ARTE

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FRANCISCO GOYA

VITA
Nasce nel 1746 nel borgo di Fuendetodos, presso Saragozza e muore nel 1828 a Bordeaux. Figlio di
una proprietaria terriera e di un artigiano, Goya frequenta la scuola dei Padri Scolopi e inizia anche
a prendere lezioni private di pittura, decise di affro0ntare un viaggio di formazione in Italia
cercando di scoprire le caratteristiche del classicismo che rappresentava il modello di riferimento
di tutta la cultura accademica. Tona poi a Madrid dove verrà nominato vicedirettore del
dipartimento di pittura alla Accademia di san Fernando. Nel 1799 diventa anche primo pittore da
camera del re.

IL DISEGNO
Oltre alla grande produzione pittorica Goya conduce anche un’intensa attività grafica come
disegni, incisioni che, grazie ai temi trattati e il linguaggio espressivo, saranno una novità nel
panorama artistico di quel tempo. Il Sonno della ragione genera mostri è un disegno preparatorio
per una importante incisione. Appartiene alla serie dei Capricci nella quale l’artista voleva mettere
in ridicolo la brutalità e di promuoverne la sconfitta. Viene rappresentato un uomo addormentato
(forse si tratta dello stesso Goya) e intorno a lui prendono vita uccelli notturni e una lince con
grandi occhi simbolo della notte e delle paure che il buio può suscitare. Il tratteggio incrociato crea
del chiaroscuro, l’artista vuole evitare in noi prevalgano gli istinti peggiori come i mostri, infatti
senza l’intervento della ragione, gli istinti peggiori avrebbero il sopravvento e l’unica legge
possibile sarebbe quella del più forte che porterebbe violenza e morte.

MAJA DESNUDA E MAJA VESTIDA


Le 2 tele sono le più celebri di Goya, realizzate tra gli ultimi anni del Settecento e gli inizi
dell’Ottocento (1808). Nonostante la somiglianza le modelle sarebbero diverse: quella della Maja
Vestida sembra più alta e slanciata, mentre quella della Maja Desnuda è di statura inferiore e più
minuta. Si dice che la Maja Desnuda sia il primo nuda in cui non vengono rappresentati figure
mitologiche, storiche o bibliche. Entrambe le due Maja, poggiano su dei grandi cuscini e sono
collocate nella stessa postura. Possiamo notare anche una certa naturalezza dei volti, dove i vividi
occhi sono puntati con decisione verso l’osservatore. Nella Maja Vestida possiamo notare anche le
caratteristiche del vestito con le maniche lavorate della giacchetta giallo-oro, sono presenti delle
nappe nere lungo gli orli che sono realizzate con pennellate di giallo, di ocra e di bruno. In
entrambi i casi possiamo notare che emerge un’atmosfera luminosa e serena che riesce a mettere
in risalto la femminilità delle modelle.

LA FAMIGLIA DI CARLO IV
Questo ritratto segna definitivamente l’arrivo da parte dell’artista ad una visione di disincantato
realismo. I 13 personaggi del dipinto sono disposti in 3 gruppi, collocati in modo da formare sul
pavimento una sorte di S con lo scopo di dare rilievo sia al punto di vista fisico ma anche al punto
di vista psicologico e morale. Nella parte centrale viene messa in risalto la figura della regina Maria
Luisa di parma, moglie di Carlo IV. Mentre nel gruppo di destra viene esaltata la figura del sovrano
Carlo IV mentre in fondo a sinistra, nella parte più scura è rappresentato il quattordicesimo
personaggio. Si dice che si tratti dell’autoritratto dell’artista (Goya) nella quale si rappresenta
nell’atto di dipingere un soggetto collocato alle spalle di chi guarda la tela. Le graziose vesti delle
dame e le ricche decorazioni di gala degli uomini sono state realizzate con l’utilizzo di pennellate
libere, secondo la regola dei colori giustapposti evidenziando un ipotetico raggio di luce che
percorre trasversalmente la sala e illumina i volti di tutti tranne quello dell’artista e tutto il corpo
del re, della regina e dei due ragazzi gli unici in cui Goya conferisce le espressioni di mesta e
innocente umanità. L’uso della luce trova riscontro anche nell’evidenziare la psicologia dei
personaggi.

