Lacon
Lacon
Lacon
6.8.2014
di LACON / TORRES
XIX.593165
di Lacon Preziosa, * (naturale); oo Doria Niccolo, * ca. 1200/10, + 1.1276 Genova; oo ca.
1231
XX.1186330
di Lacon Mariano (II), * ca. 1190, + post 1229; oo Agnese di Massa, figlia di Guglielmo.
Ampia biografia Biografie von Barbara FOIS nel Dizionario Biografico degli Italiani 70
(2007) „Mariano di Lacon Gunale. – Giudice di Torres, secondo di questo nome, nacque
dal giudice Comita di Torres sicuramente prima del 2 luglio 1204, data in cui è menzionato
per la prima volta in un documento, una lettera di papa Innocenzo III all’arcivescovo di
Torres (Codice diplomatico). In essa il papa poneva all’arcivescovo il problema della
consanguineità del giudice Comita di Torres e di sua moglie, dai quali erano nati diversi
figli (fra cui M., che a questa data appare già associato nel governo del Giudicato: «cui iam
terra iuravit»), e la richiesta di Comita di ratificare il matrimonio o concederne lo
scioglimento per poter passare ad altre nozze. M. è citato altresì in un documento del 1°
luglio 1210 (Codex diplomaticus Sardiniae [= CDS], doc. XX pp. 317 s.) in cui compaiono
anche i nomi del padre e della madre, donna Agnese di Massa [Agnese regina ist hier
eher die Agnese di Saluzzo, seine Stiefmutter; vgl. das Dokument unten]. Si tratta della
conferma di una donazione all’eremo di S. Salvatore di Camaldoli di due chiese: S. Maria
e S. Giusta di Orria Pichinna, da parte di Maria de Thori, zia del giudice Comita. Un terzo
importante documento che lo riguarda risale al 1216 (CDS, doc. XXX pp. 326-328) ed è un
atto di riconferma dei patti stipulati con i Genovesi, anni prima. In questa convenzione,
firmata da Comita e M. da una parte e dai consoli del Comune di Genova dall’altra, si
stabilisce l’obbligo di aiuto reciproco contro i Pisani e si consentono ai Genovesi
l’estrazione e il commercio del sale. Una lettera del 1218 di papa Onorio III ai Milanesi
(CDS, doc. XLII p. 334) – per esortarli a portare aiuto al «dilecto filio nobili viro Mariano
iudici Turritano» contro i Pisani e in particolare contro la famiglia Visconti – attesta che a
quest’epoca Comita era già morto e M. lo aveva sostituito nel governo del Giudicato. Ma lo
scontro con i Visconti non ebbe esito vittorioso e allora M. preferì addivenire con loro a un
accordo politico, il 18 sett. 1219, rinunciando a ogni ingerenza nei Giudicati di Cagliari e di
Gallura «pro bono pacis totius Sardiniae». Diede inoltre in moglie la propria figlia Adelasia
a Ubaldo Visconti, figlio di Lamberto, giudice di Gallura e marito di Benedetta di Massa,
giudicessa di Cagliari. L’accordo non fu tuttavia duraturo: il 7 sett. 1224 M. confermò di
nuovo i patti e le convenzioni con il Comune di Genova e si incaricò di proteggere i
Genovesi del castello di Bonifacio in Corsica, oltre a impegnarsi, tra l’altro, al versamento
di tributi e all’esenzione da dazi e balzelli. In questo documento compare con una
particolare intitolatura: «Marianus Dei gratia iudex turritanus et Arborensis», titolo di cui
dieci anni dopo si fregerà anche suo figlio, Barisone (III). Del resto due schede del
condaghe di Bonarcado confermano la sua carica di giudice di Arborea per l’anno 1229 (Il
condaghe di S. Maria di Bonarcado, pp. 17, 77). Besta (1908) menziona un documento del
17 nov. 1220 citato da Pressutti in cui si parla della volontà di M. di sciogliere il voto di un
pellegrinaggio al S. Sepolcro. Pare che un voto simile lo avesse fatto anche Comita e lo
avesse poi commutato nella promessa di mandare 100 militi o di pagare 100.000
marabottini. Nel settembre 1221 M. inviò il vescovo di Sorres per offrire l’adempimento del
debito di Comita e il proprio, patteggiando altri 30.000 marabottini, oltre ai 100.000 dovuti
da suo padre, con i buoni uffici del cardinale Ugolino d’Ostia (Registri dei cardinali). M.
morì tra la fine del 1232 e l’inizio del 1233; infatti in un documento datato 24 genn. 1233
(CDS, doc. LII pp. 343-345) è già giudice il decenne Barisone (III), il suo unico figlio
maschio, che morirà di lì a poco, lasciando il Giudicato nelle mani della sorella Adelasia.
Questi i dati che emergono dalla documentazione, ma sulla figura di M. alcuni studiosi
hanno aggiunto altre notizie, attinte a volte da fonti di dubbia certezza scientifica, come il
Libellus iudicum Turritanorum. Lo storico sassarese del Cinquecento G.F. Fara, per
esempio, dice di Mariano che succedette al padre Andrea nel Giudicato di Torres, sposò
Susanna Gunale (o de Zori), fondò la chiesa di S. Maria Castrense e il monastero di S.
Michele de Selvennoris; sua madre fondò il monastero femminile di S. Pietro di Silki, suo
fratello quello di S. Maria de Cerigo «ut in praefato libello traditur». Il libello a cui allude
Fara potrebbe essere il cosiddetto Liber o Libellus iudicum Turritanorum – pubblicato per
la prima volta da Besta nel 1906 – apografo molto discusso che racconta le vite dei giudici
di Torres dal leggendario primo giudice Andrea Tanca all’ultima giudicessa Adelasia. Ma
nel suddetto Libellus il Mariano figlio di Andrea Tanca è considerato il primo giudice di
questo nome. Dunque è evidente che il documento a cui si rifà Fara è un altro. Dello
stesso autore alla voce «Mariano III» si legge che succedette al padre Comita secondo
giudice di Torres e sposò Agnese di Guglielmo giudice di Cagliari, dalla quale ebbe i figli
Barisone, Benedetta e Adelasia. Agnese è detta la moglie di Mariano e non la madre,
come invece compariva nel ricordato documento edito nel CDS (doc. XX pp. 317 s.).
