16:11 La Legge Modello
16:11 La Legge Modello
16:11 La Legge Modello
Il suo obiettivo è evitare un’eccessiva differenziazione tra le leggi nazionali. Essendo una legge modello,
essa non assume il carattere di convenzione. Il capitolo terzo si occupa della costituzione del tribunale
arbitrale. Gli stati possono trasfondere la legge modello in tutto od in parte nelle loro leggi nazionali. Per ciò
che concerne la composizione, si afferma innanzitutto che le parti sono libere di determinare il numero
degli arbitri. In mancanza di determinazione, il numero degli arbitri sarà di tre. Questo è espresso
dell’articolo 10 della legge modello. Esso sottintende che il numero di arbitri sia dispari. L’articolo 12
contiene i motivi che consentono ad una delle parti di ricusare l’arbitro. L’articolo successivo, il 13, mostra
la procedura per la ricusazione. L’arbitro è libero di accettare o meno l'incarico. All’atto della proposta,
l’arbitro dovrà rendere noti tutti i potenziali motivi che mettano in discussione la sua imparzialità od
indipendenza. Il paragrafo 2 dell’articolo 12 afferma che l’arbitro può essere contestato solo se vi siano
caratteristiche che diano luogo a dubbi giustificabili su imparzialità od indipendenza o se non possiede le
qualifiche su cui la parti si sono accordate. La ricusazione può essere effettuata anche, dopo che la nomina
sia stata fatta, dalla stessa parte che ha nominato l’arbitro per motivi di cui sia venuta a conoscenza dopo la
nomina. Stante l'autonomia delle parti, la legge interviene ove esse non abbiano un tutto od in parte preso
una decisione sul singolo aspetto. Ciò vale anche per il procedimento di ricusazione, che è in prima battuta
scelto dalle parti. In caso esse non provvedano, la ricusazione può essere effettuata per iscritto entro 15
giorni dalla nomina dell’arbitrato. Il paragrafo 2 afferma che, a meno che l’arbitro non si dimetta o l'altra
parte non sia d’accordo sulla ricusazione, è il tribunale arbitrale a decidere sulla stessa. La legge modello
conferisce la competenza a decidere sull’istanza di ricusazione allo stesso tribunale arbitrale. Ciò non
avviene nel codice di procedura civile. In Italia, in caso di ricusazione, decide il tribunale ordinario.
L’UNICITRAL fa rientrare anche il tema della ricusazione nella volontà delle parti. Il legislatore invece,
risentendo della tradizione restrittiva italiana, non liberalizza il tema della ricusazione. Sono molti gli
ordinamenti che si sono ispirati alla legge modello. In Italia la procedura è la stessa per l’istanza di
ricusazione del giudice. Si hanno però proposte di riforma nel senso della legge modello. Il capitolo quarto
si occupa di giurisdizione del tribunale arbitrale. L’articolo 16 è intitolato alla competenza del tribunale
arbitrale a decidere sulla propria giurisdizione. Spesso, la lite tra le parti inizia con la contestazione
dell’arbitrato stesso. Ciò può avvenire anche con il solo scopo di forzare l'avversario ad una transazione.
Una tale obiezione si focalizza sulla competenza del collegio arbitrale, affermando che la lite sia esclusa
dalla clausola compromissoria. L’articolo 16 risponde alla domanda su chi decida della competenza del
collegio arbitrale. Esso is ispira alla dottrina tedesca, che attribuisce all’organo giudicante la competenza a
decidere della propria competenza. Lo stesso vale per le contestazioni relative alla stessa esistenza o
validità dell’accordo arbitrale. Si ha poi il tema delle misure cautelari. Esse sono misure richieste all’organo
giudicante per congelare situazioni che potrebbero essere pregiudicate nel tempo della controversia. Un
esempio è il sequestro conservativo. Si deve dimostrare il periculum in mora, ossia il pericolo che la
situazione si comprometta in attesa del giudizio definitivo. Il sequestro non porta comunque ad una
confisca. Essendo tali misure gravide di conseguenze, le legge modello afferma che, salvo diversa volontà
delle parti, il tribunale arbitrale può adottare provvedimenti cautelari su istanza di una delle parti. Qui la
competenza è attribuita al collegio arbitrale. Non è così in Italia. Nel nostro ordinamento il collegio arbitrale
può chiedere al tribunale ordinario di adottare misure cautelari. Questo è un altro dei motivi che porta le
parti straniere ad evitare arbitrati in Italia, sussistendo un troppo stretto controllo del giudice, che le parti
intendono evitare. Si ha poi l’articolo 28. La legge si occupa di vari aspetti della procedura. L’articolo 28
tratta della legge applicabile al merito della controversia. Essa è in prima battuta oggetto di decisione delle
parti. Il tribunale arbitrale decide secondo le norme di diritto derivanti dalla decisione delle parti. Gli arbitri
devono in generale decidere secondo diritto e non secondo equità. Qualsiasi designazione della legge di
uno stato sarà interpretata come riguardante solo il diritto materiale dello stato e non le norme di diritto
internazionale privato, salvo diversa espressa volontà delle parti. È il tema del rinvio. La legge modello nega
quindi il rinvio, a meno che le parti abbiano deciso in tal senso. Se le parti non hanno individuato alcuna
legge applicabile, il collegio decide in base al diritto applicabile individuato dal diritto intenzionale privato
che esso ritiene regoli il contratto. Gli arbitri possono decidere secondo equità solamente se parti hanno
così disposto. In ogni caso, il tribunale arbitrale decide secondo i termini del contratto e dovrà prendere in
considerazione gli usi del commercio internazionale applicabili al contratto. Sono ad esempio gli Inco-terms.
