Diritto Internazionale Ronzitti
Diritto Internazionale Ronzitti
Diritto Internazionale Ronzitti
prof.ssa Pietrobon
1. ENTI TERRITORIALI
Ruolo primario nelle relazioni internazionali è assunto dagli enti dotati di potestà territoriale,
prima di tutto gli STATI che sono i soggetti principali del diritto internazionale. La
soggettività internazionale è propria degli Stati sovrani ed indipendenti. Non sono quindi
soggetti di diritto internazionale gli Stati federati poiché non sono indipendenti. Non è
elemento rilevante ai fini dell’acquisto di soggettività internazionale la dimensione del
territorio di uno Stato o del suo popolo. Infatti sono a pieno titolo soggetti di diritto
internazionale Stati molto piccoli. Tuttavia sorge un problema per gli Stati esigui come San
Marino ad esempio, poiché questi dipendono da terzi per la condotta delle loro relazioni
internazionali. Il dubbio della soggettività internazionale di questi Stati si basa sulla loro
mancanza del requisito dell’indipendenza, ma sono da alcuni considerati soggetti gli Stati
protetti esistiti durante il periodo coloniale. Anche i territori sotto mandato sono entità prive
di soggettività internazionale, come quelli sotto amministrazione fiduciaria. Non vanno
considerate soggetti di diritto internazionale nemmeno le autorità dotate di autonomia
all’interno di uno Stato. E’ questo il caso dell’autorità Palestinese, perché manca del
requisito dell’effettività essendo soggetta alla volontà di Israele. Oltre agli Stati sovrani e
indipendenti, altri soggetti di diritto internazionale come enti territoriali sono gli INSORTI
che hanno come obiettivo il rovesciamento del governo di uno Stato oppure la secessione
di una parte del territorio dello Stato tramite la lotta armata. Sono da ritenere enti territoriali
soltanto se questi esercitano effettivamente un controllo esclusivo su una parte di territorio
e popolazione, e non si tratti di semplici disordini interni. La loro rilevanza sul piano
internazionale è connessa al principio di effettività. Sono ENTI TEMPORANEI perché
destinati a trasformarsi in uno Stato o a sostituirsi al governo costituito, se vincono, e a
retrocedere come semplice gruppo di individui, se perdono. Per questo rispetto agli Stati
hanno una capacità internazionale limitata: gli insorti possono concludere accordi con
soggetti internazionali in base alle norme che regolano la condotta delle ostilità contro il
governo legittimo e alle norme che disciplinano l’esercizio del potere di governo degli
insorti sul territorio da loro controllato. Per quanto riguarda le facoltà del governo legittimo,
questo può: a)lecitamente reprimere l’insurrezione avendo solo come vincolo limiti di
natura umanitaria (art. 3 Convenzione di Ginevra e protocollo addizionale del 1977); b)gli
insorti non sono considerati legittimi combattenti e quindi se catturati non sono considerati
prigionieri di guerra, ma possono essere trattati come semplici criminali. Gli insorti hanno
capacità bellica limitata, non possono condurre ostilità in alto mare.
Se l’insurrezione è sconfitta il governo legittimo non è responsabile dei danni provocati dagli
insorti. Se l’insurrezione invece vince, il nuovo governo è tenuto a riparare i danni causati
dagli insorti ed è anche responsabile per i danni causati dal governo precedente. I terzi
(altri Stati) possono aiutare il governo costituito, ma non gli insorti; se lo fanno commettono
un illecito internazionale. I terzi non possono fornire armi agli insorti, ma solo al governo
legittimo.
2. ENTI NON TERRITORIALI
Governi in esilio. Vedi nella II Guerra Mondiale quando diversi governi di Stati occupati dalla
Germania si rifugiarono nel Regno Unito. E’ necessario che vi sia uno Stato disposto ad
ospitare questo ente e a permettergli di espletare le sue funzioni. Vengono considerati
soggetti di diritto internazionale quando la nuova situazione della comunità territoriale dalla
quale provengono e che aspirano a rigovernare sia in transito. Vedi nel corso di una guerra
(occupatio bellica) la quale non estingue la personalità dello stato occupato. Il governo in
esilio opera come ente fiduciario del popolo da esso rappresentato. [esempio di governo in
esilio: durante l’invasione irachena del Kuwait nel 1990, il governo kuwaitiano andò in
Arabia Saudita in esilio]. Il governo in esilio può esigere l’adempimento di accordi a favore
della popolazione per cui opera. La fine della guerra dovrebbe portare alla fine del governo
in esilio che o riesce a reintegrarsi come organizzazione centrale dello Stato da cui
proviene, o si estingue.
Comitati Nazionali all’Estero. Vedi durante la I Guerra Mondiale con il riconoscimento, ad
esempio da parte di Francia, Italia e Ragno Unito, dei comitati nazionali cecoslovacco e
polacco. Questo ente assume la gestione degli interessi di una comunità nazionale che
aspira a governare in futuro, ma che attualmente è soggetta ad un potere statale. Esistono
se c’è uno Stato in guerra contro lo Stato che attualmente governa la comunità di cui il
comitato è espressione e se c’è uno Stato terzo disposto ad ospitarli. Al comitato
dev’essere consentito di esercitare funzioni di governo sui connazionali che si trovano
all’estero. Per essere rilevante a livello internazionale deve disporre di proprie forze
armate. Questi enti divengono titolari di diritti e obblighi derivanti dal diritto bellico, possono
concludere accordi sull’impiego delle loro forze armate e in alcuni casi intrattengono
relazioni diplomatiche. Questa figura oggi ha perso d’importanza e per alcuni versi è stata
assorbita dal movimento di liberazione nazionale.
