quella per Vellano. Si può vedere come la S1 e la S2 vengano registrate
unicamente dagli interstrati meno competenti; la superficie di stratificazione S0
(N180/30W) è diritta e meno inclinata della S1 (N180/38W), confermando una
vergenza verso nord-est della prima fase deformativa; la S2, meno fitta della S1,
G
si presenta molto inclinata rispetto all’orizzontale (N130/76NE).
O
G
PR
AR
C
TO
crenulazione con spaziatura variabile da 5 mm a 1 cm.
L’analisi statistica degli elementi associati alla seconda fase deformativa
(fig. 12) mostra come la S2 sia sempre molto inclinata. I poli dei piani S2 si
disperdono su un grande cerchio orientato N180/5SE, ammettendo un asse di
orientato N90/85O; probabilmente questa dispersione è connessa a blandi
ET
piegamenti successivi.
Tettonica trasversale
G
Nell’area in esame è stata inoltre riconosciuta una terza fase deformativa,
che si manifesta soprattutto nelle rocce meno competenti con un clivaggio di
fratturazione (S3) con spaziatura variabile da 2 a 5 cm, generalmente sub-
O
verticale e con direzione variabile da N20 a N80 (fig. 12); questo clivaggio, ben
espresso alla scala dell’affioramento, può essere ricondotto ad una deformazione
G
a stile piuttosto rigido, associato cioè a faglie la cui componente principale è
PR
TO
in tutti i litotipi dell’Unità tettonica Cervarola; il suo sviluppo è spesso
indipendente dalla presenza di pieghe di prima fase, in relazione al carattere
prevalentemente tangenziale della prima fase stessa.
La S1 assume diverse morfologie a secondo delle formazioni interessate. In
quelle meno competenti, come gli interstrati pelitici delle Arenarie di Monte
ET
Cervarola, la S1 appare come una scistosità di flusso (slaty cleavage) fitta,
penetrativa e continua, che suddivide le rocce in sottili livelli sericitici planari,
conferendo loro un aspetto fogliettato. A scala microscopica, nei livelli meno
competenti, si può osservare l’appiattimento, la rotazione e l’isorientazione dei
G
minerali della paragenesi originaria lungo le superfici S1; in alcuni casi sono
stati osservati minerali di neoformazione quali quarzo, calcite, miche bianche,
ossidi e idrossidi. Ancora nelle rocce meno competenti, la S1 è generalmente
O
sub-parallela alla stratificazione S0, con la quale non forma mai angoli superiori
a 20°, arrivando spesso ad una trasposizione della S0 sulla S1. Nei livelli più
G
competenti, come gli interstrati arenitici delle Arenarie di Monte Cervarola, la
PR
TO
ET
G
O
G
Fig. 15 – Piega di prima fase nelle Arenarie di Monte Cervarola.
PR
verso nord-ovest.
Come si può vedere dagli stereogrammi, la distribuzione statistica dei poli
dei piani di scistosità S1 è molto simile a quella dei poli dei piani di
stratificazione
S0. Rispetto alla S0, i poli della S1 sono debolmente più concentrati nel
quadrante nord-orientale, ovvero la S1 risulta leggermente più inclinata verso
sud-ovest rispetto alla S0; tenendo conto che nella maggior parte dei casi la
superficie di stratificazione risulta diritta (in mancanza di grandi pieghe di prima
fase che provochino degli importanti rovesciamenti), questo indicherebbe una
vergenza verso nord-est della prima fase deformativa.
101
TO
ET
G
O
G
PR
AR
C
Fig. 16 - Proiezioni stereografiche della stratificazione (S0) e degli elementi strutturali relativi
alle fasi deformative D1 e D2 e alla tettonica trasversale dell’Unità tettonica Cervarola.
102
TO
vergenza verso i quadranti nordorientali (fig. 16).
La formazione delle Arenarie di Monte Cervarola è interessata da strutture
plicative di seconda fase ben espresse a scala cartografica; si tratta di una serie
di grandi sinformi ed antiformi, delle quali è raramente visibile la zona di
cerniera, talvolta rovesciate, caratterizzate da assi sub-orizzontali con direzione
ET
N110-N120, piani assiali sub-verticali e vergenza verso nord-est. Sono
difficilmente osservabili strutture plicative alla scala dell’affioramento,
probabilmente in relazione alla prevalenza di strati arenitici, molto competenti,
nelle Arenarie di Monte Cervarola.
G
Lo stile deformativo delle pieghe F2 è variabile e fortemente influenzato
dalle caratteristiche dei litotipi interessati. Nelle rocce più competenti si
sviluppano pieghe da chiuse ad aperte, con apertura generalmente compresa tra
O
TO
ET
G
O
G
L’analisi statistica degli elementi associati alla seconda fase deformativa
PR
(fig. 16), mostra come la S2 sia sempre molto inclinata; i poli dei piani di S2 si
disperdono su un grande cerchio verticale con direzione N40, che ammette un
AR
asse di dispersione orizzontale con direzione N130. Le pieghe associate alla
seconda fase deformativa sono generalmente asimmetriche; questa asimmetria
indica costantemente una vergenza verso i quadranti nordorientali.
Tettonica trasversale
C
5. - TETTONICA FRAGILE
(a cura di A. Taini)
TO
direttamente sul terreno, alle quali sono molto spesso associati piani di
discontinuità minori, aventi lo stesso significato cinematico e ben osservabili e
misurabili alla scala dell’affioramento.
L’esame della distribuzione statistica delle faglie misurate in campagna (fig.