L’articolo 34 si occupa dell’opposizione al lodo. La decisione arbitrale è definitiva. Un ricorso è possibile solo
per annullamento, in conformità ai paragrafi 2 e 3 dell’articolo 34. I motivi di annullamento sono esterni al
merito della causa. La parte che lo richiede deve provare una delle circostanze elencate, che sono analoghe
a quelle cui la convenzione di New York nega il riconoscimento. L'onere della prova è sempre a carico di chi
adduce tali circostanze. Solo le fattispecie della lettera b sono rilevabili d'ufficio, ossia non arbitrabilità della
controversia o contrarietà all’ordine pubblico. Le stesse motivazioni sono state adottate dal legislatore
italiano. Lo stesso vale per gli articoli 35 e 36 sul riconoscimento, identici alla Convenzione di New York.
Così termina la legge modello. Essa ha una dimensione simile alla sezione del codice di procedura civile
dedicata all’arbitrato. Si ha poi la disciplina italiana dell'arbitrato. Gli articoli interessati sono gli 806-840 del
codice di procedura civile. Essi sono quelli che concludono il codice. È il libro IV, titolo VIII, intitolato
dell’arbitrato. Con tale disciplina il legislatore ha anche dato attuazione agli impegni internazionali assunti
dall'Italia con la ratifica delle convenzioni. Si hanno tre tipologie di arbitrato. La prima distinzione è tra
abitato rituale ed irrituale. Questa distinzione esiste solo in Italia. L'arbitrato rituale appare come più
regolato, mentre quello irrituale sembra più libero. Non è però affatto così. L'arbitrato rituale è l’arbitrato
così come definito fino ad oggi. È una situazione in cui le parti di un contratto decidono di devolvere ad un
terzo od un collegio di terzi la decisione della lite come se fosse un tribunale. Esso comporta l’attribuzione
di competenza ad un collegio che decide la controversia. Questa decisione avrà la stessa efficacia della
sentenza di un giudice ordinario. La definizione di arbitrato irrituale nasce nel dopoguerra a Milano.
Essendo il lodo una decisione analoga ad una sentenza, esso è sottoposto al pagamento, a carico della parte
onerata, dell'imposta di registro. Essa è differente a seconda del valore delle controversie, in percentuale.