Anche nella versione più conosciuta del Libellus, però, alla voce «Mariano II» si parla di
Agnese come moglie e non come madre. Si dice inoltre che Mariano e sua moglie Agnese
ebbero tre figli: Adelasia che sposò Baldo, giudice di Gallura (Ubaldo Visconti), cugino del
giudice Giovanni Visconti di Pisa; Benedetta che sposò il conte catalano di Ampurias;
Barisone, che dopo la morte del padre governò solo tre anni e tre mesi. È evidente che –
nonostante una madre diventata moglie – si tratta di M., per cui dobbiamo immaginare che
Fara avesse un’altra versione del Libellus, il che non è poi così strano, dato che se ne
trovò una terza redazione nell’archivio privato della famiglia Amat di San Filippo nel 1976,
pubblicata poi da Sanna, che aveva rieditato anche la versione «classica», già curata da
Besta. Gli storici successivi a Fara come P. Tola e D. Scano seguono la cronologia
riportata nel Libellus pubblicato da Besta e infatti attribuiscono a Mariano (II) le notizie che
Fara fornisce sul proprio Mariano (III). Insomma, eliminando il primo Mariano citato da
Fara, il resto coincide. Alla voce Mariano (II) Tola (1838) scrive: «Nacque nel declinare del
secolo XII da Comita II sovrano di detta provincia e da Spella di Arborea», sposò Agnese
di Guglielmo di Massa da cui ebbe Barisone, Benedetta e Adelasia; i «primi atti del suo
governo, dopo la morte di Comita, sono anteriori al 1218; imperocché, pretermettendo
ancora la cronaca sarda, nella quale la morte di Comita è notata del 1212, il codice ms.
della vita di B. Benigno abate di Vallombrosa, esistente nella biblioteca medicea di
Firenze, riferisce tra le altre cose, che Mariano re di Torres mandò a quel famoso abate
somme egregie di danaro per la costruzione di un oratorio». Dal canto suo Scano, alla
voce relativa a Mariano (II) di Torres, dice che «Succedette nel 1218 al padre Comita e
prese in moglie Agnese figlia del marchese Guglielmo di Massa, dalla quale gli nacquero
Barisone, Adelasia […] e Benedetta […]. Altra figlia di Mariano fu quella Preziosa, dal
Ferretto ritenuta bastarda, che fu data in moglie a Nicolò Doria, nato da quel Manuele, che
sappiamo coniugato con una figlia di Comita» e cita diversi documenti a conforto. Quindi
conclude: «Con atto 7 Settembre 1224 Mariano rinnova e conferma i patti stipulati dal
padre Comita nel 1191 col commune di Genova e negli anni 1228 e 1229 rjsulta trovarsi in
Arborea, esercitandovi poteri giudicali». Fonte delle notizie è ancora una volta il tanto
problematico Libellus, che è alla base anche di alcune affermazioni contenute nelle
Genealogie medioevali di Sardegna, in cui compaiono due mogli di Comita: una Sinispella
e una Agnese (forse della famiglia di Saluzzo). Tuttavia nella documentazione citata a
proposito di Agnese di Saluzzo si conferma ancora il dubbio se perfino questa Agnese sia
stata moglie di Comita o di Mariano (pp. 108, 272 n. 17)“.
Die „Foundation of Medieval Genealogy“ zitiert einige der gen. Dokumente: Comita …
iudex Turritanus et Maringnanus pater et filius … et ceteros filios nostros agreed a
convention with the commune of Genoa by undated charter, maybe dated to 1191. Maria
de Thori confirmed a donation to S. Salvatore di Camaldoli, with the consent of donnu
meu iudike Comita de Laccon et dessa mujere donna Agnesa regina et dessu fiju donnu
Marine rege, by charter dated 1 Jul 1210, which also records the separate consent by
Judike Comita de Laccon of the donation made by domna Maria de Thori thia mea naming
her husband donnu Petru de Maroniu. A charter dated 1216 records a convention
between the commune of Genoa and Comita … Iudex Turritanus et Marignanus pater et
filius. Marianus … iudex Turritanus et Arborensis committed to respect agreements with
the commune of Genoa by charter dated 7 Sep 1224”.
XXI.
di Lacon / di Torres Comita, * ca. 1160 (Torres), + post 1.12.1217, ante 10.11.1218; oo
(a) Ispella d'Arborea (Witwe des Ugo de Cervera), figlia di Barisone d'Arborea e di
Pellegrina di Lacon (vgl. Anhang 1), oo (b) Agnese di Saluzzo (1210, s.o.).
