Letteratura Italiana Appunti 3
Letteratura Italiana Appunti 3
Letteratura Italiana Appunti 3
Ariel Giuliano
I testi da preparare e che verranno esaminati a lezione saranno raccolti in una dispensa
disponibile presso la libreria Cortina. Alla fine delle lezioni delle parti A e B, sul sito
del corso nella piattaforma ARIEL verrà fornito un elenco dettagliato degli argomenti
e dei testi che saranno oggetto della prova d'esame.
Per la parte C lo studente dovrà utilizzare e preparare:
- Tutti i testi e tutti gli apparati compresi in Gian Mario Anselmi - Nicola Bonazzi,
Niccolò Machiavelli, Mondadori Università, 250 pp. (testo disponibile anche in
formato digitale);
- eventuali altri testi delle opere di Machiavelli che verranno spiegati a lezione e che
verranno messi a disposizione;
- gli appunti delle lezioni;
- i seguenti capitoli e le seguenti pagine in Machiavelli, a cura di Emanuele Cutinelli-
Rendina e Raffaele Ruggiero, Carocci: cap. "Tra Firenze e l'Europa: i tempi e la vita di
Niccolò Machiavelli", pp. 17-43; cap. 1, "Attività diplomatica e scritti politici fino al
1512", pp. 47-69; cap. 7, "Lingua e stile", pp. 185-201; cap. 9, "Umori" e "tumulti",
pp. 225-243; cap. 10, "Machiavelli e la questione della guerra", pp. 245-264; cap. 11,
"La religione", pp. 265-283.
LEZIONE 1 (04/4/21)
I testi della scuola poetica siciliana ci sono stati tramandati in manoscritti, copiati
sempre a mano. I testi della scuola poetica siciliana ci sono trasmessi in tre grandi
manoscritti di fine ‘200: sono manoscritti antologici, ovvero nei quali sono stati raccolti
testi di doversi autori, che non sappiamo chi abbia scritto → il più importante è il
Vaticano latino 3793, una raccolta di quasi 1000 testi, che costituisce quasi un primo
tentativo di sistemazione storiografica e il primo testo è proprio quello di Giacomo da
Lentini, ma perché? Perché essa è una traduzione libera di un trovatore provenzale; i
poeti della scuola siciliana iniziano quindi rielaborando gli scritti della tradizione
provenzale. Si appropriano di una tradizione poetica altrui, assimilandola e partendo
per creare una propria tradizione autonoma. Ciò ci comunica anche un aspetto
importante di come funziona la letteratura, la quale è spesso fatta dal legame tra testi e
tra tradizioni letterarie diverse. La letteratura italiana nasce quindi per assimilazione.
Rapporto con la poesia occitanica
- L’eredità della poesia occitanica (o trobadorica) è fondamentale; da lì deriva
l’insieme di motivi e il sistema di valori che si riassumono nel così detto “amor
cortese”, espressione coniata da in filologo francese che vuole mettere in luce
l’importanza dell’amore nella società e che risponde a un determinato codice di
comportamento. L’amor cortese è proprio dei nobili che si distinguono dalle
classi sociali sottostanti, codificando dei valori che li distinguono. L’amore,
secondo questa codificazione, è un amore che si svolge al di fuori del
matrimonio, un amore di un cavaliere per una dama sposata, cui si pone al
servizio, sperando di ottenere una ricompensa, che solitamente è molto limitata
all’appagamento carnale. Il cavaliere vive di una tensione che non trova questo
appagamento e questo amore è quindi fine a se stesso.
- I poeti della scuola siciliana restringono ulteriormente il campo rispetto ai
trovatori: la loro poesia è pressoché priva di riferimenti alla realtà e l’amore è
spogliato di elementi contingenti e per così dire assolutizzato. La scuola poetica
siciliana restringe sostanzialmente al tema amoroso: spariscono i motivi politici
e morali che caratterizzavano la lirica occitanica, poiché l’uso della poesia per
parlare di politica ritornerà nella Toscana del ‘200, nel mondo dei Comuni e
delle lotte di fazione.
- Altro elemento fondamentale è il cosiddetto divorzio tra musica e poesia, invece
legati nella produzione trobadorica, in cui il poeta era anche un musico. Nella
poesia siciliana la poesia deve essere solo letta, come strumento di
approfondimento dell’interiorità.
L’amor cortese
- Ha luogo al di fuori del matrimonio
- Rapporto di sudditanza (in termini feudali) dell’amante all’amata, di rango
sociale superiore e fatta oggetto di lode per la sua bellezza e le sue qualità
- Processo di raffinamento (fin’amors) attraverso la sofferenza: desiderio che non
può essere soddisfatto; la ricompensa consiste eventualmente nell’accettazione
del servizio da parte della donna e si esprime in uno sguardo gentile, un regalo,
un bacio.
- Necessità del celar: maldicenti avversari dell’amante
LEZIONE 2 (05/03/2021)
Nella lezione di ieri ci eravamo fermati leggendo il Pir meu cori allegrari, uno dei
pochi testi che possediamo nella lingua originale usata dalla Scuola poetica siciliana.
Esso è un esempio di come la lingua fosse diversa rispetto alla lingua letteraria
derivante dal toscano.
Perché il siciliano?
<<Non è facile rispondere, tanto più se si considera che Federico II, trascorsi a Palermo
gli anni della fanciullezza, … non tornò quasi mai nell’isola. Tra le varie lingua che
egli padroneggiava, parlava il volgare del sì con inflessione siciliana? E’ probabile, ma
su questa base non si può costruire molto; di più vale la constatazione che è siciliano
l’iniziatore della lirica sveva, Giacomo da Lentini >> (Francesco Bruni).
La scelta della lingua siciliana, e la successiva toscanizzazione da parte dei copisti, ha
delle conseguenze importanti: alcuni tratti che derivano dalla lingua siciliana si
insediano nella lingua letteraria italiana; uno in particolare, ovvero la rima siciliana.
La rima siciliana
La rima siciliana è un fenomeno che deriva dalla differenza tra il sistema vocalistico
del siciliano e quello del toscano.
Naturalmente il siciliano, come il toscano, che noi oggi vediamo come dialetti, erano
in realtà lingue che si sviluppano autonomamente dalla stessa base, il latino. Si
sviluppano autonomamente in maniera diversa ovviamente.
In siciliano mancano, tra le vocali toniche, le E chiuse e le O chiuse. Questo ha degli
effetti nel momento in cui poi c’è il passaggio alla lingua toscana (toscanizzazione), la
quale adatta queste vocali al proprio linguaggio.
La rima normale è definita in tale modo: “L’identità della parte finale di due parole, a
partire dalla vocale tonica compresa”. (Pietro G.Beltrami); quindi avere : vedere;
amore : dolore
La rima siciliana invece: rima di e chiusa con i, e di o chiusa con u, originata dalla
toscanizzazione dei testi siciliani.
Una rima perfetta in siciliano diventa imperfetta in toscano: questa imperfezione viene
poi ammessa nella poesia italiana
Esempio tratto da Pir meu cori allegrari:
- Siciliano taciri : diri > toscano tacere : dire
- Siciliano usu : amurusu > toscano uso : amoroso
Questa rima siciliana diventa normale nella nostra tradizione poetica, ed è quindi un
lascito involontario della scuola siciliana.
C’è invece un altro lascito molto importante, che non si limita solo alla letteratura
italiana, ma in tutte le letterature occidentali: il sonetto.
Il sonetto
I siciliani, e in particolare il capo scuola Giacomo da Lentini, hanno inventato una
forma poetica che avuto lunghissimo corso nella storia della letteratura: il sonetto.
Il sonetto è una forma molto compatta della poesia: è una forma poetica di 14
endecasillabi, composta da due quartine (su due rime: A B) e da due terzine (su due o
tre rime: C D / C D E). Il poeta lavora su questa forma breve per creare un dinamismo
all’interno del testo stesso.
Secondo l’ipotesi più accreditata il sonetto è derivato da una stanza, cioè da una strofa,
isolata di canzone: Giacomo da Lentini avrebbe concepito il sonetto sul modello della
cosiddetta cobla esparsa, usata dai trovatori per intessere scambi poetici. Lo scambio
tra poeti è una dimensione essenziale per comprendere la poesia di quel momento.
Vediamo un esempio:
DISPENSA (PP. 7 a 10)
Questo scambio di sonetti (tenzone) tra questi tre rappresentanti della scuola poetica
siciliana (Iacopo Mostacci, Pier della Vigna e Giacomo da Lentini) è utile per capire
la poesia di quel momento: i tre poeti dibattono sul “che cos’è l’amore?”. Discutere
di cosa sia l’amore vuol dire innanzi tutto definire un qualcosa che costituisce
un’esperienza individuale che è prettamente umana, di tutti gli uomini, anche se
naturalmente il vero amore, l’amore più puro, è visto come un’esperienza che non è di
tutti.
La discussione dei tre poeti è una discussione di natura filosofica. Ci si domanda se
l’amore è sostanza o accidente.
Amore: sostanza o accidente?
- Sostanza = ente che esiste per sé, individuo che può non essere fisico.
- Accidente = <<ciò che appartiene a una cosa e si può dire vero di essa, ma non
necessariamente né per lo più>> (Aristotele). Un fenomeno che si verifica in
determinate circostanze.
Questi tre testi ci fanno capire cosa sia la poesia di quel tempo: è una poesia filosofica,
non frivola; non si parla di amore nei termini prettamente soggettivi a cui siamo
abituati, ma si cerca invece di definirlo in termini oggettivi e filosofici, secondo quella
che è la scienza dell’epoca.
La proposta di Iacopo Mostacci
- Il poeta sottopone un dubbio (vv. 1-4) facendone <<sentenz[i]atore>> (v. 14),
cioè giudice, il destinatario (o i destinatari)
- Il dubbio è questo: si dice che amore eserciti un potere e costringa i cuori ad
amare, ma Iacopo non è d’accordo, perché amore non ha alcuna consistenza
fisica; al massimo si tratta di “un’amorositate”, un’affezione dell’animo che
nasce dal piacere prodotto dalla bellezza fisica di una persona, e a ciò si dà
comunemente nome di amore.
La risposta di Pier della Vigna
Alla tesi di Iacopo Mostacci risponde una delle figure più importanti della scuola
poetica siciliana, Pier della Vigna, il consigliere fidato di Federico II. Accusato poi di
tradimento si toglie la vita in carcere per la vergogna dell’accusa (verrà citato da
Dante nell’Inferno)
- Molti credono che Amore non sia nulla semplicemente perché è invisibile e non
si può toccare, ma in realtà dato il potere che esercita dentro i cuori degli esseri
umani, merita considerazione molto superiore a quella di cui gode un essere
visibile.
- La forza di Amore è simile alla calamita: noi non vediamo come attiri il ferro,
però lo fa; il potere che amore esercita induce a credere alla sua esistenza e
rende ragione del fatto che riceva lo stesso credito dagli esseri umani.
Pier della Vigna si dice quindi convinto dell’esistenza di Amore come sostanza
autonoma.
La risposta di Giacomo da Lentini
A Pier della Vigna risponde Giacomo da Lentini col suo sonetto “Amor è uno desio
che ven da core”.
Subito Giacomo da Lentini dà una definizione di amore al primissimo verso, come se
non ci fossero dubbi. → L’amore non è una sostanza, ma un accidente che si realizza
in determinate condizioni. Quali? Amore, con parole che possono essere viste quasi
come una traduzione del trattato “De amore” di Andrea Cappellano, un famosissimo
trattato medievale nel quale si trova la casistica dell’amor cortese; Andrea Cappellano
dice che. “L’amore è una passione naturale che procede per visione e per incessante
pensiero di persona dell’altro sesso, per cui si desidera soprattutto godere
dell’amplesso dell’altro, e nell’amplesso realizzare concordemente tutti i precetti
d’amore”. E ciò è lo stesso che Giacomo da Lentini dice nel suo sonetto (es. v.7).
Quello che scrive Giacomo da Lentini è una vera e propria fenomenologia
dell’innamoramento, che avviene in determinate circostanze e che inizia dagli occhi,
dalla visione e finisce con l’immagine che si insedia poi nel cuore.
E’ molto importante anche l’immagine interiore, che si insedia nel cuore e produce i
suoi effetti indipendentemente dalla visione diretta e concreta della propria amata.
L’immagine della donna amata è qualcosa che diventa autonomo rispetto alla persona
concreta della donna amata.
Lo schema metrico del sonetto “Amor è un desio ..”
ABABABABACDACD
Vi è una particolarità poiché una rima delle quartine si ripresenta nelle terzine.
ASPETTI FONDAMENTALI DI CARATTERE STORICO
La Scuola Poetica Siciliana si colloca, ovviamente, in Sicilia, alla corte di Federico II,
imperatore del Sacro romano impero dal 1220 al 1250, entro un ambiente, la Magna
Curia, negli anni venti del 1200; questa datazione è dovuta al fatto che Federico II
soggiornò in maniera più o meno continuativa in Sicilia solo tra il 1223 e 1232.
La poesia della scuola siciliana è in volgare ed incentrata sul tema dell’amore, un amore
disincarnato e astratto, quindi laico. Per questo la produzione poetica siciliana è quindi
un progetto culturale alternativo a quello della Chiesa: Federico II mirava infatti a della
sua corte un centro di prestigio culturale in contrapposizione a quello del papato.
Questo progetto culturale alternativo, propugnato dall’imperatore, ha come
protagonisti i funzionari della sua corte itinerante: giuristi, notai, magistrati, burocrati
ecc. e la loro poesia si configura quindi come un distacco dalle occupazioni civili,
amministrative e giuridico: prova di ciò è che nei testi dei poeti siciliani non vi sono
implicazioni politiche, encomiastiche o di polemica e contestazione.
I TEMI E IL RAPPORTO CON LA POESIA PROVENZALE: EREDITA’ E
DIFFERENZE
L’eredità della poesia occitanica (o trobadorica) è fondamentale; da lì deriva l’insieme
di motivi e il sistema di valori che si riassumono nel così detto “amor cortese”,
espressione coniata da in filologo francese che vuole mettere in luce l’importanza
dell’amore nella società e che risponde a un determinato codice di comportamento.
L’amor cortese è proprio dei nobili che si distinguono dalle classi sociali sottostanti,
codificando dei valori che li distinguono. L’amore, secondo questa codificazione, è un
amore che si svolge al di fuori del matrimonio, un amore di un cavaliere per una dama
sposata, cui si pone al servizio, sperando di ottenere una ricompensa, che solitamente
è molto limitata all’appagamento carnale. Il cavaliere vive di una tensione che non
trova questo appagamento e questo amore è quindi fine a se stesso.
Una scelta monotematica caratterizza la poesia dei siciliani. Argomento delle loro
poesie è solo e sempre l’amore e il modello di riferimento è individuato nel decoro e
nell’altezza di significato dell’amor cortese. L’amor cortese ha determinate
caratteristiche:
- L’omaggio dell’amante all’amata
- La subordinazione del poeta-vassallo all’amata-signora
- La segretezza dell’amore
- Le figure ostili e malevoli dei lusingatori e dei malparlanti che pongono ostacoli
alla vicenda amorosa
- Processo di raffinamento (fin’amors) attraverso la sofferenza: desiderio che non
può essere soddisfatto; la ricompensa consiste eventualmente nell’accettazione
del servizio da parte della donna e si esprime in uno sguardo gentile, un regalo
I poeti della scuola siciliana restringono ulteriormente il campo rispetto ai trovatori: la
loro poesia è pressoché priva di riferimenti alla realtà e l’amore è spogliato di elementi
contingenti e per così dire assolutizzato. Altro elemento fondamentale è il cosiddetto
divorzio tra musica e poesia, invece legati nella produzione trobadorica, in cui il poeta
era anche un musico. Nella poesia siciliana la poesia deve essere solo letta, come
strumento di approfondimento dell’interiorità.
Il recupero dei topoi dell’amor cortese non preclude l’affermarsi di alcune istanze
originali. Rispetto ai provenzali, sei percepisce nei poeti siciliani un interesse di natura
psicologica che scruta i riflessi interiori e spirituali dell’esperienza d’amore con
particolare attenzione alle zone oscure o sentimentalmente delicate della visione e della
rimembranza: questo produce delle significative conseguenze:
1- Al centro dell’interesse viene a collocarsi non tanto la figura femminile, quanto
l’esplorazione del desiderio; si verifica quindi la sostituzione nel ruolo di
protagonista della donna con Amore, oggettivato e personificato
2- L’attenzione predominante alla fenomenologia dell’amore attiva un repertorio
di immagini più ricco rispetto a quello fissato dai provenzali: frequente è il
ricorso a elementi naturalistici, attinti al mondo dei lapidari (“calamita”,
“diamante”, “zafiro”) e dei bestiari (“tigra”, “salamandra” ecc.).
Il repertorio tematico, limitato nei contenuti, spinge il poeta a una concentrazione nel
lavoro formale.
Altro elemento fondamentale che distingue i siciliani dai trovatori è il cosiddetto
divorzio tra musica e poesia, invece legati nella produzione trobadorica, in cui il poeta
era anche un musico. Nella poesia siciliana la poesia deve essere solo letta, come
strumento di approfondimento dell’interiorità.
GLI ESPONENTI PIU’ IMPORTANTI E LA FIGURA DI GIACOMO DA
LENTINI
Ecco un elenco di principali poeti della Scuola Siciliana e alcune delle loro opere più
importanti:
- Federico II, autore di alcune liriche e anche di un trattatello, il De arte venandi
cum avibus, che ha per argomento la caccia a falcone
- Re Enzo, figlio di Federico II
- Pier delle Vigne
- Giacomo da Lentini
- Iacopo Mostacci
- Stefano Protonotaro
- Guido delle Colonne, giudice messinese che sarà apprezzato da Dante nel suo
De vulgari eloquentia
- Rinaldo d’acquino, che scrive Già mai non mi conforto, che dà voce a una
donna che si lamenta per la parenza dell’innamorato per la crociata
- Giacomo Pugliese, che si affida a una misura cantabile nei versi di delicata
sensibilità de La dolce terra piangente
- Cielo d’Alcamo, il quale scrive Rosa fresca aulentissima, composto tra il 1231
e il 1250; nelle strofe del componimento trova animazione un colorito battibecco
tra un corteggiatore che tenta di piegare al suo desiderio una contadina, la quale
infine cede.
Il maggiore tra i siciliani è senz’altro Giacomo da Lentini, detto il Notaro, il cui
canzoniere comprende una quarantina di componimenti. La sperimentazione formale
si associa in lui a una volontà di chiarificazione della fenomenologia d’amore, come si
legge in un sonetto sulla natura di amore appartenente a una tenzone con Iacopo
Mostacci e Pier della Vigna. E Giacomo da Lentini, nel sonetto Amor è uno desio che
ven da core, dà una definizione di amore al primissimo verso, come se non ci fossero
dubbi. → L’amore non è una sostanza, ma un accidente che si realizza in determinate
condizioni. Quali? Amore, con parole che possono essere viste quasi come una
traduzione del trattato “De amore” di Andrea Cappellano, un famosissimo trattato
medievale nel quale si trova la casistica dell’amor cortese; Andrea Cappellano dice
che. “L’amore è una passione naturale che procede per visione e per incessante
pensiero di persona dell’altro sesso, per cui si desidera soprattutto godere dell’amplesso
dell’altro, e nell’amplesso realizzare concordemente tutti i precetti d’amore”. E ciò è
lo stesso che Giacomo da Lentini dice nel suo sonetto (es. v.7).
Quello che scrive Giacomo da Lentini è una vera e propria fenomenologia
dell’innamoramento, che avviene in determinate circostanze e che inizia dagli occhi,
dalla visione e finisce con l’immagine che si insedia poi nel cuore.
E’ molto importante anche l’immagine interiore, che si insedia nel cuore e produce i
suoi effetti indipendentemente dalla visione diretta e concreta della propria amata.
L’immagine della donna amata è qualcosa che diventa autonomo rispetto alla persona
concreta della donna amata.
L’INVENZIONE DEL SONETTO
I siciliani, e in particolare il capo scuola Giacomo da Lentini, hanno inventato una
forma poetica che avuto lunghissimo corso nella storia della letteratura: il sonetto.
Il sonetto è una forma molto compatta della poesia: è una forma poetica di 14
endecasillabi, composta da due quartine (su due rime: A B) e da due terzine (su due o
tre rime: C D / C D E). Il poeta lavora su questa forma breve per creare un dinamismo
all’interno del testo stesso.
Secondo l’ipotesi più accreditata il sonetto è derivato da una stanza, cioè da una strofa,
isolata di canzone: Giacomo da Lentini avrebbe concepito il sonetto sul modello della
cosiddetta cobla esparsa, usata dai trovatori per intessere scambi poetici. Lo scambio
tra poeti è una dimensione essenziale per comprendere la poesia di quel momento
Vediamo un esempio:
DISPENSA (PP. 7 a 10)
Questo scambio di sonetti (tenzone) tra questi tre rappresentanti della scuola poetica
siciliana (Iacopo Mostacci, Pier della Vigna e Giacomo da Lentini) è utile per capire
la poesia di quel momento: i tre poeti dibattono sul “che cos’è l’amore?”. Discutere
di cosa sia l’amore vuol dire innanzi tutto definire un qualcosa che costituisce
un’esperienza individuale che è prettamente umana, di tutti gli uomini, anche se
naturalmente il vero amore, l’amore più puro, è visto come un’esperienza che non è di
tutti.
La discussione dei tre poeti è una discussione di natura filosofica. Ci si domanda se
l’amore è sostanza o accidente.
Amore: sostanza o accidente?
- Sostanza = ente che esiste per sé, individuo che può non essere fisico.
- Accidente = <<ciò che appartiene a una cosa e si può dire vero di essa, ma non
necessariamente né per lo più>> (Aristotele). Un fenomeno che si verifica in
determinate circostanze.
Questi tre testi ci fanno capire cosa sia la poesia di quel tempo: è una poesia filosofica,
non frivola; non si parla di amore nei termini prettamente soggettivi a cui siamo
abituati, ma si cerca invece di definirlo in termini oggettivi e filosofici, secondo quella
che è la scienza dell’epoca.
La proposta di Iacopo Mostacci
- Il poeta sottopone un dubbio (vv. 1-4) facendone <<sentenz[i]atore>> (v. 14),
cioè giudice, il destinatario (o i destinatari)
- Il dubbio è questo: si dice che amore eserciti un potere e costringa i cuori ad
amare, ma Iacopo non è d’accordo, perché amore non ha alcuna consistenza
fisica; al massimo si tratta di “un’amorositate”, un’affezione dell’animo che
nasce dal piacere prodotto dalla bellezza fisica di una persona, e a ciò si dà
comunemente nome di amore.
La risposta di Pier della Vigna
Alla tesi di Iacopo Mostacci risponde una delle figure più importanti della scuola
poetica siciliana, Pier della Vigna, il consigliere fidato di Federico II. Accusato poi di
tradimento si toglie la vita in carcere per la vergogna dell’accusa (verrà citato da
Dante nell’Inferno)
- Molti credono che Amore non sia nulla semplicemente perché è invisibile e non
si può toccare, ma in realtà dato il potere che esercita dentro i cuori degli esseri
umani, merita considerazione molto superiore a quella di cui gode un essere
visibile.
- La forza di Amore è simile alla calamita: noi non vediamo come attiri il ferro,
però lo fa; il potere che amore esercita induce a credere alla sua esistenza e
rende ragione del fatto che riceva lo stesso credito dagli esseri umani.
Pier della Vigna si dice quindi convinto dell’esistenza di Amore come sostanza
autonoma.
La risposta di Giacomo da Lentini
A Pier della Vigna risponde Giacomo da Lentini col suo sonetto “Amor è uno desio
che ven da core”.
