Amplificatori LNA
Amplificatori LNA
Amplificatori LNA
3.1 Introduzione
In questo capitolo sono trattati gli amplificatori a basso rumore (LNA), la realizzazione dei
quali è legata all’esigenza di dover amplificare i segnali molto deboli che giungono all’antenna
(anche -110 dBm) cercando di non deteriorare il rapporto segnale-rumore, di per se già molto basso
(dell’ordine dei 20 dB), lavorando cioè con un fattore di rumore il più possibile vicino all’unità. Si
tratta quindi di stadi in generale molto semplici, per via del fatto che una maggiore complessità
comporta un maggior numero di componenti e, quasi certamente, un rumore più elevato.
Si analizzeranno in dettaglio le caratteristiche che distinguono questo particolare amplificatore
dagli altri studiati in precedenza, dai quali differisce per la metodologia di progetto e per i parametri
che ne definiscono le prestazioni.
RS
vS vi AMP. ZL vo
Pi Po
Po
AP = (3.1)
Pi
da cui:
AP =
[
1 2 ⋅ Re Vo ⋅ I o* ]V
= o ⋅
Re[YL ]
2
[
1 2 ⋅ Re Vi ⋅ I i
*
]Vi Re[Yi ]
(3.2)
Re[YL ]
AP ( dB ) = AV ( dB ) + 10 log
Re[Yi ]
(3.3)
Dalle (3.2) e (3.3) si vede che i due guadagni sono uguali quando si ha Re[YL] =Re[Yi]. Come
già detto, parlando di LNA si parla di guadagni di potenza, i cui tipici valori richiesti possono
variare da 12 dB a 20 dB. É difficile guadagnare molto, sia per problemi di rumore che di linearità e
stabilità. In effetti un guadagno di 20 dB può sembrare piccolo ma si deve tener presente che esso
attenuerà il rumore degli stadi successivi (di un fattore pari al suo quadrato).
3.2.3 Rumore
Si è già parlato del rumore nel capitolo precedente, in quest’ambito quello che interessa è
rendere la figura di rumore molto piccola. Essa dipende molto dalle tecnologie e di volta in volta
quindi, a seconda delle applicazioni, si preferisce lavorare con la tecnologia bipolare o con quella ad
arseniuro di gallio (GaAs) che garantisce grandi riduzioni del rumore generato nei dispositivi. I
tipici valori per la figura di rumore vanno da 2 dB a 3 dB.
3.2.4 Linearità
Il THD non ha grande peso nel processo di demodulazione perché, anche se vengono generate
armoniche di ordine superiore, ci sarà sempre un filtro a banda stretta che provvederà ad eliminarle.
La distorsione che crea problemi è invece quella di intermodulazione. Può accadere, infatti,
che il canale da ricevere sia di livello piuttosto basso e che nelle vicinanze (anche a distanza di 7, 8
canali) vi siano canali con livelli di potenza molto più alti.
In questo caso, per effetto dell’intermodulazione, questi ultimi generano delle componenti
spurie che possono sovrapporsi al canale desiderato:
Segnale distorcente
Segnale utile
Spuria Spuria Spuria
Banda di interesse ω 2
2
Fig. 3.2 Distorsione di intermodulazione
Naturalmente ci si preoccupa solo delle spurie in banda e di quanto esse possano andare a
degradare il segnale utile. Si parla di distorsione di intermodulazione considerando una
caratteristica di trasferimento del tipo:
Una rete lineare sarà caratterizzata dall’avere tutti i coefficienti nulli ad esclusione del primo
mentre in una generica rete non lineare potranno essere presenti tutti i termini.
Se il segnale d’ingresso fosse un solo canale (rappresentato da una sinusoide alla frequenza ω1)
non avremmo problemi di distorsione alcuna, perché le componenti spurie che genererebbe la (3.4)
cadrebbero tutte fuori banda utile.