Ampia biografia di Evandro PUTZULU nel Dizionario Biografico degli Italiani 27 (1982):
“Comita, Giudice di Torres, nacque verosimilmente verso il 1160 a Torres, capitale del
giudicato, ultimo dei quattro figli di Barisone II e di Preziosa de Orrubu. Non è tuttavia
sempre facile ricostruire la sua biografia per la difficoltà di datare con sicurezza molte delle
fonti che parlano di lui. All'età di vent'anni circa, sposò Ispella d'Arborea, vedova di Ugo de
Cervera e madre di Ugone di Bas, detto Poncio o Poncet, giudice-condomino d'Arborea;
ebbe da lei quattro figli: Maria che andò sposa a Bonifacio di Saluzzo, Preziosa della quale
non si hanno ulteriori notizie, Mariano che gli successe nel giudicato, e Giorgia che sposò
Manuele Doria; venticinque anni dopo, chiese il divorzio e sposò - non si sa se dopo
averlo ottenuto o dopo la morte sopraggiunta d'Ispella - Agnese di Saluzzo dalla quale
ebbe una figlia, Isabella, che andò sposa a Lanfranco Spinola. Salì al trono nel dicembre
del 1198, succedendo al fratello primogenito Costantino II, morto nel corso della feroce
guerra combattuta contro Guglielmo I di Massa, giudice di Cagliari, per i diritti da entrambi
vantati sul giudicato d'Arborea in concorrenza con i deposti giudici-condomini Pietro I de
Serra e Ugone di Bas: una guerra che con brevi pause ed alterne vicende proseguì
durante l'intero regno di C. e coinvolse tutta l'isola. In realtà questa guerra, come le altre
che seguirono, non fu che un aspetto della lotta in corso tra Genova e Pisa per affermare,
ciascuna, il proprio predominio esclusivo sui giudicati. Entrambe si erano convinte che a
garantire i privilegi o le preminenze comunque acquisiti non erano più sufficienti i trattati o i
giuramenti carpiti ai principi locali e mirarono quindi ad impadronirsi del potere, favorendo
l'ascesa di propri cittadini ai troni isolani per via di matrimonio e, occorrendo, con l'astuzia
o la forza. Ed ecco che, sospinte dalle due Repubbliche, le famiglie pisane dei marchesi di
Massa, dei da Capraia, dei Visconti e dei Gherardeschi, e quelle liguri dei Doria, degli
Spinola e dei Malaspina s'imparentarono con le dinastie locali e giunsero ad assidersi sui
troni isolani o a costituirsi vaste signorie indipendenti dai giudici. Al momento dell'ascesa al
trono di C., la guerra con Guglielmo di Massa era già costata la perdita del Goceano e di
altre terre strategicamente importanti al confine con l'Arborea. Costretto dalle circostanze,
C. dovette piegarsi alla pace, obbligandosi nei riguardi di Pisa al vincolo di fedeltà e
vassallaggio e all'espulsione di tutti i genovesi dal suo Stato, e nei riguardi del giudice
Guglielmo a rinunciaread ogni diritto o pretesa sull'Arborea nonché al Goceano ed alle
altre terre perse nella guerra. A suggellare la pace fu concluso il matrimonio tra il figlio di
C., Mariano, e la figlia di Guglielmo, Agnese, che portò in dote allo sposo il Goceano e le
altre terre turritane occupate dal padre. Ma la nuova situazione, che assicurava ai Pisani il
predominio quasi assoluto sulla intera Sardegna, non piacque a Genova né al papa ed
ancor meno a C. che da un momento all'altro poteva venire a trovarsi stretto tra Guglielmo
di Massa, divenuto ora anche giudice d'Arborea, e Lamberto Visconti che brigava per
impadronirsi del giudicato di Gallura. Accostandosi al papa Innocenzo III - anch'egli
ansioso di salvare l'indipendenza dei giudici e la sovranità pontificia dalla crescente
invadenza pisana - C. accusò Guglielmo di essersi impadronito del giudicato d'Arborea
con la forza, di turbare ovunque la pace e di meditare nuove aggressioni; per cui chiese di
essere posto, egli e il suo giudicato sotto la speciale protezione della S. Sede. Guglielmo
replicò con una mossa che, sotto la parvenza di restaurare la legalità nell'Arborea, mirava
in realtà a mantenerla sotto il suo controllo: richiamò lo spodestato Ugone e gli diede in
moglie una figlia che portava in dote la metà dell'Arborea che gli spettava di diritto. Ma, nel
1207, - non si sa se per annullamento del matrimonio o per divieto del papa di celebrarlo -
l'intesa saltò ed Ugone, scacciato dal suocero, si rifugiò presso il patrigno. Intanto due
avvenimenti avevano cementato l'intesa tra C., il papa e Genova. Nel 1203, Guglielmo
Malaspina, spalleggiato dal cognato Guglielmo di Cagliari, aveva tentato di sposare Elena,
unica figlia ed erede del defunto giudice per impadronirsi della Gallura, ma il progetto era
fallito per il pronto intervento del papa. Due anni dopo Lamberto Visconti, precedendo lo
sposo destinatole dal papa, impalmava la fanciulla e s'insediava in Gallura. La scomunica
fulminata contro Lamberto e l'interdetto contro la città di Pisa indussero i colpiti a
riconoscere, nel 1207, il torto fatto al pontefice ed a ritirarsi dalla Gallura. Non si sa però
quando e come ciò avvenne e quale parte vi ebbe C., anch'egli assai interessato alle sorti
di quel giudicato. Tuttavia appare chiaro dal contesto degli avvenimenti di quegli anni, il
rapido aumento della sua potenza, favorito anche dal declino di Guglielmo di Cagliari
iniziato verso il 1206, quando la consorteria dei Visconti prese il sopravvento a Pisa e
cominciò ad accusare Guglielmo di essersi appropriato del giudicato di Cagliari spettante
ai Visconti come discendenti dello spodestato Pietro I. Osteggiato da Pisa, Guglielmo si
volse per aiuto al pontefice che, accogliendolo sotto il vincolo vassallatico, ristabilì la
sovranità primaria della Chiesa sui due giudicati di Cagliari e d'Arborea. Pisa si trovò a mal
partito. Ne approfittò subito C. per concordare un'azione comune con Genova destinata a
realizzare le comuni mire espansionistiche. Il trattato - forse più antico e rinnovato nel
1211 - stabilì una vera alleanza militare dichiarando esplicitamente il proposito di
conquistare tutta l'isola con l'obbligo per C. di ricompensare con terre o con denaro l'aiuto
fornito dalle milizie genovesi, e l'impegno per entrambi di non concludere pace separata.
Le operazioni ebbero probabilmente inizio dalla Gallura, rivendicata da Lamberto Visconti,
che nel 1211 risultava in possesso di C. al quale Innocenzo III raccomandava di non
disporre del giudicato senza il suo consenso e di vigilare contro eventuali attacchi pisani.
