Domande Brotzu
Domande Brotzu
Domande Brotzu
(responsabilità infermieristiche)
-Poco usato, (dalle ultime evidenze scientifiche si riscontrano alte probabilità di incorrere in infezioni). Utilizzato
per chemioterapici in vescica o per particolari antibiotici. Veniva utilizzato in passato per il tamponamento di
eventuali piccole lesioni in vescica e per evitare ristagno vescicale. Con catetere a tre vie.
L'inefficacia meccanica, tempo di refrattarietà, morte per arresto cardiaco o morte improvvisa cardiaca.
La tachicardia ventricolare (150-200 Bpm) insorge quando il normale impulso di contrazione cardiaca subisce
una modificazione.
Può capitare che insorgano degli impulsi extra (extrasistoli) in punti diversi dal nodo seno atriale.
Durante la tachicardia ventricolare, si verificano 3 o più extrasistoli ventricolari in successione, che
velocizzano la frequenza cardiaca.
Ciò determina una gittata cardiaca insufficiente. Pertanto, il sangue ossigenato non irrora più a dovere i tessuti e
gli organi del corpo, incluso il cuore.
Gocciolatore standard
(foro emissione Ø 3mm)
1 ml ~20 gct
6)Emorragia esteriorizzata
iniziale fuoriuscita di sangue in una cavità corporea e successiva emissione all’esterno attraverso un orifizio
naturale, come bocca, ano, naso e orecchie.
– Tamponare la narice (o le narici) con del cotone per 10 minuti (questo può essere introdotto all’interno della
narice come tampone interno); se non si dispone di tampone, tenere il naso premuto tra l’indice e il pollice e
respirare con la bocca.
– Tenere il soggetto infortunato con la schiena dritta e la testa piegata in avanti per evitare che il sangue finisca
nella gola
In caso di epistassi, se non si dispone di cotone per tamponare, tenere premuto il naso tra pollice e indice
mantenendo la testa in avanti per evitare che il sangue finisca in gola.
PRIMO SOCCORSO DI ALTRI TIPI DI EMORRAGIA
– Otorragia: Sistemare il soggetto sul lato sanguinante (per evitare che il sangue entri nell’orecchio) e mettere del
ghiaccio sulla fronte.
– Ematuria: Mettere una borsa dell’acqua calda sui reni in caso di possibile calcolosi. Conservare le urine per
mostrarle al medico.
– Emottisi e emoftoe: Mettere del ghiaccio in bocca e tenere il soggetto in posizione laterale di sicurezza se
incosciente, semiseduta se cosciente.
– Rottura di varici all’arto inferiore: Sollevare l’arto mettendo il soggetto disteso. Rimuovere gli indumenti
opprimenti e fasciare la sede dell’emorragia
Quando si decide di trasferire un paziente critico, bisogna valutare attentamente i benefici derivanti dal
trasporto in correlazione ai potenziali rischi a cui il paziente è esposto. È anche importante definire gli
standard clinici e tecnologici necessari per minimizzare il rischio di deterioramento dei parametri vitali durante il
trasferimento.Verranno indicati i requisiti minimi dell’equipaggiamento necessario al trasporto sia all’interno che
all’esterno dell’ospedale compreso il monitoraggio, le riserve di gas medicali e le apparecchiature di supporto
vitale.Verranno, in particolare, presentate alcune linee guida e criteri base per il trasporto inter-ospedaliero e
intraospedaliero facendo particolare attenzione a tre categorie di pazienti: il paziente traumatico, il paziente
neurologico e il paziente neonatale.
Le linee guida standard devono essere utilizzate per ridurre al minimo il tasso di incidenza degli eventi avversi.
Buon senso critico e valutazione rischio-beneficio sono gli unici criteri attuali per decidere di un
trasferimento. Preparazione e gestione sono due passi cruciali durante il trasporto del paziente critico visto
l’impatto diretto sulla prognosi a breve e medio termine del paziente.
Superare il rischio del trasporto del paziente critico comporta l’adozione di azioni correttive per tutte le cause,
applicando i metodi che hanno dimostrato essere un beneficio per i pazienti e di conseguenza per la comunità.
Inoltre un uso più diffuso di check – list di controllo e di piani di formazione adeguati per i team sono ritenuti
estremamente necessari per un aumento della sicurezza e per un abbassamento dei rischi sia durante il trasporto
sia nel lungo termine.
