Storie Del West
Storie Del West
Storie Del West
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Storie del West
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STORIE DEL WEST
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Storie del West
INDICE
005 Introduzione
006 La banda degli innocenti di Bannack
011 La grande galoppata di Portugee Phillips
021 Le “Boom Towns”
024 Caccia all’oro in California
030 I pistoleri
045 Una trave ad Adobe Walls
048 Wild Bill Hickok, la sua storia
059 Ulzana, il grande guerriero Apache
065 La Gens di Petun
070 L’irriducibile Rafael
080 Il sanguinoso raid di Chatto
088 Il lungo esilio di Toro Seduto in Canada
107 L’ultima scorreria di Geronimo
110 Il sogno di Naso Romano
114 Lo scalpo
119 Comanche War Trail
123 Il processo e l’esecuzione dei ribelli Dakota nel 1862
137 La battaglia di Little Big Horn
149 La battaglia di Wolf Mountain
161 La guerra dei Modoc
174 La battaglia di Betonville
178 La battaglia di Gettysburg
190 E’ guerra a Chickamuga
202 Le vivandiere della Guerra Civile
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Storie del West
STORIE DEL WEST
Dedicato a tutti gli amici che con
impegno hanno reso e rendono
possibile la grande avventura
divulgativa di Farwest.it
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Storie del West
INTRODUZIONE
Sergio Mura
Autore di Farwest.it
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Storie del West
La banda degli Innocen9 di Bannack
A cura di Mario Raci,
Il Goodrich Hotel a Bannack
fuorilegge e malintenzionati vari.
L’anarchia dilagò, e le rapine e gli assassinii divennero episo‐
di quotidiani.
Plummer organizzò allora una banda, nominandola “Gli In‐
nocenti”, e iniziò una serie di rapine e assalti ai viaggiatori
carichi d’oro provenienti dai campi auriferi del Montana. Gli
“Innocenti” divennero subito una banda unita tanto da stabi‐
lire una parola d’ordine, in modo che i componenti potessero
riconoscersi l’un l’altro.
Una notte, mentre Plummer era intento a bere al “Goodrich
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Storie del West
Saloon”, Jack Cleveland, suo vecchio nemico, iniziò a fare illa‐
zioni sulle attività criminali dell’ex sceriffo.
Quando quest’ultimo, seccato, gli intimò di smetterla e Cleve‐
land continuò ugualmente a sputare accuse, Plummer
estrasse la pistola e sparò un colpo d’avvertimento. Come
risposta, Cleveland tirò fuori la sua pistola ma Henry fu più
veloce e lo ferì mortalmente. Agonizzante, Cleveland venne
portato a casa del macellaio Hank Crawford, due porte prima
del saloon. Crawford ascoltò le ultime parole di Cleveland,
che continuò ad accusare Plummer. Tre ore dopo Cleveland
morì, e Plummer venne arrestato. Ma venne ancora una volta
assolto grazie alla testimonianza di un uomo, che disse che
l’ex sceriffo era stato minacciato da Cleveland.
Nella tarda primavera del 1863, oltre 10.000 cercatori d’oro
stazionavano lungo le rive del Grasshopper Creek, e il caos a
Bannack raggiunse dimensioni mai viste.
Così i cittadini, spaventati, decisero di organizzare le elezioni
per nominare uno sceriffo: Plummer e il macellaio Crawford
si offrirono volontari. Quest’ultimo vinse le elezioni a disca‐
pito di Plummer, e ciò fece saltare i nervi all’ex sceriffo, che si
recò dal neo eletto armato di uno shotgun. Quando l’aiutante
di Crawford lo vide, gli sparò alla mano destra, che impugna‐
va l’arma, ma Plummer continuò imperterrito a sparare con
la sinistra, e con una precisione micidiale. Spaventato, Hank
Crawford si tolse il distintivo e lasciò per sempre Bannack.
Nelle nuove elezioni, Plummer vinse e diventò uf_icialmente
sceriffo il 24 Maggio 1863. Nominò rapidamente aiutanti i
suoi amici Buck Stinson e Ned Ray.
Sconosciuto alla gente di Bannack, il gruppo capeggiato da
Plummer era nel frattempo cresciuto, arrivando a contare
più di 100 elementi. Ma per Bannack, la nomina di Henry
Plummer a sceriffo portò ad un risultato completamente op‐
posto a quello desiderato. Infatti, la cittadina divenne ancora
più violenta: nei cinque mesi successivi all’elezione di
Plummer, più di 100 cittadini vennero uccisi.
Il 20 Giugno 1863, Henry ed Electa si sposarono e andarono
a vivere nella loro casa di tronchi a Bannack. Ma la loro unio‐
ne non durò molto: meno di tre mesi dopo Electa lasciò la
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Storie del West
del secolo, un gruppo di ragazzi staccare la testa di Plummer
dal corpo e portarla al “Bank Exchange Saloon”, dove rimase
_in quando l’edi_icio non bruciò per un incendio con tutto il
suo contenuto. Anni dopo, uno sconosciuto dottore ritrovò il
teschio di Henry e lo spedì ad un centro di studio per cercare
di capire il perchè della malvagità di Plummer.
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Storie del West
La grande galoppata di Portugee Phillips
A cura di Domenico Rizzi
Fort Phil Kearny
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Storie del West
vita in una delle più straordinarie missioni della storia della
Frontiera.
L’episodio più tragico della breve esistenza di Fort Kearny
accadde il 21 dicembre 1866, nello scenario polare creato
dal rigido inverno del Wyoming.
Un gruppo di 14 taglialegna venne sorpreso dai Sioux al di
fuori dall’avamposto e fu quasi annientato, tant’è che soltan‐
to un uomo riuscì a mettersi in salvo, Carrington decise di
inviare un reparto, il cui comando venne perentoriamente
reclamato dall’ardito capitano William J. Fetterman, un im‐
pulsivo uf_iciale che si fregiava del grado onorario di tenente
colonnello. Invano il comandante di Fort Kearny gli racco‐
mandò di limitarsi a respingere gli Indiani, senza inseguirli.
Fetterman uscì dal forte con 76 soldati e 2 uf_iciali il capitano
Frederick Brown e il tenente George Drummond, marito di
Frances Courtney. Al gruppo si unirono i civili Isaac Fisher e
James Weathley, portando così ad 81 i componenti della
squadra di soccorso.
Avvezzi da sempre a questo tipo di tattica, più volte messa in
pratica con successo contro tribù indiane avversarie e uomi‐
ni bianchi, i Sioux di Nuvola Rossa e i loro alleati Cheyenne
avevano predisposto con cura la più classica delle trappole
indiane. Di fronte all’avanzata dei soldati, si ritirarono preci‐
pitosamente, attirando Fetterman e i suoi uomini in un luogo
distante poche miglia da Fort Kearny, dove centinaia di guer‐
rieri aspettavano nascosti.. Ad un segnale convenuto, gli In‐
diani piombarono addosso all’ignaro reparto, circondandolo
da ogni lato senza alcuna possibilità di scampo. Benché i 27
uomini del Secondo Cavalleria di Grummond fossero armati
con fucili Spencer a ripetizione e i due scout disponessero di
carabine Henry, il drappello fu quasi subito sopraffatto e di‐
strutto completamente.
Quando Carrington comprese ciò che stava accadendo, man‐
dò fuori il capitano Ten Eyck con 54 soldati per soccorrere i
malcapitati, ma gli uomini di rinforzo non trovarono alcun
superstite. Ai 13 taglialegna uccisi, si erano aggiunti gli 81
uomini periti nell’imboscata, per cui il comandante della
guarnigione stilò un allarmato messaggio per il generale Phi‐
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Storie del West
ghese. John prese con sé il suo fucile Spencer con 100 colpi di
scorta, in_ilò due pistole Colt e un coltello “bowie” nella cin‐
tura e si fece assegnare un’abbondante razione di gallette,
oltre ad un sacco di avena per il cavallo.
Si era accollato l’ingrato compito per la salvezza di tutti, ma
dalle memorie di Frances Courtney, si comprende quanto
avesse a cuore la salvezza della ragazza. Infatti, si recò a salu‐
tarla con le lacrime agli occhi, dicendole: “Sto andando a Fort
Laramie per chiedere aiuto…anche se mi costerà la vita. Vado
per amor vostro. “ Quindi, porgendole un abito di pelle di lu‐
po, aggiunse: “Ve l’ho portato perché lo accettiate, come un
ricordo di me, se non doveste più rivedermi.” (Frances C.
Carrington, “My Army Life and the Fort Phil Kearny Massa‐
cre”).
Il viaggio del corriere iniziò all’alba del 23 dicembre e durò
tre giorni e due notti.
La prima tappa fu quella di Fort Reno, un avamposto abban‐
donato nel 1865 e ripristinato da Carrington pochi mesi do‐
po. Qui il tenente colonnello Henry W. Wessels incaricò Phil‐
lips di recare un ulteriore messaggio al colonnello Innis N.
Palmer di Fort Laramie.
Sebbene la delicata missione sia passata alla storia come una
solitaria prodezza di Phillips, alcune fonti sostengono che i
suoi due compagni lo avessero accompagnato da Fort Kearny
ad Horseshoe, come confermò il telegra_ista della stazione,
che li vide sopraggiungere alle 10 del mattino del giorno di
Natale. Dopo che l’operatore della stazione telegra_ica ebbe
trasmesso il dispaccio di Carrington a Omaha, quartier gene‐
rale del Dipartimento Militare del Platte e a Washington, Por‐
tugee ripartì in direzione sud.
Non è suf_icientemente dimostrato che Bailey e Dixon fosse‐
ro rimasti con lui anche in questa seconda parte del viaggio.
John Johnson, un eccentrico cacciatore conosciuto come
“Mangiafegato” per l’abitudine di cibarsi il fegato degli India‐
ni Crow da lui uccisi, raccontò di avere incontrato il porto‐
ghese da solo, stremato dalla fame e dal freddo. In quell’oc‐
casione, Phillips accettò di mangiare una bistecca di antilope
insieme all’ospite e ad un certo Beider di Virginia City, con‐
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Storie del West
privo di sensi.
Fort Philip Kearny ricevette 200 uomini di rinforzo ed una
partita di fucili “Spring_ield‐Allin”, ricaricabili in pochi se‐
condi, con i quali il maggiore James W. Powell avrebbe in_lit‐
to una dura lezione ai Sioux nell’agosto del 1867, costrin‐
gendoli a ripiegare con almeno 60 morti.
Nonostante ciò, nell’aprile 1868 il governo americano _irmò
un trattato con Nuvola Rossa, restituendo il territorio conte‐
so alla sua gente e ordinando l’evacuazione dei due avampo‐
sti. Alla _ine di luglio, Fort Kearny e Fort Smith vennero ab‐
bandonati nelle mani degli Indiani, che sfogarono il loro ran‐
core appiccando il fuoco a palizzate e caserme.
Carrington, ritenuto responsabile della perdita di Fetterman
e del suo reparto, fu sostituito dal tenente colonnello Henry
W. Wessels e trasferito altrove.
Frances Courtney, che era incinta di pochi mesi, se ne tornò
all’Est portandosi dietro le spoglie del marito, il tenente
Grummond. Quando Carrington, rimasto a sua volta vedovo
nel 1870, ricevette le sue condoglianze, iniziò con la donna
una _itta corrispondenza, che si concluse con il matrimonio
undici mesi più tardi.
John Phillips, rimasto a Fort Kearny _ino alla de_initiva eva‐
cuazione, se ne andò ad Elk Mountain, ad ovest della odierna
città di Laramie, dove lavorò per un certo periodo al servizio
della ferrovia Union Paci_ic. Più tardi mise su un ranch vicino
al torrente Chugwater, nel Wyoming e si _idanzò con Hattie
Buck, una graziosa ragazza dell’Indiana, che accettò di spo‐
sarlo nel 1870. Dall’unione nacque un _iglio, chiamato Paul
Revere, in onore dell’eroe della guerra d’indipendenza che
nel 1775 aveva compiuto una cavalcata notturna non meno
gloriosa di quella di Phillips. Due anni dopo, una banda di
Sioux portò via a Portugee molti capi di bestiame, ma soltan‐
to nel 1878 l’avventuroso “frontiersman” decise di trasferirsi
nella città di Cheyenne, per condurre, dopo tante vicissitudi‐
ni, un’esistenza più tranquilla.
Da quella data, John Portugee Phillips visse ancora cinque
anni, ripensando spesso all’avventurosa cavalcata di cui si
era già impossessata la leggenda.
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Storie del West
La donna per cui aveva messo a repentaglio la sua vita, Fran‐
ces Courtney, morì di una lenta malattia nell’ottobre del
1911. Il suo secondo marito, Henry B. Carrington, più anzia‐
no di lei di 21 anni, si spense esattamente un anno dopo.
Hattie Buck Phillips, la moglie di Portugee, ebbe una vita
lunghissima, lasciando questo mondo nel 1936, all’età di 94
anni. Per oltre mezzo secolo aveva vissuto come la vedova di
un mito.
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Storie del West
Le “boom‐towns”
A cura di Luca Barbieri
Dawson, la classica “boomtown”
spanna e verde come un folletto irlandese.
Il record nel settore spetta senza alcun dubbio a Guthrie
(Oklahoma), edi_icata nel 1889, in un giorno soltanto, da die‐
cimila pionieri sciamati come locuste in un territorio strap‐
pato agli indiani e poi concesso dal governo ai primi che se
ne fossero appropriati.
Lo spettacolo, all’alba di quella mattina d’Aprile, dovette es‐
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Storie del West
Ancora una rara foto di “boom town”
speciale di Tex Willer edito dalla Sergio Bonelli).
Ma questi scoppi improvvisi di dinamite spesso non soprav‐
vivevano oltre il diradarsi della povere dell’esplosione; come
dire che le città venivano abbandonate altrettanto rapida‐
mente di come erano state costruite.
Ci sono eccezioni importanti, certo: Dodge City o Denver, ad
esempio, o addirittura San Francisco, che nel giro di un anno
passò da 500 a 25.000 abitanti, trasformandosi dall’insigni_i‐
cante villaggio spagnolo di Yerba Buena in una metropoli, ma
sono gocce nel mare: l’US Ghost Town Project ha censito al‐
cune migliaia di città abbandonate negli Stati Uniti, trecento
nella sola California.
Molte di queste sono oggi attrazioni turistiche (come Steins
nel New Mexico, Gold Point in Nevada o Bodie in California),
protette dalle autorità e preservate dal disfacimento, ma del‐
la maggior parte non è rimasto molto di più di qualche rot‐
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Storie del West
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Storie del West
Caccia all’oro in California
A cura di Cesare Bartoccioni
Fino ad allora (gennaio 1848) la California era, per la sua
gran parte, priva di insediamenti umani. Circa 100.000 Nativi
Americani vivevano ai piedi delle montagne della Sierra Ne‐
vada. Sparsi in alcuni piccoli centri, missioni e nei ranch lun‐
go la costa, si potevano contare circa 10.000 “Californios”, o
Californiani Messicani; 2.000 cittadini americani; e qualche
centinaio di europei.
Quando Marshall raccontò a Sutter di aver trovato l’oro, que‐
sto gli fece giurare di mantenere il segreto poiché, se si fosse
risaputo, sarebbe giunta una _iumana di gente, sciamante
come cavallette da ogni parte, e il suo impero ne sarebbe ri‐
masto devastato.
Nonostante ciò, anche se poco a poco, la notizia si diffuse.
All’inizio fu solo una manciata di cercatori che si ritrovò sulle
colline, ma quella sparuta pattuglia crebbe ben presto a di‐
smisura.
Il 12 maggio 1848, quando la notizia della scoperta raggiun‐
se San Francisco, la popolazione maschile della città annove‐
rava circa 600 individui. Già il 15 maggio, dopo che la notizia
si era diffusa, ne erano rimasti solo un paio di centinaia. En‐
tro il primo di giugno San Francisco si era spopolata! Era di‐
ventata in un battito di ciglia una città fantasma: negozi chiu‐
si, navi abbandonate e case disabitate. La maggior parte degli
uomini stava correndo verso i campi auriferi. Anche i giorna‐
li della città avevano chiuso i battenti, per scriverli o leggerli
non era rimasto nessuno!
John Augustus Sutter, il proprietario delle terre in cui fu tro‐
vato l’oro
Ci volle circa un anno perché la notizia giungesse _ino all’Est,
ma quando arrivò diede inizio a una folle corsa sfrenata.
La febbre dell’oro si diffuse rapidamente ovunque a macchia
d’olio. Entro la _ine del 1848, i cercatori che si erano accalcati
nella zona giunsero: provenienti da nord, _in dall’Oregon,
dall’ovest anche dalle Isole Hawaii, mentre dal sud arrivaro‐
no dal Messico, Cile e altri paesi sudamericani.
Oggi potrebbe essere dif_icile comprendere per quale ragio‐
ne gli uomini abbandonarono i loro cari, le case e i pochi beni
guadagnati con tanto sudore, per lanciarsi verso l’ignoto,
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Storie del West
viaggiando per migliaia di miglia alla ricerca di una chimera,
se non facendo una breve analisi delle possibilità di guada‐
gno che aveva un capofamiglia di quei tempi. Nel 1849 un
laborioso agricoltore poteva ricavare circa due o trecento
dollari da una buona annata. Un operaio in fabbrica riceveva
circa un dollaro per lavorare dodici ore al giorno. Un artigia‐
no quali_icato, a _ine giornata forse riusciva a mettere in ta‐
Un campo di cercatori d’oro
sca un dollaro e mezzo.
In California l’oro, quindi la ricchezza, era lì a disposizione di
chiunque avesse avuto la capacità di riuscire a trovarlo. Un
cercatore, prima di andare a dormire, poteva avere estratto
dal letto del _iume pagliuzze e pepite per un valore di 25/35
dollari, talvolta anche più. Le storie di minatori che erano
diventati ricchi in un solo giorno di lavoro si diffusero come
il vento. Molte di queste vicende erano esagerazioni (3), però
alcune di esse avevano un fondamento di vero.
Viaggio verso la California
Alcuni uomini raggiunsero davvero la ricchezza, non senza
essersela però guadagnata duramente in campi minerari
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Storie del West
l’ora di tornare alle famiglie, ma non furono davvero pochi
quelli che tornarono a casa senza un centesimo, o quasi.
John Sutter lasciò la California nel 1851, pesantemente inde‐
bitato. I minatori avevano invaso la sua casa e calpestato i
suoi campi. L’impero tanto agognato era in rovina.
James W. Marshall, il primo scopritore del cuore aureo della
California, ebbe poco successo come minatore. Morì in po‐
vertà nel 1885.
Tuttavia molti, fra i minatori che rimasero, iniziarono attività
commerciali nelle “boom
towns” (8) o coltivarono le
fertili valli. Entro il 1856,
San Francisco contava più
di 50.000 cittadini ed era
la più grande ed importan‐
te città dell’Ovest. Lungo
le sue strade camminava
gente arrivata da ogni an‐
golo del mondo.
Solo alcuni raggiunsero il
traguardo che si erano
pre_issi divenendo ricchi.
Quelli più fortunati porta‐
rono a casa una fortuna,
John August Sutter saldarono i debiti e le ipo‐
teche sulle loro fattorie
cominciando così una nuova vita, molto più agiata di quella
che conducevano prima. Vi fu purtroppo chi invece non tor‐
nò più a casa. Alcuni morirono di terribili malattie come il
colera, altri per incidenti nei campi auriferi o durante il viag‐
gio verso la California. Molti, fra le donne e i bambini che
aspettavano all’Est, non avrebbero mai più rivisto l’uomo e il
padre.
La Corsa all’Oro (”Gold Rush”) trasformò non solo la vita del‐
la gente, ma la stessa California. Il numero della popolazione
californiana crebbe all’improvviso, in modo caotico e, in al‐
cuni casi, drammatico.
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Storie del West
I suoi centri, le sue città, e le sue attività commerciali prospe‐
rarono. Quasi dalla sera alla mattina, divenne il più famoso
Stato americano. In breve la gente di tutto il mondo apprese
e imparò a conoscere la storia della California, la terra d’oro
dove si poteva scavare una fortuna dalla terra.
Note conclusive
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Storie del West
I pistoleri
A cura di Omar Vicari
I numerosi _ilm sulla storia della frontiera americana, ci han‐
no lasciato una lunga sequenza di immagini e situazioni che
sono proprie di quell’epoca avventurosa e senza paragoni. Se
proviamo a chiudere gli occhi e col pensiero andiamo a uno
di quei _ilm sul genere western, subito nella nostra mente
riemergono le immagini delle
lunghe carovane dei pionieri
che andavano all’ovest cari‐
che di nuove speranze. Pos‐
siamo ancora vedere gli at‐
tacchi alle diligenze e ai treni,
i cavalieri del Pony Express
che recavano la posta da St.
Joseph a San Francisco. Pos‐
siamo vedere la corsa all’oro
in California e alle nuove ter‐
re in Oklahoma. Possiamo
immaginare come erano le
città del bestiame, la violenza
di Dodge City o Abilene, i
fuorilegge e gli scerif_i che li
combatterono.
Però l’elenco di quelle che
possiamo de_inire vere icone
dell’epopea western, non è
completo senza la _igura del
Billy The Kid personaggio che per anto‐
nomasia è l’immagine del
west stesso: il pistolero.
Quando si pensa alla _igura del pistolero, balza subito alla
mente lo stereotipo creato dai _ilm hollywoodiani. Il pistole‐
ro per lo più è un personaggio alto, slanciato, con stivali di
pelle nera, veste un panciotto abbottonato su una camicia di
lino bianco e con un laccio nero al collo a mo’ di cravatta. In‐
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Storie del West
dossa una giacca lunga che scende lungo i _ianchi, sotto la
quale si intravede il cinturone con la pistola nella fondina. E’
un tipo calmo, sicuro di sé, che sa di poter contare su quella
frazione di secondo che gli consente un vantaggio mortale
sull’avversario di turno.
I pistoleri, come asserisce lo scrittore Joseph G. Rosa, fanno
parte del folclore americano. Alcuni li identi_icano come no‐
velli Parsifal del santo Graal, eroi entrati nella leggenda ame‐
ricana, dediti a combattere il crimine. Altri, invece, li vedono
come la personi_icazione del male, volgari assassini, degni
rappresentanti di una realtà senza leggi. Forse sarebbe inve‐
ce meglio dire che una legge sicuramente esisteva, quella
della loro pistola.
Nell’attesa che una schiera di psicologi si metta all’opera e ci
spieghi il perché uomini del genere possano in qualche modo
suscitare fascino ai nostri occhi, proviamo a conoscere più da
vicino qualcuno che, grazie all’abilità nel maneggiare una sei
colpi, può essere inserito a ragione nella categoria dei pisto‐
leri. Innanzi tutto credo sia utile fare una divisione, in altre
parole distinguere i pistoleri “buoni” da quelli “cattivi”. Tra i
primi dobbiamo annoverare quei personaggi che si schiera‐
rono dalla parte della legge, quelli che si appuntarono una
stella sul petto e con una colt in mano ripulirono le tumul‐
tuose città del west.