I problemi nascono invece quando ci sono più canali contigui . Vediamo qualcosa in dettaglio e
consideriamo due sinusoidi (toni), aventi appunto frequenze prossime e uguale ampiezza per
semplicità:
Quando questo somma viene amplificata ogni coefficiente della (3.4) dà luogo a componenti
spurie di varia frequenza secondo lo schema:
a1 ω1 , ω2
a2 2ωτ22≤2≡
ω≡22≤2×
ωτ22/2ω≡′≤2×
ωτ22Ι2ω≡′
ασ ψψ≤2×≡
ωτ22Ι2ω≡′ 2≤2×≡ Ι2ωτ ′≤2
ω≡222
2
Figura 3.3 Schematizzazione delle spurie generate dai coefficienti della (3.4)
Come si può notare le uniche componenti che cadono in banda sono dovute ai coefficienti di
ordine dispari. Spesso nel considerare questi effetti ci si ferma al termine di terzo grado, poiché
quelli di grado superiore hanno livelli di potenza decrescenti, si parla allora di spurie del terzo
ordine.
In effetti il termine a3 introduce tra le altre, due componenti spurie (2ω1 - ω2) e (2ω2 - ω1) che
cadono in banda e che alterano il segnale: la distorsione di intermodulazione è proprio questa. Per
quantificarla definiamo di seguito una serie di parametri appositi.
Ao (dBm)
Ao1
IM3
Ao3
(2ω1−ω2) ω1 ω2 (2ω2−ω1) ω
Le ampiezze dei due toni e delle relative spurie sono date dai fattori di amplificazione della
(3.4), e possiamo scrivere:
Ao1 = a1 Ai (3.6)
Ao3 = ka3 Ai
3
(3.7)
Ao1
IM 3 = 20 ⋅ log = ( Ao 3 ) dB − ( Ao1 ) dB (3.8)
Ao 3
Dalla (3.6) e (3.7) si vede che il valore di IM3 dipende dall’ampiezza dei toni in ingresso e
questo ne lede la generalità.
Queste espressioni sono delle rette che hanno diversa pendenza, rappresentandole in un grafico
si scopre qualcosa di interessante:
(Ao)dBV
IM3
a1
Ao3
Le due rette hanno validità solo per Ai non elevati, ma estrapolandone l’andamento si incrociano
in corrispondenza di un particolare Ai, che chiamiamo proprio IP3 .
Ai* è un generico valore dell’ampiezza e dallo stesso grafico possiamo quantificare
agevolmente anche la IM3 corrispondente; nelle applicazioni a radio frequenza di fatto IP3 è
preferito ad IM3, ma come visto i due sono tra loro dipendenti.
Cerchiamo adesso una relazione semplice che li leghi, partiamo dalla (3.8) e sostituiamo i
valori di Ao1 ed Ao3 espressi nelle (3.9) e (3.10):
IM 3
IP3 = ( Ai ) dB − (3.13)
2
Da questa espressione si vede chiaramente che quando Ai coincide con IP3 allora IM3 è nullo,
questo suggerisce un modo alternativo per definire la distorsione di intermodulazione: IP3
rappresenta il valore dell’ampiezza in ingresso tale da rendere nullo IM3.
Capitolo 4 Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici 28
AP (dB)
1 dB
P1dB Pi
Fig. 3.6 Definizione della grandezza P1dB
βF
RSOPT = 1 + 2 g m rb (1.43) F M IN
gm
FO
1 + 2 g m rb
FMIN = 1 + (1.44) ( IC \A E ) * I C \A E
βF
Figura 1.13 Andamento della FMIN
Un transistore in queste condizioni ottimali di lavoro presenta una figura di rumore pari ad
Fo, come riassunto dalla figura seguente:
Capitolo 4 Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici 29
(IC/AE)OPT
FMIN = Fo
RSOPT Ri
Spontaneamente però non siamo mai in una condizione così favorevole, e anche se lo
fossimo dovremmo ancora risolvere il problema dell’adattamento. Questo consiste nel duplice
problema che sia l’impedenza della sorgente che quella d’ingresso del BJT sono diverse in genere
da RSOPT .