Subito dopo invase l'Arborea e puntò sul Cagliaritano ma venne fermato dal papa il cui
intervento salvò il trono a Guglielmo e portò alla spartizione dell'Arborea, metà della quale
fu data a Barisone figlio del defunto giudice Pietro de Serra, un quarto a Guglielmo ed un
quarto a Comita. Le operazioni, pare, rimasero interrotte ma la situazione restò
incandescente per colpa soprattutto di Pisa, smaniosa di riconquistare le posizioni
perdute. Due anni dopo la morte del giudice Guglielmo (1214), Ubaldo e Lamberto
Visconti attaccarono nella Gallura, nell'Arborea e nel Cagliaritano provocando l'intervento
di C. e dei Genovesi. La guerra riarse in terra ed in mare ma il papa, Onorio III,
intervenendo con grande sollecitudine, riuscì ad indurre le due Repubbliche ad una pace,
che, come ebbe a dichiarare il 1° dic. 1217 il papa, si doveva concludere anche tra Pisa ed
il giudice Comita. È questa l'ultima volta che il suo nome viene menzionato. Il 10 nov. 1218
il figlio Mariano gli era già successo sul trono di Torres“.
XXII.
di Torres Barisone (II), * ca. 1130, + ante 10.6.1191, oo Preziosa de Orrubu.
Ampia biografia di Francesco CASULA nel Dizionario Biografico degli Italiani 6 (1964):
„Barisone di Torres - Succeduto nel 1153 al padre Gonario I, che aveva rinunziato al
giudicato per ritirarsi nel monastero di Clairvaux, governò nel Logudoro in un periodo
particolarmente critico per la Sardegna. Nell'ottobre del 1163 dovette accogliere il fratello
Pietro giudice di Cagliari, succeduto a Costantino II, del quale aveva sposato la figlia:
Pietro, attaccato da Barisone I d'Arborea, si era rifugiato in Torres con la consorte. I due
fratelli riuniti allestirono però un forte esercito, respinsero l'invasore nel marzo dell'anno
successivo e nell'aprile invasero l'Arborea, distruggendovi case e raccolti e costringendo
Barisone I a rifugiarsi nel castello di Cabras e quindi a salvarsi con la fuga. Aiutarono i due
giudici nell'impresa molti cittadini pisani, giunti nel Logudoro al seguito della madre loro
Maria, d'ignoto casato, anche essa pisana. Ma, sebbene legami di parentela unissero il
giudicato di Torres al Comune dell'Arno, B. fu costretto, ben presto, a cambiare politica e
ad abbracciare la causa genovese. Genova, che aveva tentato di fare incoronare,
dall'imperatore Federico Barbarossa, l'indomato Barisone d'Arborea come re di Sardegna,
aveva visto sfumare il piano di impadronirsi dell'isola per mezzo di questo, a causa di Pisa,
che era riuscita a ottenere la revoca imperiale e l'infeudazione della Sardegna in suo
favore. Il giudice di Torres nel settembre dello stesso i 164 aveva riportato le armi
nell'Arborea, priva del suo giudice, allora temporaneamente a Genova, e nella prima metà
del - 1166 si era dovuto recare a Pisa, insieme col fratello Pietro, per giustificarsi di un
sanguinoso incidente che aveva opposto la popolazione di Ottana ai Pisani. Ma subito
dopo egli ritenne opportuno allearsi proprio con i Genovesi, forse per tema di una troppo
decisa supremazia di Pisa (che il 12 apr. 1165 aveva ottenuto da Federico Barbarossa
l'investitura del supremo dominio su tutta l'isola), o forse perché il suo nemico, sebbene
prigioniero del Comune ligure, tentava accordi con i Toscani per una alleanza ai danni dei
giudici. Il rischio era grosso, e B. preferì cautelarsi stipulando nello stesso 1166 un trattato
di amicizia con i Genovesi e un conseguente accordo commerciale, per cui i mercanti liguri
ottennero privilegi e libertà di commercio nei territori del giudice, dando inizio alla
preminenza genovese nel Logudoro. Nel 1168 Genova, per rinsaldare ancora di più
questa sua supremazia e per riottenere da Barisone d'Arborea il danaro prestatogli per
l'investitura, lo costrinse a concludere un accordo con i giudici di Torres e di Cagliari;
l'arborense si impegnava a rinunciare alle conquiste fatte ed a rifondere i giudici dei danni
subiti a causa dei suoi attacchi; mallevadore dei trattati fu il console genovese Nuvolone
Alberici. L'alleanza di B. con la Repubblica ligure fu rinsaldata ancora di più dopo il
matrimonio della figlia Susanna, avuta dalla moglie Preziosa de Orrubu con Andrea Doria,
la cui casata sarà destinata a ricoprire un ruolo di primo piano nella storia sarda fino al
sec. XV. Ma, verso il 1186, il fallito tentativo di rimettere il fratello Pietro sul trono di
Caglari, occupato con la forza da Pisa nel 1183, e la morte di lui costrinsero B. a rivedere
la sua politica e ad accordarsi di nuovo con i Pisani. I documenti che testimoniano fi suo
governo nel Logudoro arrivano sino alla fine del i 186. Non si sa però quando esattamente
collocare la morte del giudice: le cronache sarde riferiscono che B., mortagli la moglie,
abdicò in favore del primogenito Costantino, già associato al regno nel 1170, e che si ritirò
a Messina nel monastero di S. Giovanni, fondato dalla sua ava Marcusa. Era sicuramente
già morto il 10 giugno 1191 (Besta, p. 155)“.