Per far si che il team abbia le competenze adeguate per rispondere in modo corretto ai bisogni assistenziali, si
utilizza la tabella dell’Equipaggio di Accompagnamento nel Trasferimento con la quale si definisce, in base
alla tipologia di paziente, un team ritenuto efficace ed appropriato.
Particolare attenzione deve essere posta nel trasferimento di particolari tipi di pazienti, paziente neonatale
(STEN), neurologico (Stroke) e traumatico (Trauma System), nei quali devono essere eseguite procedure
differenti che implicano l’uso di strumentazione e di atteggiamenti diversi rispetto a quelli indicata nelle
“check-list e linee guida di base”.
8)ECG
ECG, la procedura infermieristica
L’Elettrocardiogramma è una delle indagini diagnostiche meno invasive, ma la sua corretta esecuzione è
indispensabile ai fini della diagnosi.
L’elettrocardiogramma (ECG) standard consiste nella registrazione grafica su carta millimetrata dell’attività
elettrica del cuore.
L’infermiere, come sancito dal Profilo Professionale, è responsabile dell’assistenza generale infermieristica e può
effettuare indagini diagnostiche in autonomia, previa prescrizione medica, tra cui l’ECG
Discrezionalità dell’infermiere
Insieme alle responsabilità appena esposte, l’infermiere agisce in autonomia anche competenze discrezionali:
1. riconoscere la morfologia fondamentale dell’ECG rappresentata da un’onda elettrocardiografica nella quale si
evidenziano tre diverse deflessioni:
onda P, che rappresenta l’impulso che attraversa gli atrii;
2. complesso QRS, che rappresenta l’impulso che attraversa i ventricoli;
10)Toracentesi
La toracentesi è una manovra medico-chirurgica che permette l'evacuazione dalla cavità pleurica del liquido
pleurico che, in seguito a determinate condizioni patologiche, tende ad accumularsi in maniera abbondante.
L'esecuzione della toracentesi è un atto di competenza medica, il ruolo dell'infermiere in corso di procedura è
prevalentemente collaborativo, ma rimangono di sua competenza l'assistenza infermieristica pre, intra e post
intervento, l'educazione sanitaria al paziente e la valutazione delle possibili complicazioni.
La toracentesi rappresenta sicuramente la strategia diagnostico/terapeutica maggiormente applicata in queste
situazioni ed è da considerarsi una delle procedure mediche invasive più utilizzate nella pratica medica moderna,
nonostante il suo primo impiego risalga agli albori della storia della medicina.
L'utilizzo promiscuo, oltre che dall'elevato grado di efficacia in campo pneumologico, è dato da un basso grado di
morbilità e da un esborso economico medio piuttosto limitato.
1. Spiegare al paziente il tipo di manovra alla quale verrà sottoposto, quali sono i benefici che ne potrà ricevere,
quali sono le complicanze, quali sono i vari momenti della procedura e controllare che abbia firmato
il consenso informato
2. Verificare i parametri vitali e annotarli in cartella
3. Posizionare il paziente seduto con le braccia conserte (posizione di Flower), possibilmente poste su un
tavolino abbastanza alto da poter sostenere un paio di cuscini. Far appoggiare il capo del paziente sui cuscini
in modo da favorire una maggiore espansione polmonare
4. Effettuare lavaggio antisettico delle mani
5. Scoprire il paziente il minimo indispensabile
6. Disporre un telino non sterile affinché gli indumenti del paziente ed il letto non rimangano imbrattati di
disinfettante
7. Individuazione del punto di introduzione dell’ago (la zona di elezione è quella laterale lungo la linea ascellare
posteriore)
8. Indossare dispositivi di protezione individuale non sterili (guanti monouso non sterili, mascherina con
visiera, camice non sterile in TNT).