18) mette in evidenza alcune famiglie di piani. Il sistema più importante è
ET
senz’altro quello a direzione appenninica N120-N130; ugualmente sviluppato
risulta anche il sistema a direzione antiappenninica che presenta due principali
addensamenti, uno di direzione N20-N30 e l’altro di direzione intorno a N80.
Le strutture mesoscopiche legate alla tettonica fragile tardiva spesso si sono
G
impostate su superfici di discontinuità preesistenti, quali la scistosità S2
(direzione media N120-N130) e la scistosità S3 (direzione media N20-N80). Ad
esempio, a sud dell’abitato di Calamecca, si ritrova una faglia diretta a scala
O
cartografica, di direzione media N130 con inclinazione di circa 50° verso sud-
ovest che mette a contatto il tetto della Scaglia toscana (settore nord-orientale,
G
lato rialzato) con la parte medio-alta del Macigno (settore sud-occidentale, lato
PR
TO
ET
G
O
G
PR
AR
C
Fig. 18 - Proiezioni stereografiche e diagrammi a rosa degli elementi strutturali relativi alle fasi
tettoniche tardive.
106
PR
O
G
C ET
AR TO
G
107
TO
ET
VI - CENNI MORFOLOGICI
G
collinari e montuose, che occupano circa metà della sua superficie, e da due
vaste aree pianeggianti, la pianura di Pescia-Montecatini Terme e la pianura di
G
Pistoia. La dorsale collinare del Monte Albano, che si stacca con decisione dalle
PR
TO
Monte Albano e una fitta rete di canalizzazioni dell’area di pianura.
La configurazione morfologica generale è notevolmente influenzata dalle
vicende morfo-tettoniche esposte nei capitoli precedenti, che hanno portato alla
formazione delle depressioni fluvio-lacustri di Lucca-Montecarlo-Vinci e
Firenze-Prato-Pistoia e delle pianure attuali, separate da un elemento
ET
fisiografico evidente, la dorsale del Monte Albano. A questo proposito,
BARTOLINI & PRANZINI (1981, 1984), in base a osservazioni idrografiche,
morfologiche e geologiche considerano il sollevamento di tale dorsale
successivo al Villafranchiano Superiore, età dei depositi fluvio-lacustri che
G
l’Ombrone ha inciso in seguito al sollevamento. In base ad altri indizi, di natura
essenzialmente geomorfologica, gli stessi Autori ritengono inoltre che il
sollevamento possa essere soprattutto recente (forse posteriore al tardo
O
Altri sollevamenti recenti delle dorsali che bordano i bacini hanno contribuito
alla riorganizzazione del sistema di drenaggio del bacino dell’Arno, avvenuta
AR
dopo il riempimento dei bacini stessi (BARTOLINI & PRANZINI, 1981).
Studi di BARTOLINI (1980a) e BARTOLINI et alii (1984) hanno rilevato
inoltre l’esistenza di varie superfici relitte nella zona a nord di Lucca e Pistoia,
ad esempio tra Pescia e Margine di Momigno ed a nord di Serravalle Pistoiese.
Si tratta generalmente di superfici sommitali, con morfologia subpianeggiante o
C
TO
acque e nelle zone bonificate per colmata e drenaggio. A tale proposito,
testimonianze importanti degli antichi ambienti paludosi e lacustri sono
rappresentate soprattutto dal Padule di Fucecchio, un’area umida molto
importante, per la varietà e ricchezza faunistica e floristica e per lo svernamento
dell’avifauna acquatica.
ET
La zona tipicamente palustre, nota anche come “cratere”, ha un’estensione
variabile in rapporto alle precipitazioni, da qualche chilometro quadrato a oltre
una decina; la sua profondità si attesta su qualche metro, la quota sui 12-15 m. Il
Padule in passato occupava un’area assai più vasta, estendendosi anche oltre il
G
confine sud di questo Foglio; la Carta del Granducato di Toscana di MOROZZI
(1784), delinea un’area paludosa limitata a sud-ovest dalle colline delle Cerbaie,
che si spingeva a sud verso Fucecchio e a nord fino a Ponte Buggianese, mentre
O
TO
Cervarola). Tali litotipi affiorano estesamente, soprattutto il Macigno, che
costituisce i rilievi a nord-ovest, gran parte della dorsale di Monte Albano ed
altre aree meno vaste. Le Arenarie di Monte Modino e le Arenarie di Monte
Cervarola affiorano invece con minor estensione nell’area a nord-est. Le
successioni pelitiche sono riferibili prevalentemente all’Unità tettonica Morello
ET
(Formazione di Sillano) e all’Unità tettonica della Falda Toscana (Scaglia
toscana) e mostrano in genere forme meno acclivi e più dolci. Tra gli esempi
nella Formazione di Sillano, si può citare in particolare la fascia pedemontana
collinare tra Montecatini Terme e Pistoia e la zona a nord del capoluogo, oppure
G
l’area che borda a nord-est il Monte Albano. La Scaglia toscana caratterizza
invece i colli a nord di Montecatini Terme.
Discontinuamente affiorano anche altre formazioni competenti, come la
O
Formazione di Monte Morello (Unità tettonica Morello), che risalta rispetto alle
peliti della Formazione di Sillano in diverse aree lungo i pendii di Monte
G
Albano. Degno di nota anche il colle di Monsummano Alto, intagliato nelle
PR
delle Cerbaie). La loro quota raramente supera qualche decina di metri e solo a
Montecarlo raggiunge i 163 m.
I depositi alluvionali terrazzati occupano vaste zone, soprattutto al piede
sud-occidentale della dorsale di Monte Albano e lungo la fascia pedemontana.