Die „Foundation of Medieval Genealogy“ gibt einige Quellen wieder: Judike Gunnari de
Laccon donated property to Monte Cassino, with the consent of fiju meu Barasone rege et
de sa mujere Pretiosa de Orrubu regina, by charter dated 1153. Baruson iudex de Arborea
made peace with Barusone iudice Turritano, including arrangements for property held by
the latter tempore Gunnarii quondam iudicis, by charter dated 1168. The archbishop of
Torres returned property to the monastery of Nurki, with the consent of iudice Parasone de
Laceon e d´essa mujere donna Pretiosa de Orrubi regina e d´essu fiju donnu Gostantine
rege, by charter dated 1170. Barason...Turritanorum gubernator et rex...cum domina
Pretiosa regina uxore mea et Gonstantino iudice filio nostro founded a leprosarium at
Bosue by charter dated 28 May 1178”.
XXIII.
di Torres Gonnario, * ca. 1113/14 (oder 1110/11 ?), + ca. 1180/90, # Clairvaux; oo ca.
1130 Maria (1136), d.i. die Tochter des Ugo genannt „Ebriaco“ de Parlascio.
Ampia biografia di Mauro RONZANI nel Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 57
(2001): „(Gonnario, Gunnari) di Torres. - Secondo di questo nome, figlio del giudice di
Torres Costantino (I) di Lacon e di Marcusa de Gunale, nacque all'inizio del secondo
decennio del secolo XII. La difficoltà di precisare l'anno di nascita di G. deriva dalle
indicazioni ora insicure, ora contraddittorie delle fonti, che lasciano qualche incertezza
anche sulla data di morte del padre (solitamente collocata al 1127-28). Prendendo alla
lettera le fonti cistercensi, secondo le quali G. era quarantenne nel 1154, quando si fece
monaco a Chiaravalle, egli dovrebbe essere nato intorno al 1113-14. Il cosiddetto Libellus
iudicum Turritanorum racconta che la sua nascita fu a lungo attesa dai genitori, i quali per
voto fondarono e dotarono il monastero camaldolese della S. Trinità di Saccargia, che noi
sappiamo essere già stato istituito il 16 dic. 1112 (mentre la data della consacrazione della
sua chiesa - 5 ott. 1116 - è riportata dal Libellus e da un altro testo tardo e rimaneggiato).
Sempre secondo il Libellus, G. era ancora minorenne alla morte del padre, quando
scoppiò una congiura guidata dalla potente famiglia signorile logudorese degli Athen.
Ittocorre Gambella, al quale Costantino aveva affidato la tutela del figlio, ritenne opportuno
allontanare G. dalla corte e lo portò a Porto Torres, mettendolo sotto la protezione dei
mercanti pisani che vi operavano particolarmente numerosi; costoro lo accompagnarono a
Pisa, dove le autorità lo affidarono alle cure dell'illustre cittadino "messer Ebriaco". Quando
G. ebbe raggiunto i diciassette anni d'età, costui gli diede in sposa la propria figlia e subito
dopo - sempre con il consenso delle autorità cittadine - lo riaccompagnò in Sardegna con
una scorta di quattro galee bene armate, aiutandolo quindi a prendere l'effettivo possesso
del potere regio. Se si dà credito a questo racconto, sorge il problema d'armonizzarlo con
l'affermazione, fatta dallo stesso G. in un documento da lui dettato il 24 giugno 1147 (ed.
Saba, doc. n. XXVI), secondo la quale a tale data egli si trovava nel ventesimo anno di
regno (che era dunque iniziato fra il 25 giugno 1127 e il 24 giugno 1128). Ammettendo che
egli si riferisse all'effettivo conseguimento del potere giudicale, dovremmo far arretrare la
data di nascita al 1110-11 circa; ma così facendo dovremmo altresì rimettere in
discussione la data di morte di Costantino. Se invece si ritiene che, nel documento del
1147, G. facesse partire il proprio regno - almeno formalmente - dal momento stesso della
morte del padre, la sua nascita tornerebbe a essere determinabile al 1113-14 circa. Una
terza possibilità è suggerita da un'altra, più prolissa versione del Libellus, secondo la quale
al momento d'esser portato a Pisa G. avrebbe avuto appena sette anni (e vi sarebbe
rimasto dunque per un decennio). Ma se la datazione dei documenti cassinesi che
menzionerebbero in vita il padre di G. fra 1122 e 1127 è sicuramente da rivedere,
Costantino non può comunque essere morto prima del 24 maggio 1120 (data di un atto di
donazione al quale fu presente). La protezione accordata da Pisa al giovane (o
giovanissimo) erede legittimo del trono giudicale del Logudoro si comprende ricordando gli
ottimi rapporti intrattenuti con la città tirrenica da Costantino, che nel 1113 aveva accolto a
Porto Torres la flotta pisana, guidata dal vescovo Pietro, in viaggio verso le Baleari, ed è
ricordato nel Liber Maiolichinus come "rex clarus, multus celebratus ab omni Sardorum
populo". Alla spedizione balearica del 1113-15 partecipò forse anche il futuro suocero di
G., se in lui si può riconoscere "Ugo da Parlascio" menzionato due volte nel poema.
Chiamato nei documenti con il soprannome di "Ebriaco", egli era figlio di un altro Ugo che,
nel penultimo decennio del secolo XI, aveva fatto parte della schiera dei principali
sostenitori pisani di Enrico IV. Intorno al 1090, però, aveva aderito all'azione pacificatrice
esercitata dal vescovo di Pisa Daiberto, sostenitore e collaboratore di Urbano II e Matilde
di Toscana, e da allora era tornato a intrattenere ottimi rapporti con il vescovado, che fino
a tutta la prima metà del secolo XII fu il primo centro d'autorità della civitas, della quale era
il rappresentante istituzionale verso l'esterno (e perciò anche nei confronti dei quattro regni
della Sardegna). Di Ugo "Ebriaco", morto avanti il 30 maggio 1136, i documenti pisani ci
dicono in realtà assai poco, come se la sua attività si fosse svolta prevalentemente lontano
dalla città. Il 6 ag. 1130 egli è però attestato a Pisa, e la spedizione da lui guidata per
riportare G. sul trono giudicale dovette dunque aver luogo o prima o dopo quell'estate.