Subito Giacomo da Lentini dà una definizione di amore al primissimo verso, come se
non ci fossero dubbi. → L’amore non è una sostanza, ma un accidente che si realizza
in determinate condizioni. Quali? Amore, con parole che possono essere viste quasi
come una traduzione del trattato “De amore” di Andrea Cappellano, un famosissimo
trattato medievale nel quale si trova la casistica dell’amor cortese; Andrea Cappellano
dice che. “L’amore è una passione naturale che procede per visione e per incessante
pensiero di persona dell’altro sesso, per cui si desidera soprattutto godere
dell’amplesso dell’altro, e nell’amplesso realizzare concordemente tutti i precetti
d’amore”. E ciò è lo stesso che Giacomo da Lentini dice nel suo sonetto (es. v.7).
Quello che scrive Giacomo da Lentini è una vera e propria fenomenologia
dell’innamoramento, che avviene in determinate circostanze e che inizia dagli occhi,
dalla visione e finisce con l’immagine che si insedia poi nel cuore.
E’ molto importante anche l’immagine interiore, che si insedia nel cuore e produce i
suoi effetti indipendentemente dalla visione diretta e concreta della propria amata.
L’immagine della donna amata è qualcosa che diventa autonomo rispetto alla persona
concreta della donna amata.
Lo schema metrico del sonetto “Amor è un desio ..”
ABABABABACDACD
Vi è una particolarità poiché una rima delle quartine si ripresenta nelle terzine.
LA LINGUA DEI SICILIANI
E’ rilevante il determinarsi del linguaggio della poesia volgare. Il carattere elitario
dipende dalla convergenza di due fattori: dalla promozione del volgare a lingua
esclusiva della poesia e dalla deliberata intenzione di contrapporre alla poesia di
maggior prestigio, il provenzale, un’altra lingua alla quale i poeti della corte di
Federico II sono chiamati a far ricorso, indipendentemente dalla loro località di nascita.
Questa lingua è il volgare illustre.
Quindi:
- Uso di un siciliano “illustre”, con provenzalismi e latinismi
- Toscanizzazione da parte dei copisti
- Sopravvivenza di poche testimonianze nella veste linguistica originaria: la più
famosa è “Pir meu cori alligrari” di Stefano Protonotaro, tramandata nel
Cinquecento da G.M. Barbieri (e riscoperta nel ‘700)
I poeti Siciliani usano un siciliano illustre quindi, senza i tratti locali del luogo, anche
perché dobbiamo ricordare che la corte di Federico II era itinerante.
Perché il siciliano?
<<Non è facile rispondere, tanto più se si considera che Federico II, trascorsi a Palermo
gli anni della fanciullezza, … non tornò quasi mai nell’isola. Tra le varie lingua che
egli padroneggiava, parlava il volgare del sì con inflessione siciliana? E’ probabile, ma
su questa base non si può costruire molto; di più vale la constatazione che è siciliano
l’iniziatore della lirica sveva, Giacomo da Lentini >> (Francesco Bruni).
La scelta della lingua siciliana, e la successiva toscanizzazione da parte dei copisti, ha
delle conseguenze importanti: alcuni tratti che derivano dalla lingua siciliana si
insediano nella lingua letteraria italiana; uno in particolare, ovvero la rima siciliana.
La rima siciliana
La rima siciliana è un fenomeno che deriva dalla differenza tra il sistema vocalistico
del siciliano e quello del toscano.
Naturalmente il siciliano, come il toscano, che noi oggi vediamo come dialetti, erano
in realtà lingue che si sviluppano autonomamente dalla stessa base, il latino. Si
sviluppano autonomamente in maniera diversa ovviamente.
In siciliano mancano, tra le vocali toniche, le E chiuse e le O chiuse. Questo ha degli
effetti nel momento in cui poi c’è il passaggio alla lingua toscana (toscanizzazione), la
quale adatta queste vocali al proprio linguaggio.
La rima normale è definita in tale modo: “L’identità della parte finale di due parole, a
partire dalla vocale tonica compresa”. (Pietro G.Beltrami); quindi avere : vedere;
amore : dolore
La rima siciliana invece: rima di e chiusa con i, e di o chiusa con u, originata dalla
toscanizzazione dei testi siciliani.
Una rima perfetta in siciliano diventa imperfetta in toscano: questa imperfezione viene
poi ammessa nella poesia italiana
Esempio tratto da Pir meu cori allegrari:
- Siciliano taciri : diri > toscano tacere : dire
- Siciliano usu : amurusu > toscano uso : amoroso
Questa rima siciliana diventa normale nella nostra tradizione poetica, ed è quindi un
lascito involontario della scuola siciliana.
C’è invece un altro lascito molto importante, che non si limita solo alla letteratura
italiana, ma in tutte le letterature occidentali: il sonetto.
POETI <<SICULO-TOSCANI>>
<<O frate, issa [=ora] vegg’io>>, diss’elli, <<il nodo che l’Notaro e Guittone e me
ritenne di qua dal dolce stil novo ch’io odo!>>.
Me: Bonagiunta Orbacciani da Lucca
Notaro: Giacomo da Lentini
Dante quindi fissa un prima e un dopo rispetto alla novità che la sua poesia rappresenta.
Avevamo parlato la volta scorsa del Vaticano Latino 3793, quella grande raccolta
miscellanea che offre una sorta di prima sistemazione storiografica della poesia delle
origini dalla Scuola siciliana in poi. Tuttavia esiste un altro manoscritto, il Laurenziano
Rediano 9, che è una raccolta miscellanea ma costruita intorno alla figura di Guittone.
Laurenziano Rediano 9
Questo codice è importante anche per il modo in cui è strutturato il corpus di Guittone:
- Epistole in prosa
- Canzoni (24) dopo la conversione (Frate Guittone), aperte da Ora parrà s’eo
saverò cantare
- Canzoni (24) prima della conversione (Guittone cortese)
- Sonetti (85) prima della conversione
- Sonetti (90) dopo la conversione
Il codice è un caso interessante, perché? Come abbiamo detto il Vaticano Latino 3793
contiene testi di tanti autori diversi, e lo stesso vale per il Laurenziano Rediano 9, ma
in cui viene dato un ruolo centrale a Guittone, il cui corpus poetico è organizzato in
maniera particolare (prima e dopo la conversione), il che ci fa pensare che potremmo
essere davanti a un libro organizzato dall’autore stesso.
Come avvenne la conversione?
Frate Guittone
Nel 1265 Guittone (all’incirca trentenne) si converte all’ordine dei cosiddetti “frati
gaudenti”, la confraternita laica dei Cavalieri della Beata Maria Vergine Gloriosa (<<
una pia confraternita votata a difendere la spiritualità militante di stampo francescano
e domenicano, ma dal carattere e dalle finalità smaccatamente politiche, a sostegno del
partito guelfo ed ecclesiastico nelle città dell’Italia centrale >> [Sandro Carocci]).
Il soprannome di “gaudenti” nasce dalla percezione diffusa della distanza tra regole e
comportamento da parte dei membri dell’ordine. Dante pone due frati gaudenti
(Catalano dei Malavolti e Loderingo degli Andalò) tra gli ipocriti (Inf.XXIII).
Guittone “idolo polemico” di Dante
Guittone è costantemente l’idolo polemico di Dante, il quale si scaglia a più riprese in
maniera esplicita (Purg. XXVI 124-26). L’accanita avversione dantesca nei confronti
del “maestro” aretino si spiega soprattutto col fatto che, per Alighieri, Guittone restò
un ingombrante modello da emulare, della cui influenza egli non riuscì mai a liberarsi
completamente. Dante cerca quindi di prendere le distanze dai poeti precedenti.
Ma quali sono i motivi principali di critica che Dante muove a Guittone?
Le accuse di Dante a Guittone
- Guittone tratta temi che esulano dall’amore (critica mossa nella giovanile Vita
nova di Dante)
- L’artificiosità di Guittone è fine a se stessa (critica mossa sempre nella Vita
nova)
- Il volgare di Guittone non è “illustre” ma municipale (critica mossa nel De
vulgari eloquentia di Dante)
Il volgare illustre, inventato da Dante, per essere tale deve avere le seguenti tre
caratteristiche:
- Essere aulico, cioè deve essere parlato nell’aula.
- Essere curiale, cioè tale da essere utilizzato in una curia di uomini di cultura.
- Essere cardinale, cioè essere il perno intorno a cui ruotano tutti i volgari italiani.
Guittone: testi di natura politica morale e religiosa
- 4 settembre 1260: battaglia di Montaperti: i ghibellini fiorentini, alleati con i
Senesi e Manfredi di Svevia (figlio naturale di Federico II) sconfiggono i guelfi
fiorentini, che vengono cacciati dalla città (nel 1266-1268 le vittorie di Carlo
d’Angiò a Benevento e Tagliacozzo segneranno un mutamento di scenario).
- Guittone d’Arezzo (guelfo) scrive la canzone Ahi lasso! Or è stagion de doler
tanto, in cui deplora l’accadimento, visto anche come una perdita della sovranità
da parte di Firenze.
La battaglia di Montaperti
- Si tratta di un evento che lascia un’impronta indelebile nella coscienza dei
fiorentini e non solo, e segna la letteratura poetica di quel tempo.
- Nella parte iniziale del Tesoretto (scritto a distanza di anni), Brunetto Latini
racconta di aver ricevuto notizia della disastrosa sconfitta della sua parte mentre
si trovava in Spagna: “Certo lo cor mi parte / Di cotanto dolore, / Pensando ’l
grand’onore, / E la ricca potenza, / Che suole aver Fiorenza / Quasi nel mondo
tutto. / Ond’io in tal corrutto / Pensando a capo chino, / Perdei il gran cammino,
/ E tenni a la traversa / D’una selva diversa.”
Questo testo di Brunetto Latini ci pone davanti ad un’altra forma poetica, ovvero la
“Canzone”, diversa dal sonetto perché esso è monostrofico, mentre la canzone è
formata tendenzialmente da più strofe.
La Canzone
- Forma poetica composta da stanze (strofe)
- Le stanze sono tutte di eguale misura e seguono lo stesso schema metrico
- Schema metrico: formula che definisce la misura dei versi e il loro rapporto di
rima
- Una stanza è composta da una fronte e una sirma (o coda): entrambe possono
essere diverse a loro volta
- Di solito abbiamo due “piedi” nella fronte e una sirma non divisa
- La Canzone di solito è chiusa da una stanza che spesso è più breve delle altre,
che si chiama “congedo” in cui il poeta si congeda e indica un destinatario ecc.
LEZIONE 3 (08/03/2021)
Parliamo ora di questo terzo importante momento nelle origini della letteratura italiana:
il dolce stil novo. La linea che stiamo seguendo è una linea cronologica che predilige
la poesia.
Si tratta di un momento fondamentale, il dolce stil novo, su cui bisogna dire che sono
molto presenti molti stereotipi che è difficile rimuovere: innanzi tutto, per cercare di
capire meglio di cosa stiamo parlando è meglio tornare alle origini del concetto
storiografico del dolce stil novo.
Cos’è il dolce stil novo
- Espressione usata a partire da Francesco De Sanctis per designare una tendenza
poetica che si afferma a Firenze negli anni Ottanta del Duecento, diffondendosi
e restando attiva fino ai primi decenni del Trecento. De Sanctis inizia ad
utilizzarlo come etichetta, prendendola dalla Divina Commedia di Dante.
- L’espressione risale a Dante, che la usa nel canto XXIV del Purgatorio, quando
pone un muro tra sé e i poeti precedenti.
Dante, Purg. XXIV 49-63
Siamo nel cerchio dei golosi, dove Dante incontra Forese Donati, un amico, e
Buonagiunta Orbicciani da Lucca.
Bonagiunta chiede a Dante se difronte a sè abbia l’autore di un nuovo testo poetico.
<<…Ma dì s’ì veggio qui colui che fore
trasse le nove rime, cominciando
Donne ch’avete intelletto d’amore>> (v. 51)
Qui Bonagiunta cita un verso di una canzone di Dante, chiedendosi se sia proprio lui
la persona che ha davanti, l’iniziatore di una nuova poesia, proprio con la sua canzone
in celebrazione alla sua donna amata.
E io a lui: <<l’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
Ch’è ditta dentro vo significando>>
Dante risponde e dice che le parole quasi gli uscivano autonomamente da dentro, a
formare una nuova poesia, non senza difficoltà per rendere giustizia all’amore che
aveva dentro verso Beatrice. All’inizio delle sue parole Dante dice di essere
semplicemente uno tra i tanti che quando Amore lo ispira, vede, Dante quindi dice di
essere una persona normale che viene ispirata da Amore ed esprime a parole ciò che
Amore detta dentro di lui. Amore trascende l’individuo, ma al tempo stesso parla
all’interiorità del poeta: un’ispirazione dall’alto, ma allo stesso tempo interiore, e il
compito del poeta non è altro che riuscire a rendere con le migliori parole possibili
quello che Amore dice.
<<O frate, issa vegg’io>>, diss’elli, <<il nodo
Che l’Notaro e Guittone e me ritenne
Di qua dal dolce stil novo ch’ì odo!
Io veggio ben come le vostre penne
Di retro al dittator sen vanno strette,
che de le nostre certo non avvenne;
e qual più a gradire altre si mette,
non vede più da l’uno a l’altro stilo>>;
e, quasi contentato, si tacette. (v. 63).
Ciò che sembrerebbe una cosa umile, stando alle parole di Dante, sembra invece per
Bonagiunta, qualcosa di estremamente nuovo. Bonagiunta dice di riuscire a vedere
come gli strumenti per scrivere di Dante fossero sotto l’ordine di Amore, cosa che non
avveniva per le penne dei poeti precedenti a Dante.
La definizione di Stil novo
Vittorio Sermonti: “Forse non esiste nel repertorio universale della poesia un passo che
abbia finito per assumersi responsabilità così specifiche di fronte alla storia della
letteratura e chi deve studiarsela. Fatto sta che, se a Bonagiunta non scappavano dette
quele tre parole di fila, nessun compendio o antologia della letteratura italiana si
fregerebbe, sul finire della sezione “Origini”, del titoletto “dolce stil novo”.”.
Aspetti cronologici da tener presenti
- Coordinate cronologiche fissate nella Vita nova: 1274 (primo incontro con
Beatrice) – 1283 (primo testo poetico) – 1291 (primo anniversario della morte
di Beatrice)
- Composizione della Vita nova (assemblaggio e correzione di rime preesistenti,
stesura della prosa e forse di nuove rime): probabilmente 1293-1295
- Ambientazione della Commedia (e quindi del viaggio in purgatorio):
marzo/aprile 1300.
- Composizione del De vulgari eloquentia: 1304-1305
- Stesura del Purgatorio: forse tra il 1314 e il 1316, almeno dopo il 1309: Dante
scrive questi versi a non poca distanza dal tempo di Donne ch’avete (almeno una
ventina d’anni dopo).
Dante e i suoi sodali
Nel brano che abbiamo visto dobbiamo domandarci se le parole di Bonagiunta si
riferiscano solo a Dante oppure anche ai suoi colleghi. Sembra quasi certo che si faccia
riferimento a un gruppo di poeti. MA questa formula di dolce stil novo si riferisce alla
poesia dantesca o a una categoria di poeti più larga? Dante stesso parla spesso di sé
insieme ad altri poeti, all’inizio del De vulgari eloquentia. “…riteniamo che alcuni
abbiano conosciuto l’eccellenza del volgare..”.
Problema della definizione di scuola
- Quando applicare quello che dice Dante ad altri poeti oltre a lui?
- Quello che noi chiamiamo stil novo è un gruppo coeso di poeti o un insieme di
personalità che hanno alcuni tratti in comune?
Ragioni per parlare ancora di stil novo
- “Avanguardia” poetica: opposizione rispetto alla generazione precedente.
- Senso di appartenenza a un’elite, dotata di raffinatezza d’animo e di sentire, e
amicizia tra poeti.
- L’amore è l’esperienza più alta, riservata a coloro che siano dotati di nobiltà di
cuore.
- La donna è l’essere superiore, che trascende l’amante.
- L’amore è un fenomeno interiore, analizzato attraverso il ricorso al linguaggio
filosofico e scientifico.
- Ricorso a un repertorio comune e selezionato di immagini e vocabolario (spiriti,
ovvero queste entità nello spirito umano responsabili delle funzioni del corpo
stesso; saluto, che spesso viene visto come tramite di salvezza per l’individuo;
personificazioni..).
- Dettato dolce, piano, limpido, che serve a veicolare densità di significati: rottura
rispetto all’artificiosità guittoniana.
Un errore da non fare è identificare lo stil novo come il movimento in cui la donna è
vista come un angelo e basta. Questa similitudine non è così corrente negli stilnovisti,
e anche Dante stesso la usa raramente. Essa non è del tutto sbagliata, ma non nel senso
che i poeti accostano la donna a un angelo, ma quanto più la donna che è un vero e
proprio angelo, un tramite per il divino per il poeta. Non bisogna quindi farne il tratto
distintivo dello stil novo.
Nuovo manoscritto antologico
- Città del vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chigi L VIII 305
- Copiato a Firenze fra gli anni Trenta e Cinquanta del Trecento
- Contiene un nuovo canone della poesia volgare: fin dall’inizio compaiono Guido
Cavalcanti, Cino da Pistoia, Dante Alighieri, nonché Guido Guinizelli; tutti
autori che noi definiamo stilnovisti.
Guido Guinizelli come precursore
Guido Guinizelli è citato da Dante nel Purgatorio, nel cerchio dei lussuriosi (Purg.
XXVI 91-102). Dante ha uno slancio d’affetto e lo definisce padre suo e dei suoi
colleghi poeti.
..il padre mio e de li altri miei miglior
che mai rime d’amore usar dolci e leggiadre.. (v. 99)
Guinizelli era un giudice bolognese che viene indicato da Dante in quei versi come
padre suo.
LEZIONE 4 (11/03/2021)
DA GUINIZELLI A CAVALCANTI
Parliamo ora del passaggio importante da Guinizelli a Cavalcanti. Tante volte abbiamo
visto come Dante si pone come storico della poesia del suo tempo, e ne vediamo un
altro esempio nel Purgatorio, XI canto, dei superbi. (vv. 91-102).
Così ha tolto l’uno (cavalcanti) r l’altro Guido (Guinizelli)
la gloria de la lingua; e forse è nato
chi l’uno e l’altro caccerà del nido. (Dante) (VV. 97-99).
Dante spiega come uno che si crede il migliore nella sua arte, verrà sempre superato da
qualcuno che giungerà dopo di lui, così come Guido Cavalcanti ha superato Guido
Guinizelli. Dante aggiunge poi che forse è proprio lui che supererà a sua volta
Cavalcanti.
Possiamo vedere questa successione nel tema della lode alla donna rispotto a questi tre
autori.
Guinizelli, Io voglio del ver
Un sonetto di Guinizelli, che presenta una struttura bipartita, in cui nella prima parte vi
sono paragoni e la donna amata è rappresentata attraverso le analogie con gli elementi
belli e preziosi della natura; la seconda parte in cui la donna è elogiata in movimento,
nei suoi atti e nelle sue azioni. Ovviamente è un contesto caro allo stil novo, ma mai
fedele alla realtà, sempre sublimato, con dei contorni vaghi.
DISPENSA (PP. 16-17)
ANALISI DEL TESTO (P. 16)
Dante, Tanto genitle
Si vede chiaramente qui l’influenza che ha esercitato Guinizelli su Dante.
Nel testo vi è una lode a Beatrice in termini molto simili usati da Guinizelli.
Guido Cavalcanti, Chi è questa che vèn
DISPENSA (PP. 18-19)
Questo è un testo di lode, di elogio delle qualità della donna amata.
ANALISI DEL TESTO (P. 18)
Nel testo ritroviamo delle parole che sono già state usate da Guinizelli. I poeti devono
prima definire lo scheletro del testo e poi costruirlo intorno ad esso. I termini posti in
rima sono scelti spesso con una funzione chiara e sono investiti della carica semantica
che definiscono una visione e una concezione della vita e del mondo; sono termini che
richiamano a poesie e opere altrui, come in questo caso i riferimenti, tramite queste
rime, a Guinizelli.
Se paragoniamo il testo di Cavalcanti a quello di Guinizelli notiamo che il testo si apre
con una domanda e non con una frase perentoria, una domanda che sembra quasi
un’esclamazione. Un’altra cosa caratteristica di Cavalcanti che noi troviamo nel testo
è che è ricorrente nel sonetto l’idea di rendere compiutamente ciò di cui si sta parlando:
l’oggetto della poesia stessa, la donna, non può essere manifestato compiutamente a
parole (..parlare null’omo pote..Non si poria cantar..): questa differenza ci conduce al
versante che è più praticato da quello di cavalcanti, ovvero lo sbigottimento di fronte
alla donna amata. L’amante è soverchiato dalla creatura di cui è innamorato → ciò
viene messo in luce da Alberto Rea: “L’oggetto d’amore non è semplicemente
irraggiungibili, ma razionalmente incomprensibile”.
Guido Cavalcanti, Tu m’hai sì piena
DISPENSA (PP. 20-21)
ANALISI DEL TESTO (P. 20)
Il testo è un esempio del filone disforico, ovvero una rappresentazione dell’amore
fortemente negativa perché esso è soverchiante per l’individuo e ne disabilità il
raziocinio, la ragione e il movimento.
Centralità della mente in Cavalcanti
Guido sancisce la natura fantasmatica della passione. L’oggetto dell’amore non è la
donna reale, bensì il suo phantasma mentale. In conformità con i modelli della
psicologia aristotelica, la forma della donna, percepita attraverso gli occhi e astratta
dalle sue qualità sensibili all’interno dell’immaginativa, si imprime nella memoria,
divenendo oggetto di un desiderio ossessivo. Di qui l’inedita centralità dello psiconimo
mente. La sede in cui si insedia l’amore per la donna amata non è tanto il cuore ma la
mente.
La mente è la sede del processo cognitivo di astrazione, elaborazione e conservazione
del phantasma amoroso, che, come precisato in Donna me prega, occupa la memoria,
facoltà dell’anima sensitiva preposta alla conservazione della conoscenza sensibile. Il
fallimento del tentativo di sostenere e completare l’elaborazione mentale del
phantasma della donna conduce alla constatazione dell’insufficienza delle stesse
facoltà intellettive. L’organo psichico diviene così oggetto di un inarrestabile processo
doloroso…
LEZIONE 5 (12/03/2021)
Caratteri della poesia di Cavalcanti
- Adozione della terminologia filosofica e scientifica.
- Analisi e scomposizione dei fluidi sottili.
- Spiriti: “personificazione dei fluidi sottili esalati dal sangue che secondo la
fisiologia antica dirigono le funzioni vitali”.
L’interiorità è analizzata attraverso la scomposizione dell’interiorità stessa nelle sue
componenti.
- Guido Cavalcanti mette in atto meccanismi di spietata analisi della devastazione
amorosa.
- Seziona l’essere umano riducendolo alle entità attrici di un teatro di continuo
dolore
- Insistenza su immagini che rimandano alla guerra e all’ambito del processo
(giudizio, condanna, tortura)
- Vede nella sofferenza estrema e nell’annientamento del soggetto un destino
inevitabile.
Dante, Guido, i’vorrei
DISPENSA (PP. 22-23)
Il sonetto deve essere collegato al genere galloromanzo del plazer, o meglio a quella
sottospecie del pazer che si definisce souhait “augurio”, che consiste in un elenco di
cose o spettacoli piacevoli che il poeta augura a se stessi o al destinatario del testo.
- Dante non immagina cose belle né doni fantastici, il suo è un sogno cortese di
affetti e di pace, non di ricchezze.
- Secondo Contini, questo testo sviluppa il motivo sentimentale principe del dolce
stile in quanto “scuola”.
Il giovane Dante e Cavalcanti sono sicuramente amici, anche se tutta via dimostreranno
di avere concezioni dell’amore differenti, come Dante mostrerà nel canto X
dell’Inferno.
LA DEFINIZIONE DI “DOLCE STIL NOVO”: DOVE NASCE E COME PUO’
ESSSERE INTERPRETATA
Il dolce stil novo, che ha il suo epicentro a Firenze e che determinerà il suo ruolo
egemone della letteratura fiorentina, ha il suo luogo d’origine a Bologna, dove nasce
attorno al 1230 Guido Guinizzelli.