Sono costituiti in prevalenza da sedimenti ciottolosi e sabbiosi, formati dallo
smantellamento degli affioramenti arenacei del Monte Albano e dei rilievi
settentrionali. Numerosi coni di deiezione caratterizzano infine la fascia
pedemontana, allo sbocco dei corsi d’acqua nella pianura.
La frequenza e la diffusione dei movimenti franosi in questo Foglio non
sembra raggiungere l’entità di altre aree montuose dell’Appennino
Settentrionale. Ciò potrebbe derivare, in parte, da una minor energia del rilievo,
111
TO
parte dedicata alla Geologia applicata, dove sarà approfondita questa tematica di
rilevante interesse socio-economico.
Sono stati riconosciuti anche alcuni fenomeni di Deformazione Gravitativa
Profonda di Versante (DGPV). Il più vasto si trova nella porzione superiore del
bacino dell’Ombrone e coinvolge grandi ammassi rocciosi di Macigno. Un’altra
ET
DGPV coinvolge il Macigno nella zona di Stiappa, in destra orografica dell’alta
valle del T. Pescia di Pescia. Anche su questo tema si tornerà successivamente.
G
O
G
PR
AR
C
112
PR
O
G
C ET
AR TO
G
113
TO
ET
VII - GEOLOGIA APPLICATA
G
Nel territorio del Foglio Pistoia alcuni aspetti rivestono particolare interesse
O
AR
1. - ATTIVITÀ ESTRATTIVE
dell’urbanizzazione nelle adiacenze delle cave, sia per le difformità nei progetti
di coltivazione, sia infine per una neo-acquisita e ancora un po’ acerba
coscienza ambientale.
In passato erano invece attive molte cave di monte, in particolare le cave
Baccioni e Vannucci di Calcare massiccio a Monsummano Terme, la cava
Maona di Calcare selcifero della Val di Lima a Montecatini Terme, la cava
Bruni nei calcari della Formazione di Monte Morello a Serravalle Pistoiese,
tutte cave di inerti per calcestruzzo o conglomerato bituminoso di cui nessuna è
ancora in coltivazione. Sul territorio erano presenti anche cave di arenaria (nella
formazione del Macigno od in quella delle Arenarie di Monte Modino), da cui si
estraevano lastre di pietra ornamentale o conci di pietra; di esse ne è attiva solo
114
TO
ambientale, ed il cui ripristino vegetazionale è riuscito in minima parte (VERANI,
2003).
Escavazioni di ghiaie e sabbie fluviali venivano infine praticate in passato
nell’alveo dei corsi d’acqua e nelle immediate adiacenze. Alcune cave di argilla
per laterizi nella Formazione di Marginone-Mastromarco, al di sotto dei
ET
Conglomerati delle Cerbaie, sono tutt’ora attive nel comune di Altopascio e tra
queste la più importante è quella in località Marginone.
La cessata escavazione di sabbia e argilla ha lasciato un elevato numero di
specchi d’acqua, parzialmente evoluti in discariche incontrollate, di cui il
G
maggiore esempio è il lago di S. Lucia di Uzzano.
O
particolare nella zona settentrionale del Foglio, con intensità fino al VI MCS.
Infine, il terremoto della Garfagnana-Lunigiana (1920, X MCS), fra i più
catastrofici della Toscana, raggiunse in queste zone un’intensità del VII MCS
mentre quello di Orciano Pisano (1846, VIII-IX MCS) fu avvertito nell’area
pistoiese con un’intensità di III-IV MCS,.
Nel territorio studiato sono presenti sia frane, sia Deformazione Gravitative
Profonde di Versante (DGPV).
TO
2.1. - FRANE
TO
fenomeni di DGPV, illustrati nel paragrafo successivo, gli accumuli più estesi si
trovano in genere nelle aree di affioramento delle arenarie (Macigno, Arenarie
di Monte Modino, Arenarie di Monte Cervarola), con larghezza di centinaia di
metri e lunghezza che può superare i 2 km, come lungo la valle del T. Pescia di
Pescia. Frane piuttosto vaste si trovano anche nelle formazioni pelitiche, come
ET
la Formazione di Sillano o la Scaglia toscana.
La maggior parte delle frane non mostra particolari indizi di attività, se non
localmente. Le frane in evoluzione, pur meno diffuse, non sono rare. Può
trattarsi di movimenti condizionati da processi geomorfici attivi, come
G
tipicamente l’azione erosiva dei corsi d’acqua al piede dei pendii, che mantiene
uno stato di disequilibrio morfologico. Oppure si tratta di dissesti avvenuti
recentemente e non ancora stabilizzati, come quelli del 2000 nella zona di
O
Pescia, prima citati. Vi sono anche fenomeni con attività intermittente, legata
all’andamento delle precipitazioni piovose e alle oscillazioni della falda idrica,
G
con fasi di quiescenza o attività ridotta alternate a movimenti periodici di tipo
PR
stagionale.
Fra i movimenti franosi presenti nell’area, si possono citare alcuni tra quelli
AR
più significativi, che talvolta hanno dato origine a situazioni di rischio.
Il paese di Cozzile nel comune di Massa e Cozzile rientra fra quelli studiati
nell’ambito del Progetto SCAI - Studio Centri Abitati Instabili del CNR -
Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche (CANUTI et alii,
2000): infatti, con il Regio Decreto n. 237 del 4/3/1943, il paese fu dichiarato da
C
TO
ubicati vari edifici, mentre il paese si trova nell’area di corona, che presenta
migliori caratteristiche di stabilità. Alcuni dissesti più modesti e localizzati ai
margini dell’abitato sembrano indicare una tendenza evolutiva non ancora
esaurita.