Movimenti di Liberazione Nazionale. Enti organizzati rappresentativi di un popolo in lotta per
l’autodeterminazione.
Anche questi aspirano a divenire organizzazioni di governo di una comunità territoriale. La
loro rilevanza sul piano internazionale non è legata al principio di effettività (vedi insorti),
ma al principio di autodeterminazione dei popoli; è l’ente che rappresenta un popolo
attualmente sottomesso a dominio coloniale, o razzista, o ad occupazione straniera. (es.:
movimenti di liberazione nazionale durante la decolonizzazione degli anni ’60; l’OLP -
Organizzazione per la Liberazione della Palestina).
Questi enti prendono parte ai lavori di organizzazione internazionali e partecipano a
conferenze internazionali. (L’OLP è stata osservatore all’Assemblea Generale dell’ONU ed
è stata membro della Lega Araba). Hanno inoltre capacità di concludere accordi
soprattutto per quanto riguarda lo svolgimento delle ostilità contro il governo costituito o la
costituzione del futuro Stato (vedi accordi di Oslo-Washington del 1993 tra OLP e Israele
per quanto riguarda lo status dei territori palestinesi).
La disciplina che regola le guerre di liberazione nazionale è distaccata da quella che regola le
guerre civili. Si è affermata nel diritto consuetudinario la regola per la quale il governo non
può usare la forza per privare il popolo del diritto di autodeterminazione, quindi la
repressione violenta è da considerare illecita. Ai terzi è vietato l’intervento a fianco del
governo costituito per la repressione del popolo. Alcune risoluzioni dell’Assemblea
Generale attribuiscono ai popoli in lotta per l’autodeterminazione il diritto di ricevere aiuti
da terzi Stati in una guerra di liberazione nazionale (diritto di resistenza).
3. ENTI SUI GENERIS
Santa Sede. Suprema autorità della Chiesa Cattolica. Fa parte di quella categoria di enti che
hanno caratteristiche peculiari e che sono associati alla comunità internazionale a titolo
individuale.
Ha il potere di concludere accordi internazionali (sono chiamai concordati quando hanno per
oggetto il trattamento riservato alla religione cattolica e al clero). Partecipa ai lavori di
organizzazioni internazionali (è osservatore all’AG, membro dell’OSCE e dell’AIEA e
prende parte a conferenze internazionali). Intrattiene rapporti diplomatici con i maggiori
Stati membri della comunità internazionale.
I rapporti con l’Italia sono disciplinati dai Patti Lateranensi (1929) composti da un trattato, una
convenzione finanziaria e un concordato. L’Italia riconosce la sovranità della Santa Sede
sulla città del Vaticano. La città del Vaticano assume lo stato di neutralità permanente,
rimarrà estranea alle competizioni territoriali fra gli Stati a meno che gli Stati contendenti
facciano appello alla sua missione di pace. Il 18 febbraio 1984 Italia e Santa Sede hanno
stipulato un accordo che sostituisce i Patti del 1929.
La Santa Sede in quanto ente internazionale è esente da giurisdizione nell’ordinamento
italiano. La Santa Sede (persona internazionale) è diversa dallo Stato Città del Vaticano
(dominio territoriale). Il collegamento è dato dal Papa che è autorità centrale di entrambi.
Ordine di Malta. In epoche remote ha esercitato autorità di governo su diversi territori.
Inizialmente si stabilì a Gerusalemme, poi si trasferì a San Giovanni d’Acri, poi a Cipro e a
Rodi. Dal 1530 l’ordine ebbe in feudo Malta da cui venne cacciato da Napoleone. Da quel
momento è venuto meno il suo dominio territoriale.
Intrattiene relazioni diplomatiche con alcuni Stati; è stato ammesso come osservatore
all’Assemblea Generale nel 1994; svolge funzioni di carattere umanitario sia in tempo di
pace sia in occasione di conflitti armati; emette passaporti. I rapporti tra l’Italia e l’Ordine di
Malta sono disciplinati da uno scambio di note dell’11 gennaio 1960.
Comitato Internazionale della Croce Rossa. Si è costituito nella forma di associazione di diritto
privato ai sensi del diritto svizzero.
Ha sede a Ginevra, è composto da individui nominati per cooptazione; è un ente umanitario
che promuove i “principi fondamentali ed uniformi dell’istituzione della Croce Rossa”;
opera con indipendenza politica, confessionale ed economica; svolge attività di rilievo
internazionale durante i conflitti armati: le quattro convenzioni di Ginevra del 1949
assegnano al Comitato le funzioni di organizzazione umanitaria nel caso in cui non sia
possibile affidare questi compiti alle potenze protettrici (Stati neutrali) o ad un sostituto di
queste. E’ abilitato, per quanto riguarda i conflitti armati internazionali, ad offrire i suoi
servigi alle parti in conflitto. Gli è stato attribuito lo status di osservatore presso
l’Assemblea Generale; stipula con gli Stati accordi volti a determinare lo status dei suoi
funzionari, della sede della missione e dei suoi beni.
4. ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI
Associazioni fra Stati provviste di un apparato di organi. Sono enti che nascono per volontà
degli Stati attraverso un trattato istitutivo e possono estinguersi se si afferma una volontà
in questo senso dei suoi membri.
Non sono enti di fatto, cioè originari della comunità internazionale come gli Stati, ma invece
sono enti derivati. Ci sono organizzazioni internazionali a carattere universale (es.: ONU) e
a carattere regionale (es.: UE). Hanno di regola una struttura tripartita composta da: 1.
assemblea; 2. consiglio esecutivo (entrambi sono organi collegiali composti da Stati); 3.
segretariato generale (organo individuale, non può ricevere istruzioni dagli Stati membri).
Esistono anche organizzazioni internazionali non fondate su un trattato (vedi OSCE).
Gli Stati non fondatori diventano membri delle organizzazioni mediante procedura di
ammissione. Nell’ONU questa è disciplinata dall’art. 4 della Carta. Uno Stato può essere
espulso o sospeso dall’organizzazione.
Le procedure di voto sono di diverse tipologie:
- consensus: non ha luogo una votazione formale. E’ l’assenza di obiezioni;
- unanimità: è richiesto il voto positivo di tutti i componenti dell’organo. Comporta un’espressa
manifestazione di volontà;
- maggioranza semplice: è richiesto il 50% + 1 dei componenti l’organo;
- maggioranza qualificata: sono richiesti i 2/3 dei membri presenti e votanti;
- maggioranza ponderata: ciascuno Stato, in base alla sua rilevanza (territorio e popolazione)
riceve un determinato numero di voti.
Le organizzazioni hanno capacità di concludere accordi con Stati o con altre organizzazioni
internazionali. Questa materia è regolata dalla Convenzione di Vienna del 1986.
Le organizzazioni internazionali avrebbero una limitata capacità internazionale e sarebbero
titolari di un numero limitato di situazioni giuridiche soggettive. Comunque non bisogna
confondere la personalità internazionale con la capacità di diritto interno: la prima ha per
oggetto la titolarità di situazioni giuridiche derivanti da norme internazionali, la seconda
significa che l’organizzazione degli ordinamenti degli Stati parti del trattato gode della
capacità giuridica necessaria per lo svolgimento delle sue funzioni.
La personalità internazionale dell’organizzazione non può essere data dagli Stati, e quindi dal
trattato istitutivo, ma deriva dall’ordinamento internazionale.
Le organizzazioni internazionali, a differenza degli Stati, non hanno un territorio e quindi non
godono del diritto di sovranità territoriale. Eccezionalmente sono chiamate
all’amministrazione di territori (es.: amministrazione del Kossovo da parte dell’ONU).
Non vanno confuse con le ONG (Organizzazioni Non Governative) che sono associazioni
private a carattere transnazionale il cui atto istitutivo è fondato sull’ordinamento interno di
uno o più Stati. (es.: Amnesty International; Green Peace).
5. INDIVIDUO
Ente partecipante occasionalmente alla vita di relazione internazionale. E’ difficile attribuire
personalità internazionale all’individuo vista la sua non partecipazione a nessuna della tre
funzioni dell’ordinamento giuridico internazionale, ad eccezione di una limitata capacità
per quanto riguarda l’accertamento di diritto riguardo a trattati che tutelano i diritti umani.
Si hanno due casi, in via eccezionale, in cui l’individuo si considera partecipe delle
relazioni internazionali: 1. norme in materia di protezione dei diritti dell’uomo; 2. norme
relative ai crimini internazionali.
L’ordinamento internazionale impone all’ordinamento interno di reprimere i crimini
internazionali. Il dovere di una persona di non commettere questi crimini non deriva
dall’ordinamento internazionale, ma dalla norma interna di adattamento al diritto
internazionale. Se c’è discrepanza tra ordinamento internazionale e ordinamento interno,
nel senso che un fatto è considerato crimen iuris gentium dal primo ma non è punito dal
secondo, la norma di origine internazionale deve essere comunque applicata. Questo è
confermato dall’art. 15 del Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici del 1966:
nessuno può essere punito per un fatto che non costituiva reato nel momento in cui è stato
commesso; si può essere condannati per atti che costituivano reato nel momento in cui
furono commessi secondo il principi generali di diritto riconosciuti dalla Comunità delle
Nazioni.
Capitolo 2 - Il Riconoscimento
Territorio: ambito entro cui lo Stato esercita la sua potestà di governo (imperium) ad
esclusione di altri soggetti di diritto internazionale. La potestà di governo e il connesso
esercizio esclusivo sono manifestazioni della sovranità territoriale. Il diritto internazionale
tutela questa sovranità quindi ogni attività esercitata in territorio straniero senza consenso
dello Stato territoriale è illecita.
L’imperium è diverso dal dominium, che ha connotazione privatistica.
Il diritto internazionale protegge l’integrità territoriale dello Stato.