Da dove deriva l’espressione “dolce stil novo”?
Questa espressione è usata a partire da Francesco De Sanctis per designare una
tendenza poetica che si afferma a Firenze negli anni Ottanta del Duecento,
diffondendosi e restando attiva fino ai primi decenni del Trecento. De Sanctis inizia ad
utilizzarlo come etichetta, prendendola dalla Divina Commedia di Dante.
L’espressione infatti risale a Dante, che la usa nel canto XXIV del Purgatorio, quando
pone un muro tra sé e i poeti precedenti.
Siamo nel cerchio dei golosi, dove Dante incontra Forese Donati, un amico, e
Buonagiunta Orbicciani da Lucca.
Bonagiunta chiede a Dante se difronte a sè abbia l’autore di un nuovo testo poetico.
<<…Ma dì s’ì veggio qui colui che fore
trasse le nove rime, cominciando
Donne ch’avete intelletto d’amore>> (v. 51)
Qui Bonagiunta cita un verso di una canzone di Dante, chiedendosi se sia proprio lui
la persona che ha davanti, l’iniziatore di una nuova poesia, proprio con la sua canzone
in celebrazione alla sua donna amata.
E io a lui: <<l’ mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
Ch’è ditta dentro vo significando>>
Dante risponde e dice che le parole quasi gli uscivano autonomamente da dentro, a
formare una nuova poesia, non senza difficoltà per rendere giustizia all’amore che
aveva dentro verso Beatrice. All’inizio delle sue parole Dante dice di essere
semplicemente uno tra i tanti che quando Amore lo ispira, vede, Dante quindi dice di
essere una persona normale che viene ispirata da Amore ed esprime a parole ciò che
Amore detta dentro di lui. Amore trascende l’individuo, ma al tempo stesso parla
all’interiorità del poeta: un’ispirazione dall’alto, ma allo stesso tempo interiore, e il
compito del poeta non è altro che riuscire a rendere con le migliori parole possibili
quello che Amore dice.
<<O frate, issa vegg’io>>, diss’elli, <<il nodo
Che l’Notaro e Guittone e me ritenne
Di qua dal dolce stil novo ch’ì odo!
Io veggio ben come le vostre penne
Di retro al dittator sen vanno strette,
che de le nostre certo non avvenne;
e qual più a gradire altre si mette,
non vede più da l’uno a l’altro stilo>>;
e, quasi contentato, si tacette. (v. 63).
Ciò che sembrerebbe una cosa umile, stando alle parole di Dante, sembra invece per
Bonagiunta, qualcosa di estremamente nuovo. Bonagiunta dice di riuscire a vedere
come gli strumenti per scrivere di Dante fossero sotto l’ordine di Amore, cosa che non
avveniva per le penne dei poeti precedenti a Dante.
GLI ELEMENTI DI NOVITA’ SUL PIANO CONCETTUALE E FORMALE
RISPETTO ALLA POESIA PRECEDENTE
I requisiti di originalità della nuova poetica sono resi espliciti dal significato degli
aggettivi che la inquadrano. Il termine novo va innanzitutto preso alla lettera, nel suo
semplice e diretto valore di “nuovo”, per indicare l’appartenenza dei poeti, che si
riconoscono in questa di poetare, a una posizione di avanguardia letteraria. E’
soprattutto questa intenzione di determinare una cesura generazionale a suggerire il
concetto di “novità”. Ma il termine può essere anche assunto e messo in correlazione
col provenzale nou o novel che, in riferimento al trobar, indicava un modo del poetare
che scaturiva da un rinnovamento interiore del poeta. Una concezione, questa che si
radica in area mistica e che richiama alla memoria il canticum novum della Bibbia.
La trafila è molto chiara: la novità di un’eccezionale esperienza d’amore, dando origine
ad un uomo nuovo, si manifesta nei contenuti e nelle forme di una poesia nuova. Tale
processo di interiorizzazione opera anche in funzione di scavalcamento della poetica
guittoniana che, oltre ad aver infranto i limiti di pertinenza della poesia come canto
d’amore, non è riuscita, nell’ambito della lirica amorosa, a comporre la contraddizione
tra amore e passione.
Per la nozione di dolce converrà pertanto considerare un intento polemico che ha per
obiettivo Guittone e i suoi seguaci: contro la loro asprezza, la loro sottigliezza, il loro
municipalismo a volte plebeo si ambisce a un ideale di “dolcezza” e raffinatezza
formale da proporre come volgare illustre, come lingua sovraregionale.
Di pari passo, emerge una netta distinzione tra due direzioni entro cui si muove la
poesia di secondo Duecento: perché da una parte si colloca Guittone che affida alla
poesia una responsabilità didattica alimentata dalla spiritualità cristiana; dall’altra si
installa lo stilnovismo, il cui carattere elitario costituisce l’esito consequenziale di una
cultura laica ed estranea a una diretta intenzione pedagogica e a una destinazione
politica.
LA COMPOSIZIONE DEL CANONE DEL DOLCE STIL NOVO
Il canone classico dello stil novo
- Guinizelli: precursore che anticipa uno stile poetico che conosce il suo trionfo,
a Firenze, con Dante e Cavalcanti.
- Dante
- Guido cavalcanti
- Lapo Gianni
- Dino Frescobaldi
- Gianni Alfani
- Cino da Pistoia, che traghetta lo stil novo oltre il 1200, all’interno del 1300.
Negli ultimi anni si sono avute varie proposte di revisione e allargamento di questo
canone.
LE FIGURE DI GUIDO GUINIZELLI E GUIDO CAVALCANTI:
CARATTERI E TEMI PRINCIPALI DELLA LORO POESIA
Guido Guinizelli è il precursore che anticipa uno stile poetico che conosce il suo
trionfo, a Firenze, con Dante e Cavalcanti. Il dolce stil novo ha quindi origine a
Bologna, dove nasce attorno al 1230 Guido Guinizelli. Dante, nel suo Purgatorio, lo
saluta come “padre mio e dell’altri miei maggior che mai rime d’amor usar dolci e
leggiadre”, fissandone il ruolo di precursore dello stil novo.
La produzione del poeta non è copiosa, ma conta in tutto venticinque poesie, frammenti
e rime dubbie comprese. Fondamentale è la canzone Al cor gentil rempaira sempre
amore, a buon titolo considerata il “manifesto” del dolce stil novo, perché ne enuncia
alcune idee capitali.
Che testo è dal punto di vista metrico?
Il testo è una canzone di sei stanze di dieci versi ciascuna, a schema AB, AB; cDcEdE.
Un tratto metrico che è bene sottolineare subito è che vi è la tendenza, da parte del
poeta, a usare delle rime facili e non particolarmente impegnative, e di sonorità dolce
(-ore, -ura, -ente).
Fin dai primi versi viene formulato il principio della corrispondenza tra amore e cuore
gentile, che dal punto di vista sociologico equivale alla rivalutazione della nobiltà del
cuore contro la nobiltà di sangue, mentre la concezione della donna come figura che
rappresenta la divinità emerge nella stanza finale. Il poeta immagina la circostanza in
cui si troverà al cospetto di Dio e dovrà subire il rimprovero di aver rivolto a una
creatura terrenza la reverenza spettante a Dio stesso e alla Vergine. Sola giustificazione
plausibile alle accuse srà dire di aver amato una donna che “tenne d’angel sembianza”.
Così facendo, però, egli rivelerà come il suo desiderio non sia stato rimesso per via di
sublimazione: il processo di scorporamento dell’identità della donna e di assoluta
interiorizzazione del sentimento d’amore non risulta ancora del tutto compiuto.
Occorrerà arrivare a Dante per riscontrare che la donna amata non ha solo sembianza
d’angelo, ma è essa stessa un angelo.
La società italiana nel corso del 1200 è soggetta a cambiamento, poiché la nuova
borghesia, legata innanzitutto al commercio e alle professioni pubbliche, aspira ormai
a posizioni di potere e di egemonia culturale e cerca una legittimazione sociale e
ideologica che non dipenda esclusivamente da legami familiari.
Precisazioni
- Il motivo della nobiltà di spirito e non di sangue non è una novità di Guinizelli
e del dolce stil novo.
- I poeti del dolce stil novo non sono contro la nobiltà di ceto, ma ritengono che
essa non sia sufficiente.
- Nobiltà nel mondo comunale del Duecento è un concetto di non facile
definizione: non esiste infatti una codificazione dei titoli né un sovrano che li
attribuisce.
Articolazione di Al cor gentil/1
Prime tre stanze: serie di paragoni che dimostrano l’unità sostanziale di cuore nobile e
amore.
- I stanza: impossibilità che vi sia amore senza nobiltà di cuore (esempi: uccello-
dimora naturale; sole-luce; calore-fuoco).
- II stanza: processo (potenza-atto): perché il cuore possa ricevere l’amore deve
essere reso gentile dalla natura → lapidari medievali: le pietre hanno virtù che
discendono dalle stelle e vengono purificate dal sole. Pietra: sole : stella = Cuore
: natura : donna.
- III stanza: ribadisce i concetti già espressi, aggiungendo un esempio negativo
(prova natura : amore = acqua : fuoco) e uno positivo adamàs – minira (oltre a
quello iniziale del fuoco).
Articolazioni di Al cor gentil/2
Ultime tre stanze: sorta di drammatizzazione del discorso: troviamo dei personaggi
- IV stanza: la nobiltà di schiatta non è condizione sufficiente per ricevere l’amore
- V stanza: paragone tra donna e Dio e tra l’amante e l’intelligenza angelica.
- VI stanza: immaginaria giustificazione del poeta; problema: è lecito paragonare
la donna a Dio?
Si apre qui un punto problematico molto rilevante: è lecito divinizzare la donna amata?
E’ lecito fare questo per un cristiano? Dante, nella Vita nova e nella Commedia dice sì;
basti pensare a ciò che scrive. Per Petrarca invece le cose, come vedremo, sono più
problematiche.
Guido Cavalcanti, nato a Firenze non dopo il 1259, e guelfo bianco, è il poeta che
conduce alle estreme conseguenze i presupposti di aristocratica spiritualità impliciti
nella poesia stilnovistica, accostandosi razionalmente alla perlustrazione della
problematica amorosa. Sdegnoso, ateo, iroso, materialista, appartato lo descriverà il
Boccaccio nel preambolo di una novella del Decameron. Ma prima ancora i tratti
peculiari della sua personalità vengono indirettamente consegnati ai posteri
dall’episodio dell’incontro di Dante col padre di lui, Cavalcante Cavalcanti, tra gli
avelli infuocati: emerge l’immagine di un Guido Refrattario a teologia, fede,
spiritualità e interamente votato alla sola razionalità umana, all’altezza dell’ingegno:
segno distintivo questo che indica la separazione concettuale da Dante, in relazione al
quale le componenti etiche di gentilezza e nobiltà d’animo erano sostituite
dall’affermazione del primato intellettuale.
La specificità della poesia di Guido Cavalcanti, se confrontata con quella degli altri
stilnovisti, è determinata dall’intensa espressione dell’esperienza individuale, alla
quale si sovrappone la tensione speculativa: cavalcanti nega allo stilnovismo la
prerogativa di conformazione di un gruppo coeso e univoco nella dimensione
ideologica. Guido è conscio dell’unicità e della contingenza dell’emozione
sentimentale e tale consapevolezza suscita in lui non l’abbandono al momento, ma la
ricerca di una motivazione.
Caratteri della poesia di Cavalcanti
- Adozione della terminologia filosofica e scientifica.
- Analisi e scomposizione dei fluidi sottili.
- Spiriti: “personificazione dei fluidi sottili esalati dal sangue che secondo la
fisiologia antica dirigono le funzioni vitali”.
L’interiorità è analizzata attraverso la scomposizione dell’interiorità stessa nelle sue
componenti.
- Guido Cavalcanti mette in atto meccanismi di spietata analisi della devastazione
amorosa.
- Seziona l’essere umano riducendolo alle entità attrici di un teatro di continuo
dolore
- Insistenza su immagini che rimandano alla guerra e all’ambito del processo
(giudizio, condanna, tortura)
- Vede nella sofferenza estrema e nell’annientamento del soggetto un destino
inevitabile.
LA CONCEZIONE DELL’ AMORE E DELLA DONNA
L’espressione d’amore, che è la condizione dominante, il requisito egemone
dell’apparato dottrinale dello stilnovismo, risulta prevalentemente spogliata di
riferimenti a situazioni esterne, perché è vissuta nella sua natura di fenomeno interiore:
diventa una dottrina la cui conoscenza permette all’uomo di percorrere la scala di
elevazione morale e spirituale indicata dall’amata.
In parallelo mutano anche funzione e identità della donna: non più signora socialmente
superiore al cavaliere, che le tributa l’omaggio, bensì creatura la cui bellezza assume
un valore etico prima ancora che estetico, essendo in primo luogo portatrice di virtù, la
donna del dolce stil novo è la donna-angelo che assolve a una duplice responsabilità:
una, terrena e mondana, consiste nel far si che si manifesti la gentilezza
dell’innamorato attraverso il suo comportamento cortese e virtuoso, e una più alta e
spirituale di mediazione tra l’uomo e Dio. L’immagine della donna-angelo rappresenta
la conciliazione tra amore per la creatura umana e amore di Dio. La spiritualizzazione
dell’eros rivela l’innestarsi, nbel tronco di una cultura laica e mondana, di una
componente religiosa: quella della lode, appunto, a partire da San Francesco per venir
giù attraverso i laudari.
- “Avanguardia” poetica: opposizione rispetto alla generazione precedente.
- Senso di appartenenza a un’elite, dotata di raffinatezza d’animo e di sentire, e
amicizia tra poeti.
- L’amore è l’esperienza più alta, riservata a coloro che siano dotati di nobiltà di
cuore.
- La donna è l’essere superiore, che trascende l’amante.
- L’amore è un fenomeno interiore, analizzato attraverso il ricorso al linguaggio
filosofico e scientifico.
- Ricorso a un repertorio comune e selezionato di immagini e vocabolario (spiriti,
ovvero queste entità nello spirito umano responsabili delle funzioni del corpo
stesso; saluto, che spesso viene visto come tramite di salvezza per l’individuo;
personificazioni..).
- Dettato dolce, piano, limpido, che serve a veicolare densità di significati: rottura
rispetto all’artificiosità guittoniana.
Un errore da non fare è identificare lo stil novo come il movimento in cui la donna è
vista come un angelo e basta. Questa similitudine non è così corrente negli stilnovisti,
e anche Dante stesso la usa raramente. Essa non è del tutto sbagliata, ma non nel senso
che i poeti accostano la donna a un angelo, ma quanto più la donna che è un vero e
proprio angelo, un tramite per il divino per il poeta. Non bisogna quindi farne il tratto
distintivo dello stil novo.
Trama
La Vita nova: inizio
- Tema dell’opera: amore di Dante per Beatrice
- Dante incontra Beatrice per la prima volta a 9 anni, suscitando subito in lui un
turbamento e la nascita dell’amore.
- Nove anni dopo Beatrice rivolge a Dante il primo saluto.
- Dante, ritiratosi nella propria camera, ha una visione premonitrice (morte di
Beatrice) → primo testo: interroga altri poeti su questa visione → inizio
dell’amicizia con cavalcanti.
Molto spesso la Vita nova viene ridotta a un romanzetto, quando invece è un testo di
estrema complessità con tutte le sue sfaccettature, anche perché l’amore è, in quanto
qualcosa che provoca profonde risonanze nell’io di ciascuno, uno strumento di
esplorazione della propria interiorità che produce tanto in Dante, quanto in Petrarca,
delle opere che sono incentrate sull’Io dell’autore.
La Vita nova: evoluzione
L’opera delinea un’evoluzione da parte del protagonista, che passa attraverso delle fasi
- Prima fase, legata ai rituali dell’amor cortese: Dante protegge il proprio amore
attraverso il ricorso a due “donne schermo”.
- Perdita del saluto di Beatrice, poiché la seconda donna schermo usata da Dante
diventa oggetto di voci → disperazione di Dante (episodio del “gabbo”): fase
“cavalcantiana”.
Beatrice è colei che conduce il poeta al suo rinnovamento: di qui il senso peculiare di
“vita nuova”. Il cammino di perfezionamento è duplice
La Vita nova
- Primo libro poetico sicuramente d’autore della letteratura italiana, poiché il
Laurenziano di Giuttone non sappiamo con certezza se fosse scritto e redatto da
lui. Si tratta del primo caso in cui sicuramente un autore ha preso i propri testi
poetici e ha deciso di metterli insieme rispettando un disegno ben preciso.
- Si tratta in realtà di un’opera mista di prose e versi: prosimetro. Abbiamo infatti
testi poetici e parti in prosa.
Modelli della Vita nova
- Modello preminente: il De consolatione Philosophiae di Manlio Severino
Boezio: è un prosimetro che ha per protagonista l’autore stesso, il quale, caduto
in disgrazia, si trova in carcere, dove riceve la visita della Filosofia.
- Altro modello: vidas e razos dei trovatori: unite spesso ai testi dei trovatori nei
manoscritti, sono biografie (vidas) e spiegazioni fantasiose della genesi dei testi,
dei fatti e personaggi a cui essi alludono (razos). Evidentemente Dante non fa
qualcosa di molto diverso.
Versi e prosa
Dante accompagna una scelta di propri testi (31) con una prosa che ne spiega la genesi,
li connette attraverso un racconto e li commenta secondo il metodo delle divisioni, e
questo lo vediamo nel Cap. 10, presente sulla DISPENSA a p. 24.
Vita nova e Rime
- La Vita nova è una raccolta poetica organizzata da Dante.
- Con il termine Rime si indicano invece i testi poetici che Dante non ha
organizzato in un libro.
- Convivio: altro prosimetro: opera di impianto filosofico in cui Dante, dopo
l’esilio (prob.1304-1308), inserisce e commenta tre canzoni scritte
precedentemente (1293-1295).
Incipit Vita nova
Composizione come trascrizione.
“In quella parte del libro de la mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere
si trova una rubrica la quale dice: Incipit vita nova, sotto la qual rubrica io trovo scritte
le parole le quali è mio intendimento d’assemplare in questo libello; e se non tuttem
almeno la loro sentenzia”.
Vita nova: “vita della prima giovinezza”, ma anche vita rinnovata spiritualmente
dall’amore.
Liriche/libro
Occorre distinguere però tra:
- Composizione dei singoli testi: i tesi appartengono alla giovinezza di Dante e le
vicende vanno dal 1283, quando Dante riceve il saluto per la prima volta da
Beatrice, al 1291, anniversario della morte di Beatrice, avvenuta l’8 giugno
1290.
- Composizione del libro: le ipotesi sulla composizione del libro oscillano tra il
1292 e 1295. I testi poetici possono essere stati modificati, riscritti o anche
composti in funzione dell’opera. Tredici testi sono tramandati con differenze
significative (varianti) rispetto alla versione del libro. La prosa modifica la
lettura di episodi rappresentati nei testi poetici.
Realtà e simbologia
- Rappresentazione della realtà: ridotta all’essenziale
- Firenze non è mai nominata, e lo stesso vale per Cavalcanti
- Prevalere di significati simbolici: nome Beatrice (colei che dà beatitudine); il
numero 9 ricorre lungo l’opera: è il numero di beatrice: prodotto della trinità per
se stessa = miracolo.
La Vita nova: inizio
- Tema dell’opera: amore di Dante per Beatrice
- Dante incontra Beatrice per la prima volta a 9 anni, suscitando subito in lui un
turbamento e la nascita dell’amore.
- Nove anni dopo Beatrice rivolge a Dante il primo saluto.
- Dante, ritiratosi nella propria camera, ha una visione premonitrice (morte di
Beatrice) → primo testo: interroga altri poeti su questa visione → inizio
dell’amicizia con Cavalcanti.
Molto spesso la Vita nova viene ridotta a un romanzetto, quando invece è un testo di
estrema complessità con tutte le sue sfaccettature, anche perché l’amore è, in quanto
qualcosa che provoca profonde risonanze nell’io di ciascuno, uno strumento di
esplorazione della propria interiorità che produce tanto in Dante, quanto in Petrarca,
delle opere che sono incentrate sull’Io dell’autore.
La Vita nova: evoluzione
L’opera delinea un’evoluzione da parte del protagonista, che passa attraverso delle fasi
- Prima fase, legata ai rituali dell’amor cortese: Dante protegge il proprio amore
attraverso il ricorso a due “donne schermo”.
- Perdita del saluto di Beatrice, poiché la seconda donna schermo usata da Dante
diventa oggetto di voci → disperazione di Dante (episodio del “gabbo”): fase
“cavalcantiana”.
La Vita nova: svolta e rapporto con Cavalcanti
- Progressiva autosufficienza dell’amore: la lode della donna basta a se stessa
(Donne ch’avete intelletto d’amore [cap.10]).
- Ambiguità del rapporto con Cavalcanti: indicato come “primo amico” e
dedicatario dell’opera, è visto anche come precursore, qualcuno da superare.
Finale della Vita nova: oltre la morte e la tentazione
- L’amore per la donna amata va oltre la sua morte
- Questo amore resiste anche a una “tentazione” rappresentata da una donna
“gentile” che ha pietà di Dante.
La conclusione
L’opera si conclude con un’ascesa (da parte del sospiro del poeta) verso la donna
amata, ormai assunta nell’Empireo e con il preannuncio a seguito di una visione di
un’opera futura (forse la Commedia) che possa “dire di lei quello che mai no fue detto
d’alcuna”.
Donne ch’avete
- Canzone di soli endecasillabi: forma più illustre per Dante; cinque stanze con
l’ultima come congedo
- Canzone che inaugura la poesia della lode
La donna è:
- Creatura di perfezione assoluta, che non può essere espressa compiutamente (I
stanza);
- Desiderata in cielo dai beati (II stanza);
- Capace di portare salvezza in terra (III stanza → Guinizelli);
- Così bella da essere il più perfetto prodotto della Natura e da provocare amore
in chiunque.
DISPENSA (PP. 24-33)
LETTURA PRIMA STANZA E PARAFRASI (P. 27)
LEZIONE 6 (15/03/2021)
DANTE DOPO LA VITA NOVA: LE RIME
La prima parte di cui ci occupiamo sono le “Rime Petrose”, termine ricavato dagli
studiosi, non trattandosi affatto di una titolazione d’autore.
Sperimentalismo
Rime: mostrano la capacità di Dante di cimentarsi in generi e registri molto diversi:
- Rime amorose du sapore “cortese”
- Rime “stilnovistiche”
- Rime allegoriche, dottrinali, morali
- Rime comiche (tenzone con Forese)
- Rime petrose (o legate a un amore sensuale e doloroso
Rime “petrose” di Dante
- Quattro canzoni accomunate dalla presenza di una donna identificata con il
senhal di “pietra”. Senhal (termine in lingua d’oc): nome fittizio dato alla donna
amata per celarne la vera identità e metterne in risalto alcune caratteristiche.
Pietra è in rima in tutte e quattro le canzoni.
- Si datano questi testi intorno al 1296 a causa di una perifrasi astronomica
presente in Io son venuto al punto de la rota
Le quattro rime petrose
- Io sono venuto al punto della rota (1296)
- Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra
- Amor tu vedi ben che questa donna
- Così nel mio parlar vogli’esser aspro
Nello scrivere queste rime Dante ha un modello, ovvero Arnaut Daniel.
Il modello di Arnaut Daniel
- Arnaut Daniel, poeta della fine del XII secolo, esponente del trobar ric (variante
preziosa del trobar clus)
- Purgatorio XXVI: Guido Guinizelli, lodato per “li dolci detti”, definisce Arnaut
“miglior fabbri del parlar materno” → continuità e coesistenza tra esperienze
poetiche diverse.
- Purgatorio XXXI: Beatrice condanna l’amore di Dante a una pargoletta, una
giovane donna, come quella di cui parlano proprio le petrose (in part. Il termine
compare in Io son venuto al punto de la rota).