Momigno, in comune di Marliana, sorge anch’esso su un dosso costituito di
ET
Macigno, a circa 650 m di quota. I problemi di stabilità dell’abitato sono
riferibili soprattutto alle zone intorno al paese e a quelle dove di recente si è
concentrato lo sviluppo edilizio. In realtà, Momigno ricade, insieme ad altri
abitati, come Montagnana, Grati e altri nuclei minori, in un vasto e complesso
G
fenomeno di Deformazione Gravitativa Profonda di Versante, che
verosimilmente rappresenta uno dei motivi principali dell’instabilità più
localizzata. Su tale DGPV si tornerà in seguito.
O
TO
rispetto all’assetto morfologico locale; presenza, dove la pressione di
confinamento è minore, di piani di taglio ad alto angolo, gradini in
contropendenza, doppie creste e trincee (porzione superiore del versante) e di
rigonfiamenti, piani di taglio a basso angolo e deformazioni di tipo
duttile/fragile (porzione inferiore). Generalmente, le DGPV sono favorite da
ET
un’elevata energia di rilievo, con versanti acclivi, ben sviluppati in altezza e
modellati in rocce competenti; da condizioni morfo-climatiche favorevoli
all’erosione incanalata; da elevata sismicità; da tettonica attiva o recentemente
attiva. Si tratta di caratteri riscontrabili in molte aree dell’Appennino
G
Settentrionale e anche in questo Foglio.
Ci sono comunque molti punti in comune tra le frane e le DGPV, che non di
rado rendono difficoltoso discriminare i due fenomeni. In sostanziale accordo
O
con SORRISO-VALVO (1995), una frana presenta una superficie o zona di rottura
individuabile o ricostruibile con buona continuità, mentre tale superficie non è
G
rilevabile o non è indispensabile per spiegare i fenomeni superficiali di una
PR
DGPV; ciò è in accordo anche con HUTCHINSON (1988), che considera DGPV
quei “movimenti profondi che, nel loro attuale stato di sviluppo, non
AR
giustificano una classificazione come frane”. Questo criterio, non del tutto
scevro da ambiguità, si applica meglio ai colamenti di roccia e ad alcuni tipi di
espansione. Gli scivolamenti e la maggior parte dei fenomeni di espansione
potrebbero meglio collocarsi tra le frane, essendo caratterizzati da spostamenti
lungo superfici più o meno continue e facilmente identificabili; tuttavia, la
C
dislocate e deformate dalla DGPV, che copre una superficie molto ampia tra
Montagnana e la sommità del Poggio Lagacciolo, alle pendici del M. Bersano;
la zona coinvolta si allunga in direzione nordsud per oltre 4 km, con larghezza
massima superiore a 2 km, tra le quote di 272 m e 956 m. La superficie
topografica interessata è quindi assai vasta, intorno ai 6 km2. Anche il dislivello
altimetrico è notevole e si avvicina ai 700 m. Questa DGPV interessa
esclusivamente le arenarie del Macigno, che hanno qui un assetto strutturale
TO
riconducibile ad una blanda sinclinale, con asse in direzione nord-
nordovest/sud-sudest. Gli indizi morfologici principali sono costituiti da trincee,
ovvero depressioni suborizzontali allungate trasversalmente alla linea di
massima pendenza, da aree subpianeggianti o in contropendenza rispetto al
versante e da scarpate e rotture di pendio, che permettono di individuare i
ET
numerosi blocchi che smembrano l’ammasso roccioso.
Alcune trincee sono particolarmente evidenti, come quelle in prossimità del
Poggio Lagacciolo. Quella a quota più elevata, ca. 900 m, è lunga più di 200 m,
mentre la larghezza supera i 50 m. Un’altra si trova a circa 770 m di quota ed ha
G
dimensioni leggermente superiori. Lo stesso toponimo “Lagacciolo” suggerisce
un luogo con ristagno delle acque di ruscellamento, a formare impaludamenti e
laghetti a causa delle contropendenze. Infatti, le depressioni in corrispondenza
O
delle due trincee mostrano ancora qualche difficoltà di drenaggio; inoltre, nella
trincea inferiore sono riconoscibili anche depositi di tipo palustre, ad ulteriore
G
conferma di queste considerazioni. Una situazione simile è riconoscibile sul
PR
3. - IDROGEOLOGIA 1
TO
permeabilità, decrescente con la profondità (Macigno, Arenarie di Monte
Modino e Arenarie di Monte Cervarola), non sono state osservate importanti
sorgenti, in quanto le loro portate non superano nei periodi di morbida qualche
litro al secondo. Tali sorgenti sono ubicate nella maggior parte dei casi in
prossimità dei contatti con le sovrastanti rocce argillitiche della Formazione di
ET
Sillano, lungo superfici di faglia o di frattura. La Formazione di Monte Morello,
anche se dotata di buona permeabilità, nelle poche emergenze riscontrate non
fornisce portate tali da soddisfare le esigenze legate al consumo domestico di
una cittadina anche di piccole dimensioni, a causa delle ridotte superfici di
G
affioramento e quindi di ricarica.
Nelle aree di pianura del Foglio Pistoia la grande ricchezza d’acqua presente
nel sottosuolo ha invece permesso, attraverso lo sfruttamento delle falde
O
1
Argomento discusso con F. Capecchi
121
TO
Per consentire una più agevole comprensione dell’idrogeologia strutturale
nelle pianure suddette, è opportuno dunque riassumere prima la struttura
geologica a cui fare poi riferimento.