Tra i poteri connessi all’esercizio della sovranità territoriale fa parte anche quello di cedere
parte del proprio territorio. Questo oggi deve fare i conti però con il principio di
autodeterminazione dei popoli.
Per quanto riguarda il potere di governo dello Stato nel proprio territorio vi sono comunque
dei limiti derivanti dal diritto internazionale, sia consuetudinario che pattizio. Questi limiti
riguardano in particolare il trattamento che deve essere riservato agli Stati stranieri, ai loro
organi e ai loro cittadini. Ad esempio, non possono essere sottoposti a giurisdizione stati
esteri per le loro attività iure imperii.
Il potere di imperio dello Stato incontra limiti anche per quanto riguarda il trattamento dei
propri cittadini secondo le norme di diritto consuetudinario e pattizio (trattati sulla
protezione dei diritti umani) ratificati dallo Stato.
Oggetto del diritto di sovranità territoriale sono: territorio, mare territoriale e spazio aereo
sovrastante il territorio. Nelle aree adiacenti al mare territoriale, lo Stato costiero non
esercita alcun diritto di sovranità territoriale, ma solo poteri di tipo funzionale e diritti
sovrani connessi allo sfruttamento delle risorse naturali del suolo e sottosuolo marino e
delle risorse biologiche.
La sovranità sul territorio può essere esercitata congiuntamente da due o più Stati. Vedi
“condominio”; ad esempio il caso del Sudan che tra il 1898 e il 1956 è stato condominio di
Regno Unito ed Egitto.
Un territorio può essere amministrato da uno Stato che non gode sul territorio del diritto di
sovranità territoriale. Questo territorio può essere ancora sottoposto alla sovranità di
nessuno Stato o appartenere ad uno Stato che resta titolare del nudum ius. Mandati e
amministrazioni fiduciarie non esistono più poiché tutti questi territori sono diventati
indipendenti. Oggi esistono invece casi di territori amministrati in via transitoria da parte di
Organizzazioni Internazionali.
La FRONTIERA o confine dello Stato è la linea che delimita la sovranità statale. Viene
stabilita mediante due processi: delimitazione, si precisano mediante coordinate
geografiche i limiti dell’ambito spaziale entro cui lo Stato esercita la sovranità; e
demarcazione, trasposizione di dati geografici sul terreno.
Di solito la delimitazione è un atto bilaterale tra due Stati vicini che si concretizza con la
stipulazione di un trattato internazionale. Questa può aver luogo anche ad opera di un
tribunale internazionale nel caso ci sia una controversia. Ma può anche venire in seguito
ad una risoluzione del Consiglio di Sicurezza.
E’ certo che esista una norma consuetudinaria in materia di confini statali denominata uti
possidetis, una norma nata a carattere locale che è diventata poi consuetudine generale.
E’ quindi venuto affermandosi come un principio connesso alla formazione degli Stati di
nuova indipendenza per secessione o smembramento di uno Stato federale. In questo
caso lo Stato neo indipendente eserciterà la sovranità nell’ambito dei confini che prima
della secessione o smembramento delimitavano la provincia o regione divenuta
indipendente.
Comunque a parte l’uti possidetis è dubbio se esistano altri principi di diritto
consuetudinario in questo ambito. Va ricordato che questo principio come altri utilizzati
possono essere derogati con accordo.
Servitù internazionali
E’ dubbio se in diritto internazionale esistano servitù internazionali. La prassi comunque
attesta che mediante trattato gli Stati possono dare vincoli a parti del loro territorio, che
non sono obbligatori, ma hanno il carattere della realità. In caso di successione tra Stati i
vincoli assunti dallo Stato predecessore si trasmettono al successore. Principio res transiti
cum onere suo. Ad esempio l’Italia, in base ai Patti Lateranensi, non può erigere
costruzioni intorno al territorio dello Stato Città del Vaticano.
Stato successore, è un nuovo Stato o uno Stato che accresce il proprio territorio a spese di
un altro;
stato predecessore, è lo Stato che si estingue o che subisce una diminuzione territoriale.
Possono avvenire questi casi:
• nascita di uno o più Stati su una parte di territorio dello Stato predecessore. Secessione.
(es.: Stati nati dal processo di decolonizzazione in Asia e Africa)
• nascita di uno o più Stati sull’intero territorio appartenente allo Stato predecessore e
quindi estinzione di quest’ultimo. Smembramento. (es.: Cecoslovacchia che nel 1993 si è
estinta dando vita a due Stati, la Repubblica Ceca e la Repubblica Slovacca)
• incorporazione di uno Stato da parte di un altro. Incorporazione. (es.: riunificazione
tedesca del 1990)
• trasferimento di una parte del territorio da parte dello Stato predecessore allo Stato
successore. Cessione. (es.: trasferimenti territoriali che si sono avuti dopo le due guerre
mondiali)
• fusione di due o più Stati nell’ambito di un nuovo Stato conseguente estinzione degli
Stati predecessori. Fusione. (es.: Siria + Egitto hanno dato luogo alla Repubblica Araba
Unita nel 1958)
Il mare territoriale
La sovranità di ogni Stato costiero si estende ad una zona di mare adiacente alle sue
coste, denominata mare territoriale. Sono soggetti alla sovranità dello stato anche lo
spazio aereo sovrastante il mare territoriale e il relativo letto e sottosuolo marino.