Le “petrose” e la tradizione
“Nel giro di quattro canzoni Dante sembra voler ricapitolare l’intera tradizione della
lirica amorosa sia latina che volgare” … “Egli non imita i suoi predecessori, ma ne
estrae l’intima verità, e li supera e si sostituisce ad essi”. (Enrico Fenzi).
Il titolo
- Commedia (o meglio Comedìa, come si trova nello stesso testo dantesco) è titolo
di non pacifica interpretazione.
- Secondo l’epistola a Cangrande (la cui attribuzione a Dante, è dubbia) il titolo
farebbe riferimento al contenuto (esito positivo dopo un inizio triste) e allo stile
umile (uso del volgare).
- L’aggettivo divina, entrato nell’uso, è dovuto a Giovanni Boccaccio.
Compiutezza strutturale
- 100 canti distribuiti in 3 cantiche
- 33 canti per cantica più un canto che funge da proemio per tutta l’opera (I
dell’Inferno)
La terzina dantesca o incatenata
Serie di gruppi di tre endecasillabi legati l’uno all’atro, secondo lo schema
ABA BCB CDC DED EFE…YZY Z
La trama (in brevissimo)
- Dante immagina di compiere un viaggio nell’aldilà, attraversando i tre regni
dell’inferno, del purgatorio e del paradiso.
- Il viaggio comincia il venerdì santo del 1300 (25 marzo o 8aprile), anno del
giubileo indetto da Bonifacio VIII, e dura sette giorni.
- Dante è nel trentacinquesimo anno della sua vita (a metà del suo corso normale
secondo Aristotele).
- A guidarlo sono Virgilio (fino alla sommità del purgatorio) e Beatrice (poi San
Bernardo).
I Mondi di Dante
La composizione della Commedia
Ipotesi più accreditate: 1306-1321
- Inferno: iniziato nel 1306-7, quando Dante si trova in Lunigiana presso i
Malaspina, composto fino al 1309.
- Purgatorio: iniziato nel 1309-1310, si sovrappone in parte con la discesa di
Enrico (o Arrigo) VII in Italia.
- Inferno e Purgatorio: rivisti e pubblicati tra 1312 e 1313.
- Paradiso: 1316-1321
Sono cento canti divisi in tre cantiche (Inferno, Purgatorio, Paradiso).
Due visoni diverse
- A. La composizione della Commedia seguirebbe le vicende biografiche e
l’evoluzione ideologica di Dante: nell’Inferno Dante “guelfo” cercherebbe di
riaccreditarsi a Firenze (dopo l’esilio nel 1302 e un iniziale avvicinamento ai
fuoriusciti ghibellini).
- B. La Commedia nasce quando Dante ha elaborato l’idea della necessità
dell’impero (IV trattato del Convivio): già nel I canto dell’Inferno appare
Virgilio come guida, c’è la profezia del veltro ecc.
I sesti canti: politici
Tradizionalmente si leggono in scala:
- Inferno VI: incontro con Ciacco: Firenze
- Purgatorio VI: incontro con Sordello: Italia
- Paradiso VI: incontro con Giustiniano: Impero
Il canto VI del Purgatorio però include tutte queste realtà.
Percezione dell’Italia in Dante e Petrarca
Dante: <<del bel paese là dove’l sì suona>> (Inferno XXXIII 80)
Petrarca: <<Il bel paese/ ch’Appenin parte, e’l mar circonda e l’alpe>> (Canzoniere
146, 13-14).
Vi è un senso di eredità e di continuità della civiltà romana.
Eredità della civiltà romana
- Itali è parola che designa inizialmente una piccola popolazione stanziata nella
parte meridionale della Calabria (italòi).
- I Romani hanno adottato la parola traendola dalle popolazioni della Lega italica
a cui concedono la cittadinanza romana.
- Caratteristica dell’identità italiana è la mancanza di un’unica radice etnica e la
tendenza alla fusione culturale (Eneide).
E’ quindi un concetto di natura culturale e non etnica. “Questo mito delle origini si
collega alla mentalità inclusiva dei romani e alla stessa inconsistenza etnica del nome
geografico dell’Italia, che copriva tante popolazioni eterogenee: le quali non
equivalevano a pietruzze isolate ma componevano il disegno di un ricco mosaico
unificato della civiltà romana” (F. Bruni, Italia, p. 62).
Caratteri di Purgatorio VI
- Incontro tra poeti
- Invettiva politica che si rivolge alla Serva Italia
- Testo fondamentale dell’identità italiana
Purgatorio
- Purgatorio: regno in cui le anime di coloro che si sono pentiti possono espiare
le loro colpe per salire al cielo.
- Si tratta di un monte posto agi antipodi di Gerusalemme; sorge in mezzo alle
acque che secondo Dante coprono interamente l’emisfero australe.
- Il monte si è originato a causa della caduta di lucifero: la voragine da lui prodotta
è l’inferno; le terre che si sono ritirate alla sua caduta hanno crato il monte del
purgatorio.
- Sulla sommità del monte si trova il paradiso terrestre: Virgilio abbandona Dante;
compare Beatrice.
Antipurgatorio
- Canti I-X
- Costituisce una sorta di anticamera al purgatorio: qui si trovano le anime che
hanno tardato a pentirsi.
L’incontro con Sordello
Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
che ne mostrasse la miglior salita;
e quella non rispuose al suo dimando,
ma di nostro paese e de la vita
ci ‘nchiese; e ‘l dolce duce incominciava
<<Mantua…>>, e l’ombra, tutta in sé romita,
surse ver’lui del loco ove paria stava,
dicendo: <<O Mantoano, io son Sordello
de la tua terra!>>; e l’un l’altro abbracciava. (Purg. VI 67-75)
L’Italia per Dante
<<I patrioti del Risorgimento s’infiammavano per quest’episodio, nel quale vedevano
l’auspicio dell’unità e dell’indipendenza italiana, scivolando sul fatto che vi si
nominano l’imperatore Giustiniano e le leggi romane. Oggi è facile osservare che dante
non è un patriota dell’Ottocento né aspira a uno stat nazionale autonomo. Dante è un
patriota del Trecento, e per lui a patria italiana fa parte di una formazione molto più
vasta, sotto il tetto dell’impero universale>>.
Successione di apostrofi, invocazioni
- Vv. 76-90: Italia
- Vv. 91-96: uomini di Chiesa
- Vv. 97-117: imperatore
- Vv. 118-126: Dio
- Vv. 127-151: Firenze
Ci sono quindi diverse realtà a cui Dante si rivolge perché vede tutto come parte di un
unico disegno.
DISPENSA (PP. 40-44)
LETTURA PRIMI VERSI (P. 40)
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello! (vv. 76-78).
Significato di serva
<<Chi sarà che non affermi che il genere umano si trova nella sua migliore
condizione, quando può usare questo principio (la liberà)? Ma gode del massimo
grado della libertà quando è sottoposto al Monarca”. (Monarchia, I XII 7-8). L’Italia
è veramente libera quando è soggetta a un monarca che ne garantisce le leggi.
<<Non donna di provincie, ma bordello>>
- Italia definita <<domina provinciarum>> nel Corpus iuris civilis di
Giustiniano
- Lamentationes 1, 1 <<Quomodo sedet sola civitas plena populo, facta est quasi
vidua domina gentium, princeps privinciarum facta est sub tributo>> (“Ah!
Come sta solitaria la città un tempo ricca di popolo! E’ divenuta come una
vedova, la grande fra le nazioni; un tempo signora tra le provincie è sottoposta
a tributo).
LEZIONE 7 (18/03/2021)
Dante e l’Italia
Di quella umile Italia fia salute [sogg. Il Vetro]
Per cui morì la vergine Camilla
Eurialo e Turno e Niso di ferute (Inferno I 106-8)
Questa è la profezia del veltro, un cane da caccia, che evoca la figura di qualcuno, un
imperatore di solito, che deve liberare, scacciare la lupa, ovvero la cupidigia e l’avidità
della Chiesa. In questo passo Dante cita diversi personaggi dell’Eneide di Virgilio, e
alla base del concetto d’Italia, già nell’Eneide, vi è il concetto di fusione di civiltà e
culture diverse che danno vtia alla nostra patria.
Nei versi “umile” ha un significato morale, che può essere interpretato come sinonimo
di “misera”, altri danno un significato positivo, ovvero un qualcosa che connota l’Italia
in positivo a discapito della superbia di altri stati o altre città.
Purg. VI 97-105
O Alberto tedesco ch’abbandoni
Costei ch’è fatta indmita e selvaggia,
e dovresti inforcar li suoi arcioni,
giusto giudicio da le stelle caggia
sovra ‘l tuo sangue, e sia novo e aperto,,
tal che ‘l tuo successor temenza n’aggia!
Ch’avete tu e ‘l tuo padre sofferto,
per cupidigia di costà distretti,
che ‘l giardin del lo ‘mperio sia deserto.
Qui Dante continua con la figura del cavallo e si rivolge all’imperatore Alberto, sul
quale profetizza un castigo a causa del suo abbandono dell’Italia, fulcro, secondo
Dante, dell’impero. Dante scrive questi versi quando è succeduto ad Albero Enrico VII.
Enrico VII
- Novembre 1308: è eletto re di Germania Enrico di Lussemburgo
- Autunno 1310: Enrico scende in Italia, suscitando l’entusiasmo di Dante e
l’opposizione di Firenze (alleata con padova e Bologna in una lega guelfa)
- 6 gennaio 1311: Enrico VII è incoronato re d’Italia a Milano
- 29 giugno 1312: Enrico VII è incoronato imperatore a Roma; in seguito tenta
invano di assediare Firenze (Dante non partecipa)
- Agosto 1313: Enrico muore all’improvviso.
Purg. VI 106-117
Vieni a veder Montecchi e Cappelletti
Monaldi e Filippeschi, uom senza cura:
color già tristi, e questi con sospetti!
Vieni, crudel, vieni, e vedi la pressura
D’i tuoi gentili, e cura lor magagne;
e vedrai Santafior com’è oscura!
Vieni a veder la Tua Roma che piagne
Vedova e sola, e dì e notte chiama:
“Cesare mio, perché non m’accompagnate?”.
Vieni a veder la gente quando s’ama!
E se nulla di noi pietà ti move,
a vergognar ti vien de la tua fama.
L’invettiva continua.
Purg. VI 118-126
E se licito m’è, o sommo Giove
che fosti in terra per noi crucifisso,
son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?
O è preparazion che ne l’abisso
Del tuo consiglio fai per alcun bene
In tutto de l’accorger nostro scisso?
Chè la città d’Italia tutte piene
Son tiranni, e un Marcel diventa
Ogne villan che parteggiando viene.
Dante si rivolge direttamente a Dio, chiamandolo Giove e rifacendosi al mito classico,
La parte fina del canto (vv. 127-138) è rivolta a Firenze, deprecando i fiorentini che
hanno la giustizia nel cuore, ne parlano, ma non la applicano. Inoltre rimprovera la
durata effimera di tutto ciò che riguarda la realtà politica di Firenze, che muta le proprie
membra politiche a causa dei conflitti interni. L’invettiva si chiude con un ulteriore
paragone della realtà politica a una donna, paragonando Firenze a una malata che non
riesce a trovare pace e cerca di allontanare il dolore con un girarsi frenetico nel letto.
Questo chiudere su Firenze è interessante, perché Dante ha lo sguardo comunque
sempre rivolto alla realtà da cui proviene, cioè quella comunale.
Purg. VI 139-151
Atene e Lacedemona, che fenno
l’antiche leggi e furon sì civili,
fecero al viver bene un picciol cenno
verso di te, che fai tanto sottili
provvedimenti, ch’a mezzo novembre
non giunge quel che tu d’ottobre fili.
Quante volte, del tempo che rimembre,
legge, moneta, officio e costume
hai tu mutato e rinovate membre!
E se ben ti ricordi e vedi lume,
vedrai te somigliante a quella inferma
che non può trovar possa in su le piume,
ma con dar volta suo dolore scherma.
Dopo aver parlato di Dante, passiamo a un altro grande autore che compare nella nostra
storia letteraria: Petrarca.
Petrarca a Milano
- 1353: Petrarca si trasferisce presso i Visconti
- Questa scelta è vista come tradimento da Boccaccio
- Per Boccaccio Petrarca ha tradito la patria (Firenze) per scegliere i tiranni (i
Visconti)
Petrarca politico: un oggetto di dibattito
Dalla fine del Settecento e soprattutto nell’Ottocento Petrarca è stato accusato di:
- Incoerenza
- Opportunismo
- Astrattezza
Le sue scelte di vita e il suo atteggiamento in campo politico sono contrapposti alla
figura di Dante, emblema dell’intellettuale che non si piega ai compromessi e paga in
prima persona per la propria coerenza.
Anche Foscolo fa un parallelo tra Dante e Petrarca, in cui viene esaltata la figura di
Dante e l’opportunismo e il servilismo di Petrarca. Tutti questi però sono buona parte
stereotipi dovuti al tempo in cui vengono scritti.
Petrarca politico
- In realtà Petrarca è costantemente impegnato nella vita del suo tempo
- E’ in contatto con importanti personaggi, interviene in frangenti significativi. Ne
sono una testimonianza i suoi epistolari.
- Ha una visione politica, seppure non affidata a un trattato sistematico come il De
monarchia né destinata a improntare in sé un’opera del respiro della Commedia
Canzoniere
- Titolo autentico: rerum vulgarium fragmenta
- Raccolta poetica composta da 366 testi divisi in due parti
- Autobiografia in versi che intende delineare un percorso di crescita e
conversione
- Tema e nodo fondamentale: l’amore per una creatura mortale: Laura.
Petrarca poeta politico
Nel Canzoniere:
- Tre canzoni: 28, 53, 128;
- Sonetti antiavignonesi: 136, 137, 138
- Altri sonetti: in particolare 27, 103.
Al di fuori del canzoniere:
- Canzone “estravagante”: Quel ch’à nostra natura in sé più degno
Petrarca è costantemente proiettato verso la posterità, e sogna che la sua opera possa
durare, e questo fa si che i suoi riferimenti alla realtà non siano confinati in un tempo
preciso, ma che guadagnino una statura classica, per poter parlare a uomini di epoche
diverse.
Arrivando a parlare di Italia mia, gli studiosi hanno concordato sull’evento che viene
narrato nel testo, ovvero la guerra che si ebbe nel 1344 per il possesso di Parma.
L’occasione probabile di Italia mia
Azzo da Correggio “nel 1344, violando un accordo stipulato con Milano, che
prevedeva, in cambio degli aiuti militari ricevuti al momento della cacciata di Alberto
e Mastino, la cessione di Parma ai Visconti dopo quattro anni, aveva venduto la città a
Orbizzo d’Este, provocando una guerra tra Milano e Ferrara, a cui Petrarca assiste, tra
Milano e Ferrara che si era conclusa soltanto nel settembre del 1346 con il passaggio
di Parma sotto il vessillo dei Visconti. Petrarca fugge da Parma e va a Cremona,
riscoprendo dei codici di Cicerone importantissimi per l’Umanesimo. Questi codici
consentono a Petrarca una conoscenza più approfondita di Cicerone e gli fanno
sviluppare una epistolografia, quando la lettera diventa uno strumento per parlare di
qualsiasi argomento.
Passiamo a Italia mia
DISPENSA (PP. 49-54)
Serie di invocazioni
- All’Italia (vv. 1-6)
- A Dio (vv. 7-16)
- Ai signori che si combattono tra loro (resto della canzone)
LETTURA DEL TESTO
Affinità rispetto a Dante
- Personificazione femminile dell’Italia (bel corpo)
- Italia lacerata da divisioni interne; v. 2 “piaghe mortali”; vv 55-56: “Vostre
voglie divise / guastan del mondo la più bella parte”.
- Italia come luogo prediletto da Dio: v. 9 “Tuo dilecto almo paese”.
In Petrarca non troviamo l’inquadramento dell’Italia nell’Impero, ma ne ritroviamo la
lacerazione interna.
La nozione culturale di Italia in Petrarca
Elemento fondamentale: idea dell’eredità della civiltà romana da parte dell’Italia.
- Petrarca non ha in mente un programma politico che porti all’unificazione
dell’Italia.
- A differenza di Dante però la sua prospettiva non è comunale né
sovrannazionale.
- L’Italia non è vista come parte di qualcos’altro, ma ha una sua unità e una sua
autonomia sia naturale (geografica) sia soprattutto storica e culturale.
Italia mia: primi versi
Italia mia, benchè’l parlar sia indarno
A le piaghe mortali
Che nel bel corpo tuo si spense veggio,
piacemi almen che’ miei sospir’ sian quali
spera ‘l Tevero et l’Arno,
e’l Po, dove doglioso et grave or seggio
Abbiamo già detto qualcosa riguardo a quest’opera, come sul titolo originale. Vediamo
di inquadrare meglio il secondo capolavoro dopo la Commedia di Dante.
Un elemento non secondario è il fatto che di quest’opera noi possediamo in parte il
codice autografo, ovvero di mano dell’autore stesso dell’opera. Il codice si trova nella
Biblioteca Apostolica Vaticana sotto il nome di Vat. Lat. 3195.
Autografo
- Prima grande opera della letteratura italiana, insieme al Decameron di
Boccaccio, per la quale possediamo l’originale del poeta, Vat. Lat. 3195
(autografo e idiografo).
- Manoscritto autografo: manoscritto di un’opera di mano dell’autore stesso.
- Manoscritto idiografo: manoscritto di un copista che lavora sotto la sorveglianza
dell’autore.
Un’opera in divenire
Possediamo anche:
- Gli abbozzi di una sessantina di testi di Petrarca
- Alcune redazioni intermedie del canzoniere
Siamo quindi stati in grado di ricostruire l’iter compositivo dell’opera.
Consistenza e partizione dei Rvf
- 366 testi: 365 + 1, come i giorni di un anno più uno (il sonetto proemiale) o come
i giorni di un anno bisestile (es. 1348, anno della morte di Laura)
- La raccolta è divisa in due parti: 1-263 e 264-366
- Nella versione definitiva il primo e l’ultimo testo della prima parte sono sonetti
- Il primo e l’ultimo testo della seconda parte sono canzoni
Vediamo ora la divisione dell’opera
Le due parti
Si dice che il Canzoniere sia diviso in due parti: la parte in vita e la parte dopo la morte.
- La prima parte è “in vita” di laura; la seconda parte è “in morte” di lei
- Tuttavia la seconda parte non si apre con la morte di Laura (son. 267), ma con
una canzone che dà voce a un confitto interiore e al desiderio di cambiare vita.
- Il desiderio di cambiamento è qualcosa che scaturisce dal poeta, anche se a morte
della donna amata sollecita però una riflessione sulla vanità dei beni terreni.
- Alla fine il poeta esprime il proprio pentimento per la vita passata e nell’ultimo
testo (366) leva una preghiera alla Vergine.
Macrotesto
- Il Canzoniere è una raccolta di testi che compongono un macrotesto
- Il significato di macrotesto è superiore alla somma dei significati dei testi che lo
compongono
- I testi poetici acquisiscono nuovi significati grazie alla loro collocazione in una
raccolta, a causa 1) dei rapporti con gli altri testi; 2) dell’inserimento in un
disegno complessivo.
Cosa fa della raccolta di testi un macrotesto?
- Presenza di una volontà ordinatrice e di un disegno
- Proemio che orienta la lettura
- Connessioni tra testi (Santagata: connessioni di “equivalenza”; connessioni di
“trasformazione”)
- Progressione del senso (es. testi di anniversario).
- Elementi di richiamo a distanza che gradiscono coerenza e sviluppo.
Il Secretum
- Dialogo immaginario in tre giorni fra Francesco e Agostino alla presenza della
muta verità
- I due personaggi sono due “anime” dell’autore
- Petrarca dà vita a una rappresentazione del proprio dissidio interiore
- Agostino è la voce della coscienza, che esorta Francesco ad abbracciare una vita
integralmente cristiana
- Per Agostino Francesco dovrebbe liberarsi del desiderio di gloria e dell’amore
per Laura
- L’amore implica perdita del dominio di se stessi
- L’amore per una creatura terrena resta tale, non si deve amare il Creatore per via
della creatura, ma la creatura per via del Creatore
L’amore è quindi visto negativamente.
Il Secretum: la conclusione
- “Sarò presente a me stessi quanto più potrò, e raccoglierà gli sparsi frammenti
della mia anima e dimorerò in me, con attenzione. Ma ora, mentre parliamo, mi
aspettano molte e importanti faccende, benchè ancora mortali.
- “raccogliere i frammenti dell’anima” significa ricomporre un “io” diviso. La
ricomposizione delle tessere a cui era affidata, in modo caotico e disperso, la
registrazione della sua passata esperienza equivale a “restituire l’autore a se
stesso”.
LEZIONE 9 (22/03/2021)
BOCCACCIO
Dopo aver visto Petrarca, parliamo di un altro grandissimo autore del ‘300: Giovanni
Boccaccio e del suo Decameron.
Boccaccio nasce probabilmente a Firenze nel 1313, figlio di Boccaccio di Chellino, di
professione mercante. Nell’autunno del 1327 il padre si trasferisce a Napoli quale
funzionario dell’agenzia bancaria dei bardi, facoltosi finanziatori del re Roberto
d’Angiò, il figlio lo segue per essere avviato alla pratica della mercatura, assieme allo
studio del diritto canonico. Lì Boccaccio incontra Cino da Pistoia, attraverso cui viene
sensibilizzato alla lettura dei poeti dello stil novo e di Dante. Autore di liriche,
Boccaccio non costituì mai un suo canoniere, ma nei suoi componimenti di rime sparse
si riconoscono gli influssi di Dante, tramite il tema della donna amata che fa accedere
alle sfere celesti, e quello della donna petrosa. La suggestione petrarchesca si individua
nei componimenti di mediazione sul tempo, sulla morte e anche quelli di invocazione
a Dio e alla Vergine.
Le Rime di Boccaccio, caratterizzate dall’eclettismo tematico, svelano un quoziente di
autonomia e di elaborazione più strettamente personale quanto il pretesto poetico
coniuga concretezza e misura realistica, anche se persiste il filtro della tradizione
letteraria. Lo sguardo sensuale attratto dal fascino delle bellezze naturali e delle
bellezze femminili caratterizza la poetica delle soluzioni più originali di Boccaccio
lirico. Il compiacimento per la rappresentazione paesaggistica si ravviva con l’innesto
di malizia erotica nel sonetto a carattere narrativo.
Le difficoltà economiche in cui il padre viene a trovarsi a seguito del distacco dalla
compagnia dei Bardi (1338) costringono il Boccaccio a lasciare Napoli e a rientrare a
Firenze nell’inverno 1340-41. Per presentarsi all’ambiente fiorentino, Boccaccio si
accosta alle direttrici formali e tematiche della letteratura toscana tra Due e Trecento,
come ben si avverte fin dalla sua prima opera dopo il ritorno a Firenze, la Comedia
delle ninfe fiorentine: quest’opera è un prosimetro, proprio come la Vita nova di Dante,
e ha come motivo centrale la forza purificatrice dell’amore, in pieno filone
stilnovistico.
Il Filocolo
Non l’ispirazione lirica, ma la dimensione narrativa rappresenta la reale vocazione di
Boccaccio scrittore; e lo attesta molto bene la sua prima opera importante, il Filocolo:
un lungo romanzo, articolato in cinque parti, scritto tra il 1336 e il 1338. Questo
romanzo racconta in una prosa d’arte lavorata e preziosa le disavventure e le peripezie
amorose di Florio e Biancifiore che, innamorati e costretti a separarsi per volontà dei
genitori di lui, alla fine si ricongiungono e si sposano.
Il Filocolo, assume un significato che oltrepassa quello di documento letterario
dell’esperienza umana e della formazione intellettuale di Boccaccio, perché si
configura da ultimo come un testo rappresentativo di un’operazione culturale diretta a
congiungere le due “anime” della cultura della corte angioina, in cui Boccaccio si era
formato: una cultura “alta”, scientifica, naturalistica, erudita, e una cultura “bassa”, di
svago, mondana, affascinata dai versi d’amore e dalle prose dei romanzi. Il progetto di
Boccaccio è quello di saldare i due poli e di approdare a una letteratura “mezzana”,
conciliando l’invenzione narrativa con il sapere, nell’ambizione di amalgamare e
richiamare a un unico ambito d’interesse due fasce di pubblico fino allora nettamente
separate: i dotti e le donne.