LA FUCILAZIONE DEL 3 MAGGIO 1808


Goya riporta sulla tela il dramma della rivolta antinapoleonica vissuta in prima persona nel
momento in cui il popolo di Madrid cercava di resistere contro l’invasione francese. Questa tela
realizzata sei anni dopo queste crudeli giornate vengono rappresentate novità che vennero fatte
per la prima volta come il rappresentare avvenimenti contemporanei colti nel loro svolgersi. Il
dipinto raffigura una delle tante esecuzioni di massa effettuate dalle truppe napoleoniche.
troviamo, a destra, è schierato il plotone di esecuzione, con alti colbacchi neri e pesanti pastrani.
Possiamo notare anche come sia impossibile notare l’impressione dei soldati ma anche i
lineamenti. A sinistra della tela osserviamo l’uomo con la camicia bianca che alza le mani non solo
per combattere la loro giusta causa ma che esso simboleggia la sua disperazione ma anche la sua
rabbia, infatti nel suo volto si legge con crudezza i suoi sentimenti che possiamo notare anche
nelle altre persone dove vi è una disperata paura della morte. La cupezza dei toni ha un duplice
significato di esaltare sia i valori paesaggistici sia i valori psicologici messi in rilievo dalla situazione
emotiva. In basso sono raggruppati i cadaveri di coloro che sono già stati fucilati. In particolare il
corpo in primo piano ha il volto sfigurato e giace sul terreno bagnato dal suo stesso sangue.
L’unica fonte di luce proviene dalle lanterne dei soldati e notiamo sullo sfondo il profilo della città
di Madrid. L’uso di colori sporchi e terrosi, l’espressività dei personaggi sono indizi di una tecnica
pittorica si sta avviando verso il gusto romantico.

SATURNO DIVORA SUO FIGLIO


Questo è uno dei dipinti più raccapriccianti di tutta l’arte dell’Occidente, è stato realizzato durante
il periodo nero dell’artista quando si era già ritirato nella Quinta del Sordo. Il personaggio, in cui la
vecchiaia è rimarcata dall’informe criniera di barba e capelli grigiastri, emerge dalla penombra
della notte con disumana violenza. Piccoli fasci di luce sottolineano la magrezza del Dio che con gli
artigli divora il corpo del figlio. Gli occhi iniettati di sangue danno un senso di follia e le fauci
spalancate inghiottono pezzo di carne. Pur nella voluta esagerazione dei toni è ricco di allegorie
come per esempio quella di Ferdinando VII che a causa del suo assolutismo monarchico
sterminava i propri sudditi come Saturno fa con suo figlio. I colori, impastati e terrosi richiamano
l’atto di cannibalismo mentre gli effetti di chiaroscuro e la composizione diagonale delle spalle e
della gamba destra danno al personaggio una inquietante vitalità

IL ROMANTICISMO
Storicamente il Romanticismo si configura come un complesso movimento politico, filosofico,
artistico e culturale diffusosi in Europa tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento.
L’ideologia romantica, del resto, è il prodotto di una società in grave crisi economica e sociale,
fortemente travagliata sia dai problemi derivanti dalla crescente industrializzazione, sia da quelli
della restaurazione politica.
I fini dichiarati del Congresso di Vienna di rinchiudere politicamente e culturalmente ogni Stato
all’interno dei propri confini prenapoleonici avevano fatto sì che venissero necessariamente meno
anche quegli ideali di universalità propri della cultura illuminista. A tali ideali avevano cominciato a
sostituirsene di nuovi, tendenti a rivalutare la storia e le origini di ciascun popolo.

POPOLO, NAZIONE, PERSONA


Molto significativo, a tale riguardo, fu il movimento letterario dello Sturm und Drang
(letteralmente «tempesta e impeto»), diffusosi in Germania tra il 1770 e il 1780 circa. Esso apre
anticipatamente la strada al Romanticismo fondamentali per la maturazione di personalità quali
quelle di Schiller, di Goethe e di Beethoven.
Il concetto di popolo che il Romanticismo esalta è quello connesso all’idea di Nazione, cioè un
insieme di individui legati fra loro da vincoli indissolubili di lingua, religione, cultura e tradizioni.
E se ogni Nazione impara a rivendicare la propria originalità storica anche ciascun uomo può
legittimamente vantare la propria storia personale che, in quanto soggettiva, è sempre unica,
preziosa e irripetibile. Da ciò deriva una nuova attenzione per tutta quella sfera di sentimenti,
affetti e passioni caratteristici di ciascuna personalità. La sensibilità romantica predilige infatti le
individualità singole.

