Letteratura Italiana Appunti 3

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LETTERATURA ITALIANA

Ariel Giuliano

Programma per 9 cfu:


Conoscenza degli argomenti trattati a lezione (parti A, B e C)
Per le parti A e B lo studente può scegliere quale manuale di storia della letteratura
italiana utilizzare. A puro titolo di esempio si segnalano:
- Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Einaudi (oppure altri manuali
dello stesso autore, come Storia della letteratura italiana, Mondadori Università);
- Giancarlo Alfano, Paola Italia, Emilio Russo, Franco Tomasi, Letteratura italiana.
Manuale per studi universitari, Mondadori Università;
- Letteratura italiana, a cura di Andrea Battistini, il Mulino;
- Hermann Grosser, Il canone letterario, Principato;
- Claudio Marazzini, Simone Fornara, Dove 'l sì suona, Loescher;
- Claudio Giunta, Cuori intelligenti, DeAgostini-Garzanti;
- Corrado Bologna, Rosa fresca aulentissima, Loescher.

I testi da preparare e che verranno esaminati a lezione saranno raccolti in una dispensa
disponibile presso la libreria Cortina. Alla fine delle lezioni delle parti A e B, sul sito
del corso nella piattaforma ARIEL verrà fornito un elenco dettagliato degli argomenti
e dei testi che saranno oggetto della prova d'esame.
Per la parte C lo studente dovrà utilizzare e preparare:
- Tutti i testi e tutti gli apparati compresi in Gian Mario Anselmi - Nicola Bonazzi,
Niccolò Machiavelli, Mondadori Università, 250 pp. (testo disponibile anche in
formato digitale);
- eventuali altri testi delle opere di Machiavelli che verranno spiegati a lezione e che
verranno messi a disposizione;
- gli appunti delle lezioni;
- i seguenti capitoli e le seguenti pagine in Machiavelli, a cura di Emanuele Cutinelli-
Rendina e Raffaele Ruggiero, Carocci: cap. "Tra Firenze e l'Europa: i tempi e la vita di
Niccolò Machiavelli", pp. 17-43; cap. 1, "Attività diplomatica e scritti politici fino al
1512", pp. 47-69; cap. 7, "Lingua e stile", pp. 185-201; cap. 9, "Umori" e "tumulti",
pp. 225-243; cap. 10, "Machiavelli e la questione della guerra", pp. 245-264; cap. 11,
"La religione", pp. 265-283.

Lezione di Presentazione (1/03/2021)

- L’esame per 9 cfu sarà scritto + orale


- No lezione l’1,2, 5 26, 29 e 30 aprile
- Fine lezioni 24 maggio (o 4 giugno)
Ricevimento: mercoledì dalle 9 alle 12 (dal 10/3) su Teams. Si accede tramite il codice
2s0rxpr e ci si deve prenotare mediante mail al docente.

Contenuti del corso:


Parte A e B: storia della letteratura italiana dal ‘200 al primo ‘800 (fino a Manzoni).
Nozioni fondamentali della storia della nostra letteratura, attraverso correnti principali,
autori più significativi, capolavori. Competenze di base per la letteratura e storia.
Connessione tra letteratura e storia, movimenti di pensiero, altri fenomeni culturali.
Parte C: parte monografica su Macchiavelli. La parabola biografica di Macchiavelli e
la sua esperienza politica. L’opera di Macchiavelli come risposta alla crisi italiana
all’inizio del 1500. La riflessione politica, storica e antropologica di Macchiavelli. Le
componenti letterarie nell’opera di Macchiavelli.

Come sarà l’esame? L’esame è in parte scritto e in parte orale:


- Parte scritta (Parti A+B): Una domanda su un argomento di storia letteraria (es:
mi parli della scuola siciliana ecc.), lo studente deve articolare un discorso
preciso e articolato con le coordinate esatte riguardo l’opera. Una seconda
domanda con riconoscimento, parafrasi e commento di un testo sulla parte su cui
non è stato chiesto l’argomento di storia letteraria.
- Orale (Parte C)
E’ probabile però che entrambe le parti saranno orali e svolte tramite teams, a causa
della pandemia.
Ci sono due possibilità per quanto riguarda l’esame se fatto oralmente in entrambe le
parti:
- Dividere l’esame portando solo le parti A e B negli appelli previsti per lo scritto
e la parte C in uno dei successivi appelli previsti per l’orale della stessa sessione.
Ci si deve iscrivere ad entrambi gli esami nello stesso momento (tipo civiltà e
lingua inglese).
- Portare l’intero esame in uno degli appelli previsti per l’orale (sconsigliato).

Le peculiarità della letteratura italiana che studieremo sono:


- la mancanza di unità politica, poiché tratteremo la letteratura prima dell’Unità
nazionale del 1861: “Geografia e storia della letteratura italiana” (secondo il
titolo di un famoso di Carlo Dionisotti, 1951). Dionisotti scrive questo saggio
dopo il crollo del fascismo, il che è significativo, poiché è convinto che per
fare/studiare letteratura italiana bisogna tener conto del fatto che fino al 1861
non esiste una nazione unita, e che si deve quindi tener conto delle differenze
geografiche all’interno del nostro paese e della mancanza di una capitale da cui
si dirama in maniera unitaria e uniforme la cultura; come sappiamo infatti l’Italia
ebbe più centri da cui si diramarono diverse culture, così come si ebbero diverse
lingue.
- La letteratura italiana come elemento fondante della nostra identità: la letteratura
ha avuto un ruolo fondamentale nella nascita e nello sviluppo di un’identità
nazionale e culturale. Abbiamo infatti gli esempi di Dante (Inferno XXXIII 80)
in cui si parla di lingua; e di Petrarca (Canzoniere 146) in cui la definisce “Bel
paese). Italia è una realtà già ben presente in Virgilio. Gli autori della nostra
letteratura hanno esercitato una funzione di riempimento di questa concezione
geografica di Italia con aggiunte culturali. Carducci infatti disse, rispondendo a
Metternich, il quale aveva detto che l’Italia era una mera espressione geografica,
che l’Italia era un’espressione letteraria, una tradizione poetica. Lo studioso
Romano Luperini inoltre dice che la letteratura italiana ha prodotto e suscitato
un sentimento d’identità nazionale.

LEZIONE 1 (04/4/21)

LA SCUOLA POETICA SICILIANA


La letteratura italiana ha due peculiarità rispetto alle altre, e le spiega Luigi Surdich in
Letteratura Italiana: “Un fenomeno singolare caratterizza, nel quadro europeo, le
origini della letteratura italiana: il ritardo del suo manifestarsi rispetto alle altre aree
culturali d’Europa, e dall’altra il rapido cammino che conduce alla presenza di figure
di letterati di prima grandezza: Dante, Petrarca e Boccaccio (le “tre corone”)”. Quindi
essa ha uno sviluppo tardo ma un rapidissimo cammino e sviluppo successivo.
Se noi volessimo dar conto in maniera dettagliata della letteratura del ‘200 dovremmo
usare molto tempo. Dobbiamo quindi riassumere e partire dalla nascita della poesia
volgare:
- Dalla metà del XII secolo: poesia didattica nell’Italia settentrionale
- Fine XII-inizio XIII secolo: ritmi: testi di argomento religioso con finalità
principalmente didattiche, soprattutto dell’Italia Mediana
- Nello stesso periodo: prime testimonianze di una poesia amorosa (es “Carta
ravennate”)
- XIII secolo: poesia religiosa nell’Italia centrale
Quindi quando parliamo di Scuola poetica siciliana dobbiamo fare una precisazione,
ovvero perché parliamo di inizio della letteratura italiana se abbiamo appena visto che
ci sono fenomeni letterari precedenti?
Perché la scuola siciliana ha queste peculiarità:
- I poeti della scuola siciliana non sono i primi poeti della letteratura italiana, ma
la loro produzione segna la nascita di una tradizione poetica italiana.
- Fanno parte della scuola poeti di varia provenienza che in gran parte sono
funzionari della corte itinerante di Federico II. Corte itinerante perché Federico
II ha la difficoltà di affermare il suo potere nei suoi possedimenti, e quindi deve
spostarsi molto per sottomettere i rivoltosi.
- Federico II è autore di alcuni testi; secondo una parte degli studiosi (come
Roberto Antonelli, il quale ha posto in risalto che Federico II mirava a fare della
sua corte un centro di prestigio culturale in contrapposizione a quello del papato)
è l’iniziatore o il promotore della scuola italiana.
Il progetto di Federico II
Questa poesia della scuola siciliana è in volgare ed è incentrata sul tema dell’amore,
ma un amore non religioso o spirituale, ma un amore disincarnato e astratto, un amore
quindi laico, tra un uomo e una donna. L’amore si accampa subito come oggetto
privilegiato della poesia perché è un’esperienza che riguarda tutti gli uomini,
prettamente umana. La produzione poetica siciliana è quindi un progetto culturale
alternativo a quello della Chiesa.
Cronologia
Gli inizi della poesia della scuola siciliana vanno collocati probabilmente negli anni
Venti del Duecento, <<anche in ragione del fatto che Federico, dopo l’incoronazione
imperiale nel 1220, soggiornò principalmente e in maniera più o meno continuativa in
Sicilia e nell’Italia meridionale solo dal 1223 al 1232. Al 1228 circa risalirebbe
Giammai non mi conforto di Rinaldo d’Acquino>>.
Un tempo la datazione della poetica siciliana negli anni Trenta si fa risalire all’incontro
in Veneto tra Federico e i fratelli da Romano, i quali gli avrebbero consegnato un
codice trobadorico pieno quindi di testi dei trovatori, da cui i funzionari-poeti di
Federico avrebbero attinto per la grammatica di una nuova poesia → questa idea è oggi
ormai abbandonata perché priva di prove e per la presenza di teorie più verosimili.
Rapporto con la poesia occitanica
I poeti della scuola siciliana hanno molti debiti con i trovatori occitani:
- Nel Nord Italia la lingua della poesia lirica è il provenzale, o meglio la lingua
d’oc, usata da trovatori giunti dal sud della Francia sia da poeti italiani (es.
Sordello da Goito)
- La scuola poetica siciliana rifiuta la lingua d’oc, lingua internazionale della
poesia lirica, per fondare una propria autonoma tradizione, che però prende le
mosse da quella trobadorica.
I poeti della scuola siciliana utilizzano quindi una lingua nuova, raccogliendo però
l’eredità della lingua provenzale (lingua d’oc). E’ molto interessante il caso del testo
“Madonna, dir lo voglio”, di Giacomo da Lentini, maggior esponente della scuola
siciliana.
Madonna, dir lo voglio
Como l’amor m’à priso
Inver’ lo grande orgoglio
Che voi, bella, mostrate, e no m’aita
Oi lasso, lo meo core,
che ‘n tante pene è miso
che vive quando more
per bene amare, e teneselo a vita! (vv. 1-8) (Vaticano latino 3793)

I testi della scuola poetica siciliana ci sono stati tramandati in manoscritti, copiati
sempre a mano. I testi della scuola poetica siciliana ci sono trasmessi in tre grandi
manoscritti di fine ‘200: sono manoscritti antologici, ovvero nei quali sono stati raccolti
testi di doversi autori, che non sappiamo chi abbia scritto → il più importante è il
Vaticano latino 3793, una raccolta di quasi 1000 testi, che costituisce quasi un primo
tentativo di sistemazione storiografica e il primo testo è proprio quello di Giacomo da
Lentini, ma perché? Perché essa è una traduzione libera di un trovatore provenzale; i
poeti della scuola siciliana iniziano quindi rielaborando gli scritti della tradizione
provenzale. Si appropriano di una tradizione poetica altrui, assimilandola e partendo
per creare una propria tradizione autonoma. Ciò ci comunica anche un aspetto
importante di come funziona la letteratura, la quale è spesso fatta dal legame tra testi e
tra tradizioni letterarie diverse. La letteratura italiana nasce quindi per assimilazione.
Rapporto con la poesia occitanica
- L’eredità della poesia occitanica (o trobadorica) è fondamentale; da lì deriva
l’insieme di motivi e il sistema di valori che si riassumono nel così detto “amor
cortese”, espressione coniata da in filologo francese che vuole mettere in luce
l’importanza dell’amore nella società e che risponde a un determinato codice di
comportamento. L’amor cortese è proprio dei nobili che si distinguono dalle
classi sociali sottostanti, codificando dei valori che li distinguono. L’amore,
secondo questa codificazione, è un amore che si svolge al di fuori del
matrimonio, un amore di un cavaliere per una dama sposata, cui si pone al
servizio, sperando di ottenere una ricompensa, che solitamente è molto limitata
all’appagamento carnale. Il cavaliere vive di una tensione che non trova questo
appagamento e questo amore è quindi fine a se stesso.
- I poeti della scuola siciliana restringono ulteriormente il campo rispetto ai
trovatori: la loro poesia è pressoché priva di riferimenti alla realtà e l’amore è
spogliato di elementi contingenti e per così dire assolutizzato. La scuola poetica
siciliana restringe sostanzialmente al tema amoroso: spariscono i motivi politici
e morali che caratterizzavano la lirica occitanica, poiché l’uso della poesia per
parlare di politica ritornerà nella Toscana del ‘200, nel mondo dei Comuni e
delle lotte di fazione.
- Altro elemento fondamentale è il cosiddetto divorzio tra musica e poesia, invece
legati nella produzione trobadorica, in cui il poeta era anche un musico. Nella
poesia siciliana la poesia deve essere solo letta, come strumento di
approfondimento dell’interiorità.
L’amor cortese
- Ha luogo al di fuori del matrimonio
- Rapporto di sudditanza (in termini feudali) dell’amante all’amata, di rango
sociale superiore e fatta oggetto di lode per la sua bellezza e le sue qualità
- Processo di raffinamento (fin’amors) attraverso la sofferenza: desiderio che non
può essere soddisfatto; la ricompensa consiste eventualmente nell’accettazione
del servizio da parte della donna e si esprime in uno sguardo gentile, un regalo,
un bacio.
- Necessità del celar: maldicenti avversari dell’amante

La lingua dei Siciliani


- Uso di un siciliano “illustre”, con provenzalismi e latinismi
- Toscanizzazione da parte dei copisti
- Sopravvivenza di poche testimonianze nella veste linguistica originaria: la più
famosa è “Pir meu cori alligrari” di Stefano Protonotaro, tramandata nel
Cinquecento da G.M. Barbieri (e riscoperta nel ‘700)
I poeti Siciliani usano un siciliano illustre quindi, senza i tratti locali del luogo, anche
perché dobbiamo ricordare che la corte di Federico II era itinerante.
Pir meu cori allegrari
Ki multi longiamenti
Senza alligranza e ioi d’amuri è statu,
mi riturno in cantari,
ca forsi levimenti
la dimuranza turniria in usatu
di lu troppu taciri;
e quand’u l’omu à rasuni di diri,
ben di’cantari e mustrari alligranza,
ca senza simustraza
ioi siria sempri di pocu valuri;
dunca ben de’ cantar onni amaduri. (vv. 1-12)

LEZIONE 2 (05/03/2021)

Nella lezione di ieri ci eravamo fermati leggendo il Pir meu cori allegrari, uno dei
pochi testi che possediamo nella lingua originale usata dalla Scuola poetica siciliana.
Esso è un esempio di come la lingua fosse diversa rispetto alla lingua letteraria
derivante dal toscano.
Perché il siciliano?
<<Non è facile rispondere, tanto più se si considera che Federico II, trascorsi a Palermo
gli anni della fanciullezza, … non tornò quasi mai nell’isola. Tra le varie lingua che
egli padroneggiava, parlava il volgare del sì con inflessione siciliana? E’ probabile, ma
su questa base non si può costruire molto; di più vale la constatazione che è siciliano
l’iniziatore della lirica sveva, Giacomo da Lentini >> (Francesco Bruni).
La scelta della lingua siciliana, e la successiva toscanizzazione da parte dei copisti, ha
delle conseguenze importanti: alcuni tratti che derivano dalla lingua siciliana si
insediano nella lingua letteraria italiana; uno in particolare, ovvero la rima siciliana.
La rima siciliana
La rima siciliana è un fenomeno che deriva dalla differenza tra il sistema vocalistico
del siciliano e quello del toscano.

Naturalmente il siciliano, come il toscano, che noi oggi vediamo come dialetti, erano
in realtà lingue che si sviluppano autonomamente dalla stessa base, il latino. Si
sviluppano autonomamente in maniera diversa ovviamente.
In siciliano mancano, tra le vocali toniche, le E chiuse e le O chiuse. Questo ha degli
effetti nel momento in cui poi c’è il passaggio alla lingua toscana (toscanizzazione), la
quale adatta queste vocali al proprio linguaggio.
La rima normale è definita in tale modo: “L’identità della parte finale di due parole, a
partire dalla vocale tonica compresa”. (Pietro G.Beltrami); quindi avere : vedere;
amore : dolore
La rima siciliana invece: rima di e chiusa con i, e di o chiusa con u, originata dalla
toscanizzazione dei testi siciliani.
Una rima perfetta in siciliano diventa imperfetta in toscano: questa imperfezione viene
poi ammessa nella poesia italiana
Esempio tratto da Pir meu cori allegrari:
- Siciliano taciri : diri > toscano tacere : dire
- Siciliano usu : amurusu > toscano uso : amoroso
Questa rima siciliana diventa normale nella nostra tradizione poetica, ed è quindi un
lascito involontario della scuola siciliana.
C’è invece un altro lascito molto importante, che non si limita solo alla letteratura
italiana, ma in tutte le letterature occidentali: il sonetto.

Il sonetto
I siciliani, e in particolare il capo scuola Giacomo da Lentini, hanno inventato una
forma poetica che avuto lunghissimo corso nella storia della letteratura: il sonetto.
Il sonetto è una forma molto compatta della poesia: è una forma poetica di 14
endecasillabi, composta da due quartine (su due rime: A B) e da due terzine (su due o
tre rime: C D / C D E). Il poeta lavora su questa forma breve per creare un dinamismo
all’interno del testo stesso.
Secondo l’ipotesi più accreditata il sonetto è derivato da una stanza, cioè da una strofa,
isolata di canzone: Giacomo da Lentini avrebbe concepito il sonetto sul modello della
cosiddetta cobla esparsa, usata dai trovatori per intessere scambi poetici. Lo scambio
tra poeti è una dimensione essenziale per comprendere la poesia di quel momento.
Vediamo un esempio:
DISPENSA (PP. 7 a 10)
Questo scambio di sonetti (tenzone) tra questi tre rappresentanti della scuola poetica
siciliana (Iacopo Mostacci, Pier della Vigna e Giacomo da Lentini) è utile per capire
la poesia di quel momento: i tre poeti dibattono sul “che cos’è l’amore?”. Discutere
di cosa sia l’amore vuol dire innanzi tutto definire un qualcosa che costituisce
un’esperienza individuale che è prettamente umana, di tutti gli uomini, anche se
naturalmente il vero amore, l’amore più puro, è visto come un’esperienza che non è di
tutti.
La discussione dei tre poeti è una discussione di natura filosofica. Ci si domanda se
l’amore è sostanza o accidente.
Amore: sostanza o accidente?
- Sostanza = ente che esiste per sé, individuo che può non essere fisico.
- Accidente = <<ciò che appartiene a una cosa e si può dire vero di essa, ma non
necessariamente né per lo più>> (Aristotele). Un fenomeno che si verifica in
determinate circostanze.
Questi tre testi ci fanno capire cosa sia la poesia di quel tempo: è una poesia filosofica,
non frivola; non si parla di amore nei termini prettamente soggettivi a cui siamo
abituati, ma si cerca invece di definirlo in termini oggettivi e filosofici, secondo quella
che è la scienza dell’epoca.
La proposta di Iacopo Mostacci
- Il poeta sottopone un dubbio (vv. 1-4) facendone <<sentenz[i]atore>> (v. 14),
cioè giudice, il destinatario (o i destinatari)
- Il dubbio è questo: si dice che amore eserciti un potere e costringa i cuori ad
amare, ma Iacopo non è d’accordo, perché amore non ha alcuna consistenza
fisica; al massimo si tratta di “un’amorositate”, un’affezione dell’animo che
nasce dal piacere prodotto dalla bellezza fisica di una persona, e a ciò si dà
comunemente nome di amore.
La risposta di Pier della Vigna
Alla tesi di Iacopo Mostacci risponde una delle figure più importanti della scuola
poetica siciliana, Pier della Vigna, il consigliere fidato di Federico II. Accusato poi di
tradimento si toglie la vita in carcere per la vergogna dell’accusa (verrà citato da
Dante nell’Inferno)
- Molti credono che Amore non sia nulla semplicemente perché è invisibile e non
si può toccare, ma in realtà dato il potere che esercita dentro i cuori degli esseri
umani, merita considerazione molto superiore a quella di cui gode un essere
visibile.
- La forza di Amore è simile alla calamita: noi non vediamo come attiri il ferro,
però lo fa; il potere che amore esercita induce a credere alla sua esistenza e
rende ragione del fatto che riceva lo stesso credito dagli esseri umani.
Pier della Vigna si dice quindi convinto dell’esistenza di Amore come sostanza
autonoma.
La risposta di Giacomo da Lentini
A Pier della Vigna risponde Giacomo da Lentini col suo sonetto “Amor è uno desio
che ven da core”.
Subito Giacomo da Lentini dà una definizione di amore al primissimo verso, come se
non ci fossero dubbi. → L’amore non è una sostanza, ma un accidente che si realizza
in determinate condizioni. Quali? Amore, con parole che possono essere viste quasi
come una traduzione del trattato “De amore” di Andrea Cappellano, un famosissimo
trattato medievale nel quale si trova la casistica dell’amor cortese; Andrea Cappellano
dice che. “L’amore è una passione naturale che procede per visione e per incessante
pensiero di persona dell’altro sesso, per cui si desidera soprattutto godere
dell’amplesso dell’altro, e nell’amplesso realizzare concordemente tutti i precetti
d’amore”. E ciò è lo stesso che Giacomo da Lentini dice nel suo sonetto (es. v.7).
Quello che scrive Giacomo da Lentini è una vera e propria fenomenologia
dell’innamoramento, che avviene in determinate circostanze e che inizia dagli occhi,
dalla visione e finisce con l’immagine che si insedia poi nel cuore.
E’ molto importante anche l’immagine interiore, che si insedia nel cuore e produce i
suoi effetti indipendentemente dalla visione diretta e concreta della propria amata.
L’immagine della donna amata è qualcosa che diventa autonomo rispetto alla persona
concreta della donna amata.
Lo schema metrico del sonetto “Amor è un desio ..”
ABABABABACDACD
Vi è una particolarità poiché una rima delle quartine si ripresenta nelle terzine.
ASPETTI FONDAMENTALI DI CARATTERE STORICO
La Scuola Poetica Siciliana si colloca, ovviamente, in Sicilia, alla corte di Federico II,
imperatore del Sacro romano impero dal 1220 al 1250, entro un ambiente, la Magna
Curia, negli anni venti del 1200; questa datazione è dovuta al fatto che Federico II
soggiornò in maniera più o meno continuativa in Sicilia solo tra il 1223 e 1232.
La poesia della scuola siciliana è in volgare ed incentrata sul tema dell’amore, un amore
disincarnato e astratto, quindi laico. Per questo la produzione poetica siciliana è quindi
un progetto culturale alternativo a quello della Chiesa: Federico II mirava infatti a della
sua corte un centro di prestigio culturale in contrapposizione a quello del papato.
Questo progetto culturale alternativo, propugnato dall’imperatore, ha come
protagonisti i funzionari della sua corte itinerante: giuristi, notai, magistrati, burocrati
ecc. e la loro poesia si configura quindi come un distacco dalle occupazioni civili,
amministrative e giuridico: prova di ciò è che nei testi dei poeti siciliani non vi sono
implicazioni politiche, encomiastiche o di polemica e contestazione.
I TEMI E IL RAPPORTO CON LA POESIA PROVENZALE: EREDITA’ E
DIFFERENZE
L’eredità della poesia occitanica (o trobadorica) è fondamentale; da lì deriva l’insieme
di motivi e il sistema di valori che si riassumono nel così detto “amor cortese”,
espressione coniata da in filologo francese che vuole mettere in luce l’importanza
dell’amore nella società e che risponde a un determinato codice di comportamento.
L’amor cortese è proprio dei nobili che si distinguono dalle classi sociali sottostanti,
codificando dei valori che li distinguono. L’amore, secondo questa codificazione, è un
amore che si svolge al di fuori del matrimonio, un amore di un cavaliere per una dama
sposata, cui si pone al servizio, sperando di ottenere una ricompensa, che solitamente
è molto limitata all’appagamento carnale. Il cavaliere vive di una tensione che non
trova questo appagamento e questo amore è quindi fine a se stesso.
Una scelta monotematica caratterizza la poesia dei siciliani. Argomento delle loro
poesie è solo e sempre l’amore e il modello di riferimento è individuato nel decoro e
nell’altezza di significato dell’amor cortese. L’amor cortese ha determinate
caratteristiche:
- L’omaggio dell’amante all’amata
- La subordinazione del poeta-vassallo all’amata-signora
- La segretezza dell’amore
- Le figure ostili e malevoli dei lusingatori e dei malparlanti che pongono ostacoli
alla vicenda amorosa
- Processo di raffinamento (fin’amors) attraverso la sofferenza: desiderio che non
può essere soddisfatto; la ricompensa consiste eventualmente nell’accettazione
del servizio da parte della donna e si esprime in uno sguardo gentile, un regalo
I poeti della scuola siciliana restringono ulteriormente il campo rispetto ai trovatori: la
loro poesia è pressoché priva di riferimenti alla realtà e l’amore è spogliato di elementi
contingenti e per così dire assolutizzato. Altro elemento fondamentale è il cosiddetto
divorzio tra musica e poesia, invece legati nella produzione trobadorica, in cui il poeta
era anche un musico. Nella poesia siciliana la poesia deve essere solo letta, come
strumento di approfondimento dell’interiorità.
Il recupero dei topoi dell’amor cortese non preclude l’affermarsi di alcune istanze
originali. Rispetto ai provenzali, sei percepisce nei poeti siciliani un interesse di natura
psicologica che scruta i riflessi interiori e spirituali dell’esperienza d’amore con
particolare attenzione alle zone oscure o sentimentalmente delicate della visione e della
rimembranza: questo produce delle significative conseguenze:
1- Al centro dell’interesse viene a collocarsi non tanto la figura femminile, quanto
l’esplorazione del desiderio; si verifica quindi la sostituzione nel ruolo di
protagonista della donna con Amore, oggettivato e personificato
2- L’attenzione predominante alla fenomenologia dell’amore attiva un repertorio
di immagini più ricco rispetto a quello fissato dai provenzali: frequente è il
ricorso a elementi naturalistici, attinti al mondo dei lapidari (“calamita”,
“diamante”, “zafiro”) e dei bestiari (“tigra”, “salamandra” ecc.).
Il repertorio tematico, limitato nei contenuti, spinge il poeta a una concentrazione nel
lavoro formale.
Altro elemento fondamentale che distingue i siciliani dai trovatori è il cosiddetto
divorzio tra musica e poesia, invece legati nella produzione trobadorica, in cui il poeta
era anche un musico. Nella poesia siciliana la poesia deve essere solo letta, come
strumento di approfondimento dell’interiorità.
GLI ESPONENTI PIU’ IMPORTANTI E LA FIGURA DI GIACOMO DA
LENTINI
Ecco un elenco di principali poeti della Scuola Siciliana e alcune delle loro opere più
importanti:
- Federico II, autore di alcune liriche e anche di un trattatello, il De arte venandi
cum avibus, che ha per argomento la caccia a falcone
- Re Enzo, figlio di Federico II
- Pier delle Vigne
- Giacomo da Lentini
- Iacopo Mostacci
- Stefano Protonotaro
- Guido delle Colonne, giudice messinese che sarà apprezzato da Dante nel suo
De vulgari eloquentia
- Rinaldo d’acquino, che scrive Già mai non mi conforto, che dà voce a una
donna che si lamenta per la parenza dell’innamorato per la crociata
- Giacomo Pugliese, che si affida a una misura cantabile nei versi di delicata
sensibilità de La dolce terra piangente
- Cielo d’Alcamo, il quale scrive Rosa fresca aulentissima, composto tra il 1231
e il 1250; nelle strofe del componimento trova animazione un colorito battibecco
tra un corteggiatore che tenta di piegare al suo desiderio una contadina, la quale
infine cede.
Il maggiore tra i siciliani è senz’altro Giacomo da Lentini, detto il Notaro, il cui
canzoniere comprende una quarantina di componimenti. La sperimentazione formale
si associa in lui a una volontà di chiarificazione della fenomenologia d’amore, come si
legge in un sonetto sulla natura di amore appartenente a una tenzone con Iacopo
Mostacci e Pier della Vigna. E Giacomo da Lentini, nel sonetto Amor è uno desio che
ven da core, dà una definizione di amore al primissimo verso, come se non ci fossero
dubbi. → L’amore non è una sostanza, ma un accidente che si realizza in determinate
condizioni. Quali? Amore, con parole che possono essere viste quasi come una
traduzione del trattato “De amore” di Andrea Cappellano, un famosissimo trattato
medievale nel quale si trova la casistica dell’amor cortese; Andrea Cappellano dice
che. “L’amore è una passione naturale che procede per visione e per incessante
pensiero di persona dell’altro sesso, per cui si desidera soprattutto godere dell’amplesso
dell’altro, e nell’amplesso realizzare concordemente tutti i precetti d’amore”. E ciò è
lo stesso che Giacomo da Lentini dice nel suo sonetto (es. v.7).
Quello che scrive Giacomo da Lentini è una vera e propria fenomenologia
dell’innamoramento, che avviene in determinate circostanze e che inizia dagli occhi,
dalla visione e finisce con l’immagine che si insedia poi nel cuore.
E’ molto importante anche l’immagine interiore, che si insedia nel cuore e produce i
suoi effetti indipendentemente dalla visione diretta e concreta della propria amata.
L’immagine della donna amata è qualcosa che diventa autonomo rispetto alla persona
concreta della donna amata.
L’INVENZIONE DEL SONETTO
I siciliani, e in particolare il capo scuola Giacomo da Lentini, hanno inventato una
forma poetica che avuto lunghissimo corso nella storia della letteratura: il sonetto.
Il sonetto è una forma molto compatta della poesia: è una forma poetica di 14
endecasillabi, composta da due quartine (su due rime: A B) e da due terzine (su due o
tre rime: C D / C D E). Il poeta lavora su questa forma breve per creare un dinamismo
all’interno del testo stesso.
Secondo l’ipotesi più accreditata il sonetto è derivato da una stanza, cioè da una strofa,
isolata di canzone: Giacomo da Lentini avrebbe concepito il sonetto sul modello della
cosiddetta cobla esparsa, usata dai trovatori per intessere scambi poetici. Lo scambio
tra poeti è una dimensione essenziale per comprendere la poesia di quel momento
Vediamo un esempio:
DISPENSA (PP. 7 a 10)
Questo scambio di sonetti (tenzone) tra questi tre rappresentanti della scuola poetica
siciliana (Iacopo Mostacci, Pier della Vigna e Giacomo da Lentini) è utile per capire
la poesia di quel momento: i tre poeti dibattono sul “che cos’è l’amore?”. Discutere
di cosa sia l’amore vuol dire innanzi tutto definire un qualcosa che costituisce
un’esperienza individuale che è prettamente umana, di tutti gli uomini, anche se
naturalmente il vero amore, l’amore più puro, è visto come un’esperienza che non è di
tutti.
La discussione dei tre poeti è una discussione di natura filosofica. Ci si domanda se
l’amore è sostanza o accidente.
Amore: sostanza o accidente?
- Sostanza = ente che esiste per sé, individuo che può non essere fisico.
- Accidente = <<ciò che appartiene a una cosa e si può dire vero di essa, ma non
necessariamente né per lo più>> (Aristotele). Un fenomeno che si verifica in
determinate circostanze.
Questi tre testi ci fanno capire cosa sia la poesia di quel tempo: è una poesia filosofica,
non frivola; non si parla di amore nei termini prettamente soggettivi a cui siamo
abituati, ma si cerca invece di definirlo in termini oggettivi e filosofici, secondo quella
che è la scienza dell’epoca.
La proposta di Iacopo Mostacci
- Il poeta sottopone un dubbio (vv. 1-4) facendone <<sentenz[i]atore>> (v. 14),
cioè giudice, il destinatario (o i destinatari)
- Il dubbio è questo: si dice che amore eserciti un potere e costringa i cuori ad
amare, ma Iacopo non è d’accordo, perché amore non ha alcuna consistenza
fisica; al massimo si tratta di “un’amorositate”, un’affezione dell’animo che
nasce dal piacere prodotto dalla bellezza fisica di una persona, e a ciò si dà
comunemente nome di amore.
La risposta di Pier della Vigna
Alla tesi di Iacopo Mostacci risponde una delle figure più importanti della scuola
poetica siciliana, Pier della Vigna, il consigliere fidato di Federico II. Accusato poi di
tradimento si toglie la vita in carcere per la vergogna dell’accusa (verrà citato da
Dante nell’Inferno)
- Molti credono che Amore non sia nulla semplicemente perché è invisibile e non
si può toccare, ma in realtà dato il potere che esercita dentro i cuori degli esseri
umani, merita considerazione molto superiore a quella di cui gode un essere
visibile.
- La forza di Amore è simile alla calamita: noi non vediamo come attiri il ferro,
però lo fa; il potere che amore esercita induce a credere alla sua esistenza e
rende ragione del fatto che riceva lo stesso credito dagli esseri umani.
Pier della Vigna si dice quindi convinto dell’esistenza di Amore come sostanza
autonoma.
La risposta di Giacomo da Lentini
A Pier della Vigna risponde Giacomo da Lentini col suo sonetto “Amor è uno desio
che ven da core”.
Subito Giacomo da Lentini dà una definizione di amore al primissimo verso, come se
non ci fossero dubbi. → L’amore non è una sostanza, ma un accidente che si realizza
in determinate condizioni. Quali? Amore, con parole che possono essere viste quasi
come una traduzione del trattato “De amore” di Andrea Cappellano, un famosissimo
trattato medievale nel quale si trova la casistica dell’amor cortese; Andrea Cappellano
dice che. “L’amore è una passione naturale che procede per visione e per incessante
pensiero di persona dell’altro sesso, per cui si desidera soprattutto godere
dell’amplesso dell’altro, e nell’amplesso realizzare concordemente tutti i precetti
d’amore”. E ciò è lo stesso che Giacomo da Lentini dice nel suo sonetto (es. v.7).
Quello che scrive Giacomo da Lentini è una vera e propria fenomenologia
dell’innamoramento, che avviene in determinate circostanze e che inizia dagli occhi,
dalla visione e finisce con l’immagine che si insedia poi nel cuore.
E’ molto importante anche l’immagine interiore, che si insedia nel cuore e produce i
suoi effetti indipendentemente dalla visione diretta e concreta della propria amata.
L’immagine della donna amata è qualcosa che diventa autonomo rispetto alla persona
concreta della donna amata.
Lo schema metrico del sonetto “Amor è un desio ..”
ABABABABACDACD
Vi è una particolarità poiché una rima delle quartine si ripresenta nelle terzine.
LA LINGUA DEI SICILIANI
E’ rilevante il determinarsi del linguaggio della poesia volgare. Il carattere elitario
dipende dalla convergenza di due fattori: dalla promozione del volgare a lingua
esclusiva della poesia e dalla deliberata intenzione di contrapporre alla poesia di
maggior prestigio, il provenzale, un’altra lingua alla quale i poeti della corte di
Federico II sono chiamati a far ricorso, indipendentemente dalla loro località di nascita.
Questa lingua è il volgare illustre.
Quindi:
- Uso di un siciliano “illustre”, con provenzalismi e latinismi
- Toscanizzazione da parte dei copisti
- Sopravvivenza di poche testimonianze nella veste linguistica originaria: la più
famosa è “Pir meu cori alligrari” di Stefano Protonotaro, tramandata nel
Cinquecento da G.M. Barbieri (e riscoperta nel ‘700)
I poeti Siciliani usano un siciliano illustre quindi, senza i tratti locali del luogo, anche
perché dobbiamo ricordare che la corte di Federico II era itinerante.
Perché il siciliano?
<<Non è facile rispondere, tanto più se si considera che Federico II, trascorsi a Palermo
gli anni della fanciullezza, … non tornò quasi mai nell’isola. Tra le varie lingua che
egli padroneggiava, parlava il volgare del sì con inflessione siciliana? E’ probabile, ma
su questa base non si può costruire molto; di più vale la constatazione che è siciliano
l’iniziatore della lirica sveva, Giacomo da Lentini >> (Francesco Bruni).
La scelta della lingua siciliana, e la successiva toscanizzazione da parte dei copisti, ha
delle conseguenze importanti: alcuni tratti che derivano dalla lingua siciliana si
insediano nella lingua letteraria italiana; uno in particolare, ovvero la rima siciliana.
La rima siciliana
La rima siciliana è un fenomeno che deriva dalla differenza tra il sistema vocalistico
del siciliano e quello del toscano.

Naturalmente il siciliano, come il toscano, che noi oggi vediamo come dialetti, erano
in realtà lingue che si sviluppano autonomamente dalla stessa base, il latino. Si
sviluppano autonomamente in maniera diversa ovviamente.
In siciliano mancano, tra le vocali toniche, le E chiuse e le O chiuse. Questo ha degli
effetti nel momento in cui poi c’è il passaggio alla lingua toscana (toscanizzazione), la
quale adatta queste vocali al proprio linguaggio.
La rima normale è definita in tale modo: “L’identità della parte finale di due parole, a
partire dalla vocale tonica compresa”. (Pietro G.Beltrami); quindi avere : vedere;
amore : dolore
La rima siciliana invece: rima di e chiusa con i, e di o chiusa con u, originata dalla
toscanizzazione dei testi siciliani.
Una rima perfetta in siciliano diventa imperfetta in toscano: questa imperfezione viene
poi ammessa nella poesia italiana
Esempio tratto da Pir meu cori allegrari:
- Siciliano taciri : diri > toscano tacere : dire
- Siciliano usu : amurusu > toscano uso : amoroso
Questa rima siciliana diventa normale nella nostra tradizione poetica, ed è quindi un
lascito involontario della scuola siciliana.
C’è invece un altro lascito molto importante, che non si limita solo alla letteratura
italiana, ma in tutte le letterature occidentali: il sonetto.

POETI <<SICULO-TOSCANI>>

“L’infelice etichetta <<Siculo-toscani>>, pur rappresentando una sorta di monstrum


terminologico, consente tuttavia di accomunare un variegato gruppo di rimatori,
considerati di transizione fra i Siciliani e gli Stilnovisti” (Luciano Rossi).
Dalla Sicilia alla Toscana: passaggio da uno Stato basato sul potere accentratore del
monarca alla realtà comunale: i poeti sono cittadini (spesso del ceto borghese e
mercantile) che partecipano in prima persona alle vicende della città-Stato; di
conseguenza la tematica non sarà più solo quella amorosa, ma anche quella politica e
sociale.
DISPENSA (P. 11)
Abbiamo qui il testo di Guittone d’Arezzo, il più importante poeta di un gruppo di poeti
toscani del ‘220 denominati <<Siculo-toscani>>.
Questo testo è la parte iniziale di una canzone di Guittone, che parla di un evento
epocale nel 1200, ovvero la battaglia di Montaperti (1260).
Dante, nel Purgatorio (XXIV) cita Guittone mettendo in bocca a Bonagiunta Orbaccini
la parola “dolce stil novo”, individuando un nodo di differenza tra la poesia di Dante e
gli autori precedenti e dice:

<<O frate, issa [=ora] vegg’io>>, diss’elli, <<il nodo che l’Notaro e Guittone e me
ritenne di qua dal dolce stil novo ch’io odo!>>.
Me: Bonagiunta Orbacciani da Lucca
Notaro: Giacomo da Lentini

Dante quindi fissa un prima e un dopo rispetto alla novità che la sua poesia rappresenta.
Avevamo parlato la volta scorsa del Vaticano Latino 3793, quella grande raccolta
miscellanea che offre una sorta di prima sistemazione storiografica della poesia delle
origini dalla Scuola siciliana in poi. Tuttavia esiste un altro manoscritto, il Laurenziano
Rediano 9, che è una raccolta miscellanea ma costruita intorno alla figura di Guittone.
Laurenziano Rediano 9
Questo codice è importante anche per il modo in cui è strutturato il corpus di Guittone:
- Epistole in prosa
- Canzoni (24) dopo la conversione (Frate Guittone), aperte da Ora parrà s’eo
saverò cantare
- Canzoni (24) prima della conversione (Guittone cortese)
- Sonetti (85) prima della conversione
- Sonetti (90) dopo la conversione
Il codice è un caso interessante, perché? Come abbiamo detto il Vaticano Latino 3793
contiene testi di tanti autori diversi, e lo stesso vale per il Laurenziano Rediano 9, ma
in cui viene dato un ruolo centrale a Guittone, il cui corpus poetico è organizzato in
maniera particolare (prima e dopo la conversione), il che ci fa pensare che potremmo
essere davanti a un libro organizzato dall’autore stesso.
Come avvenne la conversione?
Frate Guittone
Nel 1265 Guittone (all’incirca trentenne) si converte all’ordine dei cosiddetti “frati
gaudenti”, la confraternita laica dei Cavalieri della Beata Maria Vergine Gloriosa (<<
una pia confraternita votata a difendere la spiritualità militante di stampo francescano
e domenicano, ma dal carattere e dalle finalità smaccatamente politiche, a sostegno del
partito guelfo ed ecclesiastico nelle città dell’Italia centrale >> [Sandro Carocci]).
Il soprannome di “gaudenti” nasce dalla percezione diffusa della distanza tra regole e
comportamento da parte dei membri dell’ordine. Dante pone due frati gaudenti
(Catalano dei Malavolti e Loderingo degli Andalò) tra gli ipocriti (Inf.XXIII).
Guittone “idolo polemico” di Dante
Guittone è costantemente l’idolo polemico di Dante, il quale si scaglia a più riprese in
maniera esplicita (Purg. XXVI 124-26). L’accanita avversione dantesca nei confronti
del “maestro” aretino si spiega soprattutto col fatto che, per Alighieri, Guittone restò
un ingombrante modello da emulare, della cui influenza egli non riuscì mai a liberarsi
completamente. Dante cerca quindi di prendere le distanze dai poeti precedenti.
Ma quali sono i motivi principali di critica che Dante muove a Guittone?
Le accuse di Dante a Guittone
- Guittone tratta temi che esulano dall’amore (critica mossa nella giovanile Vita
nova di Dante)
- L’artificiosità di Guittone è fine a se stessa (critica mossa sempre nella Vita
nova)
- Il volgare di Guittone non è “illustre” ma municipale (critica mossa nel De
vulgari eloquentia di Dante)
Il volgare illustre, inventato da Dante, per essere tale deve avere le seguenti tre
caratteristiche:
- Essere aulico, cioè deve essere parlato nell’aula.
- Essere curiale, cioè tale da essere utilizzato in una curia di uomini di cultura.
- Essere cardinale, cioè essere il perno intorno a cui ruotano tutti i volgari italiani.
Guittone: testi di natura politica morale e religiosa
- 4 settembre 1260: battaglia di Montaperti: i ghibellini fiorentini, alleati con i
Senesi e Manfredi di Svevia (figlio naturale di Federico II) sconfiggono i guelfi
fiorentini, che vengono cacciati dalla città (nel 1266-1268 le vittorie di Carlo
d’Angiò a Benevento e Tagliacozzo segneranno un mutamento di scenario).
- Guittone d’Arezzo (guelfo) scrive la canzone Ahi lasso! Or è stagion de doler
tanto, in cui deplora l’accadimento, visto anche come una perdita della sovranità
da parte di Firenze.
La battaglia di Montaperti
- Si tratta di un evento che lascia un’impronta indelebile nella coscienza dei
fiorentini e non solo, e segna la letteratura poetica di quel tempo.
- Nella parte iniziale del Tesoretto (scritto a distanza di anni), Brunetto Latini
racconta di aver ricevuto notizia della disastrosa sconfitta della sua parte mentre
si trovava in Spagna: “Certo lo cor mi parte / Di cotanto dolore, / Pensando ’l
grand’onore, / E la ricca potenza, / Che suole aver Fiorenza / Quasi nel mondo
tutto. / Ond’io in tal corrutto / Pensando a capo chino, / Perdei il gran cammino,
/ E tenni a la traversa / D’una selva diversa.”
Questo testo di Brunetto Latini ci pone davanti ad un’altra forma poetica, ovvero la
“Canzone”, diversa dal sonetto perché esso è monostrofico, mentre la canzone è
formata tendenzialmente da più strofe.
La Canzone
- Forma poetica composta da stanze (strofe)
- Le stanze sono tutte di eguale misura e seguono lo stesso schema metrico
- Schema metrico: formula che definisce la misura dei versi e il loro rapporto di
rima
- Una stanza è composta da una fronte e una sirma (o coda): entrambe possono
essere diverse a loro volta
- Di solito abbiamo due “piedi” nella fronte e una sirma non divisa
- La Canzone di solito è chiusa da una stanza che spesso è più breve delle altre,
che si chiama “congedo” in cui il poeta si congeda e indica un destinatario ecc.