I pistoleri “buoni”
Tra questi, un posto di tutto rispetto credo spetti a James
Butler Hickok, meglio conosciuto sulla frontiera come “Wild
Bill”. Nato in Illinois nel 1837, giocatore di professione, guida
per il generale Hancok nelle guerre contro gli indiani, Hickok
si trovò a capo della polizia di Abilene nel 1871, chiamato da
Joseph Mc Coy, l’uomo che trovò il modo di accogliere dal
Texas milioni di capi di bestiame e di trasferirli ai mercati
dell’est.
Con l’arrivo dei texani, Abilene divenne ingovernabile, le spa‐
ratorie nei saloon e in Texas street non si contavano e spesso
ci scappava il morto.
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Storie del West
Quando arrivò ad Abilene, Hickok era già una leggenda sulla
frontiera. Alto, capelli sulle spalle, occhi azzurri, Hickok era,
secondo la moglie del generale Custer, il prototipo della bel‐
lezza maschile.
Nel 1865 a Spring_ield (Missouri), Hickok si scontrò con Da‐
ve Tutt. In quel frangente Hickok centrò il cuore di Tutt con
un proiettile dalla rispettabile distanza di settanta passi.
Nel 1871 in Market Square a Kansas City, Hickok diede una
dimostrazione della sua abilità nell’uso delle armi piantando
dieci colpi delle sue Colt Navy nella lettera “O” di una insegna
posta a circa ottanta passi. Testimone del fatto era un giova‐
ne Wyatt Earp che di li a poco avrebbe calcato le vie di Ells‐
worth, Wichita, Dodge City e Tombstone.
Ad Abilene Hickok si trovò ad affrontare Phil Coe, un altro
temibile pistolero che non aveva per niente in simpatia gli
yankee. Nel duello che ne seguì Coe sparò per primo, ma fallì
il marshal.
Per tutta risposta Hickok spedì due proiettili nello stomaco
di Coe che morì di li a poco. Hickok, immediatamente dopo,
sparò anche un terzo colpo verso un qualcosa o qualcuno che
aveva avvertito alle sue spalle.
Era purtroppo Mike Williams, il suo vice che era intervenuto
e che pagò con la vita la fedeltà al marshal.
Hickok era un pistolero di primo ordine, forse il migliore a
detta di molti. “Se devi affrontare un uomo, diceva Hickok,
colpiscilo allo stomaco; forse non lo ucciderai subito, ma gli
avrai dato un colpo tale da renderlo del tutto inoffensivo”.
Nel 1876, attratto dall’oro, Hickok capitò a Deadwood nel
Sud Dakota. Nell’entrare in città, all’amico Colorado Charlie
che lo accompagnava, con_idò il presentimento che non sa‐
rebbe uscito vivo da quella valle. Da chi sarebbe venuta la
morte non lo sapeva, visto che non ricordava di avere ancora
nemici vivi. Sebbene cominciasse ad avere qualche problema
con la vista, Hickok con_idava molto sul fatto che a nessuno,
data la sua reputazione, sarebbe venuta in mente l’idea di
affrontarlo a viso aperto. Il proiettile che lo uccise, infatti, lo
raggiunse alle spalle, sparato da Jack Mc. Call, mentre Hickok
era intento a giocare una partita a carte.
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Storie del West
guai ci pensò Doc Holliday, uno tra i più micidiali pistoleri
che abbiano mai calcato la scena della frontiera.
Lasciata Dodge nel 1879, Wyatt si trasferì a Tombstone in
Arizona dove concluse la sua carriera di “lawman” con la ce‐
leberrima sparatoria all’
OK Corral nel 1881. Con
i fratelli Virgil e Morgan
e con Doc Holliday al
_ianco, Wyatt si scontrò
coi Clanton e i Mc. Lowe‐
ry.
Quando le pistole tac‐
quero, sul terreno giace‐
vano i corpi dei fratelli
Frank e Tom Mc. Lowery
e quello di Billy Clanton.
Al contrario di molti altri
pistoleri, Wyatt Earp
morì ultraottantenne a
Los Angeles nel 1929, un
Wild Bill Hickok tempo in cui le città del
west si raggiungevano
ormai con l’automobile e non più a cavallo.
E’ sepolto nel cimitero di Colma presso S. Francisco assieme
alla moglie Sarah Marcus.
Durante la sua permanenza a Dodge City, Wyatt Earp si av‐
valse della collaborazione di uomini eccezionali, ottimi pisto‐
leri ai quali lo scrittore Ned Buntline volle fare l’omaggio di
un’ arma particolare: la “Buntline Special”, una Colt 45 dalla
canna più lunga del normale. Uno di questi era Bat Master‐
son. Nato nel 1853, cacciatore di bufali e guida dell’esercito,
Masterson si trovò appena ventenne a partecipare, nel 1874,
alla battaglia di Adobe Walls nella quale un gruppo di caccia‐
tori, esperti uomini della frontiera, si scontrò con alcune cen‐
tinaia di guerrieri Comanche guidati dal capo Quanah Parker.
E’ questa la battaglia del famoso tiro di Billy Dixon col quale
il celebre cacciatore tirò giù di sella un indiano da una di‐
stanza di 1500 metri.
34
Storie del West
Morì a Hot Springs nel 1896.
Un altro artista della colt, grande amico di Wyatt Earp, fu
William “Bill” Tilghman.
Bat Masterson, che conobbe la violenza di Dodge City, nei
suoi appunti sui “gun_ighters” del vecchio west che scrisse a
New York quando ormai si occupava di giornalismo, annotò
testualmente: “il vecchio Tilghman è stato il migliore di tutti
noi”.
Nato a Fort Dodge (Iowa) nel 1854, Tilghman formò con Cris
Madsen e Heck Thomas quella formidabile squadra di polizia
nota col nome di “guardiani” del giudice Parker nel territorio
dell’Oklahoma.
Amico intimo di Wyatt Earp, fu per alcuni anni vice sceriffo
di Dodge City e poi marshal della stessa città.
Trasferitosi nel 1889 in Oklahoma, affrontò Bill Doolin, capo
della più pericolosa banda di fuorilegge che operava in quel
territorio dell’ America di _ine ottocento. Doolin venne arre‐
stato a Eureka Springs in Arkansas nel 1896.
Ormai avanti negli anni, Tilghman accettò nel 1924 l’incarico
di sceriffo di Cromwell, una città con una delinquenza nuova,
più feroce, diversa da quella che il vecchio Tilghman aveva
domato a Dodge City nei tempi andati. Tilghman trovò la
morte mentre tentava di disarmare un uomo ubriaco, che più
tardi si scoprì essere un agente federale del proibizionismo.
William Tilghman è sepolto a Oklahoma City.
La lista dei virtuosi della colt che si schierarono dalla parte
della legge è sin troppo lunga.
I pistoleri a cavallo tra il bene e il male
Dodge uccise dapprima l’ex cacciatore di bufali Tom Nixon e
nel 1885 David Barnes.
Cacciato da Dodge fece perdere le sue tracce e di lui non si
seppe più nulla. Un’altra testa matta fu Henry Newton Brown
che fece parte della banda di Billy The Kid ai tempi della
La “Commissione di pace” di Dodge City
guerra della contea di Lincoln.
Più tardi, nel Kansas, divenne sceriffo federale della città di
Caldwell, ma poi ebbe la malaugurata idea di rapinare nel
1884 la banca di Medicine Lodge e di uccidere lo stesso di‐
rettore. Fu impiccato appena dopo la cattura assieme al suo
compagno Ben Wheeler.
Non migliore fortuna ebbe “Long Haired” Jim Courtright.
Marshal di Fort Worth dal 1876 al 1879, fu implicato in un
fatto che si concluse con la morte di alcuni allevatori.
38
Storie del West
Ricercato dai Texas Rangers fece perdere le sue tracce e tor‐
nò in Texas solo dopo essere stato prosciolto dalle accuse.
A Fort Worth, nel 1887, si scontrò in duello con Luke Short,
pare per debiti mai saldati. Courtright non riuscì a tirare il
grilletto (la pistola si era inceppata) e Luke Short lo colpì a
morte con un primo colpo.
Dalla pistola di Short partirono altri tre colpi quando Jim
Courtright era già a terra agonizzante.
Un altro personaggio, degno rappresentante di quei tempi
violenti, fu Frank Canton, il cui vero nome era Joe Horner. Pi‐
stolero a pagamento e fuorilegge, era ricercato anche per la
rapina ad una banca di Comanche nel Texas.
Più tardi divenne sceriffo della contea di Johnson nel Wyo‐
ming e capo ispettore dei pascoli. Si distinse nel 1892, duran‐
te la guerra della contea di Johnson nel guidare l’attacco dei
“Regolatori” alla capanna di Nate Champion.
E’ morto nel 1927 ed è sepolto ad Oklahoma City.
I pistoleri che abbiamo menzionato sino ad ora, provenivano
quasi tutti dagli stati del nord. Anche il sud comunque espor‐
tò un buon numero di pistoleri le cui gesta ebbero come tea‐
tro lo stato del Texas.
A El Paso, la città al con_ine con il Messico, operò uno dei più
noti uomini della legge del Texas: Dallas Stoudenmire.
Nato nel 1845, partecipò alla guerra di secessione dalla parte
confederata. Alto quasi due metri, era il tipo d’uomo che non
aveva paura di nulla. Se provocato, uccideva senza esitazione.
Gorge W. Campbell, ex marshal della città, fu una delle sue
vittime eccellenti. Micidiale come pistolero, integerrimo co‐
me uomo di legge, aveva però un debole per la bottiglia. L’al‐
cool fu infatti la sua rovina. Fu costretto a dimettersi e il suo
carattere peggiorò di giorno in giorno. Venuto in contrasto
coi fratelli Manning a causa dell’omicidio del cognato, venne
ucciso il 18 settembre del 1882 da John e Doc Manning in
seguito ad una lite nel Coliseum saloon. Dallas Stoudenmire è
sepolto a Alleyton, vicino Columbus nel Texas.
All’elenco dei pistoleri che operarono nel Texas dalla parte
della legge, non poteva mancare Jeff Davis Milton, forse il più
ef_iciente, sicuramente uno dei migliori tiratori di pistola del
39
Storie del West
suo tempo.
Nel Texas si diceva che Jeff Milton fosse un uomo nato con la
pistola. Nato in Florida, arrivò nel Texas nel 1877 dove lavorò
dapprima come cowboy e poco dopo entrò a far parte dei
Texas Rangers. Come vice sceriffo ripulì l’intero territorio
della contea di Socorro nel Nuovo Messico.
Arrivato a El Paso, assieme al suo vice George Scarborough
(altro noto pistolero ucciso qualche anno più tardi da Harvey
“Kid Curry” Logan), uccise Martin Morose, un ladro di be‐
stiame della zona. Nel 1898 si sbarazzò di Bronco Bill Wal‐
ters e nel 1900 di Jack Dunlap. Jeff Milton è morto nel 1947
nel suo letto, quasi novantenne, a Tucson. Le sue ceneri, per
sua stessa volontà, sono state sparse sul territorio dell’Arizo‐
na.
I pistoleri “cattivi”
Il bersaglio poteva essere un serpente, un indiano o un uomo
dai ri_lessi simili ai suoi, ma regolarmente meno veloci.
Ad Abilene, nel 1871, Hardin incontrò l’unico uomo forse in
grado di fronteggiarlo: Wild Bill Hickok. A tale proposito, nel‐
le sue memorie, Hardin racconta un fatto che non è chiaro
quanto appartenga alla realtà e quanto alla leggenda. Hickok,
deciso ad arrestare il giovane texano, pare gli chiedesse le
pistole. Wes Hardin gliele porse tenendole per la canna, ma
quando il marshal fece per prenderle, il texano le fece ruota‐
re sul guardiamano: un secondo dopo, Hickok guardava le
bocche delle colt di Hardin che lo tenevano sotto tiro.
Partecipò alla sanguinosa faida che oppose la famiglia Sutton
a quella dei Taylor schierandosi dalla parte di questi ultimi.
Dopo aver accoppato l’ennesimo sceriffo, Hardin venne _i‐
nalmente arrestato nel 1877. Sedici anni di carcere lo cam‐
biarono radicalmente, divenne avvocato e aprì uno studio
legale a El Paso. Venne assassinato alle spalle (non poteva
essere altrimenti) da John Selman nel 1895 mentre sorseg‐
giava un wiskey nel saloon “Acme” di El Paso. John Wesley
Hardin è sepolto a El Paso presso il Concordia Cemetery.
Un altro personaggio veloce come il fulmine e mortale come
un cobra era sicuramente John H. Holliday, “Doc” per quanti
lo conobbero sulla frontiera.
Nato in Georgia nel 1851, era _iglio di un uf_iciale confedera‐
to. Come la madre, si ammalò presto di tisi, una malattia che
nel secolo diciannovesimo non dava molte speranze. Per tale
ragione si spostò nel west, con la speranza che il clima secco
di quei territori desse giovamento alla sua salute. Calato nel‐
la nuova realtà, Doc imparò presto che il buon uso della colt
era un complemento essenziale per la sopravvivenza. I risul‐
tati che ottenne gli diedero ragione. A detta di Wyatt Earp,
che lo conobbe meglio di chiunque altro, l’unico uomo che
poté in qualche modo avvicinarsi all’abilità di Holliday nel‐
l’uso della colt, era “Buckskin” Frank Leslie di Tombstone.
Però a Leslie mancava il coraggio fatalistico di Doc, un corag‐
gio che probabilmente gli derivava dalla natura della malat‐
tia e dalla consapevolezza che non aveva comunque molto da
vivere.
41
Storie del West
a New York nel 1859 e il cui nome era Henry Mc Carty.
Il ragazzo cominciò molto presto a maneggiare la pistola e a
quindici anni Henry era già un ricercato. Nel 1877, capitato
dalle parti della contea di Lincoln, venne assunto come cow‐
boy da John Tunstall, un inglese amico del grande allevatore
John Chisum, al quale si opponeva per il controllo del territo‐
rio il gruppo di Laurence
Murphy.
La mattina del 18 febbraio
1878, John Tunstall venne
assassinato, e questo omi‐
cidio fu l’inizio di una san‐
guinosa guerra che si con‐
cluse con la morte di alcu‐
ne centinaia di persone.
Henry Mc. Carty nel frat‐
tempo aveva cambiato
nome in William Bonney,
ma per tutti era Billy Bon‐
ney o più semplicemente
“Billy the Kid”.
Il Kid vendicò la morte di
Doc Holliday Tunstall uccidendo dap‐
prima gli esecutori mate‐
riali dell’omicidio dell’inglese e poi lo sceriffo Brady e il suo
vice Hindeman.
Ricercato in tutto il Nuovo Messico e scaricato ormai da Chi‐
sum, in quanto personaggio scomodo, Billy si rese protagoni‐
sta con la sua banda di una lunga serie di omicidi, interrotta
soltanto dal suo arresto a Stinking Springs da parte di Pat
Garrett.
Tradotto a Lincoln per l’impiccagione, Billy riuscì ad evadere
non prima di aver freddato J. B. Bell e Bob Olinger, gli agenti
che lo avevano in custodia.
Il Kid trovò la morte la sera del 13 luglio 1881 in casa di Pete
Maxwell, ucciso a tradimento da Pat Garrett, lo sceriffo che
un tempo era stato suo amico.
Garrett, per l’omicidio, perché di quello si trattò, divenne fa‐
43
Storie del West
moso in tutto il west. Fu un assassinio in piena regola perché
non dette al Kid la minima possibilità di difesa e perché rea‐
lizzato con la complicità di Pete Maxwell contro il quale Gar‐
rett aveva un mandato di cattura per furto di bestiame.
Patrick Floyd Garrett sarà assassinato a sua volta dal plurio‐
micida Jim Miller nel 1908.
In quanto al Kid, ancora oggi è oggetto di discussione se egli
sia stato il giovane psicopatico e sanguinario descritto dalla
stampa al soldo dell’associazione dei grandi allevatori, oppu‐
re se, più semplicemente, egli sia stato vittima di un ingra‐
naggio più grande di lui.
Billy The Kid è sepolto a Fort Sumner, accanto ai suoi vecchi
compagni Tom O’ Folliard e Charlie Bowdre.
La storia del vecchio west è piena zeppa di personaggi che in
qualche modo hanno fatto della pistola la ragione della pro‐
pria vita.
Nomi come Ben Thompson, Clay Allison, Bill Longley o John‐
ny Ringo meriterebbero certamente maggior attenzione, ma
per ragioni di spazio e di tempo non è possibile andare oltre
e soprattutto non è possibile elencarli tutti, “buoni” o “catti‐
vi” che fossero.
Tutti a loro modo furono dei giganti nel tempo in cui vissero,
un’epoca violenta nella quale si metteva in conto la possibili‐
tà di uccidere o di essere uccisi.
Tutti sicuramente avranno avuto una giusti_icazione per le
loro azioni, una motivazione che si può riassumere in quello
che disse una volta Clay Allison a sua difesa: “Non ho mai uc‐
ciso un uomo che non meritasse di essere ucciso."
44
Storie del West
Una trave ad Adobe Walls
A cura di Giacomo Ferrari
Qui si svolse la battaglia di Adobe Walls
46
Storie del West
47
Storie del West
Wild Bill Hickok, la sua storia
A cura di Massimo Rossi
e spara, alle spalle, all’uomo con i capelli lunghi.
Questi sembra restare un attimo immobile, poi si lascia cade‐
re all’indietro sulla sedia, una sedia speciale.
Il suo corpo non ha più vita, le sue carte cadono a terra, una
coppia di assi ed una di otto, la mano del morto.
Il suo nome era James Butler Hickok, la sua storia è leggenda.
La vita certamente preparò Hickok molto presto ad affronta‐
re le pressioni della fama e del rischio di affrontare la morte
ogni giorno. Nacque a Troy Grove, nell’Illinois, il 27 maggio
del 1837, e fu battezzato James Butler Hickok da suo padre
Alonzo, un diacono della Chiesa Presbiteriana. Gli Hickok fu‐
rono i discendenti della famiglia Hiccocks di Stratford‐onA‐
von, nel Warwickshire, Inghilterra, parenti di William Sha‐
kespeare. Una parte della famiglia emigrò in America nel
1635.
Alonzo Hickok nacque nel Vermont nel 1801 e sposò Polly
Butler nel 1827 (sembra che Gorge W. Bush, 41° Presidente
degli Stati Uniti, sia un discendente della madre di Hickok).
La coppia ebbe cinque bambini oltre a James Butler, tre ra‐
gazzi e due ragazze.
Alonzo e Polly Hickok si trasferirono nell’Illinois nel 1833, ed
alla _ine si stabilirono a Troy Grove (all’epoca conosciuta co‐
me Homer), nella contea di LaSalle, lungo le alture del Little
Vermillion Creek. A Troy Grove aprirono un emporio, il Gre‐
en Mountain House, che andò abbastanza bene all’inizio ma
fallì durante la crisi _inanziaria del paese nel 1837. La fami‐
glia si convertì allora all’agricoltura ed all’allevamento.
Per molti anni Alonzo Hickok si adoperò per aiutare gli
schiavi fuggitivi a raggiungere la libertà. I suoi _igli spesso lo
assistevano in questo lavoro, e fu durante tale periodo che il
giovane James cominciò a sviluppare il coraggio, l’astuzia e
l’intraprendenza che ne caratterizzarono gli anni a venire. A
James piaceva stare solo ed adorava le armi da fuoco. Così,
mentre il resto della famiglia lavorava nella fattoria, egli si
aggirava nei boschi, perfezionando la sua abilità nel tiro an‐
dando a caccia e provvedendo così ad una gran varietà di
carne fresca per la famiglia.
Hickok lasciò Troy Grove a 18 anni per cominciare la sua vita
49
Storie del West
nell’Ovest.
Vita che cambiò drasticamente nel 1855 quando Hickok si
scontrò in una rissa con tale Charlie Hudson e, credendo di
averlo ucciso, fuggì nel Kansas dove si unì ai Kansas “Free
Staters” per combattere la sanguinosa guerra di con_ine tra
Kansas e Missouri. Nonostante il suo coinvolgimento nella
sparatoria a Rock Creek nel 1861 e la sua attività nella guer‐
ra civile, la vita di Hickok non fu consacrata all’immortalità
_ino a che uccise Dave Tutt nel 1865.
Da quel momento tutto cambiò.
Nella primavera del 1866, Hickok fece da guida al Generale
William T. Sherman durante il suo tour nell’Ovest. Tra il
1867‐68, Hickok fece da scout sia per il Generale Win_ield
Scott Hancock sia per il Colonnello George Armstrong Custer.
Custer fu impressionato da Hickok e più tardi scrisse di lui:
“Sia a piedi che a cavallo egli rappresentava uno dei più per
fetti esempi di prestanza Tisica che io non abbia mai visto. Sul
suo coraggio non ci potevano essere dubbi. La sua abilità nel
l’uso della carabina e della pistola era infallibile.
Non parlava mai di se stesso a meno che non gli si chiedesse di
farlo. La sua conversazione non sconTinava mai nel volgare o
nel blasfemo. La sua inTluenza fra gli abitanti della frontiera
era sconTinata; la sua parola era legge; e molte erano le liti
personali ed i disordini fra i suoi camerati che riusciva a con
trollare semplicemente dicendo ‘questa questione è andata
già abbastanza oltre’ e, se necessario, faceva seguito il minac
cioso avvertimento che “se la lite continuerà ancora dovrà es
sere appianata con me…’ Wild Bill portava sempre due splen
didi e grossi revolver con il manico in avorio. Non fu mai visto
senza di loro. So per certo che ha ucciso almeno mezza dozzi
na di uomini, altri sono stati seriamente feriti, eppure egli è
sempre uscito illeso da ogni scontro.”
Le descrizioni di Custer, che apparvero nel suo libro del 1874
“La mia vita sulle pianure”, contribuirono ad alimentare la
leggenda di Wild Bill, disegnandolo come una persona di
estrema maturità e con il pieno controllo di se stesso.
Inoltre, la sua capacità nel sedare le liti guidò la successiva
fase della sua vita: l’applicazione della legge.
50
Storie del West
Il duello con Dave Tutt
dopo morì. Hickok pagò le spese funebri per Williams, il
quale probabilmente fu l’ultimo uomo che uccise.
Nel dicembre 1871, il consiglio comunale di Abilene decise di
non aver più bisogno dei costosi servizi dello Sceriffo Hickok
e lo scaricò.
Egli si diresse in Colorado e poi a Kansas City, dove perse tut‐
to il suo denaro ai tavoli da gioco.
Ormai destituito, accettò un’offerta per apparire in scena nel
“Sidney Barnett Wild West Show”, comparendo in due spet‐
tacoli a Niagara Falls, N.Y., il 28 e 30 agosto del 1872, ma
odiava questi spettacoli per cui lasciò praticamente subito.
La primavera successiva girarono voci nel paese secondo le
quali Hickok sarebbe stato assassinato a Fort Dodge, nel
Kansas, per mano di alcuni Texani. Rispose scrivendo alcune
lettere a diversi giornali. In una lettera in particolare si rivol‐
se al famoso scrittore Ned Buntline: “Ned Buntline sta ten
tando di assassinarmi da anni. Avendo Tinora fallito, sta ten
tando con alcuni Texani.”