Che la moglie di G., Maria (attestata accanto al marito da un unico documento del 1136),
fosse davvero figlia di Ugo "Ebriaco" è provato da due passi della cronaca di Bernardo
Maragone (Annales Pisani, a cura di M. Lupo Gentile, in Rer. Ital. Script., 2a ed., VI, 2, pp.
34, 36 s.). L'azione condotta da Ugo "Ebriaco" in favore di G. è ricordata solo dal Libellus,
che racconta come la spedizione, una volta giunta in Sardegna e sbarcata a Torres,
raggiunse e prese Ardara (dove si trovava il palazzo regio, con la chiesa di S. Maria), e si
concluse con la costruzione del castello del Goceano, ai confini meridionali del Giudicato.
A quel punto, visto che il genero aveva ormai il controllo della situazione, Ugo sarebbe
tornato a Pisa, e G. avrebbe provveduto a eliminare fisicamente i principali responsabili
della congiura di alcuni anni prima, rimanendo padrone incontrastato del Giudicato. La
prima attestazione documentaria di G. come giudice di Torres è del 6 marzo 1131, e ce lo
mostra nell'atto di donare all'Opera del duomo di Pisa due curtes e la metà del Monte
dell'Argentiera (cfr. Codex diplomaticus Sardiniae). Contestualmente, egli giurò fedeltà alla
sede arcivescovile pisana di S. Maria - ossia all'arcivescovo Ruggero e ai suoi successori
- e s'impegnò ad amministrare la giustizia al popolo pisano secondo il costume sardo,
sottoscrivendo di persona il documento (sia pure con grafia alquanto incerta, da
"semianalfabeta" secondo E. Cau). A indurre G. a formalizzare in tal senso i propri rapporti
con Pisa fu sicuramente la minaccia rappresentata da Comita, giudice d'Arborea, che nel
dicembre del 1130 aveva stretto alleanza con Genova attraverso una serie di atti in favore
del Comune e della chiesa cattedrale di S. Lorenzo, nei quali egli esprimeva l'esplicita
intenzione d'impossessarsi del Giudicato confinante di Torres. Non sappiamo se si
giungesse a un vero e proprio conflitto, e quale ne fosse lo svolgimento sul terreno. Certo
è, comunque, che in quel periodo l'arcivescovo pisano Ruggero (1123-32) operò nel
Giudicato turritano in veste sia di legato apostolico, sia di rappresentante della propria
civitas: è degno di nota che il breve recordationis con il quale, il 26 giugno 1132, Comita
giudice di Gallura rese noto d'aver giurato fedeltà a Ruggero e ai suoi successori, nonché
ai consoli del Comune di Pisa, fosse messo per iscritto ad Ardara, cioè nella residenza
ufficiale dei giudici di Torres (anche se la presenza di G. non è esplicitamente menzionata
nel documento). A testimoniare ulteriormente la saldezza del legame stretto da G. con la
sede arcivescovile pisana - elemento che caratterizzò tutto il suo regno - è il fatto che il
successore di Ruggero, ossia l'ex cardinale Uberto, uomo di fiducia di Innocenzo II, scelse
il Logudoro come base della legazione apostolica in Sardegna ch'egli condusse nel 1135
(probabilmente nella seconda metà dell'anno, ossia dopo la conclusione del concilio
presieduto dal papa a Pisa). Il 20 maggio 1136, sempre ad Ardara, G. e sua moglie Maria
presenziarono e diedero solenne ratifica all'atto con il quale Costantino di Athen donò al
monastero di S. Benedetto di Montecassino la chiesa di S. Michele de Therricellu, da lui
restaurata (ed. Saba, n. XXII). Il documento, l'unico attestante la presenza di Maria al
fianco del marito, sembra comprovare che l'aristocrazia del Giudicato era ora solidale e
leale con la coppia regnante. Al riguardo, un documento pisano del 10 nov. 1144 (cfr. ed.
Besta, 1906) c'informa che la figlia di quel Costantino (ossia la Susanna de Athen
menzionata dal padre nell'atto di donazione del 1136) aveva sposato Cane, figlio del fu
Ugo "Ebriaco", e quindi cognato di Gonario. Dopo alcuni anni di silenzio documentario -
ma l'attività corrente di governo di G., e in particolare quella giudiziaria, esercitata con la
collaborazione della "corona" dei consiglieri, è vividamente testimoniata da molte schede
non datate del Condaghe di S. Nicola di Trullas -, ritroviamo G. in un momento di difficoltà
politico-militare nel 1144, quando fu di nuovo minacciato dalle mire espansionistiche di
Comita d'Arborea. In tale frangente ebbe come principale alleato l'arcivescovo di Pisa
Baldovino, già monaco cistercense e collaboratore di Bernardo di Chiaravalle. Il 10 nov.