IL DECAMERON E LA NARRATIVA
Parliamo di narrativa, ovvero di prosa, testi non poetici, scritti con l’intento di narrare,
di raccontare. Ci troviamo infatti davanti al primo maestro della narrativa della
letteratura italiana. Boccaccio usa la novella nella sua opera.
Il genere della novella
- Boccaccio è il codificatore del genere, non il suo inventore; gli conferisce dignità
letteraria
- Questa attitudine si ritrova in diverse sue opere, come i poemi Filostrato e
Teseida (due opere giovanili), che probabilmente riprendono la forma metrica
dell’ottava dai cantari (poeti che recitavano le loro storie sulla pubblica piazza),
dando dignità a un genere popolare.
Importanza di Boccaccio
Boccaccio è il primo a tentare con piena coscienza individuale il riscatto della
“novella” dalla condizione di sottoprodotto letterario, per elevarla sul piano della
grande arte; il primo a liberare la tradizione narrativa medievale dal suo carattere
episodico e disorganico, e a servirsi della “novella” come strumento per una nuova
interpretazione totale e unitaria dell’uomo e del mondo.
La narrativa breve medievale
1) Narrazioni biografiche: santi (agiografia), uomini illustri, trovatori
2) Aneddoti
3) Narrazioni di registro comico, tra cui i fabliaux
4) Storie di maggior sostenutezza espressiva, talvolta a contenuto tragico, come i
lais
5) Gli exempla, a contenuto edificante
6) Fiabe animali
La tradizione medievale della narrativa breve
- Questa tradizione è solitamente anonima. Passa da persona a persona senza
l’imprimatur dell’autore,
- La narrativa breve spesso non era destinata alla circolazione autonoma (es.
predicazione)
Lo sviluppo della narrativa breve
- Nell’Italia del Duecento si assiste a uno sviluppo della narrativa breve, che può
essere connesso all’urbanizzazione e alla nascita di un conflitto culturale tra
religiosi e laici
- La predicazione comporta l’uso di racconti che hanno funzione esemplare
- Lo sviluppo dei comuni comporta la nascita di un ceto di funzionari e politici
che fanno della comunicazione un’arma decisiva
Inizio e fine
Comincia il libro chiamato Decameron cognominato prencipe Galeotto, nel quale si
contengono cento novelle in diece dì dette da sette donne e da tre giovani uomini
Qui finisce la Decima e ultima giornata del libro chiamato Decameron cognominato
prencipe Galeotto
Paratesto
In critica letteraria, l’insieme di produzioni, verbali e non verbali, sia nell’ambito de
volume stesso (quali il nome dell’autore, il titolo, una o più prefazioni, le illustrazioni,
i titoli dei capitoli, le note), sia all’esterno del libro (interviste, conversazioni,
corrispondenze, diari..), che accompagnano il testo vero e proprio e ne guidano il
gradimento da parte del pubblico.
“Il libro chiamato Decameron cognominato prencipe Galeotto”
Decameron: il titolo ricalcato sull’Hexaemeron di sant’Ambrogio, che raccontava la
creazione dell’Universo in sei giorni.
“Come lì il santo parafrasava e commentava il racconto biblico della Genesi, dove si
racconta la creazione dell’universo culminante con l’appropriazione dell’uomo
nell’Eden, così Boccaccio propone nel suo libro la “ricreazione” del mondo civile da
parte di una cellula sociale, piccola ma rappresentativa della cultura cittadina,
provvisoriamente rifugiatasi in un giardino”.
Prencipe Galeotto: “…Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse” (Dante, Commedia, Inf. V
127-138). Galeotto è il personaggio che favorisce l’amore tra Lancillotto e Ginevra, e
nell’Inferno di dante è il libro che suscita l’amore tra Francesca e Paolo e che li porta
alla morte.
- Galeotto: personaggio che favorisce l’amore adulterino tra Lancillotto e Ginevra
- Sorgono dubbi interpretativi: Vuol dire che è un libro che favorisce l’amore?
Vuol dire che chi lo legge deve prestare attenzione, non facendosi irretire dalla
finzione letteraria come Paolo e Francesca?
La dedica
- Nel Proemio l’opera è dedicata alle donne
- Boccaccio presenta questo come un atto di gratitudine per la compassione che
ha ricevuto e che lui ora riversa sulle donne, che ne hanno bisogno
- Selezione: donne che non sono costrette a lavorare e che hanno tempo da
dedicare ai pensieri amorosi
- Protagonismo femminile: grande novità del Decameron, visibile a tutti i livelli
del libro.
LA “CORNICE”
Due settimane
- I giovani trascorrono due settimane in contado
- Ogni settimana due giorni trascorrono senza racconto delle novelle: venerdì,
pratiche devozionali; sabato, pratiche igieniche.
Temi delle giornate
- I e IX giornata: a tema libero
- II giornata: esito positivo i situazioni difficili grazie all’intervento della fortuna
- III giornata: acquisizione o ritrovamento di un oggetto desiderato grazie alla
propria “industria”
- IV giornata: amori con finale tragico
- V giornata: amori con finale felice
- VI giornata: novelle di motto, che si risolvono in una battuta pronta da parte di
un personaggio
- VII giornata: beffe compiute dalle donne a danno dei loro mariti
- VIII giornata: beffe in generale
- X: giornata: esempi di magnificenza
Dioneo (da Dione, madre di Venere): personaggio che ottiene di essere libero nella
scelta della novella che racconta.
Alla fine di ogni giornata un personaggio a turno intona una ballata.
Novelle e senso complessivo del Decameron
- Vittore Branca idea di una struttura ascensionale, dal personaggio di ser
Cepparello a Griselda
- In realtà tra questi due estremi si trova la rappresentazione dell’estrema varietà
dei comportamenti umani e delle situazioni possibili
- Altra proposta (Pamela Stewart): individua il centro dell’opera nella novella di
madonna Orietta (VI 1), che parla proprio dell’arte di narrare
LA NATURA DELL’AMORE
LEZIONE 10 (25/03/2021)
I valori cavallereschi
- Altri studiosi mettono in risalto l’importanza assegnata ai valori cortesi come
base per una rifondazione del mondo scosso dalla peste
- In realtà Boccaccio mostra la capacità di contemperare e fondere valori diversi,
che non si escludono necessariamente a vicenda
Novella di Federigo degli Alberighi
- Collegamento alla novella precedente
- Richiamo a un’auctoritas ed elogio delle qualità che contraddistinguono l’arte
del raccontare
- Mondo cittadino che imita le pratiche tipiche della cavalleria
- Personaggi contrassegnati da nobiltà d’animo, decoro e dignità
- Falcone: ultimo segno della nobiltà di Federigo
- Generosità spontanea di federigo
- Attenzione alle convenzioni sociali, cura nel parlare
- Entrambi i personaggi perdono ciò a cui tengono di più
- Finale: elogio ai valori superiori alla ricchezza
- Al contempo: necessità di Federigo di diventare miglior massaio delle proprie
ricchezze
NOVVELLA DI FEDERIGO NELLA DISPENSA (PP. 62-71)
L’UMANESIMO
L’Umanesimo è la cultura che si sviluppa dalla fine del Trecento e inizio Quattrocento
in particolare in Italia e poi in tutta Europa.
Il Quattrocento: i fenomeni salienti
A) Umanesimo:
- Primato del latino e della cultura classica (prima metà del secolo)
- Introduzione del greco (prime cattedre, concilio di Ferrara e Firenze 1438-1442;
caduta Impero Romano d’Oriente: 1453)
- Incontri e scambi tra letterati (spesso riuniti in accademie)
- Umanesimo volgare (seconda metà del secolo): recupero e legittimazione della
tradizione volgare
B) Invenzione della stampa (primo libro: la Bibbia di Gutenberg: 1454)
C) Corti come centri propulsori della cultura letteraria
Studia humanitatis
Il termine Umanesimo in sé e per sé è piuttosto recente: fu coniato in Germania
nell’Ottocento dal pedagogista Friedrich Immanuel Niethammer, che lo derivò dalla
parola humanista, utilizzata nel gergo cinquecentesco delle università per indicare
colui che si occupava, insegnante o studente che fosse, di discipline letterarie. Il
lemma humanista era a sua volta derivato dall’espressione
antica studia humanitatis (ossia «discipline relative all’umanità»), che i dotti
italiani di fine Trecento avevano desunto dai testi di Cicerone e del grammatico Gellio,
nei quali essa compariva a indicare l’educazione ‘liberale’, di tipo letterario e
filosofico, conveniente all’uomo ‘libero’
Gli Studia humanitatis
Chiamiamo liberali quegli studi che sono convenienti a un uomo libero; sono quelli
attraverso i quali la virtù e la sapienza si esercitano e si ricercano, e attraverso i quali
il corpo e l’animo si dispongono alle cose migliori […]
Sempre grande è il frutto delle lettere, per ogni tipo di vita e per ogni genere di uomini;
in particolare per gli amanti delle lettere, per l’acquisto della conoscenza, e per
la formazione del loro abito e per richiamare la memoria dei tempi passati
Umano
“Homo sum: humani nihil a me alienum puto” (Terenzio) → “Io sono un uomo e non
ritengo che nulla di umano sia estraneo a me”
“..che c’è in quei versi che debba ritenersi solo cristiano e non piuttosto umano e
comune a tutte le genti?” (Petrarca, Seniles II 1) → Una lettera di Petrarca a Boccaccio
in cui si lamenta di aver ricevuto critiche per a sua opera “Africa” e dice di aver messo
in bocca al suo personaggio dele parole che sono umane.
Nei classici antichi che precedono l’avvento del cristianesimo, si possono trovare dei
valori che sono validi ancora oggi.
“Umana cosa è aver compassione degli afflitti” (Boccaccio, Decameron, Proemio 2)
Definizione di umanesimo
“In termini strettamente storiografici, l’umanesimo fu un movimento letterario,
culturale, artistico e ideologico sviluppatosi in Italia tra la seconda metà del XIV secolo
e i primi anni del XV, che si caratterizzò essenzialmente come un ritorno allo studio
sistematico capillare, elevato a punto cardinale d’interesse e di analisi,
dell’antichità classica, del patrimonio greco-latino in tutte le sue dimensioni e
articolazioni, e in opposizione – aggressiva in quanto militante – alla
filosofia scolastica, la logica e la teologia imperanti fin dal XII secolo nelle università
dell’Europa centrale e settentrionale, in particolare Parigi e Oxford, ma anche in alcuni
centri del Nord Italia
Preumanesimo
- Il primo nucleo della sensibilità umanistica è ormai riconosciuto a Padova, tra
fine del Duecento e inizio Trecento, dove dominano le figure di Lovato Lovati
e Albertino Mussato
- Non a caso a Padova si installa Petrarca nell’ultima parte della sua vita
- Già in Dante si possono vedere segni del culto per il mondo antico.
Petrarca padre dell’Umanesimo
- Riscoperta dell’antichità, ritrovamento di opere dimenticate, messa a punto di
tecniche volte a ricostruire la veste originale dei testi e delle vicende storiche
- Nuova visione del sapere e dell’educazione: primato dato alla parola umana, alla
filosofia morale, alla storia
- Importanza attribuita ad alcune forme testuali (es. l’epistola) consentanee a
questa visione
Umanesimo fiorentino
- Il primo umanesimo a Firenze ha un carattere spiccatamente vivile
- In particolare si segnalano le figure di Coluccio Salutati (1332-1406) e Leonardo
Bruni (1370-1444), impegnati nel governo della città come cancellieri
Umanesimo movimento plurale
- Sono riconoscibili orientamenti e prospettive diverse dell’umanesimo: ad es.
umanesimo laico e umanesimo cristiano; umanesimo repubblicano e umanesimo
cortigiano
- Risulta difficile individuare una visione e un insieme di valori unitari
- La riscoperta dell’antico porta comunque con sé la rivalutazione di aspetti della
civiltà pagana nuovi e a volte contrastanti con la fede cristiana: vengono
rivalutati il corpo, il piacere, la vita attiva..
- Si sviluppa una letteratura che afferma la dignità dell’uomo in opposizione a
testi come il De miseria humanae conditionis
Ritrovamento delle opere antiche
- 1345: Petrarca ritrova nella Biblioteca Capitolare di Verona le lettere di Cicerone
- Dopo Petrarca il più grande scopritore di testi antichi è Poggio Bracciolini
(1380-1459), che grazie a viaggi compiuti in quanto funzionario papale ritrova
molte opere, tra cui numerose orazioni di Cicerone, opere di Quintiliano e
Lucrezio.
LETTERA DI POGGIO BRACCIOLINI NELLA DISPENSA (PP. 72-74)
LEZIONE 11 (26/03/2021)
Alberti è convinto che anche il volgare, come il latino, può essere elegante e raffinata
se i dotti la utilizzeranno. Alberti si impegna con scarso successo di dare dignità al
volgare promuovendo il “Certame coronario” nel 1441 con una gara.
A sud troviamo il Regno di Napoli che comprende anche Sicilia e Sardegna. Risalendo
la penisola troviamo lo Stato della Chiesa e la Repubblica di Firenze, a nord il Ducato
di Milano, quello di Savoia e la Repubblica di Venezia.
Italia del secondo Quattrocento
- Rafforzarsi di Stati signorili regionali
- Policentrismo: differenze tra singoli Stati
- Comunicazione tra Stati e spinta verso una cultura comune
- Ruolo determinante delle corti come centri di produzione culturale
- Il letterato è al servizio del signore
- Il pubblico primario è composto dalla corte stessa
- Nella corte si incontrano personaggi di diversa provenienza
Parliamo di uno degli stai più importanti del Quattrocento: la Repubblica di Firenze
LA FIRENZE MEDICEA
Il potere mediceo
- 1434: affermarsi definitivo del potere di Cosimo de’ Medici: le istituzioni
repubblicane formalmente restano intatte, ma di fatto si instaura un regime
signorile
- 1464: Cosimo muore e gli succede il figlio Piero “il Gottoso”
- 1469: il figlio di Piero, Lorenzo, ventenne, diventa di fatto il nuovo signore di
Firenze
- 1492: Lorenzo muore, gli succede Piero “il Fatuo”
- 1494: il regime mediceo viene rovesciato
Giuliano de’Medici
- 1475: Giostra vinta da Giuliano, fratello di Lorenzo
- 1478 (28 aprile): congiura dei Pazzi e morte di Giuliano
- In questo arco di tempo si colloca la composizione delle Stanze per la giostra di
Angelo Poliziano, rimaste incompiute
- 1479: missione di Lorenzo a Napoli
Cultura letteraria e filosofica
- Nell’età di Cosimo il Vecchio: opposizione tra cultura umanistica e cultura
volgare (in cui si riconoscono le famiglie oligarchiche ostili al potere mediceo)
- Nel 1462 Cosimo dona al filosofo Marsilio Ficino la villa di Careggi, che diventa
sede dell’Accademia platonica fiorentina
- Marsilio traduce molte opere di Platone, il Corpus Hermeticum, Plotino,
compone la Theologia platonica
La filosofia di Marsilio Ficino
- Ficino individua in Paltone il depositario di una sapienza antichissima (visione
sincretistica)
- La matrice platonica comporta una svalutazione del mondo terreno e della vita
pratica (allontanamento dall’umanesimo civile)
- L’anima è naturalmente spinta a ricongiungersi al divino
- La bellezza terrena è tramite per elevarsi dalla Terra alla bellezza divina
La letteratura nella Firenze laurenziana
Tre figure principali:
- Luigi Pulci, autore del poema Morgante: poesia giocosa, burlesca, di sapore
popolare; visione della vita legata ai piaceri terreni
- Lorenzo de’ Medici: produzione volgare molto varia, tesa alla rivalutazione della
tradizione in volgare e al suo uso per finalità politiche
- Angelo Poliziano: massima espressione dell’umanesimo filologico; cultura
vastissima; raffinatezza compositiva estrema; capacità di fusione di classici,
grandi modelli volgari, forme e temi della poesia popolare
Il programma culturale di Lorenzo
- Prima età laurenziana: rivalutazione della tradizione in volgare e in particolare
di quella popolareggiante
- 1476-77: Lorenzo compone e dona a Federico d’Aragona, figlio di Ferdinando
re di Napoli, la cosiddetta “Raccolta Aragonese”, con lettera prefatoria di
Poliziano
- La Raccolta Aragonese offre una ricostruzione della poesia toscana dalle origini
fino a Lorenzo stesso, che vi è presente con i sedici suoi testi
PROEMIO RACCOLTA ARAGONESE DISPENSA (PP. 81-89)
La prefazione alla raccolta Aragonese
- Onori e premi nei tempi antichi: stimolo potente a ricercare la gloria
- I poeti erano onorati per la forza eternatrice della poesia
- Pisistrato: esempio emblematico del ruolo riconosciuto alla poesia dal potere
politico
- A causa del venir meno degli onori: decadenza e perdita di tante opere
- Lorenzo avrebbe raccolto i testi dei poeti toscani su sollecitazione di Federico
d’Aragona
- La lingua volgare ha piena dignità
- Si ricostruisce una storia della poesia in volgare, a partire dai Siciliani, che dà
grande rilievo a una linea composta da Guinizelli, Cavalcanti, Dante, Petrarca,
Cino da Pistoia
- Tacendo sui poeti successivi, si allude ai testi dello stesso Lorenzo
La dignità del volgare
Né sia però nessuno che quella toscana lingua come poco ornata e copiosa disprezzi.
Imperocché si bene e giustamente le sue ricchezze ed ornamenti saranno estimati, non
povera questa lingua, non rozza, ma abundante e pulitissima sarà reputata. Nessuna
cosa gentile, florida, leggiadra, ornata; nessuna acuta, distinta, ingegnosa, sottile;
nessuna alta, magnifica, sonora; nessuna finalmente ardente, animosa, concitata si
puote immaginare, della quale non pure in quelli duo primi, Dante e Petrarca, ma in
questi altri ancora, i quali tu, signore, hai suscitati, infiniti e chiarissimi esempli non
risplendino
Svolta culturale
- Sotto Lorenzo, Marsilio Ficino accresce la propria influenza
- Dall’altro lato, tramite Poliziano, si afferma una cultura, classica e volgare,
estremamente raffinata
- Ciò comporta un allontanamento della cultura fiorentina da una letteratura di
carattere popolare e comico → emarginazione di Pulci
Lorenzo de’ Medici
Lorenzo è autore di una variegata produzione in volgare, in cui troviamo ad es.:
- Testi di carattere comico (il Simposio, l’Uccellagione di starne, la Nencia da
Barberino)
- Di ispirazione petrarchesca e stilnovistica (il Canzoniere, il Comento)
- Di impronta neoplatonica e ficiniana (De summo bono, sempre il Comento)
- Di carattere religioso (laude, rappresentazione sacra)
Guardiamo al testo più significativo di Lorenzo: la Canzona di Bacco
DISPENSA (PP. 97-99)
La canzona di Bacco
Canzone a ballo o ballata: ripresa + stanze
Versi ottonari (barzelletta)
Ripresa (ritornello)
x8 Quanto è bella giovinezza,
y8 che si fugge tuttavia!
y8 Chi vuole esser lieto, sia,
x8 di doman non c’è certezza.
Stanza
a8 Quest’è Bacco e Arïanna,
b8 belli e l’un dell’altro ardenti:
a8 perché ’l tempo fugge e inganna,
b8 sempre insieme stan contenti.
b8 Queste ninfe e altre genti
y8 sono allegri tuttavia.
y8 Chi vuole esser lieto, sia,
x8 di doman non c’è certezza.
LEZIONE 12 (29/03/2021)
La visione di Agricane
«Né mi par che convenga a gentileza
Star tuto il giorno ne’ libri a pensare;
Ma la forza de il corpo e la destreza
Conviense al cavaliero exercitare:
Doctrina al prete e al doctor sta bene,
Io tanto sacio quanto mi conviene!»
Risposta di Orlando ad Agricane
Rispose Orlando: «Io tiro teco a un segno:
Che l’arme sono del’omo il primo onore;
Ma non già che il saper facia men degno,
Anci lo adorna, comme un prato il fiore.
Ed è simile a un bove, a un saxo, a un legno
Chi non pensa alo eterno Creatore,
Né ben si può pensar senza doctrina
La somma magestate alta e divina»
Replica di Agricane
Ora te prego che a quel ch’io dimando
Risponde il vero, a fé de omo pregiato:
Se tu se’ veramente quello Orlando
Che vien tanto nel mondo nominato;
E perché qua sei gionto, e comme, e quando,
E se mai fosti ancora innamorato;
Perché ogni cavalier ch’è sanza amore
Se in vista è vivo, vivo è sanza core!»
Solo al 13esimo verso si dice cosa sono tutte queste cose elencate.
Questo è una sorta di ritratto della donna amata, che risponde a quello che risponde al
“canone breve”
“Canone breve”
- Descrizione della bellezza femminile che, secondo l’esempio petrarchesco
(disceso a sua volta da tradizioni medievali), include nel ritratto di una donna
solo alcuni dettagli anatomici (parti del viso- capelli, occhi, guance, bocca – più
una tra collo, seno, mano), raffigurati attraverso il ricorso prevalentemente a
metafore selezionate, che puntano solo su connotati luminosi e su alcuni dati
cromatici
- Quasi sempre la descrizione segue un movimento discendente
Selezione e cristallizzazione
- Crin d’oro
- Occhi soavi
- Riso (sorriso e bocca)
- Rubini e perle (labbra e denti)
- Man d’avorio
- Cantar
- Senno
- Leggiadria
- Unione di bellezza e onestà
Modalità imitative
- Il sonetto riscrive un testo di Petrarca (Grazie ch’a pochi il ciel largo destina)
- Incrocia la memoria di un altro testo del Canzoniere (Erano i capei d’oro a
l’aura sparsi)
- Ricompone altre tessere prese da Petrarca
- Imita tratti fondamentali dello stile petrarchesco
Tratti stilistici petrarcheschi
Tendenza all’equilibrio e alla simmetria
a) Coppie in clausola: tersa e pura; ondeggi e vole; distringe e fura
b) Altre coppie: d’oro… e d’ambra; occhi soavi e più chiari; ogni aspra pena e
dura; rubini e perle
c) Parallelismi: da far giorno seren la notte oscura; giunta a somma beltà somma
onestade
d) Chiasmo: senno maturo a la più verde etade
Parodia
- Pratica sistematica di imitazione del modello di Petrarca
- Pubblico in grado di comprendere anche il suo rovesciamento parodico
LEZIONE 13 (08/04/2021)
Abbiamo cominciato nella lezione precedente a considerare il Cinquecento. Avremo
modo con il Modulo C di soffermarci meglio su alcune cose che diremo oggi,
soprattutto su Macchiavelli.
Nel 1494 Carlo VIII scende in Italia per conquistare il Regno di Napoli,
rivendicandolo: questo è il momento visto come frattura che da il via al momento di
Guicciardini. La perdita, due anni prima, di Lorenzo il Magnifico, spiana la strada alla
discesa del re francese. Iniziano quindi le guerre d’Italia, periodo di grande crisi e
sconvolgimenti, anche a causa di un tipo di guerra diverso, grazie all’introduzione
dell’artiglierei negli eserciti. Questi eventi suscitano un profondo turbamento negli
autori dell’epoca, influenzandoli.
In un periodo di enorme difficoltà fiorisce un periodo letterario estremamente florido
però. Questo periodo di grande fioritura culturale non è un periodo in cui artisti e
letterati si rinchiudono in se stessi, ma invece la cultura, la riflessione e il pensiero
intendono reagire alla situazione di conflitto in cui si trova la penisola.
Gli autori quindi cercano alternative alla condizione dell’Italia, e ciò emerge sul piano
culturale; in particolare emerge la Questione della Lingua.