Adesso aggiungiamo una informazione in più ovvero possiamo variare la RSOPT agendo sulla
corrente di collettore, in particolare possiamo fare in modo di farla coincidere con l’impedenza della
sorgente (antenna) che solitamente è di 50 Ω. Così facendo abbiamo risolto parte del problema
dell’adattamento. Guardando la (1.43) ci si accorge infatti che la RSOPT ha un andamento iperbolico
al variare della IC , e ci sarà una IC* tale da rendere RSOPT = 50 Ω:
R SO P T
50 Ω
IC * IC
Alla luce di quanto detto, per un generico transistore, possiamo scegliere come corrente di
collettore proprio la IC*, e successivamente definire l’area d’emettitore in modo da avere una
densità di corrente di collettore pari a (IC/AE)OPT; così facendo il transistore avrà come figura di
rumore Fo collegandolo direttamente alla sorgente. La figura seguente mostra schematicamente
questo modo di procedere.
Capitolo 4 Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici 30
IC *
(I C /A E ) OP T
Zi
Rispetto a quanto detto nel primo capitolo adesso abbiamo un’informazione in più:
possiamo scegliere RSOPT = 50 Ω.
Non abbiamo però ancora adattato, dobbiamo poter fare in modo che anche Zi sia di 50 Ω,
ovvero dobbiamo trovare un modo per variare l’impedenza del transistore. Questo problema si
risolve in due step: inserendo dapprima un induttore sull’emettitore in maniera tale da avere
Re[Zi]=50 Ω, e poi inserendone un altro sulla base per annullare la parte immaginaria ovvero per
fare in modo che Im[Zi] =0.
Vediamo prima l’induttore sull’emettitore:
Zi LE
1
Z i = rb + ω t ⋅ LE + j ω ⋅ LE − (3.15)
ω ⋅ Cπ
R S − rb
LE = (3.16)
ωt
Capitolo 4 Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici 31
La frequenza non compare esplicitamente in questa formula e si dice che la parte reale è
adattata a larga banda.
A questo punto secondo la (3.15) abbiamo una parte immaginaria ovviamente indesiderata
che, visti i valori in gioco, è prettamente capacitiva. Per annullarla inseriamo un nuovo induttore
questa volta sulla base:
LB
Zi LE
Figura 3.11 Inserimento degli induttori per variare l’impedenza d’ingresso di un BJT
1
LB = − LE (3.17)
ω Cπ
2
VCC
RL
LB vo
RS
Zi LE
vS
Il transistor adesso è adattato ed è anche nelle migliori condizioni per il rumore. Questo
schema non viene più usato retroazionato come si faceva in banda base, proprio perché dobbiamo
lavorare con alte frequenze, il guadagno complessivo ( trascurando gli induttori ) sarà dunque:
IC
A = g m ⋅ RC = RC (3.18)
VT
VT R
IC = k ⇒ A=k C (3.19)
R R
Per ottenere la IPTAT usiamo una variante del band gap di Widlar:
VCC
R4
Q4 Q5
VR IB
R2 R3 R*
Q3 NIB
Q1 Q2 Q7 Q8
1:N
R1 R5 R5/N
VEE
Questo circuito fornisce la corrente polarizzazione voluta per avere il guadagno stabile,
adesso bisogna prestare attenzione a come inserire la sorgente e polarizzazione:
VCC
RC
IPTAT vi
vo
C1
RB1 RB2
Q1 Q2
CB
VEE
Figura 3.14 Polarizzazione di un LNA
I resistori RB1 e RB2 sono stati introdotti per non modificare l’adattamento, altrimenti dalla
base di Q2 si vedrebbe 1/gm come resistenza e tutto il lavoro fatto per l’adattamento andrebbe perso.
I due resistori comunque non alterano lo specchiaggio tra Q1 e Q2, se infatti la relazione tra
le aree è AE2 = nAE1, basta rispettare la condizione:
R B1 I B 2
R B1 I B1 = R B 2 I B 2 ⇒ = =n (3.20)
R B 2 I B1
R B 2 >> Z i (3.21)
1
<< jωLB (3.22)
jωC1
Cµ
LN A
ω LO
La frazione di segnale che ritorna in ingresso non deve essere eccessiva, ed è appunto una
specifica da rispettare nel progetto.