9. Effettuare disinfezione dell’area da pungere con soluzione a base di iodiopovidone o clorexidina
10. Effettuare la somministrazione dell’anestesia locale e/o topica
11. Raccordare, sterilmente, tubo connettore e rubinetto a 3 vie all’ago da toracentesi
12. Collaborare con il medico durante la puntura del paziente (questi, sterilmente, introduce l’ago sul bordo
superiore delle coste con angolazione di 45° per pochi centimetri mentre attraversa lo spessore della parete
toracica, poi decorrere orizzontalmente nel cavo pleurico)
13. Ancorare l’ago da toracentesi con cerotto adesivo posizionato “a cravatta” per evitarne la rimozione
accidentale
14. Se richiesto dal medico predisporre campione per citologia e\o esame chimico fisico del liquido pleurico
15. Qualora sia necessario effettuare indagini di laboratorio, effettuare lenta aspirazione del liquido pleurico nella
siringa da 60 ml raccordata al rubinetto a tre vie e, una volta esclusa la via del paziente, riempire le provette
senza contaminare il raccordo della siringa. Successivamente, attraverso il rubinetto a 3 vie, connettere il
paziente alla sacca di raccolta e lasciare drenare il liquido pleurico “a caduta”
16. Una volta drenata la quantità di liquido effettuare la rimozione dell’ago smaltendolo all’interno del contenitore
per aghi e taglienti
17. Disinfettare e applicare medicazione sterile al piatto
18. Informare il paziente che dovrà mantenere la posizione supina o semiseduta prona per 1 ora e che la prima
mobilizzazione dovrà essere effettuata in presenza di personale infermieristico
19. Rilevare le caratteristiche del liquido drenato (colore e quantità) ed annottare in cartella clinica e
documentazione infermieristica
20. Riordinare e smaltire il materiale utilizzato
21. Effettuare lavaggio sociale delle mani
22. Effettuare monitoraggio dei parametri vitali del paziente
23. Valutare la comparsa di dolore o di sintomatologia riconducibile a complicazioni della toracentesi
24. Predisporre documentazione e campioni per l'invio in laboratorio analisi.
11)Embolia Polmonare
Per embolia polmonare si intende un’ostruzione acuta, parziale o completa, di uno o più rami dell’arteria
polmonare, provocata generalmente da materiale embolico di origine extra-polmonare.
Nella stragrande maggioranza dei casi l’embolo è di natura trombotica dato da trombosi venosa periferica (95%
dei casi) e solo nel 5% dei casi l’embolo non è trombotico, ma può essere gassoso (aria, bolle di azoto), liquido
(liquido amniotico), grassoso (emboli di tessuto adiposo), solido (corpi estranei).
L’embolia polmonare può essere essenzialmente di 2 tipologie:
● Massiva: caratterizzata da instabilità emodinamica e segni di shock.
● Non Massiva: caratterizzata da un’emodinamica decisamente più stabile.
13)Biopsia epatica
Prelievo di un frammento di tessuto epatico mediante aspirazione con ago.
● Scopo diagnostico
● Scopo istologico
PRE-PROCEDURA
Materiale
● Disinfettante
● Garze sterili
● Telino sterile
● Bisturi
● Ago per biospia
● Lidocaina 2% fl
● Siringa con ago da sottocute
● Cerotto per medicazioni
● Contenitore sterile per prelievo
● Busta
Intra-procedura
● Assistenza al paziente
● Collaborazione con il medico
● Preparazione contenitore (formalina)
● Controllo emodinamico del pz
Post-procedura
● Medicazione compressiva
● Crioterapia
● Postura obbligata: decubito laterale dx per almeno 3 ore
● Digiuno
● Invio campione in anatomia patologica
● Riordino materiale
● Emocromo dopo 3 ore dalla procedura
Potenziali complicanze
● Ematoma sottocaspulare
● Ematoma intraepatico
● Emoperitoneo
● Bilioperitoneo
● Emobilia
● Sindrome vaso vagale
● Ipovolemia acuta fino a schok semorragico
● Aritmie cardiache da ipossemia
● Febbre
Nei processi
di guarigione
delle lesioni da Tutte le condizioni che
pressione è stata da È preferibile evitare modificano il pH locale
tempo dimostrata l’esposizione della provocano
l’importanza della lesione all’aria per modificazioni del
Sotto una superficie crostosa la
tensione superficiale di lungo tempo per processo riparativo.
rigenerazione dei tessuti epiteliali
ossigeno, poiché la evitare la dispersione
avviene nel giro di circa venti ore, La diminuzione del pH
superficie della lesione di calore
mentre sotto una medicazione a livello della superficie
tende ad essere ipossica. l’esposizione agli
occlusiva ad umidità costante, il della lesione provoca la
agenti infettivi.