ET
3. 1 . 1. 1. - La pi a nura di Pesci a- M ont ecati ni Terme
È limitata ad est dal Monte Albano, a sud dalla bassa pianura dell’Arno
(Foglio 274 Empoli), a ovest dalle colline delle Cerbaie, che la separano dalla
G
piana di Lucca, ed a nord dalle propaggini appenniniche, unità geografiche che
verranno trattate insieme, dal punto di vista geologico e geologico-evolutivo,
fino al Pleistocene superiore.
O
TO
Toscana ed alle Liguridi Esterne.
Nella depressione tettonica, dove si colloca la pianura suddetta, si è
sviluppato un ambiente di sedimentazione particolare sin dal momento della sua
individuazione al Pliocene inferiore (PUCCINELLI, 1992): a nord di una linea
ideale, che si individua tra S. Ginese ad ovest e Lamporecchio a est, trova posto
ET
un ambiente di sedimentazione lacustre del Villafranchiano medio-superiore
(ciclo lacustre di Lucca-Montecarlo-Vinci); a sud di tale linea si sviluppano
depositi di ambiente marino e salmastro del Pliocene inferiore e medio (ciclo
marino pliocenico dell’Elsa-Pesa-Cerreto Guidi) con uno spessore di circa 500
G
m, su cui giacciono i depositi villafranchiani.
Dopo il ciclo fluviale del Pleistocene medio (ciclo delle Cerbaie), che aveva
interessato la pianura di Montecatini Terme ed i cui resti sono ancora visibili
O
quelli del Monte Albano, probabilmente durante il Würm II; superiormente sono
presenti argille, limi e limi sabbiosi con intercalazioni di torba, che costituiscono
i depositi olocenici del lago di Fucecchio;
- nella porzione settentrionale della pianura, al di sotto di un substrato
formato ora dai depositi continentali villafranchiani (zona di Borgo a Buggiano)
ora dal tetto dell’Unità tettonica della Falda Toscana o dalle Unità Liguri (zona
di Montecatini Terme) si trovano sedimenti, riferibili con tutta probabilità al
Würm II, costituiti da limi, sabbie e argille, spesso con intercalazioni di ciottoli.
123
3. 1 . 1. 2. - La pi a nura di Pist oi a
TO
ghiaie, mentre inferiormente sedimenti lacustri, di età villafranchiana
appartenenti ad un bacino intermontano, originatosi come tanti altri in Toscana
Settentrionale ed in Liguria meridionale (Barga, Castelnuovo di Garfagnana,
Aulla-Olivola, Pontremoli, Sesta Godano, Sarzana, Lucca-Montecarlo-Vinci,
Mugello, Valdarno, ecc.), in conseguenza della distensione mio-pliocenica.
ET
Per la ricostruzione della copertura della pianura, CAPECCHI & PRANZINI
(1986), hanno potuto utilizzare solo colonne litostratigrafiche di pozzi per acqua
poco dettagliate e di interpretazione assai difficile. Pertanto, tali Autori non
hanno ritenuto corretto distinguere i sedimenti lacustri e palustri da quelli
G
alluvionali più recenti, ma li hanno accorpati. Si pensa tuttavia, in analogia con
la pianura di Pescia-Montecatini Terme, che le alluvioni possano raggiungere
una potenza di circa 30-40 m.
O
Il substrato pre-lacustre (fig. 20) comprende nella zona nord l’Unità tettonica
Morello (Formazione di Sillano e di Formazione di Monte Morello), che va a
G
ricoprire le Unità toscane (Unità tettonica della Falda Toscana e Unità tettonica
PR
Cervarola).
AR
C
Fig. 20 - Sezione geologica attraverso la pianura di Pistoia (da CAPECCHI & PRANZINI, 1986).
1) Alluvioni recenti e depositi fluvio-lacustri; 2) Formazione di Monte Morello; 3) Formazione di
Sillano; 4) Macigno; 5) Arenarie di Monte Cervarola.
TO
geologica, decrescente da nord-nordovest a sud-sudest: ciottoli e ghiaie sono
sostituiti da sabbie, limi e argille.
L’apporto detritico si è avuto principalmente per opera del T. Ombrone e di
alcuni suoi affluenti, che per il brusco cambio di pendenza, in corrispondenza
dello sbocco nella pianura, depositavano gran parte del carico solido. I litotipi
ET
rappresentati nei depositi fluviali appartengono alle formazioni che affiorano nei
bacini idrografici ed in particolar modo alle arenarie (Macigno, Arenarie di
Monte Modino e Arenarie di Monte Cervarola) e secondariamente ai calcari
(Formazione di Monte Morello).
G
G
3. 1 . 2. 1. - La pi a nura di Pesci a- M ont ecati ni Terme
PR
base al loro grado di permeabilità. Per facilitarne la lettura, queste unità sono
state raggruppate sulla base della loro altezza stratigrafica.
Substrato profondo
Nel loro complesso, le unità liguri, escluse alcune formazioni carbonatiche
(Formazione di Monte Morello), peraltro arealmente molto ristrette, hanno una
bassa permeabilità, per la diffusa presenza di formazioni prevalentemente
argillitiche (Formazione di Sillano). Le Arenarie di Monte Cervarola hanno una
permeabilità secondaria piuttosto limitata. L’Unità tettonica della Falda Toscana
può presentare situazioni alquanto diversificate a seconda delle caratteristiche
litologiche delle diverse formazioni: il Macigno e le Arenarie di Monte Modino,
125
TO
un’alta permeabilità secondaria per fratturazione e per carsismo. Nell’area
termale di Montecatini Terme, infine, le emergenze più importanti della falda
termominerale profonda si trovano in corrispondenza della formazione dei
Diaspri, che presentano un altissimo grado di fratturazione.