La parte onerata è generalmente quella soccombente. Non si deve però dimenticare che la soccombenza
può essere solo parziale, persino equivalente tra le due parti. Per evitare tale imposta, si creò l’arbitrato
irrituale. Dato che l’imposta colpisce il lodo assimilandolo alla sentenza, qui le parti conferiscono un
mandato agli arbitri non di decidere la controversia, ma di trovare una formula che componga la lite in
forma di contratto. Gli arbitri agiscono qui non come giudici della controversia, ma come se le parti
giungessero ad una sorta di contratto per la risoluzione delle loro controversie. Nell’arbitrato irrituale gli
arbitri non decidono la lite, ma si considerano come dei mandatari delle parti. Essi redigono un documento
che ha la stessa efficacia di un contratto tra le parti. Esso è assai diverso dal lodo rituale, che invece decide
la lite. Il lodo irrituale è solo un elenco di obbligazioni contrattuali che è come se fosse stato concluso tra le
parti. Esso però, essendo un contratto che definisce le obbligazioni tra le parti che lo sottoscrivono, è assai
diverso da una decisione da parte degli arbitri. Ciò implica che il lodo irrituale non potrà essere eseguito
senza la collaborazione della controparte. Esso è fonte di obbligazioni, ma se la controparte non adempie
spontaneamente, ci si deve rivolgere ad un giudice. Il procedimento sarà breve, essendo sufficiente
dimostrare che la parte non abbia adempiuto. Si può così ottenere un decreto ingiuntivo, più veloce della
condanna. Gli arbitri dell’arbitrato irrituale seguono comunque le stesse regole dell’arbitrato rituale. I
tempi e le procedure non sono diversi, mentre lo è il risultato. Esso risparmia però l’onere dell’imposta di
registro. Per questo ha goduto di fortuna. Oggi è però venuto meno il vantaggio fiscale dell’esclusione
dell’imposta di registro. In precedenza non si aveva nessuna norma che lo regolasse. Esso sebbene del tutto
lecito, non corrisponde ad un lodo, ma ad un impegno di tipo contrattuale. La giurisprudenza però lo
riconosceva. La riforma del 2006 introdusse quindi l'articolo 808 ter ad esso dedicato. Esso afferma che le
parti possano stabilire per iscritto che la controversia sia definita dagli arbitri mediante determinazione
contrattuale. L’arbitrato irrituale dà quindi vita ad un documento di tipo contrattuale. La riforma del 2006
ha voluto evitare di allungare la numerazione formale del codice di procedura civile, procedendo ad
aggiungere gli articoli da 808 bis a quinquies. L’arbitrato irrituale è utilizzato per l’erronea percezione che
sia più libero. Esso presenta però un inconveniente. La convenzione di New York si applica solo alle
sentenze arbitrali. Per questo solo l’arbitrato rituale può essere passibile di riconoscimento, in quanto è
l'unico che dà vita ad una sentenza. Le parti straniere accettavano le convenzioni che prevedevano un
arbitrato irrituale poiché sapevano che esso non è riconoscibile all’estero, cautelandosi in caso di sconfitta.
L’arbitrato può essere libero od amministrato. Quello libero vede la nomina diretta degli arbitri, senza
affidarsi ad istituzioni arbitrali. L’arbitrato amministrato è quello in cui le parti accettano di essere assistite
da tali istituzioni. L’arbitrato amministrato non aveva prima un’esplicita copertura normativa. Ciò durò fino
alla riforma del 2006. Questa norma fu inclusa grazie alla spinta delle istituzioni arbitrali italiane, desiderose
di un riconoscimento normativo. Esso è l’articolo 832, che afferma che la convenzione arbitrale può rinviare
ad un regolamento arbitrale preesistente. In caso di contrasto tra regolamento arbitrale e convenzione
arbitrale prevale quest’ultima. Al suo paragrafo 5 si afferma che il regolamento arbitrale può includere
cause di ricusazione degli arbitri in aggiunta a quali stabilite dalla legge. Le camere arbitrali infatti, per
attirare gli operatori, possono, in aggiunta ai criteri stabiliti dalla legge, stabilirne di più rigidi, al fine di
tutelare l’indipendenza dell’arbitrato. Infine si distingue tra arbitrato secondo diritto e secondo equità.
L’articolo 822 afferma che gli arbitri decidono secondo diritto a meno che le parti abbiano stabilito con
qualsiasi espressione che essi decidano secondo equità. Tale distinzione è dovuta alla maggiore
disponibilità degli arbitri verso le parti. In generale, gli arbitri decidono però secondo diritto. Cio è molto
diverso dalla decisione ex aequo et bono. Essa può intervenire solo se le parti lo abbiano espressamente
previsto nella convenzione arbitrale. Essa comporta infatti conseguenze assai diverse dalle decisioni
secondo diritto. Il diritto non sempre infatti si sposa con l’equità. Il diritto è infatti diverso dalle regole
morali e da condizioni di equità. Se però si consentisse agli arbitri di derogare al diritto senza anche ciò sia
stato loro richiesto, si uscirebbe dalla via tracciata e chiara delle norme di diritto. Solo se gli arbitri hanno
esplicitamente questa facoltà possono utilizzare l’equità. Se si viola tale limitazione, il lodo sarebbe
passibile di annullamento, in quanto essi stanno travalicando il dettato della clausola. Solo la distinzione tra
arbitrato rituale ed irrituale è esclusivamente italiana, mente le altre sussistono anche in campo
internazionale. È possibile che queste tre distinzioni, rituale-irrituale, libero-amministrato e diritto-equità, si
incrocino tra di loro, a seconda della volontà delle parti.