LEZIONE 3 (08/03/2021)

Torniamo alla dispensa

DISPENSA (P. 11)


Il testo di Guittone è una canzone politica scritta per la sconfitta dei guelfi nella
battaglia di Montaperti. Battaglia che Guittone vede come una catastrofe.
Parafrasi (su dispensa)
E’ un esempio di poesia politica che per certi versi possiamo accostare al Dante della
commedia, anche se il Dante giovane deplora Guittone per aver messo la politica nella
poesia.
Guittone: testi di natura politica; morale e religiosa
- Ora parrà s’eo saverò cantare: Guittone enuncia la propria decisione di
allontanarsi dall’amore (<<poi che del tutto Amor fuggh’e disvoglio>>) e di
dedicarsi a Dio.
- Gente noiosa e villana: contro i concittadini aretini, al momento del suo
autoesilio volontario (1260).
- Guittone scrive anche ballate di carattere religioso (laude).
Si diceva poi che l’altro aspetto della poesia di guittone che Dante critica in maniera
feroce è la sua artificiosità.
Artificiosità (‘trobar clus’) di Guittone
Nella poesia occitanica si riconoscono due linee fondamentali:
- Trobar leu: “lieve”: <<persegue un poetare chiaro, comprensibile, gradevole
all’ascolto>>
- Trobar clus: “chiuso”: caratterizzato da asprezze verbali e dalla ricerca del
virtuosismo oscuro ed enigmatico.
<<Il linguaggio poetico di Guittone>> è caratterizzato da <<una vasta gamma di
espedienti stilistici, adottati con virtuosismo magistrale, al limite estremo
dell’artificiosità retorica o dell’acrobazia espressiva: dalla figura etimologica, ai
bisticci di parole, alla replicatio, la ripetizione ossessiva di un lemma, anche con
variazioni equivoche di significato, al gioco vertiginoso e variabilissimo delle rime>>
(Vittorio Russo).
Un esempio
<<Deporto e gioia nel meo core apporta,
e mmi desporta al mal ch’aggio portato,
che de porto saisina aggio, ed aporta
ch’entr’a la porta ov’è for gie aportato>>
E’ nei confronti di questa artificiosità lessicale su cui si scaglia il giovane Dante.
Guittone municipale
Guittone viene più volte definito municipale nel suo volgare da Dante.
COORDINATE STORICO-GEOGRAFICHE ESSENZIALI
Nel 1250 muore Federico II e la crisi della casa di Svevia si esaurisce anche la funzione
culturale della Magna Curia e giunge rapidamente al tramonto la poesia in siciliano
illustre.
L’eredità dei poeti siciliani viene raccolta in Toscana, la regione che dopo la disfatta
ghibelline e il tramonto del progetto culturale e letterario di Federico II diventa il centro
egemone dell’attività poetica. La continuità in terra toscana della poesia siciliana è
comprovata dalle trascrizioni in codici toscani delle poesie dei siciliani, col
conseguente effetto di snaturamento del colorito linguistico originario, ed è confermata
da un’abbondante produzione di rime dei cosiddetti poeti “siculo-toscani”.
LE DIFFERENZE DI SFONDO SOCIALE E TEMATICHE RISPETTO AI
POETI DELLA SCUOLA SICILIANA
A Lucca incontriamo Inghilfredi, che si segnala per il suo trobar clus, e soprattutto
Bonagiunta Orbicciani, che si affida ad una poesia comprensibile, al trobar leu,
contraendo vistosi debiti con la poesia siciliani. L’elenco potrebbe continuare,
toccando Prato, Arezzo, Siena, Pisa e Pistoia. Ma al di là di una sequenza di nomi,
importanti sono il senso e le conseguenze di questo decentramento della poesia, prima
che il primato passi a Firenze.
Al posto di una monarchia centralizzata in cui i funzionari di corte si cimentano nella
poesia, abbiamo dei comuni in cui operano cittadini, fra i quali si annoverano anche
poeti, che tendono a non appartarsi nel loro esercizio formale, ma a partecipare alla
vita pubblica con i loro versi. Lo spazio di pertinenza della poesia si allarga e così
accanto all’amore cominciano a richiamare attenzione anche temi di natura etica e
politica: l’ver compreso come la poesia potesse farsi carico di responsabilità morali e
civili costituisce il tratto distintivo dei siculo-toscani, che li stacca dall’atteggiamento
elitario dei siciliani da una parte e degli stilnovisti dall’altra.
LA FIGURA DI GUITTONE D’AREZZO: ASPETTI PRINCIPALI E LINEE
DELLA SUA PRODUZIONE
La personalità di maggior spicco entro questa fase di rinnovamento della poesia è
quella di Guittone del Viva d’Arezzo, vissuto tre il 1235 circa e il 1294. Anno cruciale
della sua vita è il 1265, quando la conclusione di un lungo travaglio spirituale lo induce
a lasciare la moglie e i tre figli ancora in tenera età e ad aderire alla confraternita laica
dei cavalieri di Santa Maria, conosciuti come “frati gaudenti”. Dopo la conversione
Guittone abbandona la tematica amorosa, dedicandosi a componimenti di argomento
morale e religioso.
Nella lirica d’amore, Guittone si rivela estraneo alle potenzialità sublimanti del
fin’amor, cioè di quell’amore che, secondo l’etica cortese, migliorava e raffinava chi
ne facesse esperienza. Semmai gli fa ricorso alla poesia, anche di soggetto amoroso,
per scopi prevalentemente pratici e utilitaristici. Ne è dimostrazione un gruppo di 24
sonetti che vengono a costituire una specie di “manuale del libertino”, dal momento
che espongono una serie di istruzioni sull’arte della seduzione. Oppure la poesia
diventa per Guittone il campo di una insistita sperimentazione tecnica, che si risolve
nella ricerca degli artifici del trobar clu della poesia occitanica, ovvero caratterizzato
da asprezze verbali e dalla ricerca di virtuosismo oscuro ed enigmatico.
La sperimentazione formale non soffoca il maturare di una profonda crisi interiore e i
sintomi di quel risentimento morale che andrà a sfociare nella conversione si affacciano
in alcuni componimenti scritti tra il 1257 e il 1262, che tra pathos affettivo e sforzo
riflessivo si impegnano a chiarire gli ideali etico-politici dell’autore: al culmine di
questa fase si colloca la famosa canzone per la rotta dei guelfi fiorentini per la Battaglia
di Montaperti (1260), Ahi, lasso! Or è stagion de doler tanto, in cui l’infausta
circostanza diventa pretesto per una più ampia riflessione storica.
Centrale nella produzione di Guittone è la canzone Ora parrà s’eo saverò cantare, da
ritenersi come la canzone-manifesto della sua conversione, in cui il poeta annuncia il
programma della sua nuova poesia , decidendo di allontanarsi dall’amore e di dedicarsi
a Dio. Viene quindi abbandonato l’amore, perché è irrazionalità e follia e di
conseguenza è liquidata la poesia d’amore. L’avversione alla poesia e ai poeti d’amore
è sollecitata da un radicale ostracismo a uno dei canoni fondanti dell’amor cortese,
l’extraconiugalità dell’esperienza amorosa. La sua poesia diventa quindi poesia
dottrinaria, poesia morale e poesia della rettitudine.
Il corpus di Guittone:
- Epistole in prosa
- Canzoni (24) dopo la conversione (Frate Guittone), aperte da Ora parrà s’eo
saverò cantare
- Canzoni (24) prima della conversione (Guittone cortese)
- Sonetti (85) prima della conversione
- Sonetti (90) dopo la conversione
I componimenti di Guittone sono contenuti nel codice Laurenziano Rediano 9, in cui
sono organizzati prima e dopo la conversione, il che fa pensare che potremmo essere
davanti a un libro organizzato dall’autore stesso.
Guittone è costantemente l’idolo polemico di Dante, il quale si scaglia a più riprese in
maniera esplicita (Purg. XXVI 124-26). L’accanita avversione dantesca nei confronti
del “maestro” aretino si spiega soprattutto col fatto che, per Alighieri, Guittone restò
un ingombrante modello da emulare, della cui influenza egli non riuscì mai a liberarsi
completamente. Dante cerca quindi di prendere le distanze dai poeti precedenti.
Ma quali sono i motivi principali di critica che Dante muove a Guittone?
- Guittone tratta temi che esulano dall’amore (critica mossa nella giovanile Vita
nova di Dante)
- L’artificiosità di Guittone è fine a se stessa (critica mossa sempre nella Vita
nova)
- Il volgare di Guittone non è “illustre” ma municipale (critica mossa nel De
vulgari eloquentia di Dante)
Il volgare illustre, inventato da Dante, per essere tale deve avere le seguenti tre
caratteristiche:
- Essere aulico, cioè deve essere parlato nell’aula.
- Essere curiale, cioè tale da essere utilizzato in una curia di uomini di cultura.
- Essere cardinale, cioè essere il perno intorno a cui ruotano tutti i volgari italiani

IL DOLCE STIL NOVO

Parliamo ora di questo terzo importante momento nelle origini della letteratura italiana:
il dolce stil novo. La linea che stiamo seguendo è una linea cronologica che predilige
la poesia.
Si tratta di un momento fondamentale, il dolce stil novo, su cui bisogna dire che sono
molto presenti molti stereotipi che è difficile rimuovere: innanzi tutto, per cercare di
capire meglio di cosa stiamo parlando è meglio tornare alle origini del concetto
storiografico del dolce stil novo.
Cos’è il dolce stil novo
- Espressione usata a partire da Francesco De Sanctis per designare una tendenza
poetica che si afferma a Firenze negli anni Ottanta del Duecento, diffondendosi
e restando attiva fino ai primi decenni del Trecento. De Sanctis inizia ad
utilizzarlo come etichetta, prendendola dalla Divina Commedia di Dante.
- L’espressione risale a Dante, che la usa nel canto XXIV del Purgatorio, quando
pone un muro tra sé e i poeti precedenti.
Dante, Purg. XXIV 49-63
Siamo nel cerchio dei golosi, dove Dante incontra Forese Donati, un amico, e
Buonagiunta Orbicciani da Lucca.
Bonagiunta chiede a Dante se difronte a sè abbia l’autore di un nuovo testo poetico.
<<…Ma dì s’ì veggio qui colui che fore
trasse le nove rime, cominciando
Donne ch’avete intelletto d’amore>> (v. 51)
Qui Bonagiunta cita un verso di una canzone di Dante, chiedendosi se sia proprio lui
la persona che ha davanti, l’iniziatore di una nuova poesia, proprio con la sua canzone
in celebrazione alla sua donna amata.
E io a lui: <<l’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
Ch’è ditta dentro vo significando>>
Dante risponde e dice che le parole quasi gli uscivano autonomamente da dentro, a
formare una nuova poesia, non senza difficoltà per rendere giustizia all’amore che
aveva dentro verso Beatrice. All’inizio delle sue parole Dante dice di essere
semplicemente uno tra i tanti che quando Amore lo ispira, vede, Dante quindi dice di
essere una persona normale che viene ispirata da Amore ed esprime a parole ciò che
Amore detta dentro di lui. Amore trascende l’individuo, ma al tempo stesso parla
all’interiorità del poeta: un’ispirazione dall’alto, ma allo stesso tempo interiore, e il
compito del poeta non è altro che riuscire a rendere con le migliori parole possibili
quello che Amore dice.
<<O frate, issa vegg’io>>, diss’elli, <<il nodo
Che l’Notaro e Guittone e me ritenne
Di qua dal dolce stil novo ch’ì odo!
Io veggio ben come le vostre penne
Di retro al dittator sen vanno strette,
che de le nostre certo non avvenne;
e qual più a gradire altre si mette,
non vede più da l’uno a l’altro stilo>>;
e, quasi contentato, si tacette. (v. 63).
Ciò che sembrerebbe una cosa umile, stando alle parole di Dante, sembra invece per
Bonagiunta, qualcosa di estremamente nuovo. Bonagiunta dice di riuscire a vedere
come gli strumenti per scrivere di Dante fossero sotto l’ordine di Amore, cosa che non
avveniva per le penne dei poeti precedenti a Dante.
La definizione di Stil novo
Vittorio Sermonti: “Forse non esiste nel repertorio universale della poesia un passo che
abbia finito per assumersi responsabilità così specifiche di fronte alla storia della
letteratura e chi deve studiarsela. Fatto sta che, se a Bonagiunta non scappavano dette
quele tre parole di fila, nessun compendio o antologia della letteratura italiana si
fregerebbe, sul finire della sezione “Origini”, del titoletto “dolce stil novo”.”.
Aspetti cronologici da tener presenti
- Coordinate cronologiche fissate nella Vita nova: 1274 (primo incontro con
Beatrice) – 1283 (primo testo poetico) – 1291 (primo anniversario della morte
di Beatrice)
- Composizione della Vita nova (assemblaggio e correzione di rime preesistenti,
stesura della prosa e forse di nuove rime): probabilmente 1293-1295
- Ambientazione della Commedia (e quindi del viaggio in purgatorio):
marzo/aprile 1300.
- Composizione del De vulgari eloquentia: 1304-1305
- Stesura del Purgatorio: forse tra il 1314 e il 1316, almeno dopo il 1309: Dante
scrive questi versi a non poca distanza dal tempo di Donne ch’avete (almeno una
ventina d’anni dopo).
Dante e i suoi sodali
Nel brano che abbiamo visto dobbiamo domandarci se le parole di Bonagiunta si
riferiscano solo a Dante oppure anche ai suoi colleghi. Sembra quasi certo che si faccia
riferimento a un gruppo di poeti. MA questa formula di dolce stil novo si riferisce alla
poesia dantesca o a una categoria di poeti più larga? Dante stesso parla spesso di sé
insieme ad altri poeti, all’inizio del De vulgari eloquentia. “…riteniamo che alcuni
abbiano conosciuto l’eccellenza del volgare..”.
Problema della definizione di scuola
- Quando applicare quello che dice Dante ad altri poeti oltre a lui?
- Quello che noi chiamiamo stil novo è un gruppo coeso di poeti o un insieme di
personalità che hanno alcuni tratti in comune?
Ragioni per parlare ancora di stil novo
- “Avanguardia” poetica: opposizione rispetto alla generazione precedente.
- Senso di appartenenza a un’elite, dotata di raffinatezza d’animo e di sentire, e
amicizia tra poeti.
- L’amore è l’esperienza più alta, riservata a coloro che siano dotati di nobiltà di
cuore.
- La donna è l’essere superiore, che trascende l’amante.
- L’amore è un fenomeno interiore, analizzato attraverso il ricorso al linguaggio
filosofico e scientifico.
- Ricorso a un repertorio comune e selezionato di immagini e vocabolario (spiriti,
ovvero queste entità nello spirito umano responsabili delle funzioni del corpo
stesso; saluto, che spesso viene visto come tramite di salvezza per l’individuo;
personificazioni..).
- Dettato dolce, piano, limpido, che serve a veicolare densità di significati: rottura
rispetto all’artificiosità guittoniana.
Un errore da non fare è identificare lo stil novo come il movimento in cui la donna è
vista come un angelo e basta. Questa similitudine non è così corrente negli stilnovisti,
e anche Dante stesso la usa raramente. Essa non è del tutto sbagliata, ma non nel senso
che i poeti accostano la donna a un angelo, ma quanto più la donna che è un vero e
proprio angelo, un tramite per il divino per il poeta. Non bisogna quindi farne il tratto
distintivo dello stil novo.
Nuovo manoscritto antologico
- Città del vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi L VIII 305
- Copiato a Firenze fra gli anni Trenta e Cinquanta del Trecento
- Contiene un nuovo canone della poesia volgare: fin dall’inizio compaiono Guido
Cavalcanti, Cino da Pistoia, Dante Alighieri, nonché Guido Guinizelli; tutti
autori che noi definiamo stilnovisti.
Guido Guinizelli come precursore
Guido Guinizelli è citato da Dante nel Purgatorio, nel cerchio dei lussuriosi (Purg.
XXVI 91-102). Dante ha uno slancio d’affetto e lo definisce padre suo e dei suoi
colleghi poeti.
..il padre mio e de li altri miei miglior
che mai rime d’amore usar dolci e leggiadre.. (v. 99)
Guinizelli era un giudice bolognese che viene indicato da Dante in quei versi come
padre suo.

LEZIONE 4 (11/03/2021)

Il canone classico dello stil novo


- Guinizelli: precursore che anticipa uno stile poetico che conosce il suo trionfo,
a Firenze, con Dante e Cavalcanti.
- Dante
- Guido cavalcanti
- Lapo Gianni
- Dino Frescobaldi
- Gianni Alfani
- Cino da Pistoia, che traghetta lo stil novo oltre il 1200.
Negli ultimi anni si sono avute varie proposte di revisione e allargamento di questo
canone.
Guido Guinizelli come precursore
Guinizelli scrive “Al cor gentil rempaira sempre amore”. Un testo importantissimo,
definito il manifesto dello stil novo.
Testo presente nella dispensa
DISPENSA (PP. 12-15)
Che testo è dal punto di vista metrico?
Il testo è una canzone di sei stanze di dieci versi ciascuna, a schema AB, AB; cDcEdE.
Un tratto metrico che è bene sottolineare subito è che vi è la tendenza, da parte del
poeta, a usare delle rime facili e non particolarmente impegnative, e di sonorità dolce
(-ore, -ura, -ente).
LETTURA DELLA PRIMA STANZA con parafrasi e analisi (P. 12)
Lungo tutto il testo della canzone, Guinizelli ricorre spessissimo alla similitudine, con
esempi di carattere filosofico e scientifico. Il suo è un modo di parlare dell’amore non
soggettivo, ma un tentativo di definire oggettivamente cosa sia l’amore e la solidarietà
tra amore e cuore nobile.
Concetto fondamentale
Amore e cuore gentile sono una cosa sola, come afferma anche Dante nella Vita nova
11.
- La vera nobiltà risiede nel cuore e il suo possesso è presupposto essenziale per
provare amore.
- Non vi può essere amore senza nobiltà di cuore.
La società italiana nel corso del 1200 è soggetta a cambiamento, poiché la nuova
borghesia, legata innanzitutto al commercio e alle professioni pubbliche, aspira ormai
a posizioni di potere e di egemonia culturale e cerca una legittimazione sociale e
ideologica che non dipenda esclusivamente da legami familiari.
Precisazioni
- Il motivo della nobiltà di spirito e non di sangue non è una novità di Guinizelli
e del dolce stil novo.
- I poeti del dolce stil novo non sono contro la nobiltà di ceto, ma ritengono che
essa non sia sufficiente.
- Nobiltà nel mondo comunale del Duecento è un concetto di non facile
definizione: non esiste infatti una codificazione dei titoli né un sovrano che li
attribuisce.
Articolazione di Al cor gentil/1
Prime tre stanze: serie di paragoni che dimostrano l’unità sostanziale di cuore nobile e
amore.
- I stanza: impossibilità che vi sia amore senza nobiltà di cuore (esempi: uccello-
dimora naturale; sole-luce; calore-fuoco).
- II stanza: processo (potenza-atto): perché il cuore possa ricevere l’amore deve
essere reso gentile dalla natura → lapidari medievali: le pietre hanno virtù che
discendono dalle stelle e vengono purificate dal sole. Pietra: sole : stella = Cuore
: natura : donna.
- III stanza: ribadisce i concetti già espressi, aggiungendo un esempio negativo
(prova natura : amore = acqua : fuoco) e uno positivo adamàs – minira (oltre a
quello iniziale del fuoco).
Articolazioni di Al cor gentil/2
Ultime tre stanze: sorta di drammatizzazione del discorso: troviamo dei personaggi
- IV stanza: la nobiltà di schiatta non è condizione sufficiente per ricevere l’amore
- V stanza: paragone tra donna e Dio e tra l’amante e l’intelligenza angelica.
- VI stanza: immaginaria giustificazione del poeta; problema: è lecito paragonare
la donna a Dio?
Si apre qui un punto problematico molto rilevante: è lecito divinizzare la donna amata?
E’ lecito fare questo per un cristiano? Dante, nella Vita nova e nella Commedia dice sì;
basti pensare a ciò che scrive. Per Petrarca invece le cose, come vedremo, sono più
problematiche.

DA GUINIZELLI A CAVALCANTI

Parliamo ora del passaggio importante da Guinizelli a Cavalcanti. Tante volte abbiamo
visto come Dante si pone come storico della poesia del suo tempo, e ne vediamo un
altro esempio nel Purgatorio, XI canto, dei superbi. (vv. 91-102).
Così ha tolto l’uno (cavalcanti) r l’altro Guido (Guinizelli)
la gloria de la lingua; e forse è nato
chi l’uno e l’altro caccerà del nido. (Dante) (VV. 97-99).
Dante spiega come uno che si crede il migliore nella sua arte, verrà sempre superato da
qualcuno che giungerà dopo di lui, così come Guido Cavalcanti ha superato Guido
Guinizelli. Dante aggiunge poi che forse è proprio lui che supererà a sua volta
Cavalcanti.
Possiamo vedere questa successione nel tema della lode alla donna rispotto a questi tre
autori.
Guinizelli, Io voglio del ver
Un sonetto di Guinizelli, che presenta una struttura bipartita, in cui nella prima parte vi
sono paragoni e la donna amata è rappresentata attraverso le analogie con gli elementi
belli e preziosi della natura; la seconda parte in cui la donna è elogiata in movimento,
nei suoi atti e nelle sue azioni. Ovviamente è un contesto caro allo stil novo, ma mai
fedele alla realtà, sempre sublimato, con dei contorni vaghi.
DISPENSA (PP. 16-17)
ANALISI DEL TESTO (P. 16)
Dante, Tanto genitle
Si vede chiaramente qui l’influenza che ha esercitato Guinizelli su Dante.
Nel testo vi è una lode a Beatrice in termini molto simili usati da Guinizelli.
Guido Cavalcanti, Chi è questa che vèn
DISPENSA (PP. 18-19)
Questo è un testo di lode, di elogio delle qualità della donna amata.
ANALISI DEL TESTO (P. 18)
Nel testo ritroviamo delle parole che sono già state usate da Guinizelli. I poeti devono
prima definire lo scheletro del testo e poi costruirlo intorno ad esso. I termini posti in
rima sono scelti spesso con una funzione chiara e sono investiti della carica semantica
che definiscono una visione e una concezione della vita e del mondo; sono termini che
richiamano a poesie e opere altrui, come in questo caso i riferimenti, tramite queste
rime, a Guinizelli.
Se paragoniamo il testo di Cavalcanti a quello di Guinizelli notiamo che il testo si apre
con una domanda e non con una frase perentoria, una domanda che sembra quasi
un’esclamazione. Un’altra cosa caratteristica di Cavalcanti che noi troviamo nel testo
è che è ricorrente nel sonetto l’idea di rendere compiutamente ciò di cui si sta parlando:
l’oggetto della poesia stessa, la donna, non può essere manifestato compiutamente a
parole (..parlare null’omo pote..Non si poria cantar..): questa differenza ci conduce al
versante che è più praticato da quello di cavalcanti, ovvero lo sbigottimento di fronte
alla donna amata. L’amante è soverchiato dalla creatura di cui è innamorato → ciò
viene messo in luce da Alberto Rea: “L’oggetto d’amore non è semplicemente
irraggiungibili, ma razionalmente incomprensibile”.
Guido Cavalcanti, Tu m’hai sì piena
DISPENSA (PP. 20-21)
ANALISI DEL TESTO (P. 20)
Il testo è un esempio del filone disforico, ovvero una rappresentazione dell’amore
fortemente negativa perché esso è soverchiante per l’individuo e ne disabilità il
raziocinio, la ragione e il movimento.
Centralità della mente in Cavalcanti
Guido sancisce la natura fantasmatica della passione. L’oggetto dell’amore non è la
donna reale, bensì il suo phantasma mentale. In conformità con i modelli della
psicologia aristotelica, la forma della donna, percepita attraverso gli occhi e astratta
dalle sue qualità sensibili all’interno dell’immaginativa, si imprime nella memoria,
divenendo oggetto di un desiderio ossessivo. Di qui l’inedita centralità dello psiconimo
mente. La sede in cui si insedia l’amore per la donna amata non è tanto il cuore ma la
mente.
La mente è la sede del processo cognitivo di astrazione, elaborazione e conservazione
del phantasma amoroso, che, come precisato in Donna me prega, occupa la memoria,
facoltà dell’anima sensitiva preposta alla conservazione della conoscenza sensibile. Il
fallimento del tentativo di sostenere e completare l’elaborazione mentale del
phantasma della donna conduce alla constatazione dell’insufficienza delle stesse
facoltà intellettive. L’organo psichico diviene così oggetto di un inarrestabile processo
doloroso…

LEZIONE 5 (12/03/2021)
Caratteri della poesia di Cavalcanti
- Adozione della terminologia filosofica e scientifica.
- Analisi e scomposizione dei fluidi sottili.
- Spiriti: “personificazione dei fluidi sottili esalati dal sangue che secondo la
fisiologia antica dirigono le funzioni vitali”.
L’interiorità è analizzata attraverso la scomposizione dell’interiorità stessa nelle sue
componenti.
- Guido Cavalcanti mette in atto meccanismi di spietata analisi della devastazione
amorosa.
- Seziona l’essere umano riducendolo alle entità attrici di un teatro di continuo
dolore
- Insistenza su immagini che rimandano alla guerra e all’ambito del processo
(giudizio, condanna, tortura)
- Vede nella sofferenza estrema e nell’annientamento del soggetto un destino
inevitabile.
Dante, Guido, i’vorrei
DISPENSA (PP. 22-23)
Il sonetto deve essere collegato al genere galloromanzo del plazer, o meglio a quella
sottospecie del pazer che si definisce souhait “augurio”, che consiste in un elenco di
cose o spettacoli piacevoli che il poeta augura a se stessi o al destinatario del testo.
- Dante non immagina cose belle né doni fantastici, il suo è un sogno cortese di
affetti e di pace, non di ricchezze.
- Secondo Contini, questo testo sviluppa il motivo sentimentale principe del dolce
stile in quanto “scuola”.
Il giovane Dante e Cavalcanti sono sicuramente amici, anche se tutta via dimostreranno
di avere concezioni dell’amore differenti, come Dante mostrerà nel canto X
dell’Inferno.
LA DEFINIZIONE DI “DOLCE STIL NOVO”: DOVE NASCE E COME PUO’
ESSSERE INTERPRETATA
Il dolce stil novo, che ha il suo epicentro a Firenze e che determinerà il suo ruolo
egemone della letteratura fiorentina, ha il suo luogo d’origine a Bologna, dove nasce
attorno al 1230 Guido Guinizzelli.
Da dove deriva l’espressione “dolce stil novo”?
Questa espressione è usata a partire da Francesco De Sanctis per designare una
tendenza poetica che si afferma a Firenze negli anni Ottanta del Duecento,
diffondendosi e restando attiva fino ai primi decenni del Trecento. De Sanctis inizia ad
utilizzarlo come etichetta, prendendola dalla Divina Commedia di Dante.
L’espressione infatti risale a Dante, che la usa nel canto XXIV del Purgatorio, quando
pone un muro tra sé e i poeti precedenti.
Siamo nel cerchio dei golosi, dove Dante incontra Forese Donati, un amico, e
Buonagiunta Orbicciani da Lucca.
Bonagiunta chiede a Dante se difronte a sè abbia l’autore di un nuovo testo poetico.
<<…Ma dì s’ì veggio qui colui che fore
trasse le nove rime, cominciando
Donne ch’avete intelletto d’amore>> (v. 51)
Qui Bonagiunta cita un verso di una canzone di Dante, chiedendosi se sia proprio lui
la persona che ha davanti, l’iniziatore di una nuova poesia, proprio con la sua canzone
in celebrazione alla sua donna amata.
E io a lui: <<l’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
Ch’è ditta dentro vo significando>>
Dante risponde e dice che le parole quasi gli uscivano autonomamente da dentro, a
formare una nuova poesia, non senza difficoltà per rendere giustizia all’amore che
aveva dentro verso Beatrice. All’inizio delle sue parole Dante dice di essere
semplicemente uno tra i tanti che quando Amore lo ispira, vede, Dante quindi dice di
essere una persona normale che viene ispirata da Amore ed esprime a parole ciò che
Amore detta dentro di lui. Amore trascende l’individuo, ma al tempo stesso parla
all’interiorità del poeta: un’ispirazione dall’alto, ma allo stesso tempo interiore, e il
compito del poeta non è altro che riuscire a rendere con le migliori parole possibili
quello che Amore dice.
<<O frate, issa vegg’io>>, diss’elli, <<il nodo
Che l’Notaro e Guittone e me ritenne
Di qua dal dolce stil novo ch’ì odo!
Io veggio ben come le vostre penne
Di retro al dittator sen vanno strette,
che de le nostre certo non avvenne;
e qual più a gradire altre si mette,
non vede più da l’uno a l’altro stilo>>;
e, quasi contentato, si tacette. (v. 63).
Ciò che sembrerebbe una cosa umile, stando alle parole di Dante, sembra invece per
Bonagiunta, qualcosa di estremamente nuovo. Bonagiunta dice di riuscire a vedere
come gli strumenti per scrivere di Dante fossero sotto l’ordine di Amore, cosa che non
avveniva per le penne dei poeti precedenti a Dante.
GLI ELEMENTI DI NOVITA’ SUL PIANO CONCETTUALE E FORMALE
RISPETTO ALLA POESIA PRECEDENTE
I requisiti di originalità della nuova poetica sono resi espliciti dal significato degli
aggettivi che la inquadrano. Il termine novo va innanzitutto preso alla lettera, nel suo
semplice e diretto valore di “nuovo”, per indicare l’appartenenza dei poeti, che si
riconoscono in questa di poetare, a una posizione di avanguardia letteraria. E’
soprattutto questa intenzione di determinare una cesura generazionale a suggerire il
concetto di “novità”. Ma il termine può essere anche assunto e messo in correlazione
col provenzale nou o novel che, in riferimento al trobar, indicava un modo del poetare
che scaturiva da un rinnovamento interiore del poeta. Una concezione, questa che si
radica in area mistica e che richiama alla memoria il canticum novum della Bibbia.
La trafila è molto chiara: la novità di un’eccezionale esperienza d’amore, dando origine
ad un uomo nuovo, si manifesta nei contenuti e nelle forme di una poesia nuova. Tale
processo di interiorizzazione opera anche in funzione di scavalcamento della poetica
guittoniana che, oltre ad aver infranto i limiti di pertinenza della poesia come canto
d’amore, non è riuscita, nell’ambito della lirica amorosa, a comporre la contraddizione
tra amore e passione.
Per la nozione di dolce converrà pertanto considerare un intento polemico che ha per
obiettivo Guittone e i suoi seguaci: contro la loro asprezza, la loro sottigliezza, il loro
municipalismo a volte plebeo si ambisce a un ideale di “dolcezza” e raffinatezza
formale da proporre come volgare illustre, come lingua sovraregionale.
Di pari passo, emerge una netta distinzione tra due direzioni entro cui si muove la
poesia di secondo Duecento: perché da una parte si colloca Guittone che affida alla
poesia una responsabilità didattica alimentata dalla spiritualità cristiana; dall’altra si
installa lo stilnovismo, il cui carattere elitario costituisce l’esito consequenziale di una
cultura laica ed estranea a una diretta intenzione pedagogica e a una destinazione
politica.
LA COMPOSIZIONE DEL CANONE DEL DOLCE STIL NOVO
Il canone classico dello stil novo
- Guinizelli: precursore che anticipa uno stile poetico che conosce il suo trionfo,
a Firenze, con Dante e Cavalcanti.
- Dante
- Guido cavalcanti
- Lapo Gianni
- Dino Frescobaldi
- Gianni Alfani
- Cino da Pistoia, che traghetta lo stil novo oltre il 1200, all’interno del 1300.
Negli ultimi anni si sono avute varie proposte di revisione e allargamento di questo
canone.
LE FIGURE DI GUIDO GUINIZELLI E GUIDO CAVALCANTI:
CARATTERI E TEMI PRINCIPALI DELLA LORO POESIA
Guido Guinizelli è il precursore che anticipa uno stile poetico che conosce il suo
trionfo, a Firenze, con Dante e Cavalcanti. Il dolce stil novo ha quindi origine a
Bologna, dove nasce attorno al 1230 Guido Guinizelli. Dante, nel suo Purgatorio, lo
saluta come “padre mio e dell’altri miei maggior che mai rime d’amor usar dolci e
leggiadre”, fissandone il ruolo di precursore dello stil novo.
La produzione del poeta non è copiosa, ma conta in tutto venticinque poesie, frammenti
e rime dubbie comprese. Fondamentale è la canzone Al cor gentil rempaira sempre
amore, a buon titolo considerata il “manifesto” del dolce stil novo, perché ne enuncia
alcune idee capitali.
Che testo è dal punto di vista metrico?
Il testo è una canzone di sei stanze di dieci versi ciascuna, a schema AB, AB; cDcEdE.
Un tratto metrico che è bene sottolineare subito è che vi è la tendenza, da parte del
poeta, a usare delle rime facili e non particolarmente impegnative, e di sonorità dolce
(-ore, -ura, -ente).
Fin dai primi versi viene formulato il principio della corrispondenza tra amore e cuore
gentile, che dal punto di vista sociologico equivale alla rivalutazione della nobiltà del
cuore contro la nobiltà di sangue, mentre la concezione della donna come figura che
rappresenta la divinità emerge nella stanza finale. Il poeta immagina la circostanza in
cui si troverà al cospetto di Dio e dovrà subire il rimprovero di aver rivolto a una
creatura terrenza la reverenza spettante a Dio stesso e alla Vergine. Sola giustificazione
plausibile alle accuse srà dire di aver amato una donna che “tenne d’angel sembianza”.
Così facendo, però, egli rivelerà come il suo desiderio non sia stato rimesso per via di
sublimazione: il processo di scorporamento dell’identità della donna e di assoluta
interiorizzazione del sentimento d’amore non risulta ancora del tutto compiuto.
Occorrerà arrivare a Dante per riscontrare che la donna amata non ha solo sembianza
d’angelo, ma è essa stessa un angelo.
La società italiana nel corso del 1200 è soggetta a cambiamento, poiché la nuova
borghesia, legata innanzitutto al commercio e alle professioni pubbliche, aspira ormai
a posizioni di potere e di egemonia culturale e cerca una legittimazione sociale e
ideologica che non dipenda esclusivamente da legami familiari.
Precisazioni
- Il motivo della nobiltà di spirito e non di sangue non è una novità di Guinizelli
e del dolce stil novo.
- I poeti del dolce stil novo non sono contro la nobiltà di ceto, ma ritengono che
essa non sia sufficiente.
- Nobiltà nel mondo comunale del Duecento è un concetto di non facile
definizione: non esiste infatti una codificazione dei titoli né un sovrano che li
attribuisce.
Articolazione di Al cor gentil/1
Prime tre stanze: serie di paragoni che dimostrano l’unità sostanziale di cuore nobile e
amore.
- I stanza: impossibilità che vi sia amore senza nobiltà di cuore (esempi: uccello-
dimora naturale; sole-luce; calore-fuoco).
- II stanza: processo (potenza-atto): perché il cuore possa ricevere l’amore deve
essere reso gentile dalla natura → lapidari medievali: le pietre hanno virtù che
discendono dalle stelle e vengono purificate dal sole. Pietra: sole : stella = Cuore
: natura : donna.
- III stanza: ribadisce i concetti già espressi, aggiungendo un esempio negativo
(prova natura : amore = acqua : fuoco) e uno positivo adamàs – minira (oltre a
quello iniziale del fuoco).
Articolazioni di Al cor gentil/2
Ultime tre stanze: sorta di drammatizzazione del discorso: troviamo dei personaggi
- IV stanza: la nobiltà di schiatta non è condizione sufficiente per ricevere l’amore
- V stanza: paragone tra donna e Dio e tra l’amante e l’intelligenza angelica.
- VI stanza: immaginaria giustificazione del poeta; problema: è lecito paragonare
la donna a Dio?
Si apre qui un punto problematico molto rilevante: è lecito divinizzare la donna amata?
E’ lecito fare questo per un cristiano? Dante, nella Vita nova e nella Commedia dice sì;
basti pensare a ciò che scrive. Per Petrarca invece le cose, come vedremo, sono più
problematiche.
Guido Cavalcanti, nato a Firenze non dopo il 1259, e guelfo bianco, è il poeta che
conduce alle estreme conseguenze i presupposti di aristocratica spiritualità impliciti
nella poesia stilnovistica, accostandosi razionalmente alla perlustrazione della
problematica amorosa. Sdegnoso, ateo, iroso, materialista, appartato lo descriverà il
Boccaccio nel preambolo di una novella del Decameron. Ma prima ancora i tratti
peculiari della sua personalità vengono indirettamente consegnati ai posteri
dall’episodio dell’incontro di Dante col padre di lui, Cavalcante Cavalcanti, tra gli
avelli infuocati: emerge l’immagine di un Guido Refrattario a teologia, fede,
spiritualità e interamente votato alla sola razionalità umana, all’altezza dell’ingegno:
segno distintivo questo che indica la separazione concettuale da Dante, in relazione al
quale le componenti etiche di gentilezza e nobiltà d’animo erano sostituite
dall’affermazione del primato intellettuale.
La specificità della poesia di Guido Cavalcanti, se confrontata con quella degli altri
stilnovisti, è determinata dall’intensa espressione dell’esperienza individuale, alla
quale si sovrappone la tensione speculativa: cavalcanti nega allo stilnovismo la
prerogativa di conformazione di un gruppo coeso e univoco nella dimensione
ideologica. Guido è conscio dell’unicità e della contingenza dell’emozione
sentimentale e tale consapevolezza suscita in lui non l’abbandono al momento, ma la
ricerca di una motivazione.
Caratteri della poesia di Cavalcanti
- Adozione della terminologia filosofica e scientifica.
- Analisi e scomposizione dei fluidi sottili.
- Spiriti: “personificazione dei fluidi sottili esalati dal sangue che secondo la
fisiologia antica dirigono le funzioni vitali”.
L’interiorità è analizzata attraverso la scomposizione dell’interiorità stessa nelle sue
componenti.
- Guido Cavalcanti mette in atto meccanismi di spietata analisi della devastazione
amorosa.
- Seziona l’essere umano riducendolo alle entità attrici di un teatro di continuo
dolore
- Insistenza su immagini che rimandano alla guerra e all’ambito del processo
(giudizio, condanna, tortura)
- Vede nella sofferenza estrema e nell’annientamento del soggetto un destino
inevitabile.
LA CONCEZIONE DELL’ AMORE E DELLA DONNA
L’espressione d’amore, che è la condizione dominante, il requisito egemone
dell’apparato dottrinale dello stilnovismo, risulta prevalentemente spogliata di
riferimenti a situazioni esterne, perché è vissuta nella sua natura di fenomeno interiore:
diventa una dottrina la cui conoscenza permette all’uomo di percorrere la scala di
elevazione morale e spirituale indicata dall’amata.
In parallelo mutano anche funzione e identità della donna: non più signora socialmente
superiore al cavaliere, che le tributa l’omaggio, bensì creatura la cui bellezza assume
un valore etico prima ancora che estetico, essendo in primo luogo portatrice di virtù, la
donna del dolce stil novo è la donna-angelo che assolve a una duplice responsabilità:
una, terrena e mondana, consiste nel far si che si manifesti la gentilezza
dell’innamorato attraverso il suo comportamento cortese e virtuoso, e una più alta e
spirituale di mediazione tra l’uomo e Dio. L’immagine della donna-angelo rappresenta
la conciliazione tra amore per la creatura umana e amore di Dio. La spiritualizzazione
dell’eros rivela l’innestarsi, nbel tronco di una cultura laica e mondana, di una
componente religiosa: quella della lode, appunto, a partire da San Francesco per venir
giù attraverso i laudari.
- “Avanguardia” poetica: opposizione rispetto alla generazione precedente.
- Senso di appartenenza a un’elite, dotata di raffinatezza d’animo e di sentire, e
amicizia tra poeti.
- L’amore è l’esperienza più alta, riservata a coloro che siano dotati di nobiltà di
cuore.
- La donna è l’essere superiore, che trascende l’amante.
- L’amore è un fenomeno interiore, analizzato attraverso il ricorso al linguaggio
filosofico e scientifico.
- Ricorso a un repertorio comune e selezionato di immagini e vocabolario (spiriti,
ovvero queste entità nello spirito umano responsabili delle funzioni del corpo
stesso; saluto, che spesso viene visto come tramite di salvezza per l’individuo;
personificazioni..).
- Dettato dolce, piano, limpido, che serve a veicolare densità di significati: rottura
rispetto all’artificiosità guittoniana.
Un errore da non fare è identificare lo stil novo come il movimento in cui la donna è
vista come un angelo e basta. Questa similitudine non è così corrente negli stilnovisti,
e anche Dante stesso la usa raramente. Essa non è del tutto sbagliata, ma non nel senso
che i poeti accostano la donna a un angelo, ma quanto più la donna che è un vero e
proprio angelo, un tramite per il divino per il poeta. Non bisogna quindi farne il tratto
distintivo dello stil novo.

