Melanconia e Letteratura
Melanconia e Letteratura
Melanconia e Letteratura
Haven, Connecticut, U.S.), Belgian-born literary critic and theorist, along with
Jacques Derrida one of the two major proponents of deconstruction, a controversial
form of philosophical and literary analysis that was influential within many
academic disciplines in the 1970s and ’80s.
Il termine melanconia è considerato desueto nell'uso corrente, e sostituito dalla
più familiare parola malinconia, che gli si ritiene equivalente. Eppure, come
insegna la chiosa della dotta introduzione del libro che ci apprestiamo a
recensire, la distinzione ortografica dei due termini, che in fondo si riduce a un
semplice scambio doppio di vocali, prelude a una ben più importante difformità
semantica, che rende cruciale il titolo dell'antologia curata da Roberto Gigliucci,
La melanconia, appunto, e che ne qualifica e in qualche misura determina il
contenuto.
La parola melanconia infatti non allude qui soltanto a un male "antico", come gli
echi del termine che lo denota, ma a una malattia appunto, più che a un semplice
stato d'animo: quest'ultimo va inteso come una sensazione momentanea, e non come un
malessere cronico. Già Robert Burton nel suo celeberrimo Anatomy of melancholy
(1621) afferma che Melancholy, the subject of our present discourse, is either in
disposition, or habite (la malinconia, l'argomento di questa nostra dissertazione,
è una disposizione o una abitudine): la prima, la malinconia intesa come stato
d'animo, non è una vera e propria malattia, ma piuttosto un malessere transitorio,
una indisposizione cagionata da cause esterne, emotive o fisiche, e alla quale
tutti gli uomini sono soggetti: Melancholy in this sense is the character of
mortality leggiamo ancora nel trattato di Burton, la fortunatissima summa
elizabettiana della melanconia nelle sue più variegate accezioni.
Trattandosi di un'opera pubblicata nella collana dei Classici italiani della BUR,
nel libro troviamo essenzialmente scene dalla storia della letteratura della nostra
lingua, con alcuni frammenti di malinconia europea, sapientemente scelti: oltre al
proemio del celeberrimo ed irrinunciabile libro di Burton, vediamo passare
Montaigne, Milton, Keats, Baudelaire. Non possiamo quindi rimproverare al curatore
omissioni anche evidenti, pensiamo a certo filone della letteratura e filosofia
tedesca, come pure alle pagine malinconiche e disilluse dei grandi del siglo de
oro: possiamo al più augurarci che una antologia delle tetre ombre della melanconia
nella letteratura e nella poesia europee sia redatta con la stessa cura di questa
in un prossimo futuro.
Il primo dato che si rileva scorrendo le pagine del volume è come le accezioni del
termine melanconia siano mutate nel corso dei secoli: il libro di apre con degli
esempi di "tristezza medievale" legata alla vita solitaria e cenobitica del monaco
e dell'eremita alto-medievale: nell'epoca patristica il contemptus mundi era un
tema diffuso e una abitudine praticata, tanto da richiedere una spiegazione per i
monaci meno "motivati" sul come combattere i vizi che potevano derivare dalla loro
vita di reclusi: un esempio tratto da Giovanni Cassiano, che scrive a metà del
quinto secolo, serve allo scopo.
Dopo questo preludio tratto dal mondo tardo-antico, si passa alla malinconia nel
medioevo italiano, l'età di Dante per essere precisi, che è invece in gran parte
malinconia amorosa, e gli esempi sono tutti poetici seppure con accenti difformi:
dalla ferocia di Cecco Angiolieri, che incarna il malinconico iracondo, a Dante,
ovviamente, a esempi meno noti come un sonetto di Nicolò de Rossi, poeta "minore"
trevigiano. Una caratteristica preziosa del libro di Gigliucci è infatti la
naturalezza con la quale accanto ai grandi e a brani famosi si accostano autori che
il grande pubblico non ha sicuramente presenti, e le cui opere per molti
costituiranno delle piacevoli scoperte.
Ci piace porre l'accento su questa notevole caratteristica del libro, e cioè quella
di utilizzare, ove necessario, per le opere scritte in latino o in altre lingue
traduzioni che siano il più possibile vicine all'epoca, e quindi alla sensibilità,
degli originali: questa modalità di lettura permette di evitare la frattura
cronologica, a volte traumatica, fra il tempo della scrittura e il tempo della
lettura, mantenendo in un certo senso più intatto il contesto dell'opera. Basti per
questo leggere la traduzione del Rezzonico del Penseroso di Milton rubricata nella
sezione Europa melanconica.
Non per questo diremo che Gigliucci è andato fuori tema nelle sue scelte: già
lettori ed estimatori di un suo libro proprio sulla tematica della morte e del
macabro nell'epoca tardo-medievale abbiamo potuto cogliere le differenze e la
tonalità specificatamente melanconica nel caleidoscopio barocco dei brani
presentati nella parte centrale del libro che stiamo recensendo.
Molte pagine del libro sono dedicate alla figura del Tasso, la cui "pazzia"
configura un esempio eccellente di umore melanconico sul quale gli autori seguenti,
da Montaigne a Goldoni, hanno riflettuto, si sono immedesimati, e del quale hanno
provato infine orrore, repulsione, pietà. Nella figura del Tasso l'aforisma dello
pseudo-Aristotele trova forse la sua massima espressione, il suo apice, e infatti
Tasso figura in questo libro più come personaggio che come autore.
Una mancanza che forse possiamo trovare nella disamina di Gigliucci è proprio il
riferimento all'immaginario demoniaco dell'epoca barocca, che tanta influenza avrà
ad esempio sulla letteratura anglosassone dell'epoca romantica: certe pagine del
Monaco di Lewis figurerebbero bene nel libro, come pure alcune considerazioni dei
trattatisti seicenteschi che si occupavano di streghe e della loro persecuzione.
Gli Enciclopedisti faranno esplicito riferimento alla credenza dei très-mauvais
philosophes secondo i quali l'ossessione demoniaca può essere causa di melanconia.
E in effetti un altro frammento di immaginario che viene in mente è quello
diametralmente opposto dell'Illuminismo: nell'Encyclopédie (1751-1772) la voce
relativa a Melancholie è già seccamente e tassonomicamente scientifica: vi si legge
che la melanconia è une maladie [...] sans fievre ni fureur, en quoi elle differe
de la manie & de la phrénesie (una malattia [...] senza febbre né agitazione dal
che differisce dalla mania e dalla frenesia). Esemplare della melanconia
illuministica potrebbe essere il periodo oscuro che Giuseppe Luigi Lagrange, il
grande matematico torinese, ha vissuto nei suoi primi anni parigini (proprio nel
periodo della Rivoluzione francese): una melanconia ben descritta dai suoi
illuminati contemporanei.
Encyclopédie, ou dictionnaire raisonné des sciences, des art set des métiers,
Parigi, 1751-1772, on line sul sito http://diderot.alembert.free.fr.
Robert Burton, Anatomy of Melancholy, what it is, with all the kinds, causes,
symptomes, prognostickes and severall cure of, Henry Cripps, Oxford, 1638 (prima
ed. 1621), disponibile in rete al sito http://bnf.gallica.fr. Non ne esiste una
traduzione italiana se non dell'introduzione, tradotta da Giovanna Franci, a cura
di Jean Starobinski, Anatomia della malinconia, Marsilio, Venezia, 1994.
Cesare Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, Einaudi, Torino, 1951.
Jean Starobinski, Storia del trattamento della malinconia dalle origini al 1900,
Guerini e Associati, Milano, 1990.