IL “PASSATO” ROMANTICO
Se noi siamo quello che siamo – sostenevano i Romantici – lo dobbiamo soprattutto all’ambiente
in cui abbiamo vissuto e nel quale siamo cresciuti, maturando progressivamente consapevolezze,
scelte e identità. Il nostro presente, in altre parole, è profondamente intriso del nostro passato.
Non certo il passato remoto, astratto e indifferenziato, al quale faceva ideale riferimento il
Neoclassicismo. Il temperamento romantico cerca dunque rifugio nel proprio passato, al fine di
alleviare la paura di un presente che spesso è percepito come ostile e degenerato. Il
Romanticismo si pone come momento di forte e totale contrapposizione con il Neoclassicismo e
con tutta la cultura illuminista. Non credendo più nei valori assoluti di una classicità ormai troppo
lontana e astratta, infatti, si arriva ad acquisire un profondo senso della relatività, dal quale
discende un prepotente desiderio di conoscere e di studiare le proprie origini.

L’IRRAZIONALITà
La fede, il sentimento e l’irrazionalità che il «secolo dei lumi» aveva condannato e bandito
riaffiorano ora in mille forme. Sul piano letterario la cultura romantica predilige il romanzo storico
e la poesia dei sentimenti soggettivi. Nell’ambito della continua ricerca delle proprie origini
storiche e culturali si arriva poi a dare dignità artistica addirittura alle favole e, in Italia, anche ai
componimenti dialettali. A ciò fa parallelamente riscontro anche un risveglio del sentimento
religioso in tutte le sue componenti. Sul piano musicale i compositori romantici – primi fra tutti
Beethoven e Chopin – tendono verso una musica più passionale e coinvolgente.
Per quel che riguarda le arti figurative, invece, al perfetto rigore formale di artisti quali David o
Ingres si preferiscono rappresentazioni di più immediata presa sul pubblico. Ai soggetti della
mitologia classica se ne sostituiscono di nuovi, sempre più legati alle leggende e alla
rappresentazione di una natura fortemente personificata che, in relazione ai sentimenti
dell’artista, riesce a suscitare grandi emozioni, mostrandosi indifferentemente madre dolcissima o
spietata matrigna. Questo secondo aspetto è perfettamente espresso da Caspar David Friedrich.
Alle atmosfere chiare e definite del repertorio neoclassico vengono così a sovrapporsi
ambientazioni volutamente fosche. La passione e il turbamento, che i Neoclassici non
rappresentavano mai, preferendo a essi la pacatezza, diventano per i Romantici due delle
principali motivazioni artistiche.

IL SUBLIME
A questo tipo di sensibilità artistica è strettamente connesso il sentimento del sublime. Esso
rappresenta un altro degli importanti caratteri distintivi del Romanticismo. Secondo Edmund
Burke, intellettuale e uomo politico britannico, il sublime consiste in quel misterioso e affascinante
insieme di sensazioni che è possibile provare solo di fronte a certi grandiosi spettacoli naturali (un
tramonto infuocato, una tempesta impetuosa, una notte di vento, una tormenta di neve, un
paesaggio che – visto dall’alto – appare infinito).
Nella sensibilità romantica il sublime si pone dunque all’estremo limite superiore della percezione
del bello.

IL GENIO
Fortemente legato al concetto di sublime è anche quello di genio. Genio è infatti colui che, grazie
alla sua sensibilità artistica e ai mezzi tecnici con i quali sa tradurla in opera compiuta, ci consente
di accedere alla vertigine del sublime. Nella visione romantica, dunque, geni si nasce e certo non si
diventa. Da cui l’inutilità, ai fini creativi, dell’esperienza scolastica e accademica, che può al
massimo servire ad apprendere e affinare alcune utili tecniche.