DANTE ALIGHIERI: LA VITA NOVA


LINEAMENTI PRINCIPALI DELLA BIOGRAFIA E DELL’OPERA DI
DANTE
Gli avvenimenti esterni della giovinezza di Dante, nato a Firenze tra maggio e giugni
del 1265, si compendiano nei dati della sua formazione culturale e della sua esperienza
sentimentale. Per il primo aspetto, il fatto che il padre Alighiero fosse un uomo d’affari,
aveva consentito al figlio adolescente di ricevere una buona istruzione nella
grammatica e nella logica, e di seguire tra l’86 e l’87, le lezioni di diritto, di filosofia e
forse anche di medicina presso l’Università di Bologna. Nel 1289 partecipa tra le file
della parte guelfa ai combattimenti della propria parte contro i ghibellini di Arezzo,
nella vittoriosa battaglia di Campaldino e in armi è anche nello scontro della Caprona
contro Pisa. Tra adolescenza e giovinezza cade il secondo avvenimento significativo:
l’amore per Beatrice, figlia di Folco Portinari e sposata con Simone Bardi. Quando,
precocemente, nel 1290, Beatrice muore, Dante, che già aveva scritto componimenti
in versi nella nuova lingua volgare, ricostruisce la storia amorosa nel libretto della Vita
nuova. Dopo la giovanile partecipazione alla battaglia di Campaldino, Dante partecipa
alla vita politica cittadina del Comune Guelfo, ciò reso possibile grazie alla sua
iscrizione all’ Arte dei Medici e Speziali. Tra il novembre 1295 e l’aprile 1296 fece
parte del Consiglio speciale del Capitano del Popolo. Inoltre nel 1300 fu nominato
ambasciatore a San Gimignano, adoperandosi per svolgere una politica d’indipendenza
dalle mire egemoniche di Bonifacio VIII. Quando nel 1300 Dante si trova a Roma
come ambasciatore, Carlo di Valois entra a Firenze con la parte dei guelfi neri, i quali
accusarono subito i bianchi di “ghibellinismo”. Il 21 gennaio 1302 Cante dei Gabrielli
da Gubbio, podestà nominato dai neri, condanna Dante a due anni d’esilio fuori dalla
Toscana. La condanna colpì Dante sula via del ritorno da Roma, e degli si unì a molti
altri esuli bianchi. Fra il1304-1306 fu molto probabilmente a Bologna, in cui iniziò a
scrivere il Convivio e il De vulgaris eloquentia.
Con la morte di Enrico VII nel 1313 tramontano le speranze di Dante di tornare in
patria ed egli si reca nel 1316 a Verona, da Cangrande della Scala. Muore nella notte
tra il 13 e il 14 settembre del 1321.
LA VITA NOVA: COORDINATE CRONOLOGICHE, FORMA, MODELLI,
COMPOSIZIONE, TRAMA
Coordinate Cronologiche
Il primo libro di Dante, la Vita nova, scritto dopo la morte di Beatrice(1290), tra il
1293-1295, è la testimonianza lirica e insieme il ripensamento idealisticamente
trasfigurato dell’esperienza amorosa della giovinezza.
Composizione dei singoli testi: i tesi appartengono alla giovinezza di Dante e le
vicende vanno dal 1283, quando Dante riceve il saluto per la prima volta da Beatrice,
al 1291, anniversario della morte di Beatrice, avvenuta l’8 giugno 1290.
Composizione del libro: le ipotesi sulla composizione del libro oscillano tra il 1292 e
1295. I testi poetici possono essere stati modificati, riscritti o anche composti in
funzione dell’opera. Tredici testi sono tramandati con differenze significative (varianti)
rispetto alla versione del libro. La prosa modifica la lettura di episodi rappresentati nei
testi poetici
Forma
Primo libro poetico sicuramente d’autore della letteratura italiana, poiché il
Laurenziano di Giuttone non sappiamo con certezza se fosse scritto e redatto da lui. Si
tratta del primo caso in cui sicuramente un autore ha preso i propri testi poetici e ha
deciso di metterli insieme rispettando un disegno ben preciso.
Per la Vita nova Dante sceglie, emtro il corpus della sua produzione giovanile, 31
componimenti: 25 sonetti, 4 canzoni, una ballata e una stanza isolata di canzone. Le
poesie vengono collegate tra di loro mediante la prosa, che da una parte funziona da
tessuto narrativo perché serve a introdurre e a giustificare la circostanza da cui le poesie
hanno tratto ispirazione, e dall’altra è rivolta a spiegare gli aspetti retorici e formali
delle liriche. Per tale struttura il testo dantesco è definito col termine di prosimetro,
vale a dire libro misto di poesia e prosa, sul modello del De consolatione Philosophiae
di Severino Boezio e sulla falsa riga delle vidas e delle razos dei trovatori.
Modelli
Modelli della Vita nova
- Modello preminente: il De consolatione Philosophiae di Manlio Severino
Boezio: è un prosimetro che ha per protagonista l’autore stesso, il quale, caduto
in disgrazia, si trova in carcere, dove riceve la visita della Filosofia.
- Altro modello: vidas e razos dei trovatori: unite spesso ai testi dei trovatori nei
manoscritti, sono biografie (vidas) e spiegazioni fantasiose della genesi dei testi,
dei fatti e personaggi a cui essi alludono (razos). Evidentemente Dante non fa
qualcosa di molto diverso.
Composizione
Incipit Vita nova
Composizione come trascrizione.
“In quella parte del libro de la mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere
si trova una rubrica la quale dice: Incipit vita nova, sotto la qual rubrica io trovo scritte
le parole le quali è mio intendimento d’assemplare in questo libello; e se non tuttem
almeno la loro sentenzia”.
Vita nova: “vita della prima giovinezza”, ma anche vita rinnovata spiritualmente
dall’amore.
Realtà e simbologia
- Rappresentazione della realtà: ridotta all’essenziale
- Firenze non è mai nominata, e lo stesso vale per Cavalcanti
- Prevalere di significati simbolici: nome Beatrice (colei che dà beatitudine); il
numero 9 ricorre lungo l’opera: è il numero di beatrice: prodotto della trinità per
se stessa = miracolo.

Trama
La Vita nova: inizio
- Tema dell’opera: amore di Dante per Beatrice
- Dante incontra Beatrice per la prima volta a 9 anni, suscitando subito in lui un
turbamento e la nascita dell’amore.
- Nove anni dopo Beatrice rivolge a Dante il primo saluto.
- Dante, ritiratosi nella propria camera, ha una visione premonitrice (morte di
Beatrice) → primo testo: interroga altri poeti su questa visione → inizio
dell’amicizia con cavalcanti.
Molto spesso la Vita nova viene ridotta a un romanzetto, quando invece è un testo di
estrema complessità con tutte le sue sfaccettature, anche perché l’amore è, in quanto
qualcosa che provoca profonde risonanze nell’io di ciascuno, uno strumento di
esplorazione della propria interiorità che produce tanto in Dante, quanto in Petrarca,
delle opere che sono incentrate sull’Io dell’autore.
La Vita nova: evoluzione
L’opera delinea un’evoluzione da parte del protagonista, che passa attraverso delle fasi
- Prima fase, legata ai rituali dell’amor cortese: Dante protegge il proprio amore
attraverso il ricorso a due “donne schermo”.
- Perdita del saluto di Beatrice, poiché la seconda donna schermo usata da Dante
diventa oggetto di voci → disperazione di Dante (episodio del “gabbo”): fase
“cavalcantiana”.
Beatrice è colei che conduce il poeta al suo rinnovamento: di qui il senso peculiare di
“vita nuova”. Il cammino di perfezionamento è duplice

La Vita nova
- Primo libro poetico sicuramente d’autore della letteratura italiana, poiché il
Laurenziano di Giuttone non sappiamo con certezza se fosse scritto e redatto da
lui. Si tratta del primo caso in cui sicuramente un autore ha preso i propri testi
poetici e ha deciso di metterli insieme rispettando un disegno ben preciso.
- Si tratta in realtà di un’opera mista di prose e versi: prosimetro. Abbiamo infatti
testi poetici e parti in prosa.
Modelli della Vita nova
- Modello preminente: il De consolatione Philosophiae di Manlio Severino
Boezio: è un prosimetro che ha per protagonista l’autore stesso, il quale, caduto
in disgrazia, si trova in carcere, dove riceve la visita della Filosofia.
- Altro modello: vidas e razos dei trovatori: unite spesso ai testi dei trovatori nei
manoscritti, sono biografie (vidas) e spiegazioni fantasiose della genesi dei testi,
dei fatti e personaggi a cui essi alludono (razos). Evidentemente Dante non fa
qualcosa di molto diverso.
Versi e prosa
Dante accompagna una scelta di propri testi (31) con una prosa che ne spiega la genesi,
li connette attraverso un racconto e li commenta secondo il metodo delle divisioni, e
questo lo vediamo nel Cap. 10, presente sulla DISPENSA a p. 24.
Vita nova e Rime
- La Vita nova è una raccolta poetica organizzata da Dante.
- Con il termine Rime si indicano invece i testi poetici che Dante non ha
organizzato in un libro.
- Convivio: altro prosimetro: opera di impianto filosofico in cui Dante, dopo
l’esilio (prob.1304-1308), inserisce e commenta tre canzoni scritte
precedentemente (1293-1295).
Incipit Vita nova
Composizione come trascrizione.
“In quella parte del libro de la mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere
si trova una rubrica la quale dice: Incipit vita nova, sotto la qual rubrica io trovo scritte
le parole le quali è mio intendimento d’assemplare in questo libello; e se non tuttem
almeno la loro sentenzia”.
Vita nova: “vita della prima giovinezza”, ma anche vita rinnovata spiritualmente
dall’amore.
Liriche/libro
Occorre distinguere però tra:
- Composizione dei singoli testi: i tesi appartengono alla giovinezza di Dante e le
vicende vanno dal 1283, quando Dante riceve il saluto per la prima volta da
Beatrice, al 1291, anniversario della morte di Beatrice, avvenuta l’8 giugno
1290.
- Composizione del libro: le ipotesi sulla composizione del libro oscillano tra il
1292 e 1295. I testi poetici possono essere stati modificati, riscritti o anche
composti in funzione dell’opera. Tredici testi sono tramandati con differenze
significative (varianti) rispetto alla versione del libro. La prosa modifica la
lettura di episodi rappresentati nei testi poetici.
Realtà e simbologia
- Rappresentazione della realtà: ridotta all’essenziale
- Firenze non è mai nominata, e lo stesso vale per Cavalcanti
- Prevalere di significati simbolici: nome Beatrice (colei che dà beatitudine); il
numero 9 ricorre lungo l’opera: è il numero di beatrice: prodotto della trinità per
se stessa = miracolo.
La Vita nova: inizio
- Tema dell’opera: amore di Dante per Beatrice
- Dante incontra Beatrice per la prima volta a 9 anni, suscitando subito in lui un
turbamento e la nascita dell’amore.
- Nove anni dopo Beatrice rivolge a Dante il primo saluto.
- Dante, ritiratosi nella propria camera, ha una visione premonitrice (morte di
Beatrice) → primo testo: interroga altri poeti su questa visione → inizio
dell’amicizia con Cavalcanti.
Molto spesso la Vita nova viene ridotta a un romanzetto, quando invece è un testo di
estrema complessità con tutte le sue sfaccettature, anche perché l’amore è, in quanto
qualcosa che provoca profonde risonanze nell’io di ciascuno, uno strumento di
esplorazione della propria interiorità che produce tanto in Dante, quanto in Petrarca,
delle opere che sono incentrate sull’Io dell’autore.
La Vita nova: evoluzione
L’opera delinea un’evoluzione da parte del protagonista, che passa attraverso delle fasi
- Prima fase, legata ai rituali dell’amor cortese: Dante protegge il proprio amore
attraverso il ricorso a due “donne schermo”.
- Perdita del saluto di Beatrice, poiché la seconda donna schermo usata da Dante
diventa oggetto di voci → disperazione di Dante (episodio del “gabbo”): fase
“cavalcantiana”.
La Vita nova: svolta e rapporto con Cavalcanti
- Progressiva autosufficienza dell’amore: la lode della donna basta a se stessa
(Donne ch’avete intelletto d’amore [cap.10]).
- Ambiguità del rapporto con Cavalcanti: indicato come “primo amico” e
dedicatario dell’opera, è visto anche come precursore, qualcuno da superare.
Finale della Vita nova: oltre la morte e la tentazione
- L’amore per la donna amata va oltre la sua morte
- Questo amore resiste anche a una “tentazione” rappresentata da una donna
“gentile” che ha pietà di Dante.
La conclusione
L’opera si conclude con un’ascesa (da parte del sospiro del poeta) verso la donna
amata, ormai assunta nell’Empireo e con il preannuncio a seguito di una visione di
un’opera futura (forse la Commedia) che possa “dire di lei quello che mai no fue detto
d’alcuna”.
Donne ch’avete
- Canzone di soli endecasillabi: forma più illustre per Dante; cinque stanze con
l’ultima come congedo
- Canzone che inaugura la poesia della lode
La donna è:
- Creatura di perfezione assoluta, che non può essere espressa compiutamente (I
stanza);
- Desiderata in cielo dai beati (II stanza);
- Capace di portare salvezza in terra (III stanza → Guinizelli);
- Così bella da essere il più perfetto prodotto della Natura e da provocare amore
in chiunque.
DISPENSA (PP. 24-33)
LETTURA PRIMA STANZA E PARAFRASI (P. 27)

LEZIONE 6 (15/03/2021)
DANTE DOPO LA VITA NOVA: LE RIME

La prima parte di cui ci occupiamo sono le “Rime Petrose”, termine ricavato dagli
studiosi, non trattandosi affatto di una titolazione d’autore.
Sperimentalismo
Rime: mostrano la capacità di Dante di cimentarsi in generi e registri molto diversi:
- Rime amorose du sapore “cortese”
- Rime “stilnovistiche”
- Rime allegoriche, dottrinali, morali
- Rime comiche (tenzone con Forese)
- Rime petrose (o legate a un amore sensuale e doloroso
Rime “petrose” di Dante
- Quattro canzoni accomunate dalla presenza di una donna identificata con il
senhal di “pietra”. Senhal (termine in lingua d’oc): nome fittizio dato alla donna
amata per celarne la vera identità e metterne in risalto alcune caratteristiche.
Pietra è in rima in tutte e quattro le canzoni.
- Si datano questi testi intorno al 1296 a causa di una perifrasi astronomica
presente in Io son venuto al punto de la rota
Le quattro rime petrose
- Io sono venuto al punto della rota (1296)
- Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra
- Amor tu vedi ben che questa donna
- Così nel mio parlar vogli’esser aspro
Nello scrivere queste rime Dante ha un modello, ovvero Arnaut Daniel.
Il modello di Arnaut Daniel
- Arnaut Daniel, poeta della fine del XII secolo, esponente del trobar ric (variante
preziosa del trobar clus)
- Purgatorio XXVI: Guido Guinizelli, lodato per “li dolci detti”, definisce Arnaut
“miglior fabbri del parlar materno” → continuità e coesistenza tra esperienze
poetiche diverse.
- Purgatorio XXXI: Beatrice condanna l’amore di Dante a una pargoletta, una
giovane donna, come quella di cui parlano proprio le petrose (in part. Il termine
compare in Io son venuto al punto de la rota).
Le “petrose” e la tradizione
“Nel giro di quattro canzoni Dante sembra voler ricapitolare l’intera tradizione della
lirica amorosa sia latina che volgare” … “Egli non imita i suoi predecessori, ma ne
estrae l’intima verità, e li supera e si sostituisce ad essi”. (Enrico Fenzi).

Così nel mio parlar


DISPENSA (PP. 34-39)

Corrispondenza tra temi e forma


“Così nel mio parlar vogl’esser aspro
Com’è negli atti questa bella pietra”
Principio medievale della convenientia. Queste rime sono aspre, dure come lo è la
donna di cui si parla.
La forma delle petrose
- Forma metrica: estrema difficoltà tecnica; ricorso a ripetizione di parole in rima
in tre delle quattro canzoni (in particolare Al poco giorno, sestina, e Amor, tu
vedi ben, sestina doppia).
- Stile e lingua: ricorso a vocaboli del suono duro e aspro, fortemente espressivi,
lessico spesso “concreto” (anche se usato in una funzione metaforica), lontano
dalla tradizione stilnovistica.
Questi testi lavorano moltissimo sulle sfumature di significato delle parole in rima.
Questa poesia lavora sulla profondità di significato che si cela dietro la singola parola,
e quindi il poeta è qualcuno che esibisce la propria capacità di scrivere un testo in cui
il discorso fluisce nonostante ci sia questo limite che il poeta stesso si da a priori.
I contenuti delle “petrose”
- Amore come desiderio ossessivo inappagato.
- Persistenza della passione amorosa anche nella stagione più fredda (Io son
venuto e Al poco giorno).
- Forte componente sensuale.
- Donna giovane, refrattaria all’amore, fa soffrire il poeta ed è insensibile a questa
sofferenza.
“Le petrose si caratterizzano per difficoltà tecnica esibita, quasi a rivaleggiare con
Arnaldo. Tuttavia in Dante la tecnica non è fine a se stessa: infatti essa corrisponde al
sentimento della vita difficile, dell’ostacolo e del superamento. In queste liriche si canta
un amore disperato e fortemente sensuale, ove il ripetersi delle rime rappresenta
l’ossessione del pensiero fisso sul desiderio inappagato, e all’asprezza dei suoni fa
riscontro la durezza della dona e delle cose evocate a sua immagine. Il lessico,
diversamente da quello selezionato e depurato da ogni fisicità della lirica stilnovistica,
accoglie termini collegati alla realtà di un paesaggio invernale e anche termini bassi
della poesia comica” (Saverio Bellomo).

LETTURA PRIMA STANZA SULLA DISPENSA e PARAFRASI (P. 34)


Andamento del discorso in Così nel mio parlar
- Metricamente questa canzone è più libera rispetto alle altre petrose.
- Il discorso sembra seguire il fluire dei pensieri del poeta.
- Le immagini si legano tra loro, quasi nascessero l’una all’altra.
- Spesso un tema copre la parte finale di una strofa (sirma) e quella iniziale della
successiva.
- Vi sono anche brusche interruzioni e svolte.
Stacchi e punti di svolta, brusche interruzioni, in Così nel mio parlar
- V. 35: “dal racconto al presente di ciò che la donna e l’Amore lo costringono a
subire si passa, col passato prossimo, alla descrizione di un singolo evento
potenzialmente fatale” (C. Giunta).
- V. 53: “il poeta prevede che non un altro colpo, ma la minaccia stessa di un altro
colpo lo ucciderà; poi però la descrizione degli eventi lascia il posto, nelle ultime
due stanze, all’espressione di un desiderio, di un sogno: “Così vedess’io…”. La
canzione simula dunque di essere scritta in quest’attimo”. (C. Giunta).

LA COMMEDIA: IL VI CANTO DEL PURGATORIO

Il titolo
- Commedia (o meglio Comedìa, come si trova nello stesso testo dantesco) è titolo
di non pacifica interpretazione.
- Secondo l’epistola a Cangrande (la cui attribuzione a Dante, è dubbia) il titolo
farebbe riferimento al contenuto (esito positivo dopo un inizio triste) e allo stile
umile (uso del volgare).
- L’aggettivo divina, entrato nell’uso, è dovuto a Giovanni Boccaccio.
Compiutezza strutturale
- 100 canti distribuiti in 3 cantiche
- 33 canti per cantica più un canto che funge da proemio per tutta l’opera (I
dell’Inferno)
La terzina dantesca o incatenata
Serie di gruppi di tre endecasillabi legati l’uno all’atro, secondo lo schema
ABA BCB CDC DED EFE…YZY Z
La trama (in brevissimo)
- Dante immagina di compiere un viaggio nell’aldilà, attraversando i tre regni
dell’inferno, del purgatorio e del paradiso.
- Il viaggio comincia il venerdì santo del 1300 (25 marzo o 8aprile), anno del
giubileo indetto da Bonifacio VIII, e dura sette giorni.
- Dante è nel trentacinquesimo anno della sua vita (a metà del suo corso normale
secondo Aristotele).
- A guidarlo sono Virgilio (fino alla sommità del purgatorio) e Beatrice (poi San
Bernardo).
I Mondi di Dante
La composizione della Commedia
Ipotesi più accreditate: 1306-1321
- Inferno: iniziato nel 1306-7, quando Dante si trova in Lunigiana presso i
Malaspina, composto fino al 1309.
- Purgatorio: iniziato nel 1309-1310, si sovrappone in parte con la discesa di
Enrico (o Arrigo) VII in Italia.
- Inferno e Purgatorio: rivisti e pubblicati tra 1312 e 1313.
- Paradiso: 1316-1321
Sono cento canti divisi in tre cantiche (Inferno, Purgatorio, Paradiso).
Due visoni diverse
- A. La composizione della Commedia seguirebbe le vicende biografiche e
l’evoluzione ideologica di Dante: nell’Inferno Dante “guelfo” cercherebbe di
riaccreditarsi a Firenze (dopo l’esilio nel 1302 e un iniziale avvicinamento ai
fuoriusciti ghibellini).
- B. La Commedia nasce quando Dante ha elaborato l’idea della necessità
dell’impero (IV trattato del Convivio): già nel I canto dell’Inferno appare
Virgilio come guida, c’è la profezia del veltro ecc.
I sesti canti: politici
Tradizionalmente si leggono in scala:
- Inferno VI: incontro con Ciacco: Firenze
- Purgatorio VI: incontro con Sordello: Italia
- Paradiso VI: incontro con Giustiniano: Impero
Il canto VI del Purgatorio però include tutte queste realtà.
Percezione dell’Italia in Dante e Petrarca
Dante: <<del bel paese là dove’l sì suona>> (Inferno XXXIII 80)
Petrarca: <<Il bel paese/ ch’Appenin parte, e’l mar circonda e l’alpe>> (Canzoniere
146, 13-14).
Vi è un senso di eredità e di continuità della civiltà romana.
Eredità della civiltà romana
- Itali è parola che designa inizialmente una piccola popolazione stanziata nella
parte meridionale della Calabria (italòi).
- I Romani hanno adottato la parola traendola dalle popolazioni della Lega italica
a cui concedono la cittadinanza romana.
- Caratteristica dell’identità italiana è la mancanza di un’unica radice etnica e la
tendenza alla fusione culturale (Eneide).
E’ quindi un concetto di natura culturale e non etnica. “Questo mito delle origini si
collega alla mentalità inclusiva dei romani e alla stessa inconsistenza etnica del nome
geografico dell’Italia, che copriva tante popolazioni eterogenee: le quali non
equivalevano a pietruzze isolate ma componevano il disegno di un ricco mosaico
unificato della civiltà romana” (F. Bruni, Italia, p. 62).
Caratteri di Purgatorio VI
- Incontro tra poeti
- Invettiva politica che si rivolge alla Serva Italia
- Testo fondamentale dell’identità italiana
Purgatorio
- Purgatorio: regno in cui le anime di coloro che si sono pentiti possono espiare
le loro colpe per salire al cielo.
- Si tratta di un monte posto agi antipodi di Gerusalemme; sorge in mezzo alle
acque che secondo Dante coprono interamente l’emisfero australe.
- Il monte si è originato a causa della caduta di lucifero: la voragine da lui prodotta
è l’inferno; le terre che si sono ritirate alla sua caduta hanno crato il monte del
purgatorio.
- Sulla sommità del monte si trova il paradiso terrestre: Virgilio abbandona Dante;
compare Beatrice.
Antipurgatorio
- Canti I-X
- Costituisce una sorta di anticamera al purgatorio: qui si trovano le anime che
hanno tardato a pentirsi.
L’incontro con Sordello
Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
che ne mostrasse la miglior salita;
e quella non rispuose al suo dimando,
ma di nostro paese e de la vita
ci ‘nchiese; e ‘l dolce duce incominciava
<<Mantua…>>, e l’ombra, tutta in sé romita,
surse ver’lui del loco ove paria stava,
dicendo: <<O Mantoano, io son Sordello
de la tua terra!>>; e l’un l’altro abbracciava. (Purg. VI 67-75)
L’Italia per Dante
<<I patrioti del Risorgimento s’infiammavano per quest’episodio, nel quale vedevano
l’auspicio dell’unità e dell’indipendenza italiana, scivolando sul fatto che vi si
nominano l’imperatore Giustiniano e le leggi romane. Oggi è facile osservare che dante
non è un patriota dell’Ottocento né aspira a uno stat nazionale autonomo. Dante è un
patriota del Trecento, e per lui a patria italiana fa parte di una formazione molto più
vasta, sotto il tetto dell’impero universale>>.
Successione di apostrofi, invocazioni
- Vv. 76-90: Italia
- Vv. 91-96: uomini di Chiesa
- Vv. 97-117: imperatore
- Vv. 118-126: Dio
- Vv. 127-151: Firenze
Ci sono quindi diverse realtà a cui Dante si rivolge perché vede tutto come parte di un
unico disegno.
DISPENSA (PP. 40-44)
LETTURA PRIMI VERSI (P. 40)
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello! (vv. 76-78).
Significato di serva
<<Chi sarà che non affermi che il genere umano si trova nella sua migliore
condizione, quando può usare questo principio (la liberà)? Ma gode del massimo
grado della libertà quando è sottoposto al Monarca”. (Monarchia, I XII 7-8). L’Italia
è veramente libera quando è soggetta a un monarca che ne garantisce le leggi.
<<Non donna di provincie, ma bordello>>
- Italia definita <<domina provinciarum>> nel Corpus iuris civilis di
Giustiniano
- Lamentationes 1, 1 <<Quomodo sedet sola civitas plena populo, facta est quasi
vidua domina gentium, princeps privinciarum facta est sub tributo>> (“Ah!
Come sta solitaria la città un tempo ricca di popolo! E’ divenuta come una
vedova, la grande fra le nazioni; un tempo signora tra le provincie è sottoposta
a tributo).

LEZIONE 7 (18/03/2021)
Dante e l’Italia
Di quella umile Italia fia salute [sogg. Il Vetro]
Per cui morì la vergine Camilla
Eurialo e Turno e Niso di ferute (Inferno I 106-8)
Questa è la profezia del veltro, un cane da caccia, che evoca la figura di qualcuno, un
imperatore di solito, che deve liberare, scacciare la lupa, ovvero la cupidigia e l’avidità
della Chiesa. In questo passo Dante cita diversi personaggi dell’Eneide di Virgilio, e
alla base del concetto d’Italia, già nell’Eneide, vi è il concetto di fusione di civiltà e
culture diverse che danno vtia alla nostra patria.
Nei versi “umile” ha un significato morale, che può essere interpretato come sinonimo
di “misera”, altri danno un significato positivo, ovvero un qualcosa che connota l’Italia
in positivo a discapito della superbia di altri stati o altre città.

Nascita di una coscienza linguistica italiana


- Dante (in esilio) scrive il De vulgaris eloquentia, trattato in latino in cui si
propone di mostrare la superiorità del volgare e di definire il “volgare illustre
italiano” (cardinale, aulico, curiale), cioè la lingua adatta allo stile letterario più
elevato
- “aulico” viene da aula, cioè la reggia, e curiale da curia, cioè il luogo dove risiede
il potere giudiziario e politico; ambedue i termini rinviano a una ideale unità
politica italiana, preannunciata e in parte già costituita da una unità linguistica e
culturale.
- Dante ritiene possibile parlare di una lingua di sì, come per il provenzale si parla
di una lingua d’0c e per il francese di una lingua d’oil.

Importanza della novità dantesca


“Dante integra la dimensione dell’Italia geografica con una dimensione nuova: l’Italia
come spazio della lingua letteraria e più esattamente della lingua della poesia illustre e
della canzone” (F.Bruni)
L’unità linguistica e culturale suplisce alla mancanza di unità politica e di un centro a
questo livello.

Una curia dispersa


“Il nostro volgare illustre se ne va pellegrino come uno straniero e trova ospitalità in
umili asili, dato che noi siamo privi di una reggia” (DVE I XVIII 3)
“Se è vero che in Italia non esiste una curia, nell’accezione di una curia unificata –
come quella dei re di Germania-, tuttavia non fanno difetto le membra che la
costituiscono; e come le membra di questa curia traggono la loro unità della persona
unica del Principe, così le membra di questa sono state unite alla luce di grazia della
ragione. Perciò sarebbe falso sostenere che gli italiani mancano di curia, anche se
manchiamo di un Principe, perché in realtà una curia la possediamo, anche se
fisicamente dispersa.
Torniamo al passo del purgatorio e vediamo due terzine dedicate da Dante alla Chiesa.
Purg. VI 91-96
Ahi gente che dovresti esser devota,
e lasciar seder Cesare in la sella,
se bene intendi ciò che Dio ti nota,
guarda come esta fiera è fatta fella
per non esser corretta da li sproni,
poi che ponesti mano a la predella.
Qui Dante si rivolge agli uomini di Chiesa, che dovrebbero disinteressarsi al potere
temporale, lasciando a Cesare (l’imperatore), la guida del cavallo (ovvero l’Italia). Se
vediamo i termini “sella, sproni, predella”, perché sono termini che fanno riferimento
al cavallo e che Dante userà anche in altri passi, stando attento a tutti i termini di quel
campo.
Chiesa-Impero
- Tesi dantesca: necessità dell’indipendenza dei due poteri, che hanno due fini
differenti: Impero → felicità dell’uomo nella vita terrena; Chiesa → felicità
dell’uomo nella vita eterna.
- Il problema è trattato nel De monarchia, trattato in latino diviso in tre libri, nei
quali si afferma la necessità dell’autorità imperiale, la provvidenza dell’impero
romano, la derivazione del potere imperiale da Dio, senza mediazioni.

Purg. VI 97-105
O Alberto tedesco ch’abbandoni
Costei ch’è fatta indmita e selvaggia,
e dovresti inforcar li suoi arcioni,
giusto giudicio da le stelle caggia
sovra ‘l tuo sangue, e sia novo e aperto,,
tal che ‘l tuo successor temenza n’aggia!
Ch’avete tu e ‘l tuo padre sofferto,
per cupidigia di costà distretti,
che ‘l giardin del lo ‘mperio sia deserto.
Qui Dante continua con la figura del cavallo e si rivolge all’imperatore Alberto, sul
quale profetizza un castigo a causa del suo abbandono dell’Italia, fulcro, secondo
Dante, dell’impero. Dante scrive questi versi quando è succeduto ad Albero Enrico VII.

Enrico VII
- Novembre 1308: è eletto re di Germania Enrico di Lussemburgo
- Autunno 1310: Enrico scende in Italia, suscitando l’entusiasmo di Dante e
l’opposizione di Firenze (alleata con padova e Bologna in una lega guelfa)
- 6 gennaio 1311: Enrico VII è incoronato re d’Italia a Milano
- 29 giugno 1312: Enrico VII è incoronato imperatore a Roma; in seguito tenta
invano di assediare Firenze (Dante non partecipa)
- Agosto 1313: Enrico muore all’improvviso.

Purg. VI 106-117
Vieni a veder Montecchi e Cappelletti
Monaldi e Filippeschi, uom senza cura:
color già tristi, e questi con sospetti!
Vieni, crudel, vieni, e vedi la pressura
D’i tuoi gentili, e cura lor magagne;
e vedrai Santafior com’è oscura!
Vieni a veder la Tua Roma che piagne
Vedova e sola, e dì e notte chiama:
“Cesare mio, perché non m’accompagnate?”.
Vieni a veder la gente quando s’ama!
E se nulla di noi pietà ti move,
a vergognar ti vien de la tua fama.
L’invettiva continua.

Purg. VI 118-126
E se licito m’è, o sommo Giove
che fosti in terra per noi crucifisso,
son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
O è preparazion che ne l’abisso
Del tuo consiglio fai per alcun bene
In tutto de l’accorger nostro scisso?
Chè la città d’Italia tutte piene
Son tiranni, e un Marcel diventa
Ogne villan che parteggiando viene.
Dante si rivolge direttamente a Dio, chiamandolo Giove e rifacendosi al mito classico,
La parte fina del canto (vv. 127-138) è rivolta a Firenze, deprecando i fiorentini che
hanno la giustizia nel cuore, ne parlano, ma non la applicano. Inoltre rimprovera la
durata effimera di tutto ciò che riguarda la realtà politica di Firenze, che muta le proprie
membra politiche a causa dei conflitti interni. L’invettiva si chiude con un ulteriore
paragone della realtà politica a una donna, paragonando Firenze a una malata che non
riesce a trovare pace e cerca di allontanare il dolore con un girarsi frenetico nel letto.
Questo chiudere su Firenze è interessante, perché Dante ha lo sguardo comunque
sempre rivolto alla realtà da cui proviene, cioè quella comunale.

Purg. VI 139-151
Atene e Lacedemona, che fenno
l’antiche leggi e furon sì civili,
fecero al viver bene un picciol cenno
verso di te, che fai tanto sottili
provvedimenti, ch’a mezzo novembre
non giunge quel che tu d’ottobre fili.
Quante volte, del tempo che rimembre,
legge, moneta, officio e costume
hai tu mutato e rinovate membre!
E se ben ti ricordi e vedi lume,
vedrai te somigliante a quella inferma
che non può trovar possa in su le piume,
ma con dar volta suo dolore scherma.

Dopo aver parlato di Dante, passiamo a un altro grande autore che compare nella nostra
storia letteraria: Petrarca.

PETRARCA POLITICO: ITALIA MIA

Petrarca è un autore e un intellettuale di portata enorme.


Francesco Petrarca (Arezzo 1304 – Arquà 1374)
- Petrarca è un fiorentino figlio della diaspora dei Bianchi, in quanto il padre era
stato esiliato, proprio come Dante.
- Nasce fuori Firenze e non si sente legato a Firenze, che visita per la prima volta
46 anni, restandoci poco.
- Si forma in un ambiente cosmopolita (Avignone dei Papi), poiché all’inizio del
1300 viene eletto un papa francese, Clemente V, in un tempo in cui vi era molta
tensione tra la monarchia francese e il papato. Clemente V viene eletto al di là
delle alpi, e non metterà mai piede in Italia. Il papa si insedia ad Avignone, città
della Provenza.
- Trascorre l’ultima parte della sua vita nell’Italia del Nord, soprattutto presso
corti signorili.

Petrarca a Milano
- 1353: Petrarca si trasferisce presso i Visconti
- Questa scelta è vista come tradimento da Boccaccio
- Per Boccaccio Petrarca ha tradito la patria (Firenze) per scegliere i tiranni (i
Visconti)
Petrarca politico: un oggetto di dibattito
Dalla fine del Settecento e soprattutto nell’Ottocento Petrarca è stato accusato di:
- Incoerenza
- Opportunismo
- Astrattezza
Le sue scelte di vita e il suo atteggiamento in campo politico sono contrapposti alla
figura di Dante, emblema dell’intellettuale che non si piega ai compromessi e paga in
prima persona per la propria coerenza.
Anche Foscolo fa un parallelo tra Dante e Petrarca, in cui viene esaltata la figura di
Dante e l’opportunismo e il servilismo di Petrarca. Tutti questi però sono buona parte
stereotipi dovuti al tempo in cui vengono scritti.
Petrarca politico
- In realtà Petrarca è costantemente impegnato nella vita del suo tempo
- E’ in contatto con importanti personaggi, interviene in frangenti significativi. Ne
sono una testimonianza i suoi epistolari.
- Ha una visione politica, seppure non affidata a un trattato sistematico come il De
monarchia né destinata a improntare in sé un’opera del respiro della Commedia
Canzoniere
- Titolo autentico: rerum vulgarium fragmenta
- Raccolta poetica composta da 366 testi divisi in due parti
- Autobiografia in versi che intende delineare un percorso di crescita e
conversione
- Tema e nodo fondamentale: l’amore per una creatura mortale: Laura.
Petrarca poeta politico
Nel Canzoniere:
- Tre canzoni: 28, 53, 128;
- Sonetti antiavignonesi: 136, 137, 138
- Altri sonetti: in particolare 27, 103.
Al di fuori del canzoniere:
- Canzone “estravagante”: Quel ch’à nostra natura in sé più degno

Le canzoni politiche dei Rvf


- 28: - crociata. -concordia europea in conflitto con l’Oriente. – destinatario non
nominato
- 53: - Roma. – decadenza, conflitti, speranze. – destinatario non nominato
- 128: - Italia. – guerre fratricide tra signori italiani; truppe mercenarie straniere.
– guerra non precisata
Poesia e occasione storica
- I testi politici petrarcheschi inclusi nei Rerum vulgarium fragmenta non
esplicano l’occasione storica
- I termini storici sono quasi sempre indeterminati
- Contano di più i temi e la loro portata simbolica rispetto alla contingenza politica
LEZIONE 8 (19/03/2021)

Petrarca è costantemente proiettato verso la posterità, e sogna che la sua opera possa
durare, e questo fa si che i suoi riferimenti alla realtà non siano confinati in un tempo
preciso, ma che guadagnino una statura classica, per poter parlare a uomini di epoche
diverse.
Arrivando a parlare di Italia mia, gli studiosi hanno concordato sull’evento che viene
narrato nel testo, ovvero la guerra che si ebbe nel 1344 per il possesso di Parma.
L’occasione probabile di Italia mia
Azzo da Correggio “nel 1344, violando un accordo stipulato con Milano, che
prevedeva, in cambio degli aiuti militari ricevuti al momento della cacciata di Alberto
e Mastino, la cessione di Parma ai Visconti dopo quattro anni, aveva venduto la città a
Orbizzo d’Este, provocando una guerra tra Milano e Ferrara, a cui Petrarca assiste, tra
Milano e Ferrara che si era conclusa soltanto nel settembre del 1346 con il passaggio
di Parma sotto il vessillo dei Visconti. Petrarca fugge da Parma e va a Cremona,
riscoprendo dei codici di Cicerone importantissimi per l’Umanesimo. Questi codici
consentono a Petrarca una conoscenza più approfondita di Cicerone e gli fanno
sviluppare una epistolografia, quando la lettera diventa uno strumento per parlare di
qualsiasi argomento.
Passiamo a Italia mia
DISPENSA (PP. 49-54)
Serie di invocazioni
- All’Italia (vv. 1-6)
- A Dio (vv. 7-16)
- Ai signori che si combattono tra loro (resto della canzone)
LETTURA DEL TESTO
Affinità rispetto a Dante
- Personificazione femminile dell’Italia (bel corpo)
- Italia lacerata da divisioni interne; v. 2 “piaghe mortali”; vv 55-56: “Vostre
voglie divise / guastan del mondo la più bella parte”.
- Italia come luogo prediletto da Dio: v. 9 “Tuo dilecto almo paese”.
In Petrarca non troviamo l’inquadramento dell’Italia nell’Impero, ma ne ritroviamo la
lacerazione interna.
La nozione culturale di Italia in Petrarca
Elemento fondamentale: idea dell’eredità della civiltà romana da parte dell’Italia.
- Petrarca non ha in mente un programma politico che porti all’unificazione
dell’Italia.
- A differenza di Dante però la sua prospettiva non è comunale né
sovrannazionale.
- L’Italia non è vista come parte di qualcos’altro, ma ha una sua unità e una sua
autonomia sia naturale (geografica) sia soprattutto storica e culturale.
Italia mia: primi versi
Italia mia, benchè’l parlar sia indarno
A le piaghe mortali
Che nel bel corpo tuo si spense veggio,
piacemi almen che’ miei sospir’ sian quali
spera ‘l Tevero et l’Arno,
e’l Po, dove doglioso et grave or seggio

PARAFRASI SULLA DISPENSA (P. 49)

La posizione del poeta


- Il poeta si pone come una guida morale, prima che politica
- Vuole far vedere ai signori d’Italia i loro errori (vv. 23-25)
- I signori sono i nemici di loro stessi (vv. 26-27, v. 36)
- La condizione dell’Italia dipende dalle loro colpe (vv. 54-56)
- Discorso carico di pathos e molto mosso, con un andamento a tratti franto e
un’argomentazione a volte ellittica.
Quello di Petrarca in questi versi è un discorso che spesso fa nelle sue opere morali:
l’uomo è primo nemico di se stesso, circondandosi di beni effimeri che si rivelano poi
i suoi mali.
Gli errori dei signori
I signori credono che i soldati tedeschi possano combattere con reale impegno:
combattono per denaro, si arrendono facilmente e si dedicano appena possono a
saccheggi e devastazioni (vv. 20-25; 60-62; 65-67).
➔ L’Italia è inondata di barbari e le persone umili soffrono per le guerre e per le
azioni dei mercenari
“Furore” dei barbari vs “valore” degli italiani
- I signori italiani attribuiscono una superiorità militare ai mercenari tedeschi:
anche questo è un errore (vv. 76-80)
- III e IV stanza: Roma aveva dominato le popolazioni germaniche.
- Gli italiani possono recuperare l’antico valore e sconfiggere il furore che
caratterizzerebbe i barbari: la loro è pura violenza, priva della virtus
caratteristica el “latin sangue gentile”.
LETTURA ULTIMA STANZA DELLA CANZONE (PP. 53-54)
Il congedo di Italia mia
- Il poeta invita la canzone a muoversi con prudenza: la realtà attuale è dominata
da vizi contrari alla verità di cui il testo è portatore.
- Il messaggio finale del testo si risolve in una triplice invocazione di pace.