1144 Baldovino fece assumere ai consoli del Comune di Pisa l'impegno giurato di aiutare
G. e i suoi eredi, sia difendendoli dagli attacchi esterni, sia - eventualmente -
coadiuvandoli nell'azione di riconquista. All'inizio dell'anno successivo, sotto il pontificato
del pisano Eugenio III, l'arcivescovo si recò in Sardegna come legato apostolico e
scomunicò Comita d'Arborea, riuscendo così, a quanto sembra, ad arrestarne le spinte
espansionistiche. Di questa legazione ci è rimasto un frammento degli atti del concilio
tenutosi nella chiesa di S. Maria di Ardara, alla presenza (questa volta esplicitamente
menzionata) di Gonario. In tale occasione, l'arcivescovo pisano fece approvare una
deliberazione tesa a impedire che i donicalienses (ossia gli amministratori di aziende di
tipo curtense) vendessero merci e prodotti ai mercanti pisani, prima d'aver soddisfatto i
precedenti impegni nei confronti dei vescovi isolani (dei quali erano una sorta di vassalli):
la presenza pisana in Sardegna - e soprattutto nel Logudoro - tendeva dunque a
scardinare l'organizzazione economica locale, e metteva in difficoltà i centri diocesani
dell'isola. La notizia della scomunica lanciata da Baldovino contro Comita d'Arborea si
legge nella chiusa di una lettera inviata da Bernardo di Chiaravalle a papa Eugenio III
verso la fine di quello stesso 1145: Bernardo chiedeva al pontefice di non modificare
quanto disposto da Baldovino (morto nel frattempo), e subito dopo gli raccomandava
espressamente il giudice turritano "quia bonus princeps dicitur esse". Queste parole
dimostrano che Bernardo non conosceva ancora personalmente G., pur dimostrandosi
informato sulla situazione sarda. Di lì a poco, forse già nel 1146, la situazione politica
dell'isola tornò a rasserenarsi, come è dimostrato dal fatto che il nuovo arcivescovo
pisano, Villano, consacrò la chiesa di S. Maria di Bonarcado, in Arborea, alla presenza del
giudice Barisone (subentrato al padre Comita), di G. e dei giudici di Cagliari e di Gallura.
Si tratta del primo e unico caso a noi noto in cui i sovrani di tutti e quattro i regni di
Sardegna si riunissero a convegno. Vista l'epoca duratura di pace che sembrava aprirsi
nell'isola, G. decise d'intraprendere un pellegrinaggio a Gerusalemme. Una scheda (come
al solito non datata) del Condaghe di S. Nicola ci mostra l'abate di questo monastero
sottoporgli una querela giudiziaria proprio mentre era in procinto di partire; mentre il 24
giugno 1147 egli era già passato a Montecassino, dove emanò in favore dell'abate
Rainaldo un solenne documento di conferma di tutte le donazioni e concessioni fatte al
cenobio dagli avi, dai genitori e dagli altri maggiorenti del Giudicato turritano. Secondo il
Libellus, prima di partire aveva affidato il governo del Giudicato al figlio primogenito
Barisone, e provveduto ad affidare a ciascuno degli altri tre figli maschi (Pietro, divenuto
poi, per matrimonio, giudice di Cagliari, Ittocorre e Comita) l'amministrazione di una o più
"curatorie" del Giudicato. Sempre secondo il Libellus, di ritorno dalla Terrasanta, mentre si
trovava di nuovo in Italia meridionale, G. ebbe l'occasione d'incontrare personalmente
Bernardo di Chiaravalle e concordare con lui la fondazione del monastero cistercense di
Cabuabbas di Sindia (la cui consacrazione è datata dagli studiosi al 1149). Le fonti
cistercensi, a cominciare dal Liber de miraculis compilato dal monaco Erberto, dicono
invece che l'incontro avvenne a Clairvaux, dove il giudice si sarebbe recato dopo aver
compiuto un pellegrinaggio a S. Martino di Tours; si è ipotizzato che questo secondo
viaggio - se veramente avvenne - poté costituire una sorta di prolungamento del primo.
Erberto non parla della fondazione di Cabuabbas, e dice che Bernardo, non essendo
riuscito a "convertire" G. alla vita monastica, si rassegnò a vederlo andar via, ma
profetizzò che avrebbe nuovamente lasciato la Sardegna per tornare a Clairvaux. Queste
parole rimasero nel cuore di G., il quale, sempre secondo questa fonte, appresa la notizia
della morte di Bernardo, si affrettò ad adempiere quanto richiesto a suo tempo dall'abate
("sed quod ipso vivente non egit, post eius obitum implere festinavit", col. 462). Come
testimoniato dal Chronicon Clarevallense, la scelta di farsi monaco a Clairvaux fu
compiuta da G. nel 1154. L'anno precedente, il giudice aveva dettato due documenti in
favore del monastero cassinese di S. Maria di Thergu, rievocando l'accoglienza ricevuta a
Montecassino quand'era andato "ad ssu sepulchru ad ultra mare" (ed. Saba, p. 192). In
entrambi gli atti, il figlio primogenito Barisone figura esplicitamente associato al potere
regio. Fattosi monaco cistercense, G. visse a Clairvaux ancora per molti anni. Erberto, che
scrive intorno al 1178, ricorda che egli era entrato nel monastero nel pieno delle forze
fisiche e mentali, e si trovava ora nel venticinquesimo anno del suo ingresso nell'Ordine.
L'Exordium magnum Cisterciense, iniziato dal monaco Corrado nell'ultimo decennio del
secolo, aggiunge che la nuova condizione di G. si protrasse "usque ad decrepitam etatem"
(p. 229), e che G., il quale morì dunque verosimilmente fra il 1180 e il 1190, fu sepolto a
Clairvaux“.
Die „Foundation of Medieval Genealogy“ gibt einige Dokumente an: Judice Gonnari
de...Turri filius quondam Constantini item judicis donated property to S. Maria, Pisa by
charter dated 6 Mar 1131. Gonnarius...Turritanorum rex et dominus” donated property to
Monte Cassino before leaving for Jerusalem, in memory of “atavus meus Baraso rex,
Marianus avus noster, Constantinus...genitor noster et Marchusa regina uxor eius, et
consanguinei nostri cum filiis et filiabus, et Comita cum uxore sua Muscundola et
Marianus cum uxore sua Iusta, Pera filia Gonnarii, Constantinus de Carvia cum uxore sua
Iorgia, Foratus de Gentile cum uxore sua Susanna, by charter dated 24 Jun 1147. Judice
Barusone de Serra potestate de logu de Arborea donated property to the church of S.
Maria di Bonarcado by undated charter, witnessed by judice Constantine de Plominos,
judice Gunnari de Jugadore, judice Constantine Gallulesa connatu meu. Judike Gunnari
de Laccon donated property to Monte Cassino, with the consent of fiju meu Barasone rege
et de sa mujere Pretiosa de Orrubu regina, by charter dated 1153".