Nonostante Hickok avesse una vera avversione nei confronti
della scena, “Buffalo Bill” Cody riuscì a persuaderlo ad unirsi
al suo gruppo teatrale nell’Est nel settembre 1873. Hickok
girò con Cody per cinque mesi poi lasciò tutto per tornare
nell’Ovest.
In quel periodo iniziò ad indossare degli occhiali, a suo dire
necessari a causa della forte illuminazione delle scene. In
realtà Hickok aveva seri problemi alla vista. A Cheyenne si
fece visitare da un oculista e la diagnosi fu impietosa: immi‐
nente cecità da glaucoma. Questo condizionò tutto il resto
della sua vita.
Tra il 1874 ed il 1875, Hickok trascorse parte del suo tempo
a Cheyenne, Wyoming Territory. Fu lì che incontrò Agnes La‐
ke, una signora che aveva già incontrato diversi anni prima
ad Abilene. La signora Lake era rimasta vedova nel 1869
quando il marito William Lake Thatcher (un artista del circo)
fu ucciso in un litigio con un tale nel Missouri.
Agnes Lake aveva raggiunto fama internazionale come amaz‐
zone, funambola, ballerina e domatrice di leoni. Quando Hic‐
kok la incontrò ad Abilene, nel 1871, era la proprietaria del
54
Storie del West
circo.
Il 5 marzo 1876, non molto tempo dopo essersi incontrati di
nuovo a Cheyenne, Wild Bill e Agnes si sposarono. La ceri‐
monia ebbe luogo a Cheyenne, nella casa di S.L. Moyer, e fu
of_iciata dal Rev. F.W. Warren della Chiesa Episcopale Meto‐
dista.
Subito dopo la luna di
miele di due settimane a
Cincinnati, ospiti nella
casa del genero di Agnes
Lake, Gilbert Robinson,
Hickok partì per le Black
Hills determinato a gua‐
dagnare abbastanza de‐
naro attraverso il gioco
d’azzardo e la prospettiva
di trovare dell’oro, per
dare al suo matrimonio
delle buone basi _inanzia‐
rie.
I due sposini non ebbero
più modo di rivedersi.
Wild Bill, Texas Jack, Buffalo Bill Harry Young, barista del
Carl Mann Saloon No. 10
di Deadwood, più tardi scrisse dell’arrivo di Hickok: “Circa a
metà di luglio, il mio vecchio amico Wild Bill arrivò a Dead
wood. E’ difTicile immaginare qualcosa di più curioso dell’im
magine di Hickok a cavallo. Non era mai stato a nord di
Cheyenne prima d’ora, sebbene molti a Deadwood ne conosce
vano la reputazione. Un gran numero di pistoleri erano in cit
tà ed il suo arrivo causò quasi commozione ed agitazione. Hic
kok cavalcò Tino al saloon dove stavo lavorando, e conobbe il
proprietario, Carl Mann. Mann lo salutò con molto entusiasmo
e gli chiese di fare del Saloon il suo quartier generale. Questo
signiTicava denaro per Mann. Hickok acconsentì.”
Una volta a Deadwood, Hickok si accampò nei sobborghi del‐
la città con i suoi cari amici “California Joe” Anderson, “Colo‐
rado Charlie” Utter e Steve Utter. Trascorse con loro un po’ di
55
Storie del West
tempo, ma, come al solito, il fascino dei tavoli da gioco era
più forte.
La presenza di Hickok in diversi Saloon rappresentò una mi‐
naccia per i fuorilegge presenti in città.
Deadwood, così come Abilene diversi anni prima, era domi‐
nata da banditi, giocatori d’azzardo ed ogni tipo di truffatore
conosciuto. Essi vivevano sull’oro dei minatori onesti e non
volevano nessuna pulizia della città per mano di Hickok o
chiunque altro.
Tim Brady e Johnny Varnes, due leader dei bassifondi di
Deadwood, promossero una congiura per uccidere Hickok, in
modo che non potesse essere nominato sceriffo. Il lavoro fu
offerto a Jim Levy e Charlie Storms, due noti banditi, ma non
accettarono. Avendo avuto notizie sui problemi di vista di
Hickok, forse avrebbero fatto bene ad accettare.
Appena alcuni mesi prima, Hickok commentò con un cono‐
scente: “I miei occhi stanno andando veramente male. I giorni
delle grandi sparatorie sono Tiniti.”
Hickok, vedendoci sempre meno ed avendo intuito aria di
guai intorno a sé, fece af_idamento sulla sua reputazione per
tenere la situazione sotto controllo. La reputazione di Hickok
funzionò da deterrente e lavorò sui sei banditi del Montana
che dicevano di volerlo uccidere. Hickok, accompagnato dalle
sue Colt gemelle, parlò loro con la sua franchezza usuale: “Io
capisco che dei pistoleri del Montana possano avere qualche
problema nei miei confronti, ma vi vorrei far osservare che se
non saranno fermati, presto ci saranno un certo numero di
funerali economici a Deadwood. Non sono venuto in questa
città in cerca di fama e notorietà, ma nemmeno per sopporta
re gli insulti, voglio solo vivere in pace.”
Hickok non cercava né fama né amore, e non ebbe nessuno
rapporto “romantico” con Martha Jane Cannary, la famosa
Calamity Jane. Egli voleva semplicemente tornare al più pre‐
sto da sua moglie con un po’ di denaro in tasca, come provato
da alcune frasi della lettera che le scrisse da Deadwood il 17
luglio 1876 : “Mia adorata moglie Agnes… Vivo solo per il tuo
amore… Ed allora saremo felici. J.B. Hickok”
56
Storie del West
La lettera di Hickok del 1° agosto fu a dir poco profetica, for‐
se più di quanto Hickok non si sarebbe mai aspettato: “Cara
Agnes, se dovesse accadere che non ci incontrassimo mai più,
mentre sparerò il mio ultimo colpo, sussurrerò con delicatezza
il nome di mia moglie e perTino i saluti per i miei nemici, poi mi
tufferò e tenterò di nuotare verso l’altra sponda. J.B. Hickok
Wild Bill”
Il giorno dopo aver scritto la lettera alla moglie, il 2 agosto
1876 alle 16, si unì ad una partita di poker nel Carl Mann Sa‐
loon No. 10. Gli altri giocatori erano Charles Rich, un pistole‐
ro, il col. Stapleton, Carl Mann stesso ed il cap. Willie Massie,
un pilota dei battelli a vapore del Missouri.
Hickok ebbe una breve conversazione al bancone con Harry
Young, prima di accomodarsi. Fu l’ultimo a sedersi e l’unica
sedia rimasta libera dava le spalle alla porta posteriore.
Hickok, che per precauzione sedeva sempre con le spalle al
muro, domandò a Charles Rich di scambiarsi di posto. Rich
sorrise, prendendo in giro Hickok insieme agli altri, e restò al
suo posto.
Un vagabondo del posto, tale Jack McCall, entrò nel salone
inosservato, era conosciuto, di tanto in tanto faceva qualche
lavoretto nel locale.
McCall iniziò a muoversi piuttosto casualmente, andò poi
verso la porta posteriore, dietro la sedia di Hickok. Una volta
là, si fermò e guardò il gioco per alcuni minuti. Hickok e Mas‐
sie stavano discutendo sull’abitudine del capitano di allunga‐
re lo sguardo sugli scarti degli avversari. Gli altri giocatori
erano concentrati sulle loro carte.
Nessuno stava facendo attenzione a McCall.
Improvvisamente nel locale si udì un fragore forte, McCall
aveva tirato fuori dalla tasca del suo soprabito un revolver di
calibro 45 ed aveva sparato a Hickok colpendolo alla testa da
meno di un metro di distanza.
Hickok rimase sospeso per un momento, come se il tempo si
fosse fermato, poi si riversò all’indietro e le carte che teneva
in mano caddero sul pavimento. Quella mano, che compren‐
deva un paio di assi ed un paio di otto, diventò famosa come
“la mano del morto”.
57
Storie del West
Il movente per il quale McCall uccise Wild Bill Hickok è sco‐
nosciuto. Esistono solo alcune congetture. C’è chi dice che fu
assoldato dai cosiddetti cospiratori di Deadwood, che vole‐
vano Hickok morto. Altri sostengono che McCall voleva sem‐
plicemente vendicarsi di aver perso 110$ il giorno prima in
una partita a poker proprio con Wild Bill.
Jack McCall fu accusato una prima volta da una corte illegale
di minatori a Deadwood il 3 agosto e fu considerato non col‐
pevole.
Successivamente fu giudicato a Yankton, Dakota Territory, e
questa volta fu riconosciuto colpevole. Fu impiccato il 1 mar‐
zo 1877.
La morte di Hickok ebbe un effetto devastante sulla sua fa‐
miglia. Diversi mesi dopo la sua morte, sua moglie Agnes
scrisse: “Lo vedo giorno e notte vicino a me. Più tempo passa
dalla sua morte e più mi sento peggio.” In Kansas, la sorella di
Hickok, Lydia, rimpianse che suo fratello non trovò la morte
con Custer a Little Bighorn, piuttosto che sul pavimento di un
saloon, per mano di un balordo. E quando la brutta notizia
giunse a Troy Grove, sua madre ebbe un’emorragia al pol‐
mone. Morí due anni più tardi.
Wild Bill Hickok fu sepolto nel cimitero di Mount Mariah di
Deadwood.
Fu volontà di Calamity Jane, dopo la sua morte, essere sepol‐
ta accanto ad Hickok per l’eternità, a conferma del fatto che
forse “il diavolo dello Yellowstone” era veramente innamora‐
ta di Wild Bill.
Dopo la morte lo scultore Alvin Smith realizzo una scultura a
grandezza naturale che fu posta sulla tomba nel 1906.
In poco tempo, però, fu quasi distrutta da cosiddetti fans che
prelevarono parti della statua come cimeli, al punto che fu
deciso di portarla all’interno del più sicuro Adam Museum,
lasciando al suo posto una semplice lapide di granito.
58
Storie del West
Ulzana, il grande guerriero Apache
A cura di Ulzana
Un gruppo di guerrieri Apache
Carlos gli si avvicinò alle spalle e gli sparò. Poi gli tagliò la
testa. Il resto dei Chiricahua salì sull’altura e vide cosa era
successo. Erano furibondi. Scoprirono chi l’aveva fatto e an‐
darono nella riserva per prenderlo. Ma lui era stato avvertito
ed era fuggito. C’erano però la moglie e i suoi molti _igli che
vennero tutti uccisi e lasciati lì. Andarono via e cominciarono
a sparare in un altro accampamento vicino a san Carlos. Era‐
no così arrabbiati che non si curavano di quello che facevano.
Poi tornarono sulle montagne.”
Sebbene l’informatore non avesse mai fatto il nome di Ulza‐
na, i fatti e le circostanze coincidono perfettamente; l’affer‐
61
Storie del West
64
Storie del West
La Gens di Petun
A cura di Armando Morgan,
65
Storie del West
i due gesuiti presenti, Charles Granier e Noel Chabanel tortu‐
rati mortalmente. Scon_itti duramente, i Tionontati fuggirono
a ovest e si stabilirono nel Michigan settentrionale con i resti
degli Huron, poi, nel 1651, si divisero dai gruppi Huron e an‐
darono a stabilirsi su un isola della Green Bay.
Gli Irochesi però non mollavano la presa e, nel 1655, una
spedizione di guerra dei Seneca scatenò un violentissimo at‐
tacco contro il loro villag‐
gio, provocando gravissime
perdite; comunque, il loro
destino in questo periodo
rimane piuttosto sconosciu‐
to. Del gruppo della Green
Bay sappiamo che, nel
1652, si fusero con un
gruppo Huron e, qualche
tempo dopo, furono proprio
questi a diventare noti co‐
me “Wyandot”. Dopo la loro
dispersione i Tionontati
avrebbero vagato dispera‐
tamente attraverso il Wi‐ Scambi commerciali
sconsin e il Michigan supe‐
riore, e probabilmente anche in alcune terre del Minnesota,
per circa un cinquantennio, con loro vi erano gruppi sparsi di
Huron, di Neutrals e successivamente anche di Erie. Soltanto
nell’anno 1701 sarebbero rientrati, come “Wyandot”, nel‐
l’Ohio, stabilendosi nelle terre comprese tra Detroit e Cleve‐
land.
Alcuni studiosi ritengono che questi Petun non fossero pro‐
priamente gli “indiani del tabacco”, infatti, l’attento esame
della letteratura gesuita dell’epoca dimostra che nessun
francese abbia realmente visitato questa popolazione e dalle
fonti sembra che masticavano soltanto tabacco. Alcune fonti
dell’epoca ci parlano degli indiani Attiwandarons, i Neutrals,
ed un commerciante francese affermava che questa popola‐
zione, con i Tionontati e gli Huron coltivava il tabacco, e che
il termine “petun” doveva essere af_ibbiato a tutte e tre que‐
67
Storie del West
ste genti.
Padre Gabriel Sagard, che visitò l’Huronia nel 1623‐24, cono‐
sceva i Tionontati come “Petun”, “Nation du Petun”, “Pete‐
neux”, “Peteneuses” e “Quieunontateronons”, ma ricordava
che i grandi campi di tabacco esistevano presso i villaggi dei
Neutrals. I gesuiti dicevano che il tabacco veniva usato dagli
sciamani e che i Petun e i Neutrals credevano di andare così a
“combattere i demoni”, comunque, anche gesuiti famosi co‐
me padre Ragueneau o padre Brébeuf non parlavano mai di
sciamani che facevano uso del tabacco per scopi allucinoge‐
ni, una pratica quasi sicuramente da af_ibbiare agli indiani
Nipissing dell’Ontario canadese.
La prima missione costruita fu quella di St. Marie, comunica‐
bile con il lago Huron e quindi particolarmente adatta al mis‐
sionariato presso gli Huron e i loro vicini; i gesuiti inviarono
2‐3 missionari nelle terre dei Tionontati, fra questi vi erano
padre Granier e padre Jogues poi, successivamente, furono
costruite altre missioni, ma alcuni missionari rischiarono se‐
riamente la vita negli insediamenti della tribù.
I Tionontati furono sempre nemici degli Irochesi, ma resta‐
rono sempre al coperto dai loro attacchi grazie alle asperità
delle loro montagne; quando però la “Guerra del Castoro”
assunse toni drammatici, anche per loro la situazione diven‐
ne disperata, specialmente nel periodo 1630‐40. Quando gli
Irochesi sferrarono attacchi su grande scala, e a largo raggio,
i primi a farne le spese furono i Wenro, stanziati nella parte
occidentale dello Stato di New York e scon_itti de_initivamen‐
te nell’anno 1639, anche se una certa resistenza continuò
_ino al 1643.
Poi fu la volta degli Huron, già indeboliti da alcune epidemie
di vaiolo scoppiate tra il 1637 e il 1641; in_ine, nel 1649, la
furia irochese, soprattutto quella dei Seneca, si abbatteva an‐
che sui Tionontati.
istrutti dai meglio armati Irochesi, fuggirono nel Michigan
settentrionale e, nel 1651, li troviamo nella parte occidentale
della Green Bay, nel Wisconsin dove sarebbe iniziata la storia
della futura tribù Wyandot, nata dall’unione di tre importanti
clan, quello del Cervo, del Lupo e della Tartaruga, questo
68
Storie del West
evento sarebbe storicamente avvenuto nell’anno 1649. Dopo
la scon_itta degli Huron, dei Tionontati e dei Neutrals, alcuni
gruppi si spostarono a ovest e, al clan della Tartaruga si sa‐
rebbero uniti alcuni tronconi dei clan del Lupo e del Cervo.
Ma questa è sicuramente un’altra storia, quella della tribù
Wyandot.
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Storie del West
L’irriducibile Rafael
A cura di Josephine Basile
Nella prima decade del 1800 in Messico, pochi capi Apa‐
ches furono così tanto famosi come l’Indio Rafael: in‐
domito, crudele, sanguinario, che manifestò tutto il suo
odio nei confronti dei bianchi, _ino a che questi lo mas‐
sacrarono unitamente al suo più fedele compagno di
scorreria, José Antonio. Rafael e i vagabondi Apaches
che lo seguivano, furono
con_inati sul _inire del se‐
colo XVIII nelle vicinanze
del Presidio Militare di
Santa Maria de las Caldas
di Guajoquilla (oggi Ciudad
Jimenez, nel Chihuahua),
per ordine dell’Ecc.mo ge‐
nerale Jacobo de Ugarte y
Loyola, Governatore e Co‐
Un guerriero mandante Generale delle
cosiddette "Provincias In‐
ternas" della Nuova Spagna.
Ma per qualche ragione ignota, nel 1803 Rafael e i suoi
Apaches ruppero il patto di pace, abbandonando Guajo‐
quilla e dando inizio ad una serie di scorrerie che ab‐
bracciarono gli attuali stati di Chihuahua, Durango,
Coahuila e Zacatecas, lasciandosi dietro una lunga scia
di sangue, morte e distruzione. Senza lasciar traccia
percorsero distanze davvero incredibili, rendendo vani
gli sforzi dei loro inseguitori che cercavano di localizzar‐
li; certamente, a causa del loro prolungato contatto con
gli spagnoli, Rafael e i suoi parlavano _luidamente il ca‐
stigliano e a volte utilizzavano le uniformi dei soldati
uccisi, per meglio ingannare le loro vittime.
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Storie del West
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Storie del West
In altri archivi si conservano i diari di campagna del suo
più instancabile inseguitore, il tenente Don Lucas Valen‐
zuela, della “Primera Compañía Volante” (soldati presi‐
diali a cavallo: i più ef_icienti nelle lotte contro gli Apa‐
La vasta zona d’azione di Rafael e la sua banda
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Storie del West
sando un appuntamento alle Case Vecchie della Noria. Il
suo scopo era probabilmente quello di liberarlo. Ma a
quanto pare non se ne fece nulla e l’Indio Rafael non vi‐
de mai più suo _iglio.
Don Lucas Valenzuela, in data 23 gennaio 1806, riferisce
che il giorno 7 dello stesso mese, nel luogo chiamato La
Zanja, l’Indio Rafael e i suoi compagni avevano ucciso un
vaquero, portandosi via prigioniero un ragazzino.
Inevitabilmente, anche per qualcuno dei ribelli la vita
volge al termine; il 25 gen‐
naio 1806, nelle cosiddette
Pianure delle Formiche (si‐
tuate poco ad ovest di
Coyame), Rafael e i suoi
compagni videro passare
alcuni Apaches con le loro
famiglie (si trattava di Me‐
scaleros che si trovavano in
pace con gli spagnoli a
Coyame); quindi decisero di
attaccarli per prendergli le
donne: ma nello scontro
che ne seguì venne ucciso il
famigerato El Chinche. Fu
un loro ex prigioniero, pre‐
Armato con l’arco
sente allo scontro, a rivelare
i dettagli del combattimen‐
to, quando venne interrogato.
Il 24 giugno 1806, il governatore di Durango pone una
grossa taglia sulla testa di Rafael e i suoi compagni:
“cinquecento pesos a chi li consegnerà vivi o morti”. Ma
a quanto pare non era impresa facile riscuoterla. Ne
sanno qualcosa i soldati Antonio Soto, Manuel Saenz e
un altro, i quali attaccarono Rafael e i suoi compagni, il 9
luglio 1806 e nei pressi di Santa Barbara: il risultato fu
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Storie del West
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Storie del West
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Storie del West
mandò uno dei giovani prigionieri (Salvador Bueno Lai‐
cano) a comprare sigari, dando così notizia di dove si
trovavano..” In_ine, venne riunito un gruppo di gente per
perseguirlo, ma il giorno 10 dicembre all’alba, trovarono
L’agguato
solo tale Francisco Chavez, ucciso a colpi di lancia.
Non è qui possibile elencare altre notizie, riguardanti le
incursioni di Rafael e Josè Antonio, che a quanto pare
commisero da soli questa lunga serie di assalti. Sembra
incredibile, ma è questo ciò che traspare dai rapporti e
dagli interrogatori degli ex prigionieri e prigioniere. Due
Indios Apaches contro tutti! Da Ciudad Chihuhua, in da‐
ta 21 gennaio 1811, scrive nel suo rapporto _inale il
“subdelegado real” Juan Josè Ruiz de Buztamante:
“Dalle dichiarazioni prese alle enunciate prigioniere,
non risulta assolutamente il più minimo sospetto che i
due citati indios (Rafael e Josè Antonio) avessero con‐
nessione, accordo, ausilio né comunicazione nelle loro
atrocità con nessuna categoria di persone; anzi, al con‐
77
Storie del West
trario, sembra che erano acerrimi nemici della loro stes‐
sa specie.”
Riferisce lo Storico Prof. Francisco R. Almada ‐ nel suo
libro "Resumen Histórico del Municipio di Jiménez" ‐
che in_ine i tre Apaches furono “exterminados” dopo
una tenace e lunga campagna. “El Chinche cayo muerto
en 1806”: come sappiamo, venne ucciso dai Mescaleros;
e il 26 luglio 1810 stessa sorte toccò agli irriducibili ca‐
pitancillos Rafael e José Antonio, in cima alle colline di
Acatita de Bajan (Coahuila), in un duro combattimento
contro un gruppo armato comandato da Victoriano
Waldo Rubio, mayordomo della Hacienda di San Antonio
della Laguna.
Prima di raccomandare il suo spirito a Yastasitasitannè
(Il gran Capitan del Cielo), l’irriducibile Rafael fece in
tempo a causare la sua ultima uccisione, ferendo a mor‐
te “l’escoltero” Inocente Perales, il cui cavallo rimase
impigliato in alcuni cespugli durante l’attacco: e fù in
questo momento che Rafael (evidentemente appiedato
in mezzo alla vegetazione) gli sferrò una lanciata, col‐
pendolo sotto la gamba e trapassandogli il ginocchio, a
causa della quale morì la notte stessa. Ma alla _ine del‐
l’impari battaglia, i due Apaches vennero uccisi e lette‐
ralmente squartati, posto che vennero ritrovati “senza le
teste e qualche altra estremità dei loro corpi devastati”.
Tuttavia, Rafael e il suo sparuto gruppo di Apaches, nel
tempo che durarono le loro terribili scorrerie, batterono
un record di crimini. I documenti riportano 396 vittime:
diedero la morte a 298 persone, ne ferirono 53, portan‐
dosi via 45 prigionieri.
I più grandi guerrieri Apaches aspiravano ad una onore‐
vole morte in combattimento e – così come i più grandi
– anche Rafael cadde glorioso nella lotta. Resta da chie‐
dersi:
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Storie del West
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Storie del West
Il sanguinoso raid di ChaPo
A cura di Paolo Brizzi
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Storie del West
Simon, per raggiungere il _iume Gila. Qui si divisero in piccoli
gruppi per razziare e uccidere.