IL CANZONIERE (RERUM VULGARIUM FRAGMENTA) DI FRANCESCO


PETRARCA

Abbiamo già detto qualcosa riguardo a quest’opera, come sul titolo originale. Vediamo
di inquadrare meglio il secondo capolavoro dopo la Commedia di Dante.
Un elemento non secondario è il fatto che di quest’opera noi possediamo in parte il
codice autografo, ovvero di mano dell’autore stesso dell’opera. Il codice si trova nella
Biblioteca Apostolica Vaticana sotto il nome di Vat. Lat. 3195.
Autografo
- Prima grande opera della letteratura italiana, insieme al Decameron di
Boccaccio, per la quale possediamo l’originale del poeta, Vat. Lat. 3195
(autografo e idiografo).
- Manoscritto autografo: manoscritto di un’opera di mano dell’autore stesso.
- Manoscritto idiografo: manoscritto di un copista che lavora sotto la sorveglianza
dell’autore.
Un’opera in divenire
Possediamo anche:
- Gli abbozzi di una sessantina di testi di Petrarca
- Alcune redazioni intermedie del canzoniere
Siamo quindi stati in grado di ricostruire l’iter compositivo dell’opera.
Consistenza e partizione dei Rvf
- 366 testi: 365 + 1, come i giorni di un anno più uno (il sonetto proemiale) o come
i giorni di un anno bisestile (es. 1348, anno della morte di Laura)
- La raccolta è divisa in due parti: 1-263 e 264-366
- Nella versione definitiva il primo e l’ultimo testo della prima parte sono sonetti
- Il primo e l’ultimo testo della seconda parte sono canzoni
Vediamo ora la divisione dell’opera
Le due parti
Si dice che il Canzoniere sia diviso in due parti: la parte in vita e la parte dopo la morte.
- La prima parte è “in vita” di laura; la seconda parte è “in morte” di lei
- Tuttavia la seconda parte non si apre con la morte di Laura (son. 267), ma con
una canzone che dà voce a un confitto interiore e al desiderio di cambiare vita.
- Il desiderio di cambiamento è qualcosa che scaturisce dal poeta, anche se a morte
della donna amata sollecita però una riflessione sulla vanità dei beni terreni.
- Alla fine il poeta esprime il proprio pentimento per la vita passata e nell’ultimo
testo (366) leva una preghiera alla Vergine.
Macrotesto
- Il Canzoniere è una raccolta di testi che compongono un macrotesto
- Il significato di macrotesto è superiore alla somma dei significati dei testi che lo
compongono
- I testi poetici acquisiscono nuovi significati grazie alla loro collocazione in una
raccolta, a causa 1) dei rapporti con gli altri testi; 2) dell’inserimento in un
disegno complessivo.
Cosa fa della raccolta di testi un macrotesto?
- Presenza di una volontà ordinatrice e di un disegno
- Proemio che orienta la lettura
- Connessioni tra testi (Santagata: connessioni di “equivalenza”; connessioni di
“trasformazione”)
- Progressione del senso (es. testi di anniversario).
- Elementi di richiamo a distanza che gradiscono coerenza e sviluppo.
Il Secretum
- Dialogo immaginario in tre giorni fra Francesco e Agostino alla presenza della
muta verità
- I due personaggi sono due “anime” dell’autore
- Petrarca dà vita a una rappresentazione del proprio dissidio interiore
- Agostino è la voce della coscienza, che esorta Francesco ad abbracciare una vita
integralmente cristiana
- Per Agostino Francesco dovrebbe liberarsi del desiderio di gloria e dell’amore
per Laura
- L’amore implica perdita del dominio di se stessi
- L’amore per una creatura terrena resta tale, non si deve amare il Creatore per via
della creatura, ma la creatura per via del Creatore
L’amore è quindi visto negativamente.
Il Secretum: la conclusione
- “Sarò presente a me stessi quanto più potrò, e raccoglierà gli sparsi frammenti
della mia anima e dimorerò in me, con attenzione. Ma ora, mentre parliamo, mi
aspettano molte e importanti faccende, benchè ancora mortali.
- “raccogliere i frammenti dell’anima” significa ricomporre un “io” diviso. La
ricomposizione delle tessere a cui era affidata, in modo caotico e disperso, la
registrazione della sua passata esperienza equivale a “restituire l’autore a se
stesso”.

Torniamo ora al Canzoniere.


Leggiamo il primo passo del Canzoniere (Rvf), il proemio.
- Testo proemiale: introduzione all’opera; ne orienta la lettura
- Modello fondamentale: i classici latini (Orazio, Properzio, Ovidio)
DISPENSA (PP. 46-47)
I lettori
- Il pubblico non è individuato precisamente: non si tratta dei fedeli d’Amore
(quelli a cui Dante invia il primo sonetto della Vita nova), di coloro che
condividono una particolare nozione d’amore.
- Il poeta spera di trovare un pubblico sensibile in chi ha sperimentato l’amore:
l’amore è un’esperienza personale soggettiva.
L’io come protagonista
- Qui non si parla della donna amata, ma solo dell’amore provato dall’io del poeta.
- L’io poetico è il centro del testo e si pone come autentico protagonista dell’opera
- Il proemio contiene una riflessione a posteriori sulle rime e ciò che viene
raccontato: è nato dunque più tardi rispetto a gran parte delle rime (idealmente
sarebbe l’ultimo testo)
- L’uomo di oggi è diverso (anche se in parte) rispetto all’uomo di allora
Il giovenile errore
- Deformando in parte la realtà, Petrarca fa coincidere esperienza amorosa e
poesia: risalirebbero alla stessa epoca
- L’amore è stato un errore, un “disordine della ragione”
- L’amore è anche qualcosa che richiede perdono e pentimento: quindi è anche
peccato
- L’amore ha provocato anche sofferenza
La dispersione e la verità
- Le rime sono sparse, termine che si presta a molteplici interpretazioni: autonome
l’una all’altra; originariamente disperse, diffuse singolarmente; “Disseminate
lungo un arco temporale lungo”
- Sparse ha sicuramente implicazioni morali: le rime sono segno di una
dispersione del soggetto, della sua mancanza di unità.
- Varietà stilistica: le rime riflettono una varietà di stati d’animo, le oscillazioni di
un soggetto che non trova stabilità e che si dibatte tra speranze e dolore.

LEZIONE 9 (22/03/2021)

LA DISPENSA VA CONOSCIUTA INTEGRALMENTE. PER QUANTO


RIGUARDA LA PARAFRASI, SARA’ IL PROFESSORE CHE DIRA’ QUALI
PARTI PARAFRASARE ECC.

BOCCACCIO
Dopo aver visto Petrarca, parliamo di un altro grandissimo autore del ‘300: Giovanni
Boccaccio e del suo Decameron.
Boccaccio nasce probabilmente a Firenze nel 1313, figlio di Boccaccio di Chellino, di
professione mercante. Nell’autunno del 1327 il padre si trasferisce a Napoli quale
funzionario dell’agenzia bancaria dei bardi, facoltosi finanziatori del re Roberto
d’Angiò, il figlio lo segue per essere avviato alla pratica della mercatura, assieme allo
studio del diritto canonico. Lì Boccaccio incontra Cino da Pistoia, attraverso cui viene
sensibilizzato alla lettura dei poeti dello stil novo e di Dante. Autore di liriche,
Boccaccio non costituì mai un suo canoniere, ma nei suoi componimenti di rime sparse
si riconoscono gli influssi di Dante, tramite il tema della donna amata che fa accedere
alle sfere celesti, e quello della donna petrosa. La suggestione petrarchesca si individua
nei componimenti di mediazione sul tempo, sulla morte e anche quelli di invocazione
a Dio e alla Vergine.
Le Rime di Boccaccio, caratterizzate dall’eclettismo tematico, svelano un quoziente di
autonomia e di elaborazione più strettamente personale quanto il pretesto poetico
coniuga concretezza e misura realistica, anche se persiste il filtro della tradizione
letteraria. Lo sguardo sensuale attratto dal fascino delle bellezze naturali e delle
bellezze femminili caratterizza la poetica delle soluzioni più originali di Boccaccio
lirico. Il compiacimento per la rappresentazione paesaggistica si ravviva con l’innesto
di malizia erotica nel sonetto a carattere narrativo.
Le difficoltà economiche in cui il padre viene a trovarsi a seguito del distacco dalla
compagnia dei Bardi (1338) costringono il Boccaccio a lasciare Napoli e a rientrare a
Firenze nell’inverno 1340-41. Per presentarsi all’ambiente fiorentino, Boccaccio si
accosta alle direttrici formali e tematiche della letteratura toscana tra Due e Trecento,
come ben si avverte fin dalla sua prima opera dopo il ritorno a Firenze, la Comedia
delle ninfe fiorentine: quest’opera è un prosimetro, proprio come la Vita nova di Dante,
e ha come motivo centrale la forza purificatrice dell’amore, in pieno filone
stilnovistico.
Il Filocolo
Non l’ispirazione lirica, ma la dimensione narrativa rappresenta la reale vocazione di
Boccaccio scrittore; e lo attesta molto bene la sua prima opera importante, il Filocolo:
un lungo romanzo, articolato in cinque parti, scritto tra il 1336 e il 1338. Questo
romanzo racconta in una prosa d’arte lavorata e preziosa le disavventure e le peripezie
amorose di Florio e Biancifiore che, innamorati e costretti a separarsi per volontà dei
genitori di lui, alla fine si ricongiungono e si sposano.
Il Filocolo, assume un significato che oltrepassa quello di documento letterario
dell’esperienza umana e della formazione intellettuale di Boccaccio, perché si
configura da ultimo come un testo rappresentativo di un’operazione culturale diretta a
congiungere le due “anime” della cultura della corte angioina, in cui Boccaccio si era
formato: una cultura “alta”, scientifica, naturalistica, erudita, e una cultura “bassa”, di
svago, mondana, affascinata dai versi d’amore e dalle prose dei romanzi. Il progetto di
Boccaccio è quello di saldare i due poli e di approdare a una letteratura “mezzana”,
conciliando l’invenzione narrativa con il sapere, nell’ambizione di amalgamare e
richiamare a un unico ambito d’interesse due fasce di pubblico fino allora nettamente
separate: i dotti e le donne.

GIOVANNI BOCCACCIO: IL DECAMERON


Boccaccio è molto rilevante per l’affermarsi di una tradizione in volgare e di aver dato
piena dignità a una letteratura in volgare, dedicando gran part della propria esistenza
ad accrescere il prestigio del volgare e a fondarne una tradizione, anche grazie al culto
dantesco. Importantissima per gli sviluppi successivi è anche la sua amicizia con
Petrarca, che si incontrano e dialogano tra loro nel ‘300, dando vita allo sviluppo
culturale e letterario nel loro tempo e nelle epoche seguenti.
Noi ci concentriamo sul Decameron, cambiando anche genere rispetto a quello di cui
ci siamo occupati adesso.

IL DECAMERON E LA NARRATIVA

Parliamo di narrativa, ovvero di prosa, testi non poetici, scritti con l’intento di narrare,
di raccontare. Ci troviamo infatti davanti al primo maestro della narrativa della
letteratura italiana. Boccaccio usa la novella nella sua opera.
Il genere della novella
- Boccaccio è il codificatore del genere, non il suo inventore; gli conferisce dignità
letteraria
- Questa attitudine si ritrova in diverse sue opere, come i poemi Filostrato e
Teseida (due opere giovanili), che probabilmente riprendono la forma metrica
dell’ottava dai cantari (poeti che recitavano le loro storie sulla pubblica piazza),
dando dignità a un genere popolare.
Importanza di Boccaccio
Boccaccio è il primo a tentare con piena coscienza individuale il riscatto della
“novella” dalla condizione di sottoprodotto letterario, per elevarla sul piano della
grande arte; il primo a liberare la tradizione narrativa medievale dal suo carattere
episodico e disorganico, e a servirsi della “novella” come strumento per una nuova
interpretazione totale e unitaria dell’uomo e del mondo.
La narrativa breve medievale
1) Narrazioni biografiche: santi (agiografia), uomini illustri, trovatori
2) Aneddoti
3) Narrazioni di registro comico, tra cui i fabliaux
4) Storie di maggior sostenutezza espressiva, talvolta a contenuto tragico, come i
lais
5) Gli exempla, a contenuto edificante
6) Fiabe animali
La tradizione medievale della narrativa breve
- Questa tradizione è solitamente anonima. Passa da persona a persona senza
l’imprimatur dell’autore,
- La narrativa breve spesso non era destinata alla circolazione autonoma (es.
predicazione)
Lo sviluppo della narrativa breve
- Nell’Italia del Duecento si assiste a uno sviluppo della narrativa breve, che può
essere connesso all’urbanizzazione e alla nascita di un conflitto culturale tra
religiosi e laici
- La predicazione comporta l’uso di racconti che hanno funzione esemplare
- Lo sviluppo dei comuni comporta la nascita di un ceto di funzionari e politici
che fanno della comunicazione un’arma decisiva

LA STRUTTURA DEL DECAMERON: I LIVELLI (O CERCHI


CONCENTRICI)
Il capolavoro della narrativa in forme brevi della letteratura italiana, il Decameron,
viene scritto e ordinato dal Boccaccio tra il 1349 e il 1351. Il titolo del libro richiama
la lingua greca, alla maniera di alcune opere del periodo napoletano, come Filocolo e
Filostrato, ed è ricalcato sul Hexameron (sei giornate) di Sant’Ambrogio.
Raccolte e racconti
Boccaccio aveva davanti a sé diversi esempi di raccolta di racconti, specie di origine
orientale:
- Tipologia basata sul dialogo e sull’insegnamenti (Calila e Dimna)
- Tipologia basata su uno schema narrativo per cui i racconti sono narrati da
qualcuno che cerca di differire un pericolo (Mille e una notte, Libro dei sette
savi)
Entrambe queste tipologie sono presenti nel Decameron di Boccaccio: il poeta scrive
per narrare a chi ascolta degli insegnamenti, se ben meno complessi, e sia per
allontanare da sé un pericolo, in quel caso la peste del 1348.
Il libro
- Raccolta di cento novelle distribuite in dieci giornate (cento come i canti della
Commedia). Possiamo parlare anche qui di macrotesto
- Come il Canzoniere di Petrarca, è una raccolta organizzata di testi di per sé
autonomi in cui la dimensione strutturale è parte integrante del significato.
Microtesti → Macrotesti
Livelli (o cerchi) della narrazione nel Decameron
- Primo Livello: l’autore prende la parola in prima persona per parlare della
propria opera: Proemio, introduzione alla IV giornata, Conclusione.
- Secondo Livello: “cornice” o “novella portante”: racconto che riguarda i dieci
narratori delle novelle.
- Terzo Livello: le cento novelle: dieci per dieci giornate, distribuite secondo una
suddivisione tematica precisa, che però lascia spazio anche alla libertà (nella I e
nella IX giornata e nel caso di Dioneo).
Manoscritto autografo
- Ms. Hamilton 90: codice del Decameron, la cui natura autografa è stata
riconosciuta solo tardi e dopo un lungo dibattito
- Boccaccio cura l’impaginazione e la veste grafica in modo tale che siano chiari
i diversi livelli dell’opera
TITOLO E SOTTOTITOLO

Inizio e fine
Comincia il libro chiamato Decameron cognominato prencipe Galeotto, nel quale si
contengono cento novelle in diece dì dette da sette donne e da tre giovani uomini
Qui finisce la Decima e ultima giornata del libro chiamato Decameron cognominato
prencipe Galeotto

Paratesto
In critica letteraria, l’insieme di produzioni, verbali e non verbali, sia nell’ambito de
volume stesso (quali il nome dell’autore, il titolo, una o più prefazioni, le illustrazioni,
i titoli dei capitoli, le note), sia all’esterno del libro (interviste, conversazioni,
corrispondenze, diari..), che accompagnano il testo vero e proprio e ne guidano il
gradimento da parte del pubblico.
“Il libro chiamato Decameron cognominato prencipe Galeotto”
Decameron: il titolo ricalcato sull’Hexaemeron di sant’Ambrogio, che raccontava la
creazione dell’Universo in sei giorni.
“Come lì il santo parafrasava e commentava il racconto biblico della Genesi, dove si
racconta la creazione dell’universo culminante con l’appropriazione dell’uomo
nell’Eden, così Boccaccio propone nel suo libro la “ricreazione” del mondo civile da
parte di una cellula sociale, piccola ma rappresentativa della cultura cittadina,
provvisoriamente rifugiatasi in un giardino”.
Prencipe Galeotto: “…Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse” (Dante, Commedia, Inf. V
127-138). Galeotto è il personaggio che favorisce l’amore tra Lancillotto e Ginevra, e
nell’Inferno di dante è il libro che suscita l’amore tra Francesca e Paolo e che li porta
alla morte.
- Galeotto: personaggio che favorisce l’amore adulterino tra Lancillotto e Ginevra
- Sorgono dubbi interpretativi: Vuol dire che è un libro che favorisce l’amore?
Vuol dire che chi lo legge deve prestare attenzione, non facendosi irretire dalla
finzione letteraria come Paolo e Francesca?
La dedica
- Nel Proemio l’opera è dedicata alle donne
- Boccaccio presenta questo come un atto di gratitudine per la compassione che
ha ricevuto e che lui ora riversa sulle donne, che ne hanno bisogno
- Selezione: donne che non sono costrette a lavorare e che hanno tempo da
dedicare ai pensieri amorosi
- Protagonismo femminile: grande novità del Decameron, visibile a tutti i livelli
del libro.

LA “CORNICE”

Secondo livello: la “cornice”


- “Cornice”: termine che rischia di dare un’eccessiva idea di staticità
- In realtà vi è un rapporto dinamico e complesso tra la brigata dei narratori e le
novelle
Novelle e senso complessivo del Decameron
- Novella: forma di narrazione breve che si distingue dall’exemplum in quanto
non ha finalità edificante
- Nel Decameron manca un punto di vista univoco; la struttura stessa dell’opera è
concepita come uno spazio aperto al dialogo e al confronto
- Boccaccio attua una serie di strategie invettive e retoriche che contribuiscono a
purificare le novelle.
L’ “orrido cominciamento”
- Introduzione alla I giornata: descrizione della peste del 1348
- Racconto che ne mette in luce: la genesi, la fenomenologia, le conseguenze.
L’orrido comiciamento ha il dovere anche di far risaltare il contrasto con le novelle e
la loro bellezza, il loro conforto.
Un inizio “infernale”
- 1348: Boccaccio (nato nel 1313) è nel mezzo del cammino della sua vita
- Come il suo più immediato e diretto precedente, la selva dantesca, la peste è il
male, un male nello stesso tempo individuale e sociale
- Gli anni Quaranta del Trecento sono stati anche anni di forte crisi per la società
fiorentina
- La strada verso la salvezza passa attraverso lo smarrimento
Significato della peste
La pestilenza ha implicazioni notevoli sul piano morale e sociale:
- Perdita della misura da parte di molte persone
- Dissoluzione dei valori che garantiscono la tenuta sociale
- Crollo dell’autorità delle leggi
- Mancata cura dei parenti
- Perdita del senso del pudore
- Venir meno del culto dei morti
L’ “onesta brigata”
- Su impulso di Pampinea “la rigogliosa) sette giovani donne decidono di fuggire
da Firenze, dove ormai non è più possibile vivere onestamente
- Le donne trovano tre giovani uomini (a cui sono legate da affetti o parentela)
che si uniscono a loro
Nomi fittizi
- I dieci giovani hanno nomi di finzione
- Questi nomi sono spesso legati a opere letterarie, soprattutto dello stesso
Boccaccio
- Boccaccio dice che i dieci giovani sono reali, ma che ha novuto dare loro nomi
finti
- La scelta compiuta dai dieci giovani va al di là delle convenzioni
- Nel disfacimento della società i dieci giovani trovano in se stessi la norma per
vivere
Ordine e armonia nella brigata
- Spazio della campagna: natura e opera dell’uomo convivono
- Allontanamento delle notizie negative
- Vita regolata da precise pratiche quotidiane
- Disposizione in cerchio dei giovani, equidistanti dal centro
- Assunzione a turno del ruolo di re o regina. C’è quindi l’idea di un’autorità, che
però al tempo stesso è a rotazione tra tutti.
La scelta delle novelle come passatempo
- Le ore più calde della giornata sono dedicate al racconto di novelle
- Occupazione preferita al gioco, che importa uno squilibrio: vincitori e vinti
- La parola diviene tramite per la ricostruzione della società perduta
Il giardino
“Si tratta di uno spazio ricco di risonanze letterarie e mitologiche, a partire dal giardino
dell’Eden sino ai ben più concreti giardini dei semplici dei conventi. Esso è infatti al
tempo stesso il luogo dell0esclusività e uno spazio lavorativo”

LA STRUTTURA DEL DECAMERON: LE GIORNATE

Due settimane
- I giovani trascorrono due settimane in contado
- Ogni settimana due giorni trascorrono senza racconto delle novelle: venerdì,
pratiche devozionali; sabato, pratiche igieniche.
Temi delle giornate
- I e IX giornata: a tema libero
- II giornata: esito positivo i situazioni difficili grazie all’intervento della fortuna
- III giornata: acquisizione o ritrovamento di un oggetto desiderato grazie alla
propria “industria”
- IV giornata: amori con finale tragico
- V giornata: amori con finale felice
- VI giornata: novelle di motto, che si risolvono in una battuta pronta da parte di
un personaggio
- VII giornata: beffe compiute dalle donne a danno dei loro mariti
- VIII giornata: beffe in generale
- X: giornata: esempi di magnificenza
Dioneo (da Dione, madre di Venere): personaggio che ottiene di essere libero nella
scelta della novella che racconta.
Alla fine di ogni giornata un personaggio a turno intona una ballata.
Novelle e senso complessivo del Decameron
- Vittore Branca idea di una struttura ascensionale, dal personaggio di ser
Cepparello a Griselda
- In realtà tra questi due estremi si trova la rappresentazione dell’estrema varietà
dei comportamenti umani e delle situazioni possibili
- Altra proposta (Pamela Stewart): individua il centro dell’opera nella novella di
madonna Orietta (VI 1), che parla proprio dell’arte di narrare

LA NATURA DELL’AMORE

Forze che agiscono nel Decameron


- Fortuna: ciò che si sottrae al controllo dell’essere umano
- Ingegno: capacità di volgere le situazioni a proprio vantaggio
- Amore: forza che agisce lungo tutto il Decameron e di cui si esplora l’intera
gamma delle declinazioni. E’ un impulso naturale dell’essere umano.
Introduzione alla IV giornata
- Boccaccio prende parola per rispondere ad alcune critiche che avrebbe ricevuto
- Le critiche hanno a che fare con il ruolo privilegiato dato alle donne e con la
preferenza per una forma letteraria considerata di livello basso
- Boccaccio risponde innanzitutto con una novella, che definisce “non intera”
(forse perché priva della “cornice”).

LEZIONE 10 (25/03/2021)

Oggi chiudiamo il discorso su Boccaccio.


Novella delle papere
La novella raccontata da Boccaccio ha numerosi antecedenti possibili: lo schema
narrativo si ritrova tra l’altro negli Exempla di Giacomo da Vitry (XII-XIII sec.), nella
Legenda aurea di Iacopo da Varazze (XIII sec.), nelle prediche di Odo di Sheriton
(XII-XIII sec.), anche nel Novellino.
Il Novellino
- Il codice più antico (contenente 123 testi) raca il titolo Libro di novelle e di bel
parlar gientile
- A raccolta in un altro manoscritto della fine del Duecento si compone di cento
novelle
- Il titolo Novellino viene attribuito da Giovanni della Casa in una lettera del 1525
a Carlo Gualteruzzi, curatore della editio princeps
- I racconti, pur essendo in genere molto scarni, anticipano sotto diversi aspetti il
Decameron
- Si tratta probabilmente del “primo successo della narrativa laica breve destinata
alla scrittura, del tutto differente dalla destinazione orale degli exempla”
Dal Novellino al Decameron
“Attualizzazione della storia, dilatazione della zona iniziale del racconto destinata alla
descrizione esplicativa, con puntuale ricostruzione delle coordinate storiche e
geografiche della vicenda e attribuzione ai personaggi di cifre atte a spiegarne il
comportamento, espunzione delle motivazioni esterne e meccaniche e introduzione di
motivazioni “realistiche” o credibili.”
LETTURA SULLA DISPENSA DELLA VI NOVELLA (PP. 55-61)
L’amore nel Decameron
- Varietà e pluralità (amore comico, tragico, sensuale, erotico, sentimentale,
nobile..)
- Amore come impulso naturale può essere controllato e indiretto, ma non
represso
- Attenzione di Boccaccio per le dinamiche sociali (squilibri, differenze di età,
logiche matrimoniali) e psicologiche
- Donna come protagonista: intraprendenza, capacità di ottenere ciò che desidera,
eloquenza
- Varietà dei tipi femminili sotto diversi punti di vista

SPAZIO E SOCIETA’ NEL DECAMERON

I luoghi del Decameron


“I luoghi elencati nel Decameron, tra reali e immaginari, sono ben 163, e molti hanno
più di un’occorrenza. […] ben settanta novelle si svolgono fuori dal territorio di
Firenze, e cinquantotto fuori dalla Toscana; l’Italia è molto ben rappresentata,
soprattutto Napoli, ma abbiamo novelle ambientate anche a Siena, Venezia, Bologna,
in Romagna e in Sicilia
Il viaggio
- In quaranta novelle è presente un viaggio a media o a lunga gittata. In quasi la
metà delle opere, dunque, uno spostamento dal luogo d’azione incide, a volte
pesantemente, nella vicenda narrata
- Boccaccio privilegia un’ottica decisamente realistica, basata sulle pratiche
mercantili più che sulla geografia classica o sull’odeporica medievale
Gli ambienti sociali
- Boccaccio presta grandissima attenzione alla caratterizzazione sociale dei
personaggi e a forze concrete, come il potere e il denaro
- Nel Decameron vengono messi in scena molti ambienti, con particolare risalto
per tre classi: membri del mondo mercantile e finanziario, nobili e religiosi (in
particolare frati e monaci)
L’ “epopea dei mercatanti”
- Definizione di vittore Branca
- Utile soprattutto per cogliere l’atteggiamento mentale di Boccaccio nei confronti
del mondo e della società, la sua attenzione ai livelli sociali e al denaro, la sua
esaltazione della prontezza, della scaltrezza, dell’ingegnosità, del calcolo, della
razionalità ecc.

I valori cavallereschi
- Altri studiosi mettono in risalto l’importanza assegnata ai valori cortesi come
base per una rifondazione del mondo scosso dalla peste
- In realtà Boccaccio mostra la capacità di contemperare e fondere valori diversi,
che non si escludono necessariamente a vicenda
Novella di Federigo degli Alberighi
- Collegamento alla novella precedente
- Richiamo a un’auctoritas ed elogio delle qualità che contraddistinguono l’arte
del raccontare
- Mondo cittadino che imita le pratiche tipiche della cavalleria
- Personaggi contrassegnati da nobiltà d’animo, decoro e dignità
- Falcone: ultimo segno della nobiltà di Federigo
- Generosità spontanea di federigo
- Attenzione alle convenzioni sociali, cura nel parlare
- Entrambi i personaggi perdono ciò a cui tengono di più
- Finale: elogio ai valori superiori alla ricchezza
- Al contempo: necessità di Federigo di diventare miglior massaio delle proprie
ricchezze
NOVVELLA DI FEDERIGO NELLA DISPENSA (PP. 62-71)

L’UMANESIMO

L’Umanesimo è la cultura che si sviluppa dalla fine del Trecento e inizio Quattrocento
in particolare in Italia e poi in tutta Europa.
Il Quattrocento: i fenomeni salienti
A) Umanesimo:
- Primato del latino e della cultura classica (prima metà del secolo)
- Introduzione del greco (prime cattedre, concilio di Ferrara e Firenze 1438-1442;
caduta Impero Romano d’Oriente: 1453)
- Incontri e scambi tra letterati (spesso riuniti in accademie)
- Umanesimo volgare (seconda metà del secolo): recupero e legittimazione della
tradizione volgare
B) Invenzione della stampa (primo libro: la Bibbia di Gutenberg: 1454)
C) Corti come centri propulsori della cultura letteraria
Studia humanitatis
Il termine Umanesimo in sé e per sé è piuttosto recente: fu coniato in Germania
nell’Ottocento dal pedagogista Friedrich Immanuel Niethammer, che lo derivò dalla
parola humanista, utilizzata nel gergo cinquecentesco delle università per indicare
colui che si occupava, insegnante o studente che fosse, di discipline letterarie. Il
lemma humanista era a sua volta derivato dall’espressione
antica studia humanitatis (ossia «discipline relative all’umanità»), che i dotti
italiani di fine Trecento avevano desunto dai testi di Cicerone e del grammatico Gellio,
nei quali essa compariva a indicare l’educazione ‘liberale’, di tipo letterario e
filosofico, conveniente all’uomo ‘libero’
Gli Studia humanitatis
Chiamiamo liberali quegli studi che sono convenienti a un uomo libero; sono quelli
attraverso i quali la virtù e la sapienza si esercitano e si ricercano, e attraverso i quali
il corpo e l’animo si dispongono alle cose migliori […]
Sempre grande è il frutto delle lettere, per ogni tipo di vita e per ogni genere di uomini;
in particolare per gli amanti delle lettere, per l’acquisto della conoscenza, e per
la formazione del loro abito e per richiamare la memoria dei tempi passati
Umano
“Homo sum: humani nihil a me alienum puto” (Terenzio) → “Io sono un uomo e non
ritengo che nulla di umano sia estraneo a me”
“..che c’è in quei versi che debba ritenersi solo cristiano e non piuttosto umano e
comune a tutte le genti?” (Petrarca, Seniles II 1) → Una lettera di Petrarca a Boccaccio
in cui si lamenta di aver ricevuto critiche per a sua opera “Africa” e dice di aver messo
in bocca al suo personaggio dele parole che sono umane.
Nei classici antichi che precedono l’avvento del cristianesimo, si possono trovare dei
valori che sono validi ancora oggi.
“Umana cosa è aver compassione degli afflitti” (Boccaccio, Decameron, Proemio 2)
Definizione di umanesimo
“In termini strettamente storiografici, l’umanesimo fu un movimento letterario,
culturale, artistico e ideologico sviluppatosi in Italia tra la seconda metà del XIV secolo
e i primi anni del XV, che si caratterizzò essenzialmente come un ritorno allo studio
sistematico capillare, elevato a punto cardinale d’interesse e di analisi,
dell’antichità classica, del patrimonio greco-latino in tutte le sue dimensioni e
articolazioni, e in opposizione – aggressiva in quanto militante – alla
filosofia scolastica, la logica e la teologia imperanti fin dal XII secolo nelle università
dell’Europa centrale e settentrionale, in particolare Parigi e Oxford, ma anche in alcuni
centri del Nord Italia
Preumanesimo
- Il primo nucleo della sensibilità umanistica è ormai riconosciuto a Padova, tra
fine del Duecento e inizio Trecento, dove dominano le figure di Lovato Lovati
e Albertino Mussato
- Non a caso a Padova si installa Petrarca nell’ultima parte della sua vita
- Già in Dante si possono vedere segni del culto per il mondo antico.
Petrarca padre dell’Umanesimo
- Riscoperta dell’antichità, ritrovamento di opere dimenticate, messa a punto di
tecniche volte a ricostruire la veste originale dei testi e delle vicende storiche
- Nuova visione del sapere e dell’educazione: primato dato alla parola umana, alla
filosofia morale, alla storia
- Importanza attribuita ad alcune forme testuali (es. l’epistola) consentanee a
questa visione
Umanesimo fiorentino
- Il primo umanesimo a Firenze ha un carattere spiccatamente vivile
- In particolare si segnalano le figure di Coluccio Salutati (1332-1406) e Leonardo
Bruni (1370-1444), impegnati nel governo della città come cancellieri
Umanesimo movimento plurale
- Sono riconoscibili orientamenti e prospettive diverse dell’umanesimo: ad es.
umanesimo laico e umanesimo cristiano; umanesimo repubblicano e umanesimo
cortigiano
- Risulta difficile individuare una visione e un insieme di valori unitari
- La riscoperta dell’antico porta comunque con sé la rivalutazione di aspetti della
civiltà pagana nuovi e a volte contrastanti con la fede cristiana: vengono
rivalutati il corpo, il piacere, la vita attiva..
- Si sviluppa una letteratura che afferma la dignità dell’uomo in opposizione a
testi come il De miseria humanae conditionis
Ritrovamento delle opere antiche
- 1345: Petrarca ritrova nella Biblioteca Capitolare di Verona le lettere di Cicerone
- Dopo Petrarca il più grande scopritore di testi antichi è Poggio Bracciolini
(1380-1459), che grazie a viaggi compiuti in quanto funzionario papale ritrova
molte opere, tra cui numerose orazioni di Cicerone, opere di Quintiliano e
Lucrezio.
LETTERA DI POGGIO BRACCIOLINI NELLA DISPENSA (PP. 72-74)

LEZIONE 11 (26/03/2021)

Lorenzo Valla (1405-1457)


- Figura centrale nell’umanesimo, sviluppa in massimo grado la filologia e la
conoscenza della lingua latina ed elabora nel De vero bono un tentativo di
conciliazione di epicureismo e cristianesimo
- Esempio estremamente significativo: la De falso credita ed ementita Constantini
donatione Declamatio (1440): Valla dimostra la falsità di questo documento,
mettendo in luce attraverso l’analisi filologica l’impossibilità degli usi linguistici
presenti nel Constitutum.
Valla è inoltre autore di un’altra opera: “Elegantie latine lingue”
Le Elegantie latine lingue
“Le Elegantie sono un denso trattato teorico che si propone di restaurare la latinitas, il
“genio della lingua”, l’usus dei prosatori e non la licentia dei poeti, il latino nelle sue
strutture corrette e autentiche.
Valla propone una sorta di storia della civiltà attraverso la lingua latina, che tocca molti
campi (es. teologia, metafisica, diritto)
La prefazione di quest’opera celebra la lingua latina e la sua dignità: la lingua è stato
un mezzo di diffusione di una civiltà, con le sue leggi, le sue arti, le sue tecniche ecc.
Il proposito che quindi Valla si prefigge, è quello di recuperare la purezza originaria
del latino.
Leon Battista Alberti (1404-1472)
- Personaggio straordinariamente eclettico: camaleonte
- Si fa promotore della piena valorizzazione e legittimazione del volgare,
attraverso diverse iniziative
- E’ autore della prima grammatica di una lingua volgare moderna, la cosiddetta
Grammatichetta, o Grammatica della lingua toscana
- La stessa idea compare nella stesura del prologo al terzo dei Quattro libri della
famiglia, che riflette l’idea della piena dignità del volgare
- La promozione del volgare ha il suo apice nel Certame coronario del 1441
I Libri della famiglia
- Dialogo in volgare in quattro libri dedicato a vari aspetti dell’istituto famigliare
(educazione dei figli, matrimonio, economia, relazioni sociali della famiglia)
- Quale struttura dialogica, la famiglia si rifà alla tradizione ciceroniana, dalla
quale riprende elementi dell’ambientazione e del modo di conversare dei
personaggi, punteggiato da motti, scherzi, digressioni con funzione di
alleggerimento, in un’atmosfera di gradevole conversazione familiare
I problemi del libro III
- La perdita della lingua latina è stata un danno maggiore rispetto a quello
dell’impero
- La causa della perdita del latino è da ritrovare nelle invasioni barbariche e nel
mescolarsi con altri popoli
- Il latino era la lingua d’uso anticamente, e non solo lingua dei dotti
- Dunque non commette alcun errore chi oggi usi la lingua volgare
Dal proemio al libro III
“Ben confesso quella antiqua latina lingua essere copiosa molto e ornatissima, ma non
però veggo in che sia la nostra oggi toscana tanto d’averla in odio, che in essa
qualunque benché ottima cosa scritta ci dispiaccia. A me par assai di presso dire quel
ch’io voglio, e in modo ch’io sono pur inteso, ove questi biasimatori in quella antica
sanno se non tacere, e in questa moderna sanno se non biasimare chi non tace. E sento
io questo: chi fusse più di me dotto, o tale quale molti vogliono essere riputati, costui
in questa oggi commune troverrebbe non meno ornamenti che in quella, quale essi tanto
prepongono e tanto in altri desiderano. Né posso io patire che a molti dispiaccia quello
che pur usano, e pur lodino quello che né intendono, né in sé curano d’intendere.
Troppo biasimo chi richiede in altri quello che in sé stessi recusa. E sia quanto dicono
quella antica apresso di tutte le genti piena d’autorità, solo perché in essa molti dotti
scrissero, simile certo sarà la nostra s’e’ dotti la vorranno molto con suo studio e vigilie
essere elimata e polita. E se io non fuggo essere come inteso così giudicato da tutti e’
nostri cittadini, piaccia quando che sia a chi mi biasima o deponer l’invidia, o pigliar
più utile materia in qual sé demonstrino eloquenti”.
Il rapporto tra latino e volgare: Due tesi contrapposte nell’Umanesimo
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Alberti è convinto che anche il volgare, come il latino, può essere elegante e raffinata
se i dotti la utilizzeranno. Alberti si impegna con scarso successo di dare dignità al
volgare promuovendo il “Certame coronario” nel 1441 con una gara.

L’ITALIA DEL SECONDO ‘400

A sud troviamo il Regno di Napoli che comprende anche Sicilia e Sardegna. Risalendo
la penisola troviamo lo Stato della Chiesa e la Repubblica di Firenze, a nord il Ducato
di Milano, quello di Savoia e la Repubblica di Venezia.
Italia del secondo Quattrocento
- Rafforzarsi di Stati signorili regionali
- Policentrismo: differenze tra singoli Stati
- Comunicazione tra Stati e spinta verso una cultura comune
- Ruolo determinante delle corti come centri di produzione culturale
- Il letterato è al servizio del signore
- Il pubblico primario è composto dalla corte stessa
- Nella corte si incontrano personaggi di diversa provenienza
Parliamo di uno degli stai più importanti del Quattrocento: la Repubblica di Firenze
LA FIRENZE MEDICEA
Il potere mediceo
- 1434: affermarsi definitivo del potere di Cosimo de’ Medici: le istituzioni
repubblicane formalmente restano intatte, ma di fatto si instaura un regime
signorile
- 1464: Cosimo muore e gli succede il figlio Piero “il Gottoso”
- 1469: il figlio di Piero, Lorenzo, ventenne, diventa di fatto il nuovo signore di
Firenze
- 1492: Lorenzo muore, gli succede Piero “il Fatuo”
- 1494: il regime mediceo viene rovesciato
Giuliano de’Medici
- 1475: Giostra vinta da Giuliano, fratello di Lorenzo
- 1478 (28 aprile): congiura dei Pazzi e morte di Giuliano
- In questo arco di tempo si colloca la composizione delle Stanze per la giostra di
Angelo Poliziano, rimaste incompiute
- 1479: missione di Lorenzo a Napoli
Cultura letteraria e filosofica
- Nell’età di Cosimo il Vecchio: opposizione tra cultura umanistica e cultura
volgare (in cui si riconoscono le famiglie oligarchiche ostili al potere mediceo)
- Nel 1462 Cosimo dona al filosofo Marsilio Ficino la villa di Careggi, che diventa
sede dell’Accademia platonica fiorentina
- Marsilio traduce molte opere di Platone, il Corpus Hermeticum, Plotino,
compone la Theologia platonica
La filosofia di Marsilio Ficino
- Ficino individua in Paltone il depositario di una sapienza antichissima (visione
sincretistica)
- La matrice platonica comporta una svalutazione del mondo terreno e della vita
pratica (allontanamento dall’umanesimo civile)
- L’anima è naturalmente spinta a ricongiungersi al divino
- La bellezza terrena è tramite per elevarsi dalla Terra alla bellezza divina
La letteratura nella Firenze laurenziana
Tre figure principali:
- Luigi Pulci, autore del poema Morgante: poesia giocosa, burlesca, di sapore
popolare; visione della vita legata ai piaceri terreni
- Lorenzo de’ Medici: produzione volgare molto varia, tesa alla rivalutazione della
tradizione in volgare e al suo uso per finalità politiche
- Angelo Poliziano: massima espressione dell’umanesimo filologico; cultura
vastissima; raffinatezza compositiva estrema; capacità di fusione di classici,
grandi modelli volgari, forme e temi della poesia popolare
Il programma culturale di Lorenzo
- Prima età laurenziana: rivalutazione della tradizione in volgare e in particolare
di quella popolareggiante
- 1476-77: Lorenzo compone e dona a Federico d’Aragona, figlio di Ferdinando
re di Napoli, la cosiddetta “Raccolta Aragonese”, con lettera prefatoria di
Poliziano
- La Raccolta Aragonese offre una ricostruzione della poesia toscana dalle origini
fino a Lorenzo stesso, che vi è presente con i sedici suoi testi
PROEMIO RACCOLTA ARAGONESE DISPENSA (PP. 81-89)
La prefazione alla raccolta Aragonese
- Onori e premi nei tempi antichi: stimolo potente a ricercare la gloria
- I poeti erano onorati per la forza eternatrice della poesia
- Pisistrato: esempio emblematico del ruolo riconosciuto alla poesia dal potere
politico
- A causa del venir meno degli onori: decadenza e perdita di tante opere
- Lorenzo avrebbe raccolto i testi dei poeti toscani su sollecitazione di Federico
d’Aragona
- La lingua volgare ha piena dignità
- Si ricostruisce una storia della poesia in volgare, a partire dai Siciliani, che dà
grande rilievo a una linea composta da Guinizelli, Cavalcanti, Dante, Petrarca,
Cino da Pistoia
- Tacendo sui poeti successivi, si allude ai testi dello stesso Lorenzo
La dignità del volgare
Né sia però nessuno che quella toscana lingua come poco ornata e copiosa disprezzi.
Imperocché si bene e giustamente le sue ricchezze ed ornamenti saranno estimati, non
povera questa lingua, non rozza, ma abundante e pulitissima sarà reputata. Nessuna
cosa gentile, florida, leggiadra, ornata; nessuna acuta, distinta, ingegnosa, sottile;
nessuna alta, magnifica, sonora; nessuna finalmente ardente, animosa, concitata si
puote immaginare, della quale non pure in quelli duo primi, Dante e Petrarca, ma in
questi altri ancora, i quali tu, signore, hai suscitati, infiniti e chiarissimi esempli non
risplendino
Svolta culturale
- Sotto Lorenzo, Marsilio Ficino accresce la propria influenza
- Dall’altro lato, tramite Poliziano, si afferma una cultura, classica e volgare,
estremamente raffinata
- Ciò comporta un allontanamento della cultura fiorentina da una letteratura di
carattere popolare e comico → emarginazione di Pulci
Lorenzo de’ Medici
Lorenzo è autore di una variegata produzione in volgare, in cui troviamo ad es.:
- Testi di carattere comico (il Simposio, l’Uccellagione di starne, la Nencia da
Barberino)
- Di ispirazione petrarchesca e stilnovistica (il Canzoniere, il Comento)
- Di impronta neoplatonica e ficiniana (De summo bono, sempre il Comento)
- Di carattere religioso (laude, rappresentazione sacra)
Guardiamo al testo più significativo di Lorenzo: la Canzona di Bacco
DISPENSA (PP. 97-99)
La canzona di Bacco
Canzone a ballo o ballata: ripresa + stanze
Versi ottonari (barzelletta)
Ripresa (ritornello)
x8 Quanto è bella giovinezza,
y8 che si fugge tuttavia!
y8 Chi vuole esser lieto, sia,
x8 di doman non c’è certezza.