RL
R1 vo
VB
Q2
C1 R2 1
vi Q1
VEE
La frazione di segnale che si riporta in ingresso è ora trascurabile in quanto al nodo 1 abbiamo
bassi livelli di tensione, anche l’impedenza d’ingresso non viene più alterata perché come sappiamo
l’effetto Miller si è ora di molto ridotto. Inoltre il rumore proveniente dal secondo transistore e dai
resistori di polarizzazione viene ammazzato dalla capacità C1.
VCC
RC RC
vo
Q3 Q4
VB
Q1 Q2
vi
IEE
Zi
VEE
I1 I2
V1 1:n
V2 = nV1 Z2
Z1
V1 V2 1 Z
Z1 = = = 22 (3.23)
I1 n nI 2 n
Nel nostro caso basta allora prendere un rapporto di specchio 1:√2. Lo schema del circuito
completo di trasformatore sarà dunque:
Capitolo 4 Mixer, modulatori e moltiplicatori analogici 36
V CC
RC RC
Q3 Q4
R2
VB
L C1
Q1 Q2
1:√2
RS
vs IEE
C2 R1
V EE
LNA LNA
50Ω
Figura 3.18.a LNA seguito dal mixer Figura 3.18.b LNA seguito dal filtro
La seconda soluzione è invece la più diffusa, e se è vero che impiego due filtri invece di uno,
e che non posso integrare insieme LNA e mixer si riesce invece ad ottenere figure di rumore più
basse che nel caso precedente.
I filtri però sono progettati per lavorare bene solo in condizioni di adattamento e vogliono
vedere ai loro morsetti impedenze standard di 50Ω. L’uscita di un LNA è invece ad un livello più
alto per motivi di guadagno, dovremo dunque adattare abbassando l’impedenza d’uscita
dell’amplificatore .
Dovremo dunque adattare abbassando l’impedenza d’uscita dell’amplificatore, e questo si
realizza inserendo una capacità opportuna in parallelo ad RC, ed un induttore, per annullare la parte
immaginaria:
L1 C2
RC RL
C1
Z2
1 1
C1 = (3.24)
ωo RC R L
1
L1 = RC R L (3.25)
ωo
Z2
RC
RL
ωo ω
VCC
RC
Q3
VB Q2
vo
RF
vi Q1 IB3
VEE
Fig. 3.21 LNA retroazionato in connessione cascode
Fra i possibili modi di retroazionare questo è quello che permette di evitare un’interazione della
RC, che fissa il guadagno, con la RF che realizza il feedback. L’ammettenza d’ingresso è:
−1
RF
+ jω ⋅ (Cπ 1 + C µ1 ) ≅ m1 C + jω ⋅ (Cπ 1 + C µ1 )
g R
Yi = rπ 1 || (3.26)
g m1 RC RF
Fissato il guadagno si può quindi scegliere la RF, indipendentemente dagli altri parametri, per
avere l’ammettenza desiderata. Se RS è la resistenza della sorgente (RS << rπ), risulta:
T (s ) =
Rs 1 1
⋅ g m RC ⋅ ⋅
Rs + RF [ ]
1 + sRS ⋅ Cπ 1 + (1 + g m1 g m 2 ) ⋅ C µ1 1 + sRC ⋅ (Ccs 2 + C µ 2 + Cµ 3 )
(3.27)
rb 1 1 g R RS
F ≅ 1+ + + m1 S + (3.28)
RS 2 g m1 RS βF RF
C’è un termine in più, dovuto alla RF, ma c’è il vantaggio di non dover ricorrere a reti
d’adattamento ad alto Q; inoltre, se il valore della capacità d’ingresso è trascurabile, si può adattare
solo agendo sul valore di RF.
Si osservi infine che, nonostante la presenza del termine aggiuntivo, ottimizzando la (3.17), si può arrivare a valori
di F anche più piccoli di quelli che si sarebbero trovati con soluzioni non retroazionate. Come visto prima si può
stabilizzare il guadagno ricorrendo ad un’opportuna polarizzazione di tipo PTAT.