Fu a questo punto che Tsoe‐Peaches lasciò il gruppo di guer‐
ra per tornare a San Carlos, col consenso degli altri secondo
Betzinez, ma forse non fu così, come lui stesso raccontò a
Davis e Crook. Dopo questo “incidente” un gruppo di indiani
razziò i cavalli dei ranches York e Purdy, situati sulla strada
tra Clifton e Lordsburg. Un altro gruppo assalì il distretto
L’agguato di un guerriero Apache
minerario May_lower e, in particolare, un gruppo di minatori.
Vennero uccisi John C. Emerick e il suo collega Walter P. Jo‐
nes. Molti fucili e munizioni depositati in una capanna furo‐
no portati via dai Chiricahuas. Fuggendo gli indiani incontra‐
rono Harlan P. Haynes che ammazzarono senza tanti com‐
plimenti. Poi, sette miglia a sud del ranch York, alcuni dei
razziatori sorpresero gli occupanti della stazione di diligenze
Swain. Al primo assalto tre bianchi colti all’aperto furono ab‐
battuti; altri due morirono nella capanna. Questo attacco eb‐
be luogo alle otto del mattino di martedì 27 Marzo; quindi gli
Apaches passarono il con_ine col New Mexico e, poche ore
più tardi, altri nove uomini bianchi furono uccisi. Alla _ine
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Storie del West
tizzò che fosse stato lo sparo ad aver richiamato l’attenzione
degli indiani. Dopo il recupero dei cadaveri scattò una conci‐
tata caccia per ritrovare il piccolo Charley; ulteriori compa‐
gnie di cavalleria scesero in campo, tra cui quelle al comando
di “Sandy” Forsyth (l’eroe di Beecher island), ma nessuna di
queste riuscì mai a raggiungere Chatto. Charley non fu più
ritrovato e non c’è certezza sul suo destino. Probabilmente fu
tenuto dagli Apaches nella Sierra Madre e allevato come un
_iglio. Betzinez che, quasi centenario, nel 1959 dettò le sue
memorie per il noto libro, disse che il bambino fu ucciso a
seguito dell’attacco compiuto dagli scouts di Crook il 15
Maggio 1883 quando, sconvolto per l’uccisione della madre,
un indiano di nome Speedy colpì Charley alla testa con un
sasso. Questa versione fu confermata da Daklugie, che però
non parlò di questa modalità, lasciando intendere che forse
invece il bambino venne ucciso da una pallottola vagante.
Betzinez disse di aver saputo il fatto da Ramona Chihuahua,
che però negò la cosa successivamente.
Dopo l’attacco ai McComas, Chatto decise di raggiungere il
vecchio Messico. Quindi, durante la notte tra il 28 e il 29, gli
Apaches si mossero rapidamente in direzione sud, attraver‐
sando i binari della Southern Paci_ic tra Lordsburg e Separ e
dirigendosi verso la valle Animas. Gli sfuggirono quattro ca‐
valli someggiati che, dirigendosi verso ovest, entrarono nel
villaggio di Shakespeare, con gran sorpresa per gli abitanti
che avevano trascorso una notte insonne temendo un attacco
indiano. A mezzogiorno del 29 Marzo, cinque guerrieri sor‐
presero il rancher Bob Anderson e il suo collega John Devine
che stavano tornando al ranch coi muli carichi e un carro
contenente rifornimenti e munizioni. Entrambi gli uomini
furono colpiti mentre cercavano di ripararsi, però solo An‐
derson mortalmente. Devine ebbe salva la vita perché gli in‐
diani preferirono inseguire i muli e il carro in fuga per impa‐
dronirsi di tutte le merci, fucili, munizioni e alcune bottiglie
di whiskey. Ormai vicini alla frontiera, i razziatori di Chatto
riuscirono a commettere un ultimo omicidio uccidendo il
carrettiere L.G. Raymond ad Antelope Springs, depredando il
carro e impossessandosi del cavallo.
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Storie del West
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Storie del West
Il lungo esilio di Toro Seduto in Canada
A cura di Isabella Squillari
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Storie del West
di un prete cattolico che era stato nelle Cypress Hills poco
tempo prima.
Walsh arrestò White Dog, il leader dei tre Assiniboine, per
furto. White Dog dette un’occhiata ai guerrieri Sioux che si
erano radunati intorno a lui, _iducioso che non avrebbero
assecondato quell’uomo bianco con la giubba rossa.
Ma Walsh non si fece scoraggiare. La legge era stata infranta.
Facendo penzolare di fronte a White Dog un paio di catene
da caviglie, Walsh disse “Dimmi dove hai preso questi cavalli,
come li hai presi, e cosa intendi farci, o ti metterò queste ca‐
tene e ti porterò via”.
Il silenzio scese sull’accampamento. Tutti gli occhi erano
puntati sui soldati inglesi e su White Dog. I Sioux erano sba‐
lorditi dal coraggio dei Mounties. Alcuni erano pronti a com‐
battere per i loro fratelli Assiniboine, alcuni erano confusi,
altri stavano aspettando di vedere se i soldati inglesi avreb‐
bero portato a termine la loro minaccia.
Leggendo esitazione sui volti dei Sioux, White Dog borbottò
che mentre stava attraversando la prateria a est delle Cy‐
press Hills, aveva visto i cavalli che girovagavano sperduti e li
aveva presi.
Egli aggiunse che non si era reso conto che quello che stava
facendo era sbagliato, visto che a sud della linea di medicina
si era soliti prendere ogni cavallo che si credeva sperduto e
restituirlo soltanto se i loro proprietari chiedevano di farlo.
Walsh non gli credette, ma gli concesse il bene_icio del dub‐
bio. La legge parlava chiaro, ma quando i Mounties si rende‐
vano conto di trovarsi di fronte a persone che non ne erano a
conoscenza, di solito erano indulgenti.
Secondo quello che R.C. Macleod del Dipartimento di Storia
dell’Università di Alberta scrisse nel suo libro ‘The North‐
West Mounted Police and Law Enforcement 1873‐1905’, “il
furto di cavalli era alla stregua di uno sport tra le tribù delle
pianure. L’idea che fosse un crimine venne gradualmente in‐
trodotta dalla polizia, la quale preferiva restituire i cavalli
con una raccomandazione ai ladri piuttosto che arrestarli.”
Walsh rilasciò White Dog, ma sequestrò i cavalli per poterli
restituire durante il suo ritorno a Fort Walsh, 110 miglia a
92
Storie del West
Walsh lo convinse ad abbandonare il villaggio Sioux vicino a
Pine Horse Butte per dirigersi a Fort Walsh ad ascoltare gli
americani.
L’incontro si svolse il 17 ottobre, ed ebbe risultati prevedibili.
Toro Seduto non aveva _iducia in Terry, l’uomo che aveva
mandato Custer, e i Sioux si ri_iutarono di tornare indietro.
Robert Utley, biografo di Toro Seduto, aveva ipotizzato che gli
Stati Uniti non volessero realmente far tornare indietro Toro
Seduto, e che fecero pressione sul Canada per adottare il ca‐
po e la sua gente come “indiani canadesi”.
La dif_idenza di Toro Seduto si intensi_icò con la consapevo‐
lezza che il colonnello Nelson A. Miles si aggirava subito sot‐
to il con_ine, avendo scon_itto Capo Giuseppe e gli altri Nez
Perce alle Bear Paw Mountains due settimane prima.
White Bird, uno dei capi Nez Perce, insieme a 98 uomini, 50
donne e circa 50 bambini avevano aggirato la sorveglianza
degli uomini di Miles alle Bear Paw e l’8 ottobre erano giunti
all’accampamento di Toro Seduto.
Ancora prima che la commissione di pace degli Stati Uniti si
recasse a Fort Walsh, i quotidiani avvisarono i lettori dei
problemi che avrebbero potuto creare i Sioux, come descritto
dettagliatamente nel 1973 dallo storico Grant MacEwan nel
suo libro “Toro Seduto: gli anni in Canada”.
Il Montreal Witness del 16 agosto 1877, riportò che Toro Se‐
duto aveva chiesto al popolo Blackfeet di sostenerlo nel con‐
_litto contro l’odiato governo Americano, dopodichè egli lo
avrebbe aiutato in ogni battaglia che avesse potuto avere col
governo canadese.
Il Fort Benton Record del Montana pubblicò un pezzo intito‐
lato “Toro Seduto si sta preparando per la Campagna di Pri‐
mavera” che diceva che gli Assiniboine, i Gros Ventre, i Crow
e i Piegan avrebbero raggiunto il capo Sioux.
Il Toronto Globe del 25 settembre 1877 avvertiva i suoi letto‐
ri che Wood Mountain, una colonia Metis nei pressi di Pinto
Horse Butte, “avrebbe potuto esplodere in ogni momento”.
Il Globe affermava che Toro Seduto era sul punto di marciare
contro l’esercito degli Stati Uniti alla guida di tutte le tribù
del nord, aggiungendo che “Toro Seduto aveva molte muni‐
94
Storie del West
zioni”.
Le notizie si susseguivano, specialmente dopo il fallimento
del meeting della commissione di pace in Ottobre.
Il Fort Bentos Record del 5 aprile 1878, scriveva che i Blood, i
Northern Blackfeet, i Cree, gli Assiniboine del nord, i Piegan, i
Kootenai, i Sarcee (tutte tribù canadesi) e i Gros Ventre ave‐
vano raggiunto Toro Seduto, il quale “non aveva fatto alcuna
fatica a formare una lega tra queste tribù… Egli appariva in‐
sieme a trenta dei suoi migliori guerrieri che indossavano gli
abiti dei soldati uccisi nel massacro di Custer, per testimo‐
Giubbe Rosse in visita al campo canadese di Toro Seduto
tantacinque miglia da Fort Walsh, e c’erano nuovi arrivi ogni
ora… ‘in un giorno erano arrivati quattro carri carichi di car‐
tucce’… I Nez Perce e i Blackfeet avevano stipulato un trattato
con Toro Seduto e i Blackfeet erano pronti nei pressi del Bel‐
ly River (vicino a Fort Macleod)… Si supponeva che l’attacco
sarebbe stato sferrato alle Cypress Hills (Fort Walsh) e a Fort
Macleod.”
I Mounties indagarono su queste illazioni ma scoprirono che
non avevano un reale fondamento. Crow Foot, un potente
capo Blackfoot, confermò di aver avuto delle proposte da To‐
ro Seduto. Disse anche che nella primavera del 1876, prima
della Battaglia di Little Bighorn, Toro Seduto gli aveva chiesto
di raggiungere i Sioux in una possibile guerra contro gli ame‐
ricani, ma egli aveva ri_iutato.
Toro Seduto lo aveva nuovamente contattato nell’estate del
1877, quando si erano incontrati durante una caccia al bufa‐
lo, ma non avevano parlato di alcuna alleanza.
Walsh nei primi mesi del 1878 si recava spesso a Ottawa in
treno attraversando il nord degli Stati Uniti e sovente veniva
intervistato dai giornalisti. Soprannominato dalla stampa “il
boss di Toro Seduto”, egli smentì le voci di una grande allean‐
za guidata da Toro Seduto.
Egli smentì categoricamente che i Sioux di Toro Seduto (che
a quell’epoca contavano circa 5.000 uomini, inclusi alcuni
Oglala Sioux del capo Crazy Horse, ucciso dalla baionetta di
un soldato il 5 settembre 1877) facessero parte di un qual‐
siasi piano d’azione.
Walsh era convinto che i viaggiatori passassero spesso storie
simili agli scout dell’esercito, affamati di notizie da riportare
ai loro superiori.
Quando nel maggio del 1878 un giornalista del Chicago Ti‐
mes lo intervistò circa la possibilità di una confederazione di
tutte le tribù che si trovavano a nord del con_ine, Walsh di‐
chiarò “Non è naturale pensare che i Sioux e i Blackfoot pos‐
sano allearsi.”
Lo stesso accadde per la storia secondo cui i Sioux avevano
avuto un’ampia scorta di munizioni; Walsh fece notare che le
rigide restrizioni del governo consentivano ai Sioux di avere
96
Storie del West
soltanto le pallottole per cacciare. Egli aggiunse che i Moun‐
ties perlustravano regolarmente tutti i percorsi dei commer‐
cianti di armi nei territori occupati dai Sioux.
Altre voci mormoravano che Louis Riel, un leader Metis in
esilio dopo l’insurrezione del 1869‐70 in Manitoba, stava
tentando di formare un’alleanza. Riel, che viveva nel Monta‐
na, tentò durante tutto il 1878 di formare una collaborazione
tra “tutti quelli di sangue indiano…” per combattere contro i
bianchi e riavere le praterie, che egli sosteneva appartenes‐
sero loro.
I suoi obiettivi erano vaghi. Egli si occupava del malcontento
che gli indiani manifestavano rispetto al cambiamento del
loro modo di vivere, specialmente quanto alla crescente
scarsità del bisonte.
Gli Assiniboine del nord Montana furono i primi ad unirsi a
Riel. Non appena Walsh venne a conoscenza delle attività di
Riel, raggiunse Wolf Point, lungo il _iume Missouri, dove si
trovava l’accampamento degli Assiniboine, e discusse a fon‐
do con loro dell’alleanza con Riel.
Quindi ritornò verso nord passando lungo il con_ine e attra‐
verso gli accampamenti di Toro Seduto e degli altri capi
Sioux, rammentando loro le promesse di rispettare la legge
canadese e mantenere la pace.
Walsh credeva molto alla parola data, così come Toro Seduto
e i Sioux. Egli inviò le sue parole agli agenti indiani del Mon‐
tana, nelle cui agenzie erano accampati Riel e i suoi alleati
Metis. Gli agenti, a loro volta, informarono il Dipartimento
degli Interni a Washington D.C.
Venne così dato ordine di agire all’esercito degli Stati Uniti.
Nel 1878, prima dell’arrivo della neve sulle pianure del nord,
soldati, scerif_i e uf_iciali dell’esercito degli Stati Uniti fecero
irruzione nelle riserve e dispersero i Metis, sequestrando le
loro armi e munizioni, rimpatriando attraverso il con_ine
quelli che dichiaravano di essere canadesi o provenienti da
regioni del sud Montana.
Questo intervento di fatto ruppe l’alleanza di Riel.
Nell’autunno del 1878, Toro Seduto avvisò Walsh dell’immi‐
nente arrivo di un gruppo di Cheyenne in Canada, così come
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Storie del West
aveva fatto un anno prima per l’arrivo dei Nez Perce.
Ma questa volta si sbagliava; l’esercito degli Stati Uniti fermò
gli Cheyenne prima che potessero recarsi più a nord.
Nonostante Toro Seduto avesse sognato la possibilità di uni‐
re gli Cheyenne e altre tribù del nord in una confederazione
per tenere testa agli americani, egli aveva costantemente
espresso la speranza che la “Nonna” potesse concedergli una
riserva in Canada, come aveva fatto con i Sioux che erano
fuggiti al nord in seguito all’insurrezione del 1862 in Minne‐
sota.
La presenza di 5.000 Sioux in Canada stava provocando una
drastica riduzione del numero dei bisonti (la principale ri‐
sorsa alimentare degli indiani delle pianure), che erano ogni
anno sempre meno. Nel 1876 il governo canadese aveva sti‐
mato che ci fossero abbastanza bisonti per nutrire gli indiani
dell’ovest per cinque anni al massimo.
Ma all’arrivo dei Sioux il governo dovette rivedere drastica‐
mente le proprie stime. Le tribù canadesi si resero conto che
i bufali stavano diminuendo, e dettero la colpa ai Sioux. Il ri‐
schio di con_litti tra le tribù aumentava, richiedendo una
maggiore vigilanza da parte delle Giubbe Rosse nel nord‐o‐
vest, e il governo non intendeva farsi carico dell’alimentazio‐
ne dei Sioux.
La politica fondamentale del Canada rimase invariata. I Sioux
avrebbero dovuto fare ritorno alle loro terre.
Alcuni dei giovani guerrieri di Toro Seduto divennero irre‐
quieti. Se non ci fosse stato cibo a suf_icienza nelle riserve,
essi avrebbero semplicemente preso quello che gli occorre‐
va.
Alcuni abitanti delle Wood Mountain, i Metis, iniziarono a
non trovare più i loro cavalli. Questo vizio dei Sioux (il furto
era una delle attività più praticate dalle tribù delle pianure)
mise alla prova la pazienza di Walsh e dei suoi uomini.
Questo fatto era causa di super‐lavoro per loro, pattuglia‐
menti e lunghe ore in sella.
All’inizio dell’estate del 1879, un gruppo di giovani guerrieri
Sioux prese una cinquantina di cavalli appartenenti a un Me‐
tis di nome Poitras, il quale si recò al loro accampamento per
98
Storie del West
riaverli indietro.
I Sioux risero, e Poitras fu fortunato che i guerrieri si limita‐
rono a ridere. Così egli si recò al posto delle Giubbe Rosse
nell’accampamento Metis, a Wood Mountain, dove Walsh
aveva trasferito il suo quartier generale, esclusivamente per i
campi Sioux.
Walsh, uno dei suoi uomini e uno scout Metis andarono con
Poitras alla ricerca dei cavalli. Non avendo avuto successo,
Walsh chiamò Toro Seduto, e gli disse chiaramente che vole‐
va i cavalli, e che se non li avesse restituiti egli avrebbe invi‐
tato Nelson Miles, per il quale aveva grande ammirazione, ad
attraversare il con_ine e a costringere i Sioux a tornare nelle
propria terra.
Toro Seduto si adirò, ma al_ine il bluff dei Mounties funzionò.
Il capo Sioux comprese che la posta in gioco era troppo alta
per permettere la s_ida dei suoi giovani guerrieri. I cavalli
furono restituiti.
“Poche settimane dopo,” scrisse John Peter Turner, “Toro Se‐
duto ritornò all’accampamento di Wood Mountain con un
grande seguito, compresi i capi Four Horns e Black Moon. “La
caccia al bufalo non era andata molto bene, e sentivano i
morsi della fame. Giunsero di fronte agli alloggi di Walsh, una
delle varie casette in legno che comprendevano anche il po‐
sto di polizia dei Mounties. Scesero dai loro pony, entrarono
nella casa e strinsero solennemente la mano all’agente dei
Mounties. Walsh mandò a chiamare Cajou Morin, il suo in‐
terprete Metis. Dopo aver parlato con loro, Morin tornò da
Walsh: “Chiedono rifornimenti, specialmente tè e tabacco.”
Ma Toro Seduto aveva altro da dire. Egli si lamentò per la
mancanza di compassione nei confronti dei Sioux da parte
della “Nonna”, la scarsa considerazione che il governo cana‐
dese dedicava all’approvvigionamento di cibo, anche se i
Mounties spesso li rifornivano con le loro stesse provviste.
Walsh ascoltò le minacce appena velate di Toro Seduto su
cosa sarebbe potuto accadere se non fossero stati presi
provvedimenti.
Questo fu troppo per Walsh, che era conosciuto per il suo
linguaggio schietto.
99
Storie del West
Toro Seduto a Fort Walsh nel 1877
detta gente!”
“Stai attento, Wahonkeza (il nome Sioux di Walsh), replicò
Toro Seduto. “Stai parlando con il capo della potente nazione
Sioux.”
“So con chi sto parlando. Quel che ho detto rimane. E anche
se non ci saranno più furti di cavalli io ti arresterò!”
Toro Seduto era arrabbiato. Agitando un dito, disse a Walsh
“Nessuno può parlarmi così!” e cercò di estrarre la pistola
dalla cintura, ma Walsh lo afferrò e lo trascinò fuori dalla ca‐
sa.
Toro Seduto cadde a terra, e quando tentò di rialzarsi Walsh
gli diede un calcio. Furioso, Toro Seduto balzò in piedi ten‐
tando ancora di afferrare la pistola, ma uno degli altri capi lo
trattenne. Egli lottò per liberarsi, ma era stanco e cadde a
100
Storie del West
terra.
Dopo un momento il capo Hunkpapa si rialzò e se ne andò
infuriato.
Walsh corse alla casa vicina. “Uomini, state pronti” urlò. “Po‐
trebbero esserci guai.”
I Mounties si precipitarono fuori imbracciando i loro fucili, e
si disposero in _ila dietro di lui.
In strada, di fronte all’emporio, si era formata una rumorosa
folla di indiani. Pochi minuti più tardi il gruppo, guidato da
Toro Seduto sul suo pony color crema, si diresse verso il po‐
sto di polizia dei Mounties.
Walsh ordinò a Morin di prendere due lunghi pali dal _ienile
e di posarli in terra di fronte al posto di polizia. “Dite loro di
non attraversare questi pali. Il primo che lo farà se ne penti‐
rà.”
Quando i Sioux furono vicini, Morin gridò a Walsh di stare
attento. Gli ardenti occhi di Toro Seduto erano _issi su Walsh
mentre andava verso di lui. Walsh era di fronte ai suoi uomi‐
ni, e ricambiava lo sguardo del capo Sioux.
Quindi, appena prima di arrivare ai pali disposti in terra, To‐
ro Seduto dette uno strattone alle redini del suo pony. L’ani‐
male si fermò immediatamente. I Sioux erano ammassati die‐
tro al loro capo. Walsh e Toro Seduto continuavano a _issarsi
negli occhi l’un l’altro.
Alla _ine, Toro Seduto girò il suo pony e se ne andò, e lo stes‐
so fecero i suoi uomini, tornando verso l’accampamento rac‐
colti in piccoli gruppi.
Toro Seduto aveva affondato con sicurezza il suo coltello nel
cuore delle giubbe rosse della “Nonna”, ma questa volta non
era andata come desiderava. Walsh era l’unico uomo bianco
di fronte a lui, era praticamente solo eppure lo aveva scon_it‐
to, ma Walsh era anche l’unico uomo bianco di cui lui si po‐
tesse _idare, l’unico uomo bianco su cui lui potesse basarsi.
A volte i Sioux attraversavano il con_ine, non per fare la
Guerra con gli americani ma per cacciare il bufalo. Il 17 luglio
1879, durante una partita di caccia a cui partecipava anche
Toro Seduto, i Sioux si avventurarono a sud del Milk River e
ci fu uno scambio di colpi con i soldati di Miles e gli scout
101
Storie del West
Crow.
Si disse che Toro Seduto aveva avuto la meglio su Magpie,
uno dei Crow, dopo averlo s_idato a duello durante la batta‐
glia. Alla _ine gli obici di Miles costrinsero i Sioux a ritirarsi a
nord del con_ine.
Questa schermaglia nei pressi del Milk River consolidò la de‐
cisone di Toro Seduto di non arrendersi all’esercito. Egli era
convinto che gli americani stessero aspettando soltanto que‐
sto come una punizione per quello che era successo a Little
Bighorn.
Ma le pance vuote brontolavano incessantemente, e molti
Sioux tornarono verso sud. All’inizio di agosto Toro Seduto
disse a Walsh che avrebbe voluto richiamare i suoi guerrieri
per incontrare i soldati di Miles in battaglia, aggiungendo che
nessuno di quei soldati sarebbe sopravvissuto per raccontar‐
lo.