Stanza
a8 Quest’è Bacco e Arïanna,
b8 belli e l’un dell’altro ardenti:
a8 perché ’l tempo fugge e inganna,
b8 sempre insieme stan contenti.
b8 Queste ninfe e altre genti
y8 sono allegri tuttavia.
y8 Chi vuole esser lieto, sia,
x8 di doman non c’è certezza.

Significato del testo


- Occasione: carnevale del 1490
- Precedenti canti carnascialeschi di Lorenzo: costrutti su doppi sensi osceni
- Canzona di Bacco: più vicina al genere del trionfo
- Secondo Paolo Orvieto, questo testo ha un’intenzione di stampo ficiniano, molto
più seria di quella che gli si attribuisce a prima vista
- Unione tra Bacco e Arianna: ricongiungimento dell’anima alla divinità
- Motivo del tempo che fugge → Ecclesiaste
La ierogamia tra Bacco e Arianna che, secondo la filosofia neoplatonica,
rappresenta il ricongiungimento dell’anima umana al divino, diviene exemplum del
percorso che ogni uomo dovrebbe compiere per ascendere a Dio, allontanando da
sé le inutili preoccupazioni della vita quotidiana
Le Stanze per la giostra di Poliziano
- Breve poemetto in ottave rimasto incompiuto probabilmente a causa della morte
di Giuliano de’ Medici nella congiura dei Pazzi
- L’occasione è la giostra vinta da Giuliano, ma l’evento storico è trasfigurato in
chiave mitologica
- Poliziano si distacca così dalla tradizione dei poemetti composti per celebrare
tornei o armeggerie
La trama
- Iulio è un giovane selvatico, che rifiuta l’amore
- Per vendetta Cupido lo fa innamorare di una ninfa, apparsa inizialmente sotto le
sembianze di una cerva
- Lunga digressione: descrizione della reggia di venere a Cipro
- Venere dispone che Iulio debba provare il proprio valore nelle armi
- A Iulio appare in sonno Simonetta che, dotata delle armi di Minerva, spenna le
ali di Cupido
- Iulio prende le armi di Minerva: svegliatosi dopo la premonizione della morte di
Simonetta, promette di farsi onore al torneo
Una difficile interpretazione
• L’amore produce una trasformazione in Iulio.
• Secondo alcune interpretazioni la trasformazione di Iulio si accorderebbe alla
visione ficiniana.
• Secondo altri studiosi questa trasformazione non si allontanerebbe da una
prospettiva terrena: Iulio/Giuliano è spinto alla ricerca della gloria e
al temperamento delle passioni.
La docta varietas
• Il poemetto è fondato sul principio umanistico dell’imitazione.
• Poliziano è fautore della sapiente mescolanza di modelli diversi: docta varietas.
• Il testo è una sorta di mosaico composto da tessere di diversa provenienza
(classici e modelli volgari).

LEZIONE 12 (29/03/2021)

DALLE CORTI A BEMBO


Abbiamo visto l’ambiente della Firenze della seconda metà del Quattrocento, ma ora
dobbiamo vedere l’ambiente estense e parlare di Matteo Maria Boiardo, autore dell’
Orlando innamorato.
L’AMBIENTE ESTENSE E MATTEO MARIA BOIARDO
Questo ambiente estense è un ambiente diverso dalla Firenze dei Medici, poiché il
territorio estense copre parte dell’Emilia attuale, comprendo i centri di Ferrara, Modena
e Reggio. Gli Este esercitano il proprio potere attraverso un metodo feudale e Boiardo
è un feudatario degli Este, è conte di Scandiano. Questo ambiente serve per vedere da
vicino il mondo delle corti: ci troviamo infatti difronte a un poeta che è a sua volta un
signore che però è anche alle dipendenze e svolge dei compiti di natura politico
amministrativa e la sua attività di letterato presso la corte. → Ci troviamo davanti a un
caso emblematico di poeta della corte.
E’ nell’ambiente di corte che prende vita l’opera di Boiardo.
L’Inamoramento de Orlando
Poema in tre libri, che Boiardo compone lungo l’arco di decenni:
- Inizio della composizione, secondo le ipotesi più recenti: età di Borso d’Este
(muore nel 1471)
- Poema incompiuto: si chiude all’ottava 26 del canto IX del libro III (gli altri due
libri sono di 29 e 31 canti rispettivamente), nel momento in cui Carlo VIII re di
Francia sta scendendo in Italia nel 1484.
L’ultima ottava
Mentre che io canto, o Iddio redentore,
Vedo la Italia tutta fiama e a foco
Per questi galli, che con grave valore
Vengon per disertar non so che loco;
Però vi lascio in questo vano amore
De Fiordespina ardente a poco a poco;
Un’altra fiata, se mi fia concesso,
Racontarovi in tutto per espresso.
In realtà la vita non ha concesso a Boiardo di concludere la sua storia.
La lingua
- L’opera è caratterizzata da una forte impronta padana
- Nel ‘400: lingue di koinè, lingue di estensione regionale che attenuano i tratti
locali più marcati
- Influenza notevole sia del latino sia del toscano, in misura variabile (e a seconda
del genere)
Boiardo scrive la sua opera in ottave. Ma che cos’è un ottava?
L’ottava
- Strofa composta da otto endecasillabi
- I primi sei su due rime tra loro alternate (ABABAB)
- Gli ultimi due in rima baciata (CC)
- Metro prediletto per la poesia di carattere narrativo a partire da Boccaccio,
impiegato in molto capolavori del Rinascimento.
Inamoramento de Orlando: prima ottava
Signori e cavalier che ve adunati [II pers. plur.] A
Per oldir [udir] cose diletose e nove, B
Stati atenti e quïeti e ascoltati [II pers. plur.] A
La bela istoria che il mio canto move: B
E odereti [udirete] i gesti smisurati, [part. masch. plur.] A
L’alta fatica e le mirabil prove B
Che fece il franco Orlando per amore C
Nel tempo de il re Carlo imperatore. C

DISPENSA (PP. 100-109)


Notiamo subito che questo poema nasce dalla corte, nella corte e si rivolge alla corte
stessa. Quindi si espone una visione della vita che sono anche proprie e rivolte al
pubblico della corte.
Sottolineate vi sono delle parole che in toscano non potrebbero rimare tra di loro.
Il proemio del poeta
- Tema fondamentale dell’opera: azioni di Orlando innamorato: stranezza
dell’innamoramento del paladino per eccellenza
- Finzione: vicenda già nota a Turpino (tradizionalmente considerato fonte diretta
per la rotta di Roncisvalle) ma tenuta nascosta perché irrispettosa nei confronti
di Orlando
- Tema carissimo a Boiardo: forza incoercibile di amore
Inamoramento de Orlando
Fusione di ciclo carolingio e ciclo arturiano:
- I personaggi sono paladini della corte di Carlo Magno
- Ma le loro avventure sono quelle tipiche dei romanzi arturiani (amore, avventure
solitarie, magia)
- Boiardo però proclama la superiorità della corte di re Artù, perché quella di Carlo
Magno si diede solo “alle battaglie sante”
Fusione di ciclo arturiano e carolingio
Questa fusione non è una novità boiardesca. Tuttavia nell’Inamoramento de Orlando
abbiamo un esperimento su larga scala che riesce consapevolmente innovativo.
Effetti dell’amore sui paladini di Francia
- Trasformazione di un universo unito e solidale nel nome della fede cristiana e
della fedeltà all’imperatore in una polverizzazione di monadi che agiscono in
modo egoistico e imprevedibile
- Distorsione umoristica e parodistica della materia carolingia
- Varietà e spregiudicatezza con cui Boiardo tratta il tema amoroso
L’Inamoramento de Orlando
- Motore di tutta l’azione: arrivo della bellissima Angelica alla corte di Carlo
Magno
- I più forti cavalieri (cristiani e musulmani) sono soggiogati dalla sua bellezza e
comincino una serie di avventure al suo inseguimento
- Nel II libro compare la figura di Ruggiero, indicato come capostipite degli Este
e discendente del troiano Ettore: è un classico esempio encomiastico verso gli
Este.
La narrazione
- Straordinaria proliferazione di vicende
- Entralecement tecnica tipica dei romanzi francesi: l’autore racconta una storia,
la interrompe per raccontarne un’altra, riprende poi l storia precedente e così via.
Il duello tra Orlando e Agricane
- Schema molto diffuso: duello con un pagano, discussione sulla fede, uccisione
del pagano e sua conversione
- Qui: confronto tra un guerriero cristiano e un infedele totalmente alieno non solo
dalla religione, ma dal sapere
- Si scontrano qui due visioni dell’ideale del cavaliere (e quindi del gentiluomo):
Agricane: il cavaliere deve interessarsi solo ad armi e amori; Orlando: la
sapienza è necessità
Questo non è semplicemente un confronto tra due fedi, ma tra due visioni del perfetto
cavaliere.
Ed è qui che Orlando parla della sua fede, come sapere, ad Agricane. Gli parla del
cosmo.
L’uomo al centro del cosmo
“Questo che ora vediamo è un bel lavoro
Che fece la divina monarchia:
e la luna de argento è stelle d’oro
e la luce de il giorno e il sol lucente
Dio tuto ha fato per la umana gente”
Vi è successivamente uno scambio di battute tra Orlando e Agricane.

La visione di Agricane
«Né mi par che convenga a gentileza
Star tuto il giorno ne’ libri a pensare;
Ma la forza de il corpo e la destreza
Conviense al cavaliero exercitare:
Doctrina al prete e al doctor sta bene,
Io tanto sacio quanto mi conviene!»
Risposta di Orlando ad Agricane
Rispose Orlando: «Io tiro teco a un segno:
Che l’arme sono del’omo il primo onore;
Ma non già che il saper facia men degno,
Anci lo adorna, comme un prato il fiore.
Ed è simile a un bove, a un saxo, a un legno
Chi non pensa alo eterno Creatore,
Né ben si può pensar senza doctrina
La somma magestate alta e divina»

Replica di Agricane
Ora te prego che a quel ch’io dimando
Risponde il vero, a fé de omo pregiato:
Se tu se’ veramente quello Orlando
Che vien tanto nel mondo nominato;
E perché qua sei gionto, e comme, e quando,
E se mai fosti ancora innamorato;
Perché ogni cavalier ch’è sanza amore
Se in vista è vivo, vivo è sanza core!»

Un'altra opera di Boiardo è l’Amorum libri, ovvero il canzoniere di Boiardo, una


raccolta di testi poetici.
Vediamone alcuni passi
Amorum libri I 1
Amor, che me scaldava al suo bel sole [sole: forse la donna amata]
nel dolce tempo de mia età fiorita, [nella giovinezza]
a ripensar ancor oggi me invita [mi invita a ripensare ancora oggi]
quel che alora mi piacque, ora mi dole. [ciò che allora mi piacque e ora mi addolora]
Così racolto ho ciò che il pensier fole [folle]
meco parlava a l’amorosa vita, [mi diceva nel tempo dell’amore]
quando con voce or leta or sbigotita
formava sospirando le parole. [formava: ‘formavo’]
Ora de amara fede e dolci inganni [compl. di consumata e lassa]
l’alma mia consumata, non che lassa,
fuge sdegnosa il püerile errore.
Ma certo chi nel fior de’ soi primi anni
sanza caldo de amore il tempo passa,
se in vista è vivo, vivo è sanza core.

DISPENSA (PP. 110-112)


Vediamo che questo testo è molto vicino al primo sonetto del Canzoniere di Petrarca:
ci sono aspetti di vicinanza evidenti; entrambi i poeti si guardano indietro e ripensano
alla loro giovinezza. Ci troviamo quindi davanti al petrarchismo.
Petrarchismo nel Quattrocento
- Pratica poetica basata sull’imitazione sistematica del modello di Petrarca
- Già a metà del Quattrocento: Bella mano di Giusto de’ Conti.
- Seconda metà del Quattrocento: consolidarsi della poetica lirica in volgare;
Petrarca punto di riferimento centrale in una pluralità di modelli.
Petrarchismo nel Cinquecento
- Fine Quattrocento-inizio Cinquecento: poesia “cortigiana”, tendenza
all’improvvisazione e a una poesia “di consumo”
- Pietro Bembo parte dal mondo delle corti ma fonda un nuovo classicismo
volgareà1530: pubblicazione delle rime di Bembo e di quelle di Iacopo
Sannazaro → dilagare della produzione poetica petrarchista, fenomeno letterario
di “massa”
- Diffondersi della poesia femminile (Vittoria colonna, Veronica Gambara,
Gaspara Stampa ecc.)
Il petrarchismo è ritenuto il premo fenomeno di massa della letteratura da parte di poeti
che lo usano come una guida per comporre testi poetici.
Vediamo un esempio di poesia femminile
Gaspara Stampa (1523-1554)
Voi, ch’ascoltate in queste meste rime,
in questi mesti, in questi oscuri accenti
il suon degli amorosi miei lamenti
e de le pene mie tra l’altre prime, 4
ove fia chi valor apprezzi e stime,
gloria, non che perdon, de’ miei lamenti
spero trovar fra le ben nate genti,
poi che la lor cagione è sì sublime. 8
E spero ancor che debba dir qualcuna:
«Felicissima lei, da che sostenne
per sì chiara cagion danno sì chiaro! 11
Deh, perché tant’amor, tanta fortuna
per sì nobil signor a me non venne,
ch’anch’io n’andrei con tanta donna a paro?». 14

PIETRO BEMBO E LA QUESTIONE DELLA LINGUA


Pietro Bembo scrive questo testo per Lucrezia Borgia
Crin d’oro crespo
Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura,
ch’a l’aura su la neve ondeggi e vole,
occhi soavi e più chiari che ’l sole,
da far giorno seren la notte oscura, 4
riso, ch’acqueta ogni aspra pena e dura,
rubini e perle, ond’escono parole
sì dolci, ch’altro ben l’alma non vòle,
man d’avorio, che i cor distringe e fura, 8
cantar, che sembra d’armonia divina,
senno maturo a la più verde etade,
leggiadria non veduta unqua fra noi, 11
giunta a somma beltà somma onestade,
fur l’esca del mio foco, e sono in voi
grazie, ch’a poche il ciel largo destina. 14

Solo al 13esimo verso si dice cosa sono tutte queste cose elencate.
Questo è una sorta di ritratto della donna amata, che risponde a quello che risponde al
“canone breve”
“Canone breve”
- Descrizione della bellezza femminile che, secondo l’esempio petrarchesco
(disceso a sua volta da tradizioni medievali), include nel ritratto di una donna
solo alcuni dettagli anatomici (parti del viso- capelli, occhi, guance, bocca – più
una tra collo, seno, mano), raffigurati attraverso il ricorso prevalentemente a
metafore selezionate, che puntano solo su connotati luminosi e su alcuni dati
cromatici
- Quasi sempre la descrizione segue un movimento discendente
Selezione e cristallizzazione
- Crin d’oro
- Occhi soavi
- Riso (sorriso e bocca)
- Rubini e perle (labbra e denti)
- Man d’avorio
- Cantar
- Senno
- Leggiadria
- Unione di bellezza e onestà
Modalità imitative
- Il sonetto riscrive un testo di Petrarca (Grazie ch’a pochi il ciel largo destina)
- Incrocia la memoria di un altro testo del Canzoniere (Erano i capei d’oro a
l’aura sparsi)
- Ricompone altre tessere prese da Petrarca
- Imita tratti fondamentali dello stile petrarchesco
Tratti stilistici petrarcheschi
Tendenza all’equilibrio e alla simmetria
a) Coppie in clausola: tersa e pura; ondeggi e vole; distringe e fura
b) Altre coppie: d’oro… e d’ambra; occhi soavi e più chiari; ogni aspra pena e
dura; rubini e perle
c) Parallelismi: da far giorno seren la notte oscura; giunta a somma beltà somma
onestade
d) Chiasmo: senno maturo a la più verde etade
Parodia
- Pratica sistematica di imitazione del modello di Petrarca
- Pubblico in grado di comprendere anche il suo rovesciamento parodico

LEZIONE 13 (08/04/2021)
Abbiamo cominciato nella lezione precedente a considerare il Cinquecento. Avremo
modo con il Modulo C di soffermarci meglio su alcune cose che diremo oggi,
soprattutto su Macchiavelli.

LA TRATTATISTICA DEL RINASCIMENTO


Oggi parliamo di un nuovo genere, collegato comunque col mondo delle corti del
secondo Quattrocento, ovvero la trattatistica (i trattati).
La trattatistica del Rinascimento
Espressione della convivenza di due tensioni ugualmente vive nel Cinquecento:
- Adesione alla realtà e osservazione disincantata delle sue dinamiche
- Ricerca della regola e fissazione delle norme da seguire (tensione idealizzante)
LA QUESTIONE DELLA LINGUA

Nel 1494 Carlo VIII scende in Italia per conquistare il Regno di Napoli,
rivendicandolo: questo è il momento visto come frattura che da il via al momento di
Guicciardini. La perdita, due anni prima, di Lorenzo il Magnifico, spiana la strada alla
discesa del re francese. Iniziano quindi le guerre d’Italia, periodo di grande crisi e
sconvolgimenti, anche a causa di un tipo di guerra diverso, grazie all’introduzione
dell’artiglierei negli eserciti. Questi eventi suscitano un profondo turbamento negli
autori dell’epoca, influenzandoli.
In un periodo di enorme difficoltà fiorisce un periodo letterario estremamente florido
però. Questo periodo di grande fioritura culturale non è un periodo in cui artisti e
letterati si rinchiudono in se stessi, ma invece la cultura, la riflessione e il pensiero
intendono reagire alla situazione di conflitto in cui si trova la penisola.
Gli autori quindi cercano alternative alla condizione dell’Italia, e ciò emerge sul piano
culturale; in particolare emerge la Questione della Lingua.
Il Cinquecento è un periodo in cui gli scrittori italiani, di fronte alla mancanza di unità
di lingua sul piano nazionale, reagiscono con il desiderio di unità linguistica.
Oltre che avere una stretta relazione con le vicende politiche, la questione della lingua
ha una stretta connessione con la stampa.
La stampa
- 1454: apparizione del primo libro tipografico, la Bibbia di Johann Gutenberg
- In meno di cinquanta anni vengono prodotti in Europa tra i 15 e i 20 milioni di
volumi
- 1464: prima tipografia in Italia, creata dai chierici tedeschi Conrad Sweynheym
e Arnold Pannart a Subiaco (nel 1467 si spostano a Roma)
- L’innovazione si diffonde nel resto d’Italia e cominciano a essere stampati i
primi libri in volgare (1470, Venezia, Vindelino da Spira: prima edizione del
Canzoniere di Petrarca)
Effetti della stampa
- Riproducibilità e diffusione dei testi
- Nascita di un mercato e un’industria
- Tendenza alla standardizzazione dei criteri grafici
- Spinta alla ricerca di una norma linguistica comune
Petrarca e Dante aldini (=ovvero stampati da Aldo Manuzio)
- 1501: Aldo Manuzio pubblica Le cose volgari di messer Francesco Petrarca,
curato da Pietro Bembo: il formato è lo stesso utilizzato pochi mesi prima per la
pubblicazione di Virgilio
- 1502: vengono pubblicate, sempre per cura di Bembo, le Terze rime di Dante
- → Identità di trattamento per classici latini e classici volgari
La questione della lingua
Gli autori dell’epoca si confrontano su quale sia la lingua da utilizzare:
- Tesi della lingua cortigiana (e italiana)
- Tesi della lingua toscana o fiorentina viva
- Tesi classicista di Bembo
Tesi della lingua cortigiana
Si propone l’uso di una lingua “mista”, formata da varie componenti e basata sulle
consuetudini linguistiche delle corti.
Preoccupazione centrale: lingua del parlare nell’ambiente di corte.
Diverse declinazioni:
- Calmeta: lingua parlata nella corte papale (come base il fiorentino di Dante e
Petrarca)
- Castiglione: lingua viva, parlata nelle diverse corti, aperta a diversi influssi
(toscano letterario, latino…)
Trissino
- Giovan Giorgio Trissino riscopre il De vulgari eloqiuentia di Dante: proposta di
una lingua italiana non identificabile con nessuna delle varietà utilizzate nella
Penisola
- 1529, Castellano (dialogo, pubblicato con il De vulgari eloquentia): i grandi
scrittori del passato avevano usato una lingua definibile come “italiana”, non
“fiorentina”

Tesi della lingua toscana o fiorentina viva


Tesi di Macchiavelli (se è suo il Dialogo o Discorso sopra la nostra lingua): a favore
del fiorentino effettivamente usato
Nel Dialogo l’autore mette Dante stesso di fronte all’evidenza che la sua lingua non è
l’italiano, ma il fiorentino
Fiorentino o toscano: superiorità di queste varietà linguistiche per ragioni storiche,
culturali, anche naturali.
Tesi di Bembo
- Proposta eminentemente letterario, a differenza delle due tesi precedenti, che
favorivano una lingua per il parlato prima di tutto
- Modelli: Petrarca per la poesia e Boccaccio per la prosa
- “classicismo volgare”: tesi che si basa su una lingua solo scritta, immutabile e
di facile accesso per tutti
- La lingua delle corti non è una vera lingua perché priva di scrittori
- La lingua toscana contemporanea è lontana dalla purezza della lingua del
Trecento
Le Prose della volgar lingua (1525) di Bembo
- Dialogo ambientato a Venezia, composto da Bembo nel 1502
- Interlocutori: Giuliano de’Medici, Federico Fregoso, Ercole Strozzi e Carlo
Bembo (fratello di Pietro e suo portavoce)
Tratti in forma di dialogo
- Ambientazione
- Personaggi storici, anche se non sempre
- Natura asistematica: non si presenta un’unica tesi, ma si mettono a confronto
diverse opinioni, facendo emergere la più persuasiva ( a volte la conclusione è
aperta)
- Conversazione: si mette in scena uno dei riti fondamentali della civiltà
umanistico-rinascimentale: dimensione sociale dello scambio e del confronto
Tipologia di dialogo
- Dialogo diegetico: un narratore esterno al racconto presenta i personaggi e
introduce le battute (es. Prose della volgar lingua, Cortegiano)
- Dialogo mimetico: vengono riportate solo le batture dei personaggi (prossimità
alla forma teatrale; es. Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo,
tolemaico e copernicano, 1632)
Le Prose: autodatazione
- Prose di m. Pietro Bembo nelle quali si ragiona della volgar lingua scritta la
cardinale dei Medici che poi è stato creato a sommo pontefice et detto papa
Clemente settimo diuise in tre libri
- Clemente VII (Giulio de’Medici) viene fatto cardinale nel 1513 e viene eletto
papa nel 1523
- Nella dedica si danno anche coordinate su Giuliano de’Medici, duca di Nemours,
che contribuiscono a collocare la composizione fra gennaio 1515 e marzo 1516
- Bembo mira ad anteporre indirettamente la propria opera alle Regole della
volgar lingua di Giovanni Francesco Fortunio (settembre 1516)
Struttura e argomenti delle Prose
- Primo libro: si dimostra che è meglio usare il volgare , a cui è riconosciuta piena
dignità; si tratta delle origini del volgare, dei suoi rapporti con il latino e il
provenzale; si fissa il modello da imitare nei grandi autori fiorentini del Trecento
- Secondo libro: si espongono considerazioni di carattere stilistico, metrico,
ritmico, fonico, mettendo in luce la perfezione formale di Petrarca per la poesia
(di contro a Dante) e di Boccaccio per la prosa. Petrarca è visto come perfetto
esempio di armonia stilistica, capace di conciliare e fondere gravità e
piacevolezza
- Terzo libro: si offre una grammatica del volgare desunta dalla lingua dei modelli
trecenteschi
Gravitas e piacevolezza
L’armonia (concinnitas) nasce dalla conciliazione di gravitas e piacevolezza e dalla
capacità di saperle variare:
“sotto la gravità ripongono l’onestà, la dignità, la maestà, la magnificenza, la
grandezza e le loro somiglianti; sotto la piacevolezza ristringo la grazia, la soavità, la
vaghezza, la dolcezza, gli scherzi, i guochi, e se altro è di questa maniera” (Pietro
Bembo, Prose)

LA TRATTATISTICA DEL COPORTAMENTO


Trattati sul comportamento
- Ricca produzione di opere che, nella forma di trattato, del dialogo, della raccolta
di precetti o della narrazione novellistica illustrano il modello cui il gentiluomo
e la gentil donna devono conformarsi per essere ammessi nella conversazione,
cioè nelle forme della socialità e dell’intrattenimento collettivo.
- Le due opere più famose sono:
1) Baldassare castiglione, Libro del Cortegiano (1528);
2) Giovanni della Casa, Galateo (1558)
Fermiamoci ora al Libro del Cortegiano di Baldassarre Castiglione
Castiglione definisce il proprio libro, come se fosse un ritratto di pittura della corte di
Urbino.
Il Libro del Cortegiano
- Composto in più fasi, venne pubblicato nel 1528 (dopo il Sacco di Roma: 1527)
- Dialogo ambientato nel passato, nel 1507, alla corte di Urbino dei Montefeltro
- Molti personaggi storici: Elisabetta Gonzaga, Giuliano de’Medici, Federico e
Ottaviano Fregoso, Ludovico di Canossa, Bernardo Dovizi detto il Bibbiena, e
Pietro Bembo
Tempo perduto
“Così, per eseguire questa deliberazione [di pubblicarlo] cominciai a rileggerlo; e
sùbito nella prima fronte, ammonito dal titulo, presi non mediocre tristezza, la qual
ancora nel passar più avanti molto si accrebbe, ricordandomi la maggior parte di coloro,
che sono introdutti nei ragionamenti, esser già morti» (B. Castiglione, Libro del
Cortegiano, Dedica a Michel de Silva, I)
Castiglione parla del mondo delle corti rinascimentali, però nel momento in cui
pubblica l’opera, è come se dovesse constatare che quel mondo perfetto che lui aveva
descritto, non esiste più a causa delle invasioni che deve subire l’Italia
Struttura del Cortegiano
- Alla corte di Urbino, dotto la guida della duchessa Elisabetta Gonzaga, moglie
di Guidobaldo di Montefeltro, i personaggi scelgono di trascorrere le serate in
un gioco
- Il gioco consiste nel “formar con parole un perfetto cortegiano”
- Per quattro sere i presenti discutono si diversi aspetti
- Nei primi tre libri abbiamo un personaggio che sostiene una tesi, appoggiato da
un altro, e due interlocutori che si oppongono
Il perfetto cortigiano
- “estimo che la principale e vera profession del cortegiano della esser quella
dell’arme” (B.. Castiglione, Cortegiano I XVII)
- “Ma, oltre alla bontà il vero e principal ornamento dell’animo in ciascuno penso
io che siano le lettere, benchè i Franzesi solamente conoscano la nobiltà delle
arme e tutto il resto nulla estimino” (Cortegiano, I XLII)
Struttura e argomenti del Cortegiano
- Primo libro: Ludovico di Canossa: qualità fisiche e morali del cortigiano ideale
(si affronta anche la questione della lingua)
- Secondo libro: Federico Fregoso: comportamento pratico del cortigiano nelle
diverse circostanze della vita effettiva delle corti: regole degli esercizi
cavallereschi e della conversazione, moda, giochi di società, scelta degli amici.
Divagazione sulle facezie (Bibbiena)
- Terzo libro: Giuliano de’Medici: ritratto della perfetta donna di palazzo
- Quarto libro: Ottaviano Fregoso: rapporti del cortigiano con il principe. Pietro
Bembo: lunga disquisizione sull’amore platonico.
Il rapporto con il principe
“Il fin adunque del perfetto cortegiano, del quale insino a qui non s'è parlato,
estimo io che sia il guadagnarsi per mezzo delle condicioni attribuitegli da questi
signori talmente la benivolenzia e l'animo di quel principe a cui serve, che possa
dirgli e sempre gli dica la verità d'ogni cosa che ad esso convenga sapere,
senza timor o periculo di despiacergli; e conoscendo la mente di quello inclinata a
far cosa non conveniente, ardisca di contradirgli, e con gentil modo valersi della
grazia acquistata con le sue bone qualità per rimoverlo da
ogni intenzion viciosa ed indurlo al camin della virtù; e così avendo il cortegiano in
sé la bontà, come gli hanno attribuita questi signori, accompagnata con la prontezza
d'ingegno e piacevolezza e con la prudenzia e notizia di lettere e di tante altre
cose, saprà in ogni proposito destramente far vedere al suo principe quanto onore
ed utile nasca a lui ed alli suoi dalla giustizia, dalla liberalità, dalla magnanimità,
dalla mansuetudine e dall'altre virtù che si convengono a bon principe; e, per
contrario, quanta infamia e danno proceda dai vicii oppositi a queste. Però io
estimo che come la musica, le feste, i giochi e l'altre condicioni piacevoli son quasi il
fiore, così lo indurre o aiutare il suo principe al bene e spaventarlo dal male, sia il
vero frutto della cortegiania» (Cortegiano IV 5)

LEZIONE 14 (09/04/2021)

L’ORLANDO FURIOSO DI LUDOVICO ARIOSTO


L’innamoramento e le sue continuazioni
• L’Inamoramento de Orlando resta interrotto a causa della morte dell’autore.
• Successivamente vengono prodotte varie continuazioni del poema di Boiardo e
versioni toscanizzate, come quella di Francesco Berni.
• Il poema di Ariosto si presenta come continuazione di quello di Boiardo, ma ha
una dimensione autonoma.
L’Orlando Furioso
• Primo caso di grande opera della letteratura italiana direttamente affidata alla
stampa.
• «Prima opera di uno scrittore non toscano che consacra il toscano a lingua
letteraria nazionale» (Chiara Dini, Ariosto: guida all’Orlando furioso, Roma,
Carocci, 2001, p. 16).

Le edizioni dell’Orlando furioso


Ariosto apponta tre edizioni del suo poema, che sono siglate A, B, C, secondo l’ordine
cronologico di pubblicazione.
- A: 1516
- B: 1521
- C: 1532
Vi furono dei cambiamenti tra le varie edizioni, e cambiò anche la lingua.
La prima edizione
1516: Ferrara, Giovanni Mazzocco da Bondeno, in 40 canti, siglata abitualmente A
E’ un’opera “splendidamente municipale” (Lanfranco Caretti), anche se conosce subito
grande successo anche al di fuori dell’area padana. Nasce in un periodo in cui Ferrara
ha riportato alcuni successi nello scenario delle guerre d’Italia.
La seconda edizione
1521: Ferrara, Giovan Battista da la Pigna, B. Ariosto introduce correzioni; è già
evidente lo sforzo volto a eliminare la patina padana e a toscanizzare la lingua. Non vi
sono variazioni nel numero dei canti e nella storia, nonostante Ariosto avesse
cominciato a lavorare all’ampliamento del poema.
Esempi di mutamenti linguistici
1) Toscanizzazione di forme padane
- Annonzio → annunzio
- Credeti → credete
- Serà → sarà
- El (articolo) → il
2) Riduzione dei latinismi (pugna → battaglia)
3) Eliminazione di parole troppo espressive, burlesche o gergali (stracco → stanco)
La terza edizione
1532: terza edizione, C (Ferrara, Francesco Rosso da Valenza), in 46 canti
Ariosto introduce nuovi episodi, conferendo un maggior equilibrio strutturale al
poema, anche se restano fuori altre parti (specialmente i cosiddetti “cinque canti”, di
incerta datazione e dominati da una visione cupa della storia). Ariosto adegua la lingua
del proprio poema alle norme codificate da Pietro Bembo (Prose della volgar lingua,
1525), con il quale intrattiene un carteggio e che loda nel canto finale.
L’elogio di Bembo
<<Là Bernardo Capel, là veggo Pietro
Bembo, che 'l puro e dolce idioma nostro,
levato fuor del volgare uso tetro,
quale esser dee, ci ha col suo esempio mostro».
(cioè: ‘Vedo là Bernardo Capello [poeta veneziano], là Pietro Bembo, che con il
suo esempio ci ha mostrato come debba essere la nostra lingua pura e dolce, sottratta
allo squallido uso volgare’)

Il modello petrarchesco
- L’adesione alle tesi di Bembo risponde a una personale inclinazione dell’Ariosto
verso una lingua omogenea, letteralmente eletta nel lessico, ma lontana altresì
da ogni estremo sia aulico che corposamente realistico.
- Ariosto riprende molto del lessico petrarchesco (in situazioni amorose, ma non
solo) e fa suoi soprattutto stilemi come dittologie (cioè copie) ed enumerazioni.
- “Petrarca agisce come filtro stilistico e ritmico per attenuare certe punte di più
accesa espressività e rifondere gli apporti provenienti da diverse tradizioni […]
in una superiore medietà di tono» (C. Dini).
Un poema “italiano”
“mentre l’Orlando Furioso del 1516 era stato concepito all’interno di una prospettiva
ancora molto boiardesca, ferrarese, il poema del 1532 non può non tenere conto del
crollo ormai chiaro dell’antico sistema cortigiano e della necessità di muoversi su
un piano di letteratura ormai ‘italiana’, intesa anche come potente fattore di identità
nazionale, capace di sfidare e superare i frangenti di una storia infida» (Riccardo
Bruscagli)
L’importanza della storia
Nel Furioso sono frequenti i riferimenti all’attualità delle guerre d’Italia.
Tra le aggiunte dell’edizione C si segnalano:
- L’episodio di Orlando e Olimpia, che consente tra l’altro di scagliare
un’invettiva contro le armi da fuoco
- L’episodio della Rocca di Tristano, nel quale largo spazio ha la rappresentazione
delle invasioni dell’Italia, dall’alto Medioevo al sacco di Roma
Orlando getta in mare l’archibugio
O maledetto, o abominoso ordigno,
che fabricano nel tartareo fondo
fosti per man di Belzebù maligno
che ruinar per te disegnò il mondo,
all'inferno, onde uscisti, ti rasigno.
(Orlando furioso IX 91, 1-5)

La narrazione nel Furioso


- Come in Boiardo, si assiste a una straordinaria proliferazione di vicende
- Ariosto riprende da B oiardo la tecnica del entralecement e la perfeziona
- Nel Furioso si attua un legame tra entralecement e “inchiesta” (avventura
solitaria di ricerca): la tecnica narrativa traduce una visione del mondo
- Il poeta è un demiurgo che tira le fila dall’alto e osserva le vicende dei
personaggi con ironia
- A differenza di quanto avviene a Boiardo, Ariosto porta le vicende verso la loro
conclusione: a un movimento di espansione fa seguito un movimento di
contrazione
Varie fila
- “Ma perché varie fila a varie tele / uopo mi son, che tutte ordire intendo,
/ lascio Rinaldo e l’agitata prua, / e torno a dir di Bradamante sua» (II 30)
- «Signor, far mi convien come fa il buono / sonator sopra il
suo instrumento arguto, / che spesso muta corda, e varia suono, / ricercando
ora il grave, ora l’acuto. / Mentre a dir di Rinaldo attento sono, / d’Angelica
gentil m’è sovenuto, / di che lasciai ch’era da lui fuggita, / e
ch’avea riscontrato uno eremita» (VIII 29-30)
- «Ma lasciàn Bradamante, e non v’incresca / udir che così resti in quello
incanto; / che quando sarà il tempo ch’ella n’esca, / la farò uscire, e
Ruggiero altretanto. / Come raccende il gusto il mutar esca, / così mi par che
la mia istoria, quanto / or qua or là più variata sia, / meno a chi l’udirà
noiosa fia. // Di molte fila esser bisogno parme / a condur la gran tela ch’io
lavoro» (XIII 80-81)
-
L’ironia di Ariosto
“Si direbbe, l’ironia di Ariosto, simile all’occhio di Dio che guarda il muoversi della
creazione, di tutta la creazione, amandola alla pari, nel bene e nel male, nel
grandissimo e nel piccolissimo, nell’uomo e nel granello di sabbia, perché tutta l’ha
fatta lui, e non cogliendo in essa che il moto stesso, l’eterna dialettica e l’armonia»
(Benedetto Croce).
«l’“ironia” di Ariosto non è dovuta a scetticismo, sia esso canzonatorio o cinico; si
tratta piuttosto di quello che De Gournont chiama “uno spirito aperto alla
comprensione multipla delle cose”, un certo distacco emotivo dalla situazione in
atto» (Donald S. Carne-Ross).
L’ironia di Ariosto
“L’ironia permette di riconoscere l’azione del “discorde voler”, di prendere atto
dell’“altra faccia” che sempre si nasconde sotto ogni asserzione, sotto ogni
comportamento, sotto ogni verità» (Giulio Ferroni).
«Poema del caso e del dubbio, l’Orlando furioso costruisce la sua ironia sui
meccanismi fondanti del capovolgimento e dell’ipotesi: le cose non vanno come ci si
aspetta e sono diverse da quello che sembrano» (Stefano Jossa).

La follia
“Recuperando tutta l’infinita varietà degli errori umani sotto la sigla della pazzia,
Ariosto si muove su una linea del pensiero rinascimentale che fa della follia non
un’alterazione patologica dell’io ma una sua naturale forma di essere, il volto
dell’irrazionalità, della falsificazione della realtà, dell’incapacità di dominare le cose»
(C. Dini).
Principali filoni narrativi
- Guerra tra Carlo Magno e Agramante, tra cristiani e saraceni (azione divisa tra
Parigi e Arlì): la guerra termina a Lipadusa, con la morte di Agramante per mano
di orlando; segue poi l’uccisone di Rodomonte a Parigi
- Amore di Orlando per Angelica: Orlando impazzisce a causa della scoperta
dell’amore tra Angelica e Medoro; alla fine recupera il senno grazie ad Astolfo.
- Vicende di Ruggero e Bradamante, progenitori degli estensi (già in Boiardo):
filone encomiastico: Ruggero è un cavaliere saraceno che il suo “padrino”, il
mago Atlante, intende proteggere del destino di conversione e morte prematura;
alla fine Ruggero e Bradamante si sposano.
Proemio
- Suddiviso classicamente in proposizione, invocazione e dedica
- Antecedente: Stanze per la giostra di Poliziano
DISPENSA (PP. 141-142)
Come fare la parafrasi?
Costruire
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori
Le cortesie, l’audaci imprese io canto
➔ Io canto le donne, i cavalieri, l’arme, gli amori, le cortesie, le audaci imprese
Chiasmo
Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori
Le cortesie, l’audaci imprese io canto
AMORE = X GUERRA = Y
➔xyyx
Costruire
Che furono al tempo che passarono i Modi
D’Africa il mare
➔ che furo al tempo che i Mori passarono il mare d’Africa
Riconoscere le forme grammaticali
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.
l’arme = femm. plur.: ‘le armi’
furo = terza pers. plur. del pass. rem. del verbo essere: ‘furono’
passaro = terza pers. plur. del pass. rem. del verbo passare: ‘passarono’
nocquer = terza pers. plur. del pass. rem. del verbo nuocere: ‘nocquero, crearono
danni’
diè = terza pers. sing. del pass. rem. del verbo dare: ‘diede’

Rendere il significato
- le cortesie: “gli atti cortesi”
- d’Africa il mare: il mare d’Africa → lo stretto di Gibilterra
- si diè vanto: “proclamò di volere”
- vendicar la morte di Troiano sopra …: ‘vendicarsi con … per la morte di
Troiano’
- re Carlo imperator romano: come renderlo?

Memoria letteraria
Dante, Purg. XIV 109-10 «Le donne e i cavalier, li affanni e li agi, / che ne
’nvogliava amore e cortesia»
Verg., Aen. I 1 «Arma virumque cano»
Poliziano, Stanze I 7, 8 «mentr’io canto l’amor di Iulio e l’armi»
Boiardo, Orlando innamorato I i 1, 6-7 «l’alta fatica e le mirabil prove / che fece il
franco Orlando per amore»; I xviii 45, 8 «de arme o de amore a ragionar t’aspetto»
Precdenti versioni:
Ariosto, Obizzeide 1-2 «Canterò l’arme, canterò gli affanni / d’amor, ch’un cavalier
sostenne gravi»
Orlando Furioso 1516 e 1521: «Di donne e cavallier li antiqui amori / le
cortesie, l’audaci imprese io canto»

Difficile rapporto con il cardinale Ippolito


Dalle Satire, I:
Egli l’ha detto: io dirlo a questo e a quello
voglio anco, e i versi miei posso a mia posta
mandare al Culiseo per lo sugello.
Non vuol che laude sua da me composta
per opra degna di mercé si pona;
di mercé degno è l’ir correndo in posta.
A chi nel Barco e in villa il segue, dona,
a chi lo veste e spoglia, o pona i fiaschi
nel pozzo per la sera in fresco a nona;
vegghi la notte, in sin che i Bergamaschi
se levino a far chiodi, sì che spesso
col torchio in mano addormentato caschi.
S’io l’ho con laude ne’ miei versi messo,
dice ch’io l’ho fatto a piacere e in ocio;
più grato fòra essergli stato appresso.