Il Cinquecento è un periodo in cui gli scrittori italiani, di fronte alla mancanza di unità
di lingua sul piano nazionale, reagiscono con il desiderio di unità linguistica.
Oltre che avere una stretta relazione con le vicende politiche, la questione della lingua
ha una stretta connessione con la stampa.
La stampa
- 1454: apparizione del primo libro tipografico, la Bibbia di Johann Gutenberg
- In meno di cinquanta anni vengono prodotti in Europa tra i 15 e i 20 milioni di
volumi
- 1464: prima tipografia in Italia, creata dai chierici tedeschi Conrad Sweynheym
e Arnold Pannart a Subiaco (nel 1467 si spostano a Roma)
- L’innovazione si diffonde nel resto d’Italia e cominciano a essere stampati i
primi libri in volgare (1470, Venezia, Vindelino da Spira: prima edizione del
Canzoniere di Petrarca)
Effetti della stampa
- Riproducibilità e diffusione dei testi
- Nascita di un mercato e un’industria
- Tendenza alla standardizzazione dei criteri grafici
- Spinta alla ricerca di una norma linguistica comune
Petrarca e Dante aldini (=ovvero stampati da Aldo Manuzio)
- 1501: Aldo Manuzio pubblica Le cose volgari di messer Francesco Petrarca,
curato da Pietro Bembo: il formato è lo stesso utilizzato pochi mesi prima per la
pubblicazione di Virgilio
- 1502: vengono pubblicate, sempre per cura di Bembo, le Terze rime di Dante
- → Identità di trattamento per classici latini e classici volgari
La questione della lingua
Gli autori dell’epoca si confrontano su quale sia la lingua da utilizzare:
- Tesi della lingua cortigiana (e italiana)
- Tesi della lingua toscana o fiorentina viva
- Tesi classicista di Bembo
Tesi della lingua cortigiana
Si propone l’uso di una lingua “mista”, formata da varie componenti e basata sulle
consuetudini linguistiche delle corti.
Preoccupazione centrale: lingua del parlare nell’ambiente di corte.
Diverse declinazioni:
- Calmeta: lingua parlata nella corte papale (come base il fiorentino di Dante e
Petrarca)
- Castiglione: lingua viva, parlata nelle diverse corti, aperta a diversi influssi
(toscano letterario, latino…)
Trissino
- Giovan Giorgio Trissino riscopre il De vulgari eloqiuentia di Dante: proposta di
una lingua italiana non identificabile con nessuna delle varietà utilizzate nella
Penisola
- 1529, Castellano (dialogo, pubblicato con il De vulgari eloquentia): i grandi
scrittori del passato avevano usato una lingua definibile come “italiana”, non
“fiorentina”
LEZIONE 14 (09/04/2021)
Il modello petrarchesco
- L’adesione alle tesi di Bembo risponde a una personale inclinazione dell’Ariosto
verso una lingua omogenea, letteralmente eletta nel lessico, ma lontana altresì
da ogni estremo sia aulico che corposamente realistico.
- Ariosto riprende molto del lessico petrarchesco (in situazioni amorose, ma non
solo) e fa suoi soprattutto stilemi come dittologie (cioè copie) ed enumerazioni.
- “Petrarca agisce come filtro stilistico e ritmico per attenuare certe punte di più
accesa espressività e rifondere gli apporti provenienti da diverse tradizioni […]
in una superiore medietà di tono» (C. Dini).
Un poema “italiano”
“mentre l’Orlando Furioso del 1516 era stato concepito all’interno di una prospettiva
ancora molto boiardesca, ferrarese, il poema del 1532 non può non tenere conto del
crollo ormai chiaro dell’antico sistema cortigiano e della necessità di muoversi su
un piano di letteratura ormai ‘italiana’, intesa anche come potente fattore di identità
nazionale, capace di sfidare e superare i frangenti di una storia infida» (Riccardo
Bruscagli)
L’importanza della storia
Nel Furioso sono frequenti i riferimenti all’attualità delle guerre d’Italia.
Tra le aggiunte dell’edizione C si segnalano:
- L’episodio di Orlando e Olimpia, che consente tra l’altro di scagliare
un’invettiva contro le armi da fuoco
- L’episodio della Rocca di Tristano, nel quale largo spazio ha la rappresentazione
delle invasioni dell’Italia, dall’alto Medioevo al sacco di Roma
Orlando getta in mare l’archibugio
O maledetto, o abominoso ordigno,
che fabricano nel tartareo fondo
fosti per man di Belzebù maligno
che ruinar per te disegnò il mondo,
all'inferno, onde uscisti, ti rasigno.
(Orlando furioso IX 91, 1-5)
La follia
“Recuperando tutta l’infinita varietà degli errori umani sotto la sigla della pazzia,
Ariosto si muove su una linea del pensiero rinascimentale che fa della follia non
un’alterazione patologica dell’io ma una sua naturale forma di essere, il volto
dell’irrazionalità, della falsificazione della realtà, dell’incapacità di dominare le cose»
(C. Dini).
Principali filoni narrativi
- Guerra tra Carlo Magno e Agramante, tra cristiani e saraceni (azione divisa tra
Parigi e Arlì): la guerra termina a Lipadusa, con la morte di Agramante per mano
di orlando; segue poi l’uccisone di Rodomonte a Parigi
- Amore di Orlando per Angelica: Orlando impazzisce a causa della scoperta
dell’amore tra Angelica e Medoro; alla fine recupera il senno grazie ad Astolfo.
- Vicende di Ruggero e Bradamante, progenitori degli estensi (già in Boiardo):
filone encomiastico: Ruggero è un cavaliere saraceno che il suo “padrino”, il
mago Atlante, intende proteggere del destino di conversione e morte prematura;
alla fine Ruggero e Bradamante si sposano.
Proemio
- Suddiviso classicamente in proposizione, invocazione e dedica
- Antecedente: Stanze per la giostra di Poliziano
DISPENSA (PP. 141-142)
Come fare la parafrasi?
Costruire
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori
Le cortesie, l’audaci imprese io canto
➔ Io canto le donne, i cavalieri, l’arme, gli amori, le cortesie, le audaci imprese
Chiasmo
Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori
Le cortesie, l’audaci imprese io canto
AMORE = X GUERRA = Y
➔xyyx
Costruire
Che furono al tempo che passarono i Modi
D’Africa il mare
➔ che furo al tempo che i Mori passarono il mare d’Africa
Riconoscere le forme grammaticali
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.
l’arme = femm. plur.: ‘le armi’
furo = terza pers. plur. del pass. rem. del verbo essere: ‘furono’
passaro = terza pers. plur. del pass. rem. del verbo passare: ‘passarono’
nocquer = terza pers. plur. del pass. rem. del verbo nuocere: ‘nocquero, crearono
danni’
diè = terza pers. sing. del pass. rem. del verbo dare: ‘diede’
Rendere il significato
- le cortesie: “gli atti cortesi”
- d’Africa il mare: il mare d’Africa → lo stretto di Gibilterra
- si diè vanto: “proclamò di volere”
- vendicar la morte di Troiano sopra …: ‘vendicarsi con … per la morte di
Troiano’
- re Carlo imperator romano: come renderlo?
Memoria letteraria
Dante, Purg. XIV 109-10 «Le donne e i cavalier, li affanni e li agi, / che ne
’nvogliava amore e cortesia»
Verg., Aen. I 1 «Arma virumque cano»
Poliziano, Stanze I 7, 8 «mentr’io canto l’amor di Iulio e l’armi»
Boiardo, Orlando innamorato I i 1, 6-7 «l’alta fatica e le mirabil prove / che fece il
franco Orlando per amore»; I xviii 45, 8 «de arme o de amore a ragionar t’aspetto»
Precdenti versioni:
Ariosto, Obizzeide 1-2 «Canterò l’arme, canterò gli affanni / d’amor, ch’un cavalier
sostenne gravi»
Orlando Furioso 1516 e 1521: «Di donne e cavallier li antiqui amori / le
cortesie, l’audaci imprese io canto»
LEZIONE 15 (12/04/2021)
Il “meraviglioso cristiano”
«Attraverso le figure angeliche e diaboliche e, in terra, attraverso i praticanti di magia
bianca e nera […], Tasso ha realizzato il congegno perfetto che regola il
“meraviglioso” nel poema: conformemente all’idea di “picciolo mondo” elaborata in
sede teorica, la favola è costruita con il rispetto sostanziale dell’unità dell’azione,
alleggerita dalla varietà degli episodi (che estendono provvisoriamente i confini
geografici del poema) e attraversata “verticalmente”, dal cielo verso terra e dagli
inferi verso la superficie, da meraviglie e prodigi in sintonia con l’immaginario
cristiano» (Claudio Gigante)
Nella Liberata lo scontro tra cristiani e pagani corrisponderebbe a quello tra due
visioni della cavalleria: quella umanistico-rinascimentale, basata sul valore
individuale (pagani), e quella che coordina la cavalleria a una finalità collettiva
(cristiani).
Correlata a questa è la contrapposizione tra dispersione e unità.
Gerusalemme liberata I 2
O Musa, tu che di caduchi allori
non circondi la fronte in Elicona,
ma su nel cielo infra i beati cori
hai di stelle immortali aurea corona,
tu spira al petto mio celesti ardori,
tu rischiara il mio canto, e tu perdona
s'intesso fregi al ver, s'adorno in parte
d'altri diletti, che de' tuoi le carte
Gerusalemme liberata I 3
Sai che là corre il mondo ove più versi [verbo]
di sue dolcezze il lusinghier Parnaso,
e che 'l vero, condito in molli versi [sost.],
i più schivi allettando ha persuaso.
Così a l'egro fanciul porgiamo aspersi
di soavi licor gli orli del vaso:
succhi amari ingannato intanto ei beve,
e da l'inganno suo vita riceve.
Gerusalemme liberata I 4
Tu, magnanimo Alfonso, il qual ritogli
al furor di fortuna e guidi in porto [sost.]
me peregrino errante, e fra gli scogli
e fra l'onde agitato e quasi absorto,
queste mie carte in lieta fronte accogli,
che quasi in voto a te sacrate i' porto [verbo].
Forse un dì fia che la presaga penna
osi scriver di te quel ch'or n'accenna
Gerusalemme liberata I 5
È ben ragion, s'egli averrà ch'in pace
il buon popol di Cristo unqua si veda,
e con navi e cavalli al fero Trace
cerchi ritòr la grande ingiusta preda,
ch'a te lo scettro in terra o, se ti piace,
l'alto imperio de' mari a te conceda.
Emulo di Goffredo, i nostri carmi
intanto ascolta, e t'apparecchia a l'armi.
LEZIONE 16 (15/04/2021)
Oggi parliamo del Seicento e in particolare la lezione sarà divisa in due parti: una su
Galileo e l’altra sul periodo barocco
IL SEICENTO
GALILEO E LA NUOVA SCIENZA
Galileo è parte della letteratura italiana, poiché egli è stato anche un grande scrittore.
Il Seicento è un secolo che non gode di buonissima stampa nella letteratura italiana.
Il giudizio sul Seicento
Il Seicento reca ancora in sé la taccia di secolo di decadenza, in cui la poesia porta
all’estremo quel vuoto formalismo che francesco De Sanctis indicava come un male
della letteratura italiana. Lo stesso De Sanctis esaltava invece autori che avevano
praticato una letteratura diversa, “fatta di cose”, aperta alle scoperte scientifiche e in
radicale opposizione al clima controriformistico.
Galileo fa parte della letteratura perché la utilizza per dare foggia delle proprie
scoperte. Ma quali sono le scoperte che precedono il Seicento e lo attraversano?
Cinquecento: secolo di scoperte geografiche
Dalla fine del Quattrocento su assiste a un notevole ampliamento degli orizzonti
geografici:
- Scoperta dell’America (1492)
- Nuove rotte geografiche ed esplorazioni
- Circumnavigazione del globo (1519-22)
Vi è quindi uno spostamento nei paradigmi conoscitivi, che possiamo riscontrare anche
in un autore in particolare: Guicciardini.
Le scoperte nella Storia d’Italia di Guicciardini
Ma più maravigliosa ancora è stata la navigazione degli spagnoli, cominciata l’anno
mille quattriocento novanta…, per invenzione di Cristoforo Colombo genovese. Il
quale, avendo molte volte navigato per il mare Oceano, e congetturando per
l’osservazione di certi venti quel che poi veramente gli succedette, impetrati dei re di
Spagna certi legni e navigando verso Occidente, scoperse, in capo di trentatrè dì,
nell’ultime estremità del nostro amisperio, alcune isole, delle quali prima niuna notizia
s’aveva… E penetrando Cristoforo Colombo più oltre, e dopo lui Amerigo Vespucci
fiorentino e successivamente molti altri, hanno scoperte altre isole e grandissimi paesi
di terra ferma; e in alcuni di essi, benchè in quasi tutti il contrario nell’edificare
publicamente e privatamente, e nel vestire e nel conversare, costumi e pulitezza civile,
ma tutte genti imbelli e facili a essere predate..
Per queste navigazioni si è manifestato essersi nella cognizione della terra ingannati in
molte cose gli antichi. Passarsi oltre alla linea equinoziale, abitarsi sotto la torrida zona;
come medesimamente, contro all’opinione loro, si è per navigazione di altri compreso,
abitarsi sotto le zone propinque a’ poli, sotto le quali affermavano non potersi abitare
per i freddi immoderati, rispetto al sito del cielo tanto remoto dal corso del sole. Èssi
manifestato quel che alcuni degli antichi credevano, altri riprendevano, che sotto i
nostri piedi sono altri abitatori, detti da loro gli antipodi. Né solo ha questa navigazione
confuso molte cose affermate dagli scrittori delle cose terrene, ma dato, oltre a ciò,
qualche anzietà agli interpreti della scrittura sacra, soliti a interpretare che quel
versicolo del salmo, che contiene che in tutta la terra uscì il suono loro e ne’ confini
del mondo le parole loro, significasse che la fede di Cristo fusse, per la bocca degli
apostoli, penetrata per tutto il mondo: interpretazione aliena dalla verità, perché non
apparendo notizia alcuna di queste terre, né trovandosi segno o reliquia alcuna della
nostra fede, è indegno di essere creduto o che la fede di Cristo vi sia stata innanzi a
questi tempi o che questa parte sì vasta del mondo sia mai più stata scoperta o trovata
da uomini del nostro emisperio. (Storia d’Italia VI 9)
DISPENSA (PP. 127-132)
Non solo Guicciardini mostra di essere colpito dalle scoperte geografiche, ma vi sono
passaggi anche nei testi che abbiamo già visto, come nell’Orlando furioso di Ariosto.
Le scoperte nell’Orlando furioso
Ma volgendosi gli anni, io veggio uscire
da l'estreme contrade di ponente
nuovi Argonauti e nuovi Tifi, e aprire
la strada ignota infin al dì presente:
altri volteggiar l'Africa, e seguire
tanto la costa de la negra gente,
che passino quel segno onde ritorno
fa il sole a noi, lasciando il Capricorno;
e ritrovar del lungo tratto il fine,
che questo fa parer dui mar diversi;
e scorrer tutti i liti e le vicine
isole d'Indi, d'Arabi e di Persi:
altri lasciar le destre e le mancine
rive che due per opra Erculea fêrsi;
e del sole imitando il camin tondo,
ritrovar nuove terre e nuovo mondo.
(Orlando furioso XV 21-22)
Un esempio di ciò che comporta questo cambiamento si trova in uno scritto di Galileo
Galilei, ovvero la “Favola dei suoni”.
DISPENSA (PP. 172-174)
La “favola dei suoni”
“Parmi d’aver per lunghe esperienze osservato, tale esser la condizione umana intorno
alle cose intellettuali, che quanto altri meno ne intende e ne sa, tanto più risolutamente
voglia discorrerne; e che, all’incontro la moltitudine delle cose conosciute ed intese
renda più lento ed irresoluto al sentenziare circa qualche novità.”
“Or qual fusse il suo stupore, giudichilo chi participa dell’ingegno e della curiosità che
aveva colui; il qual, vedendosi sopraggiunto da due nuovi modi di formar la voce ed il
canto tanto inopinati, cominciò a creder ch’altri ancora ve ne potessero essere in
natura.»
«tanto si scemò l’opinione ch’egli aveva circa il sapere come si generi il suono»
«quando, dico, ei credeva d’aver veduto il tutto, trovossi più che mai rinvolto
nell’ignoranza e nello stupore”
“si ridusse a tanta diffidenza del suo sapere, che domandato come si generavano i
suoni, generosamente rispondeva di sapere alcuni modi, ma che teneva per fermo
potervene essere cento altri incogniti ed inopinabili.”
Il personaggio, man mano che scopre di saper far suoni, si accorge di saper sempre di
meno, tanto poi da domandarsi se sapesse davvero tutto. A chi gli chiedeva come gli
uccelli facessero a emetter suoni, egli diceva che sapeva alcuni modi, ma che ce n’erano
almeno altri 1000 diversi per produrre questi suoni.
Il cannocchiale di Galileo e i suoi significati
“Perfezionatosi sotto l’impulso di uno spirito pratico aperto alle esperienze tecniche
degli artigiani, questo strumento trascende le scoperte, per altro sensazionali, che
ha consentito, assurgendo a simbolo di una nuova èra e di un nuovo metodo”
(Andrea Battistini, Il Barocco, Roma, Salerno, 2000, pp. 110-11)
«Nel raffigurare il nuovo ethos dello scienziato che non accettava più la comoda
lettura dei libri altrui, il cannocchiale rivelò in chi l’assunse “una coscienza moderna
di sperimentatore”, divenendo sinonimo figurato di “logica scientifica che insegna a
veder chiaro”» (Andrea Battistini, Il Barocco, p. 111, che cita
E. Raimondi, Letteratura barocca. Studi sul Seicento italiano, Firenze, Oschki 1982,
p. XVI)
«Il potenziamento della vista umana permesso dal cannocchiale faceva di questo
strumento il segno tangibile delle intraprendenti risorse dello spirito umano
ad ampliare indefinitamente i propri orizzonti. […]
Il suo potere metamorfico, nell’ingigantire cose piccole e, capovolto, nel rendere
microscopici gli oggetti grandi, favorì in poco tempo la sua adozione presso poetiche
che si richiamavano alle tecniche aristoteliche dell’amplificare e dello sminuire, in un
gioco di specchi concavi e convessi che si poteva applicare anche alla parola e suoi
processi di rifrazione retorica» (Andrea Battistini, Il Barocco, pp. 112-13).
LEZIONE 17 (16/04/2021)
Da recuperare, mannaggia a me.
LEZIONE 18 (19/04/2021)
UGO FOSCOLO (1778-1827)
Sia Foscolo, sia Manzoni, sia Leopardi nelle loro opere toccano il tema del destino
dell’Italia.
Tra neoclassicismo e preromanticismo
Foscolo è autore emblematico di una nuova sensibilità, nella quale convivono
l’idealizzazione della classicità (arte classica vista come realizzazione di una perfetta
armonia ed espressione di una civiltà razionale, libera dai condizionamenti della
religione cristiana e vicina agli ideali rivoluzionari) e le inquietudini che porteranno al
romanticismo, con l’esaltazione delle passioni e dell’individuo.
Foscolo rappresenta quasi un personaggio emblematico con le sue opere sia di questo
neoclassicismo sia del preromanticismo.
Poesia e Romanzo: il romanzo
“Al romanzo è delegata in prima istanza una funzione di mimesi storica: cioè di
restituzione integrale di un’epoca, con la sua identità psicologica, le convinzioni
politiche, la violenza dei conflitti […] il romanzo si risolve in una prospettiva
immanente, calibrata sulle passioni e sui giudizi che maturano nel divenire aperto e
incompiuto del presente” (Matteo Palumbo)
Foscolo inoltre è un grande ammiratore del culto dantesco, poiché inspira la ricerca
della libertà e quindi la letteratura rinascimentale ne fa un modello eroico che paga in
prima persona con l’esilio la propria coerenza politica.
Ultime lettere di Jacopo Ortis.
Fatto storico di partenza
17 ottobre 1797: Napoleone cede Venezia all’Austria con il trattato di Campoformio.
→ Delusione di Foscolo e in coloro che avevano visto in Napoleone un liberatore e
avevano sperato nell’instaurarsi di un regime democratico in Veneto dopo la fine del
regime oligarchico.
Genesi del romanzo
- 1796: primi accenni (Piano di studi) a un romanzo epistolare (Laura-Lettere)
- 1799, giugno: escono a Bologna le Ultime lettere di Jacopo Ortis, poi
trasformate, a causa del rifiuto della censura, in Vera storia di due amanti infelici
ossia Ultime lettere di Jacopo Ortis: quest’opera è frutto dell’aggregazione tra
la parte compiuta da Foscolo (fino al bacio d’addio sui Colli Euganei) e quella
composta da Angelo Sassoli, su incarico dell’editore bolognese Marsigli, e di
uno stravolgimento del testo.
La prima edizione
- 1802: prima stampa autorizzata: Milano, Genio Tipografico; comporta diversi
significativi cambiamenti, ad esempio per la rappresentazione di vari personaggi
e per la crescita della componente politica.
- “Tra l?ortis bolognese e quello milanese Foscolo ha visuto eventi decisivi per la
storia italiana: la caduta delle repubbliche giacobine, la guerra franco------------
----
L’esilio
Marzo 1815: dopo la caduta di Napoleone e il ritorno a Milano degli Austriaci, Foscolo,
inzialmente tentato di assumere la direzione di un periodico letterario, decide di fuggire
dall’Italia; ripara in Svizzera, poi in Inghilterra.
“io professo letteratura, che è arte liberalissima e indipendente, e quando è venale non
val più niente” (lettera ai familiari, 31 marzo 1815)
Le edizioni in esilio
- 1816: edizione zurighese (si finge che sia ristampa di un’edizione ----------------
--------------
Il protagonista
Nome e cognome:
- Jacopo: fose da Jean-Jaques Rousseau
- Ortis--------------------
Sovrapposizione tra autore e personaggio
- Foscolo si indentifica nel proprio personaggio
- Le varie edizioni presentano un ritratto di Jacopo che in realtà è quello
dell’autore: esso muta nel tempo
- Nell’opera Foscolo riutilizza materiali del proprio epistolario personale, in
particolare con Antonietta Fagnani Arese.
Personaggio di chiara ispirazione alfieriana
“In Alfieri, Foscolo riconosceva l’energia solitaria, l’impeto sdegnoso contro la
bassezza servile, l’entusiasmo per una società nuova, la capacità di tradurre in
componente biologica le opere della letteratura”
Vittorio Alfieri (1749-1803): autore di tragedie basate sul conflitto tra eroe e tiranno,
offre una rappresentazione di sé come individuo costitutivamente e orgogliosamente
solitario, inflessibile di fronte alle lusinghe del potere.
Distanza tra autore e personaggio
“Quello politico è uno dei tratti del romanzo che manifesta maggiormente la distanza
tra utore e personaggio: Foscolo presta a Jacopo, infatti, la propria storia di esule, il
proprio status sociale e la propria-----------------
Modello e genere letterario
- Forma e vicenda sono molto simili a quelle dei Dolori del giovane Werther di
Goethe; si aggiunge però il connubio tra amore e politica
- “la preferenza è accordata a una forma che appare come la più svincolata dal
codice-------------------
Parallelo politica-amore
“Non ---------------------
L’Ortis tra romanzo e tragedia
- Lettera di Foscolo a Goethe (16 gennaio 1802): “Riceverete dal signor Grassi il
primo volumetto di una mia operetta a cui forse diè origine il Vostro Werther---
----------
Vicinanza al romanticismo
“Il carattere di Jacopo Ortis […] introduce nella nostra tradizione tutta una serie di
motivi legati, talvolta intimamente, alla nascente cultura del romanticismo europeo,
anzi, non è azzardato affermare che tali motivi vengono spesso condotti a un’oltranza
da cui il futuro romanticismo italiano rimarrà quasi sempre lontano”
Caratteri romantici
- Jacopo rivendica “il primato della passione – e di ogni più ingenuo e immediato
impulso di natura – sulla misura, l’autocontrollo e l’”infeconda apatia” degli
uomini che si credono “saggi””
- Egli vive un “insanabile dissidio che lo oppone a ogni forma di società”
- “esaltazione della pura fantasia a scapito di una comprensione meramente
intellettuale della realtà naturale”
Il carme Dei sepolcri
- Capolavoro neoclassico di Foscolo insieme alle Grazie (incompiute): entrambe
le opere, in endecasillabi sciolti, incarnano l’idea di poesia che Foscolo sviluppa
a partire dal 1803: “la poesia non è ornamento, finzione elegante e ingegnosa,
ma è un atto speculativo, un procedimento essenziale per raffigurare verità
assolute e necessarie”
- I Sepolcri vengono pubblicati a Brescia nel 1807: edizione di grande eleganza,
neoclassica fin dalla veste.