I processi riparativi di una tempo si riduce di un terzo. perdita dei movimenti
lesione necessitano di una Pertanto, nell’ambito ritmici che
La disidratazione rallenta quindi il
maggior concentrazione delle operazioni di generalmente si
processo di guarigione, anche se
di ossigeno. medicazione, sono da osservano sulla
l’eccesso di umidità aumenta il
evitare i cambiamenti superficie delle cellule
Sarà pertanto rischio di infezione (Bellingeri A,
di medicazione troppo epiteliali.
indispensabile tenere 2003)
frequenti, poiché
pulita la lesione dalla possono ostacolare la L’aumento del pH
presenza di fibrina, guarigione provoca immobilità e
tessuto necrotico o di contrazione delle cellule
escare che sottraggono
l’ossigeno necessario.
Il processo di guarigione delle LdP è costituito dalle stesse fasi delle lesioni cutanee di diversa eziologia
(vascolare, metabolica e/o infiammatoria). Il trattamento delle LdP necessita quindi di tutte le strategie
terapeutiche e dei presidi di medicazione che sono adottati nella gestione di tutte le lesioni croniche.
Infatti la cura iniziale della LdP comprende lo sbrigliamento, la pulizia della ferita, l’applicazione di
medicazioni e possibili terapie aggiuntive. Il trattamento deve essere eseguito all’interno di percorsi diagnostici,
terapeutici ed assistenziali che prevedano un approccio di tipo multidisciplinare e multi professionale; in alcuni
casi è richiesto il trattamento chirurgico.
In caso di danno procurato al paziente, dalla responsabilità professionale possono derivare anche
quella civile (risarcitoria) e penale. Alle linee guida concorrono i principi del codice deontologico (e nella
fattispecie gli articoli 9, 13, 22, 29). Precisi controlli sulla prescrizione devono essere prestati in merito alla
completezza e alla condizione (se cioè subordinata al realizzarsi di un evento futuro).
La giurisprudenza (Cass. Sez. IV sent. 1878/200 e 2192/2015) ha sottolineato, in conseguenza ai limiti
del principio dell’affidamento (corrispondenti a situazioni di fatto evidenti che ragionevolmente mettono in
dubbio l’avvenuto rispetto dei doveri di diligenza, perizia e prudenza, da parte dei propri collaboratori),
che l’infermiere deve rilevare evidenti inappropriatezze di prescrizione terapeutica, in particolare per
macroscopici errori di indicazione del dosaggio, della posologia o prescrizione di molecole cui il paziente è
allergico e quindi segnalarle al medico per le adeguate revisioni.
Il panorama di responsabilità dettato dalla Suprema Corte espone l’infermiere ad un delicato ruolo di
verifica (ulteriore rispetto al noto panorama delle controindicazioni e degli eventi post assunzione) che risulta
contiguo al compito di traduzione di quanto il medico prescrive (non transigendo dai canoni del risk-
management).
Ciò consegue dal fatto che l’équipe è orizzontale in questo caso (scrive la Suprema Corte: “esigibile, da parte
dell’infermiere...che l’attività…sia prestata non in modo meccanicistico, ma in modo collaborativo col medico”).
Esiste invece un vero e proprio obbligo di controllo, immune dal principio di affidamento temperato, nel caso di
delega dell’atto di somministrazione della terapia orale a figure di supporto (OSS) che impone all’infermiere
(in virtù della verticalità della prestazione di équipe considerata) di appurare la correttezza dell’operato altrui (in
tal caso l’esattezza della via di somministrazione, della modalità di somministrazione e l’avvenuta assunzione).
Ponendo l’attenzione sui vari modi di esternazione/ricezione delle prescrizioni iniziamo l’analisi da quelle così
dette “off label” (cioè farmaci prescritti per patologie o in dosaggi o per vie di somministrazione differenti da
quelli indicati dalla casa produttrice) e possiamo affermare che la posizione dell’infermiere è affine a quella del
medico.
Pur essendo costituzionalmente garantita la libertà della scienza e quindi quella terapeutica, la possibilità di
prescrivere “fuori scheda” soggiace ad una pregnante norma cautelare (ex art.3 l. 94/1998) che obbliga il
medico ad effettuare tale pratica in conformità a pubblicazioni scientifiche accreditate a livello internazionale: la
ratio è quella di prevenire/evitare eventi avversi (mancando la fase di sperimentazione).