Il mare territoriale ha un limite interno e uno esterno. Il limite interno viene determinato
mediante la fissazione delle linee di base. La linea di base normale è la linea di costa a
bassa marea, quale indicata sulle carte marittime a grande scala riconosciute ufficialmente
dallo Stato costiero.
Il limite esterno del mare territoriale è determinato dallo Stato costiero entro un limite
massimo previsto dal diritto internazionale; la Convenzione del 1982 prevede infatti che
l’ampiezza di tale zona marina non possa eccedere le 12 miglia (art. 3). Il criterio delle 12
miglia deve ritenersi ormai acquisito al diritto consuetudinario ed è stato adottato anche da
Stati tradizionalmente restrittivi nel fissare l’ampiezza del mare territoriale.
La sovranità dello Stato costiero sul mare territoriale incontra i limiti del passaggio
inoffensivo e della giurisdizione civile e penale sulle navi in transito. Per passaggio si
intende il fatto di navigare nel mare territoriale per attraversarlo , senza toccare le acque
interne; il passaggio deve essere continuo e rapido: esso non comprende una facoltà di
sosta o ancoraggio.
Il passaggio è da ritenere “inoffensivo” quando non arrechi pregiudizio “alla pace, al buon
ordine e alla sicurezza dello Stato costiero”. Le navi in passaggio inoffensivo hanno
l’obbligo di rispettare le leggi e i regolamenti dello Stato costiero, in particolare in materia
di sicurezza della navigazione e prevenzione dell’inquinamento. I sommergibili devono
navigare in emersione e mostrare la bandiera. Non esiste un diritto di sorvolo del mare
territoriale: questo è ammissibile solo se consentito dallo Stato costiero.
Lo Stato costiero può sospendere il diritto di passaggio inoffensivo nel mare territoriale,
purchè la sospensione sia essenziale alla protezione della sua sicurezza. La sospensione
deve avere carattere temporaneo, non essere discriminatoria, e riguardare specifiche aree
del mare territoriale.
La giurisdizione civile e penale non può essere esercitata sulle navi da guerra, poichè
godono di immunità completa dalla giurisdizione.
Per le navi mercantili la consuetudine accorda l’esenzione dalla giurisdizione penale dello
Stato costiero per quanto riguarda i fatti “interni”, ma ammette l’esercizio della giurisdizione
penale dello Stato costiero quando si tratta di fatti che turbano la tranquillità e il buon
ordine dello Stato stesso e del mare territoriale.
Lo Stato costiero “non dovrebbe” esercitare la propria giurisdizione penale su nave
straniera in passaggio nel mare territoriale ed in relazione ad un reato commesso a bordo
della nave durante il passaggio.
Lo Stato costiero “non dovrebbe” arrestare o dirottare una nave mercantile straniera in
passaggio nel mare territoriale per esercitare la giurisdizione civile nei confronti di una
persona che si trova a bordo.
Le aree marine poste all’interno della linea di base sono acque interne, del tutto assimilate
al territorio dello Stato, dove non vige il diritto di passaggio inoffensivo.
Nelle acque che prima della chiusura erano assoggettate al regime delle acque territoriale
o dell’alto mare continua a vigere il diritto di passaggio inoffensivo.
Le baie
Le baie sono insenature che penetrano profondamente nella costa. Lo Stato costiero ha il
diritto di chiudere la baia, purchè essa non sia una mera incurvatura della costa, ma una
baia in senso giuridico.
Affinché sia considerata tale, l’insenatura deve racchiudere una superficie di acque uguale
o superiore a quella di un semicerchio avente per diametro la linea tracciata tra i punti
d’ingresso della baia. Inoltre le baie in senso giuridico possono essere chiuse solo se la
distanza tra i punti d’ingresso non superi le 24 miglia.
Una disciplina particolare vige per le “baie storiche”, le quali possono essere chiuse anche
qualora non soddisfino il criterio del semicerchio ed indipendentemente dalla loro
ampiezza. Perchè una baia possa essere considerata “storica” occorre dimostrare la
sussistenza di due elementi: un prolungato esercizio di diritti di sovranità sulle acque della
baia da parte dello Stato costiero; l’acquiescenza degli altri Stati.
La piattaforma continentale
L’istituto della piattaforma continentale costituì oggetto di riconoscimento sul piano
convenzionale nel quadro della I Conferenza sul diritto del mare del 1958. Essa riconosce
allo Stato costiero diritti sovrani sulla piattaforma continentale relativamente alla
esplorazione e sfruttamento delle risorse naturali della stessa.
I diritti dello Stato costiero sulla piattaforma continentale sono esclusivi, nel senso che
nessuno può svolgere attività di esplorazione o sfruttamento senza autorizzazione dello
Stato costiero, ed automatici, non dipendono cioè da una espressa proclamazione.
Tali diritti non pregiudicano in alcun modo lo status giuridico delle acque sovrastanti la
piattaforma, nè quello dello spazio aereo al di sopra di quelle acque.
Per quanto concerne la delimitazione della piattaforma continentale in senso giuridico, il
limite interno coincide con il confine esterno del mare territoriale. Più complessa risulta la
definizione del limite esterno della piattaforma.