La genesi del carme
- L’opera nasce dalle discussioni sull’editto di Saint-Cloud, che regolava le
sepolture, ponendole al di fuori delle città; Foscolo accentua la propensione
postrivoluzionaria a livellare le differenze tra i sepolcri.
- Foscolo ne aveva discusso con Isabella Teotochi Albrizzi e con Ippolito
Pidemonte, che intendeva scrivere un poemetto in ottave dal titolo i Cimiteri e
avrebbe pubblicato poi dei propri Sepolcri (che usciranno insieme alla ristampa
del carme di Foscolo).
Rapporti letterari
- Foscolo accompagna il testo con note che mettono in rilievo esclusivamente la
memoria classica, che di fatto permea il carme
- L’opera si inserisce nella moda della letteratura sepolcrale europea, che aveva
conosciuto successo in Italia grazie a traduzioni e rifacimenti
Le reazioni
Il testo suscita-------------------
La risposta di Foscolo
- Foscolo stesso-----------
La componente politica
“L’autore considera--------------
Ideologia del carme
- Il carme può essere visto come il manifesto di una religione laica, che vede nei
sepolcri il fondamento della civiltà umana
- Alla base vi è un’idea materialista e una visione meccanicista della natura
- L’uomo può opporre al meccanismo implacabile della natura illusioni come
quella della memoria, che produce un legame affettivo in grado di andare oltre
la morte
- La memoria si esprime nel culto riservato alle grandi personalità che con le loro
imprese hanno fondato i valori in cui una comunità si può riconoscere
- La poesia, depositaria della memoria, risarcisce gli uomini dalle ingiustizie e
dalle sofferenze che hanno patito (il carme si chiude sulla figura di Omero
profetizzata da Cassandra)
DISPENSA DEI SEPOLCRI (PP. 189-191)
Dei sepolcri, vv. 151-167
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Dei sepolcri, vv. 168-185
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LEZIONE 19 (22/04/2021)
Oggi parleremo di Alessandro Manzoni, accenando ad alcune sue opere e alla sua
importanza storica.
ALESSANDRO MANZONI (1785-1873)
Manzoni si colloca molto bene dopo gli argomenti di cui abbiamo trattato le due
precedenti volte, come l’illuminismo toscano, Parini e Foscolo.
Storia dell’opera manzoniana
Prima fase: all’insegna dell’illuminismo e del neoclassicismo
Neoclassicismo: corrente artistica che si afferma nella seconda metà del Settecento,
basata sulla tensione (venata di nostalgia) verso l’antichità classica, vista come
portatrice di valori di razionalità, armonia, nobiltà, libertà.
La poesia tenta di imitare le forme dell’antichità greca e latina, con un lessico aulico e
una sintassi classicheggiante, sublimando la realtà in immagini di levigato nitore.
Odi di Parini, poesia di Foscolo, opera di Vincenzo Monti.
Gli Italiani sono chiamati al riscatto nei confronti degli stranieri, che però non sono
visti con odio.
DISPENSA (PP. 192-95)
Coro dell’atto III dell’Adelchi: intende colpire l’illusione che l’indipendenza dell’Italia
possa venire dall’aiuto di potenze straniere
Adelchi
- La vicenda si colloca nel 772-774 e ha per tema a guerra tra Franchi e
Longobardi: Carlo Magno, che ha ripudiato la figlia del re dei Longobardi
Desiderio, scende in Italia chiamato da papa Adriano I
- Il protagonista è un personaggio che vive un “conflitto tipicamente romantico
tra ideale e reale, tra etica e storia, tra le nobili aspirazioni dell0animo e le
meschine vicende della vita”
- Tema centrale nelle parole di Adelchi (“non resta / che far torto o patirlo”) è
l’idea che di fronte alla violenza che governa la storia il destino di chi è sconfitto
vada visto come una fortuna (una “provida scentura”)
Vediamo ora la parte di testo presa dell’Adelchi nella dispensa.
Il coro dell’atto III: aspetto metrico
Il coro è composto da strofe di sei dodecasillabi. Ciascun verso è costituito in realtà da
due senari, con un accento forte che cade sempre sulla seconda e la quinta posizione di
ciascun senario → ritmo battente e insistente.
Le strofe sono a loro volta divise in due, con coppie di rime baciate e terzo verso tronco:
AAB CCB
Il coro dell’atto III
- Strofe 1-5 (vv. 1-30): rappresentazione in crescendo della sconfitta dei
Longobardi attraverso la prospettiva dei Latini, che sognano la fine del “duro
servir”
- Strofe 6-10 (vv. 31-60): il poeta, che si rivolge ai latini direttamente, mette in
risalto il lungo cammino e i tanti pericoli affrontati dai vincitori Franchi, che non
sono certo arrivati in Italia per liberare il popolo oppresso
- Strofa 11 (vv. 61-66): “morale della storia: vincitori e vinti si fondono
destinando i Latini ancora a un destino di oppressione.
LEZIONE 20 (23/04/2021)
Parliamo oggi di Giacomo Leopardi.
GIACOMO LEOPARDI (1798-1837)
Le grandi opere di Leopardi
- Canti: raccolta di testi poetici, che matura nel tempo attraverso le raccolte
intermedie (prima edizione: 1831; seconda: 1835; terza, postuma: 1845)
- Operette morali: raccolta di testi in prosa (in genere di misura breve), che
contengono dialoghi immaginari o riflessioni, dando forma al pensiero
esistenziale leopardiano (due edizioni: 1827; 1834)
- Zibaldone: imponente raccolta privata di riflessioni di Leopardi (1817-1832),
senza un ordine precostruito (ma dotate di un indice analitico), per un totale di
4526 pagine manoscritte, pubblicate solo alla fine dell’Ottocento
La prima giovinezza di Leopardi
Nato a Recanati, nelle Marche, in una famiglia aristocratica e conservatrice, Leopardi
sviluppa fin da bambino una straordinaria cultura grazie alla biblioteca del padre, il
conte Monaldo.
Dopo i primi studi, nel 1816 Leopardi vive quella che chiama una “conversione
letteraria”, che lo porta a comporre le sue prime canzoni, di ispirazione civile e
patriottica (All’Italia e Sopra il monumento di Dante…), e ad allontanarsi
dall’ideologia paterna.
L’inizio della canzone All’Italia
O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e l'erme
Torri degli avi nostri,
Ma la gloria non vedo,
Non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi
I nostri padri antichi. Or fatta inerme,
Nuda la fronte e nudo il petto mostri.
Oimè quante ferite,
Che lividor, che sangue! oh qual ti veggio,
Formosissima donna! Io chiedo al cielo
E al mondo: dite dite;
Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
Che di catene ha carche ambe le braccia;
Sì che sparte le chiome e senza velo
Siede in terra negletta e sconsolata,
Nascondendo la faccia
Tra le ginocchia, e piange.
Piangi, che ben hai donde, Italia mia,
Le genti a vincer nata
E nella fausta sorte e nella ria.
Qui Leopardi riprende il tema, sviluppatosi lungo la storia della letteratura italiana,
della personificazione dell’Italia.
Fasi del pensiero leopardiano
Il pensiero di Leopardi è dotato di grande spessore filosofico, ma ha un carattere non
sistematico e segue un procedere problematico. Pur con qualche semplificazione e con
definizioni che oggi destano perplessità per il loro schematismo, si distinguono in
Leopardi diverse fasi.
Il cosiddetto “pessimismo storico”
Nella prima fase del pensiero leopardiano è centrale l’idea che la causa storica
dell’infelicità umana risieda nella ragione, nemica del genere umano in quanto nega e
demistifica quelle illusioni, come l’immaginazione, l’eroismo, l’amor patri, la virtù,
che sono l’unica fonte possibile di felicità per l’uomo. I classici sono ritenuti più vicini
alla natura.
Teoria del piacere
Negli esseri umani ha luogo una frattura irreparabile tra un desiderio di infinito e i
piaceri materiali, necessariamente limitati, che è possibile conseguire in questo mondo
Questa teoria si vede bene nello Zibaldone, in particolare:
Dallo Zibaldone (p. 165ss.) [1820]
Il sentimento della nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti i piaceri a
riempierci l’animo, e la tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo,
forse proviene da una cagione semplicissima, e più materiale che spirituale. L’anima
umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera sempre essenzialmente, e mira
unicamente, benchè sotto mille aspetti, al piacere, ossia alla felicità, che
considerandola bene, è tutt’uno col piacere. Questo desiderio e questa tendenza non
ha limiti, perch’è ingenita o congenita coll’esistenza, e perciò non può aver fine
in questo o quel piacere che non può essere infinito, ma solamente termina colla vita.
E non ha limiti 1. nè per durata, 2. nè per estensione. Quindi non ci può essere nessun
piacere che uguagli 1. nè la sua durata, perchè nessun piacere è eterno, 2. nè la
sua estensione, perchè nessun piacere è immenso, ma la natura delle cose porta che
tutto esista limitatamente e tutto abbia confini, e sia circoscritto.
Veniamo alla inclinazione dell’uomo all’infinito. Indipendentemente dal
desiderio del piacere, esiste nell’uomo una facoltà immaginativa, la quale può
concepire le cose che non sono, e in un modo in cui le cose reali non sono.
Considerando la tendenza innata dell’uomo al piacere, è naturale che la facoltà
immaginativa faccia una delle sue principali occupazioni della immaginazione del
piacere. E stante la detta proprietà di questa forza immaginativa, ella può figurarsi dei
piaceri che non esistano, e figurarseli infiniti 1. in numero, 2. in durata, 3. e in
estensione. Il piacere infinito che non si può trovare nella realtà, si trova così nella
immaginazione, dalla quale derivano la speranza, le illusioni ec. […] Quindi
bisogna considerare la gran misericordia e il gran magistero della natura, che da
una parte non potendo spogliar l’uomo e nessun essere vivente, dell’amor del
piacere che è una conseguenza immediata e quasi tutt’uno coll’amor proprio e della
propria conservazione necessario alla sussistenza delle cose, dall’altra parte non
potendo fornirli di piaceri reali infiniti, ha voluto supplire 1. colle illusioni, e di
queste è stata loro liberalissima, e bisogna considerarle come cose arbitrarie in natura,
la quale poteva ben farcene senza, 2. coll’immensa varietà […].
Quindi deducete le solite conseguenze della superiorità degli antichi sopra i moderni
in ordine alla felicità. 1. L’immaginazione come ho detto è il primo fonte della
felicità umana. Quanto più questa regnerà nell’uomo, tanto più l’uomo sarà felice. Lo
vediamo nei fanciulli. Ma questa non può regnare senza l’ignoranza, almeno una
certa ignoranza come quella degli antichi. La cognizione del vero cioè dei limiti e
definizioni delle cose, circoscrive l’immaginazione.
L’infinito (1819)
Questa poesia è quella che meglio di tutti riesce a rendere il senso dell’immaginazione
che riesce a condurre l’uomo oltre i limiti della propria ragione, oltre la siepe, per
raggiungere un infinito mentale. Ciò procura sì uno smarrimento, ma anche una
dolcezza insita nella mente dell’uomo.
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.
La “conversione filosofica”
La seconda fase del pensiero leopardiano è avviata dalla cosiddetta “conversione
filosofica” (1818): Leopardi dice di aver rivissuto in se stesso il percorso che intravede
nella storia dell’umanità, dalle primitive illusioni e dalla fantasia alla ragione e alla
poesia “sentimentale” → passaggio a una poesia di impronta meditativa.
Il “pessimismo cosmico”
Dopo crisi e svolta vissute nel 1823:
- Si impone ora una visione materialista dell’esistenza
- Radicale opposizione allo spiritualismo ottocentesco, all’antropocentrismo, alla
fiducia nel progresso.
La Natura e la ragione
Natura: inizialmente ha un ruolo positivo, perché instilla negli esseri umani le illusioni;
teoria del piacere → Natura è responsabile di aver creato nell’uomo un bisogno che
non può essere soddisfatto.
Alla fine la Natura è vista come cieca forza, totalmente indifferente al destino
dell’uomo e alla sua felicità.
La ragione invece è vista come ciò che libera l’uomo dalle false credenze, dalle
illusioni e gli permette di contemplare in faccia la sua condizione di infelicità.
«E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce» (Vangelo di Giovanni 3,19, cit.
in epigrafe alla Ginestra
I Canti: il titolo
“Il titolo, inedito nella tradizione italiana, evoca l’identità tra poesia e musica,
teorizzata da Leopardi nelle sue riflessioni sulla lirica: genere poetico “eterno ed
universale”, proprio di chiunque “cerca di ricrearsi o di consolarsi col canto”. Ora egli
concepisce la poesia come un’”espressione libera e schietta” di qualsiasi “affetto vivo
e ben sentito dall’uomo””.
I Canti: il libro
Pur essendo un libro attentamente organizzato da Leopardi, i Canti non sono improntati
a un disegno narrativo.
Andrea Campana; “non una macchina esatta ma un organismo vivo, pulsante e
cangiante, un sistema mobile e complesso, i cui componenti possono funzionare in
relazione a quanto precede o segue, ma anche vivere di vita propria; tessono il filo di
un pensiero che si fa poetante, e portante, ma anche registrano i moti del cuore”
Canzoni e idilli
- canzoni (1818-1823: nel 1824 Leopardi pubblica dieci canzoni):
«tentano la via della poesia difficile e ardita [...] Il loro linguaggio è caratterizzato
da parole e modi di dire aulici e lontani dall’uso comune [...], inversioni sintattiche
e latinismi, che introducono una patina nobilitante di arcaismo». (R. Bonavita)
Esempi: Bruto minore (1821) e Ultimo canto di Saffo (1822); Leopardi dà voce ai
propri sentimenti attraverso dei personaggi antichi, che «pronunciano dei monologhi
simili ai finali delle tragedie alfieriane, con l’eroe che esprime il suo dolore e inveisce
contro il destino prima di porre coraggiosamente fine alla sua vita» (R. Bonavita); testi
che mostrano il cambiamento intercorso in Leopardi rispetto all’idea della felicità degli
antichi in comunione con la natura.
- idilli (1819-1821: stampati nella raccolta di Versi del 1826):
costituiscono «l’esito più innovativo della poesia giovanile di Leopardi»
(R. Bonavita): sono componimenti in endecasillabi sciolti «che seguono lo
svolgersi di sensazioni, ricordi, sentimenti all’interno dell’io, riducendo al
minimo i riferimenti storici e culturali». Si tratta di «una forma poetica molto
sfumata, non vincolante, capace di dar voce a sensazioni indefinite», grazie a cui
«il poeta può rivolgere lo sguardo alle forme della natura esterna e nello stesso
tempo seguire i percorsi mentali e sentimentali che si svolgono nel suo io»
(G. Ferroni).
«In tutti i componimenti la dimensione del presente viene messa in rapporto con quella
del passato» (M.A. Bazzocchi)
«Gli idilli puntano sul massimo di semplicità e su un abbassamento di
tono: sintassi più lineare, ambientazioni tratte dal quotidiano, un lessico
meno elevato» (R. Bonavita).
Esempi: L’infinito; La sera del dì di festa; Alla luna.
I canti pisano-recanatesi
Dopo quasi sei anni di silenzio, interrotto solo da due testi (Alla sua donna, 1823 e Al
conte Carlo Pepoli, 1826), nascono i canti cosiddetti pisano-recanatesi (1828-
1830): Il risorgimento, A Silvia, Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato
del villaggio, il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.
Questi testi danno voce alla visione esistenziale leopardiana, attraverso temi come
• Il rimpianto per la fine della giovinezza > caduta delle illusioni
• la poetica del vago, dell’indeterminato, della rimembranza («doppia vista»)
Da Le ricordanze (vv. 50-60)
Viene il vento recando il suon dell'ora
Della torre del borgo. Era conforto
Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
Quando fanciullo, nella buia stanza,
Per assidui terrori io vigilava,
Sospirando il mattin. Qui non è cosa
Ch'io vegga o senta, onde un'immagin dentro
Non torni, e un dolce sovvenir non sorga.
Dolce per se; ma con dolor sottentra
Il pensier del presente, un van desio
Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui.
I Canti: la novità formale
«In queste poesie, segnate dalla sua svolta filosofica, Leopardi crea una nuova musica
verbale, sperimentando la canzone libera, un metro composto da endecasillabi
e settenari che si alternano liberamente, collegati da rime sciolte da ogni schema
predeterminato. È una misura che lascia fluire più liberamente i rimandi musicali e
di significato tra le parole, e produce un effetto di melodiosa spontaneità e
naturalezza, proprio come un canto che viene improvvisamente alle labbra in un
momento di intensa commozione; ma suona anche come una forma modernissima
per modulare l’armonia antica, opposta ai ritmi martellanti e alle rime obbligate dei
romantici italiani» (R. Bonavita)
Canto notturno di un pastore errante dell’Asia
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia alla tua vita
La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore;
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
Altro mai non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?
A se stesso
Or poserai per sempre,
Stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
Ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moti tuoi, nè di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T'acqueta omai. Dispera
L'ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Omai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera,
E l'infinita vanità del tutto.
La ginestra (1836)
• Posta in conclusione del libro dei Canti vero e proprio, nell’ed. postuma
(seguono testi che costituiscono una sorta di appendice), rappresenta il
testamento di Leopardi, la summa del suo pensiero.
• Si tratta di un lungo poemetto suddiviso in unità di misura diversa (lasse).
La ginestra: I lassa (vv. 1-51)
• Omaggio alla ginestra e rappresentazione del paesaggio desertico del
Vesuvio, testimone della precarietà dei destini umani.
• Invito a chi crede nelle magnifiche sorti e progressive a recarsi a contemplare
questo paesaggio.
vv. 1-7
Qui su l'arida schiena
Del formidabil monte
Sterminator Vesevo,
La qual null'altro allegra arbor nè fiore,
Tuoi cespi solitari intorno spargi,
Odorata ginestra,
Contenta dei deserti.
vv. 17-32a
Questi campi cosparsi
Di ceneri infeconde, e ricoperti
Dell'impietrata lava,
Che sotto i passi al peregrin risona;
Dove s'annida e si contorce al sole
La serpe, e dove al noto
Cavernoso covil torna il coniglio;
Fur liete ville e colti,
E biondeggiàr di spiche, e risonaro
Di muggito d'armenti;
Fur giardini e palagi,
Agli ozi de' potenti
Gradito ospizio; e fur città famose
Che coi torrenti suoi l'altero monte
Dall'ignea bocca fulminando oppresse
Con gli abitanti insieme.
vv. 32b-41a
Or tutto intorno
Una ruina involve,
Dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
I danni altrui commiserando, al cielo
Di dolcissimo odor mandi un profumo,
Che il deserto consola. A queste piagge
Venga colui che d'esaltar con lode
Il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
È il gener nostro in cura
All'amante natura.
LEZIONE 21 (03/05/2021)
NICCOLO’ MACHIAVELLI
Machiavelli come scrittore nasce con una lettera, ovvero la lettera del 10 dicembre
1513, la più famosa lettera nella letteratura italiana.
1469-1527
- 1469: Lorenzo de’ Medici succede al padre Piero come signore di fatto di
Firenze
- 1527: ha luogo il sacco di Roma, a opera dei lanzichenecchi. Muore Machiavelli
in quello stesso anno.
1492
- Muore Lorenzo il Magnifico: gli succede il figlio Piero
- Finisce quella che viene dipinta come un’età dell’oro sia da Macchiavelli alla
fine delle Istorie fiorentine sia da Francesco Gucciardini nella Storia d’Italia.
1494
- Ludovico il Moro provoca la discesa in Italia di Carlo VIII di Francia, che
rivendica i propri diritti ereditari sul regno di Napoli
- Si apre il periodo delle cosiddette guerre d’Italia, un lungo periodo in cui l’Italia
diventa teatro dello scontro tra potenze straniere, in particolare Francia e Spagna.
1494-1498: Savonarola
- 1494: L’atteggiamento di Piero de’ Medici ne confronti di Carlo VIII provoca la
cacciata dei Medici da Firenze. Firenze perde il dominio di Pisa.
- Si instaura un sistema di governo popolare (istituzione di un Maggior Consiglio)
- La politica di Firenze è dominata dalla figura del domenicano Girolamo
Savonarola
- 1498: Savonarola è condannato al rogo e si instaura un nuovo regime
repubblicano, di impronta moderata.
E’ nel 1498, in una maniera un po’ misteriosa, che Machiavelli entra nella vita politica
della città
La “lunga esperienza delle cose moderne”
- 1498: Niccolò Machiavelli viene nominato segretario della seconda cancelleria
della Repubblica di Firenze, poi anche dei cosiddetti Dieci di Balìa (o della Pace
e della Guerra); si occupa di politica interna al territorio di Firenze, rapporti con
gli ambasciatori, organizzazione militare
- Machiavelli entra a diretto contatto con la realtà politica del suo tempo e compie
numerose missioni diplomatiche, in particolare in Francia, a più riprese (a partire
dal 1500), presso il Valentino (Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro VI
[1502, due missioni]), a Roma (per il conclave che elegge Giulio II [1503] e poi
a seguito del papa a Perugia e Bologna [1506]), in Tirolo e nel veneto presso
l’imperatore Massimiliano (1508).
Questi sono momenti nei quali Machiavelli forma la propria visione riguardo ai temi
che tratterà poi nei suoi scritti.
1502-1512: Pier Soderini
- 1502: viene eletto gonfaloniere a vita Pier Soderini (modello; sistema della
Repubblica di Venezia, doge)
- 1512: il successo della Lega Santa voluta da Giulio II contro la Francia, a cui
Firenze è legata, provoca la fine di Soderini
- I Medici rientrano a Firenze
In questi anni si consuma anche la parabola di Machiavelli nei livelli più alti dello stato
fiorentino.
La “lunga esperienza delle cose moderne” 2
- Dai suoi incarichi nascono scritti ufficiali (Legazioni [fuori dal territorio di
firenze] e commissarìe [dentro al territorio di firenze]) e altri testi e quindi le
sue prime importanti riflessioni
- Dalla diretta osservazione di altre realtà statali prende forma l’idea
dell’importanza di un esercito reclutato tra i propri cittadini (1507: Machiavelli
viene nominato cancelliere dei Nove Ufficiali della Milizia fiorentina; 1509:
riconquista Pisa)
- 1512: Machiavelli viene destituito del proprio ruolo e condannato al confino
entro il dominio di Firenze
- 1513: viene accusato di aver partecipato a una congiura, viene incarcerato e
torturato, poi liberato grazie all’amnistia per l’elezione di Giovanni de’ Medici
a papa, col nome di Leone X (11 marzo)
- Machiavelli si ritira nel podere dell’Albergaccio, a Sant’Andrea di Percussina
Passiamo ora alla lettera rivolta a Vettori, di cui abbiamo parlato prima. L’epistolario
privato di Machiavelli non è concepito per lasciare un’immagine di se ai posteri, come
erano soliti fare molti personaggi dell’epoca.
Con Vettori Machiavelli lavora quando è ad ambasciata dall’Imperatore, nel 1508, per
ordine della signoria di Firenze. Tra i due nasce un’amicizia e il carteggio tra i due
mescola elementi propri di una amicizia maschile a riflessioni storico politiche degli
eventi del tempo, e al desiderio di ritornare sulla scena politica.