Nuovi episodi → maggior equilibrio


Alcuni episodi cruciali in virtù delle aggiunte si compongono in una disposizione
simmetrica
- I: inizio
- XII: Palazzo di Atlante
- XXIII: Follia di Orlando
- XXXIV: Astolfo sulla luna
- XLVI: Conclusione
Si salta quindi di 12 in 12
Il palazzo di Atlante
Mise en abyme
Espressione desunta dall’araldica,
indica la presenza di un episodio che riproduce ‘in piccolo’ la storia entro cui l’episodio
è inserito.
«Nel cuore del poema c’è un trabocchetto, una specie di vortice che inghiotte a
uno a uno i principali personaggi: il palazzo incantato del Mago Atlante. Già il
Mago ci aveva fatto incontrare, tra le giogaie dei Pirenei, un castello tutto d’acciaio;
poi l’aveva fatto dissolvere nel nulla. Ora, in mezzo a un prato non lontano dalle coste
della Manica, vediamo sorgere un palazzo che è un vortice di nulla, nel quale
si rifrangono tutte le immagini del poema. […] Atlante ha dato forma al regno
dell’illusione; se la vita è sempre varia e imprevista e cangiante; l’illusione è monotona,
batte e ribatte sempre sullo stesso chiodo. […] Il desiderio è una corsa verso
il nulla, l’incantesimo di Atlante concentra tutte le brame inappagate nel chiuso di
un labirinto, ma non muta le regole che governano i movimenti degli uomini nello
spazio aperto del poema e del mondo» (Italo Calvino)
L’inchiesta
- Nel Furioso tutti i personaggi sono mossi dalla ricerca di qualcosa che
desiderano ottenere (romanzo cavalleresco: quête).
- A parte poche eccezioni (Orlando, Bradamante), i personaggi non sono
impegnati in un’unica linea di ricerca.
- Quasi tutti sono portati a mutare l’oggetto della loro ricerca, a deviare dalla loro
inchiesta.
- Quasi tutte le ricerche sono fallimentari e si incrociano e ostacolano spesso l’un
l’altra.
-
Sintesi dell’episodio
- Ott. 1-4: Orlando alla ricerca di Angelica, paragonato a Cerere che cercava
Proserpina.
- Ott. 4-7: Orlando, intento nella sua ricerca, vede comparire un cavaliere che
porta a forza una donzella che ha le sembianze di Angelica: si getta
all’inseguimento attraverso la selva, arrivando a una radura dove sorge «un
grande e ricco ostello».
- Ott. 8-10: Orlando entra nel palazzo seguendo il cavaliere e incomincia a cercare
invano lui e Angelica.
- Ott. 11-12: Orlando incrocia altri cavalieri, che subiscono il suo stesso destino:
come si spiegherà poi, i personaggi non possono riconoscersi l’un l’altro.

LEZIONE 15 (12/04/2021)

TORQUATO TASSO E LA GERUSALEMME LIBERATA


Tra Ariosto (1474-1533) e Tasso (1544-1595)
Il periodo tra Ariosto e Tasso è segnato da alcune tendenze che condizionano
fortemente la produzione letteraria:
- Controllo religioso in campo artistico a causa della Controriforma
- Prevalere di istanze normative a seguito della riscoperta della Poetica
aristotelica: volontà di definizione delle regole da seguire in ciascun genere
letterario
La Controriforma
- 1545-1563: Concilio di Trento: risposta alla Riforma protestante che si risolve
in una chiusura dottrinale
- 1542: nascita della Congregazione del Sant’Uffizio, volta a centralizzare i
tribunali ecclesiastici impegnati nella repressione anticlericale
- 1559: Primo Indice dei libri proibiti (papa Paolo IV): proibisce non solo scritti
eretici ed eterodossi, ma anche molti autori in volgare, come Boccaccio e
Machiavelli, oltre alle edizioni in volgare della Bibbia (altri indici: 1564, 1589,
1596, tra attenuazioni e nuove chiusure)
- 1572: nasce la Congregazione dell’Indice
Questioni teoriche
- La seconda metà del Cinquecento è segnata dalla centralità delle questioni
teoriche in campo letterario
- Interpretazione della Poetica in senso fortemente normativo
- Vengono pubblicate traduzioni in latino, commenti e traduzioni in volgare della
stessa.
Poetica di Aristotele
- Letteratura come “mimesi o arte di imitazione”
- Concentrazione sul genere della tragedia, caratterizzata dalle tre unità, di luogo,
di tempo, di azione
- Per l’epica Aristotele ammette la possibilità di introdurre estesi episodi
secondari connessi all’azione principale
Verosimile
- “lo storico descrive fatti realmente accaduti, i poeti fatti che possono accadere”
- “la poesia tende a rappresentare l’universale, la storia il particolare”
L’epica tra Ariosto e Tasso
- 1547-48: pubblicazione dell’Italia liberata da’ Goti di G.G. Trissino: tentativo
di “fondare un nuovo tipo di epopea: in endecasillabi sciolti, in luogo dell’ottava,
il vicentino aveva narrato una parte della guerra dei Bizantini contro i Goti per
la riconquista d’Italia, proponendo una rifondazione classicistica dell’epica,
costruita sul verisimile storico e non su fantasie cavalleresche” (Claudio
Gigante)
- Il tentativo si risolve in un fallimento: Bernardo Tasso commentava che il poema
di Trissino “quasi il giorno medesimo ch’è uscito in luce è stato sepolto” (poi
Torquato lo definirà “mentovato da pochi, letto da pochissimi, prezzato quasi da
nissuno”)
Dopo il fallimento di Trissino
- Diversi poemi mirano a riprendere in parte l’eredità di Ariosto, adattandola alle
nuove istanze
- Luigi Alamanni: compone in ottave il Gyrone il cortese e l’Avarchide, che
riprende il modello omerico e viene battezzata l’”Iliade toscana”
- Bernardo Tasso: Amadigi (pubbl. 1560), poema che muta passa dalla
celebrazione delle imprese di un solo eroe, in endecasillabi sciolti, a un poema
in ottave ricco di episodi e intrecci in chiave ariostesca
La Liberata
“La Gerusalemme liberata venne costruita tra gli anni ’60 e la metà degli anni ’70
nell’intreccio tra le regole aristoteliche (e anzi tutto il precetto dell’unità d’azione), la
ripresa dei classici e un larghissimo riuso di fonti romanze, da Ariosto ai poemi
successivi, fino ai romanzi in prosa di conio più popolare. […] può essere considerata
l’ultima grande esperienza rinascimentale, nel tentativo di ricreare il supremo dei
generi classici, l’epica, in chiave moderna» (Emilio Russo)
Storia della Gerusalemme liberata
- L’opera è il frutto fi una lunga gestazione e di un processo compositivo che
appare inesauribile e incontestabile
- 1559-1560: il giovanissimo “Tassino” (nato nel 1544) compone un centinaio di
ottave del Libro primo del Gierusalemme
- Successivamente Tasso compone il Rinaldo (stampato nel 1562), un poema
avventuroso e tradizionalmente epico-cavalleresco, in cui un unico protagonista
è impegnato in una molteplicità di azioni; ha un ruolo importante la componente
meravigliosa e fantastica
- 1575: Tasso (dal 1565 a Ferrara) conclude il Goffredo, che viene da lui stessi
sottoposto a dei lettori (“revisione romana”) che devono esprimersi su diversi
aspetti dell’opera
- Il progetto di pubblicazione del poema si arresta nel 1576, per varie ragioni
- Tra il 1576 e 1579 ha luogo una stagione assai controversa, che conduce Tasso
prima alla fuga e poi alla reclusione a S. Anna (durata fino al 1586)
Prime stampe
- 1580: cominciavano a uscire le prime stampe (già nel 1579 il IV canto)
- 1581: prima stampa integrale, col titolo di Gerusalemme liberata (dovuta ad
Angelo Ingegneri).
- 1581: escono altre edizioni, tra cui quelle curate da Febo Bonnà con consenso
formale dell’autore, escluso però dal controllo della stampa).
- 1584: esce a Mantova un’altra edizione (Osanna) che sarà seguita per secoli.
- Non vi è un’edizione considerata definitiva dall’autore.

Stori della Gerusalemme liberata


- Nello stesso periodo Tasso comincia a scrivere quelli che poi si chiameranno
Discorsi dell’Arte poetica e in particolare del poema eroico
- Tasso cerca una soluzione che permetta di conciliare le unità aristoteliche con la
varietà. La formula è quella dell’unità nella varietà o unità del molteplice
- Il meraviglioso viene preservato come meraviglioso cristiano
Il poema come “piccolo mondo”
“io per me e necessaria nel poema eroico la stimo [la varietà], e possibile a conseguire;
perochè, sì come in questo mirabile magisterio di Dio, che mondo si chiama, e 'l cielo
si vede sparso o distinto di tanta varietà di stelle, e [..] l'aria e 'l mare pieni d'uccelli e
di pesci, e la terra albergatrice di tanti animali così feroci come mansueti, nella quale e
ruscelli e fonti e laghi e prati e campagne e selve e monti si trovano, e qui frutti e fiori,
là ghiacci e nevi, qui abitazioni e culture, là solitudini e orrori; con tutto ciò uno è il
mondo che tante e sì diverse cose nel suo grembo rinchiude, una la forma e l'essenza
sua, uno il nodo dal quale sono le sue parti con discorde concordia insieme congiunte
e collegate; e non mancando nulla in lui, nulla però vi è di soverchio o di non
necessario; così parimente giudico che da eccellente poeta (il quale non per altro divino
è detto se non perché, al supremo Artefice nelle sue operazioni assomigliandosi, della
sua divinità viene a participare) un poema formar si possa nel quale, quasi in un
picciolo mondo, qui si leggano ordinanze d'esserciti, qui battaglie terrestri e navali, qui
espugnazioni di città, scaramucce e duelli, qui giostre, qui descrizioni di fame e di sete,
qui tempeste, qui incendii, qui prodigii; là si trovino concilii celesti e infernali, là si
veggiano sedizioni, là discordie, là errori, là venture, là incanti, là opere di crudeltà, di
audacia, di cortesia, di generosità, là avvenimenti d'amore or felici, or infelici, or lieti,
or compassionevoli; ma che nondimeno uno sia il poema che tanta varietà di materie
contegna, una la forma e la favola sua, e che tutte queste cose siano di maniera
composte che l'una l'altra riguardi, l'una all'altra corrisponda, l'una dall'altra o
necessariamente o verisimilmente dependa, sì che una sola parte o tolta via o mutata di
sito, il tutto ruini» (Discorsi dell’arte poetica III)
Unità nella varietà
«Dinanzi al problema cruciale della varietà e della unità rinasce […] nel Tasso l’idea
neoplatonica del poema che si configura come cosmo, come “discorde concordia” di
elementi, ma solo in quanto ora essa è tutelata da un ordine, per così dire, aristotelico,
da una struttura razionale che sostiene la trama dei grandi e meravigliosi accidenti e
grandemente patetici» (Ezio Raimondi)
«Il corollario della concezione dell’unità nella varietà, che Tasso avrebbe
esplicitamente formulato più tardi, […] è che l’unità dell’azione è data non dalla messa
in scena di un solo eroe principale […] ma dal concorso di più personaggi verso un
medesimo fine» (Claudio Gigante)
«i molti cavalieri sono considerati nel mio poema come membra d’un corpo, del quale
è capo Goffredo, Rinaldo destra; sì che in un certo modo si può dire anco unità
d’agente, non che d’attione» (Tasso, Lettere poetiche, 15 aprile 1575)
Scelta dell’argomento storico
- L’evento storico offre la possibilità di creare una narrazione verosimile e si
presta a essere utilizzato in funzione pedagogica
- L’evento viene scelto da un’epoca non troppo lontana e non troppo vicina, in
modo che sia possibile congiungere rispetto della verità storica e narrazione di
episodi inventati che sortiscono l’effetto di dilettare il lettore
- L’evento è imperniato su essenziali tematiche religiose, secondo i dettami del
Concilio di Trento e di collega all’attualità, segnata dalla minaccia turca
(battaglia di Lepanto 1571)
Dalla Liberata alla Conquistata
Tasso procede a rivedere il proprio poema fino all’approdo alla stampa, nel 1593, della
Gerusalemme conquistata, che si allontana dai modelli dei romanzi aderendo a una
matrice insieme omerica e biblica
Breve sintesi della Liberata
• Canti I-III: su ispirazione divina Goffredo di Buglione (emulo di Enea
e Agamennone) è eletto comandante supremo dell’esercito cristiano; i crociati si
avvicinano a Gerusalemme e si ha il primo scontro in battaglia.
• Canti IV-XIII: «le forze demoniache mettono in atto tutte le possibili strategie
per indebolire e fiaccare i cristiani» (F. Tomasi); la bellissima maga Armida
getta scompiglio e porta indirettamente all’allontanamento di Rinaldo
(progenitore degli Estensi e personaggio ricalcato su Achille).
• Canti XIV-XVIII: sedate le conflittualità interne e con l’apporto decisivo
di Rinaldo, tornato al campo cristiano, i crociati riconquistano l’unità e possono
riprendere la guerra.
• Canti XIX-XX: si svolge la battaglia finale per la presa della città.
Tancredi uccide Argante; Rinaldo Solimano; Goffredo Emireno. I
cristiani conquistano Gerusalemme.
Lo stile “magnifico”
- Per Tasso il poema eroico deve essere scritto in stile magnifico (distinto dal
mediocre e dall’umile)
- Lo stile magnifico è adatto alle “cose altissime” di cui tratta l’epica
- Il poema epico “ha per fine la meraviglia, la quale nasce solo dalle cose sublimi
e magnifiche”
Tre componenti:
- Concetti: modi nei quali le materie vengono intese ed esposte
- Parole: lessico lontano dall’uso comune, peregrino, frutto di apporti diversi
(scontro con la Crusca → Apologia [1585])
- Composizione delle parole: organizzazione sintattica del discorso poetico
Gerusalemme liberata I 1
Canto l'arme pietose e 'l capitano
che 'l gran sepolcro liberò di Cristo.
Molto egli oprò co 'l senno e con la mano,
molto soffrì nel glorïoso acquisto;
e in van l'Inferno vi s'oppose, e in vano
s'armò d'Asia e di Libia il popol misto.
Il Ciel gli diè favore, e sotto a i santi
segni ridusse i suoi compagni erranti.

DISPENSA (PP. 152-164)


Prima ottava: serie di opposizioni
• Impresa di Goffredo vs Opposizione forze infernali e infedeli:
«Molto egli oprò co 'l senno e con la mano, / molto soffrì nel glorïoso acquisto;
/ e in van l'Inferno vi s'oppose, e in vano / s'armò d'Asia e di Libia
il popol misto».
• Inferno vs Cielo e multiforme vs uniforme: «e in van l'Inferno vi s'oppose, e in
vano / s'armò d'Asia e di Libia il popol misto. / Il Ciel gli diè favore, e sotto a i
santi / segni ridusse i suoi compagni erranti».
«Molto egli oprò co ’l senno e con la mano,
molto soffrì nel glorioso acquisto»
Anafora: ripetizione della medesima parola all’inizio di versi o membri successivi.

«e in van l’Inferno vi s’oppose, e in vano»


Epanadiplosi: ripetizione di una parola all’inizio e alla fine di una frase o di un verso.

Libia: sta per l’Africa


Sineddoche: la parte per il tutto.

«Il Ciel gli diè favore, e sotto a i santi


segni ridusse i suoi compagni erranti»
Enjambement (o inarcatura): la pausa di fine verso non coincide con una pausa sintattica; in
questo caso l’enjambement è particolarmente forte, perché si spezza un gruppo formato da
aggettivo e sostantivo.

Il “meraviglioso cristiano”
«Attraverso le figure angeliche e diaboliche e, in terra, attraverso i praticanti di magia
bianca e nera […], Tasso ha realizzato il congegno perfetto che regola il
“meraviglioso” nel poema: conformemente all’idea di “picciolo mondo” elaborata in
sede teorica, la favola è costruita con il rispetto sostanziale dell’unità dell’azione,
alleggerita dalla varietà degli episodi (che estendono provvisoriamente i confini
geografici del poema) e attraversata “verticalmente”, dal cielo verso terra e dagli
inferi verso la superficie, da meraviglie e prodigi in sintonia con l’immaginario
cristiano» (Claudio Gigante)

Cristiani vs. pagani


Sergio Zatti, L’uniforme cristiano e il multiforme pagano nella “Gerusalemme
liberata”, Milano, Il Saggiatore, 1983.

Nella Liberata lo scontro tra cristiani e pagani corrisponderebbe a quello tra due
visioni della cavalleria: quella umanistico-rinascimentale, basata sul valore
individuale (pagani), e quella che coordina la cavalleria a una finalità collettiva
(cristiani).
Correlata a questa è la contrapposizione tra dispersione e unità.
Gerusalemme liberata I 2
O Musa, tu che di caduchi allori
non circondi la fronte in Elicona,
ma su nel cielo infra i beati cori
hai di stelle immortali aurea corona,
tu spira al petto mio celesti ardori,
tu rischiara il mio canto, e tu perdona
s'intesso fregi al ver, s'adorno in parte
d'altri diletti, che de' tuoi le carte
Gerusalemme liberata I 3
Sai che là corre il mondo ove più versi [verbo]
di sue dolcezze il lusinghier Parnaso,
e che 'l vero, condito in molli versi [sost.],
i più schivi allettando ha persuaso.
Così a l'egro fanciul porgiamo aspersi
di soavi licor gli orli del vaso:
succhi amari ingannato intanto ei beve,
e da l'inganno suo vita riceve.

Gerusalemme liberata I 4
Tu, magnanimo Alfonso, il qual ritogli
al furor di fortuna e guidi in porto [sost.]
me peregrino errante, e fra gli scogli
e fra l'onde agitato e quasi absorto,
queste mie carte in lieta fronte accogli,
che quasi in voto a te sacrate i' porto [verbo].
Forse un dì fia che la presaga penna
osi scriver di te quel ch'or n'accenna

Gerusalemme liberata I 5
È ben ragion, s'egli averrà ch'in pace
il buon popol di Cristo unqua si veda,
e con navi e cavalli al fero Trace
cerchi ritòr la grande ingiusta preda,
ch'a te lo scettro in terra o, se ti piace,
l'alto imperio de' mari a te conceda.
Emulo di Goffredo, i nostri carmi
intanto ascolta, e t'apparecchia a l'armi.

LEZIONE 16 (15/04/2021)

Oggi parliamo del Seicento e in particolare la lezione sarà divisa in due parti: una su
Galileo e l’altra sul periodo barocco
IL SEICENTO
GALILEO E LA NUOVA SCIENZA
Galileo è parte della letteratura italiana, poiché egli è stato anche un grande scrittore.
Il Seicento è un secolo che non gode di buonissima stampa nella letteratura italiana.
Il giudizio sul Seicento
Il Seicento reca ancora in sé la taccia di secolo di decadenza, in cui la poesia porta
all’estremo quel vuoto formalismo che francesco De Sanctis indicava come un male
della letteratura italiana. Lo stesso De Sanctis esaltava invece autori che avevano
praticato una letteratura diversa, “fatta di cose”, aperta alle scoperte scientifiche e in
radicale opposizione al clima controriformistico.
Galileo fa parte della letteratura perché la utilizza per dare foggia delle proprie
scoperte. Ma quali sono le scoperte che precedono il Seicento e lo attraversano?
Cinquecento: secolo di scoperte geografiche
Dalla fine del Quattrocento su assiste a un notevole ampliamento degli orizzonti
geografici:
- Scoperta dell’America (1492)
- Nuove rotte geografiche ed esplorazioni
- Circumnavigazione del globo (1519-22)
Vi è quindi uno spostamento nei paradigmi conoscitivi, che possiamo riscontrare anche
in un autore in particolare: Guicciardini.
Le scoperte nella Storia d’Italia di Guicciardini
Ma più maravigliosa ancora è stata la navigazione degli spagnoli, cominciata l’anno
mille quattriocento novanta…, per invenzione di Cristoforo Colombo genovese. Il
quale, avendo molte volte navigato per il mare Oceano, e congetturando per
l’osservazione di certi venti quel che poi veramente gli succedette, impetrati dei re di
Spagna certi legni e navigando verso Occidente, scoperse, in capo di trentatrè dì,
nell’ultime estremità del nostro amisperio, alcune isole, delle quali prima niuna notizia
s’aveva… E penetrando Cristoforo Colombo più oltre, e dopo lui Amerigo Vespucci
fiorentino e successivamente molti altri, hanno scoperte altre isole e grandissimi paesi
di terra ferma; e in alcuni di essi, benchè in quasi tutti il contrario nell’edificare
publicamente e privatamente, e nel vestire e nel conversare, costumi e pulitezza civile,
ma tutte genti imbelli e facili a essere predate..
Per queste navigazioni si è manifestato essersi nella cognizione della terra ingannati in
molte cose gli antichi. Passarsi oltre alla linea equinoziale, abitarsi sotto la torrida zona;
come medesimamente, contro all’opinione loro, si è per navigazione di altri compreso,
abitarsi sotto le zone propinque a’ poli, sotto le quali affermavano non potersi abitare
per i freddi immoderati, rispetto al sito del cielo tanto remoto dal corso del sole. Èssi
manifestato quel che alcuni degli antichi credevano, altri riprendevano, che sotto i
nostri piedi sono altri abitatori, detti da loro gli antipodi. Né solo ha questa navigazione
confuso molte cose affermate dagli scrittori delle cose terrene, ma dato, oltre a ciò,
qualche anzietà agli interpreti della scrittura sacra, soliti a interpretare che quel
versicolo del salmo, che contiene che in tutta la terra uscì il suono loro e ne’ confini
del mondo le parole loro, significasse che la fede di Cristo fusse, per la bocca degli
apostoli, penetrata per tutto il mondo: interpretazione aliena dalla verità, perché non
apparendo notizia alcuna di queste terre, né trovandosi segno o reliquia alcuna della
nostra fede, è indegno di essere creduto o che la fede di Cristo vi sia stata innanzi a
questi tempi o che questa parte sì vasta del mondo sia mai più stata scoperta o trovata
da uomini del nostro emisperio. (Storia d’Italia VI 9)
DISPENSA (PP. 127-132)
Non solo Guicciardini mostra di essere colpito dalle scoperte geografiche, ma vi sono
passaggi anche nei testi che abbiamo già visto, come nell’Orlando furioso di Ariosto.
Le scoperte nell’Orlando furioso
Ma volgendosi gli anni, io veggio uscire
da l'estreme contrade di ponente
nuovi Argonauti e nuovi Tifi, e aprire
la strada ignota infin al dì presente:
altri volteggiar l'Africa, e seguire
tanto la costa de la negra gente,
che passino quel segno onde ritorno
fa il sole a noi, lasciando il Capricorno;
e ritrovar del lungo tratto il fine,
che questo fa parer dui mar diversi;
e scorrer tutti i liti e le vicine
isole d'Indi, d'Arabi e di Persi:
altri lasciar le destre e le mancine
rive che due per opra Erculea fêrsi;
e del sole imitando il camin tondo,
ritrovar nuove terre e nuovo mondo.
(Orlando furioso XV 21-22)

Le scoperte nella Liberata di Tasso


Un uom de la Liguria avrà ardimento
a l'incognito corso esporsi in prima;
né 'l minaccievol fremito del vento,
né l'inospito mar, né 'l dubbio clima,
né s'altro di periglio o di spavento
più grave e formidabile or si stima,
faran che 'l generoso entro a i divieti
d'Abila angusti l'alta mente accheti.

Tu spiegherai, Colombo, a un nuovo polo


lontane sì le fortunate antenne,
ch'a pena seguirà con gli occhi il volo
la fama c'ha mille occhi e mille penne.
Canti ella Alcide e Bacco, e di te solo
basti a i posteri tuoi ch'alquanto accenne,
ché quel poco darà lunga memoria
di poema dignissima e d'istoria. –
(Gerusalemme liberata XV 31-32)

Nel Cinquecento vi sono poi le scoperte scientifiche che accompagnano quelle


geografiche.
Cinquecento: secolo di scoperte scientifiche
1543: pubblicazione di due importanti trattati:
- Niccolò Copernico, De revolutionibus orbium coelestium: nascita della moderna
astronomia
- Andrea Vesalio, De humani corporis fabrica: nascita dell’anatomia
E’ importante sottolineare che non cambiano solo i dati, ma la visione propria della
realtà e anche ad esempio dell’interpretazione delle Sacre Scritture.
Prima di Copernico
“Il mondo appariva rigidamente ordinato secondo una immutabile gerarchia.
L’uomo, che partecipa con l’anima alla realtà intelligibile e incorporea, mentre
è integrato con il corpo nell’ordine della natura terrena, è inserito in una struttura che
è estremamente complessa, ma che è, al tempo stesso, rassicurante. Concepito
come l’opera più alta della creazione, egli occupa, nell’universo, una posizione
centrale. E l’universo nel quale egli vive è concepito come finito» (Paolo
Rossi, Galileo Galilei, in Storia generale della letteratura italiana, vol. VI, a cura di
N. Borsellino e W. Pedullà, Milano, Motta, pp. 18-45)
La rivoluzione scientifica
Nel corso di un secolo (circa tra 1610 e 1710) vengono scardinati diversi presupposti:
- Distinzione di principio tra una fisica dei cieli e una fisica terrestre
- Convinzione del carattere circolare dei moti celesti
- Presupposto dell’immobilità della terra e della sua centralità
- Credenza nella finitezza dell’Universo
- Movimento visto come o dipendente dalla forma o natura del corpo o provocato
da un motore
- Divorzio tra astronomia e fisica o tra matematica e fisica
“ si trattò […] di un rifiuto che presupponeva un radicale rovesciamento di quadri
mentali, una nuova considerazione della natura e del posto dell’uomo nella
natura, un nuovo atteggiamento di fronte al passato e di fronte alla cultura […] la
cosiddetta […] rivoluzione scientifica […] non è riducibile a una serie
di perfezionamenti ‘tecnici’ che avvengono all’interno dei singoli rami del sapere e
delle singole scienze, ma […] presuppone una differente filosofia, risponde
alle richieste di una nuova cultura e di una nuova società» (Paolo Rossi)
Implicazioni della rivoluzione scientifica
John Donne, The first anniversary (1612): and new philosophy calls all in doubt / […]
/ men confess that this world’s spent, / when in the planets, and the firmament,
/ they seek so many new; / they see that this / is crumbled out again to his atomies.

E la nuova Filosofia mette tutto in dubbio


[…]
E apertamente gli uomini confessano che questo mondo
è estinto, quando nei pianeti e nel firmamento,
ne cercano tanti nuovi; vedono che questo
si è sgretolato, tornando ai suoi atomi.

Un esempio di ciò che comporta questo cambiamento si trova in uno scritto di Galileo
Galilei, ovvero la “Favola dei suoni”.
DISPENSA (PP. 172-174)
La “favola dei suoni”
“Parmi d’aver per lunghe esperienze osservato, tale esser la condizione umana intorno
alle cose intellettuali, che quanto altri meno ne intende e ne sa, tanto più risolutamente
voglia discorrerne; e che, all’incontro la moltitudine delle cose conosciute ed intese
renda più lento ed irresoluto al sentenziare circa qualche novità.”
“Or qual fusse il suo stupore, giudichilo chi participa dell’ingegno e della curiosità che
aveva colui; il qual, vedendosi sopraggiunto da due nuovi modi di formar la voce ed il
canto tanto inopinati, cominciò a creder ch’altri ancora ve ne potessero essere in
natura.»
«tanto si scemò l’opinione ch’egli aveva circa il sapere come si generi il suono»
«quando, dico, ei credeva d’aver veduto il tutto, trovossi più che mai rinvolto
nell’ignoranza e nello stupore”
“si ridusse a tanta diffidenza del suo sapere, che domandato come si generavano i
suoni, generosamente rispondeva di sapere alcuni modi, ma che teneva per fermo
potervene essere cento altri incogniti ed inopinabili.”
Il personaggio, man mano che scopre di saper far suoni, si accorge di saper sempre di
meno, tanto poi da domandarsi se sapesse davvero tutto. A chi gli chiedeva come gli
uccelli facessero a emetter suoni, egli diceva che sapeva alcuni modi, ma che ce n’erano
almeno altri 1000 diversi per produrre questi suoni.
Il cannocchiale di Galileo e i suoi significati
“Perfezionatosi sotto l’impulso di uno spirito pratico aperto alle esperienze tecniche
degli artigiani, questo strumento trascende le scoperte, per altro sensazionali, che
ha consentito, assurgendo a simbolo di una nuova èra e di un nuovo metodo”
(Andrea Battistini, Il Barocco, Roma, Salerno, 2000, pp. 110-11)
«Nel raffigurare il nuovo ethos dello scienziato che non accettava più la comoda
lettura dei libri altrui, il cannocchiale rivelò in chi l’assunse “una coscienza moderna
di sperimentatore”, divenendo sinonimo figurato di “logica scientifica che insegna a
veder chiaro”» (Andrea Battistini, Il Barocco, p. 111, che cita
E. Raimondi, Letteratura barocca. Studi sul Seicento italiano, Firenze, Oschki 1982,
p. XVI)
«Il potenziamento della vista umana permesso dal cannocchiale faceva di questo
strumento il segno tangibile delle intraprendenti risorse dello spirito umano
ad ampliare indefinitamente i propri orizzonti. […]
Il suo potere metamorfico, nell’ingigantire cose piccole e, capovolto, nel rendere
microscopici gli oggetti grandi, favorì in poco tempo la sua adozione presso poetiche
che si richiamavano alle tecniche aristoteliche dell’amplificare e dello sminuire, in un
gioco di specchi concavi e convessi che si poteva applicare anche alla parola e suoi
processi di rifrazione retorica» (Andrea Battistini, Il Barocco, pp. 112-13).

Emanuele Tesauro, Il cannocchiale aristotelico


“io non so se angelico o umano ingegno fu quello dell’Ollandese, che pur a’ nostri
giorni, con due optici specchietti, quasi con due ale di vetro, portò la vista umana per
una forata canna là dove uccello non giunge. Con essi tragitta il mar senza vele, ti fa
veder di presso le navi, le selve e le città che fuggono l’arbitrio della pupilla; anzi
volando al cielo in un lampo osserva le macchie nel Sole, scopre le corna di
Vulcano in fronte a Venere, misura i monti e i mari nel globo della Luna, numera
i pargoletti di Giove, e ciò che Iddio ci nascose, un piccol vetro rivela”
Veniamo ora alle scoperte effettuate da Galileo tramite il cannocchiale.
Galileo, Sidereus nuncius (1610)
Tre scoperte fondamentali:
- La superficie della Luna è come quellla della Terra: i corpi celesti non sono fatti
di una materia diversa, non sono perfetti e lisci in ogni loro parte.
- La Via Lattea è in ammasso di innumerevoli stelle
- Scoperta dei quattro satelliti di Giove (“stelle medicee” in onore di Cosimo II
de’Medici): esistono sistemi planetari che non hanno al centro la Terra
DISPENSA (PP. 165-171)
Adone di Marino: la Luna è come la Terra
Or io ti fo saver che quel pianeta
non è, com'altri vuol, polito e piano,
ma ne' recessi suoi profondi e cupi
ha, non men che la terra, e valli e rupi.
La superficie sua mal conosciuta
dico ch'è pur come la terra istessa,
aspra, ineguale e tumida e scrignuta,
concava in parte, in parte ancor convessa.
(X 39, 5-8 e 40, 1-4)

Adone di Marino: il cannocchiale


Tempo verrà che senza impedimento
queste sue note ancor fien note e chiare,
mercé d'un ammirabile stromento
per cui ciò ch'è lontan vicino appare
e, con un occhio chiuso e l'altro intento
specolando ciascun l'orbe lunare,
scorciar potrà lunghissimi intervalli
per un picciol cannone e duo cristalli. (X 42)

Adone di Marino: elogio di Galileo


Del telescopio, a questa etate ignoto,
per te fia, Galileo, l'opra composta,
l'opra ch'al senso altrui, benché remoto,
fatto molto maggior l'oggetto accosta.
Tu, solo osservator d'ogni suo moto
e di qualunque ha in lei parte nascosta,
potrai, senza che vel nulla ne chiuda,
novello Endimion, mirarla ignuda. (X 43)

Adone di Marino: i satelliti di Giove


E col medesmo occhial, non solo in lei
vedrai dapresso ogni atomo distinto,
ma Giove ancor, sotto gli auspici miei,
scorgerai d'altri lumi intorno cinto,
onde lassù del'Arno i semidei
il nome lasceran sculto e dipinto.
Che Giulio a Cosmo ceda allor fia giusto
e dal Medici tuo sia vinto Augusto. (X 44)

Adone di Marino: Galileo come Colombo


Aprendo il sen del'ocean profondo,
ma non senza periglio e senza guerra,
il ligure argonauta al basso mondo
scoprirà novo cielo e nova terra.
Tu del ciel, non del mar Tifi secondo,
quanto gira spiando e quanto serra
senza alcun rischio, ad ogni gente ascose
scoprirai nove luci e nove cose. (X 45)
Opere in volgare di Galileo
- Lettere Copernicane (o teologiche): quattro lettere che discutono in maniera
rivoluzionaria il problema del rapporto tra fede e scienza
- Il Saggiatore (1623): trattato scientifico in forma epistolare (indirizzato a
Virgilio Cesarini), dedicato a Urbano VIII, nasce dalla polemica con il gesuita
Orazio Grassi (Lotario Sarsi) sulla natura delle comete.
- Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano
(1632): dialogo in quattro giornate tra tre personaggi, Giovan Francesco
Sagredo, Filippo Salvati e Simplicio sul confronto tra geocentrismo ed
eliocentrismo
- Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla
meccanica e ai movimenti locali (1638): probabilmente il capolavoro di Galileo
dal punto di vista scientifico
Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
- Giovan Francesco Sagredo: interlocutore non intendente, che fa domande e
orienta e movimenta il discorso, spiritoso e sarcastico
- Filippo Salvati: portavoce dell’autore, “scienziato calmo e misurato, che unisce
alla saldezza delle convinzioni la pazienza nell0argomentare”
- Simplicio (personaggio immaginario): ottuso difensore delle tesi aristoteliche
Pubblico di riferimento e tono dell’opera
“Salviati rappresenta anche il pubblico al quale il Dialogo si rivolge. Scritta in volgare,
l’opera non è certo indirizzata a persuadere i “professori” raffigurati da Simplicio. Il
pubblico che Galilei vuol convincere è quello delle corti, della borghesia e del clero,
dei nuovi ceti intellettuali. Di qui il tono in apparenza leggero della conversazione, le
continue digressioni, il disordine apparente del dibattito, l’alternarsi di discorsi pacati
a critiche taglienti» (Paolo Rossi)
La forma dialogica
Il dialogo:
- “è necessariamente immerso nella dimensione del tempo”
- “mostra non solo i risultati, ma il cammino spesso tortuoso che si è percorso per
raggiungerli”
- “viene sempre e solo accidentalmente interrotto mentre potrebbe in ogni caso
proseguire”
- “non procede, così come la nuova scienza deve fare, secondo schemi rigidi e
predeterminati”
Materia del trattato
- Prima giornata: intende abbattere i presupposti della scienza aristotelica,
dimostrando che anche i cieli sono corruttibili
- Seconda giornata: dimostra il moto di rotazione della Terra e presenta i grandi
principi della nuova fisica di Galileo
- Terza giornata: si concentra sugli aspetti astronomici e discute e respinge tutte
le obiezioni opposte al movimento della Terra.
- Quarta giornata: parla delle maree come prova del moto della Terra (tesi erronea)
Finale del I libro
Sagredo] Io son molte volte andato meco medesimo considerando, in proposito di
questo che di presente dite, quanto grande sia l'acutezza dell'ingegno umano; e mentre
io discorro per tante e tanto maravigliose invenzioni trovate da gli uomini, sì nelle arti
come nelle lettere, e poi fo reflessione sopra il saper mio, tanto lontano dal potersi
promettere non solo di ritrovarne alcuna di nuovo, ma anco di apprendere delle già
ritrovate, confuso dallo stupore ed afflitto dalla disperazione, mi reputo poco meno che
infelice. S'io guardo alcuna statua delle eccellenti, dico a me medesimo: «E quando
sapresti levare il soverchio da un pezzo di marmo, e scoprire sì bella figura che vi era
nascosa? quando mescolare e distendere sopra una tela o parete colori diversi, e con
essi rappresentare tutti gli oggetti visibili, come un Michelagnolo, un Raffaello, un
Tiziano?» S'io guardo quel che hanno ritrovato gli uomini nel compartir gl'intervalli
musici, nello stabilir precetti e regole per potergli maneggiar con diletto mirabile
dell'udito, quando potrò io finir di stupire? Che dirò de i tanti e sì diversi strumenti? La
lettura de i poeti eccellenti di qual meraviglia riempie chi attentamente considera
l'invenzion de' concetti e la spiegatura loro? Che diremo dell'architettura? che dell'arte
navigatoria? Ma sopra tutte le invenzioni stupende, qual eminenza di mente fu
quella di colui che s'immaginò di trovar modo di comunicare i suoi più reconditi
pensieri a qualsivoglia altra persona, benché distante per lunghissimo intervallo
di luogo e di tempo? parlare con quelli che son nell'Indie, parlare a quelli che non
sono ancora nati né saranno se non di qua a mille e dieci mila anni? e con
qual facilità? con i vari accozzamenti di venti caratteruzzi sopra una carta. Sia
questo il sigillo di tutte le ammirande invenzioni umane, e la chiusa de' nostri
ragionamenti di questo giorno: ed essendo passate le ore più calde, il signor Salviati
penso io che avrà gusto di andare a godere de i nostri freschi in barca; e domani vi starò
attendendo amendue per continuare i discorsi cominciati, etc.
L’abiura
Il 22 giugno 1633 Galilei, che nel 1616 aveva ricevuto il precetto (l’ordine) di non
insegnare né difendere la dottrina copernicana, venne costretto all’abiura:
“Con cuore sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et
heresie […] e giuro che per l’avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o oin scritto,
che tali per le quali si possa haver di me simil sospitione, ma se conoscerò alcun
heretico o che sia sospetto d’heresia, lo denuntiarò a questo S. Offitio”

LA POESIA DEL SEICENTO


Dal manierismo al Barocco
Per il secondo Cinquecento è stata coniata la categoria del Manierismo:
“il manierismo in letteratura rappresentativa […] il ripiegarsi e l’incrinarsi degli
equilibri rinascimentali, complessi ma luminosi, in opere sempre più artificiose,
dominate appunto dall’esercizio di una “maniera”, e da un rastremarsi e complicarsi
degli esiti poetici, in soluzioni raffinate fino all’estenuazione”.
“il manierismo è un’arte deformante, ricca di morbide squisitezze calligrafiche, sempre
in caccia del bizzarro, dell’insolito, dello stravagante. Basterebbe pensare […]
all’autoritratto del Parmigianino, dipinto ‘alla maniera di’ Raffaello, ma visto
attraverso uno specchio parabolico che ne ingigantisce smisuratamente la mano, la
quale subisce un allungamento iperbolico, dove si può riconoscere un ritorno
anticlassico di elementi gotici, propensi a distendersi in forme affusolate o
verticalizzate. […] Altrettanto agevole riesce poi ascrivere le nevrosi del
Tasso alla sindrome manieristica di un letterato raffinatissimo incapace di
adagiarsi nei metri e nel lessico di una tradizione avvertita ormai come troppo
semplificata per poter esprimere adeguatamente la sua morbosa sensibilità di poeta
dalla coscienza turbata ma lucida, in continua auscultazione dei propri affetti e dei
propri sentimenti alla ricerca tormentosa di uno stile intensamente patetico da
immettere in un universo epico ove la varietà delle passioni avvolgenti e ribelli entrino
in ‘discorde concordia’ con la struttura di un genere narrativo compatto»
(A. Battistini).
“ Se il manierismo riflette un’arte introversa e preziosa, il Barocco partecipa di una
situazione teatralmente grandiosa ed espansiva, rutilante nel suo esibizionismo;
se l’uno persegue un’aulica raffinatezza, l’altro mostra anche una tendenza più
popolare ed emotiva […]; se il primo predilige la concentrazione del virtuosismo, il
secondo mira a espandersi con la lussuria e l’abbondanza esagerata, dissipando
i suoi tesori in modo da stordire e stordirsi in un delirio megalomane» (A. Battistini).
La meraviglia
- I caratteri più marcati del Barocco sono la ricerca del nuovo e l’effetto della
meraviglia. […] l’ordine e la misura del classicismo rinascimentale lasciano il
posto all’inedito e al bizzarro, la cui ricerca esasperata si sottomette al gusto del
fruitore: “E’ del Poeta il fin la meraviglia / […] / chi non sa far stupir vada alla
stiglia”
- Sul docere prevale ora il delectare
La metafora
- La metafora può essere considerata l’emblema della letteratura barocca; è la
base per la creazione dei concetti.
- Il massimo teorico della metafora come «il più alto colmo delle figure
ingegnose» è Emanuele Tesauro, autore del Cannocchiale aristotelico (1654):
la metafora «traendo la mente, non men che la parola, da un genere
all’altro, esprime un concetto per mezzo di un altro molto diverso, trovando in
cose dissimiglianti la simiglianza»; «tanto più pellegrina sarà la metafora,
quante più virtù pellegrine accoglierà in un vocabulo; or aggiungo che tanto più
sarà acuta e ingegnosa, quanto men superficiali son le nozioni che in
quella si rappresentano».

La poesia del Seicento


- Si assiste a un notevole allargamento degli oggetti “poetabili” (cominciando già
nel secondo cinquecento, ad es. con Tasso)
- La donna rappresenta con un’attenzione per la fisicità e con tratti di sensualità
estranei al petrarchismo
- Tra le maggiori novità c’è lo spazio dato al bruto, al grottesco, al deforme, al
bizzarro
- Il metamorfico e l’illusione visiva sono un altro motivo ricorrente
- Tra i temi più praticati vi sono quelli della caducità e della morte, con effetti
lugubri e macabri
- L’ampliamento degli oggetti si traduce in una sorta di gioco elencatorio e
classificatorio, volto quasi a esaurire tutte le varianti possibili
Giovan Battista Marino (1569-1625)
- Massimo poeta barocco italiano è Giovan Battista Marino
- Marino è autore di una sterminata produzione lirica, consegnata in particolare
alla Lira (1614), divisa in tre parti (le prime due pubbl. nel 1602) secondo
un’organizzazione estranea al modello petrarchesco.
L’Adone di G.B. Marino
Immenso poema che parte dall’esile storia dell’amore tra Venere e Adone per
raccontare un’infinità di storie (quasi dei poemi nel poema) e toccare molti altri generi
e temi. Si tratta di un’opera non riducibile a una formula unitaria.
Composizione dell’Adone
- Le prime notizie dell’opera risalgono al 1594
- Il progetto iniziale era quello di un poemetto di qualche centinaio di ottave
- La crescita del poema fino alla misura attuale si compì nel giro di pochi anni,
dal 1614 al 1621.
- Il poema fu compiuto in Francia, dove venne pubblicato nel 1623, e venne
dedicato infine al re, Luigi XIII, e alla regina madre, Maria de’Medici (in realtà
divisi da un aspro conflitto).
Un poema estremamente dilatato
“il poema pian piano s’è ridotto a tale ch’è per sei volte quanto la Gerusalemme del
Tasso. Io non nego che le buone poesie non si misurano a canne; ma quando con la
qualità si accoppia insieme la quantità, fanno lo scoppio maggiore”
Un rapporto onnivoro con la tradizione
“Sappia tutto il mondo che infin dal primo dì ch’io incominciai a studiar
lettere, imparai sempre a leggere col rampino, tirando al mio proposito ciò ch’io
ritrovava di buono, notandolo nel mio Zibaldone et servendome a suo tempo, ché
insomma questo è il frutto che si cava dalla lezzione de’ libri. Così fanno tutti i valenti
uomini che scrivono»
La censura
- Marino provvede a fare stampare il suo poema anche a Venezia, con alcuni
interventi pensati per il pubblico e soprattutto per la censura italiana
- Marino torna in Italia, il poema conosce un immediato successo, ma poco dopo
Marino è costretto all’abiura dell’Adone (1623)

LEZIONE 17 (16/04/2021)
Da recuperare, mannaggia a me.