Va da sé che l’infermiere sia esposto a responsabilità penale in caso di lesioni conseguenti all’effetto del
farmaco assunto “off label” tanto quanto il medico in caso di mancato rispetto di tale regola cautelare (il cui
principio è stato enucleato dalla giurisprudenza costituzionale: “...la regola di fondo in questa materia è costituita
dalla autonomia e dalla responsabilità del medico che, sempre con il consenso del paziente, opera le scelte
professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a disposizione…” in sent. 282/2002).
Inoltre l’infermiere ha l’obbligo deontologico di appurare il corretto recepimento delle informazioni fornite dal
medico al paziente, così da assicurare un consenso consapevolmente prestato (locuzione elaborata da Cass. Civ.
Sez. III in sent. 2847/2010) e non semplicemente informato (come previsto dalla legge 145/2001 di ratifica della
Conv. di Oviedo), al fine di garantire alla persona curata una reale autodeterminazione. Da sottolineare che
anche riguardo al consenso informato si possono sviluppare profili di responsabilità penale (e civile).
Concludiamo la parentesi “off label” precisando che laddove vi sia la possibilità di prescrizioni “in
label”(secondo scheda tecnica, bugiardino), l’infermiere può partecipare ad un percorso “off label” nonostante la
l. 94/1998 ne precluda la possibilità (obbligando il medico a percorrere la via secondo scheda, ma su tale
previsione normativa sono stati avanzati in dottrina dubbi di costituzionalità in quanto preclusiva della libertà
terapeutica, definita per l’appunto non negoziabile), sempre rispettando la sopradescritta norma cautelare.
Considerando ora le disposizioni terapeutiche effettuate in forma verbale possiamo affermare che la loro
liceità risulta ammissibile esclusivamente in situazioni di urgenza ed emergenza, dove risulta doveroso
anteporre il bene vita al rispetto della legge (ex art. 54 c.p. lo stato di necessità costituisce un fattore esimente) che
ovviamente avverrà, non appena possibile, ratificando la prescrizione (in tal caso post-scrizione) e la
somministrazione attraverso redazione formale.
Merita di essere menzionato il rischio intrinseco appartenente alle realtà di Pronto Soccorso,
Rianimazione, Terapia Intensiva, Sala Operatoria: unità operative dove per natura l’iter prescrizione-
somministrazione è spesso invertito nella prassi, essendo deputate alla gestione di situazioni di emergenza-
urgenza (sarebbe buon uso coinvolgere almeno un terzo operatore nel momento di disposizione-
somministrazione).
Riguardo alle prescrizioni telefoniche, pur non esistendo previsione normativa alcuna in merito, è
concettualmente erroneo concepirla, venendo meno il momento irrinunciabile della visita medica prodromico alla
prescrizione stessa. È quindi dovuto dall’infermiere il rifiuto a darvi seguito.
L’utilizzo di protocolli di terapia è ammesso qualora questi siano allegati alla cartella clinica o in essa
menzionati in riferimento a documenti adottati a livello della singola realtà operativa: il protocollo di terapia deve
contenere ogni informazione necessaria ed utile alla corretta somministrazione (posologia, situazioni fattuali di
necessità, livello di autonomia gestionale).
Il salto è breve nel passare a considerare le prescrizioni condizionate: in esse l’attualizzazione della disposizione
terapeutica è subordinata all’avverarsi di situazioni oggettive rilevabili dall’infermiere, che ovviamente non fa
diagnosi, bensì riconosce un segno e/o un sintomo precedentemente specificato e correlato dal medico, a livello
diagnostico-terapeutico, a situazioni prognosticabili in ragione della situazione clinica.
Tali prescrizioni devono contenere il segno/sintomo, l’eventuale indicatore di misurazione/intensità, il farmaco
utile, il dosaggio, la via di somministrazione, l’intervallo di tempo per la rilevazione del beneficio e quello di
eventuali nuove somministrazioni.
In tale dimensione collaborativa è maggiormente oneroso per l’infermiere l’obbligo di segnalazione al medico di
situazioni non perfettamente sovrapponibili con il quadro prescrittivo e ogni ragionevole dubbio dettato da fatti
non preventivati o considerazioni professionali riconducibili al rispetto della prudenza.