NEOCLASSICISMO E ROMANTICISMO
Neoclassicismo e Romanticismo costituiscono due importanti fasi di uno stesso processo storico
che, pur sembrando a prima vista assolutamente opposte, risultano in realtà tra loro
profondamente connesse sul piano artistico e culturale, oltre che spesso sovrapponibili anche
temporalmente. Mentre il Neoclassicismo si fa promotore del ritorno all’ordine, il Romanticismo
esalta la fantasia, la sensibilità personale e la malinconia.
Gli artisti e gli intellettuali romantici, pur contrapponendosi in modo vivace a quelli neoclassici,
hanno comunque una formazione culturale assai simile. Sia gli uni sia gli altri, infatti, vivono alla
costante ricerca di forme espressive che si dimostrino in grado di far evadere dall’insoddisfazione
di un oggi in sempre continua e spesso troppo rapida evoluzione.
Il modo di vedere e di sentire la natura, ad esempio, rende perfettamente l’idea della
contrapposizione ideologica fra i due movimenti. L’artista romantico si sente parte integrante del
la natura e vi si immerge profondamente. L’artista neoclassico, al contrario, si sforza di rimanerne
estraneo e di indagarne razionalmente le caratteristiche al fine di padroneggiarla.
L’arte neoclassica, infatti, non vuole essere imitatrice della natura ma dei modelli ideali che di essa
hanno elaborato i classici. Ne consegue, però, che mitizzando l’età classica come età dell’oro, il
Neoclassicismo compie di fatto un’operazione assolutamente irrazionale, contraddicendo le sue
stesse premesse illuministe e preludendo in modo chiaro a quella che sarà l’evasione romantica
verso le dimensioni della soggettività, della fiaba e della fantasia.

FUSSLI JOHANN
VITA
Nato a Zurigo Fussli si forma in un ambiente neoclassico, cercando di approfondire anche le
conoscenze storico-artistiche, letterarie e teologiche. Prima in Germania, passando poi per Londra
e arrivando infine a Roma, Fussli coltiva un interesse per quel che resta della Classicità. Si stabilì
definitivamente a Londra alla Royal Accademy dove divenne anche direttore. È in questo periodo
che corrisponde la sua massima produzione pittorica, intrisa di valori preromantici e ricca di
simboli. Muore nel 1825 a Putney.

IL DISEGNO
Fussli esordisce come grafico arrivando poi alla pittura alla soglia dei 40 anni. Nella Disperazione
dell’artista davanti alla grandezza delle rovine antiche, l’artista dimostra un semplice ma rigoroso
schema compositivo, di derivazione neoclassica. Fussli con un veloce schizzo a matita rossa
rappresenta un artista (forse lui stesso) che si regge sconsolatamente la testa, seduto ai piedi del
piede destro e la mano sinistra del Colosso di Costantino. L’artista prova tristezza in quanto il
tempo di quei artisti è ormai finito per sempre, quindi l’atteggiamento non è quello di colui che
studia L’Antico come esempio di perfezione ma piuttosto riflette sulle glorie passate e si emoziona.
INCUBO
È un olio su tela realizzato nel 1781, il dipinto mostra un interno tenebroso nella quale una bionda
fanciulla è sdraiata in maniera scomposta sul letto in preda ad un agitato sonno. La testa di un
terribile giumenta dagli spaventosi occhi globulosi e senza pupille, sbuca fra le ombrose pieghe di
un pesante drappeggio, simbolo dell’incubo stesso. Allo stesso tempo un mostruoso demone
rannicchiato sul petto e sul ventre della giovane donna, sembra privarle del respiro. Il corpo della
donna assume qui un significato nuovo come di doloroso abbandono all’irrazionale. La cupa
atmosfera sembra alludere anche a significati erotici portando la scena in una angosciosa
dimensione ma allo stesso tempo stimolante nel mezzo tra il sogno e la realtà.

CASPAR FRIEDRICH
VITA
Caspar David Friedrich nacque a Greifswald sede di una delle più antiche università della
Germania. Formatosi presso l’Accademia di Copenaghen, si trasferisce a 24 anni a Dresda, dove
vivrà fino alla morte. Anche se oggi è considerato, a ragione, uno dei massimi pittori tedeschi
dell’Ottocento, la grandezza di Friedrich fu apprezzata solo dopo la sua scomparsa. La sua indole
solitaria e malinconica, del resto, l’aveva sempre tenuto lontano dai clamori degli ambienti
artistici, per cui anche da vivo le sue opere erano rimaste praticamente sconosciute.