La piattaforma (in senso giuridico) di uno Stato costiero comprende i fondi marini ed il
relativo sottosuolo, al di là delle sue acque territoriali, fino a 200 miglia marine dalla linea di
base a partire dalla quale è misurato il mare territoriale. Indipendentemente da ogni
considerazione di carattere geologico, la piattaforma continentale ha comunque
un’estensione minima di 200 miglia marine a partire dalla linea di base. Il limite massino è
di 350 miglia dalle linee di base oppure di 100 miglia dall’isobata dei 2500 metri.
Nell’ipotesi di sfruttamento della piattaforma continentale oltre le 200 miglia, il diritto
esclusivo dello Stato costiero subisce un’importante limitazione: lo Stato costiero è tenuto
a versare un contributo in denaro o in natura all’Autorità dei fondi marini, che dovrà
provvedere ad un’equa distribuzione dei contributi raccolti agli Stati parte della
Convenzione, tenendo conto degli interessi degli Stati in via di sviluppo.
Fa parte del diritto internazionale consuetudinario la regola secondo cui i diritti dello Stato
costiero sul suolo e sottosuolo adiacente alle proprie coste si estendono fino a 200 miglia
dalle linee di base, indipendentemente dalla presenza di una piattaforma continentale in
senso geologico.
La convenzione del 1982 stabilisce che “la delimitazione della piattaforma continentale tra
Stati frontisti o limitrofi è effettuata mediante accordo conformemente al diritto
internazionale in modo da pervenire ad una soluzione equa”.
Gli Stati-arcipelago
La Convenzione del 1982 ha introdotto uno speciale regime per gli Stati-arcipelago e le
acque arcipelagiche. E’ uno Stato-arcipelago quello costituito interamente da uno o più
arcipelaghi ed eventualmente da altre isole. Per arcipelago si intende un gruppo di isole le
quali hanno le une con le altre rapporti così stretti da formare intrinsecamente un tutto
geografico, economico o politico, o che storicamente siano considerate tali.
Non rientrano nello speciale regime previsto dalla Convenzione gli arcipelaghi
appartenenti a Stati formati anche da territori non insulari.
Gli Stati-arcipelago possono tracciare delle linee di base rette che congiungano i punti più
estremi delle isole o degli scogli emergenti dell’arcipelago. La chiusura è ammissibile
purchè il tracciato delle linee rette includa al suo interno le isole principali dell’arcipelago, e
la proporzione tra le acque racchiuse dalle linee e la superficie terrestre sia tra uno a uno
e nove a uno. Inoltre, la lunghezza delle singole linee rette non può essere superiore a 100
miglia marine.
Uno Stato che si proclami Stato-arcipelago guadagna vaste aree marine, poichè tutte le
zone di giurisdizione sono calcolate a partire dalle linee rette arcipelagiche.
Nelle acque arcipelagiche vige il diritto di passaggio inoffensivo a favore delle navi
straniere: si applica il diritto di passaggio arcipelagico, il quale è praticamente assimilabile
al diritto di passaggio in transito attraverso gli stretti. Esso infatti comprende il diritto di
navigazione e di sorvolo senza impedimento e, per i sommergibili, quello di transito in
immersione. Il diritto di passaggio arcipelagico si applica nondimeno alle rotte
normalmente utilizzate per la navigazione internazionale.
Capitolo 7 - La tutela dell’indipendenza statale nell’ordinamento degli Stati esteri
1. Degli Stati
2. Degli organi dello Stato
3. Degli agenti diplomatici
4. I consoli
5. Le organizzazioni internazionali
L’art. 38 par. 1 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia (organo dell’ONU)
afferma la funzione di questa di decidere in base al diritto internazionale le controversie
che le sono sottoposte applicando:
1. convenzioni internazionali (accordi), sia generali che particolari, che stabiliscono norme
espressamente riconosciute degli Stati in lite;
2. la consuetudine internazionale, come prova di una pratica generale accettata come
diritto;
3. i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili;
4. le decisioni giudiziarie e la dottrina dei più autorevoli autori.
L’art. 38 è considerato come l’autorevole enunciazione delle fonti di diritto internazionale e
deve essere preso in considerazione insieme all’art. 53 della Convenzione di Vienna sul
diritto dei trattati (1969) che ha riconosciuto l’esistenza di norme imperative del diritto
internazionale generale o ius cogens (ossia non sono prodotte da un’autonoma fonte del
diritto internazionale, ma questa cogenza è una qualità di alcune norme prodotte dalla
consuetudine. Sono norme che trascendono il diritto dei trattati investendo altri settori del
diritto internazionale).
Atti unilaterali
Un atto unilaterale è una manifestazione di volontà non destinata ad incontrarsi con quella
di un altro soggetto e non ha valore pattizio. Deve essere previsto da una norma
dell’ordinamento di natura pattizia o consuetudinaria. Caratteristica degli atti unilaterali è
l’atipicità.
Gli atti unilaterali disciplinati dal diritto pattizio sono:
- la denuncia o recesso, atto con cui ci si scioglie dai vincoli contrattuali previsti dal trattato.