LEZIONE 18 (19/04/2021)
UGO FOSCOLO (1778-1827)
Sia Foscolo, sia Manzoni, sia Leopardi nelle loro opere toccano il tema del destino
dell’Italia.
Tra neoclassicismo e preromanticismo
Foscolo è autore emblematico di una nuova sensibilità, nella quale convivono
l’idealizzazione della classicità (arte classica vista come realizzazione di una perfetta
armonia ed espressione di una civiltà razionale, libera dai condizionamenti della
religione cristiana e vicina agli ideali rivoluzionari) e le inquietudini che porteranno al
romanticismo, con l’esaltazione delle passioni e dell’individuo.
Foscolo rappresenta quasi un personaggio emblematico con le sue opere sia di questo
neoclassicismo sia del preromanticismo.
Poesia e Romanzo: il romanzo
“Al romanzo è delegata in prima istanza una funzione di mimesi storica: cioè di
restituzione integrale di un’epoca, con la sua identità psicologica, le convinzioni
politiche, la violenza dei conflitti […] il romanzo si risolve in una prospettiva
immanente, calibrata sulle passioni e sui giudizi che maturano nel divenire aperto e
incompiuto del presente” (Matteo Palumbo)
Foscolo inoltre è un grande ammiratore del culto dantesco, poiché inspira la ricerca
della libertà e quindi la letteratura rinascimentale ne fa un modello eroico che paga in
prima persona con l’esilio la propria coerenza politica.
Ultime lettere di Jacopo Ortis.
Fatto storico di partenza
17 ottobre 1797: Napoleone cede Venezia all’Austria con il trattato di Campoformio.
→ Delusione di Foscolo e in coloro che avevano visto in Napoleone un liberatore e
avevano sperato nell’instaurarsi di un regime democratico in Veneto dopo la fine del
regime oligarchico.
Genesi del romanzo
- 1796: primi accenni (Piano di studi) a un romanzo epistolare (Laura-Lettere)
- 1799, giugno: escono a Bologna le Ultime lettere di Jacopo Ortis, poi
trasformate, a causa del rifiuto della censura, in Vera storia di due amanti infelici
ossia Ultime lettere di Jacopo Ortis: quest’opera è frutto dell’aggregazione tra
la parte compiuta da Foscolo (fino al bacio d’addio sui Colli Euganei) e quella
composta da Angelo Sassoli, su incarico dell’editore bolognese Marsigli, e di
uno stravolgimento del testo.
La prima edizione
- 1802: prima stampa autorizzata: Milano, Genio Tipografico; comporta diversi
significativi cambiamenti, ad esempio per la rappresentazione di vari personaggi
e per la crescita della componente politica.
- “Tra l?ortis bolognese e quello milanese Foscolo ha visuto eventi decisivi per la
storia italiana: la caduta delle repubbliche giacobine, la guerra franco------------
----
L’esilio
Marzo 1815: dopo la caduta di Napoleone e il ritorno a Milano degli Austriaci, Foscolo,
inzialmente tentato di assumere la direzione di un periodico letterario, decide di fuggire
dall’Italia; ripara in Svizzera, poi in Inghilterra.
“io professo letteratura, che è arte liberalissima e indipendente, e quando è venale non
val più niente” (lettera ai familiari, 31 marzo 1815)

Le edizioni in esilio
- 1816: edizione zurighese (si finge che sia ristampa di un’edizione ----------------
--------------
Il protagonista
Nome e cognome:
- Jacopo: fose da Jean-Jaques Rousseau
- Ortis--------------------
Sovrapposizione tra autore e personaggio
- Foscolo si indentifica nel proprio personaggio
- Le varie edizioni presentano un ritratto di Jacopo che in realtà è quello
dell’autore: esso muta nel tempo
- Nell’opera Foscolo riutilizza materiali del proprio epistolario personale, in
particolare con Antonietta Fagnani Arese.
Personaggio di chiara ispirazione alfieriana
“In Alfieri, Foscolo riconosceva l’energia solitaria, l’impeto sdegnoso contro la
bassezza servile, l’entusiasmo per una società nuova, la capacità di tradurre in
componente biologica le opere della letteratura”
Vittorio Alfieri (1749-1803): autore di tragedie basate sul conflitto tra eroe e tiranno,
offre una rappresentazione di sé come individuo costitutivamente e orgogliosamente
solitario, inflessibile di fronte alle lusinghe del potere.
Distanza tra autore e personaggio
“Quello politico è uno dei tratti del romanzo che manifesta maggiormente la distanza
tra utore e personaggio: Foscolo presta a Jacopo, infatti, la propria storia di esule, il
proprio status sociale e la propria-----------------
Modello e genere letterario
- Forma e vicenda sono molto simili a quelle dei Dolori del giovane Werther di
Goethe; si aggiunge però il connubio tra amore e politica
- “la preferenza è accordata a una forma che appare come la più svincolata dal
codice-------------------
Parallelo politica-amore
“Non ---------------------
L’Ortis tra romanzo e tragedia
- Lettera di Foscolo a Goethe (16 gennaio 1802): “Riceverete dal signor Grassi il
primo volumetto di una mia operetta a cui forse diè origine il Vostro Werther---
----------
Vicinanza al romanticismo
“Il carattere di Jacopo Ortis […] introduce nella nostra tradizione tutta una serie di
motivi legati, talvolta intimamente, alla nascente cultura del romanticismo europeo,
anzi, non è azzardato affermare che tali motivi vengono spesso condotti a un’oltranza
da cui il futuro romanticismo italiano rimarrà quasi sempre lontano”
Caratteri romantici
- Jacopo rivendica “il primato della passione – e di ogni più ingenuo e immediato
impulso di natura – sulla misura, l’autocontrollo e l’”infeconda apatia” degli
uomini che si credono “saggi””
- Egli vive un “insanabile dissidio che lo oppone a ogni forma di società”
- “esaltazione della pura fantasia a scapito di una comprensione meramente
intellettuale della realtà naturale”
Il carme Dei sepolcri
- Capolavoro neoclassico di Foscolo insieme alle Grazie (incompiute): entrambe
le opere, in endecasillabi sciolti, incarnano l’idea di poesia che Foscolo sviluppa
a partire dal 1803: “la poesia non è ornamento, finzione elegante e ingegnosa,
ma è un atto speculativo, un procedimento essenziale per raffigurare verità
assolute e necessarie”
- I Sepolcri vengono pubblicati a Brescia nel 1807: edizione di grande eleganza,
neoclassica fin dalla veste.
La genesi del carme
- L’opera nasce dalle discussioni sull’editto di Saint-Cloud, che regolava le
sepolture, ponendole al di fuori delle città; Foscolo accentua la propensione
postrivoluzionaria a livellare le differenze tra i sepolcri.
- Foscolo ne aveva discusso con Isabella Teotochi Albrizzi e con Ippolito
Pidemonte, che intendeva scrivere un poemetto in ottave dal titolo i Cimiteri e
avrebbe pubblicato poi dei propri Sepolcri (che usciranno insieme alla ristampa
del carme di Foscolo).
Rapporti letterari
- Foscolo accompagna il testo con note che mettono in rilievo esclusivamente la
memoria classica, che di fatto permea il carme
- L’opera si inserisce nella moda della letteratura sepolcrale europea, che aveva
conosciuto successo in Italia grazie a traduzioni e rifacimenti
Le reazioni
Il testo suscita-------------------
La risposta di Foscolo
- Foscolo stesso-----------
La componente politica
“L’autore considera--------------
Ideologia del carme
- Il carme può essere visto come il manifesto di una religione laica, che vede nei
sepolcri il fondamento della civiltà umana
- Alla base vi è un’idea materialista e una visione meccanicista della natura
- L’uomo può opporre al meccanismo implacabile della natura illusioni come
quella della memoria, che produce un legame affettivo in grado di andare oltre
la morte
- La memoria si esprime nel culto riservato alle grandi personalità che con le loro
imprese hanno fondato i valori in cui una comunità si può riconoscere
- La poesia, depositaria della memoria, risarcisce gli uomini dalle ingiustizie e
dalle sofferenze che hanno patito (il carme si chiude sulla figura di Omero
profetizzata da Cassandra)
DISPENSA DEI SEPOLCRI (PP. 189-191)
Dei sepolcri, vv. 151-167
----------------
Dei sepolcri, vv. 168-185
--------

LEZIONE 19 (22/04/2021)
Oggi parleremo di Alessandro Manzoni, accenando ad alcune sue opere e alla sua
importanza storica.
ALESSANDRO MANZONI (1785-1873)
Manzoni si colloca molto bene dopo gli argomenti di cui abbiamo trattato le due
precedenti volte, come l’illuminismo toscano, Parini e Foscolo.
Storia dell’opera manzoniana
Prima fase: all’insegna dell’illuminismo e del neoclassicismo
Neoclassicismo: corrente artistica che si afferma nella seconda metà del Settecento,
basata sulla tensione (venata di nostalgia) verso l’antichità classica, vista come
portatrice di valori di razionalità, armonia, nobiltà, libertà.
La poesia tenta di imitare le forme dell’antichità greca e latina, con un lessico aulico e
una sintassi classicheggiante, sublimando la realtà in immagini di levigato nitore.
Odi di Parini, poesia di Foscolo, opera di Vincenzo Monti.

1810: Conversione al cattolicesimo


Non si ha un completo abbandono dei valori dell’illuminismo: resistono una
componente forte di razionalità e l’idea dell’utilità dell’arte, che deve avere un fine
morale e civile
Non si perdono del tutto le componenti formali classicistiche, specie in un primo
tempo, ma si ha un netto rifiuto del culto estetizzante dell’antico e della mitologia →
Inni sacri.
- Manzoni considerato il principale esponente del Romanticismo in Italia
(corrente culturale, artistica, letteraria, che domina l’Europa nella prima metà
dell’800 e presenta grande varietà di espressioni, anche tra loro contraddittorie;
caratteri fondamentali: nuovo rapporto tra individuo e popolo, visione della
natura come organismo vivente, senso del divenire e della storia, ricerca di
un’arte e di una poesia simbolica, sensibilità e inquietudini notturne..)
- In Manzoni però è forte la continuità con l’esperienza letteraria del ‘700:
Romanticismo improntato su cautela e moderazione
- Caratteri fondamentali: realismo, storicità, religiosità, volontà di interpretare i
sentimenti del “popolo”.
Lettera Sul Romanticismo (1823)
- Pars destruens: rifiuto della mitologia, delle regole fondate sull’autorità dei
retori (unità di luogo e di tempo), dell’imitazione “servile” dei classici, in nome
di un presunto “bello perpetuo”, ma anche di “un non so qual guazzabuglio di
streghe, di spettri, un disordine sistematico, una ricerca dello stravagante, un
abiura in termini del senso comune”
- Pars construens: “Che la poesia, e la letteratura in genere debba proporsi l’utile
per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo”.
L’apice creativo
La produzione creativa di Manzoni si svolge in un arco di tempo piuttosto breve. I
momenti salienti dopo la conversione sono:
- Testi poetici “civili”: Marzo 1821 e Cinque maggio (1821)
- Tragedie: Il conte di Carmagnola (1820), Adelchi (1822)
- Inni sacri: primi quattro (1812-15) e Pentecoste (1822)
- Romanzo storico: Fermo e Lucia (1823); Promessi sposi (1825-27 e 1840-42)
(con la Appendice storica su la colonna infame [1824], poi Storia della colonna
infame [1842])
Rapporto tra storia e poesia
Nell’opera di Manzoni ha grande importanza la riflessione sul rapporto tra verità
storica e finzione letteraria. Manzoni parte da una giustificazione e teorizzazione della
libertà concessa alla letteratura per arrivare poi, con il saggio Del romanzo storico
(1831), a ripudiare la commistione tra storia e invenzione.
Lettera allo Chauvet sull’unità di tempo e luogo nella tragedia: Manzoni rivendica la
possibilità e anzi la necessità per il poeta fatta salva l’unità p meglio l’organicità
dell’azione di una tragedia, di non rispettare le unità di tempo e di luogo. Resiste ‘unità
di azione, ma come organicità dell’azione.
Rispetto quindi rigoroso delle unità aristoteliche = forzatura rispetto alla realtà:
“all’incirca simile a quella di un pittore che, volendo assolutamente far entrare in un
paesaggio più alberi di quanti non ne possa contenere la dimensione del suo quadro, li
serri gli uni contro gli altri e dia a tutti una forma e una posizione che gli alberi in natura
non hanno”.
Lettera allo Chauvet: “L’essenza della poesia non consiste nell’invenzione dei fatti”;
la poesia esplora tutto ciò che la storia non dice: “Perché alla fin fine, cosa ci darà la
storia? Ci dà avvenimenti che, per così dire, sono conosciuti soltanto nel loro esterno;
ci dà ciò che gli uomini hanno fatto. Ma quel che essi hanno pensato, i sentimenti che
hanno accompagnato le loro decisioni e i loro progetti, i loro successi e i loro scacchi;
i discorsi coi quali hanno fatto prevalere, o hanno tentato di far prevalere, le loro
passioni e le loro volontà su altre passioni o su altre volontà, coi quali hanno espresso
la loro collera, han dato sfogo alla loro tristezza, coi quali, in una parola, hanno rivelato
la loro personalità; tutto questo, o quasi, la storia lo passa sotto silenzio; e tutto questo
è invece dominio della poesia”
È lecito inventare degli avvenimenti, per colmare i vuoti della storiografia, purchè si
segua una regola: “gli avvenimenti inventati non devono contraddire i fatti più noti e
più importanti dell’azione rappresentata»; infatti «lo spettatore non può prestar fede a
ciò che contraddice una verità da lui conosciuta. Io giudico buona questa regola perché
è fondata sulla natura, e elastica abbastanza per non diventare, nella pratica, un
impaccio gratuito”.
Manzoni risorgimentale
- Conte di Carmagnola (ambientato nella seconda metà del 1400), coro, S’ode a
destra uno squillo di tromba (da Manzoni presentato nella prefazione come un
“cantuccio” riservato all’autore e destinato alla lettura): deplorazione delle
guerre fratricide tra italiani, che hanno aperto la strada agli stranieri.
- “D’una terra son tutti: un linguaggio / parlan tutti: fratelli li dice / lo straniero: il
comune lignaggio / a ognun d’essi dal volto traspar. /questa terra fu a tutti
nudrice, / questa terra di sangue ora intrisa, / che natura dall’altre ha divisa, / e
ricinta con l’alpe e col mar” (vv. 17-24)
Marzo 1821: Ode scritta nel breve momento in cui la reggenza di Carlo Alberto di
Savoia diede momentaneamente la soeranza di uno stato costituzionale indipendente
nell’Italia settentrionale; la poesia sembra però allargare l’orizzonte all’Italia intera,
«Una d’arme, di lingua, d’altare, / Di memorie, di sangue e di cor» (vv. 31-32).

Gli Italiani sono chiamati al riscatto nei confronti degli stranieri, che però non sono
visti con odio.
DISPENSA (PP. 192-95)
Coro dell’atto III dell’Adelchi: intende colpire l’illusione che l’indipendenza dell’Italia
possa venire dall’aiuto di potenze straniere
Adelchi
- La vicenda si colloca nel 772-774 e ha per tema a guerra tra Franchi e
Longobardi: Carlo Magno, che ha ripudiato la figlia del re dei Longobardi
Desiderio, scende in Italia chiamato da papa Adriano I
- Il protagonista è un personaggio che vive un “conflitto tipicamente romantico
tra ideale e reale, tra etica e storia, tra le nobili aspirazioni dell0animo e le
meschine vicende della vita”
- Tema centrale nelle parole di Adelchi (“non resta / che far torto o patirlo”) è
l’idea che di fronte alla violenza che governa la storia il destino di chi è sconfitto
vada visto come una fortuna (una “provida scentura”)
Vediamo ora la parte di testo presa dell’Adelchi nella dispensa.
Il coro dell’atto III: aspetto metrico
Il coro è composto da strofe di sei dodecasillabi. Ciascun verso è costituito in realtà da
due senari, con un accento forte che cade sempre sulla seconda e la quinta posizione di
ciascun senario → ritmo battente e insistente.
Le strofe sono a loro volta divise in due, con coppie di rime baciate e terzo verso tronco:
AAB CCB
Il coro dell’atto III
- Strofe 1-5 (vv. 1-30): rappresentazione in crescendo della sconfitta dei
Longobardi attraverso la prospettiva dei Latini, che sognano la fine del “duro
servir”
- Strofe 6-10 (vv. 31-60): il poeta, che si rivolge ai latini direttamente, mette in
risalto il lungo cammino e i tanti pericoli affrontati dai vincitori Franchi, che non
sono certo arrivati in Italia per liberare il popolo oppresso
- Strofa 11 (vv. 61-66): “morale della storia: vincitori e vinti si fondono
destinando i Latini ancora a un destino di oppressione.

LEZIONE 20 (23/04/2021)
Parliamo oggi di Giacomo Leopardi.
GIACOMO LEOPARDI (1798-1837)
Le grandi opere di Leopardi
- Canti: raccolta di testi poetici, che matura nel tempo attraverso le raccolte
intermedie (prima edizione: 1831; seconda: 1835; terza, postuma: 1845)
- Operette morali: raccolta di testi in prosa (in genere di misura breve), che
contengono dialoghi immaginari o riflessioni, dando forma al pensiero
esistenziale leopardiano (due edizioni: 1827; 1834)
- Zibaldone: imponente raccolta privata di riflessioni di Leopardi (1817-1832),
senza un ordine precostruito (ma dotate di un indice analitico), per un totale di
4526 pagine manoscritte, pubblicate solo alla fine dell’Ottocento
La prima giovinezza di Leopardi
Nato a Recanati, nelle Marche, in una famiglia aristocratica e conservatrice, Leopardi
sviluppa fin da bambino una straordinaria cultura grazie alla biblioteca del padre, il
conte Monaldo.
Dopo i primi studi, nel 1816 Leopardi vive quella che chiama una “conversione
letteraria”, che lo porta a comporre le sue prime canzoni, di ispirazione civile e
patriottica (All’Italia e Sopra il monumento di Dante…), e ad allontanarsi
dall’ideologia paterna.
L’inizio della canzone All’Italia
O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l'erme
Torri degli avi nostri,
Ma la gloria non vedo,
Non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi
I nostri padri antichi. Or fatta inerme,
Nuda la fronte e nudo il petto mostri.
Oimè quante ferite,
Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio,
Formosissima donna! Io chiedo al cielo
E al mondo: dite dite;
Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
Che di catene ha carche ambe le braccia;
Sì che sparte le chiome e senza velo
Siede in terra negletta e sconsolata,
Nascondendo la faccia
Tra le ginocchia, e piange.
Piangi, che ben hai donde, Italia mia,
Le genti a vincer nata
E nella fausta sorte e nella ria.
Qui Leopardi riprende il tema, sviluppatosi lungo la storia della letteratura italiana,
della personificazione dell’Italia.
Fasi del pensiero leopardiano
Il pensiero di Leopardi è dotato di grande spessore filosofico, ma ha un carattere non
sistematico e segue un procedere problematico. Pur con qualche semplificazione e con
definizioni che oggi destano perplessità per il loro schematismo, si distinguono in
Leopardi diverse fasi.
Il cosiddetto “pessimismo storico”
Nella prima fase del pensiero leopardiano è centrale l’idea che la causa storica
dell’infelicità umana risieda nella ragione, nemica del genere umano in quanto nega e
demistifica quelle illusioni, come l’immaginazione, l’eroismo, l’amor patri, la virtù,
che sono l’unica fonte possibile di felicità per l’uomo. I classici sono ritenuti più vicini
alla natura.
Teoria del piacere
Negli esseri umani ha luogo una frattura irreparabile tra un desiderio di infinito e i
piaceri materiali, necessariamente limitati, che è possibile conseguire in questo mondo
Questa teoria si vede bene nello Zibaldone, in particolare:
Dallo Zibaldone (p. 165ss.) [1820]
Il sentimento della nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti i piaceri a
riempierci l’animo, e la tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo,
forse proviene da una cagione semplicissima, e più materiale che spirituale. L’anima
umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira
unicamente, benchè sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che
considerandola bene, è tutt’uno col piacere. Questo desiderio e questa tendenza non
ha limiti, perch’è ingenita o congenita coll’esistenza, e perciò non può aver fine
in questo o quel piacere che non può essere infinito, ma solamente termina colla vita.
E non ha limiti 1. nè per durata, 2. nè per estensione. Quindi non ci può essere nessun
piacere che uguagli 1. nè la sua durata, perchè nessun piacere è eterno, 2. nè la
sua estensione, perchè nessun piacere è immenso, ma la natura delle cose porta che
tutto esista limitatamente e tutto abbia confini, e sia circoscritto.
Veniamo alla inclinazione dell’uomo all’infinito. Indipendentemente dal
desiderio del piacere, esiste nell’uomo una facoltà immaginativa, la quale può
concepire le cose che non sono, e in un modo in cui le cose reali non sono.
Considerando la tendenza innata dell’uomo al piacere, è naturale che la facoltà
immaginativa faccia una delle sue principali occupazioni della immaginazione del
piacere. E stante la detta proprietà di questa forza immaginativa, ella può figurarsi dei
piaceri che non esistano, e figurarseli infiniti 1. in numero, 2. in durata, 3. e in
estensione. Il piacere infinito che non si può trovare nella realtà, si trova così nella
immaginazione, dalla quale derivano la speranza, le illusioni ec. […] Quindi
bisogna considerare la gran misericordia e il gran magistero della natura, che da
una parte non potendo spogliar l’uomo e nessun essere vivente, dell’amor del
piacere che è una conseguenza immediata e quasi tutt’uno coll’amor proprio e della
propria conservazione necessario alla sussistenza delle cose, dall’altra parte non
potendo fornirli di piaceri reali infiniti, ha voluto supplire 1. colle illusioni, e di
queste è stata loro liberalissima, e bisogna considerarle come cose arbitrarie in natura,
la quale poteva ben farcene senza, 2. coll’immensa varietà […].
Quindi deducete le solite conseguenze della superiorità degli antichi sopra i moderni
in ordine alla felicità. 1. L’immaginazione come ho detto è il primo fonte della
felicità umana. Quanto più questa regnerà nell’uomo, tanto più l’uomo sarà felice. Lo
vediamo nei fanciulli. Ma questa non può regnare senza l’ignoranza, almeno una
certa ignoranza come quella degli antichi. La cognizione del vero cioè dei limiti e
definizioni delle cose, circoscrive l’immaginazione.
L’infinito (1819)
Questa poesia è quella che meglio di tutti riesce a rendere il senso dell’immaginazione
che riesce a condurre l’uomo oltre i limiti della propria ragione, oltre la siepe, per
raggiungere un infinito mentale. Ciò procura sì uno smarrimento, ma anche una
dolcezza insita nella mente dell’uomo.
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.

La “conversione filosofica”
La seconda fase del pensiero leopardiano è avviata dalla cosiddetta “conversione
filosofica” (1818): Leopardi dice di aver rivissuto in se stesso il percorso che intravede
nella storia dell’umanità, dalle primitive illusioni e dalla fantasia alla ragione e alla
poesia “sentimentale” → passaggio a una poesia di impronta meditativa.

Il “pessimismo cosmico”
Dopo crisi e svolta vissute nel 1823:
- Si impone ora una visione materialista dell’esistenza
- Radicale opposizione allo spiritualismo ottocentesco, all’antropocentrismo, alla
fiducia nel progresso.
La Natura e la ragione
Natura: inizialmente ha un ruolo positivo, perché instilla negli esseri umani le illusioni;
teoria del piacere → Natura è responsabile di aver creato nell’uomo un bisogno che
non può essere soddisfatto.
Alla fine la Natura è vista come cieca forza, totalmente indifferente al destino
dell’uomo e alla sua felicità.
La ragione invece è vista come ciò che libera l’uomo dalle false credenze, dalle
illusioni e gli permette di contemplare in faccia la sua condizione di infelicità.
«E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce» (Vangelo di Giovanni 3,19, cit.
in epigrafe alla Ginestra

Dal Dialogo della Natura e di un islandese (1824)


ISLANDESE: […] In fine, io non mi ricordo aver passato un giorno solo della vita
senza qualche pena; laddove io non posso numerare quelli che ho consumati senza
pure un'ombra di godimento: mi avveggo che tanto ci è destinato e necessario il patire,
quanto il non godere; tanto impossibile il viver quieto in qual si sia modo, quanto il
vivere inquieto senza miseria: e mi risolvo a conchiudere che tu [la Natura] sei
nemica scoperta degli uomini, e degli altri animali, e di tutte le opere tue; che ora
c'insidii ora ci minacci ora ci assalti ora ci pungi ora ci percuoti ora ci laceri, e sempre
o ci offendi o ci perseguiti; e che, per costume e per instituto, sei carnefice della tua
propria famiglia, de' tuoi figliuoli e, per dir così, del tuo sangue e delle tue viscere.
Per tanto rimango privo di ogni speranza: avendo compreso che gli uomini finiscono
di perseguitare chiunque li fugge o si occulta con volontà vera di fuggirli o di
occultarsi; ma che tu, per niuna cagione, non lasci mai d'incalzarci, finchè ci opprimi.
NATURA: Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi
che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi
ed ho l'intenzione a tutt'altro, che alla felicità degli uomini o all'infelicità. Quando
io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n'avveggo, se
non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo
so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per
dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la
vostra specie, io non me ne avvedrei.
NATURA: Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest'universo è un
perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra se di
maniera, che ciascheduna serve continuamente all'altra, ed alla conservazione del
mondo; il quale sempre che cessasse o l'una o l'altra di loro, verrebbe parimente
in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera
da patimento.
ISLANDESE: Cotesto medesimo odo ragionare a tutti i filosofi. Ma poichè quel che è
distrutto, patisce; e quel che distrugge, non gode, e a poco andare è distrutto
medesimamente; dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova
cotesta vita infelicissima dell'universo, conservata con danno e con morte di tutte
le cose che lo compongono?
Mentre stavano in questi e simili ragionamenti è fama che sopraggiungessero due leoni,
così rifiniti e maceri dall'inedia, che appena ebbero la forza di mangiarsi
quell'Islandese; come fecero; e presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel
giorno. Ma sono alcuni che negano questo caso, e narrano che un fierissimo vento,
levatosi mentre che l'Islandese parlava, lo stese a terra, e sopra gli edificò un
superbissimo mausoleo di sabbia: sotto il quale colui disseccato perfettamente, e
divenuto una bella mummia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori, e collocato nel museo
di non so quale città di Europa.

I Canti: il titolo
“Il titolo, inedito nella tradizione italiana, evoca l’identità tra poesia e musica,
teorizzata da Leopardi nelle sue riflessioni sulla lirica: genere poetico “eterno ed
universale”, proprio di chiunque “cerca di ricrearsi o di consolarsi col canto”. Ora egli
concepisce la poesia come un’”espressione libera e schietta” di qualsiasi “affetto vivo
e ben sentito dall’uomo””.
I Canti: il libro
Pur essendo un libro attentamente organizzato da Leopardi, i Canti non sono improntati
a un disegno narrativo.
Andrea Campana; “non una macchina esatta ma un organismo vivo, pulsante e
cangiante, un sistema mobile e complesso, i cui componenti possono funzionare in
relazione a quanto precede o segue, ma anche vivere di vita propria; tessono il filo di
un pensiero che si fa poetante, e portante, ma anche registrano i moti del cuore”
Canzoni e idilli
- canzoni (1818-1823: nel 1824 Leopardi pubblica dieci canzoni):
«tentano la via della poesia difficile e ardita [...] Il loro linguaggio è caratterizzato
da parole e modi di dire aulici e lontani dall’uso comune [...], inversioni sintattiche
e latinismi, che introducono una patina nobilitante di arcaismo». (R. Bonavita)
Esempi: Bruto minore (1821) e Ultimo canto di Saffo (1822); Leopardi dà voce ai
propri sentimenti attraverso dei personaggi antichi, che «pronunciano dei monologhi
simili ai finali delle tragedie alfieriane, con l’eroe che esprime il suo dolore e inveisce
contro il destino prima di porre coraggiosamente fine alla sua vita» (R. Bonavita); testi
che mostrano il cambiamento intercorso in Leopardi rispetto all’idea della felicità degli
antichi in comunione con la natura.
- idilli (1819-1821: stampati nella raccolta di Versi del 1826):
costituiscono «l’esito più innovativo della poesia giovanile di Leopardi»
(R. Bonavita): sono componimenti in endecasillabi sciolti «che seguono lo
svolgersi di sensazioni, ricordi, sentimenti all’interno dell’io, riducendo al
minimo i riferimenti storici e culturali». Si tratta di «una forma poetica molto
sfumata, non vincolante, capace di dar voce a sensazioni indefinite», grazie a cui
«il poeta può rivolgere lo sguardo alle forme della natura esterna e nello stesso
tempo seguire i percorsi mentali e sentimentali che si svolgono nel suo io»
(G. Ferroni).
«In tutti i componimenti la dimensione del presente viene messa in rapporto con quella
del passato» (M.A. Bazzocchi)
«Gli idilli puntano sul massimo di semplicità e su un abbassamento di
tono: sintassi più lineare, ambientazioni tratte dal quotidiano, un lessico
meno elevato» (R. Bonavita).
Esempi: L’infinito; La sera del dì di festa; Alla luna.
I canti pisano-recanatesi
Dopo quasi sei anni di silenzio, interrotto solo da due testi (Alla sua donna, 1823 e Al
conte Carlo Pepoli, 1826), nascono i canti cosiddetti pisano-recanatesi (1828-
1830): Il risorgimento, A Silvia, Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato
del villaggio, il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.
Questi testi danno voce alla visione esistenziale leopardiana, attraverso temi come
• Il rimpianto per la fine della giovinezza > caduta delle illusioni
• la poetica del vago, dell’indeterminato, della rimembranza («doppia vista»)
Da Le ricordanze (vv. 50-60)
Viene il vento recando il suon dell'ora
Della torre del borgo. Era conforto
Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
Quando fanciullo, nella buia stanza,
Per assidui terrori io vigilava,
Sospirando il mattin. Qui non è cosa
Ch'io vegga o senta, onde un'immagin dentro
Non torni, e un dolce sovvenir non sorga.
Dolce per se; ma con dolor sottentra
Il pensier del presente, un van desio
Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui.
I Canti: la novità formale
«In queste poesie, segnate dalla sua svolta filosofica, Leopardi crea una nuova musica
verbale, sperimentando la canzone libera, un metro composto da endecasillabi
e settenari che si alternano liberamente, collegati da rime sciolte da ogni schema
predeterminato. È una misura che lascia fluire più liberamente i rimandi musicali e
di significato tra le parole, e produce un effetto di melodiosa spontaneità e
naturalezza, proprio come un canto che viene improvvisamente alle labbra in un
momento di intensa commozione; ma suona anche come una forma modernissima
per modulare l’armonia antica, opposta ai ritmi martellanti e alle rime obbligate dei
romantici italiani» (R. Bonavita)
Canto notturno di un pastore errante dell’Asia
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?

Stanze di lunghezza variabile, con rime in posizione non fissa


(anche se ogni stanza si chiude
con un rima in -ale).
La poesia degli ultimi anni
I testi più rilevanti negli ultimi anni sono:
• il cosiddetto “ciclo di Aspasia”, cinque canti (Il pensiero dominante, Amore e
morte, A se stesso, Aspasia, Consalvo), che danno soprattutto espressione alla
passione amorosa per Fanny Targioni Tozzetti e alla cocente disillusione che ne
è seguita;
• i canti napoletani, tra cui in particolare Il tramonto della luna e La ginestra.

A se stesso
Or poserai per sempre,
Stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
Ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moti tuoi, nè di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T'acqueta omai. Dispera
L'ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Omai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera,
E l'infinita vanità del tutto.

La ginestra (1836)
• Posta in conclusione del libro dei Canti vero e proprio, nell’ed. postuma
(seguono testi che costituiscono una sorta di appendice), rappresenta il
testamento di Leopardi, la summa del suo pensiero.
• Si tratta di un lungo poemetto suddiviso in unità di misura diversa (lasse).
La ginestra: I lassa (vv. 1-51)
• Omaggio alla ginestra e rappresentazione del paesaggio desertico del
Vesuvio, testimone della precarietà dei destini umani.
• Invito a chi crede nelle magnifiche sorti e progressive a recarsi a contemplare
questo paesaggio.

vv. 1-7
Qui su l'arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor nè fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti.

vv. 17-32a
Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;
Dove s'annida e si contorce al sole
La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e colti,
E biondeggiàr di spiche, e risonaro
Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi de' potenti
Gradito ospizio; e fur città famose
Che coi torrenti suoi l'altero monte
Dall'ignea bocca fulminando oppresse
Con gli abitanti insieme.

vv. 32b-41a
Or tutto intorno
Una ruina involve,
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola. A queste piagge
Venga colui che d'esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
È il gener nostro in cura
All'amante natura.

LEZIONE 21 (03/05/2021)

NICCOLO’ MACHIAVELLI
Machiavelli come scrittore nasce con una lettera, ovvero la lettera del 10 dicembre
1513, la più famosa lettera nella letteratura italiana.
1469-1527
- 1469: Lorenzo de’ Medici succede al padre Piero come signore di fatto di
Firenze
- 1527: ha luogo il sacco di Roma, a opera dei lanzichenecchi. Muore Machiavelli
in quello stesso anno.
1492
- Muore Lorenzo il Magnifico: gli succede il figlio Piero
- Finisce quella che viene dipinta come un’età dell’oro sia da Macchiavelli alla
fine delle Istorie fiorentine sia da Francesco Gucciardini nella Storia d’Italia.
1494
- Ludovico il Moro provoca la discesa in Italia di Carlo VIII di Francia, che
rivendica i propri diritti ereditari sul regno di Napoli
- Si apre il periodo delle cosiddette guerre d’Italia, un lungo periodo in cui l’Italia
diventa teatro dello scontro tra potenze straniere, in particolare Francia e Spagna.
1494-1498: Savonarola
- 1494: L’atteggiamento di Piero de’ Medici ne confronti di Carlo VIII provoca la
cacciata dei Medici da Firenze. Firenze perde il dominio di Pisa.
- Si instaura un sistema di governo popolare (istituzione di un Maggior Consiglio)
- La politica di Firenze è dominata dalla figura del domenicano Girolamo
Savonarola
- 1498: Savonarola è condannato al rogo e si instaura un nuovo regime
repubblicano, di impronta moderata.
E’ nel 1498, in una maniera un po’ misteriosa, che Machiavelli entra nella vita politica
della città
La “lunga esperienza delle cose moderne”
- 1498: Niccolò Machiavelli viene nominato segretario della seconda cancelleria
della Repubblica di Firenze, poi anche dei cosiddetti Dieci di Balìa (o della Pace
e della Guerra); si occupa di politica interna al territorio di Firenze, rapporti con
gli ambasciatori, organizzazione militare
- Machiavelli entra a diretto contatto con la realtà politica del suo tempo e compie
numerose missioni diplomatiche, in particolare in Francia, a più riprese (a partire
dal 1500), presso il Valentino (Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro VI
[1502, due missioni]), a Roma (per il conclave che elegge Giulio II [1503] e poi
a seguito del papa a Perugia e Bologna [1506]), in Tirolo e nel veneto presso
l’imperatore Massimiliano (1508).
Questi sono momenti nei quali Machiavelli forma la propria visione riguardo ai temi
che tratterà poi nei suoi scritti.
1502-1512: Pier Soderini
- 1502: viene eletto gonfaloniere a vita Pier Soderini (modello; sistema della
Repubblica di Venezia, doge)
- 1512: il successo della Lega Santa voluta da Giulio II contro la Francia, a cui
Firenze è legata, provoca la fine di Soderini
- I Medici rientrano a Firenze
In questi anni si consuma anche la parabola di Machiavelli nei livelli più alti dello stato
fiorentino.
La “lunga esperienza delle cose moderne” 2
- Dai suoi incarichi nascono scritti ufficiali (Legazioni [fuori dal territorio di
firenze] e commissarìe [dentro al territorio di firenze]) e altri testi e quindi le
sue prime importanti riflessioni
- Dalla diretta osservazione di altre realtà statali prende forma l’idea
dell’importanza di un esercito reclutato tra i propri cittadini (1507: Machiavelli
viene nominato cancelliere dei Nove Ufficiali della Milizia fiorentina; 1509:
riconquista Pisa)
- 1512: Machiavelli viene destituito del proprio ruolo e condannato al confino
entro il dominio di Firenze
- 1513: viene accusato di aver partecipato a una congiura, viene incarcerato e
torturato, poi liberato grazie all’amnistia per l’elezione di Giovanni de’ Medici
a papa, col nome di Leone X (11 marzo)
- Machiavelli si ritira nel podere dell’Albergaccio, a Sant’Andrea di Percussina
Passiamo ora alla lettera rivolta a Vettori, di cui abbiamo parlato prima. L’epistolario
privato di Machiavelli non è concepito per lasciare un’immagine di se ai posteri, come
erano soliti fare molti personaggi dell’epoca.
Con Vettori Machiavelli lavora quando è ad ambasciata dall’Imperatore, nel 1508, per
ordine della signoria di Firenze. Tra i due nasce un’amicizia e il carteggio tra i due
mescola elementi propri di una amicizia maschile a riflessioni storico politiche degli
eventi del tempo, e al desiderio di ritornare sulla scena politica.
Inizio del carteggio con Vettori
Magnifico viro
Francisco Victorio oratori florentino dignissimo apud Sommum Pontificem.
Romae.
Magnifice vir. Come da Pagolo vostro harete inteso, io sono uscito di prigione con
la letitia universale di questa città, non obstante che per l'opera di Pagolo et vostra
io sperassi il medesimo; di che vi ringrazio. Né vi replicherò la lunga historia di
questa mia disgrazia; ma vi dirò solo che la sorte ha fatto ogni cosa per farmi
questa ingiuria: pure, grazia di Iddio, ella è passata. Spero non incorrere più, sì
perché sarò più cauto, sì perché i tempi saranno più liberali, et non tanto sospettosi.
[…]
Tenetemi, se è possibile, ne la memoria di Nostro Signore, che, se possibil fosse, mi
cominciasse a adoperare, o lui o i suoi, a qualche cosa, perché
io crederrei fare honore a voi et utile a me. Die 13 Marzii 1512 [1513].
Vostro
Niccolò Machiavelli, in Firenze.