Inizio del carteggio con Vettori
Magnifico viro
Francisco Victorio oratori florentino dignissimo apud Sommum Pontificem.
Romae.
Magnifice vir. Come da Pagolo vostro harete inteso, io sono uscito di prigione con
la letitia universale di questa città, non obstante che per l'opera di Pagolo et vostra
io sperassi il medesimo; di che vi ringrazio. Né vi replicherò la lunga historia di
questa mia disgrazia; ma vi dirò solo che la sorte ha fatto ogni cosa per farmi
questa ingiuria: pure, grazia di Iddio, ella è passata. Spero non incorrere più, sì
perché sarò più cauto, sì perché i tempi saranno più liberali, et non tanto sospettosi.
[…]
Tenetemi, se è possibile, ne la memoria di Nostro Signore, che, se possibil fosse, mi
cominciasse a adoperare, o lui o i suoi, a qualche cosa, perché
io crederrei fare honore a voi et utile a me. Die 13 Marzii 1512 [1513].
Vostro
Niccolò Machiavelli, in Firenze.
LEZIONE 22 (06/05/2021)
LEZIONE 23 (07/05/2021)
Questioni poste dalla lettera
- Quanto era stato composto del Principe all’altezza del 10 dicembre 1513?
- Argomenti indicati (“che cosa è principato, di quale spetie sono, come è si
acquisistono, è si mantengono, perché è si perdono”): identificabili solo con una
parte del trattato (cap. I-XI) ?
- “ho […] composto uno opuscolo De principatibus” vs “anchor che tuttavolta io
l’ingrasso et ripulisco”
Lettera di Vettori del gennaio 1514
- “ho visto e capitoli dell’opera vostra, e mi piacciono altre a modo; ma se non
ho il tutto non voglio fare judicio resoluto”.
- Cosa intende Vettori?
1. Ha visto solo ciò che M. ha scritto fino a quel momento.
La dedica
NICOLAUS MACLAVELLUS MAGNIFICO LAURENTIO MEDICI
IUNIORI SALUTEM.
Sogliono el più delle volte coloro che desiderano acquistare grazia appresso uno
principe farsegli incontro con quelle cose che in fra le loro abbino più care o delle
quali vegghino lui più dilettarsi; donde si vede molte volte essere loro presentati
cavagli, arme, drappi d'oro, prete preziose e simili ornamenti degni della grandezza
di quelli. Desiderando io adunque offerirmi alla vostra Magnificenzia con qualche
testimone della servitù mia verso di quella, non ho trovato, in tra la mia supellettile,
cosa quale io abbia più cara o tanto esistimi quanto la cognizione delle
azioni delli uomini grandi, imparata da me con una lunga esperienza delle cose
moderne e una continua lezione delle antiche; le quali avendo io con
gran diligenzia lungamente escogitate ed esaminate, e ora in uno piccolo volume
ridotte, mando alla Magnificenzia vostra.
LEZIONE 24 (10/05/2021)
Capitoli I- XI descrivono i vari tipi di principati, divisi in:
- Capitolo II principati ereditari
- II -IV principati misti
- VI- IX principati nuovi (suddivisi in base alle modalità di acquisizione)
- X valutazione delle forze militari
- XI principati ecclesiastici
- XII – XIV discussione sul problema delle milizie
- XV – XXIII le qualità e i comportamenti del principe: XV sorta di secondo
prologo, la verità effettuale; XVI libertà e parsimonia; XVII crudeltà e pietà;
XVIII lealtà e slealtà; XIX come rifuggir il disprezzo e l’odio; XX- XXIII varie
questioni pratiche
- XXIV le ragioni della situazione italiana
- XXV ruolo della fortuna
- XXVI esortazione al principe dedicatario
Il nucleo più interessante è quello dai capitoli VI -IX, che si soffermano sulle varie
modalità di acquisizione del principato, culminando con il capitolo 9, dedicato al
principato civile. È il caso in cui un privato cittadino diventi principe di uno stato, con
il consenso altrui, in questo capitolo M. si sofferma su un aspetto molto importante,
quello del consenso e dei gruppi sociali che lo garantiscono. Dobbiamo distinguere
principato da tirannide, per M. il principato non coincide con la tirannide.
Il capitolo II, dopo l’esposizione della varie tipologie di principati esistenti, si sofferma
sui principati ereditari con questa premesse: “tralascerò di parlare delle repubbliche
perché ne ho parlato in un’altra occasione a lungo”. L ‘opera su cui ha ragionato su di
esse potrebbero essere i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio: è probabile che M.
avvii la composizione del Principe dopo che aveva già steso parte dei Discorsi, forse i
primi 18 capitoli.
Non si devono contrappore Principe e Discorsi come se una fosse dedicata ad un
sistema di origine monarchico, il principato, e l’altro ad un sistema di origine
democratica, cioè la repubblica. Già nei primi 18 capitoli dei discorsi vediamo come
per M., non ci sia un antitesi tra le due forme di governo, quanto una idea che entrambe
siano condizionate dalla necessità storica del momento. Nel capitolo 9 dei Discorsi, si
parla della necessità che ci sia un uomo solo a fondare o a riformare una repubblica.
Alla fine di questi 18 capitoli M. vede nel principato l’inevitabile evoluzione di una
repubblica corrotta. Negli stessi capitoli iniziali (in particolare nel II) dei discorsi si
sofferma su una teoria di Polibio, al teoria della anaciclosi (della vita ciclica delle forme
di governo), esistono 3 forme di governo a seconda della quantità di persone che
detengono il potere: la monarchia, con solo 1 persona, la democrazia, nel caso sia il
popolo con il potere, l’aristocrazia, se i nobili hanno il potere. Nello stesso Polibio M.
trova l’idea della degenerazione inevitabile di queste forme di governo, la monarchia
evolve in tirannide, dalla tirannide per ribellione degli aristocratici si forma
l’aristocrazia come governo, diventa poi oligarchia, e il popolo nei confronti di questo
governo chiuso prende il potere e diventa democrazia, a questo punto la democrazia
evolve in una forma deviata, l’oclocrazia,
M. pensa ci sia una ciclicità nella storia, e secondo lui i Romani sono riusciti a
equilibrare le 3 forme di governo evitando questo ciclo di governi e di degenerazioni
di essi, questo grazie a delle istituzioni che davano voce a gruppi sociali diversi:
- consolato: evoluzione della monarchia
- senato: aristocrazia
- tribunato della plebe: esprime le istanze del popolo
Il capitolo III è dominato dalla figura di Luigi XII, re di Francia e il suo caso presenta
molteplici motivi di interesse:
- si tratta di vicende che machiavelli aveva seguito da vicino (in 4 legazioni, dal
1500 al 1511, che gli avevano permesso di comprendere la struttura dello stato
francese)
- la Francia era il maggior alleato di Firenze e il perseverare nell’alleanza aveva
comportato la caduta del regime di Soderini (Luigi XII perde poi contro la Lega
Santa creata da Giulio II facendo cadere Soderini anche)
- il capitolo è un esempio di analisi politica di una vicenda recente, che si avvale
anche del confronto con la storia romana (infatti M. pensa che Roma sia un
esempio da imitare, che non può essere riprodotto perfettamente in quel tempo,
ma è un esempio che consente di capire quali siano gli accorgimenti a tenere per
evitare la sconfitta e la rovina)
Nel primo paragrafo c’è l’enunciazione di alcuni principi generali che guardano però a
ciò che succede concretamente nel momento in cui un principe entra in possesso di un
nuovo territorio. Machiavelli fa un ragionamento quasi a ritroso : presupposto primo
per poter conquistare un territorio nuovo è quello dell’avere aiuto da qualcuno,( c’è
bisogno dei provinciali per entrare in una provincia), questo porta con sé che da un lato
si rechi offesa a qualcuno e dall’altro è necessario fare delle promesse che poi non si
possono mantenere totalmente (da un alto si suscita risentimento da coloro offesi,
dall’altro sin suscitano aspettative che poi rimangono deluse e ciò porta cons e la
possibilità di ribellioni); spesso chi ha favorito una mutazione si pente.
Dopo di ciò si inizi a concentrare sulle ragioni per cui Luigi XII ha perso il ducato di
Milano per la seconda volta (pag.49). ha fatto una serie di errori, le cause che hanno
fatto perdere la prima volta Milano le ha già affrontate. Machiavelli ha una visione
estremamente drammatica della vita politica, anche complice la sua esperienza, dopo
decenni di immobilismo quando M. è in politica a Firenze vede una serie di
vicissitudini quasi frenetiche. In gran parte la politica consiste nel concepire dei rimedi,
cioè delle azioni che servono ad evitare di finire in situazioni negative (rimedio ricorda
l’ambito della medicina e ha a che fare con la visone organicistica degli stati come
corpi vivi, nei quali sono anche presenti ad esempio diversi umori). La sua opera in
gran parte consiste nel consigliare al destinatario dei rimedi.
C’è l’indicazione di due casi distinti, quindi la creazione di una di quelle coppie tipiche
dell’analisi di Machiavelli:
- dico pertanto, che questi stati… tutto uno corpo: è più facile mantenere un
territorio conquistato che sia della medesima provincia e della medesima lingua.
Come la Francia che si è espansa conquistando progressivamente territori con
usi lingua e costumi simili ai suoi, non avendo troppi problemi.
- Ma quando si acquista… infinite difficoltà e fastidii: i remedii da adottare nel
caso di conquista di un territorio “disforme”. I rimedii da adottare sono 5: →
→ 1) che il sovrano vada a risiedere nel territorio conquistato come hanno fatto i turchi
nel 1453; 2)creare colonie, in uno o in due luoghi che siano quasi legami di quello stato
(fungano da legami tra madre patria e il territorio conquistato); 3) farsi capo e difensore
dei vicini minori potenti e 4) ingegnarsi di indebolire i potenti di quella e 5) guardarsi
che, per accidente alcuno, non vi entri uno forestiere potente quanto lui (pag.52)
(cercare di portare dalla propria parte i signori che sono più deboli, evitare di accrescere
il potere di chi è già è forte anzi sforzare di indebolire costoro, e infine evitare che entri
in quell’area qualcuno, per qualunque motivo, che sia potente quanto lui). La politica
è un gioco di delicati equilibri, e bisogna stare molto attenti a gestire i rapporti tra
persone e entità che detengono un potere.
Nel paragrafo successivo si parla di un fenomeno naturale, dell’ordine delle cose, tutto
il discorso di Machiavelli è fatto di una catena causa-effetto, di conseguenze che
seguono una all’altra a causa di fenomeni che si ripetono costantemente.
A pag. 53. Esempio positivo sono i romani durane la conquista della Grecia, indicati
come esempio per la loro capacità di prevedere ciò che può accadere.
L’esempio negativo è quello della Francia (pag.54) a Luigi XII è imputato di aver
sbagliato in tutti i 5 punti che Machiavelli aveva indicato, non essere andato ad abitare
là e non aver messo colonie, non aveva saputo gestire in maniera accorta gli equilibri
tra i poteri dell’area. Quando conquista Milano si spartisce con Venezia dei territori
della Lombardia, accresce il potere del Papa in Italia, perché dà al Cesare Borgia un
ducato in Francia in quanto interessato allo scioglimento del suo matrimonio e fornisce
anche aiuto militare. Così i minori potenti sono spaventati dalla crescita del potere dei
Borgia e quindi ha accresciuto il potere di un già potente e non ha ottenuto il favore dei
meno forti. Farà un accordo con Ferdinando il Cattolico re di Spagna per spartirsi
Napoli, alla Spagna il Sud di Napoli e alla Francia il Nord, ben presto si scontrano e
Luigi perde tutto il Sud, non evita quindi di far entrare nell’area qualcuno potente
quanto lui. Infine c’è un sesto errore, il più determinante, dopo essersi spartiti la
Lombardia con Venezia, e Napoli con la spagna, entra nella Lega di Cambrai nel 1508
contro Venezia che porta con sé una sconfitta rovinosa per Venezia nel 1509. Mina il
potere della repubblica di Venezia ed è un grave errore, perché aver lì presente uno
stato alleato della mole di Venezia protegge dagli eventuali attacchi al ducato di
Milano, e la sua caduta implica che altri stati che lo vogliono conquistare ora hanno
più possibilità di farlo.
LEZIONE 25 (13/05/2021)
L’ultima volta abbiamo parlate del terzo capitolo che mostra bene la capacità di analisi
dell’autore della realtà, in associazione a uno studio attento dell’antichità classica,
ricavando da Roma l’idea di una lezione da tenere nell’espansione in nuovi territori.
Lettera ai Dieci (21 novembre 1500)
“[dissi che] questa Maestà si doveva ben guardare da coloro che cercavono la
distruzione degli amici suoi, non per altro che per fare più potenti loro e più facile a
trarli l’Italia dalle mani. A che questa Maestà doveva riparare e seguire l’ordine di
coloro che hanno per lo addietro volsuto possedere una provincia esterna: che
è diminuire e’ potenti, vezzeggiare li sudditi, mantenere li amici e guardarsi da’
compagni, cioè da coloro che vogliono in tale luogo avere equale autorità»
Riferisce in questa lettera alcuni concetti che poi inserirà nel Principe.
Cap. VI: alcuni concetti fondamentali
- Necessità di imitare gli esempi offerti da uomini “eccellentissimo”
- Si mantiene più facilmente il principato ottenuto grazie alla virtù di quello
ottenuto grazie alla fortuna
- Concetto di occasione: l’azione politica che ha successo nasce dall’incontro
(“riscontro”) tra l’occasione offerta dalla fortuna e la virtù che sa cogliere questa
occasione, in genere coincidente con una situazione negativa che rende
necessaria un’azione politica.
- Problema dell’introduzione di “ordini nuovi”, cioè nuovi istituti e metodi di
governo
- Necessità di fare affidamento su forze proprie per mantenere il potere
conquistato.
Cap. VII: la vicenda esemplare di Cesare Borgia
- Cesare Borgia (1475-1507): figlio di papa Alessandro VI (1492-1503);
inizialmente avviato alla carriera ecclesiastica, ne viene poi sciolto per dedicarsi
all’opera di creazione di un principato in Italia.
- Detto “il Valentino” perché insignito dal re di Francia del ducato di Valentinois
(1498), a causa dell’interesse del re per lo scioglimento del proprio matrimonio.
- Dalla fine del 1499 intraprende un’opera di conquista che parte dalla Romagna
e lo porta a conquistare Cesena, Faenza…Piombino, Urbino (1502), Perugia
(1503).
- Tra le sue azioni più sorprendenti c’è la strage di Senigallia (31 dicembre 1502,
18 gennaio 1503).
LEZIONE 26 (14/05/2021)
Nel capitolo XIII M. guarda alla vicenda dal Valentino focalizzandosi su un aspetto
centrale. ” Questo duca entrò in Romagna con un esercito che era di qualcun altro e gli
era stato prestato. Dopo esseri servito delle armi altrui, giudicandole non sicure si servì
delle truppe mercenarie (più garanzie in quanto le pagava lui stesso) e si servì degli
Orsini e dei Vitelli. Essendosi accorto che queste truppe non erano abbastanza sicure,
anzi erano dubbie di comportamento, le eliminò e costituì un proprio esercito”.
Vediamo in questo passaggio la scelta progressiva del Valentino di cambiare esercito,
e si capisce il perché quando si riflette sulla reputazione che ebbe il duca nei diversi
casi: la sua reputazione crebbe a mano a mano che si liberò di truppe non pienamente
fedeli. La sua reputazione arrivò al massimo quando tutti potevano vedere che egli
teneva completamente nelle sue mani il suo esercito.
L’esempio del Valentino consiste quindi in questo progresso, nel passaggio dal
dipendere da qualcun altro a farsi fautore della propria fortuna, tenendo in mano il
proprio esercito. Machiavelli deforma la realtà storica, la ritocca in modo che sia
funzionale al suo discorso, rendendola più semplice e di facile fruizione e
comprensione, ad esempio i commentatori di questo passo dicono che Cesare Borgia
aveva compiuto una azione molto inferiore per dotarsi di armi proprie e che comunque
continuò ad usare armi altrui.
Con questo brano del capitolo XII entriamo nella sezione che rappresenta il centro
dell’opera. I capitoli XII, XIII, XIV sono dedicati al tema dell’uso delle truppe
mercenarie e di quelle ausiliarie (queste sono peggiori perché ci si mette nelle mani di
qualcun altro). Questa centralità non è solo fisica (prima del XII sono 11 capitoli e
dopo il XIV sono 11 ad esclusione del XXVI che è una sorta di epilogo), ma è proprio
al centro dell’opera, ed è evidente che sia una cosa centrale il tema militare perché
solitamente nei trattati umanistici veniva messo in fondo all’opera, mentre nel Principe
è al centro.
Machiavelli individua una stretta connessione esistente tra ordinamento civile e
ordinamento militare, la milizia non è un aspetto accessorio della vita statale, ma è
strettamente collegata con la forza della compagine statale. M. coglie pienamente il
valore politico degli ordinamenti militari, che non si può sganciare da tutti gli altri
aspetti inerenti alla politica di uno stato. È un tratto rilevante, è un tratto che dà solidità
e spessore al suo discorso.
La sua concentrazione per le armi si capisce se si guarda al momento di piena crisi che
vive l’Italia mentre M. scrive. Esso ha ragione che la debolezza degli stati italiani
deriva anche dalla loro debolezza sul piano militare. La sua critica recupera anche
argomenti presenti nella canzone all’Italia di Petrarca, le truppe mercenarie a suo
avviso sono uno strumento troppo infido, perché esse combattono per il soldo, quindi
Machiavelli rigetta l’idea della vita militare come professione (anche per l’esercito di
leva) perché ritiene che i soldati migliori siano quelli che combattono per la loro patria
ma che hanno lavori e vita indipendente da dall’esercito, se no un esercito ben
organizzato diventa un altro corpo nella compagine statale (e può pericolosamente
mirare a prenderne possesso). Un esercito fatto di cittadini è spinto da sentimenti come
l’amore per la patria stessa e il legame tra soldati e comandate che sono fondamentali
per il successo delle compagini militari.
Collegandosi a Italia mia, Machiavelli è convinto che la rovina dell’Italia sia causato
proprio dall’uso di compagnie mercenarie, che per qualcuno portavano qualche
progresso e sembravano forti mentre combattevano tra di loro, ma quando arrivarono i
francesi da fuori essi riuscirono a “prendere l’Italia con il gesso” (il gesso veniva usato
per segnare le case prese come abitazioni per i soldati, quindi è usato per dire che
vennero prese quasi senza opposizione dei soldati italiani). Machiavelli poi si rifà a
discorsi correnti nel suo tempo, secondo i quali la rovina dell’Italia in questo periodo
sarebbe causato da peccati commessi dagli italiani (allusione alle prediche del
Savonarola al riguardo), ed egli dice sì sono peccati, ma non quelli che intendono loro
nella visone cristiana, ma sono peccati nella gestione da parte dei principi. Questa idea
di colpa politica dei principi, si ritrova già nella Italia mia di Petrarca.
Nell’arte della guerra M. critica i principi italiani che hanno trascurato l’arte militare,
causando così la rovina dell’Italia, si interessavano solo alle arti e alle cose umanistiche
ma non all’arte militare.
Nel XII si mette in luce come i popoli liberi siano quelli che dispongono di un esercito
loro, perché mettersi in mano a condottieri esterni poteva costituire un pericolo, in
quanto essi potevano essere tentati di servirsi del prestigio e del potere guadagnato al
soldo di qualcuno pe impadronirsi dello stato e del potere di quel qualcuno. Quando
sono validi condottieri c’è questo problema quando non sono validi non sono in grado
di compiere il compito a loro affidato.
Altro elemento è la svalutazione della cavalleria, il vero elemento importante
dell’esercito per lui è la fanteria, considera la cavalleria un prodotto di quella visione
ornamentale dell’esercito tipica dei signori italiani. In realtà la cavalleria è poco agile
e molto costosa, per cui non sono un elemento realmente positivo per l’esercito.
In questo capitolo si porta l’attenzione sul principe e sul fatto che è necessario che esso
sia addestrati alla guerra e abbia sempre il pensiero alla guerra. È un capitolo che può
essere visto come punto di passaggio, dal De principatibus al Principe. Fattore
fondamentale di allenamento alla guerra è la caccia. È un motivo caratteristico dei
trattati umanistici dediti alla formazione del principe ma M. lo sviluppa in modo
diverso: innanzitutto c’è il tema di assuefarsi ai disagi; poi l’immergersi nella natura
porta alla conoscenza della natura stessa e dei diversi territori e quindi impara anche
come difendere il suo (perché l’ha esplorato), e può imparare anche a comportarsi in
territori esterni al suo dominio, perché sono simili con quelli che ha visto.
Nel capitolo XV Machiavelli dice che si distaccherà da quello che hanno detto quelli
che sono venuti prima di lui. “Dal moneto che io so che moti hanno scritto di questa
materia, temo scrivendone anche io, di essere considerato presuntuoso, dal momento
che mi allontanerò in massimo grado nel discutere di questo argomento, dai modi di
ragionare degli altri. Ma dal momento che la mia intenzione è stata di scrivere qualcosa
che sia utile a chi lo legge, mi è sembrato più opportuno seguire la verità dei fatti,
piuttosto che l’immaginazione della realtà. E molti si sono immaginati repubbliche e
principati che non si sono mai visti né conosciuti (riferimento alla tradizione platonica
e ad altri autori che hanno proposto una visione idealizzata della politica). Perché tanta
è la differenza tra come si vive e come si dovrebbe vivere (tra la realtà e ‘ideale) che
colui che abbandona ciò che si fa davvero per quello che si dovrebbe fare, impara la
rovina piuttosto che la sua preservazione: perché un uomo che voglia essere in tutti i
suoi comportamenti buono è fatale che fallisca in quanto circondato da tante persone
che buone non sono. Quindi è necessario, qualora un principe voglia conservare il
proprio potere, che impari a potersi comportare in maniera moralmente negativa, e
usare l’essere non buono a seconda delle necessità del momento”.
C’è una svolta cruciale nella visone politica e nel trattato, c’è l’idea che si assume un
comportamento in base alla situazione del momento e per mantenere il potere la
politica ammette che si possa anche non essere buoni. M. è consapevole della novità
el suo pensiero e da questo punto di vista mostra di riallacciarsi ad una tradizione di
trattati politici che riprende e sovverte. Questa parte del Principe si inserisce in una
tradizione che chiamiamo speculum principis: è un trattato nel quale si proponevano
una serie di comportamenti esemplari al principe, in realtà attribuendoli a lui stesso,
come se attraverso la lettura del libro che gli veniva dedicato il principe potesse sempre
ricordarsi di come era specchiarsi in questo libro e acquisire da qui lo stimolo a
comportarsi in maniera moralmente irreprensibile.
I capitoli successivi compongono un serie di consigli che vengono dati al principe per
la sua formazione. Questi capitoli prendono in considerazione la visone della realtà di
Machiavelli all’insegna tra l’essere e l’essere temuto, perché la vera cosa importante è
la reputazione del principe e ciò che può derivare in termini di consenso dall’utilizzo
di quelle qualità e di quei vizi (è possibile infatti a volte dovere usare il fatto di non
essere buono, che è un vizio). Ad ogni inizio di capitolo si mostra questa dicotomia tra
essere ed essere considerati. Nel XVI si dice come sarebbe bello essere considerati
generosi, ma per esserlo si deve elargire con molto prodigalità i propri beni e ciò porta
cose negative, un principe troppo prodigo per far fronte alle spese dovrebbe poi tassare
di più i propri sudditi e finirà con il venire considerato troppo avido e finisce ad essere
odiato dai cittadini perdendo consenso, consenso su cui il potere si fonda. All’inizio
del XVII troviamo due Nondimanco, cesare brogia era considerato crudele ma la sua
crudeltà aveva pacificato la Romagna.
LEZIONE 27 (17/05/2021)
LEZIONE 28 (18/05/2021)