La NIV è un sistema ventilatorio di natura meccanica a pressione positiva che si sostiutisce all'utente nelle varie
fasi degli atti respiratori; può essere nasale, facciale, total-face o a scafandro, a seconda delle esigenze e della
tollerabilità. Il ruolo dell’Infermiere nella gestione della Non Invasive Ventilation è fondamentale, soprattutto
nella fase del riconoscimento precoce di eventuali compromissioni degli scambi gassosi (per acuzie della
patologia o per malfunzionamento della macchina).
21)Posizionamento PICC
Le indicazioni all’inserimento di un PICC sono quindi:
• necessità di infusione di soluzioni acide (pH < 5)o basiche (pH >9) o ipertoniche (osmolarità > 800 mOsm/l), o
con effetto vescicante o irritante sull’endotelio
• necessità di misurazione della Pressione Venosa Centrale
• presenza di alto rischio di complicanze meccaniche qualora si procedesse alla inserzione di un CVC in vena
giugulare interna o succlavia (pazienti obesi; pazienti con alterazioni anatomiche e/o patologiche del collo; pazienti
con grave coagulopatia);
• presenza di alto rischio di complicanze infettive qualora si posizionasse un CVC tradizionale (pazienti con
tracheotomia, pazienti immunodepressi o soggetti ad alto rischio di batteriemie)
• situazioni in cui è logisticamente difficoltoso o costoso procedere al posizionamento di un CVC tradizionale
(domicilio, mancanza di un team dedicato; etc.);
• necessità di accesso venoso centrale per tempo particolarmente prolungato (‘a medio termine’: < 3 mesi);
• necessità di accesso venoso centrale a medio termine (< 3 mesi) in paziente da trattare anche o esclusivamente in
ambito extraospedaliero;
• necessità di accesso venoso centrale a medio termine (< 3 mesi) da utilizzare anche o esclusivamente in modo
discontinuo.
Al pari della pressione sanguigna, l’ICP viene misurata in millimetri di mercurio (mmHg) e, a riposo, oscilla
normalmente tra i 7 e 15 mmHg in un adulto in posizione supina e diventa negativa (in media –10 mmHg)
quando il paziente si trova in posizione verticale.
In un giovane la pressione intracranica invece oscilla tra 3 e 7 mmHg.
Nei neonati si attesta tra 1,5 e 6 mmHg.
L’ipertensione endocranica, è una patologia in cui si riscontra un aumento della pressione nel cranio oltre i 15
mmHg. Generalmente l’ipertensione supera di gran lunga tale valore, attestandosi anche a 25 mmHg, che
rappresenta il valore soglia per cui vi è la necessità di ricorrere ad un trattamento per ottenere la sua riduzione
immediata, salvo il possibile verificarsi di danni cerebrali anche permanenti e potenzialmente letali. Secondo
alcuni autori tale soglia andrebbe abbassata a 20 mmHg.
Come si misura la pressione intracranica?
La misurazione indiretta della pressione intracranica avviene tramite stime basate sulla clinica oppure grazie a
doppler transcranico, determinazione del diametro III ventricolo, con puntura lombare o con
oftalmodinamometria. La pressione endocranica si può misurare con precisione solo con metodi più invasivi,
inserendo delle sonde che definiscono la pressione presente nei ventricoli cerebrali o nel parenchima cerebrale.
Questo è un metodo molto invasivo e può essere effettuato sia per una singola misurazione, sia per una
misurazione in modo continuo, specie in pazienti ad alto rischio. La misurazione della pressione intracranica in
modo continuo è una procedura costosa e minimamente invasiva che viene eseguita in regime di anestesia locale
ed associata a neuroleptoanalgesia, ciò permette al paziente di rimanere sveglio senza provare dolore. Una volta
eseguite le manovre anestesiologiche, si esegue una piccola incisione di poco anteriore alla sutura coronale,
successivamente viene praticato sul tavolato osseo un piccolo foro di trapano. Ottenuta la breccia ossea si
introduce il trasduttore ventricolare sino al raggiungimento del corno frontale del ventricolo laterale. Il trasduttore
viene successivamente collegato ad un sistema per la visualizzazione e stampa dei dati. La misurazione della PIC
viene condotta in continua per almeno 48 ore. Il paziente rimane allettato con il capo sollevato di circa 30°.