Il trattato disciplina le modalità di questo recesso e quando avrà effetto. Se il trattato non
contiene nulla in merito questo è ammissibile secondo la Convenzione di Vienna sul diritto
dei trattati.
- la requete, atto con cui si mette unilateralmente in moto il procedimento davanti ad un
organo giurisdizionale come ad esempio la CIG. Questo presuppone l’esistenza di una
clausola compromissoria inserita in un trattato con la quale le parti convengono che ogni
controversia nata in relazione all’interpretazione del trattato possa essere deferita alla
competenza di un organo giurisdizionale incaricato.
Gli atti disciplinati dal diritto consuetudinario sono :
- il riconoscimento, con questo atto un soggetto riconosce come conforme a diritto una
certa situazione, con la conseguenza che con questo dovrebbe essere preclusa poi la
facoltà di contestarne l’illegittimità.
- la rinuncia, un soggetto manifesta la volontà di non avvalersi di un diritto soggettivo a lui
spettante. Può essere esplicita oppure desunta.
- l’acquiescenza, conseguenza della mera inerzia del soggetto di fronte ad una situazione
che tocca i suoi interessi. E’ il silenzio di chi avrebbe dovuto prendere posizione in ordine
ad una determinata situazione.
- la protesta, non si riconosce come conforme a diritto una determinata pretesa. Si
impediscono le conseguenze che potrebbero derivare dall’acquiescenza.
- la promessa, atto con cui uno Stato si impegna a tenere un certo comportamento o si
obbliga ad astenersi dal farlo.
- la notifica, si rendono “consapevoli” uno o più soggetti di diritto internazionale
dell’esistenza di determinati fatti o situazioni. Il soggetto che l’ha ricevuta non può quindi
ignorare l’esistenza del fatto o situazione.
- l’estoppel, figura del diritto anglosassone, impedisce di rendere priva di effetti una
dichiarazione effettuata da uno Stato nei confronti di un altro, quando la dichiarazione è a
vantaggio dello Stato dichiarante e a svantaggio dell’altro Stato. Lo Stato dichiarante è
precluso dal contestare la sua dichiarazione e dal far valere una pretesa in contrasto con
essa.
Capitolo 9 - Diritto dei trattati
I trattati multilaterali entrano in vigore dopo un certo numero di ratifiche che di solito viene
indicato.
E’ dal momento dell’entrata in vigore del trattato che chi non segue quanto stabilito
commette un illecito internazionale. Il trattato entra in vigore dopo l’ultimo deposito dello
strumento di adesione ed è specificato un lasso di tempo dopo l’ultima deposizione.
La conclusione in forma semplificata o solenne dipende dall’ordinamento interno dello
Stato:
- conclusione del trattato
- organi che cooperano per la conclusione dei trattati
- in quale modo le norme di diritto internazionale entrano a fare parte dell’ordinamento
interno.
Le riserve
[Art. dal 19 al 23 della Convenzione sul diritto dei trattati tra Stati e organizzazioni
internazionali]
La prassi delle riserve si sviluppa dopo la II Guerra Mondiale in occasione di una
convenzione multilaterale sui diritti umani. I nuovi Stati che aderivano successivamente a
queste convenzioni, il cui testo era già concluso, non potevano modificarlo. Nacque così la
pressi delle RISERVE: dichiarazione unilaterale che lo Stato fa quando aderisce al trattato,
al momento di depositare lo strumento di accettazione.
La riserva può essere eccettuativa, ossia lo Stato che la pone mira ad escludere
l’applicazione di una clausola del trattato, oppure interpretativa, ossia volta a conferire una
certa interpretazione alla clausola del trattato.
La giustificazione del fatto di poter aderire al trattato tramite riserva è che facendo così si
attirano più Stati nell’ambito di partecipazione al trattato.
La pratica delle riserva non c’è nel diritto interno, la riserva può essere apposta solo ai
trattati multilaterali.
Vige il principio della flessibilità: se il trattato ammette riserve, queste sono sempre
ammissibili; se il trattato non le ammette, non sono ammissibili. Tuttavia quando il trattato
non dice nulla a riguardo non è più necessario che la riserva sia accettata da tutte le altre
parti, ma è sufficiente che uno Stato contraente accetti la riserva affinchè lo Stato che l’ha
posta possa divenire parte del trattato. Questo sistema è stato consacrato dalla CIG,
relativamente alle riserve alla Convenzione sul genocidio, che ha anche affermato il
principio secondo cui sono inammissibili le riserve incompatibili con l’oggetto e lo scopo
del trattato.
L’art. 19 della Convenzione del 1969, espressione del diritto consuetudinario, dispone che
si può fare riserva:
1. se la riserva non è esclusa dal trattato;
2. se il trattato non disponga che solo alcune riserve sono ammesse;
3. nei casi diversi, se la riserva non è incompatibile con l’oggetto e lo scopo del trattato.
A decidere l’incompatibilità o meno della riserva spetta ad un ente a cui tutti gli stati
abbiano dato questa competenza e questo deve essere previsto dal trattato.