Walsh intese quelle parole come un vanto, ma disse a Toro
Seduto che quell’azione sarebbe stata un’imprudenza, che
alla _ine egli avrebbe dovuto tornarsene nella sua terra e che
gli americani non avrebbero tollerato altre vittime tra i loro
soldati.
egli Stati Uniti continui massacri di bufali, sia da parte degli
indiani che dei bianchi, avevano ridotto il loro numero a tal
punto che le grosse mandrie non migravano più verso nord;
soltanto piccoli gruppi sparpagliati attraversavano il con_ine.
Non soltanto i Sioux ma anche gli indiani del Canada erano
prossimi a morire di fame. Il governo canadese era obbligato
da vari trattati a nutrire i propri indiani, ma non aveva alcun
obbligo verso i Sioux.
Nonostante la riluttanza di molti Sioux di mettersi alla mercè
del governo americano, nel luglio 1879 il pensiero di poter
ottenere facilmente del cibo spinse piccoli gruppi a ritornare
sulla linea di medicina per arrendersi alle autorità militari a
Fort Keogh, alla foce del Tongue River nello Yellowstone.
Altri gruppi seguirono, quando ebbero la sicurezza dai loro
fratelli che sarebbero stati trattati ragionevolmente. Nel‐
l’estate del 1880 circa 3.700 Sioux avevano fatto ritorno alla
loro terra.
102
Storie del West
per la loro vittoria su Custer.
Dopo aver preso il comando della grande postazione Moun‐
tie a Fort Qu’Appelle, Walsh partì in direzione Ontario, via
Winnipeg, St. Paul e Chicago. Dopo essere giunto a Brockvil‐
le, sua città natale non lontana da Ottawa, egli ottenne un in‐
contro col primo ministro Macdonald.
Discussero la questione di
Toro Seduto, ma Macdonald
ri_iutò a Walsh il permesso
di andare a Washington.
Il successore di Walsh a
Wood Mountain era l’ispet‐
tore Lief N.F. (“Paddy”) Cro‐
zier, il cui incarico era per‐
suadere Toro seduto e i ri‐
manenti Sioux a ritornare
nella loro terra.
Benché fosse un uf_iciale con
molta esperienza e capacità,
aveva un modo di fare inva‐
dente e non fu in grado di
guadagnarsi la _iducia di To‐
ro Seduto.
Toro Seduto Inoltre, Toro Seduto mirava
ad ottenere una riserva in
Canada, e sperava che il suo vecchio amico sarebbe stato in
grado di aiutarlo in questo.
Alla _ine dell’aprile 1881, Toro Seduto insieme agli ultimi ri‐
masti della sua banda (da 200 a 400 persone) si recò a Fort
Qu’Appelle cercando Walsh.
Macdonald, prevedendo una simile eventualità, aveva con‐
cesso a Walsh la possibilità di trattenerlo in Ontario.
Sebbene Macdonald avesse impedito a Walsh di recarsi a
Washington, il primo ministro apparentemente non aveva
detto nulla circa Chicago. Walsh aveva un vecchio amico al‐
l’Indian Bureau che aveva familiarità con la questione Sioux.
Walsh andò a trovarlo, e il suo amico gli promise che avrebbe
contattato alcuni amici in_luenti a Washington che avrebbero
104
Storie del West
potuto intercedere in favore di Toro Seduto.
Grant MacEwan scrisse che “Walsh mandò un messaggio a
Toro Seduto, evitando i canali uf_iciali.” In effetti Walsh inviò
le sue parole attraverso Louis Daniels, un _idato Metis, che
era stato uno dei suoi scout.
MacEwan aggiunse che “Daniels portò a termine le istruzioni
con facilità. Toro Seduto non era convinto di quelle promes‐
se, tuttavia se era stato Walsh a fargliele, per lui era suf_icien‐
te. Egli avrebbe condotto la rimanenza dei suoi seguaci a Fort
Buford, in territorio Dakota.”
Jean Louis Legaré, un commerciante franco‐canadese che ge‐
stiva un magazzino a Wood Mountain, aveva fatto amicizia
con molti Sioux in Canada. Egli aveva aiutato qualcuno di essi
con provviste e li aveva accompagnati a Fort Buford (alla foce
del Yellowstone River in Missouri) dove essi si erano arresi.
Egli decise di fare la stessa cosa per Toro Seduto. Accompa‐
gnati da Legarè e dall’ispettore Alexander A. Macdonnel della
Mounted Police,Toro Seduto e i suoi uomini si arresero alle
autorità militari a Fort Buford il 19 luglio 1881.
Toro Seduto divenne un prigioniero di guerra e fu trattenuto
a Fort Randall, in territorio Dakota.
Nel maggio 1883 fu trasferito alla agenzia di Standing Rock,
nei pressi di Fort Yates sul _iume Missouri (l’attuale Nord
Dakota). L’anno seguente si stabilì lungo il Grand River (l’at‐
tuale Sud Dakota).
Il famoso capo fu ucciso qui, in un con_litto con la polizia tri‐
bale, il 15 dicembre 1890.
Secondo Grant MacEwan, il giorno seguente la morte del ca‐
po, Walsh scrisse: “Sono lieto di sapere che Bull sia sollevato
dalla sua sofferenza, anche se è stata una pallottola la causa
di ciò. Ha esercitato un forte potere, quello di un re, su di un
popolo libero e selvaggio, non sopportando l’estrema pover‐
tà… soffrendo enormi pene. La morte è un sollievo. Rimpian‐
go di non essere andato a Standing Rock per vederlo. Bull è
stato messo in falsa luce. Egli non era l’uomo assetato di san‐
gue che l’opinione pubblica avrebbe voluto. Egli desiderava
soltanto giustizia. Non è stato un uomo crudele. Aveva un
cuore tenero e non era disonesto. Amava la verità e la sua
105
Storie del West
106
Storie del West
L’ul9ma scorreria di Geronimo
A cura di Josephine Basile
leguato.
Goyahkla e i suoi uomini si dirigono di nuovo ad ovest ed il
Prefetto di Altar, con 70 uomini entra in Arizona con lo scopo
di sbarrargli la strada.
Questi riescono ad intercettarli nel Canyon de Las Avispas,
ma nel combattimento che ne segue gli Ndè li scon_iggono
Geronimo e un gruppo di fedelissimi guerrieri
108
Storie del West
Il sogno di Naso Romano
A cura di Maurizio Biagini
Sentì la violenza del colpo, non il dolore. La fucilata lo centrò
sopra la scapola destra, gli strappò l’aria dai polmoni e lo di‐
sarcionò, precipitandolo nel _iume.
Il contatto con l’acqua gli impedì di svenire e, sempre stra‐
namente estraneo al dolore, si
alzò e cominciò a camminare
verso riva, vagamente consa‐
pevole delle fucilate che gli
_ischiavano intorno.
Vide alcuni guerrieri tornare
indietro per venirgli in soc‐
corso, poi si sentì afferrare per
le braccia e allora il dolore
esplose in tutta la sua violenza
e gli fece perdere i sensi.
Quando si riprese era adagiato
nell’erba, all’ombra di un albe‐
ro. Aveva qualcosa fasciato
strettamente attorno al busto
che gli impediva ogni movi‐
Naso Romano mento.
Accanto a lui qualcuno disse
qualcosa e un attimo dopo gli
diede da bere. Naso Romano riuscì appena a piegare il collo,
l’intero busto sembrava insensibile.
La battaglia intanto continuava, sentiva il boato dei grossi
fucili ad avancarica e le detonazione più secche dei fucili a
ripetizione ma il fuoco era diminuito molto, non si sentivano
più le grida dei giovani guerrieri che andavano all’attacco.
Non ce l’avrebbero mai fatta. Tutti gli uomini bianchi aveva‐
no fucili a ripetizione e tantissime munizioni. Attaccarli in
massa allo scoperto era stato avventato e molti Cheyenne
erano precipitati nel _iume, uno dietro l’altro.
Quando anche il secondo attacco era stato respinto dai sol‐
110
Storie del West
dati, i giovani guerrieri si erano rivolti a lui perché li guidas‐
se alla vittoria. Lui era il più grande guerriero Cheyenne, non
avrebbe potuto fallire, come non aveva mai fallito prima
d’ora. Ma stavolta era diverso e quando aveva spinto avanti il
cavallo per guidare gli uomini al _iume, Naso Romano aveva
avuto paura (solo i morti e i pazzi non hanno paura).
La sua medicina, quella che lo aveva sempre protetto da frec‐
ce e pallottole non aveva più potere e lui sapeva già che quel‐
la sarebbe stata la sua ultima battaglia.
Quando il medicine‐man aveva compiuto il rito per lui, anni
prima, era stato preciso sul da farsi. Ogni singola istruzione
andava seguita alla lettera e lui aveva sempre obbedito scru‐
polosamente, _ino a poco tempo prima. Nella tenda degli
amici Sioux aveva mangiato, fumato e parlato con gli alleati
dell’invasione degli uomini bianchi. Solo alla _ine alzando ca‐
sualmente gli occhi sulla donna che aveva preparato il cibo
era rimasto impietrito dall’orrore.
Naso Romano non avrebbe mai dovuto mangiare cibo venuto
a contatto con il metallo e la donna aveva tagliato il pane con
un coltello e lo aveva servito con una forchetta. Un utensile
dei bianchi, per giunta. La sorte gli era sembrata ancora più
amara e beffarda.
Anche gli amici Cheyenne che erano con lui avevano visto e
sul loro volto aveva visto dipinto lo sgomento. Lui era rima‐
sto immobile ma non aveva detto niente per non offendere la
sacra ospitalità dei suoi fratelli Lakota. Alla _ine del pasto
aveva ringraziato educatamente i suoi an_itrioni ed era usci‐
to con le gambe che si muovevano incerte verso il cavallo.
Poi erano arrivati i bianchi. Un piccolo numero, ma bene ar‐
mati, lì nel loro territorio. Su una collina le donne e i bambini
si erano appostati in grande numero per seguire la battaglia,
incitando i guerrieri con i loro canti. Davanti alle loro donne,
i guerrieri, specie i più giovani, erano ben decisi a dimostrare
tutto il loro coraggio e dopo aver abbattuto o disperso i tutti i
cavalli dei soldati avevano caricato furiosamente. Ma era sta‐
to inutile. I bianchi, nascosti, su un piccolo isolotto al centro
del _iume, al riparo dietro ai loro stessi cavalli morti avevano
spazzato tutto intorno a loro come una tempesta di neve in
111
Storie del West
inverno.
Naso Romano giaceva sdraiato all’ombra dell’albero. Conti‐
nuava a non sentire nulla, là dove era stato colpito; tutta la
realtà sembrava come attenuata, sfocata. Gli spari, le urla dei
combattenti, i lamenti dei feriti… Sentiva solo il fruscio del
Un medicine man Cheyenne
vento tra le foglie a coprire tutto.
Guardò in alto il cielo blu intenso ed improvvisamente fu
bambino. Era in una radura in cui un torrentello con una pic‐
cola cascata sfociava in un laghetto. Il cielo era lo stesso e an‐
che la giornata, calda e ventilata sembrava la stessa. Lui era
seduto su una pietra e guardava l’acqua che scorreva pigra‐
mente giù dalla parete rocciosa. Poco più in là sedeva suo
nonno, gli occhi chiusi ed il volto rivolto verso il sole. Era sta‐
ta una bellissima giornata e lui e il nonno avevano giocato,
fatto il bagno e pescato nel corso d’acqua. Ora il nonno si
asciugava al sole, silenzioso e solenne come sempre, i lunghi
capelli grigi sulle spalle, unico particolare a tradire la sua età.
“Nonno?” Il vecchio rimase in silenzio. “L’altra notte quando i
112
Storie del West
113
Storie del West
Lo scalpo
A cura di Gaetano Della Pepa
Lo scalpo è stato a lungo l’espressione del valore del guerrie‐
ro, la prova del coraggio in battaglia, il segno tangibile di una
vendetta ottenuta. Lo scalpo dei nemici uccisi era quindi un
ambito trofeo nella tradizione bellica degli Sciiti come ci dice
Erodoto. Lo scotennamento sembra essere praticato anche
dai Giudei di Maccabeo.
Pertanto gli indiani d’America non furono né i primi e né,
tantomeno, i soli a praticare
lo scotennamento dei ne‐
mici.
Loro però ne aggiunsero
anche una valenza religiosa.
Poiché credevano che il
Grande Spirito afferrasse
per i capelli i guerrieri ucci‐
si in battaglia per portarli
nelle praterie celesti , to‐
glievano ai nemici questa
possibilità eliminando pra‐
ticamente i capelli e la pre‐
sa che essi offrivano.
In caccia di scalpi Inoltre prendere lo scalpo
del nemico signi_icava im‐
possessarsi della sua forza
(una credenza questa che sta alla base di certe pratiche di
cannibalismo). Alcuni studiosi degli indiani ritengono che
l’usanza dello scalpo ebbe inizio lungo la costa atlantica, per
altri invece si sviluppò indipendentemente fra gli indiani del‐
la prateria. Apparentemente si praticò in aree ristrette _ino
all’arrivo dei bianchi. Quando i Francesi furono in guerra
contro gli Inglesi pagarono ai loro indiani un premio per ogni
scalpo inglese. Gli Inglesi, a loro volta, offrirono ai loro amici
Irochesi un compenso per ogni scalpo degli indiani al servi‐
114
Storie del West
pezzo di pelle [con un gesto brusco al quale si unisce un tipi‐
co rumore legato al distacco della pelle stessa ‐ nda].
Se il nemico è ancora vivo l’essere scalpato non implica la
morte dal momento che neppure si intacca l’osso del cranio”,
anche se l’operazione è dolorosissima. Gli indiani, infatti, so‐
no in grado di dire se
un cranio è stato sot‐
toposto ad uno o più
tentativi per togliere lo
scalpo. Oltre allo scal‐
po, se c’è tempo e non
ne va della propria in‐
columità, il vincitore
taglia e porta via an‐
che il resto dei capelli
del vinto, capelli che la
moglie utilizza per fare
le frange ai vestiti por‐
tati come trofei.
Dopo il contatto con i
bianchi, gli indiani si
rifornivano costante‐
mente di speci_ici “col‐
telli a scalpo” venduti
Una casacca ornata di scalpi loro dai mercanti in
cambio di cavalli o al‐
tro. Erano lame prodotte soprattutto in Inghilterra e veniva‐
no vendute a migliaia e si diffusero in tutta la frontiera con
una velocità impressionante, riscuotendo il consenso dei
guerrieri. Generalmente questi ultimi si occupavano di im‐
preziosire il proprio coltellaccio con i classici decori della
tribù di appartenenza.
Lo scalpo serviva da prova concreta dell’uccisione di un ne‐
mico. Infatti, nessuno lo toglie ad un avversario ancora in vi‐
ta a meno che, come a volte è successo, un uomo nel pieno
della battaglia non cada a terra privo di sensi ed il suo avver‐
sario credendolo morto, non gli tolga lo scalpo. La vittima
dell’errore, in via di massima si riprende bene e porta per il
116
Storie del West
potesse essere afferrata dal nemico era considerato segno di
codardia.
Sull’argomento ci sarebbe ancora tanto da dire, in particolare
sulla danza dello scalpo (come quella, conosciutissima, degli
indiani Winnebago) con tutte le valenze religiose. Nello spe‐
ci_ico ci dovremmo incamminare su un sentiero non facile da
seguire per la confusione venutasi a creare tra folclore e vera
spiritualità dei nativi.
Per questo ci fermiamo qui lasciando agli appassionati la fa‐
coltà di immergessi o meno nel ricco e variegato mondo spi‐
rituale degli Indiani.
118
Storie del West
Comanche War Trail
A cura di Renato Ruggeri
La mappa del Comanche War Trail
121
Storie del West
122
Storie del West
Il processo e l’esecuzione dei ribelli Dakota nel 1862
A cura di Anna Maria Paoluzzi
Quando gli fu chiesto se si dichiarava colpevole o innocente,
Godfrey assunse un’aria contrita e, come scrisse lo stesso
Isaac Heard, “con un tono così sincero e una delle voci più
dolci che io abbia mai udito”, dichiarò in un inglese stentato
che egli non avrebbe mai voluto unirsi ai rivoltosi, e che ave‐
va cercato di scappare insieme alla moglie indiana, ma che
era stato trattenuto dal padre e dallo zio di lei.
Profughi di New Ulm
Il campo allestito per trattenere i prigionieri Dakota
suoi bimbi e li aveva poi portati nella sua tenda, dove lui e la
sua vecchia madre li avevano nutriti e protetti dai loro stessi
compagni.
Sarah negò con decisione di essere stata maltrattata o mole‐
stata (attirandosi così anche le accuse di alcuni coloni che
l’accusarono di essere un’ “amica degli indiani” e di aver avu‐
to una relazione illecita con Wechankwashtodopee) e so‐
stenne di dover la vita al prigioniero indiano; un altro testi‐
mone, Angus Robertson, confermò le sue parole, ma alla cor‐
te sembrò evidentemente troppo strano che una donna bian‐
ca rischiasse la reputazione per difendere un indiano e We‐
chankwashtodopee fu condannato a morte.
I processi si susseguirono a un ritmo forsennato; in sei set‐
timane, furono processati 393 indiani. Settanta furono quelli
assolti e venti quelli condannati al carcere. I rimanenti 303
furono condannati all’impiccagione.
Mentre la commissione militare, ormai stordita dall’intermi‐
nabile successione dei processi, si scioglieva tra il sollievo
generale e il cancelliere Heard faceva _inalmente riposare le
129
Storie del West
Si ordina che il giorno 19 dicembre, venerdì, vengano giusti
ziati gli indiani negli ultimi tempi detenuti in Minnesota e
condannati all’impiccagione dalla commissione militare com
posta dal Colonnello Crooks, dal tenente colonnello Marshall,
dal capitano Grant e dal capitano Bailey e dal tenente Olin qui
sotto elencati [seguono 39 nomi indicati con il numero del
rapporto: i casi 2, 4, 5, 6, 10, 11, 12, 14, 15, 19, 22, 24, 35, 67,
68, 69, 70, 96, 115, 121, 138, 155, 170, 175, 178, 210, 225, 254,
264, 279, 318, 327, 333, 342, 359, 373, 377, 382, 383]
Gli altri prigionieri condannati verranno trattenuti Tino a or
dini successivi e ci si assicurerà che non fuggano e che non
siano soggetti a violenze illegali.
Abraham Lincoln, Presidente degli Stati Uniti.
Tra le sentenze annullate da Lincoln c’era anche quella di
Wechankwashtodopee, il salvatore di Sarah Wakefeild.
Nel frattempo, i trecentotrè Dakota condannati erano già ar‐
rivati a un passo dalla morte. Il 9 novembre, quando erano
stati trasferiti da Camp Release alla prigione di Camp Lin‐
coln, nei pressi della cittadina di Mankato, avevano dovuto
attraversare la città di New Ulm, dove si era svolto uno degli
scontri più cruenti della rivolta. Alla vista degli indiani pri‐
gionieri, una rabbia bestiale si era impossessata dei coloni di
New Ulm, che avevano attaccato i carri che trasportavano i
Dakota e assalito gli indiani legati con calci, pugni e bastoni.
Così più tardi ricordò quel momento Wakanazhazha, uno dei
prigionieri successivamente graziati: “Fummo massacrati di
botte; alla Tine avevo le braccia, i piedi e la testa ridotti a una
poltiglia di carne sanguinante, come manzo crudo. Per me re
sta ancora un mistero il modo in cui riuscii a uscirne vivo.”
131
Storie del West
Altri non ebbero la stessa fortuna: il fratello di Waka‐
nazhazha e altri prigionieri rimasero uccisi. Una donna bian‐
ca strappò un bimbo indiano dalle braccia della madre (alcu‐
ne delle donne erano state condotte via insieme ai prigionie‐
ri per far loro da cuoche e lavandaie) e lo sbattè a terra con
violenza, _inché il piccolo morì.
Arrivati alla prigione di Camp Lincoln, per gli indiani iniziò
paradossalmente un periodo di tranquillità. Anche se alcuni
di loro, specialmente i mezzosangue che parlavano un po’ di
inglese, avevano cominciato
a rendersi conto del destino
che li aspettava, per la mag‐
gior parte la detenzione nel‐
le anguste stanze del carcere
fu un sollievo dopo la terribi‐
le esperienza del linciaggio
di New Ulm. Quello che gli
indiani non potevano sapere
era che all’esterno, tra i co‐
loni del Minnesota che
aspettavano soltanto la loro
esecuzione, si era diffusa la
voce della grazia concessa
dal presidente alla maggior
parte dei condannati. Jacob
Nix, il comandante dei volon‐
tari di New Ulm, aveva parla‐
Naso Tagliato to per la quasi totalità dei
cittadini quando aveva urla‐
to rabbiosamente:
“Occhio per occhio! Dente per dente!… Dopo la cattura di que
sti criminali, non si sarebbe dovuto perder tempo: avremmo
dovuto sparare o impiccare tutti quelli che avevano preso par
te agli orribili crimini perpetrati in Minnesota durante l’estate
del 1862.”
Affermazioni del genere causavano notevoli preoccupazioni
al governatore del Minnesota, Alexander Ramsey e allo stes‐
so generale Pope, che in una nuova missiva a Lincoln sottoli‐
132
Storie del West
Poco prima delle dieci, i condannati furono quindi disposti in
_ila a coppie e fatti avviare lentamente verso il patibolo, eret‐
to proprio di fronte al carcere. Tra i molti visi allegri, o impa‐
zienti, si distingueva uno pieno di stupore doloroso: quello di
Wechankwashtodopee, l’indiano che aveva salvato la vita di
Sarah Wakefeild, scambiato con un altro dei condannati a
causa di una somiglianza di nomi. Un altro dei trentanove
condannati era stato invece graziato, grazie a nuove prove
che ne smentivano la colpevolezza.
Quando furono tutti saliti sul patibolo, gli indiani intonarono
di nuovo il loro solenne canto di morte. Il capitano Libby, in‐
caricato dell’esecuzione, passava intanto il cappio intorno al
collo di ognuno di loro.
Cadde quindi un pesante silenzio e, alle dieci in punto, un
tamburo rullò pesantemente per tre volte. Alcuni dei con‐
dannati riuscirono ad allentare le corde e ad afferrare le ma‐
ni del loro compagni vicini. Quindi William Dudley, un colono
che aveva perso la moglie e i due _igli nell’insurrezione, tagliò
la corda e i corpi dei trentotto indiani penzolarono nel vuoto.
La folla lanciò un grido e poi tacque di nuovo.
In quel momento, una corda si spezzò, e il corpo di un india‐
no cadde pesantemente a terra. Anche se aveva già il collo
rotto, fu di nuovo impiccato con gli altri.
Alle dieci e un quarto le botole si aprirono e i chirurghi mili‐
tari presenti si avvicinarono ai corpi dei condannati per
esaminarli e decretarne la morte. Per la triste operazione ba‐
starono cinque minuti: quasi tutti avevano il collo spezzato
ed erano morti sul colpo.
I cadaveri furono quindi caricati su due carri e trasportati
fuori città, presso la riva del _iume Blue Earth, dove furono
deposti in posizione eretta in una fossa di nove metri per
quattro e profonda un metro e venti, disposti su due _ile con i
piedi rivolti nella stessa direzione e la testa verso l’esterno.