IL DISEGNO
Grande disegnatore Friedrich studia dal vero vegetazione, rocce, paesaggi che saranno poi la base
dei suoi dipinti in un misterioso alternarsi tra fantasia e realtà. Nello Studio di rocce con gradoni un
disegno a matita ripassato poi a penna, si nota un utilizzo netto e continuo, privo di tratteggi. È
ben utilizzato il chiaroscuro che individua le masse rocciose. Friedrich fissa in questo modo un
rigido schema compositivo che utilizzerà per le sue opere

VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA


Le grandi tematiche romantiche della natura e del sublime trovano uno dei loro punti più alti di
espressione nel Viandante sul mare di nebbia. Il dipinto rappresenta un uomo di spalle che, in
piedi sopra uno spuntone roccioso, guarda solitario lo straordinario spettacolo di un paesaggio
alpino all’alba, con le cime dei monti che iniziano a emergere fra le nebbie. La scena di forte
impatto emotivo si compone di un primo piano in controluce che contrasta contro un
luminosissimo sfondo montuoso. La sensazione che l’artista vuole trasmetterci è quella dell’infinita
grandezza della natura, al cui cospetto l’uomo altro non è che un temporaneo viandante. La
contrapposizione delle luci, così come il svaporarsi degli azzurri fra il cielo e le vette dei lontani
monti, contribuisce a dare quel senso di stupore e di grandiosità sospesa che esprime al meglio il
SUBLIME

LE FALESIE DI GESSO DI RUGEN


In modo analogo, anche se più complesso, è costruito il dipinto che rappresenta Le falesie di gesso
di Rügen, ispirato alle spettacolari scogliere bianche a picco sul Mar Baltico. La scena, di grande
profondità e suggestione, ci appare incorniciata come da una quinta teatrale fra i 2 grandi alberi ai
lati in cui i rami disegnano una sorte di cerchio immaginario lungo la cui circonferenza sono posti i
3 personaggi. A destra, in piedi, un uomo osserva pensoso il baratro sottostante con le gambe
divaricate e le braccia conserte. Al centro un secondo uomo, appoggiati il bastone e il cappello
sull’erba, si sporge timoroso oltre l’orlo del precipizio. A sinistra, infine, una giovane donna vestita
di rosso siede tenendosi con una mano a un cespuglio e indicando con l’altra in direzione della
bianca voragine. Le 3 presenze umane restano marginali rispetto al bellissimo paesaggio, con le
candide falesie che inquadrano dall’alto il mare. Inoltre lungo la linea dell’orizzonte, grazie ai colori
utilizzati si può cogliere quel senso di infinito.

JOHN CONSTABLE
VITA
John Constable nasce nel 1776 a East Bergholt, nel Suffolk, una contea dell’Inghilterra sud-
occidentale. Benché gli esordi artistici non fossero stati per nulla promettenti Constable si reca a
Londra (1799), dove si iscrive ai corsi di pittura presso l’Accademia Reale. Particolarmente attratto
dalla natura e dalla sua riproduzione pittorica, il giovane artista si interessa soprattutto al
paesaggio che, essendo visto quale teatro dell’agire umano, assume per la prima volta la dignità di
soggetto artistico autonomo. Il suo stile predilige lo schizzo immediato, l’osservazione naturalistica
e lo studio del vero, mentre i suoi soggetti preferiti sono i paesaggi dell’infanzia. A lui guarderanno
come sicuro punto di riferimento tutti i maggiori pittori dell’Ottocento: da Delacroix a Corot, fino ai
Realisti francesi e agli Impressionisti.

WILLIAM TURNER
VITA
Personalità estrosa e viaggiatore infaticabile, fin da giovane percorre in lungo e in largo il Galles e
la Scozia ricavandone impressioni ed emozioni che rende poeticamente in paesaggi ad acquerello.
Diventato ormai famosissimo Turner si spegne a Londra all’età di 75 anni. Fra i pittori romantici
inglesi Turner è senza dubbio l’interprete più appassionato e sensibile della poetica del sublime
teorizzata e diffusa da Edmund Burke, secondo il quale la natura, nella sua potenza e immensità, si
impone grandiosamente sull’uomo fino a stordirne i sensi. L’approdo artistico finale di Turner è il
colore che svincolato da ogni riferimento naturalistico è pura modulazione di luce.