ET
Substrato neogenico
I depositi marini del Pliocene inferiore, presenti nella parte centrale e
meridionale della pianura, essendo costituititi prevalentemente da argille e
argille-sabbiose, hanno generalmente bassa permeabilità. I depositi salmastri del
G
Pliocene medio (comprendenti ghiaie, sabbie, limi e argille) dispongono infine
di una permeabilità media, localmente bassa. Va ricordato che a nord il Pliocene
marino-salmastro non si è sedimentato, per cui al di sopra del substrato
O
Montecatini Terme non sono mai stati segnalati sedimenti riferibili ai depositi
delle Cerbaie, probabilmente erosi da cicli fluviali successivi. Esso è invece
largamente rappresentato nell’area delle Cerbaie; i livelli discontinui di ghiaie e
sabbie, spesso in abbondante matrice limoso-argillosa, intercalati a limi e
argille, hanno una permeabilità media, localmente bassa.
Depositi alluvionali
Nella zona nord-occidentale della pianura, al di sopra dei depositi lacustri
villafranchiani, è presente un orizzonte di ghiaie molto permeabili, dello
spessore di circa 100 m, deposte dalle conoidi dei torrenti Pescia di Pescia,
Pescia di Collodi e Nievole, provenienti dalle aree montagnose prospicienti la
126
pianura (Montagna Pistoiese) e dei torrenti discendenti dal Monte Albano. Tali
conoidi, che verso sud non superano all’incirca la linea dell’autostrada Firenze-
Mare, sono degli ottimi acquiferi per la loro elevata perneabilità e per la grande
quantità d’acqua contenuta. I depositi alluvionali più recenti, costituiti
prevalentemente da argille e da livelli discontinui e poco potenti di sabbie e
ghiaie, presenti queste ultime soprattutto in corrispondenza dello sbocco in
pianura dei torrenti Pescia di Collodi, Pescia di Pescia e Nievole, sono da
TO
considerare a permeabilità variabile e quindi acquiferi modesti e molto
localizzati. Le aree di ricarica di queste unità idrogeologiche sono da ricercare
nella fascia che separa la collina dalla pianura, quando trovano alimentazione
diretta dai torrenti che sboccano nella pianura (Pescia di Pescia, Pescia di
Collodi, Nievole), oppure dalle formazioni più permeabili del substrato.
ET
Nella pianura di Pescia-Montecatini Terme non è possibile quindi parlare di
un unico acquifero, ma di un acquifero multistrato, fortemente condizionato
dalla struttura della pianura stessa, che ha un asse disposto in senso appenninico
G
ed immergente verso sud-sudest.
O
3. 1 . 2. 2. - La pi a nura di Pist oi a
G
Nella pianura di Pistoia sono presenti sedimenti alluvionali riferibili agli
PR
Substrato profondo
C
Substrato neogenico
Nella parte più meridionale della pianura, ai piedi della dorsale di Monte
Albano, il substrato comprende sedimenti prevalentemente argillosi e dotati
quindi di bassa permeabilità, riferibili al ciclo lacustre del bacino Firenze-Prato-
Pistoia. In affioramento, alla base dei depositi continentali, sono stati distinti dei
conglomerati in matrice sabbiosa (Conglomerati di Vinci), dotati di media
127
Depositi alluvionali
Come precedentemente accennato, non solo non è stato possibile distinguere
i depositi lacustri da quelli alluvionali, ma è stato altrettanto impossibile
TO
correlare su grande scala i livelli grossolani presenti al loro interno, derivanti
dalle conoidi dei Torrenti Ombrone, Brana, Bure ed Agna, per mancanza di
continuità laterale e verticale. Dai dati delle ricerche freatimetriche di CAPECCHI
& PRANZINI (1986) risulta l’esistenza di molti livelli permeabili, a luoghi in
comunicazione tra loro, che danno origine ad un acquifero multistrato. È
ET
presente in tutta l’area studiata una falda freatica superficiale con il livello di
base a circa 12-15 m di profondità, spesso ricettacolo di materiali inquinanti
provenienti da scarichi fognari e industriali, il cui livello piezometrico si trova a
5-6 m dal piano campagna nei periodi meno piovosi. L’alimentazione è
G
prevalentemente dal margine settentrionale del bacino in prossimità del contatto
pianura-montagna.
Gli assi di drenaggio delle falde sotterranee sono prevalentemente
O
coincidenti con i corsi d’acqua (T. Ombrone, T. Agna, T. Stella), così come le
zone di migliore produttività idrica corrispondono ai paleoalvei. Nelle rocce del
G
substrato le zone di produttività idrica possono essere reperite all’interno della
PR
delle falde acquifere per gli apporti derivati da scarichi fognari, attività
industriale ed agricola.
I numerosi studi su questo tema, iniziati da molti anni nella pianura di
Montecatini Terme, hanno concluso che praticamente tutte le acque superficiali
della Val di Nievole, e conseguentemente quelle del Padule di Fucecchio in cui
confluiscono, sono più o meno compromesse dall’apporto di sostanze
inquinanti. Questo inquinamento è vario e diffuso e come cause vengono ancora
indicati scarichi e sversamenti domestici (liquami e tensioattivi anionici),
industriali (frantoi, concerie e, soprattutto per i due torrenti Pescia, cartiere) ed
agricoli (fertilizzanti e pesticidi collegati con l’attività floro-vivaistica e, per il F.