Furono quindi ricoperti con le loro stesse coperte e seppelli‐
ti.
Il riposo dei Dakota giustiziati all’ombra dei salici del _iume
Blue Earth non era però destinato a durare a lungo. La loro
tomba fu ben presto violata e alcuni dei cadaveri furono ven‐
134
Storie del West
L’esecuzione dei Dakota condannati a morte
pelle dei Dakota giustiziati.
Sarah Wakefeild non si rassegnò mai al fatto che l’uomo che
le aveva salvato la vita fosse stato giustiziato e ne ribadì l’in‐
nocenza in un volume di memorie intitolato Sei settimane in
un tepee Sioux, in cui sosteneva anche che lo scambio di no‐
mi che aveva causato la morte del povero Wechankwashto‐
dopee non fosse stato casuale. I poveri resti di Naso Tagliato
rimasero per oltre un secolo in un paiolo di ferro presso la
Mayo Clinic; solo nel 2000 sono stati restituiti ai Dakota e
seppelliti dignitosamente. Dei circa quattrocento processi si
continua ancora oggi a discutere: furono condotti in modo
135
Storie del West
136
Storie del West
La baPaglia di LiPle Big Horn
A cura di Sergio Mura
La fase Tinale della battaglia
137
Storie del West
un consistente numero di indiani che si spostava chiaramen‐
te verso il grande accampamento di Toro Seduto e Cavallo
Pazzo.
La pista venne seguita da tutti i soldati insieme _ino al 22,
giorno in cui Custer ed i suoi cavalleggeri poterono sganciar‐
si e puntare velocemente verso gli indiani, facendo af_ida‐
mento sulla loro maggiore mobilità. A Custer venne suggeri‐
to di portare con sè le mitragliatrici Gatling, ma l’offerta fu
respinta perchè, secondo l’uf_iciale, avrebbe _inito per rallen‐
tare l’avanzata del 7° Cavalleria.
Allo stesso modo fu respinta la proposta di aumentare il nu‐
mero dei propri soldati prendendo altre 2 compagnie di ca‐
valleria perchè, disse Custer, il 7° sarebbe stato in grado di
fronteggiare qualunque situazione.
Alla _ine Custer trovò tracce consistenti del villaggio indiano
e le seguì.
Gli scout al seguito di Custer furono in grado di arrivare _ino
ad un punto di osservazione distante appena 14 miglia (23
km) e orientato a est del _iume Little Bighorn nelle prime ore
della notte del 24 giugno, mentre le colonne di Terry e Gib‐
bon procedevano placidamente nella stessa direzione.
Il 7° Cavalleria era un corpo di veterani esperti creato appe‐
na dopo la Guerra Civile Americana e molti soldati erano
proprio veterani di quella guerra e tra questi c’erano parec‐
chi validi uf_iciali di comando. Moltissimi soldati del 7° ave‐
vano servito per 4 anni e mezzo presso Fort Riley, nel Kan‐
sas, e nel corso di quegli anni avevano avuto numerose occa‐
sioni di combattere gli indiani, patendo la perdita di 36 uo‐
mini e ferite più o meno serie per altri 27.
Altri 6 soldati erano morti annegati durante varie operazioni
militari e 51 erano deceduti a causa del diffondersi del cole‐
ra.
Metà del 7° Cavalleria si era appena riunito al resto dei sol‐
dati dopo aver trascorso 18 mesi di servizio nel profondo
sud del paese. Circa il 20% dei soldati era stato irreggimen‐
tato nei 7 mesi precedenti alla campagna del Little Bighorn
(139 su 718) e per questo era ancora scarsamente abituato
alle operazioni in zoan di guerra e persino alla vita nell’eser‐
139
Storie del West
Custer, Reno e Benteen, a capo del 7° Cavalleria
dati della Banda Reggimentale.
Dopo una lunga marcia forzata nella notte tra il 24 ed il 25
giugno ‐ al termine della quale gli scout che accompagnavano
Custer dissero che vi erano tracce di un enorme accampa‐
mento di indiani ostili ‐ il “Generale” Custer decise di divide‐
re le proprie forze in 4 gruppi diversi: il primo, il più consi‐
stente, comprendeva le compagnie C, E, F, I e L.
In questo gruppo c’erano 13 uf_iciali e 198 soldati (di cui 7
furono allontanati un po’ prima della battaglia _inale), 3 civili
(compreso il giornalista Mark Kellogg) e 2 scout. Altri 2 uo‐
mini, parenti di Custer, si aggiunsero in seguito a questa co‐
lonna.
La compagnia C fu af_idata al Capitano Tom Custer (fratello
del Generale) e la compagnia L al Tenente James Calhoun,
cognato di Custer.
Questo distaccamento seguì un suo percorso lungo una dor‐
sale a est del Little Bighorn con l’incarico di penetrare nel
campo indiano da nord.
Un secondo distaccamento, al comando del Maggiore Marcus
Reno, fu spedito direttamente nella valle del _iume Little Bi‐
140
Storie del West
ghorn per attaccare da quella posizione. Af_idate a Reno era‐
no le compagnie A, G e M che contavano complessivamente
11 uf_iciali, 131 soldati e circa 35 tra Sioux, Ree‐Arikara e
scout Crow.
Un terzo distaccamento ‐ guidato dal Capitano Frederick
Benteen ‐ era composto dalle compagnie D, H e K, con 5 uf_i‐
ciali e 110 soldati.
Sull’incarico af_idato a Benteen non sono mai cessate le di‐
scussioni perchè alcuni storici sostengono che gli sia stata
af_idata la semplice missione di esplorare e tenere d’occhio i
dintorni, mentre altri dicono che il vero incarico fosse quello
di trovare un accesso e penetrare in profondità la valle del
_iume Little Bighorn in direzione del villaggio.
E’ certo che gli fu ordinato di attaccare qualunque indiano gli
fosse capitato a tiro, nonostante ci fosse una certa distanza
tra il gruppo di Benteen e le altre forze.
Lo stesso Benteen descrisse le manovre e l’incarico che gli fu
af_idato all’interno di una lunga lettera scritta alla moglie: “Il
Generale Custer ha diviso il 7° Cavalleria in 3 battaglioni ‐
circa 15 miglia da un villaggio indiano, la cui esatta colloca‐
zione non gli era nota con precisione.
Mi è stato ordinato di guidare le compagnie D, H e K a sini‐
stra rispetto al resto dei distaccamenti con l’incarico di tro‐
vare la valle del _iume, il campo indiano o qualunque altra
cosa fossi in grado di scoprire. Non ho trovato nulla e dopo
una marcia almeno 10 migliaho deciso di seguire la pista del
Generale per raggiungerlo.”
L’ultimo gruppo era costituito dai carri e dai muli dei rifor‐
nimenti e lo presidiavano 7 o 8 soldati di ogni compagnia,
mentre a scortarlo ci pensava la compagnia B al comando del
Capitano Thomas McDougall. In tutto c’erano 2 uf_iciali, 127
soldati e 7 civili addetti alle masserizie.
L’idea di fondo era di spedire avanti i primi 3 distaccamenti
alla ricerca dell’accampamento degli indiani, lasciando a cia‐
scuno di essi l’incarico di attaccare e attendere l’arrivo degli
altri.
Custer non stava inventando nulla di speciale; si trattava di
una classica manovra a tenaglia indicata nei manuali delle
141
Storie del West
Reno, sempre più agitato, ordinò la ritirata verso il boschetto
che si vedeva nei pressi di un’ansa del _iume, ma non riuscì a
realizzare questa manovra, lasciando i soldati senza una vera
guida. Così la ritirata fu disordinata e moltissimi tentarono
l’attraversamento del _iume per raggiungere la sommità di
un piccole colle. Il resto lo fecero i Cheyenne con il loro co‐
Cavallo Pazzo, Toro Seduto e Gall, a capo degli indiani
raggioso attacco.
La ritirata si ridusse ad una fuga disastrosa e in questo fran‐
gente persero la vita 3 uf_iciali e 29 soldati e un altro uf_iciale
e tra 13 e 18 soldati risultarono dispersi perchè si erano na‐
scosti nel boschetto. Una parte di questi avrebbe raggiunto
gli altri sul colle in momenti successivi.
Nel corso della fuga disperata perse la vita anche Coltello In‐
sanguinato (Bloody Knife), lo scout che Custer aveva af_ian‐
cato a Reno.
Sul promontorio le truppe abbattute di Reno si ricongiunse‐
ro a quelle di Benteen che, seguendo l’eco della sparatoria, si
era al_ine accostato alla battaglia arrivando da sud.
Le forze di Benteen avevano ormai completato la missione
esplorativa af_idatagli quando era arrivato un messaggero (il
trombettiere Giovanni Martini che fu l’ultimo bianco a vede‐
re vivo il Generale) con un biglietto di Custer in cui si diceva
di andare lì in fretta perchè era stato trovato un grosso cam‐
po indiano. Si raccomandava anche, ben 2 volte, di portare le
munizioni.
143
Storie del West
all’inseguimento degli “altri soldati”.
Il percorso seguito da Custer _ino ad arrivare al suo “last
stand” è ancora oggi oggetto di dibattito.
Sembra ormai certo che dopo aver ordinato a Reno di attac‐
care, Custer abbia seguito il percorso di Reno Creek per qua‐
si mezzo miglio (800 Mt) _ino al Little Bighorn, ma che a
questo punto abbia deviato verso nord arrampicandosi sui
bluff (dossi del terreno) circostanti, _ino a raggiungere la po‐
sizione su cui si sarebbe poi rifugiato Reno.
Da questa posizione fu certamente in grado di osservare la
prima fase dell’attacco di Reno, dall’altra parte del _iume.
Dopo poco tempo Custer dovrebbe aver ripreso la marcia
verso nord, attraverso i bluff, _ino a discendere lungo un sen‐
tiero stretto chiamato Medicine Tail Coulee, diretto verso il
_iume.
Alcuni storici sono fermi nella convinzione che una parte
delle forze di Custer abbiano disceso il Medicine Tail Culee e
che abbiano persino tentato, invano, di attraversare il _iume
verso ovest per invadere il villaggio indiano.
Altri studiosi credono che Custer non sia mai riuscito ad ac‐
costarsi al _iume, ma che abbia disceso il Medicine Tail Culee
e che abbia proseguito verso nord dove sia stato gradual‐
mente costretto alla battaglia.
Secondo questa teoria, quando Custer si accorse di essere
stato ormai sovrastato numericamente dagli indiani ‐ che si
erano anche liberati di Reno ‐ fosse troppo tardi per ripiega‐
re a sud verso le postazioni del resto del 7° Cavalleria.
Due soli uomini del 7° dissero in seguito di aver visto Custer
combattere con gli indiani; uno era Curley, un giovane scout
Crow, e l’altro era Peter Thompson, un soldato che era rima‐
sto indietro rispetto agli altri soldati per qualche problema
(forse con la cavalcatura). Tutti gli altri resoconti “bianchi”
degli ultimi istanti di Custer sono solo congetture e, perlopiù,
sono destituiti di ogni fondamento.
In compenso ci furono numerosi racconti di parte indiana,
raccolti in parte subito dopo la battaglia e in parte negli anni
seguenti. I Lakota hanno raccontato che Cavallo Pazzo in
persona guidò la carica che condusse alla scon_itta completa
145
Storie del West
del distaccamento di Custer.
Il numero dei guerrieri indiani che hanno combattuto contro
il 7° Cavalleria è dif_icile da determinare, ma in genere gli
studiosi concordano nel sostenere che nel corso della batta‐
glia essi abbiano sovrastato i soldati con un rapporto che va
da 3 a 1 _ino a 5 a 1.
Gli indiani erano anche
generalmente ben armati
con fucili a ripetizione,
mentre i soldati usavano le
carabine ad un solo colpo
Spring_ield che tendevano
anche a incepparsi quando
troppo rapidamente.
Naturalmente non tutti gli
indiani usavano armi da
fuoco e moltissimi erano
dotati dei soliti archi e
frecce, lance, tomahawk o
mazze da guerra.
Custer aveva in dotazione
un paio di pistole Webley
RIC (Royal Irish Constabu‐
lary) a doppia azione.
Il terreno degli scontri era
La richiesta di aiuto di Custer generalmente un vantag‐
gio per i combattenti in‐
diani che vivevano da quelle parti e che erano abituati a lot‐
tare senza una particolare formazione di combattimento. La
presenza di numerosi dossi nel terreno rendeva dif_icile spa‐
rare, mentre agevolava l’uso di arco e frecce e altre armi
bianche. Questo fu tanto più vero quando la battaglia si tra‐
sformava in una serie in_inita di scontri ravvicinati.
Alcune ricerche archeologiche svolte presso il campo di bat‐
taglia del Little Bighorn hanno fatto emergere che Custer
schierò le truppe in linea di schermaglia com’era previsto nei
manuali dell’accademia. Questa disposizione ‐ come abbiamo
già fatto notare ‐ riduceva la capacità di fuoco, ma addirittura
146
Storie del West
diventava insostenibile man mano che i soldati venivano feri‐
ti o uccisi.
Il canale televisivo History Channel nel 2003 ha ipotizzato
che un “last stand” come è sempre stato descritto potrebbe
non esserci mai stato. I soldati non sarebbero neppure mai
stati circondati. La loro _ine sarebbe semplicemente legata
ad una sola, incisiva carica dei guerrieri indiani.
Il guerriero Sioux Red Horse, che combattè nella battaglia del
Greasy Grass (di Little Bighorn), disse al Colonnello W. H.
Wood che la coalizione indiana patì 136 morti e 160 feriti.
David Humphries Miller, che tra il 1935 ed il 1955 intervistò
gli indiani ancora in vita che combatterono al Greasy Grass,
scrisse che la battaglia di Custer durò circa mezz’ora.
Recenti ricerche hanno anche evidenziato che, aldilà della
presenza di numerose reclute poco avvezze alla vita della
frontiera, il 7° Cavalleria era af_litto anche da malnutrizione e
numerosi vari acciacchi. Ma questa era una condizione nor‐
male nell’esercito statunitense di allora.
Dopo aver scon_itto Custer i Lakota ed i Cheyenne setten‐
trionali ripresero gli attacchi contro Reno e Benteen e gli
scontri proseguirono _ino almeno alle 21 di quel giorno e per
una certa parte del giorno seguente, anche se con esiti poco
convincenti. Non mancarono episodi importanti in cui i sol‐
dati rischiarono seriamente di essere battuti. In questi fran‐
genti emerse con evidenza la capacità di gestire la situazione
di Benteen, rispetto a Reno che era ancora in stato di confu‐
sione.
Il 26 si avvicinò da nord alla zona della battaglia la colonna
guidata dal Generale Terry e gli indiani si allontanarono in
direzione opposta. Nonostante le prime cure prestate, mori‐
rono altri 5 soldati a causa delle ferite riportate nel corso de‐
gli scontri. L’arrivo dei soldati di Terry consentì di dare una
prima occhiata al campo di battaglia e di constatare che i
corpi degli indiani morti erano stati portati via. Si procedette
ad una sommaria identi_icazione dei resti dei soldati ed alla
successiva cremazione sul posto.
Il corpo di Custer fu ritrovato in cima alla Last Stand Hill.
Aveva 2 ferite di cui una era nella tempia a sinistra e l’altra
147
Storie del West
148
Storie del West
La baPaglia di Wolf Mountain
A cura di Cesare Bracchi
Prigionieri Cheyenne della banda di Coltello Spuntato
compagnie del 5° Fanteria, al comando del colonnello Nelson
A. Miles, dalla loro base di Fort Leavenworth nel Kansas al
Territorio del Montana, nella zona del _iume Tongue. Ingag‐
giare battaglia con gli indiani era dif_icile, soprattutto perché
la grande coalizione di Sioux e Cheyenne si era già divisa in
numerose bande.
Il 25 agosto 1876 il comando centrale ordinò la chiusura del‐
la campagna e il conseguente scioglimento della Colonna Da‐
kota, alla quale il reggimento di Miles era stato assegnato.
Tuttavia, proprio a Miles fu assegnato l’incarico di costruire
una postazione militare provvisoria alla con_luenza del Ton‐
gue con lo Yellowstone.
149
Storie del West
vità”.
I primi a enrare nel mirino del Col. Miles furono Toro Seduto
e la sua gente che, durante i mesi di ottobre e novembre, fu‐
rono sistematicamente inseguiti dalle truppe che non diede‐
ro loro la possibilità di procurarsi le scorte di carne per l’in‐
verno.
Ci furono anche due scontri a Cedar Creek e Ash Creek che
costarono cari agli Hunkpapa soprattutto per la perdita di
cibo e suppellettili.
L’impossibilità di stabilire i consueti campi invernali, i conti‐
nui scontri con i soldati e la fame che ormai attanagliava
donne, vecchi e bambini portarono la depressione più nera
anche tra i capi più favorevoli alla guerra. Lo stesso Toro Se‐
duto perse in credibilità presso la sua gente che, divisa in di‐
verse fazion, prese la decisione di rifugiarsi a nord oltre il
con_ine canadese, seguiti di lì a poco dallo stesso capo Hunk‐
papa.
La situazione non era molto diversa per quanto riguardava
l’altro grande gruppo di indiani che si ri_iutava di arrendersi:
gli Oglala, i Minneconjou e i Sans Arc riuniti intorno alla _igu‐
ra carismatica di Cavallo Pazzo.
A questi si erano aggiunti i Cheyenne Settentrionali di Coltel‐
lo Spuntato, arrivati i primi di dicembre in condizioni dispe‐
rate dopo un viaggio terri_icante a seguito dell’attacco del
loro villaggio sul Powder River il 25 novembre 1876 ad ope‐
ra delle truppe del colonnello MacKenzie.
Prima dell’arrivo dei Cheyenne, il gruppo di Cavallo Pazzo
era diviso in fazioni tra coloro che erano favorevoli alla pace
e coloro che invece volevano continuare a combattere per la
libertà.
Il capo Oglala era il più convinto a continuare la lotta al pun‐
to che aveva dato ordine alla “akicita”, la società di guerrieri
con funzioni di polizia all’interno del campo, di stroncare sul
nascere ogni tentativo di resa, _ino al punto di privare dei ca‐
valli e degli oggetti personali tutti coloro che venivano sor‐
presi nel tentativo di lasciare il villaggio per rientrare nelle
riserve. Questo fatto va sottolineato in quanto esempli_icati‐
vo del momento particolarmente delicato per la tribù, delle
151
Storie del West
sofferenze e delle lotte intestine tra le varie fazioni. Era infat‐
ti estremamente inusuale che si veri_icasse un intervento
centralizzato e repressivo della libertà individuale in un mo‐
dello di società come quello Lakota che, come è risaputo, si
basa invece su un alto livello di autonomia e indipendenza
del singolo individuo e del nucleo famigliare.
Le condizioni disperate, in cui si trovavano i Cheyenne al loro
arrivo al campo degli Oglala sul Tongue River, colpirono pro‐
Una foto della zona della Wolf Mountain
Ripresero le scorrerie contro i soldati in tutta la zona ed en‐
trambe le fazioni si prepararono ad una vera e propria guer‐
ra.
Il piano, ideato e concordato dagli indiani, ricalcava quello
utilizzato con successo esattamente 10 anni prima contro le
truppe del Ten. Fetterman, in quello che fu chiamato “Fet‐
terman Massacre” o, nella versione indiana, “Battaglia dei
100 Uccisi”. Esso consisteva nell’utilizzare un gruppo di
guerrieri come esca per attirare i soldati in un luogo adatto
ad un’imboscata.
Il 18 dicembre un gruppo di guerrieri assalì la postazione
governativa che gestiva il servizio postale per il forte, situata
a poche miglia dallo stesso.
Il 26 dicembre il gruppo di guerrieri “esca” giunse a meno di
1 miglio dalla base di Miles e razziò una mandria di 150‐200
capi di bestiame che fu guidata verso l’interno della valle del
_iume Tongue. Immediatamente Miles inviò all’inseguimento
3 compagnie agli ordini del Cap. Dickey allo scopo di indivi‐
duare le tracce degli indiani. Il comandante, nel frattempo,
accelerò i preparativi per la spedizione in forze.
Il 29 dicembre partiva dal Tongue River Cantonment il resto
del 5° Fanteria, alcuni scout bianchi e indiani, 2 cannoni Na‐
poleon da 12 libbre e una mitragliatrice Rodman. Il Col. Miles
dava così uf_icialmente inizio alla sua campagna d’inverno
del 1876/1877 contro le tribù Lakota e Cheyenne Setten‐
trionali, risalendo il _iume Tongue con 436 uomini.
Nonostante il precipitare degli eventi e il poco tempo per
preparare la campagna, Miles riuscì ad equipaggiare i propri
soldati con pesanti cappotti fatti con pelli di bisonte che
permettevano di far fronte al freddo pungente e alle copiose
nevicate. Tuttavia fu osservato che soldati così agghindati
assomigliavano più ad esploratori artici che a truppe del‐
l’esercito impegnate in un dif_icile inseguimento su terreni
impervi e ghiacciati.
La colonna prese a risalire la valle verso sud‐ovest, lungo la
pista indiana, lottando quotidianamente con venti gelidi,
temperature polari, forti nevicate e frequenti guadi di corsi
d’acqua dove i carri spesso si rovesciavano nell’acqua gelida.
154
Storie del West
Non che la situazione per i Lakota e Cheyenne fosse migliore,
anzi. Il campo fu spostato più a monte ed è facile immaginare
come le operazioni di smantellamento, trasferimento e ripo‐
sizionamento, che coinvolgevano tutta la tribù, furono rese
terribilmente dif_icili dalle avverse condizioni climatiche e
ambientali.
L’1 e il 3 gennaio 1877
ci furono due scontri a
fuoco di limitata entità
tra la retroguardia di
Miles e un gruppo di
guerrieri. Durante uno
di questi un soldato ri‐
mase ucciso.
Anche queste scherma‐
glie facevano parte del
piano studiato dagli in‐
diani che intendevano
provocare Miles il più
possibile allo scopo di
farsi inseguire _ino al
luogo individuato per
l’imboscata.
Miles impose tappe for‐
zate ai suoi che rag‐
giunsero, il 6 gennaio,
La mappa della battaglia l ’ H a n g i n g W o m a n
Creek dove vennero
trovate chiare tracce
del grande campo da poco abbandonato.
Nel pomeriggio del giorno seguente, il 7, il Col. Miles inviò in
esplorazione i suoi scout Corvi che rientrarono alcune ore
più tardi con alcuni prigionieri. Era successo che gli esplora‐
tori, a poche miglia di distanza, avevano incontrato e imme‐
diatamente catturato un piccolo gruppo di donne e bambini
Cheyenne in marcia per unirsi alla propria gente che si tro‐
vava con Cavallo Pazzo.
La cattura di questi prigionieri in_luì nella sostanza sugli av‐
155
Storie del West
paravano il piano per la battaglia, era che nei pressi del cam‐
po dei soldati gli eventi avevano preso una piega che avrebbe
fatto svanire la possibilità di poterli cogliere impreparati.