IL DISEGNO
Disegnatore attento e raffinato. Il disegno, conservato alla National Gallery di Washington, è tra
quelli della produzione artistica londinese rimasti al solo tratto di grafite, senza acquerellatura, con
la quale Turner dava corpo, colore e luce alle sue bozze. Questo spiega la leggerezza del suo segno,
appena percepibile. La mancanza di tratteggio conferma l’abitudine di Turner ad ottenere gli effetti
di luce e di chiaroscuro tramite le velature ad acquarello, è quindi il colore a balzare in primo
piano. I suoi acquarelli si trasformano in puro colore, d’altro l’attenzione di Turner si sposta su
quelle parti del paesaggio che non sono influenzate dalla forma (vedi il mare). Si va dunque dalla
notazione di un cielo azzurro che trascolora all’orizzonte, alle nubi carezzate da un crepuscolo o ad
un chiaro di luna resi sempre con un tocco leggero come se non si trattasse di immagini reali.

OMBRE A TENEBRE. LA SERA DEL DILUVIO


Ombra e tenebre. La sera del Diluvio è uno dei più raffinati punti di arrivo della ricerca artistica di
Turner grazie all’opposizione fra i toni caldi, luminosi e alle forti e cupe ombre che si addensano in
basso a destra e nell’arco superiore è quanto di più grandioso sia mai stato realizzato per
descrivere lo stato della Terra nel momento in cui il diluvio si sta per abbattere su di essa per
purificarla. Una massa offuscata (potrebbe essere il sole o la luna) si estende vicino al centro della
tela, rimarcando il senso prospettico. A essa si contrappone quella lingua di terra che procedendo
in direzione del punto più abbagliante, segnala la posizione dell’arca. Verso questa si dirigono
anche gli animali che si intravedono nel basso della tela, e si notano degli uccelli neri che volano
nel cielo rimarcando un secondo arco di cerchio. L’immensità del cielo è infatti ridotta a uno spazio
esiguo, per quanto dalle manifestazioni grandiose: la stessa volta celeste viene limitata in alto da
un’incombente coltre di nubi scure. Infine il precipitare dell’acqua si può notare da delle tracce
velate a cascata come se scorressero davanti ai nostri occhi.

BUFERA DI NEVE: ANNIBALE E IL SUO ESERCITO ATTRAVERSANO LE ALPI


Quest’opera è un olio su tela in cui viene rimarcata la natura distruttiva e ostile. Possiamo anche
notare la caratteristica del sublime in base agli stati d’animo che emergono guardando
quest’opera. Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi In questo quadro la protagonista
assoluta è la forza della tempesta di neve che soverchia i soggetti, il generale Annibale e il suo
esercito, rendendoli quasi invisibili di fronte alla sua grandezza. Si può dire quindi che l’uomo lotta
contro il destino. L’atmosfera è intrisa di una carica distruttiva impressionante. La struttura e la
composizione dell’opera è molto innovativa, con la linea dell’orizzonte che si curva fino a
diventare una spirale avvolta su sé stessa che costringe lo spettatore a seguirla con lo sguardo. È
un dipinto storico ma allo stesso tempo il soggetto reale è la natura e non l’azione dell’uomo
quindi la vicenda storica è un pretesto accettabile per indagare la natura. Quest’opera anticipa
l’impressionismo.

THEODORE GERICAULT
VITA
Figlio di un avvocato, Jean-Louis-André-Theodore Géricault nasce a Rouen. La sua poetica è
sospesa tra Neoclassicismo e Romanticismo, con una maggiore propensione verso la sensibilità
romantica. A ciò lo inclinano la sua indole irrequieta, la sua vita quasi da bohémien.
Un male non curato lo conduce a una morte precoce. Gericault scompare ad appena trentatré
anni, il 26 gennaio 1824