Nievole, liquami di allevamenti suinicoli). Queste acque contaminate
128
TO
era piuttosto bassa e tendeva ad aumentare verso est, come nelle vicinanze di
Monsummano Terme, Castelmartini e Ponte di Masino. Successive misurazioni
del rapporto Na/K hanno confermato i risultati di questa campagna volta ad
accertare il grado di conducibilità delle acque: in particolare ad un alto valore di
conducibilità corrisponde un valore elevato del rapporto Na/K oppure un
ET
aumento notevole delle concentrazioni di sali di Na e di K. Le anomalie
osservate nell’area a sud di Pescia sono dovute alle acque dei due torrenti
Pescia, in cui, come detto, vengono convogliati gli scarichi delle cartiere; anche
a sud di Monsummano Terme le anomalie possono essere imputate ad attività
G
industriali (industrie alimentari, macelli, cartiere).
Purtroppo si ha un effetto contaminante delle acque dei torrenti sulle acque
di falda, quando queste vengono a contatto, soprattutto nella fascia
O
essere contaminati soprattutto dalle acque dei due torrenti Pescia, gli acquiferi
profondi invece, in particolare quelli situati negli intervalli sabbiosi della
AR
successione marino-salmastra del Pliocene inferiore e medio, non sembrano
essere esposti al rischio di inquinamento.
L’attività floro-vivaistica, presente anche nella pianura di Pistoia, è
anch’essa causa di inquinamento. La L. 319 (“Legge Merli”), promulgata nel
1976 e che ha trovato nel 1986 la sua completa attuazione, ha fatto riscontrare i
C
TO
anche se non perfettamente identiche.
Per una migliore comprensione dell’origine delle acque e dei loro movimenti
in profondità, è opportuno tracciare uno schema di circolazione generale ed uno
locale.
ET
3.3.1. - Schema di circolazione generale
individuata negli affioramenti calcarei della Val di Lima, posti a circa 20-25 km
a nord-est di Montecatini Terme (fig. 21) con possibili contributi dalla
G
formazione del Macigno; le acque scorrono in direzione sud e ovest ad una certa
PR
TO
ET
G
O
G
PR
AR
C
Fig. 21 - Carta geologica schematica e sezione tra la Val di Lima e Montecatini Terme (da BRANDI
et alii, 1967).
131
TO
La faglia diretta è ritenuta da tutti gli Autori la via preferenziale di venuta a
giorno delle acque sotterranee: lungo la sua direzione si ubicano infatti la
maggior parte delle sorgenti, fra cui Tamerici e Leopoldine sono le più
mineralizzate. Anche tutta l’area di affioramento dei Diaspri al di sotto delle
coperture si può ritenere come area di risalita delle acque profonde;
ET
successivamente queste acque si infiltrano nei sedimenti permeabili della
copertura post-villafranchiana, miscelandosi negli intervalli ghiaiosi e sabbiosi
con quelle di provenienza superficiale. L’allineamento delle sorgenti Regina e
Tettuccio trova probabilmente la sua giustificazione nel contatto sotterraneo tra
G
Scaglia e Diaspri.
Anche le acque delle sorgenti di Monsummano Terme hanno la stessa
origine di quelle di Montecatini Terme, variando solo la loro modalità di venuta
O
a giorno; le due più importanti sorgenti (Parlanti e Giusti) si ubicano sul fianco
sud-occidentale dell’alto tettonico di Monsummano Terme in corrispondenza di
G
una faglia diretta a direzione appenninica con un importante rigetto (forse più di
PR
un’unica “acqua madre“ da parte delle acque di una falda superficiale, anche se
non proprio la più superficiale (BRANDI et alii, 1967). La composizione chimica
del residuo salino, a differenza del contenuto salino, è invece notevolmente
costante e risente molto poco della variazione di portata delle sorgenti, che
risalgono attraverso la pianura, determinando degli alti piezometrici .
Le acque termominerali di Monsummano Terme vengono alla luce in
corrispondenza di due sorgenti: Giusti e Parlanti. Le rispettive composizioni
TO
chimiche e caratteristiche fisiche presentano notevoli analogie fino alla
sostanziale identità; al contrario delle acque di Montecatini Terme, inoltre, le
acque termominerali di origine profonda di Monsummano Terme subiscono una
scarsa diluizione, soprattutto perché, venendo a giorno in corrispondenza delle
faglie, non hanno mescolamenti con le acque di falde superficiali.
ET
Il residuo secco delle due acque oscilla tra 1,8 e 1,95 g/l, notevolmente
inferiore quindi a quello di Montecatini Terme; il minore contenuto di cloruri
inoltre fa ritenere probabile per Monsummano Terme un diverso chimismo della
componente profonda, dovuto probabilmente al mancato attraversamento delle
G
lenti di salgemma nelle evaporiti triassiche.
La presenza di piccole quantità di Pb, Ni e Cr nel chimismo delle acque di
Montecatini Terme e considerazioni derivate dai valori di composizione
O
riserva sotterranea.
AR
C
Fig. 22 - Carta geologica del substrato pre-Plio-Pleistocene superiore e ubicazione delle principali
sorgenti termali di Montecatini Terme (da PUCCINELLI et alii, 2000).
133
TO
ET
VIII - APPENDICE BIOSTRATIGRAFICA
G
1. INTRODUZIONE
O
hanno contribuito a obliterare il record fossile, che in alcune formazioni (per es.