Era successo, infatti, che il gruppo di guerrieri “esca”, trovan‐
dosi verso sera non lontano dal campo delle truppe, aveva
trovato nella neve le impronte e i segni inequivocabili della
cattura del gruppo di Cheyenne. I guerrieri attirarono quindi
un gruppo di scout fuori dal campo per poi attaccarli in for‐
ze. Gli scout cercarono rifugio nel bosco e buon per loro che
Miles inviò immediatamente la compagnia A del 5° Fanteria
in loro soccorso. Lo scontro durò circa un ora, poi, grazie an‐
che all’utilizzo di un pezzo di artiglieria, gli indiani si ritira‐
rono consentendo ai soldati il rientro nelle loro linee.
Temendo un attacco notturno, Miles dispose opportunamen‐
te le sue compagnie e i suoi cannoni occupando, tra le altre,
un’altura posta strategicamente rispetto all’area circostante
che l’indomani sarebbe diventato il campo di battaglia. Que‐
sta altura prese poi il nome di Battle Butte.
La notte trascorse tra gli spari che di tanto in tanto proveni‐
vano dalle alture dove si erano piazzati i guerrieri del gruppo
“esca”. Quella notte nevicò abbondantemente, ma questo non
impedì certo alle centinaia di guerrieri Lakota e Cheyenne,
guidati da Cavallo Pazzo, Due Lune, Grande Corvo, Orso di
Medicina e altri, di coprire la distanza che li separava dai
soldati, anche perché erano ancora convinti di poterli coglie‐
re di sorpresa.
Cosa che non avvenne perché l’alba del 8 gennaio 1877 vide i
soldati già piazzati, pronti alle 4 del mattino per fare una
frugale colazione a base di carne salata ghiacciata e gallette
altrettanto ghiacciate. Dalle alture circostanti giungevano le
terribili urla di guerra dei guerrieri che si preparavano ad
attaccare. Si dice che gridassero anche: “ …mangiate pure
perché sarà il vostro ultimo pasto….”.
Le forze indiane si divisero in due tronconi prendendo posi‐
zione su entrambe le sponde del Tongue. Insolitamente quel
giorno gli indiani lasciarono i loro cavalli al riparo e combat‐
terono a piedi. Questo fatto, assolutamente inusuale per gli
indiani delle pianure, può trovare giusti_icazione nel fatto
157
Storie del West
che quel giorno tutta la zona era coperta da una spessa coltre
di neve fresca che avrebbe senz’altro limitato pesantemente
la mobilità delle cavalcature.
Miles completò il posizionamento delle sue truppe muoven‐
dosi su tutto il fronte e dando ordini chiari e perentori ai suoi
uf_iciali. Va dato atto al colonnello di aver disposto in manie‐
ra eccellente le sue forze, evitando di lasciare zone “deboli”
nello schieramento, ma anzi assegnando compagnie in assi‐
stenza e supporto ad altre compagnie.
Questo in_luì signi_icativamente e positivamente anche sul
morale dei soldati e conseguentemente sull’esito della batta‐
glia. Per una più precisa descrizione dei movimenti e delle
posizioni delle forze in campo si rimanda alla cartina che se‐
gue.
Erano circa le 7 del mattino dell’8 gennaio 1877 quando i
guerrieri Lakota e Cheyenne Settentrionali attaccarono la
compagnia K del 5° Fanteria dando così inizio alla battaglia
di Wolf Mountain.
Quando gli indiani furono a distanza di tiro, i soldati rispose‐
ro al fuoco e, grazie anche alle cannonate dei due pezzi di ar‐
tiglieria, respinsero gli attacchi che a più riprese vennero lo‐
ro portati.
Orso di Medicina e Cavallo Pazzo guidarono i loro guerrieri
attraverso il _iume ghiacciato e cercarono di portare i loro
attacchi da due direzioni diverse. I soldati, tuttavia, pur es‐
sendo più in basso, erano ben posizionati e, attraverso intel‐
ligenti manovre difensive, evitarono di perdere posizioni
cercando a loro volta di contrattaccare.
I tentativi dei soldati di conquistare le posizioni indiane era‐
no spesso frustrati dalle dif_icoltà di movimento causate dal
pesante vestiario oltre che dalla superiorità numerica del
nemico.
Quando il gruppo di Cavallo Pazzo giunse _ino a soli 50 metri
dalle linee delle compagnie A e D, Miles ordinò alla compa‐
gnia C di muoversi in soccorso dei compagni, sostenendo la
manovra con un fuoco di artiglieria. I Lakota furono quindi
respinti ed inseguiti per un breve tratto.
La neve, che aveva ripreso a cadere abbondante, stava pren‐
158
Storie del West
dendo le sembianze di una vera e propria tempesta, peggio‐
rata da un “blizzard” gelido e tagliente.
I combattenti di entrambe le fazioni erano prostrati dalla fa‐
tica e dal freddo e avevano quasi esaurito le munizioni. Per
queste ragioni, poco dopo mezzogiorno, la battaglia poteva
dirsi conclusa.
Nonostante le migliaia di colpi sparati da entrambe le parti,
Un quadro che riprende la battaglia di Wolf Mountain
oltre ai colpi di cannone, il bilancio della battaglia fu estre‐
mamente limitato in quanto a perdite umane. Questo può
essere spiegato più con la scelta di buone postazioni e coper‐
ture sia in fase di attacco che di difesa piuttosto che con una
scarsa precisione di tiro.
Tra i soldati ci furono 2 vittime ed alcuni feriti, mentre gli
indiani contarono 2 morti tra i Lakota oltre al Cheyenne
Grande Corvo e ad un certo numero di feriti.
Nel suo rapporto Miles, forse ingannato dalle pozze di san‐
gue trovate presso le postazioni indiane dopo la battaglia,
riferiva erroneamente di “… gravi perdite…” dei suoi avversa‐
ri.
La battaglia di Wolf Mountain si era conclusa con un sostan‐
ziale pareggio in termini di perdite e con il mancato raggiun‐
gimento degli obiettivi che entrambe le fazioni si erano pre‐
159
Storie del West
_issati. Il Col. Miles e le sue truppe non erano riusciti a scon‐
_iggere de_initivamente i Lakota e i Cheyenne, come sperava‐
no, lasciando ancora irrisolta la questione degli indiani “osti‐
li” che continuavano a circolare nei territori intorno alle
Black Hills.
D’altro canto, anche Cavallo Pazzo non poteva dirsi soddi‐
sfatto, dato che non era riuscito a ripetere la vittoria di Little
Bighorn. Addirittura si ritrovava con alcuni Cheyenne prigio‐
nieri e un campo abbandonato ai soldati, per sfuggire al loro
inseguimento. Questi ultimi non andarono oltre e Miles ordi‐
nò il rientro al forte, non giudicando opportuno proseguire le
operazioni tenuto conto delle condizioni ambientali e della
scarsità di munizioni.
I soldati rientrarono alla base il 18 gennaio chiudendo così la
campagna invernale dopo un totale di 242 miglia di marcia.
L’azione di Miles aveva dimostrato che l’esercito era in grado
di muoversi ed attaccare gli indiani nei loro territori anche in
condizioni ambientali particolarmente dif_icili.
Sull’altro versante, gli indiani si stabilirono nella zona dei
_iumi Bighorn e Little Bighorn, dove trovarono un buon nu‐
mero di bisonti che consentì loro di passare un inverno ac‐
cettabile almeno dal punto di vista delle scorte alimentari.
Tuttavia, la sensazione di sicurezza e potenza derivata dalla
vittoria di Little Bighorn era venuta meno, e grande era l’in‐
certezza in molti capi sul futuro del proprio popolo.
Nei mesi seguenti furono inviati molti messaggeri dai forti e
dalle agenzie presso le varie bande con l’intento di convince‐
re gli indiani “ostili” ad una resa paci_ica. Tra questi messag‐
geri ci fu anche Donna Dolce, una delle Cheyenne catturate
prima della battaglia, inviata da Miles per convincere alla re‐
sa la sua gente.
Infatti a partire dall’inizio della primavera, molti gruppi si
arresero, arrivando alla spicciolata nei vari forti e agenzie.
L’ultimo, com’è noto, fu quello di Cavallo Pazzo.
160
Storie del West
La guerra dei Modoc
A cura di Cris,ano Sacco
Nell’area di con_ine tra gli Stati dell’Oregon e della California,
vivevano i Modoc, alcuni tra i più micidiali guerrieri che vi‐
vessero sul continente. Era un popolo unico nel suo genere,
dedito alla caccia e alla pesca, ma soprattutto alla guerra. In
un certo senso ricordavano gli arabi del Nord Africa.
Erano feroci schiavisti, che compivano periodiche scorrerie
Un episodio della Guerra dei Modoc
nelle regioni deserte della California e del Nevada, dove vive‐
vano i poverissimi Digger. Passavano come un turbine e ra‐
dunavano i nativi indifesi, poi li portavano a nord, dove li
vendevano alle tribù ricche come i Tlingit e gli Haida.
Questa tribù superba, feroce e indipendente si oppose im‐
mediatamente al presupposto, dato per scontato, che l’Ore‐
gon appartenesse alla razza bianca.
Numerosi furono gli scontri che i Modoc sostennero contro
gli invasori bianchi, e ne uscirono sempre vincitori. Poi, con
Ben Wright alla guida di un gruppo di volontari, gli uomini
setacciarono il territorio per dare una lezione agli Indiani.
Ma capirono di essersi accinti ad un compito che ben dif_i‐
cilmente avrebbero potuto portare a termine.
Per 3 mesi, i Modoc giocarono a nascondino con Wright. Alla
_ine il capitano, per ottenere quello che in campo aperto non
161
Storie del West
era riuscito a raggiungere, ricorse ad un bieco inganno. Inviò
una donna che aveva catturato ad invitare i Modoc ad un fe‐
stino, dopo il quale si sarebbe parlato di pace. Gli Indiani ac‐
colsero ben volentieri l’invito, in piena _iducia. Non sapevano
che il cibo era stato avvelenato con stricnina.
Wright e i suoi li osservarono mangiare, ma per qualche ra‐
gione il veleno non fece effetto. Il capitano non ebbe più pa‐
zienza. Estrasse il revolver e sparò, uccidendo 2 indiani. A
quel segnale, tutti i Bianchi aprirono il fuoco. Altri 36 indiani
caddero, e soltanto 10 sfuggirono al massacro. Quella carne‐
_icina venne condotta a termine sotto il sacro simbolo della
bandiera bianca.
L’inganno di Wright servì a spezzare la potenza dei Modoc,
che non costituì più un grande problema per l’insediamento
dei coloni. Nel 1871 i Modoc erano ridotti a poco più di un
gruppo di mendicanti sulla loro stessa terra. Erano drastica‐
mente ridotti di numero, e non furono in grado di opporsi al
trasferimento a nord, in una riserva dell’Oregon, alla mercè
dei nemici Klamath, e con la falsa promessa che ogni famiglia
avrebbe ricevuto dal Governo la sua terra, branchi di cavalli,
carri, attrezzi agricoli, utensili, abiti e cibo.
L’allora capo Kientpoos, noto ai Bianchi come Capitan Jack,
avrebbe preferito avere la sua riserva vicino al lago Tule, ma
i commissari non erano d’accordo.
Con una certa riluttanza, Capitan Jack _irmò il trattato e i
Modoc andarono a nord nella riserva klamath.
Appena giunti là, iniziarono subito i guai, per via degli stessi
nemici Klamath. Inoltre le provviste promesse dal governo
non arrivavano mai.
Quando Capitan Jack si rese conto che il suo popolo era af‐
famato, lo condusse fuori dalla riserva. Andarono tutti nella
valle del _iume Lost dove avevano vissuto un tempo, in cerca
di selvaggina e di pesce e di radici di camas.
Tuttavia durante l’estate del 1872 l’Indian Bureau ingiunse a
Capitan Jack di ritornare nella riserva klamath. Jack rispose
che il suo popolo non poteva vivere con i Klamath. Chiese
una riserva per i Modoc da qualche parte sul _iume Lost, che
era sempre stato territorio Modoc. L’Indian Bureau conside‐
162
Storie del West
re. Boutelle allora estrasse il revolver.
L’aria era molto tesa.
“Figlio di una cagna, ti insegno io il modo di rispondere!”,
commentò Frazier, e nel farlo puntò il revolver contro Sfre‐
giato, che però fu svelto a estrarre a sua volta la pistola dalla
cintura. Entrambi spararono nello stesso momento. La pal‐
lottola del Modoc forò la manica della giacca del tenente,
La mappa della guerra
mentre Sfregiato, illeso, si girò verso la catasta di armi, affer‐
rando il suo fucile che si trovava in cima al mucchio, e tutti i
guerrieri Modoc seguirono il suo esempio.
Ne seguì un’accesa sparatoria, ma i soldati furono costretti a
ritirarsi lasciando sul campo un morto e sette feriti.
Nel frattempo le donne e i bambini Modoc stavano remando
con le pagaie sulle loro canoe verso sud, in direzione del lago
Tule, e Capitano Jack e i suoi guerrieri li seguivano lungo la
riva, nascosti tra i _itti canneti.
Erano diretti al leggendario santuario dei Modoc a sud del
lago: i Letti di Lava della California. Si trattava di una pecu‐
liare formazione geologica dovuta ad un’eruzione vulcanica
164
Storie del West
stanco di tutto quel sangue, e il suo cuore era dolente.
Egli però sapeva anche che se si fossero arresi, sarebbero
stati mandati nuovamente nell’odiata riserva klamath, e inol‐
tre il gruppo di Uncino Jim, tra i quali Dottore Riccuto e Bo‐
ston Charley, sarebbero stati arrestati, e condannati all’im‐
L’uccisione del Generale Canby
piccagione secondo la legge dell’Uomo Bianco.
La sera del 7 aprile, Uncino Jim e i suoi seguaci decisero di
arrivare ad una chiari_icazione con il loro capo. Alcuni so‐
spettavano che Jack stesse per tradirli. Schoncin John aprì la
seduta con un discorso amaro: “Molte volte sono stato in‐
gannato e truffato dai Bianchi. Non accadrà più!” Egli accusò
il generale Canby di per_idia, di voler guadagnare tempo
mentre l’esercito inviava sempre più soldati e fucili. “Quando
crederanno di avere abbastanza uomini, ci salteranno addos‐
so e ci uccideranno tutti.” L’oratore successivo fu Nero Jim: “A
causa di un solo uomo, rischio di essere ingannato e ucciso
come un cane dai soldati. Mi preparo ad uccidere il mio uo‐
mo prima di essere preso.” Poi parlò di uccidere i commissari
di pace durante il consiglio che si sarebbe tenuto qualche
giorno dopo.
167
Storie del West
nati fra quelle rovine di pietre. Il gruppo era formato dalle
seguenti persone: 1) generale Edward R. S. Canby, coman‐
dante del dipartimento e vero amico degli Indiani; 2) reve‐
rendo Eleazer Thomas, metodista della Chiesa episcopale,
che aveva dedicato la propria vita agli Indiani; 3) A.B. Mea‐
cham, agente indiano, noto per l’equità mostrata nei con‐
fronti dei Modoc; 4) L.S. Dyer, altro agente di ottime qualità
morali e molto stimato; 5) Frank Riddle, interprete; 6) Wi‐
nema, moglie di Riddle, conosciuta dai Bianchi come Toby
Riddle. Era una giovane donna allegra, energica, dal viso ro‐
tondo, cugina di Capitan Jack. In_ine la commissione era ac‐
compagnata da Boston Charley e da un altro guerriero Mo‐
doc, i quali avevano invitato la commissione al colloquio.
Al margine dei Letti di Lava era stata rizzata una tenda, in
uno spazio aperto. Si trovava a metà strada tra i Modoc e i
soldati. Capitan Jack incontrò i membri della commissione
insieme a Schonchin John, Nero Jim, Uncino Jim, Boston
Charley e altri 3 guerrieri, mentre tutt’attorno stavano na‐
scosti 20 indiani armati, in attesa dell’eventuale segnale per
scatenare la strage.
La discussione ebbe inizio. Canby sosteneva che i Modoc do‐
vessero consegnare gli assassini e fare ritorno alla riserva.
Capitan Jack voleva invece che i soldati che si erano accam‐
pati attorno ai Letti di Lava andassero via, e si opponeva
energicamente a consegnare i suoi uomini. Avrebbe fatto
meglio a punire quei codardi assassini senza un attimo di
esitazione, poiché, e questo Capitan Jack ancora non poteva
saperlo, ma proprio quegli stessi uomini che stava difenden‐
do sarebbero stati la causa della sua _ine. Uncino Jim si com‐
portò per tutto il tempo con insolenza. Ci furono alcuni di‐
scorsi, ma i Bianchi diventavano sempre più nervosi.
Improvvisamente tutti i guerrieri nascosti balzarono fuori
dagli anfratti in cui erano nascosti, reggendo i fucili. Capitan
Jack lanciò il segnale: “At‐we!” (Tutti pronti!), e sparò in pie‐
no viso al generale Canby. Il reverendo Eleazer Thomas ven‐
ne colpito al petto, e cercò di fuggire barcollando, con il ter‐
rore della morte negli occhi. Dopo pochi passi una fucilita lo
fece cadere stecchito. Intanto Canby, ferito dalla pallottola
169
Storie del West
Ben presto tutti i Modoc compromessi negli omicidi che ave‐
vano costretto Capitan Jack a ri_iutare la pace con Canby per
non vederli impiccare, mostrarono un’arrogante impazienza
di mettersi al servizio dei Bianchi.
Uno dopo l’altro si offrirono di recarsi al campo di capitan
Jack per assicurarne la resa. Capitan Jack, quando ebbe modo
di rivederli, vomitò loro
addosso tutta la sua rab‐
bia. “Siete dei vigliacchi e
delle donne!”, urlò loro in
faccia. “Mi avete costret‐
to alla guerra e ora mi
abbandonate! Ma Kient‐
poos non si arrenderà
mai. Morirà col fucile in
mano.”
Altre schermaglie, altri
inseguimenti. Il 1 giugno,
Capitan Jack con il suo
piccolo gruppo (un nu‐
I soldati cercano i Modoc
mero imprecisato di
donne e bambini e 2 soli
guerrieri) furono costretti ad arrendersi. “Le mie gambe non
ce la fanno più.”, disse Capitan Jack mentre gli venivano am‐
manettati i polsi.
Così _inì la guerra dei Modoc, ma non il dramma che l’ac‐
compagnava. Gli Indiani avevano inferto un terribile colpo al
prestigio dell’Uomo Bianco, per cui adesso era necessaria
un’azione dimostrativa.
Il generale Davis avrebbe voluto impiccare immediatamente
i capi, ma un telegramma da Washington ordinò che venisse
istituito un processo militare.
La corte sedette a Fort Klamath dal 5 al 9 luglio. E qui Uncino
Jim e i suoi accoliti completarono la loro nefanda opera. Un‐
cino Jim si era infatti assicurato l’immunità con la promessa
di testimoniare al processo.
Gli Indiani chiamati in giudizio erano Capitan Jack, Schoncin
John, Nero Jim, Boston Charley, Barncho e Slolox, tutti accu‐
172
Storie del West
sati della morte del generale Canby e del reverendo Thomas,
in violazione alle regole di guerra.
Il processo fu una farsa. I prigionieri Modoc videro gli uomini
che avevano difeso sedere in tribunale in qualità di accusato‐
ri.
Il verdetto fu scontato. Le ultime parole di Capitan Jack furo‐
no: “La vita mi appartiene ancora per poco. Ma non siete sta‐
ti voi Bianchi a vincermi. Mi hanno scon_itto i miei stessi
uomini!”
Alle 10 di mattina del 3 ottobre 1873, Capitan Jack, Boston
Charley, Schonchin John e Nero Jim vennero impiccati, men‐
tre la condanna per Barncho e Slolox fu commutata in carce‐
re a vita da scontare nell’isola di Alcatraz.
La notte successiva all’esecuzione, il corpo di Capitan Jack fu
segretamente dissepolto, trasportato a Yreka e imbalsamato.
Poco tempo dopo ricomparve nelle città dell’Est, come attra‐
zione nelle _iere; prezzo d’ingresso: 10 cents.
Per quanto riguarda i 153 sopravvissuti, uomini, donne e
bambini, compresi Uncino Jim e la sua banda, essi furono esi‐
liati nel Territorio Indiano. Sei anni dopo morì Uncino Jim, e
anche la maggior parte di loro morì prima del 1909, data in
cui il governo decise di permettere ai restanti 51 Modoc di
ritornare in una riserva dell’Oregon.
Quello che segue è il computo _inale delle perdite della Guer‐
ra dei Modoc.
Bianchi: Uf_iciali morti 8; feriti 5; Militari morti 39; feriti 60;
Civili morti 16; feriti (n.d.) Esploratori morti 2; feriti (n.d.);
Coloni morti 17; feriti 18. Totale: morti 82; feriti 83.
Indiani: Uomini morti 5; feriti (n.d.); Donne e bambini, nu‐
mero imprecisato.
173
Storie del West
La baPaglia di Betonville
A cura di Romano Campanile
Mentre l’armata della Virginia, a Petersburg, consumava l’ul‐
tima resistenza a Grant, sul fronte della Carolina il Generale
Sherman avanzava senza tregua verso il congiungimento con
le forze del Generale Scho_ield, al _ine di piombare alle spalle
di Lee, che già aveva i suoi problemi a contrastare Grant. La
situazione era disperata ed era necessario agire subito. Inva‐
no l’armata sudista del Ten‐
nessee, prima agli ordini del
prudente Johnston e poi del
coraggioso ma scriteriato
Hood, aveva tentato di con‐
trastare Sherman. Ora si tro‐
vava accampata a Tupelo nel
Mississippi ed era persino
senza un comandante, visto
che Hood ‐ senza più godere
Soldati davanti a una tenda di alcuna _iducia da parte dei
suoi uomini scon_itti e demo‐
ralizzati ‐ aveva dato le di‐
missioni.
Le condizioni dell’armata erano pietose ma si trattava pur
sempre di veterani e quindi costituivano ancora una forza
militare da non sottovalutare. Lee decise di inviare il Genera‐
le Beauregard a Tupelo per valutare il da farsi, per comincia‐
re a spostare quel che restava dell’armata nella Carolina e
riorganizzarla nell’ultimo, disperato, tentativo di ostacolare
il cammino di Sherman.
Come risollevare il morale di quei soldati e restituire loro la
speranza? Ci voleva qualcuno che godesse del loro rispetto e
in cui riponessero _iducia; così il 22 febbraio 1865 Lee invia
un telegramma urgente (non dopo aver avuto una franca di‐
scussione al riguardo col presidente Davis…) all’unica perso‐
na che avrebbe potuto risollevare lo spirito ai soldati del
Tennessee. Una _igura che i soldati conoscevano bene. L’uo‐
174
Storie del West
mo che veniva chiamata “il vecchio Joe”, il Generale Joseph
Eggleston Johnston, uno dei più validi uf_iciali del Sud.