IL DISEGNO
Durante il viaggio in Italia, troviamo il disegno Leda e il cigno derivante da un’opera perduta di
Michelangelo. Il disegno a matita nera, su carta bruna è colorito con inchiostro bruno e con
acquarello azzurro. La biacca rialza la figura di Leda e del cigno mettendo in evidenza il volume. Il
soggetto mitologico è trattato in maniera sottile, e si può pensare come se Leda cercasse di
allontanare Zeus, che vuole sedurla, trasformandosi in cigno. Le fronde dell’albero in secondo
piano e l’azzurro che delimita un colle e il cielo, costruiscono l’ambiente idilliaco. Troviamo anche
un altro disegno: Ninfa e satiro eseguito ad inchiostro bruno rilevato a biacca su carta bistro,
mostra una ninfa insidiata da un satiro. La scena è trattata con un segno sicuro della matita,
utilizzata anche per ombreggiare i 2 corpi

LA ZATTERA DELLA MEDUSA


Gericault dette prova di aver assimilato e anche superato l’insegnamento neoclassico nella Zattera
della Medusa il cui soggetto è desunto da un fatto di cronaca, l’artista piega la perfezione formale
classicista alla nuova sensibilità romantica preannunciando il Realismo. Il dipinto mostra i pochi
scampati al naufragio della fregata francese Medusa nel momento in cui avvistano in lontananza la
nave che li porterà in salvo. Fra le onde minacciose, alte e sotto un cielo scuro ma che inizia a
schiarirsi, tutti gli uomini sono ancorati nell’unica porzione della barca che ancora galleggia. Si
tratta di un compatto spazio quadrangolare, co il vertice che sta sul bordo inferiore della tela. Al di
sopra di questo spazio i cavi di canapa che sostengono l’albero dove è appesa una vela di fortuna,
creano una sorte di piramide. La stessa geometria la possiamo notare anche tra gli uomini collegati
tra loro dalle braccia che si toccano, si sfiorano. Una novità sta anche nel giovane di colore che
sventola un panno bianco e rosso. I corpi sono modellati come fossero statue e sono colpiti da una
luce che dà loro solidità. Anche se molti uomini puntano con la mano quella nave che li salverà in
primo piano la moltitudine di cadaveri ci trasmette quella sofferenza subita. L’orrore per i morti
messi in evidenza dalla colorazione verde-grigio e gialla, viene superato attraverso la perfezione
del modellato. In basso a destra, un cadavere riverso è coperto da un drappo che richiama alla
mente il lenzuolo funebre degli antichi. A sinistra un giovane abbandonato nella morte, quasi
nudo, è sorretto da un vecchio dal volto pensoso. L’anziano presenta le braccia allargate, la testa
reclinata, gli occhi chiusi che insieme alle labbra dischiuse ne fanno un dio dormiente. Infine
notiamo che nella tela non sono presenti eroi, insegnamenti o messaggi morali.

L’ALIENATA
L’alienata è un dipinto che fa parte di una serie di dieci tele dove solo 5 sono giunte a noi. Queste
sono state realizzate tra il 1820 e il 1824 e probabilmente furono commissionati da un medico
della moderna psichiatria George, che, indagando il tema della follia, li avrebbe utilizzati a scopo
didattico -dimostrativo. Si tratta di una serie unica del XIX secolo, non solo perché l’artista ha
saputo cogliere i segni che sono indizio esteriore di un malessere interiore, ma soprattutto perché
per la prima volta la malattia mentale fa la sua apparizione sulla tela, anticipando di molti decenni
lo sguardo che gli artisti getteranno sulla psiche umana. Tutti i ritratti sono di tre quarti su sfondo
scuro. La vecchia presenta gli occhi arrossati e sulla fronte si mostrano diverse rughe. Il suo volto è
racchiuso all’interno di una bianca cuffia e la sciarpa rossa tende a riaccendere il colore marrone
del pastrano. Gli zigomi sono rimarcati da profondi solchi. L’anziana ha la testa rivolta verso
sinistra e abbassata mentre lo sguardo è assente, disperso come se ricorresse ad un unico
pensiero fisso. Lo scopo di Gericault non è quello di giudicare ma di mostrare nelle sue opere
come si manifesta questa malattia mentale che distrugge qualsiasi emozione. Infatti il fatto di
rappresentare l’anziana vestita e non nuda ci fa capire la compassione e il rispetto che mostra
l’artista verso chi soffre.

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