23)Tipologie di febbre
(responsabilità infermieristiche ed assistenza)
l decorso dell’episodio febbrile è caratterizzato solitamente da tre fasi:
● fase prodromica (fase di ascesa): è caratterizzata dalla produzione di citochine che determinano la sensazione
soggettiva di freddo, l’eventuale comparsa di brivido (aumento della termogenesi) e del pallore cutaneo,
conseguenza della vasocostrizione (riduzione della termodispersione);
● fase del fastigio (acme febbrile): corrisponde al periodo in cui l’ipotalamo si regola su un livello più elevato di
quello fisiologico (modifica del set point) con conseguente aumento della temperatura. Scompare la
sensazione di freddo che è sostituita da quella di caldo, la cute si arrossa e diventa più calda, il paziente prova
agitazione e sono comuni cefalea e dolori muscolari;
● fase di defervescenza: inizia con l’inattivazione della produzione di citochine pirogene e può essere graduale
(per lisi) o rapida (per crisi). Se avviene per lisi non vi sono sintomi particolari, salvo un lieve senso di calore
seguito da benessere dovuto alla ritrovata normalità; se avviene per crisi si verifica una notevole
vasodilatazione accompagnata da sudorazione profusa (diaforesi) che può rendere il paziente disidratato e
spossato.
24)Paziente epatopatico
Il ruolo dell’infermiere nell’assistenza al paziente con Cirrosi Epatica
L’infermiere è responsabile dell’assistenza generale infermieristica e di fronte ad un paziente con cirrosi
epatica che viene ricoverato nell’Unità Operativa di Medicina Interna, ha la responsabilità di prendere in carico
l’utente.
Dopo aver acquisito i dati anagrafici necessari al ricovero del paziente, l’infermiere procede ad effettuare
l’accertamento infermieristico per delineare le condizioni dello stesso al momento dell’ingresso in reparto.
L’infermiere, in particolare, rileva i parametri vitali, quali:
1. pressione arteriosa
2. saturazione
3. frequenza cardiaca
4. frequenza respiratoria e qualità del respiro
5. temperatura corporea.
Monitorerà, inoltre:
● il colorito e il livello di idratazione della cute;
● le condizioni del sensorio;
● l’eventuale presenza di ascite e/o edemi agli arti, misurandone la circonferenza;
● i rumori polmonari (per rilevare eventuale edema polmonare);
● i valori di globuli bianchi, globuli rossi, piastrine, emoglobina, bilirubina e delle transaminasi.
Con l’utilizzo di scale validate e contestualizzate e, ove possibile, con la collaborazione del paziente, valuta la
presenza di dolore, con relative caratteristiche, localizzazione e intensità, così come accerterà il livello di ansia che
affligge la persona.
L’infermiere consulterà il dietista per concordare, insieme all’assistito, una dieta opportuna al caso e le relative
restrizioni, dietetiche e di liquidi.
Quella dell’accertamento è solo la prima fase del processo di assistenza infermieristica che, come passaggio
successivo, prevede un’attenta analisi incrociata dei dati raccolti attraverso l’accertamento, con la collaborazione
del paziente e, se presente, con quella di un caregiver; analisi dei dati che porta alla formulazione di un piano
assistenziale tarato sulla singola persona.
25)Paracentesi
Per paracentesi (o peritoneocentesi) si intende la rimozione di liquido ascitico dalla cavità peritoneale per mezzo
di una piccola incisione chirurgica o di una puntura praticata attraverso la parete addominale in condizioni di
sterilità.
Cos'è e come si esegue la paracentesi per rimozione di liquido in addome
La paracentesi è una metodica diagnostico-terapeutica che consente il trattamento dei pazienti con grandi volumi
di liquido ascitico (5-6 l) endoaddominale. Mentre sin dalle sue origini questa metodica era considerata il
trattamento abituale per l’ascite, al giorno d’oggi la paracentesi è utilizzata soprattutto per il trattamento di
paziente con asciti di importante entità resistenti alla terapia diuretica o in terapia con diuretici che causano gravi
problemi alla persona e prima di altre procedure come studi di diagnostica per immagini, dialisi peritoneale o un
intervento chirurgico.