Egli si trovava nella sua dimora a Lincolton nel North Caroli‐
na, dove si era ritirato quando, alcuni mesi prima, gli tolsero
il comando per dei meschini interessi. Ricevette questo tele‐
gramma: “Assume command of the Army of Tennessee and
all troops in Department of South Carolina, Georgia, and Flo‐
rida. Assign General Beauregard to duty under you, as you
may select. Concentrate all available forces and drive back
Sherman”. Il messaggio era chiaro, lo invitava ad assumere il
comando delle forze del Sud per tentare di allontanare
Sherman.
Il generale confederato accolse la richiesta di Lee e si presen‐
tò immediatamente presso la sua armata, o di ciò che ne ri‐
maneva! Appena 11.000 uomini che erano stati trasferiti a
Macon (Georgia) e poi, con una marcia a piedi, a Greensbo‐
rough (North Carolina) per riunirli ai soldati del Generale
William Joseph Hardee. Erano altri 14.500 uomini ai quali si
aggiunsero quelli della cavalleria del Generale Generale Jo‐
seph Wheeler (7.000 uomini), 1.000 miliziani locali, quindi
ulteriori 2.500 soldati al seguito del Generale Bragg. In tutto
si raccolsero 34.000 uomini. Sherman aveva forze di molto
superiori numericamente, ma altro non si poteva fare.
Sherman e Scho_ield stavano per riunirsi presso Goldsbo‐
rough, portando così al numero di 90.000 gli uomini delle
loro forze congiunte. Johnston doveva agire in fretta, prima
che ciò accadesse. Arrivò a Raleigh, la capitale della North
Carolina, dove rivide i soldati che avevano combattuto ai suoi
ordini nella campagna di Atlanta, purtroppo però la situa‐
zione dell’armata era ben diversa da quella che lui aveva la‐
sciato. Il “vecchio Joe” venne comunque accolto con entusia‐
smo, una donna in seguito raccontò di avere visto i soldati
marciare intonando con baldanza le loro canzoni perché rin‐
cuorati dalla presenza del vecchio generale.L’idea era di col‐
pire separatamente Sherman e Scho_ield prima che riuscis‐
sero nell’intento di riunire le loro già ingenti forze. Perciò
Johnston inviò il Generale Bragg e il Generale Hill a bloccare
l’avanzata di Scho_ield, il più vicino alle forze sudiste.
175
Storie del West
Era l’8 marzo 1865 e dopo l’attacco a Scho_ield sarebbe arri‐
vato il turno di Sherman.
Bragg e Hill intercettarono Scho_ield ma non riuscirono a
batterlo, anzi, furono costretti alla fuga dopo una sonora ba‐
tosta. Eppure, nonostante la scon_itta, i generali sudisti ri‐
uscirono almeno a ritardare l’avanzata dei soldati del Nord, il
tempo guadagnato fu ritenuto molto prezioso. Nel corso di
I soldati vanno a combattere
176
Storie del West
177
Storie del West
La baPaglia di GePysburg
A cura di Stefano Jacur,
La battaglia di Gettysburg
ordine di smontare ai suoi uomini piazzandoli in modo da
sbarrare l’ingresso a Gettysburg si accingeva a dare battaglia.
Buford non aveva molti uomini due brigate (circa 2500 uo‐
mini tra i quali i veterani del 3° cavalleria Indiana).
Dopo che l’artiglieria fu piazzata Buford si preparava a com‐
battere in attesa dei rinforzi del Generale Reynolds ormai in
avvicinamento con i suoi Black Heat Boys.
Ma cosa era accaduto nei giorni immediatamente precedenti
ad uno degli scontri armati più sanguinosi ed importanti del‐
la guerra civile americana?
Nel periodo precedente alla battaglia la situazione sul fronte
est era molto negativa. Mentre all’ovest Grant passava di vit‐
toria in vittoria ed ora assediava Vicksburg sul fronte orien‐
178
Storie del West
gno a Brandy Station ed ora nel preludio alla battaglia la ca‐
valleria Unionista di Kilpatrick l’aveva nuovamente intercet‐
tato.
Da questi due scontri si capì non solo che la cavalleria Unio‐
nista non era ora più inferiore a quella Confederata ma era
ora pronta per dare sonore lezioni future sulle ali del proget‐
to Sheridan: “Combatti il nemico dove pensa di essere imbat‐
tile”.
Ora il 30 giugno la divisione di Cavalleria di Buford era già a
Gettysburg.
Questo come si vedrà in seguito sarà molto importante per
un’aspetto che al di là degli altri importanti e concatenati che
sempre in una battaglia sono molteplici,si rivelerà decisivo
sulle circostanze e modalità in cui questa avvenne.
Questo come vedremo, fu molto importante per l’esercito
Unionista. Se Lee si accostò allo scontro manovrando con la
maestria di sempre ed ora si accingeva ad attaccare con
un’armata compatta e con il morale altissimo furono i nordi‐
sti a decidere dove si sarebbe combattuto.
Non permettere l’occupazione delle colline intorno alla città
costringeva L’esercito Confederato a combattere su un pes‐
simo terreno ed ecco perchè l’ordine di “smontare” e sbarra‐
re la strada alla fanteria nemica ordinato repentinamente da
Buford in_icerà moltissimo su quello che accadrà dopo senza
ovviamente dimenticare tutti i “se” e i “ma” che in una batta‐
glia sia per i vincenti, sia per chi la perde, ci sono e ci saran‐
no sempre, sopratutto in un battaglia di tre giorni.
La mattina del 1 luglio 1863 le prime schiere di soldati con‐
federati si stavano avvicinando a Gettysburg. Già il 30 giugno
Buford riuscì a respingere la divisione Pettigrew negli scon‐
tri che formarono il preludio della battaglia intorno alla città
nei pressi della MacPerson Ridge. Il generale Meade poteva
disporre in tutto di circa 95OOO Uomini ma in quel momento
tra i sudisti e la città c’erano solo i 3500 cavalleggeri Unioni‐
sti. Reynolds che era stato avvertito era già in movimento
con il primo corpo d’armata ma ancora lontano. All’alba del 1
luglio la battaglia vera e proprio si accese. Buford diede or‐
dine di aprire il fuoco con alcuni pezzi d’artiglieria sulla
180
Storie del West
McPherson Ridge contro le giubbe grigie; questa volta erano
gli 8000 uomini della divisione Heth del Generale Hill a veni‐
re avanti e i cavalleggeri traformati in fanteria (come spesso
accadrà nella guerra civile) riuscirono in un primo momento
a respingere il nemico in schiacciante superiorità numerica
_ino all’arrivo del Generale Reynolds che giunto sul postò
buttò nella mischia i Black Heat boys della divisione
I morti sul campo di battaglia
Wadsworth per sostenere gli ormai esausti uomini di Buford
che _ine a quel momento avevano resistito (grazie anche ai
fucili a ripetizione) ma che ora rischiavano di essere travolti.
La Iron brigade attaccò i confederati di Heth e li ricacciò dal
luogo dove stavano ormai avanzando (il boschetto MacPher‐
son) riconquistandolo.
Tutto questo era accaduto senza che Reynolds un (reduce
della guerre con il Messico) avesse sentito Meade sul da farsi.
Il generale dei Black Heat Boys tra l’altro cadde sul campo
proprio durante questo attacco colpito a morte dai confede‐
rati ed ormai l’11° corpo del generale Howard (Usa) aveva
181
Storie del West
La mappa degli eventi di Gettysburg
L’arrivo del Generale Hancock a Cemetery Hill
tente.
Mentre il duello delle artiglierie infuriava Meade volle far
cessare completamente il fuoco per far credere al nemico che
l’artiglieria Unionista fosse ormai ridotta al silenzio, ma Hunt
lo anticipò e prima che Meade desse l’ordine fece arretrare
tutta l’artiglieria molto più indietro….
I soldati erano pronti c’era l’ordine di risparmiare munizioni
e sparare a colpo sicuro.
Quando la marea grigia iniziò ad avanzare l’artiglieria che
era stata fatta arretrare più indietro venne trascinata avanti
e posta in batteria concentrando il fuoco sulla fanteria sudi‐
sta. Le granate esplodevano aprendo larghi vuoti tra i soldati
ma essi continuavano a venire avanti nonostante il volume di
187
Storie del West
188
Storie del West
189
Storie del West
E’ guerra a Chickamauga
A cura di Giuseppe Rufino
Dopo il successo nella Campagna di Tullahoma nell’estate del
1863, Rosecrans si spostò a sud‐est verso Murfreesboro nel
Tennessee, inseguendo Bragg che si dirigeva verso la città di
Chattanooga. Questa città era essenziale nella strategia belli‐
ca dell’Unione in quanto la sua conquista avrebbe aperto una
porta verso l’assalto ad Atlanta e le terre del Sud. Il generale
La battaglia di Chickamuga
geva a nord, verso Nashville e Knoxville e a sud verso Atlan‐
ta), un centro bancario, commerciale e manifatturiero. Situa‐
ta lungo il _iume Tennessee perfettamente navigabile, usu‐
fruiva anche di questa via di comunicazione.
Rosecrans ritardò per settimane ma _inalmente, il 16 agosto,
rinnovò l’offensiva, con l’obiettivo di costringere i Confedera‐
ti ad abbandonare Chattanooga, minacciando le loro linee di
rifornimento a sud. Il maggior ostacolo al suo piano era co‐
stituito dal _iume Tennessee, e Rosecrans piani_icò dei mo‐
vimenti diversivi per non far capire a Bragg che lo avrebbe
attraversato a Caperton’s Ferry. La seconda battaglia di Chat‐
tanooga fu una parte di questo diversivo.
Il colonnello John T. Wilder, al comando del XIV Corpo d’ar‐
mata, si avvicinò con una brigata alla città che bombardò con
l’artiglieria per due settimane, facendo così credere a Bragg
che quella fosse la reale direttrice di attacco delle truppe del‐
l’Unione. Rosecrans riuscì, quindi, ad attraversare il Tennes‐
see senza incontrare alcuna opposizione.
Bragg e l’alto comando Confederato si innervosirono per gli
sviluppi che aveva preso questa situazione e decisero di rin‐
forzare le truppe già presenti in città. Il 4 settembre l’armata
del generale Joseph E. Johnston, dal Mississippi inviò una di‐
visione sotto il comando del maggior generale Hiram T.
Walker e, dalla Virginia, il generale Robert E. Lee inviò un
Corpo d’armata sotto il comando del tenente generale James
Longstreet.
Tre Corpi d’armata dell’Armata di Rosecrans si separarono
ed avanzarono per vie differenti sulle uniche tre strade che
erano adatte a tali movimenti. Al _ianco destro il XX° Corpo
d’armata, comandato dal maggior generale Alexander M.
McCook, si mosse a sudest verso Valley Head in Alabama; al
centro, il XIV° Corpo d’armata al comando del maggior gene‐
rale George H. Thomas, si spostò verso la periferia di Trenton
in Georgia; alla sinistra, il XXI° Corpo d’armata, comandato
dal maggior generale Thomas L. Crittenden, avanzò diretta‐
mente verso Chattanooga, aggirando Lookout Mountain. L’8
settembre, dopo aver saputo che Rosecrans gli era passato
alle spalle, Bragg evacuò Chattanooga e mosse la sua armata
191
Storie del West
te richiesta di aiuto di Thomas stava facendo sì che Rose‐
crans assottigliasse il suo _ianco destro per rinforzare quello
sinistro attraverso il folto e intricato groviglio della foresta.
All’apice del combattimento sulla sinistra, uno degli aiutanti
di Thomas, il Capitano Sanford Kellogg, si diresse da Rose‐
crans con un’altra delle quasi continue richieste per truppe
di rincalzo. Kellogg osservò quello che sembrava essere
un’apertura troppo larga tra le divisioni del Brig. Gen. Tom‐
maso J. Wood sulla destra e John Reynolds sulla sinistra.
Proprio in quel momento l’area boschiva tra Reynolds e
Wood fu occupata dal Brig. Gen. John Brannan e dalla sua di‐
visione. Quando Kellogg passò di là, le truppe di Brannan
erano occultate dall’oscuro fogliame della tarda estate.
Quando Kellogg informò Rosecrans della falla,quest’ultimo
reagì di conseguenza. Nella fretta di evitare quella che sa‐
rebbe stata una catastrofe per il suo esercito, Rosecrans non
confermò l’esistenza della falla ma, invece, emise quello che
sarebbe stato il più disastroso ordine della Guerra Civile.
Il comunicato recitava: ‐ Quartier generale armata del Cum‐
berland, settembre 20, ore10:45, Generale Wood, Il coman‐
dante in capo ordina che Lei rinserri su Reynolds quanto più
velocemente possibile e lo sostenga ‐.
Wood che aveva già precedentemente ricevuto un rimprove‐
ro dal suo comandante sapeva che non vi era alcuna falla nel‐
lo schieramento nordista ma ecco arrivare il disastro! Per
eseguire l’ordine di Rosecrans, lui doveva togliere dallo
schieramento due brigate, marciare alle spalle di Brannan e
ricongiungersi al _ianco destro di Reynolds. Per fare questo
andò a creare una falla laddove prima non c’era. Quasi tre
divisioni dell’ala destra Federale erano in movimento, al co‐
spetto di un nemico concentrato.
Ora, completamente per caso, in una di quelle situazioni in‐
credibili che fanno girare le fortune di uomini e nazioni,
Longstreet lanciò un colpo di maglio di 23.000 uomini diritto
nel posto dove _ino a poco prima si trovava Wood.
Alle 11:30 le legioni grigie vennero avanti dalla foresta, at‐
traverso la Strada di La Fayette, nei campi che circondano la
piccola capanna di tronchi della famiglia di Brotherton. Quasi
195
Storie del West
Da questa posizione strategica, la Collina di Snodgrass, chia‐
mata così da una famiglia locale, ritenne possibile proteggere
il grosso dell’armata ritirandosi attraverso la cresta di
McFarland gap e le posizioni originali della linea sinistra del‐
l’Unione. Se solamente questa linea fosse stata in grado di
tenere! Un insieme disordinato di nordisti, dai singoli uomini
alle brigate, si riunì per l’ultima resistenza. Virtualmente tut‐
ta l’organizzazione di comando era scomparsa ma i soldati,
seppure s_initi, in gran fretta si disposero in linea per con‐
trobattere il nemico avanzante in stato di eccitazione per la
momentanea vittoria. I Ribelli si schierarono su una posizio‐
ne difensiva, ed una tregua transitoria si stabilì nel campo di
battaglia.
Con la meta chiaramente di fronte a loro, i Confederati im‐
baldanziti, sorsero all’unisono ed assalirono il nemico con
vigore rinnovato. Spinsero _ino ad arrivare a pochi piedi dal‐
le posizioni dell’ Unione ma solamente per essere respinti
più volte, e ogni volta di nuovo lasciavano sul terreno dietro
di sé decine di morti e feriti.
Con tre delle divisioni di Longstreet che quasi lo pressavano
_ino al punto di rottura, Thomas osservò una nube di polvere
ed un grande numero di truppe che si muovevano verso lui.
Erano amici o il nemico? Quando la colonna che avanzava si
avvicinò, Thomas ebbe la risposta. Era il Gen. Gordon Gran‐
ger con due brigate del corpo di riserva dell’esercito del‐
l’Unione al comando del Brig. Gen. James Steedman.
Queste truppe fresche (ma in battaglia per la prima volta)
non solo portarono fucili in più ma anche munizioni dispera‐
tamente necessarie ai difensori della Collina di Snodgrass
che _ino a quel momento erano ricorsi alle cartucciere dei
morti e feriti. Da due giorni Granger proteggeva il nord del
campo di battaglia sulla Strada di Rossville. Dal pomeriggio
della domenica stava spingendo per gettarsi nella mischia.
Finalmente, quando non riuscì a sopportarlo più, ruggì “Sto
andando da Thomas, con o senza ordini”.
Ad un certo punto, i Ribelli che pressavano davvero dura‐
mente, presero la cresta della Collina di Snodgrass, piantan‐
dovi la loro bandiera di guerra. Grazie a numerose azioni di
198
Storie del West
esultare, erano abbastanza per convincere il loro comandan‐
te. Bragg era preoccupato dalle perdite terribili di 17.804
uomini, 2.389 morti, 13.412 feriti e 2.003 prigionieri. L’eser‐
cito dell’Unione, dopo avere subìto 16.179 perdite, 1.656
morti, 9.749 feriti e 4.774 prigionieri si ritirò dietro le difese
di Chattanooga senza ulteriore molestia.
La storia è stata meno che generosa con Bragg, non senza
causa.
Pur se è vero che egli perse un terzo dei suoi effettivi a
Chickamauga, in nessun’altra occasione, in quattro anni di
lotta, vi fu una più grande opportunità di far seguire a un
trionfo sul campo di battaglia l’inseguimento di un nemico
battuto. Se Bragg avesse attaccato ed avesse distrutto Rose‐
crans il 21 settembre, ci sarebbe stato ben poco a contrastare
un’avanzata verso il Fiume Ohio. Anche in questa occasione
Bragg non si smentì. Come già accaduto a Perryville e a
Murfreesboro lasciò che la vittoria divenisse inutilmente
tronca!
Rosecrans, d’altra parte, aveva visto un ordine sbagliato far
naufragare la sua reputazione militare e pressoché distrug‐
gere il suo esercito.
La sua campagna, quasi perfetta della primavera ed estate,
era _inita con l’Esercito del Cumberland tappato dentro Chat‐
tanooga ed il nemico che stringeva il cappio occupando le
alture di Lookout Mountain e Missionary Ridge. Lincoln per‐
se _iducia nell’abilità del vecchio Rosey di comandare, disse
di lui “sembrava sbalordito e confuso, come un’anatra che
aveva avuto una botta sulla testa”.
Chickamauga, la battaglia di due‐giorni più sanguinosa della
guerra intera, si dimostrò un terreno ricco di opportunità
perdute per i Confederati. Mentre Bragg dispose l’assedio a
Chattanooga con un esercito inadeguato a fare quel lavoro, al
Gen. Ulysses S. Grant, l’eroe di Vicksburg fu dato il comando
di tutto l’Ovest cambiando lo stato delle cose. Rinforzi si ri‐
versarono da est e dell’ovest. L’Armata del Cumberland pa‐
reggiò il conto coi ribelli in una carica da poema epico sulla
Cresta del Missionario, durante la campagna di novembre. E
200
Storie del West
quando il soldato dell’Unione mise di nuovo piede sul campo
di battaglia di Chickamauga, era ormai in marcia per Atlanta.
201
Storie del West
Le vivandiere della Guerra Civile
A cura di Renato Panizza
La _igura della “vivandiera“, l'intrepida donna che porta il ba‐
rilotto di liquore per rincuorare i combattenti con un sorso
di acquavite e rischia la sua vita mescolandosi ai soldati per
prestare loro i primi soccorsi, compare già nella Francia del
XVII secolo e diviene in seguito
personaggio caratteristico du‐
rante la Rivoluzione francese.
La vivandiera della metà del
XIX secolo non deve essere
confusa con una semplice aiu‐
tante che svolge mansioni va‐
rie, di cucina o di pulizia degli
indumenti e del Campo; la vi‐
vandiera, che porta anche ta‐
bacco e rifornimenti di cibo ai
soldati, è inquadrata uf_icial‐
mente nelle _ila del Reggimen‐
to, veste una sua divisa di fog‐
gia femminile... e spesso è ar‐
mata!
A quel tempo l'Esercito fran‐
cese era considerato dai più
come tra i migliori del mondo
e non c'era Reggimento del
Secondo Impero di Napoleone French Mary
III che non disponesse, per
dirsi veramente al completo, delle sue “_iglie”, delle Vivandie‐
re.
I Reggimenti Zuavi erano famosi per le loro elaborate e vi‐
stose uniformi di foggia africana, per la qualità del loro adde‐
stramento e il valore sempre dimostrato in combattimento:
erano “il meglio del meglio”.
202
Storie del West
206
Storie del West
Quando il Generale Grant assunse il comando nel teatro di
guerra dell'Est, non volle più tenere Vivandiere e allontanò
dai campi tutte le donne, svolgenti qualsiasi mansione.
Le Vivandiere "mascotte", che erano bambine di 9 o 10 anni,
non furono quasi mai viste sui campi di battaglia; mentre
quelle adulte, specie se erano le mogli degli uf_iciali o dei
soldati, sì.
Fra le Vivandiere della Civil War, “French Mary” è la più co‐
nosciuta e fu tra quelle pochissime che rimasero in attività
per tutta la durata della guerra. Il suo soprannome presso i
soldati si deve al fatto che Marie Brose nacque in Francia, a
Brest, il 24 Agosto del 1834, da madre Francese e padre Tur‐
co. Il padre morì che Marie aveva solo dieci anni e così la
madre decise di abbandonare la Francia e migrare negli Sta‐
tes.
Si sposò a vent'anni con un certo Bernardo Tepe (detto Tebe)
che faceva il sarto a Philadel_ia e quando scoppiò la guerra,
nonostante la volontà del marito, non rimase a portare avan‐
ti la loro piccola sartoria, ma volle seguirlo come vivandiera
con il 27° Pennsylvania nel quale si era arruolato. Aveva 27
anni. Una notte però successe che alcuni soldati entrarono
nella sua tenda e la derubarono. I ladri vennero presi e con‐
dannati: tra loro c'era anche suo marito! Marie non ne volle
più sapere né del marito, né del suo Reggimento e si fece tra‐
sferire come Vivandiera nel 114° Pennsylvania Volunteers,
gli Zuavi di Collis, nonostante le insistenze dei soldati af_in‐
ché rimanesse tra loro.
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Storie del West
a tracolla, passava tra i soldati a offrire vino, sigari e tabacco
da masticare, tutti generi che l'esercito non passava.
Se poi era riuscita a procurarsi del whisky, il suo commercio
si faceva prospero perché poteva guadagnare anche $ 5 per
ogni pinta (un po' più di mezzo litro).
Marie era una donna forte, robusta _isicamente, e non si la‐
sciava scoraggiare dalle dif_icoltà: si era procurata un vec‐
chio mulo per riuscire a
trasportare il suo arma‐
mentario di roba senza
troppi problemi quando
(spesso) si dovevano
guadare dei _iumi.
Della sua presenza nel‐
l'Esercito c'è traccia nel‐
le lettere che i soldati
scrivevano a casa per
parlare di lei, perché ve‐
dere una donna vestita
in uniforme in guerra era
una cosa che faceva
sempre notizia.
A Fredericksburg, nel
Ancora una vivandiera
Dicembre 1862, dopo
aver partecipato ad alle‐
stire l'ospedale da campo prima della battaglia che si pro_i‐
lava imminente, fu vista muoversi con coraggio tra i soldati
che sparavano. E fu qui che si prese una pallottola in una ca‐
viglia e si guadagnò una coppa d'argento che gli venne con‐
segnata dal Tenente Colonnello Cavada, con su scritto:
“A Marie per la nobile condotta sul campo di battaglia”.
E subito dopo ricevette una lettera dal Colonnello Collis, co‐
mandante del Reggimento, che la lodava e la ringraziava per
il coraggio mostrato.
Ma il coronamento della sua dedizione avvenne dopo la bat‐
taglia di Chancellorsville, nel Maggio del 1863, quando era
tra le poche donne che ancora seguivano l'esercito.
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