Calcare selcifero di Limano, Maiolica) era già stato depauperato o impoverito
AR
dai processi tafonomici. In altre formazioni il contenuto fossile era invece scarso
o addirittura assente già durante la sedimentazione (per es. Argille e calcari di
Canetolo, Calcare selcifero della Val di Lima, Macigno). Pertanto l’attribuzione
delle età alle formazioni cartografate non è stata sempre un’operazione facile,
soprattutto quando essa è stata ricavata dalla letteratura. Proprio in funzione dei
C
dati utilizzati e delle età attribuite è stata elaborata la tab. 2, in cui sono riportate
le età delle formazioni affioranti nel Foglio sulla base dei dati di letteratura, dei
risultati originali ottenuti dagli scriventi durante la realizzazione di questo
Foglio e di altri dell’Appennino Settentrionale (233 Pontremoli, 234 Fivizzano e
250 Castelnuovo di Garfagnana), oppure in aree limitrofe.
Per quanto riguarda le età desunte dalla letteratura, queste possono essere
raggruppate in età antecedenti ed età successive agli anni ’80. Per le formazioni
datate prima degli anni ’80, le età sono sostanzialmente basate sui foraminiferi
(per es. Scaglia toscana) ed in subordine sui radiolari (per es. Diaspri) o le
calpionelle (per es. Maiolica). La maggior parte di queste datazioni è stata
acquisita negli anni ’60 e ’70, nell’ambito della realizzazione della Carta
134
TO
ET
G
O
G
PR
AR
Purtroppo in molti casi l’attribuzione si basava non su associazioni
fossilifere, ma su pochi individui spesso riconosciuti in un numero molto
limitato di campioni. Inoltre, le specie utilizzate o la posizione dei campioni
sono, in alcuni casi, di difficile o dubbia interpretazione. I dati acquisiti dopo gli
C
TO
Calcare selcifero di Limano, dei Calcari e marne a Posidonia e della parte alta
delle Marne di Marmoreto per l’Unità tettonica della Falda Toscana. Inoltre,
proprio grazie allo studio delle associazioni a nannofossili calcarei, è stato più
agevole riconoscere la presenza dell’Unità tettonica Ottone.
2. SCHEMI
ET
BIOSTRATIGRAFICI UTILIZZATI BASATI SUI
NANNOFOSSILI CALCAREI
G
Poiché le formazioni indagate coprono un ampio intervallo di tempo, è stato
necessario l’uso di schemi biostratigrafici (“Zonazioni Standard”) basati su
associazioni ed eventi a nannofossili calcarei del Giurassico inferiore, del
O
Nel testo che segue le biozone (vedi PERCH-NIELSEN, 1985a, 1985b, cum
bibl.) sono contrassegnate da una sigla (NJ = Nannoplankton Jurassic, CC =
Coccoliths Cretaceous, NP = Nannoplankton Paleogene, NN = Nannoplankton
Neogene) e da un numero progressivo (NJ5, NJ6; CC21, CC22; NP12, NP13;
NN1, NN2; ecc.). Le zone di CATANZARITI et alii (1997) e FORNACIARI & RIO
(1996) sono indicate come MNP quelle del Paleogene e come MNN quelle del
Neogene.
TO
3. ETÀ RICAVATE DALLA LETTERATURA
TO
Calcivascularis jansae WIEGAND (1984)
Calculites obscurus (DEFLANDRE, 1959) PRINS & SISSINGH in SISSINGH
(1977)
Carinolithus superbus (DEFLANDRE, 1954) PRINS in GRÜN et alii (1974)
Ceratolithoides aculeus (STRADNER, 1961) PRINS & SISSINGH in SISSINGH
ET
(1977)
Coccolithus cavus HAY & MOHLER (1967)
Coccolithus pelagicus (WALLICH, 1877) SCHILLER (1930)
Crepidolithus crassus (DEFLANDRE in DEFLANDRE & FERT, 1954) NOËL
G
(1965)
Cretarhabdus angustiforatus BLACK (1971)
Cretarhabdus crenulatus (BRAMLETTE & MARTINI, 1964) GRÜN in GRÜN &
O
ALLEMANN (1975)
Cribrocentrum reticulatum (GARTNER & SMITH, 1967) PERCH-NIELSEN
G
(1971)
PR
TO
& MARTINI (1964)
Nannotetrina cristata (MARTINI, 1958) PERCH-NIELSEN (1971)
Parhabdolithus liasicus DEFLANDRE (1952)
Prinsius bisulcus (STRADNER, 1963) HAY & MOHLER (1967)
Prinsius martinii (PERCH-NIELSEN, 1969) HAQ (1971)
ET
Pseudotriquetrorhablus inversus (BUKRY & BRAMLETTE, 1969) WISE in
WISE & CONSTANS (1976)
Reticulofenestra daviesi, (HAQ, 1968) HAQ (1971)
Reticulofenestra umbilica (LEVIN, 1965) MARTINI & RITZKOWSKI (1968)
G
Sphenolithus ciperoensis (KAMPTNER, 1931) BRAMLETTE & WILCOXON
(1967)
Sphenolithus delphix BUKRY (1973)
O
4.2. FORAMINIFERI
TO
Turrispirillina altissima PIRINI (1965)
Turrispirillina conoidea (PAALZOW, 1927) CUSHMAN (1927)
4.4. INVERTEBRATI
G
Cardium LINNAEUS (1758)
Cladochora LINNAEUS (1767)
O
4.5. MAMMIFERI
C
PR
O
G
C ET
AR TO
G
141
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