La paracentesi è considerata anche una procedura diagnostica in quanto un campione di liquido ascitico può essere
inviato al laboratorio di analisi per la conta delle cellule, la misura del contenuto di albumina e di proteine totali,
gli esami colturali e altri test diagnostici.
Questa tecnica, associata all’infusione endovenosa di preparazioni di albumina povere di sali o di altri colloidi, è
diventata un trattamento standard che determina effetti immediati per il paziente.
La somministrazione di albumina permette di correggere la riduzione del volume di sangue arterioso, diminuendo
in questo modo l’incidenza di iponatriemia e delle disfunzioni renali ad essa associate.
È bene sottolineare come la paracentesi a scopo terapeutico determina una rimozione del liquido che è solo
temporanea: l’ascite si riforma rapidamente e sono necessari ripetuti interventi.
La paracentesi, infine, può essere praticata sotto guida ecografica: tale metodica è particolarmente indicata per le
persone ad alto rischio di sanguinamento (a causa di alterazioni della coagulazione) o per quei soggetti che in
precedenza hanno subito interventi di chirurgia addominale che potrebbero aver dato luogo alla formazione di
aderenze.
Con drenaggio pleurico si intende l'incisione della parete toracica e la successiva introduzione percutanea di un
tubo di drenaggio nello spazio pleurico. Si tratta di una procedura che richiede l'utilizzo di un presidio atto ad
eliminare liquidi generalmente patologici o patogeni
Nel campo della chirurgia toracica, il drenaggio pleurico è utile alla rimozione di qualsiasi accumulo di
materiale biologico che di fatto impedisce meccanicamente l'espansione polmonare ed il corretto funzionamento
fisiologico dei polmoni.
Il grado pressorio negativo all'interno della cavità pleurica, infatti, permette l'espansione polmonare impedendone
il collasso. Le condizioni cliniche per le quali si rende necessario il posizionamento del drenaggio
toracico sono:
● pneumotorace dovuto alla presenza di fluidi nello spazio pleurico;
● accumulo di sangue nello spazio pleurico (emotorace);
● versamento pleurico;
● empiema pleurico a raccolta purulenta causata da flora batterica;
● controllo della cavità dopo intervento in chirurgia toracica;
● necessità di ripristino della pressione negativa intrapleurica.
Le principali complicanze
Le complicanze principali nell'assistenza infermieristica a persona con drenaggio pleurico sono di differente
natura. Tra esse troviamo, ad esempio:
● malposizionamento del drenaggio;
● malfunzionamento per occlusione meccanica da coaguli, fibrina, etc.;
● dolore durante le fasi di espansione toracica;
● enfisema sottocutaneo;
● emorragia;
● infezione;
● lesione del parenchima polmonare;
● lesione del diaframma;
● lesione vascolare o cardiaca;
● edema polmonare.
28)Compressione pneumatica
(prevenzione della trombosi venosa profonda)
La compressione pneumatica intermittente (CPI) è un metodo sicuro ed efficace per la prevenzione del
tromboembolismo venoso (TEV).
Può essere usata da sola o in combinazione con altri metodi di profilassi. Inoltre, per il 19% dei pazienti
ospedalizzati ad alto rischio di emorragia e per i quali la terapia anticoagulante può essere controindicata (1), la
CPI rappresenta una soluzione ideale.
La compressione pneumatica intermittente (CPI) viene applicata mediante tuttori ad altezza polpaccio, ad altezza
coscia o che coprono il piede. Questi tutori avvolgenti monopaziente vengono gonfiati periodicamente da una
pompa pneumatica, che applica all'arto una delicata pressione intermittente.
A differenza dei metodi farmacologici, la compressione pneumatica intermittente (CPI) mitiga due dei fattori di
rischio associati all'insorgenza del tromboembolismo venoso (TEV): stasi venosa e ipercoagulabilità.
La CPI non solo aumenta la circolazione nell'arto, ma provoca anche un effetto antitrombotico e fibrinolitico
misurabile (2). Queste risposte fisiche e biochimiche sono simili a quelle osservate durante la compressione dei
vasi sanguigni all'interno dei muscoli del polpaccio e del plesso plantare (piede) durante attività come camminare;
è particolarmente utile nel trattamento di pazienti per i quali la mobilizzazione precoce non è possibile.