Il carteggio tra Machiavelli e Vettori


«chi vedesse le nostre lettere, honorando compare, et vedesse le diversità di quelle,
si maraviglierebbe assai, perché gli parrebbe hora che
noi fussimo huomini gravi, tutti vòlti a cose grandi, et che ne' petti nostri non
potesse cascare alcuno pensiere che non havesse in sé honestà et grandezza. Però
dipoi, voltando carta, gli parrebbe quelli noi medesimi essere leggieri, inconstanti,
lascivi, vòlti a cose vane. Questo modo di procedere, se a qualcuno pare sia
vituperoso, a me pare laudabile, perché noi imitiamo la natura, che è varia; et chi
imita quella non può essere ripreso» (lettera a Francesco Vettori del 31 gennaio 1515)

LEZIONE 22 (06/05/2021)

Riiniziamo dalla Lettera che abbiamo iniziato ad analizzare la volta scorsa


La lettera del 10 dicembre 1513
- Machiavelli risponde a una lettera di Francesco Vettori
- Vettori, ambasciatore della Repubblica fiorentina presso la Santa Sede,
raccontava la propria vita a Roma, povera di occupazioni in una lettera del 23
novembre
- Machiavelli racconta la propria giornata tipo, ricalcando sotto diversi aspetti
l’epistola dell’amico, ma mettendo in luce anche l’umiltà della sua vita al
confronto
Dalla lettera di Vettori del 23 novembre 1513
“La mattina, in questo tempo, mi lievo a 16 hore [le 9], et vestito, vo insino a Palazo;
non però ogni mattina, ma, delle due o tre una. Quivi, qualche volta, parlo venti parole
al papa [Leone X], dieci al cardinale de’ Medici [Giulio de’ Medici, futuro Clemente
VII], sei al magnifico Juliano; et se non posso parlare a llui, parlo a Piero Ardinghelli,
poi a qualche imbasciadore che si truova per quelle camere; e intendo qualchoxetta,
pure di poco momento.»
L’inizio della lettera di Machiavelli del 10 dicembre in risposta
Magnifico ambasciatore. «Tarde non furon mai grazie divine.» Dico questo, perché
mi pareva haver perduta no, ma smarrita la gratia vostra, sendo stato voi assai tempo
senza scrivermi, et ero dubbio donde potessi nascere la cagione. Et di tucte quelle che
mi venivono nella mente tenevo poco conto, salvo che di quella quando io dubitavo
non vi havessi ritirato da scrivermi perché vi fussi suto scripto che io non fussi buono
massaio delle vostre lettere; et io sapevo che, da Filippo et Pagolo in fuora, altri per
mio conto non l’haveva viste.
Honne rihauto per l’ultima vostra de’ 23 del passato, dove io resto contentissimo
vedere quanto ordinatamente et quietamente voi exercitate cotesto offizio publico; et
io vi conforto a seguire così, perché chi lascia e
sua commodi per li commodi d’altri, so perde e sua, et di quelli non li è
saputo grado. Et poiché la Fortuna vuol fare ogni cosa, ella si vuole lasciarla fare,
stare quieto et non le dare briga, et aspettar tempo che la lasci fare qualche cosa
agl’huomini; et allhora starà bene a voi durare più fatica, veghiare più le cose, et a
me partirmi di villa et dire: eccomi. Non posso pertanto, volendovi rendere
pari gratie, dirvi in questa mia lettera altro che qual sia la vita mia, et se
voi giudichate che sia a barattarla con la vostra, io sarò contento mutarla.
Machiavelli qui risponde punto per punto mostrando la sua giornata, anche con ironia,
dicendo che baratterebbe volentieri la sua giornata con quella di Vettori. Qui
Machiavelli inoltre utilizza massime incontrovertibili (secondo lui), e inserisce a
fortuna. Ma cos’è la fortuna per Machiavelli? Essa è qualcosa che si sottrae al controllo
umano, è una dimensione dell’esistenza dominata dal caso con cui gli esseri umani
devono necessariamente fare i conti; essa è totalmente sganciata dalla provvidenzialità
divina. Contrario alla fortuna vi è la virtù, intesa come la capacità di piegare le
circostanze a proprio favore. In questa lettera Machiavelli dice che la fortuna gli è
avversa.
Le occupazioni della mattina
Io mi sto in villa, et poi che seguirno quelli miei ultimi casi, non sono stato,
ad acozarli tutti, 20 dì a Firenze. Ho infino a qui uccellato a’ tordi di mia mano. […]
dipoi questo badalucco, ancora che dispettoso et strano, è mancato con mio
dispiacere; et qual la vita mia [sia] vi dirò. Io mi lievo la mattina con el sole
et vommene in un mio boscho che io fo tagliare, dove sto dua hore a
rivedere l’opere del giorno passato et a passar tempo con quegli tagliatori,
che hanno sempre qualche sciagura alle mane o fra loro o co’ vicini. […]
Letture e incontri
Partitomi del bosco, io me ne vo ad una fonte, et di quivi in un mio uccellare. Ho un
libro sotto, o Dante o Petrarca, o un di questi poeti minori, come Tibullo, Ovvidio et
simili: leggo quelle loro amorose passioni et quelli loro amori, ricordomi de'
mia, godomi un pezzo in questo pensiero. Transferiscomi poi in su la
strada nell'hosteria; parlo con quelli che passono, dimando delle nuove de' paesi
loro; intendo varie cose et noto varii gusti et diverse fantasie d'huomini
Qui vediamo un primo accenno alle letture della giornata di Machiavelli, che per lui
sono leggere (Dante, Petrarca, Tibullo, Ovidio). Sono letture che si possono portare
con se, grazie alle loro dimensioni ridotte, all’inizio del ‘500 avevano infatti iniziato a
circolare edizioni tascabili di Dante, Petrarca ecc.
L’”ingaglioffarsi” del pomeriggio
Vienne in questo mentre l'hora del desinare, dove con la mia brigata mi mangio
di quelli cibi che questa povera villa et paululo patrimonio comporta. Mangiato che
ho, ritorno nell'hosteria: quivi è l'hoste, per l'ordinario, un beccaio,
un mugnaio, dua fornaciai. Con questi io m'ingaglioffo per tutto dì giuocando
a criccha, a triche-tach, et poi, dove nascono mille contese et infiniti dispetti di
parole iniuriose, et il più delle volte si combatte un quattrino, et siamo
sentiti nondimanco gridare da San Casciano. Così, rinvolto entra questi
pidocchi, traggo el cervello di muffa, et sfogo questa malignità di questa mia
sorta, sendo contento mi calpesti per questa via, per vedere se la se ne vergognassi.
Dalla lettera di Vettori
Dopo mangiare giucherei, se havessi chon chi; ma non havendo, passeggio pella
chiesa e per l’orto. Poi chavalcho un pochetto fuori di Roma, quando sono belli
tempi. A nocte torno in casa; et ho ordinato d’havere historie assai, maxime de’
Romani, chome dire Livio chon lo epitoma di Lucio Floro, Salustio, Plutarcho,
Appiano Alexandrino, Cornelio Tacito, Svetonio, Lampridio et Spartiano et quelli
altri che scrivono delli imperatori, Herodiano, Ammiano Marcellino et Procopio, et
con essi mi passo tempo; et considero che imperatori ha sopportati questa misera
Roma che già fece tremare il mondo, et che non è suta maravigla habbi ancora
tollerati dua pontefici della qualità sono suti e passati [Alessandro VI e Giulio II].
La conversazione con gli “antiqui huomini”
Venuta la sera, mi ritorno a casa, et entro nel mio scrittoio; et in sull'uscio mi
spoglio quella veste cotidiana, piena di fango et di loto, et mi metto panni reali et
curiali; et rivestito condecentemente entro nelle antique corti delli antiqui huomini,
dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è mio, et
ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro et domandarli della
ragione delle loro actioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; et non sento
per 4 hore di tempo alcuna noia, sdimenticho ogni affanno, non temo la povertà,
non mi sbigottisce la morte: tucto mi transferisco in loro.
Il verbo “mi trasferisco” è l’immergersi completamente nelle vite degli antichi
uomini di cui Machiavelli qui sta parlando. La solennità del tono è anche data dallo
stile utilizzato, come l’uso di copie di sinonimi ecc. La lettura per Machiavelli è
conversazione, essa infetti permette di superare le barriere temporali e presentarsi
davanti a quegli uomini antichi per parlarci direttamente, partecipando ala vita del
passato. La cultura per lui è cibo e nutrimento: “mi pasco di quel cibo…”, e quelle
quattro ore di lettura lo aiutano a produrre la scrittura.
Siamo ora arrivati al passo in cui Machiavelli parla dell’opera che ha prodotto in quel
periodo.
“uno opuscolo De principatibus”
E perché Dante dice che non fa scienza sanza lo ritenere lo havere inteso, io ho
notato quello di che per la loro conversatione ho fatto capitale, et composto uno
opuscolo De principatibus, dove io mi profondo quanto io posso nelle cogitationi di
questo subbietto, disputando che cosa è principato, di quale spetie sono, come e’ si
acquistono, e’ si mantengono, perché e’ si perdono. Et se vi piacque mai alcuno mio
ghiribizo, questo non vi doverrebbe dispiacere; et a un principe, et massime a un
principe nuovo, doverrebbe essere accetto; però io lo indrizzo alla Magnificenza di
Giuliano. Philippo Casavecchia l’ha visto; vi potrà ragguagliare in parte et della
cosa in sé, et de’ ragionamenti ho hauto seco, anchor che tuttavolta io l’ingrasso et
ripulisco.
De principatibus / Il Principe
- Nella tradizione manoscritta e in una lettera di Niccolò Guicciardini del 1517 si
una la forma latina
- Il titolo in volgare compare a partire dalla stampa del 1532, ma è già attestato
nella tradizione dei Discorsi
- La doppia titolazione è conforme alla doppia natura dell’opera, dedicata ai
principati nella prima parte, al principe nella seconda
Vediamo ora per chiudere gli ultimi due passaggi fondamentali, uno riguardo al
dubbio di far avere questo scritto (De principatibus) a Giuliano de’ Medici, e il suo
desiderio di tornare a Firenze per riprendere la vita politica.
Dubbi e aspirazioni di Machiavelli
Io ho ragionato con con Filippo di questo mio opuscolo, se gli era ben darlo o non lo
dare; et, sendo ben darlo, se gli era bene che io lo portassi, o che io ve lo mandassi.
El non lo dare mi faceva dubitare che da Giuliano e’ non fussi, non ch’altro, letto, et
che questo Ardinghelli si facessi honore di questa ultima mia faticha. El darlo mi
faceva la necessità che mi caccia, perché io mi logoro, et lungo tempo non posso star
così che io non diventi per povertà contennendo, appresso al desiderio harei che
questi signori Medici mi cominciassino adoperare, se dovessino cominciare a farmi
voltolare un sasso:
L’esperienza messa al servizio dei Medici
Perché, se poi io non me gli guadagnassi, io mi dorrei di me; et per questa cosa,
quando la fussi letta, si vedrebbe che quindici anni, che io sono stato a studio all’arte
dello stato, non gli ho né dormiti né giuocati; et doverrebbe ciascheduno haver caro
servirsi d’uno che alle spese d’altri fussi pieno di experienzia. Et della fede mia non
si doverrebbe dubitare, perché, havendo sempre observato la fede, io non debbo
imparare hora a romperla; et chi è stato fedele et buono 43 anni, che io ho, non
debbe potere mutare natura; et della fede e bontà mia ne è testimonio la povertà mia.

LEZIONE 23 (07/05/2021)
Questioni poste dalla lettera
- Quanto era stato composto del Principe all’altezza del 10 dicembre 1513?
- Argomenti indicati (“che cosa è principato, di quale spetie sono, come è si
acquisistono, è si mantengono, perché è si perdono”): identificabili solo con una
parte del trattato (cap. I-XI) ?
- “ho […] composto uno opuscolo De principatibus” vs “anchor che tuttavolta io
l’ingrasso et ripulisco”
Lettera di Vettori del gennaio 1514
- “ho visto e capitoli dell’opera vostra, e mi piacciono altre a modo; ma se non
ho il tutto non voglio fare judicio resoluto”.
- Cosa intende Vettori?
1. Ha visto solo ciò che M. ha scritto fino a quel momento.

2. Ha visto una sorta di sommario dell’opera, già scritta.

3. Ha visto solo una parte di un’opera già compiuta.


Problema di interpretazione dell’opera
- Il principe è un’opera unitaria
- O composta in diversi momenti
- O composta e poi riscritta?
In tempi recenti
• Mario Martelli: l’esortazione finale e altri passaggi del Principe si
spiegherebbero nel 1518, quando effettivamente i Medici furono sul punto di
costituire una signoria assoluta.
• Gennaro Sasso: nel XXVI capitolo i Medici sono invitati a dotarsi di armi
proprie; questo sarebbe sensato solo prima del ripristino dell’Ordinanza,
avvenuto il 14 maggio 1514.
Il dedicatario del Principe
• Nella lettera a Vettori è abbastanza chiaro che il dedicatario è individuato in
Giuliano de’ Medici, fratello di Leone X, anche se l’incertezza sull’invio
dell’opera si riflette secondo alcuni anche sul dedicatario.
• Il Principe è dedicato invece a Lorenzo de’ Medici il Giovane, nipote del
Magnifico e figlio di Piero il Fatuo.
Il cambiamento del dedicatario
- Il cambiamento forse è dovuto alla orte di giuliano (marzo 1516)
- O forse questo spostamento potrebbe essere dovuto al fatto che in Lorenzo di
poteva vedere il nuovo “principe” di Firenze (anche pria che venisse nominato
capitano delle milizie fiorentine [1515])
- Secondo diversi studiosi la dedica a Lorenzo deve precedere la sua creazione a
duca di Urbino (1516), perché non vi è traccia di questo tiolo nella dedica stessa.
Perché il Principe
- Ragioni personali: Machiavelli vuole mettere al servizio dei Medici i quindici
anni trascorsi “a studio all’arte dello stato”, perché vuole tornare protagonista
sulla scena politica del suo tempo
- Ragioni storiche: la ripresa del potere a Firenze da parte dei Medici, l’elezione
di un Medici al pontificato, i progetti di creazione di un principato affidato a
Giuliano de’ Medici facevano pensare alla possibile creazione di un’entità
statale in Italia che per dimensioni e potenza fosse in grado di opporsi alle
nazioni straniere.
- Con il progetto di un principato mediceo sembravano ricrearsi condizioni molto
simili a quelle di inizio Cinquecento, quando il papa era Alessandro VI e suo
figlio (Cesare Borgia, il Valentino) stava creando un principato nuovo in Italia
centrosettentrionale
Dalla lettera di Vettori del 12 luglio 1513
“Et cominciando al papa, diremo che il fine suo sia mantenere la Chiesa nella
riputatione l’ha trovata, non volere che diminuisca di stato, se già quello che gli
diminuisse non lo consegnasse a’ sua, cioè a Giuliano et Lorenzo, a’ quali in ogni
modo pensa dare stati. […] Che voglia dare stato a’ parenti, lo mostra che così
hanno fatto li papi passati Calisto, Pio, Sixto, Innocentio, Alessandro et Giulio; et chi
non l’ha fatto, è restato per non potere. Oltre a questo, si vede che questi a Firenze
pensano poco, che è segno che hanno fantasia a stati che sieno fermi et dove non
habbino a pensare continuo a dondolare huomini. Non voglio entrare in
consideratione quale stato disegni, perché in questo muterà proposito secondo la
occasione.»
Struttura del Principe
- Capp. I-XI: descrivono vari tipi di principati, divisi in:

Cap. II: principati ereditari


Capp. III-V: principati misti
Capp. VI-IX: principati nuovi (suddivisi in base alle modalità di acquisizione
Cap. X: valutazione delle forze militari
Cap. XI: principati ecclesiastici (questa parte pare corrispondere alla sintesi dei
contenuti presentata nella lettera a Vettori e nella dedica.
Capp. XII-XIV: discussione del problema delle milizie.
Capp. XV-XXIII: le qualità e i comportamenti del principe:
Cap. XV: sorta di secondo prologo: la «verità effettuale»
Cap. XVI: liberalità e parsimonia
Cap. XVII: crudeltà e pietà
Cap. XVIII: lealtà e slealtà
Cap. XIX: come rifuggire il disprezzo e l’odio
Capp. XX-XIII: varie questioni pratiche
Cap. XXIV-XXVI
Cap. XXIV: le ragioni della situazione italiana
Cap. XXV: ruolo della fortuna
Cap. XXVI: esortazione al principe-dedicatario

La dedica
NICOLAUS MACLAVELLUS MAGNIFICO LAURENTIO MEDICI
IUNIORI SALUTEM.
Sogliono el più delle volte coloro che desiderano acquistare grazia appresso uno
principe farsegli incontro con quelle cose che in fra le loro abbino più care o delle
quali vegghino lui più dilettarsi; donde si vede molte volte essere loro presentati
cavagli, arme, drappi d'oro, prete preziose e simili ornamenti degni della grandezza
di quelli. Desiderando io adunque offerirmi alla vostra Magnificenzia con qualche
testimone della servitù mia verso di quella, non ho trovato, in tra la mia supellettile,
cosa quale io abbia più cara o tanto esistimi quanto la cognizione delle
azioni delli uomini grandi, imparata da me con una lunga esperienza delle cose
moderne e una continua lezione delle antiche; le quali avendo io con
gran diligenzia lungamente escogitate ed esaminate, e ora in uno piccolo volume
ridotte, mando alla Magnificenzia vostra.

La dedica: finalità e stile dell’opera


E benchè io iudichi questa opera indegna della presenza di quella, tamen confido assai
che per sua umanità gli debba essere accetta, considerato come da me non gli
possa essere fatto maggiore dono che darle facultà a potere in brevissimo tempo
intendere tutto quello che io, in tanti anni e con tanti mia disagi e periculi, ho
conosciuto e inteso. La quale opera io non ho ornata né ripiena di clausule ample o
di parole ampullose e magnifiche o di qualunque altro lenocinio e ornamento
estrinseco, con e' quali molti sogliono le loro cose descrivere e ordinare, perché io
ho voluto o che veruna cosa la onori o che solamente la varietà della materia e la
gravità del subietto la facci grata.
Machiavelli non sta dicendo che la sua opera è stilisticamente trascurata, ma specifica
che la sua non è un’opera in cui l’autore punti sugli ornamenti retorici.
La dedica: la prima similitudine
Né voglio sia imputata prosunzione se uno uomo di basso e infimo stato ardisce
discorrere e regolare e' governi de' principi; perché così come coloro
che disegnano e' paesi si pongono bassi nel piano a considerare la natura de' monti e
de' luoghi alti e, per considerare quella de' luoghi bassi, si pongono alto sopra ' monti,
similmente, a conoscere bene la natura de' populi, bisogna essere principe, e,
a conoscere bene quella de' principi, conviene essere populare.
Vi è parallelismo tra la vita dei principi e la vita concreta, attraverso le similitudini.
La dedica: la condizione dell’autore
Pigli adunque vostra Magnificenzia questo piccolo dono con quello animo che io 'l
mando; il quale se da quella fia diligentemente considerato e letto, vi conoscerà
dentro uno estremo mio desiderio che lei pervenga a quella grandezza che la fortuna
e l'altre sua qualità le promettono.
E se vostra Magnificenzia da lo apice della sua altezza qualche volta volgerà li occhi
in questi luoghi bassi, conoscerà quanto io indegnamente sopporti una grande e
continua malignità di fortuna.

Il cap. I del Principe


QUOT SINT GENERA PRINCIPATUUM ET QUIBUS MODIS ACQUIRANTUR.
Tutti gli stati, tutti e' dominii che hanno avuto e hanno imperio sopra gli uomini, sono
stati e sono o republiche o principati. E' principati sono o ereditari, de'
quali el sangue del loro signore ne sia suto lungo tempo principe, o sono nuovi. E'
nuovi, o e' sono nuovi tutti, come fu Milano a Francesco Sforza, o sono come membri
aggiunti allo stato ereditario del principe che gli acquista, come è el regno di Napoli
al re di Spagna. Sono questi dominii così acquistati o consueti a vivere sotto uno
principe o usi a essere liberi; e acquistonsi o con l'arme d'altri o con le proprie, o
per fortuna o per virtù.

LEZIONE 24 (10/05/2021)
Capitoli I- XI descrivono i vari tipi di principati, divisi in:
- Capitolo II principati ereditari
- II -IV principati misti
- VI- IX principati nuovi (suddivisi in base alle modalità di acquisizione)
- X valutazione delle forze militari
- XI principati ecclesiastici
- XII – XIV discussione sul problema delle milizie
- XV – XXIII le qualità e i comportamenti del principe: XV sorta di secondo
prologo, la verità effettuale; XVI libertà e parsimonia; XVII crudeltà e pietà;
XVIII lealtà e slealtà; XIX come rifuggir il disprezzo e l’odio; XX- XXIII varie
questioni pratiche
- XXIV le ragioni della situazione italiana
- XXV ruolo della fortuna
- XXVI esortazione al principe dedicatario

Il nucleo più interessante è quello dai capitoli VI -IX, che si soffermano sulle varie
modalità di acquisizione del principato, culminando con il capitolo 9, dedicato al
principato civile. È il caso in cui un privato cittadino diventi principe di uno stato, con
il consenso altrui, in questo capitolo M. si sofferma su un aspetto molto importante,
quello del consenso e dei gruppi sociali che lo garantiscono. Dobbiamo distinguere
principato da tirannide, per M. il principato non coincide con la tirannide.
Il capitolo II, dopo l’esposizione della varie tipologie di principati esistenti, si sofferma
sui principati ereditari con questa premesse: “tralascerò di parlare delle repubbliche
perché ne ho parlato in un’altra occasione a lungo”. L ‘opera su cui ha ragionato su di
esse potrebbero essere i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio: è probabile che M.
avvii la composizione del Principe dopo che aveva già steso parte dei Discorsi, forse i
primi 18 capitoli.
Non si devono contrappore Principe e Discorsi come se una fosse dedicata ad un
sistema di origine monarchico, il principato, e l’altro ad un sistema di origine
democratica, cioè la repubblica. Già nei primi 18 capitoli dei discorsi vediamo come
per M., non ci sia un antitesi tra le due forme di governo, quanto una idea che entrambe
siano condizionate dalla necessità storica del momento. Nel capitolo 9 dei Discorsi, si
parla della necessità che ci sia un uomo solo a fondare o a riformare una repubblica.
Alla fine di questi 18 capitoli M. vede nel principato l’inevitabile evoluzione di una
repubblica corrotta. Negli stessi capitoli iniziali (in particolare nel II) dei discorsi si
sofferma su una teoria di Polibio, al teoria della anaciclosi (della vita ciclica delle forme
di governo), esistono 3 forme di governo a seconda della quantità di persone che
detengono il potere: la monarchia, con solo 1 persona, la democrazia, nel caso sia il
popolo con il potere, l’aristocrazia, se i nobili hanno il potere. Nello stesso Polibio M.
trova l’idea della degenerazione inevitabile di queste forme di governo, la monarchia
evolve in tirannide, dalla tirannide per ribellione degli aristocratici si forma
l’aristocrazia come governo, diventa poi oligarchia, e il popolo nei confronti di questo
governo chiuso prende il potere e diventa democrazia, a questo punto la democrazia
evolve in una forma deviata, l’oclocrazia,
M. pensa ci sia una ciclicità nella storia, e secondo lui i Romani sono riusciti a
equilibrare le 3 forme di governo evitando questo ciclo di governi e di degenerazioni
di essi, questo grazie a delle istituzioni che davano voce a gruppi sociali diversi:
- consolato: evoluzione della monarchia
- senato: aristocrazia
- tribunato della plebe: esprime le istanze del popolo

M. è rivoluzionario con il suo pensiero, perché mentre si vedeva il conflitto come


negativo, egli ritiene che in una società complessa il conflitto sia parte integrante della
vita politico -sociale, e ritiene che Roma abbia saputo trovare forme istituzionalizzate
per cui i diversi umori dello stato si potessero esprimere in una cornice legale e
contribuire al progresso dello stato stesso. Secondo lui per rimanere saldamente al
potere occorre quindi mantenere le stesse forme di governo degli antichi.
“Noi abbiamo in Italia, ad esempio, il duca di Ferrara (spesso M. usa la
personificazione di un entità statale per riferirsi proprio a quella entità) il quale ha
resistito agli assalti dei veneziani dell’ottantaquattro (Venezia voleva espandersi e
conquistare Ferrara) e a quelli di Papa Giulio X, se non per altre cause che per essere
radicato in quel dominio da molto tempo. Perché il principe per diritto di natura ha
minori motivi e minore necessità di recare offesa a qualcuno, ragione per cui è
necessario che sia amato di più”. “A causa dell’antichità e della continuità (di
generazione in generazione) del dominio non c’è più memoria di ciò che ha portato a
delle innovazioni (qua innovazioni viste come qualcosa di negativo) : perché una
mutazione (innovazione) sempre lascia l’addentellato (termine tecnico a designare il
fatto che in una costruzione si dia la possibilità di unire ad un muro un altro muro grazie
ad un insieme di sporgenze e rientranze) per l’edificazione di un’altra” ( il principe
spesso guarda alle costruzioni politiche come edifici, che devono avere fondamenta
solide ma che corrono sempre il pericolo di vacillare e di cadere miseramente).

Il capitolo III è dominato dalla figura di Luigi XII, re di Francia e il suo caso presenta
molteplici motivi di interesse:
- si tratta di vicende che machiavelli aveva seguito da vicino (in 4 legazioni, dal
1500 al 1511, che gli avevano permesso di comprendere la struttura dello stato
francese)
- la Francia era il maggior alleato di Firenze e il perseverare nell’alleanza aveva
comportato la caduta del regime di Soderini (Luigi XII perde poi contro la Lega
Santa creata da Giulio II facendo cadere Soderini anche)
- il capitolo è un esempio di analisi politica di una vicenda recente, che si avvale
anche del confronto con la storia romana (infatti M. pensa che Roma sia un
esempio da imitare, che non può essere riprodotto perfettamente in quel tempo,
ma è un esempio che consente di capire quali siano gli accorgimenti a tenere per
evitare la sconfitta e la rovina)
Nel primo paragrafo c’è l’enunciazione di alcuni principi generali che guardano però a
ciò che succede concretamente nel momento in cui un principe entra in possesso di un
nuovo territorio. Machiavelli fa un ragionamento quasi a ritroso : presupposto primo
per poter conquistare un territorio nuovo è quello dell’avere aiuto da qualcuno,( c’è
bisogno dei provinciali per entrare in una provincia), questo porta con sé che da un lato
si rechi offesa a qualcuno e dall’altro è necessario fare delle promesse che poi non si
possono mantenere totalmente (da un alto si suscita risentimento da coloro offesi,
dall’altro sin suscitano aspettative che poi rimangono deluse e ciò porta cons e la
possibilità di ribellioni); spesso chi ha favorito una mutazione si pente.

Dopo di ciò si inizi a concentrare sulle ragioni per cui Luigi XII ha perso il ducato di
Milano per la seconda volta (pag.49). ha fatto una serie di errori, le cause che hanno
fatto perdere la prima volta Milano le ha già affrontate. Machiavelli ha una visione
estremamente drammatica della vita politica, anche complice la sua esperienza, dopo
decenni di immobilismo quando M. è in politica a Firenze vede una serie di
vicissitudini quasi frenetiche. In gran parte la politica consiste nel concepire dei rimedi,
cioè delle azioni che servono ad evitare di finire in situazioni negative (rimedio ricorda
l’ambito della medicina e ha a che fare con la visone organicistica degli stati come
corpi vivi, nei quali sono anche presenti ad esempio diversi umori). La sua opera in
gran parte consiste nel consigliare al destinatario dei rimedi.

C’è l’indicazione di due casi distinti, quindi la creazione di una di quelle coppie tipiche
dell’analisi di Machiavelli:
- dico pertanto, che questi stati… tutto uno corpo: è più facile mantenere un
territorio conquistato che sia della medesima provincia e della medesima lingua.
Come la Francia che si è espansa conquistando progressivamente territori con
usi lingua e costumi simili ai suoi, non avendo troppi problemi.
- Ma quando si acquista… infinite difficoltà e fastidii: i remedii da adottare nel
caso di conquista di un territorio “disforme”. I rimedii da adottare sono 5: →
→ 1) che il sovrano vada a risiedere nel territorio conquistato come hanno fatto i turchi
nel 1453; 2)creare colonie, in uno o in due luoghi che siano quasi legami di quello stato
(fungano da legami tra madre patria e il territorio conquistato); 3) farsi capo e difensore
dei vicini minori potenti e 4) ingegnarsi di indebolire i potenti di quella e 5) guardarsi
che, per accidente alcuno, non vi entri uno forestiere potente quanto lui (pag.52)
(cercare di portare dalla propria parte i signori che sono più deboli, evitare di accrescere
il potere di chi è già è forte anzi sforzare di indebolire costoro, e infine evitare che entri
in quell’area qualcuno, per qualunque motivo, che sia potente quanto lui). La politica
è un gioco di delicati equilibri, e bisogna stare molto attenti a gestire i rapporti tra
persone e entità che detengono un potere.

Nel paragrafo successivo si parla di un fenomeno naturale, dell’ordine delle cose, tutto
il discorso di Machiavelli è fatto di una catena causa-effetto, di conseguenze che
seguono una all’altra a causa di fenomeni che si ripetono costantemente.
A pag. 53. Esempio positivo sono i romani durane la conquista della Grecia, indicati
come esempio per la loro capacità di prevedere ciò che può accadere.

L’esempio negativo è quello della Francia (pag.54) a Luigi XII è imputato di aver
sbagliato in tutti i 5 punti che Machiavelli aveva indicato, non essere andato ad abitare
là e non aver messo colonie, non aveva saputo gestire in maniera accorta gli equilibri
tra i poteri dell’area. Quando conquista Milano si spartisce con Venezia dei territori
della Lombardia, accresce il potere del Papa in Italia, perché dà al Cesare Borgia un
ducato in Francia in quanto interessato allo scioglimento del suo matrimonio e fornisce
anche aiuto militare. Così i minori potenti sono spaventati dalla crescita del potere dei
Borgia e quindi ha accresciuto il potere di un già potente e non ha ottenuto il favore dei
meno forti. Farà un accordo con Ferdinando il Cattolico re di Spagna per spartirsi
Napoli, alla Spagna il Sud di Napoli e alla Francia il Nord, ben presto si scontrano e
Luigi perde tutto il Sud, non evita quindi di far entrare nell’area qualcuno potente
quanto lui. Infine c’è un sesto errore, il più determinante, dopo essersi spartiti la
Lombardia con Venezia, e Napoli con la spagna, entra nella Lega di Cambrai nel 1508
contro Venezia che porta con sé una sconfitta rovinosa per Venezia nel 1509. Mina il
potere della repubblica di Venezia ed è un grave errore, perché aver lì presente uno
stato alleato della mole di Venezia protegge dagli eventuali attacchi al ducato di
Milano, e la sua caduta implica che altri stati che lo vogliono conquistare ora hanno
più possibilità di farlo.

LEZIONE 25 (13/05/2021)
L’ultima volta abbiamo parlate del terzo capitolo che mostra bene la capacità di analisi
dell’autore della realtà, in associazione a uno studio attento dell’antichità classica,
ricavando da Roma l’idea di una lezione da tenere nell’espansione in nuovi territori.
Lettera ai Dieci (21 novembre 1500)
“[dissi che] questa Maestà si doveva ben guardare da coloro che cercavono la
distruzione degli amici suoi, non per altro che per fare più potenti loro e più facile a
trarli l’Italia dalle mani. A che questa Maestà doveva riparare e seguire l’ordine di
coloro che hanno per lo addietro volsuto possedere una provincia esterna: che
è diminuire e’ potenti, vezzeggiare li sudditi, mantenere li amici e guardarsi da’
compagni, cioè da coloro che vogliono in tale luogo avere equale autorità»
Riferisce in questa lettera alcuni concetti che poi inserirà nel Principe.
Cap. VI: alcuni concetti fondamentali
- Necessità di imitare gli esempi offerti da uomini “eccellentissimo”
- Si mantiene più facilmente il principato ottenuto grazie alla virtù di quello
ottenuto grazie alla fortuna
- Concetto di occasione: l’azione politica che ha successo nasce dall’incontro
(“riscontro”) tra l’occasione offerta dalla fortuna e la virtù che sa cogliere questa
occasione, in genere coincidente con una situazione negativa che rende
necessaria un’azione politica.
- Problema dell’introduzione di “ordini nuovi”, cioè nuovi istituti e metodi di
governo
- Necessità di fare affidamento su forze proprie per mantenere il potere
conquistato.
Cap. VII: la vicenda esemplare di Cesare Borgia
- Cesare Borgia (1475-1507): figlio di papa Alessandro VI (1492-1503);
inizialmente avviato alla carriera ecclesiastica, ne viene poi sciolto per dedicarsi
all’opera di creazione di un principato in Italia.
- Detto “il Valentino” perché insignito dal re di Francia del ducato di Valentinois
(1498), a causa dell’interesse del re per lo scioglimento del proprio matrimonio.
- Dalla fine del 1499 intraprende un’opera di conquista che parte dalla Romagna
e lo porta a conquistare Cesena, Faenza…Piombino, Urbino (1502), Perugia
(1503).
- Tra le sue azioni più sorprendenti c’è la strage di Senigallia (31 dicembre 1502,
18 gennaio 1503).

Il cap. VII: sintesi


- Princìpi generali: difficoltà nel mantenimento dei principali acquisto con la
fortuna e le armi altrui
- Esempi: Francesco Sforza (principe per virtù propria) e Cesare Borgia, “il
Valentino” (principe per fortuna e armi altrui)
- Racconto delle vicende del Valentino:
Il disegno di Alessandro VI, individuazione degli ostacoli e loro superamento,
creazione delle condizioni favorevoli all’azione del figlio.
L’opera del Valentino: conquista della Romagna, individuazione del problema
delle arme e suo superamento, repressione dei congiurati, consolidamento della
conquista.
- L’azione di governo del Valentino: dalla conquista violenta alla
normalizzazione (da Ramirro de Lorqua ad Antonio Ciocchi da Monte San
Savino)
- Il cambiamento di alleanza: dalla Francia alla Spagna.
- Provvedimenti presi in vista del futuro, vicinanza al successo
- Imprevisto della sorte: morte di Alessandro VI e malattie del Valentino
- Meditazione finale sul Valentino: esemplarità quasi completa; l’errore del
Valentino; la sua ruina
Lettura Cap. VII (Pagina 62. Antologia)

LEZIONE 26 (14/05/2021)

Nel capitolo XIII M. guarda alla vicenda dal Valentino focalizzandosi su un aspetto
centrale. ” Questo duca entrò in Romagna con un esercito che era di qualcun altro e gli
era stato prestato. Dopo esseri servito delle armi altrui, giudicandole non sicure si servì
delle truppe mercenarie (più garanzie in quanto le pagava lui stesso) e si servì degli
Orsini e dei Vitelli. Essendosi accorto che queste truppe non erano abbastanza sicure,
anzi erano dubbie di comportamento, le eliminò e costituì un proprio esercito”.
Vediamo in questo passaggio la scelta progressiva del Valentino di cambiare esercito,
e si capisce il perché quando si riflette sulla reputazione che ebbe il duca nei diversi
casi: la sua reputazione crebbe a mano a mano che si liberò di truppe non pienamente
fedeli. La sua reputazione arrivò al massimo quando tutti potevano vedere che egli
teneva completamente nelle sue mani il suo esercito.
L’esempio del Valentino consiste quindi in questo progresso, nel passaggio dal
dipendere da qualcun altro a farsi fautore della propria fortuna, tenendo in mano il
proprio esercito. Machiavelli deforma la realtà storica, la ritocca in modo che sia
funzionale al suo discorso, rendendola più semplice e di facile fruizione e
comprensione, ad esempio i commentatori di questo passo dicono che Cesare Borgia
aveva compiuto una azione molto inferiore per dotarsi di armi proprie e che comunque
continuò ad usare armi altrui.

Con questo brano del capitolo XII entriamo nella sezione che rappresenta il centro
dell’opera. I capitoli XII, XIII, XIV sono dedicati al tema dell’uso delle truppe
mercenarie e di quelle ausiliarie (queste sono peggiori perché ci si mette nelle mani di
qualcun altro). Questa centralità non è solo fisica (prima del XII sono 11 capitoli e
dopo il XIV sono 11 ad esclusione del XXVI che è una sorta di epilogo), ma è proprio
al centro dell’opera, ed è evidente che sia una cosa centrale il tema militare perché
solitamente nei trattati umanistici veniva messo in fondo all’opera, mentre nel Principe
è al centro.
Machiavelli individua una stretta connessione esistente tra ordinamento civile e
ordinamento militare, la milizia non è un aspetto accessorio della vita statale, ma è
strettamente collegata con la forza della compagine statale. M. coglie pienamente il
valore politico degli ordinamenti militari, che non si può sganciare da tutti gli altri
aspetti inerenti alla politica di uno stato. È un tratto rilevante, è un tratto che dà solidità
e spessore al suo discorso.
La sua concentrazione per le armi si capisce se si guarda al momento di piena crisi che
vive l’Italia mentre M. scrive. Esso ha ragione che la debolezza degli stati italiani
deriva anche dalla loro debolezza sul piano militare. La sua critica recupera anche
argomenti presenti nella canzone all’Italia di Petrarca, le truppe mercenarie a suo
avviso sono uno strumento troppo infido, perché esse combattono per il soldo, quindi
Machiavelli rigetta l’idea della vita militare come professione (anche per l’esercito di
leva) perché ritiene che i soldati migliori siano quelli che combattono per la loro patria
ma che hanno lavori e vita indipendente da dall’esercito, se no un esercito ben
organizzato diventa un altro corpo nella compagine statale (e può pericolosamente
mirare a prenderne possesso). Un esercito fatto di cittadini è spinto da sentimenti come
l’amore per la patria stessa e il legame tra soldati e comandate che sono fondamentali
per il successo delle compagini militari.
Collegandosi a Italia mia, Machiavelli è convinto che la rovina dell’Italia sia causato
proprio dall’uso di compagnie mercenarie, che per qualcuno portavano qualche
progresso e sembravano forti mentre combattevano tra di loro, ma quando arrivarono i
francesi da fuori essi riuscirono a “prendere l’Italia con il gesso” (il gesso veniva usato
per segnare le case prese come abitazioni per i soldati, quindi è usato per dire che
vennero prese quasi senza opposizione dei soldati italiani). Machiavelli poi si rifà a
discorsi correnti nel suo tempo, secondo i quali la rovina dell’Italia in questo periodo
sarebbe causato da peccati commessi dagli italiani (allusione alle prediche del
Savonarola al riguardo), ed egli dice sì sono peccati, ma non quelli che intendono loro
nella visone cristiana, ma sono peccati nella gestione da parte dei principi. Questa idea
di colpa politica dei principi, si ritrova già nella Italia mia di Petrarca.
Nell’arte della guerra M. critica i principi italiani che hanno trascurato l’arte militare,
causando così la rovina dell’Italia, si interessavano solo alle arti e alle cose umanistiche
ma non all’arte militare.
Nel XII si mette in luce come i popoli liberi siano quelli che dispongono di un esercito
loro, perché mettersi in mano a condottieri esterni poteva costituire un pericolo, in
quanto essi potevano essere tentati di servirsi del prestigio e del potere guadagnato al
soldo di qualcuno pe impadronirsi dello stato e del potere di quel qualcuno. Quando
sono validi condottieri c’è questo problema quando non sono validi non sono in grado
di compiere il compito a loro affidato.
Altro elemento è la svalutazione della cavalleria, il vero elemento importante
dell’esercito per lui è la fanteria, considera la cavalleria un prodotto di quella visione
ornamentale dell’esercito tipica dei signori italiani. In realtà la cavalleria è poco agile
e molto costosa, per cui non sono un elemento realmente positivo per l’esercito.

In questo capitolo si porta l’attenzione sul principe e sul fatto che è necessario che esso
sia addestrati alla guerra e abbia sempre il pensiero alla guerra. È un capitolo che può
essere visto come punto di passaggio, dal De principatibus al Principe. Fattore
fondamentale di allenamento alla guerra è la caccia. È un motivo caratteristico dei
trattati umanistici dediti alla formazione del principe ma M. lo sviluppa in modo
diverso: innanzitutto c’è il tema di assuefarsi ai disagi; poi l’immergersi nella natura
porta alla conoscenza della natura stessa e dei diversi territori e quindi impara anche
come difendere il suo (perché l’ha esplorato), e può imparare anche a comportarsi in
territori esterni al suo dominio, perché sono simili con quelli che ha visto.
Nel capitolo XV Machiavelli dice che si distaccherà da quello che hanno detto quelli
che sono venuti prima di lui. “Dal moneto che io so che moti hanno scritto di questa
materia, temo scrivendone anche io, di essere considerato presuntuoso, dal momento
che mi allontanerò in massimo grado nel discutere di questo argomento, dai modi di
ragionare degli altri. Ma dal momento che la mia intenzione è stata di scrivere qualcosa
che sia utile a chi lo legge, mi è sembrato più opportuno seguire la verità dei fatti,
piuttosto che l’immaginazione della realtà. E molti si sono immaginati repubbliche e
principati che non si sono mai visti né conosciuti (riferimento alla tradizione platonica
e ad altri autori che hanno proposto una visione idealizzata della politica). Perché tanta
è la differenza tra come si vive e come si dovrebbe vivere (tra la realtà e ‘ideale) che
colui che abbandona ciò che si fa davvero per quello che si dovrebbe fare, impara la
rovina piuttosto che la sua preservazione: perché un uomo che voglia essere in tutti i
suoi comportamenti buono è fatale che fallisca in quanto circondato da tante persone
che buone non sono. Quindi è necessario, qualora un principe voglia conservare il
proprio potere, che impari a potersi comportare in maniera moralmente negativa, e
usare l’essere non buono a seconda delle necessità del momento”.
C’è una svolta cruciale nella visone politica e nel trattato, c’è l’idea che si assume un
comportamento in base alla situazione del momento e per mantenere il potere la
politica ammette che si possa anche non essere buoni. M. è consapevole della novità
el suo pensiero e da questo punto di vista mostra di riallacciarsi ad una tradizione di
trattati politici che riprende e sovverte. Questa parte del Principe si inserisce in una
tradizione che chiamiamo speculum principis: è un trattato nel quale si proponevano
una serie di comportamenti esemplari al principe, in realtà attribuendoli a lui stesso,
come se attraverso la lettura del libro che gli veniva dedicato il principe potesse sempre
ricordarsi di come era specchiarsi in questo libro e acquisire da qui lo stimolo a
comportarsi in maniera moralmente irreprensibile.

L’esempio più importante in età medievale di specula principum è quello di Egidio


Colonna, dove vengono elevate virtù cristiane, mentre in età umanistiche le virtù non
sono più solo quelle cristiane ma quelle che si possono ricavare dall’antichità e quelle
laiche, e sono magnificenza, moralità. In età umanistica il trattato di Poggio Bracciolini
mostra una condizione a cui sono soggetti gli uomini i di potere, una condizione non
felice perché il potere non gode di una superiorità etica anzi, si insedia la
consapevolezza del fatto che il potere implica comportamenti non irreprensibili.
Nel capitolo XV si capisce che a Machiavelli sta a cuore l’impressione che viene data
ai sudditti e alla cerchia intorno al principe, più che la sostanza. Gli uomini e sporattuto
i principi sono facilmente tacciati di possedere una qualità o un vizio, e un principe
deve sapersi tenere alla larga da quei vizi che gli toglierebbero lo stato e anche da quelli
che non glielo tolgierebbero se è possbikle, ma non potendo vi si puo von meno rispetto
lasciare andare. Virtù e vii posson dare siti divversi da quelli che l’uomo si
aspettereebbe, da una virtù piotrebbe discndere una cosneguenza postiva mentre da un
vizinne una postiva, nella conservazione del poteree.

Altra distinzione è quella tra essere ed essere considerato. La politica è il luogo


dell’essere non di astratti ideali e principi morali e la capacità di muoversi nella realtà
politica richiede di conoscerne le leggi effettive, leggi che sono imminenti alla realtà.

I capitoli successivi compongono un serie di consigli che vengono dati al principe per
la sua formazione. Questi capitoli prendono in considerazione la visone della realtà di
Machiavelli all’insegna tra l’essere e l’essere temuto, perché la vera cosa importante è
la reputazione del principe e ciò che può derivare in termini di consenso dall’utilizzo
di quelle qualità e di quei vizi (è possibile infatti a volte dovere usare il fatto di non
essere buono, che è un vizio). Ad ogni inizio di capitolo si mostra questa dicotomia tra
essere ed essere considerati. Nel XVI si dice come sarebbe bello essere considerati
generosi, ma per esserlo si deve elargire con molto prodigalità i propri beni e ciò porta
cose negative, un principe troppo prodigo per far fronte alle spese dovrebbe poi tassare
di più i propri sudditi e finirà con il venire considerato troppo avido e finisce ad essere
odiato dai cittadini perdendo consenso, consenso su cui il potere si fonda. All’inizio
del XVII troviamo due Nondimanco, cesare brogia era considerato crudele ma la sua
crudeltà aveva pacificato la Romagna.

LEZIONE 27 (17/05/2021)
LEZIONE 28 (18/05/2021)

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