Se il trattato non dice nulla ogni singolo Stato può manifestare la sua opinione circa
l’accettazione della riserva; all’interno del trattato multilaterale si creano rapporti a due a
due tra gli Stati. I rapporti contrattuali che si possono instaurare tra uno Stato riservante e
un altro Stato sono:
- nei rapporti tra Stato riservante e Stato accettante, il trattato si applica ad eccezione della
clausola oggetto della riserva;
- nei rapporti tra Stato riservante e Stato obiettante, il trattato non dovrebbe entrare in
vigore tra questi due Stati, però il trattato può lo stesso entrare in vigore se lo Stato
obiettante non è nettamente contrario all’entrata in vigore del trattato con riserva;
- nei rapporti tra Stati non riservanti il trattato si applica regolarmente.
Art. 21, parla delle riserve e delle obiezioni alle riserve; tra gli Stati che non hanno fatto
riserva il trattato si applica nella versione integrale. L’obiezione posta dallo Stato non vale
se lo Stato non dice esplicitamente che non vuole che si faccia entrare in vigore il trattato.
Art. 22, le riserve e le obiezioni possono essere ritirate.
Art. 23, le procedure per l’accettazione, l’obiezione e il ritiro devono essere formulate per
iscritto e comunicate agli Stati contraenti.
Art. 20 par. 5, prevede i casi in cui ci siano Stati che non dicono nulla. Poichè
l’accettazione può essere tacita, se trascorrono dodici mesi dalla conoscenza della riserva
senza che ci sia un’obiezione, allora la riserva viene accettata.
Ora qual è la prassi? La prassi riporta episodi di riserve tardive presentate dagli Stati dopo
la ratifica; questo non sarebbe possibile. Dovrebbero essere formulate al momento della
firma o in occasione della ratifica o adesione.
Estinzione
Art. 54: l’estinzione o il recesso di una parte può avvenire in conformità alle disposizioni
del trattato o in ogni momento per consenso di tutte le parti. (Il recesso può avvenire
quando lo stesso trattato lo prevede con la clausola di recesso. Se avviene quando non è
previsto è illecito).
Art. 56: in un trattato che non contenga disposizioni relative alla sua estinzione e che non
preveda possibilità di recesso, questi sono ammissibili solo quando possono essere
dedotti dalla natura del trattato o quando risulti dalle intenzioni delle parti contraenti.
Art. 60: per inadempimento (“inadimplenti non est adimplendum”). In caso di
inadempimento le parti innocenti possono decidere quali parti del trattato sospendere nei
confronti dell’inadempiente per poi farlo tornare in vigore o estinguerlo del tutto. Il limite è il
principio di proporzionalità.
Non si possono sospendere le parti di un trattato che riguarda la tutela dei diritti umani e in
particolare al divieto di rappresaglie.
Art. 61: estinzione per impossibilità sopravvenuta di esecuzione. Questa impossibilità di
esecuzione risulta dalla scomparsa o dalla distruzione definitiva di un oggetto
indispensabile all’esecuzione del trattato.
Art. 62: mutamento sostanziale delle circostanze esistenti al momento della conclusione
del trattato (se questo cambiamento trasforma radicalmente la portata degli obblighi da
adempiere). Sopravvengono condizioni traumatiche per cui la situazione esistente al
momento della conclusione del trattato cambia radicalmente. Se il cambiamento di queste
circostanze fosse stato presente l’accordo si sarebbe concluso in modo diverso. Clausola
rebus sic stantibus: può essere invocata sia come causa di estinzione che di sospensione
se: si ha un cambiamento fondamentale rispetto alle circostanze esistenti al momento
della conclusione del trattato, il cambiamento non era stato previsto, le circostanze hanno
costituito una base essenziale per la stipulazione del trattato, o un cambiamento trasformi
radicalmente la portata degli obblighi da adempiere.
Non può essere invocata quando: il cambiamento è dovuto a una violazione del diritto
internazionale imputabile alla parte che invoca l’estinzione o la sospensione, o quando si
tratta di un trattato che fissa un confine.
Sono frequenti i casi in cui gli Stati si sono avvalsi di questa regola, ma sono pochi quelli in
cui si è ritenuto ci fossero i presupposti.
Art. 64: sopravvenienza di una nuova norma di ius cogens. In questo caso qualsiasi
trattato esistente in conflitto con tale norma diventa nullo o si estingue.
La guerra è causa di estinzione? Non c’è una risposta definitiva, vanno considerati i casi
singolarmente. Può essere che una guerra sia una causa di cambiamento radicale delle
condizioni. I trattati sui diritti umani non vengono estinti da una guerra. Può accadere
anche che il trattato resti sospeso durante la guerra e che alla fine di questa venga
rimesso in essere.
a
Capitolo 11 - Soluzione controversie
b
Capitolo 12 - L’individuo e la tutela dei diritti dell’uomo
c
Capitolo 13 - Responsabilità internazionale
d
Capitolo 14 - Il divieto dell’uso della forza
e
Capitolo 15 - La sicurezza collettiva
- Il capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite e il sistema di sicurezza collettiva
- L’intervento armato da parte del Consiglio di Sicurezza
- Le operazioni per il mantenimento della pace
- L’uso della forza autorizzato dal CdS
- Il problema della liceità delle operazioni per il mantenimento della pace intraprese al di
fuori delle Nazioni Unite
- Le organizzazioni regionali
Capitolo 16 - I conflitti armati e il disarmo