XXIV.
di Torres Costantino, * ca. 1064, + post 24.5.1120 (? post 1127); oo Marcusa de Gunale.
Ampia biografia di Evandro PUTZULU nel Dizionario Biografico degli Italiani 30 (1984):
„Figlio del giudice di Torres Mariano (I) e di Susanna de Thori, nacque probabilmente
verso il 1064. Sappiamo che nel 1082 era già associato al trono, ma non conosciamo
l'anno preciso in cui cominciò a regnare da solo, succedendo al padre defunto. La prima
volta che le fonti a noi note lo ricordano come sovrano unico è nel 1113, allorché nel porto
di Torres tra grandi manifestazioni di amicizia e di onore accolse e rifornì di viveri la flotta,
che Toscani e Lombardi avevano allestito sotto la guida di Pisa per liberare dai Saraceni le
Baleari. All'impresa partecipò anche un contingente turritano: il Liber maiolichinus ricorda
infatti tra gli altri capi della spedizione, come eccellente tiratore d'arco, il figlio del giudice,
Saltaro. In quell'opera viene citato anche C., definito "re chiaro e molto celebrato" da tutto
il popolo sardo. Il regno di C. rappresentò un momento assai importante per la storia del
giudicato, perché esso coincise col sorgere e col primo svilupparsi dell'antagonismo fra
Sede apostolica, Pisa e Genova, ciascuna delle quali mirava ad assicurarsi, in
competizione con le altre, posizioni di privilegio nell'isola nell'intento di giungere ad
affermarvi la propria egemonia. I papi, che avevano proclamato l'alta sovranità della Sede
apostolica sulla Sardegna, vi appoggiavano la penetrazione dei monaci benedettini delle
abbazie di S. Vittore di Marsiglia e di Montecassino, che agivano come strumenti della loro
linea religiosa e politica. I Pisani, che negli anni precedenti si erano creati in Sardegna una
solida posizione commerciale, appoggiarono l'azione della Sede apostolica: ottennero in
tal modo dal papa, per il loro arcivescovo, la nomina a legato pontificio in Sardegna, con
primazia su tutti i vescovi dell'isola, ed altri privilegi ecclesiastici, che permisero loro di
allargare i traffici e di estendere la loro influenza anche sul giudicato di Torres. Intorno al
1083, infatti, il padre di C. si era indotto a stipulare con la Repubblica tirrenica un trattato
che, fra l'altro, garantiva da ogni offesa nelle persone e nei beni i cittadini pisani,
concedeva loro il diritto di rivolgersi per ogni controversia al tribunale privilegiato del
giudice, e li esentava, infine, dal pagamento dei dazi gravanti sulle merci importate od
esportate. Succeduto a Mariano I, C. riprese e sviluppò la linea politica di amicizia con
Pisa e con la Sede apostolica, che era stata del padre. Ce lo attestano non tanto le fonti
narrative coeve - peraltro assai scarse ed avare di informazioni -, quanto i numerosi
diplomi da lui rilasciati nel corso del suo governo. Tali documenti, poiché sono tutti relativi
a donazioni di terre od a concessioni di privilegi in favore di istituzioni ecclesiastiche o
monastiche che erano espressione degli interessi di ben determinate forze in gioco,
testimoniano non solo lo zelo religioso del giudice turritano, ma rispecchiano altresì i suoi
orientamenti politici e le sue preoccupazioni economiche. La grande azione da lui
promossa per favorire nel giudicato l'espansione dei benedettini di Montecassino - dietro i
quali era Roma -,ma soprattutto quella dei monaci cenobiti di Camaldoli e di Vallombrosa,
ben visti dai Pisani, presuppone un accordo politico con questi ultimi e l'amicizia con la
Sede apostolica. D'altro canto, nel quadro di generale arretratezza e di isolamento che
caratterizzava allora la Sardegna, la diffusione voluta da C. del monachesimo cenobitico
benedettino fu causa di un vasto rinnovamento e di un notevole progresso sociale ed
economico. Le fondazioni camaldolesi e vallombrosane, così come quelle cassinesi, erano
infatti attivi centri di bonifica e di valorizzazione dei terreni seminativi, di rinnovamento e di
espansione delle culture agricole, di rimboschimento, oltre che seminari di spiritualità.
Durante il regno di C. la colonizzazione monastica nel giudicato si avviò a raggiungere la
sua massima diffusione: non solo C. ed i suoi familiari, ma anche le grandi famiglie
logudoresi, come gli Athen e i de Thori, stimolate dall'esempio del giudice, largheggiarono
nel dotare di vasti patrimoni fondiari chiese e monasteri. Di questi anni sono le chiese di S.
Maria del Regno in Ardara, di S. Pietro a Bosa, di S. Michele a Plaiano (Sassari), di S.
Michele di Salvenor in Ploaghe, di S. Maria Coghinas nell'omonimo comune, di S. Nicola
di Trullas in Semestene, e quella della SS. Trinità di Saccargia in Codrongianus (Sassari),
fatta erigere, quest'ultima, dallo stesso C. per adempiere ad un voto. Nel 1125 le
fondazioni camaldolesi avevano già superato per numero di chiese e per ricchezza di terre
nel Turritano quelle cassinesi, mentre i Vallombrosani avevano fondazioni in quasi tutto il
giudicato. Le nuove tecniche di coltivazione introdotte dai monaci, aumentando la
produttività dei terreni, ebbero un benefico riflesso anche nei commerci e, più in generale,
nell'economia. Sotto questo punto di vista, il regno di C. fu la necessaria premessa del
notevole sviluppo economico e culturale del giudicato di Torres nel sec. XII. Non si ha
notizia, per quanto riguarda il giudicato di Torres nel primo trentennio del sec. XII, di
tensioni o contrasti analoghi a quelli che nel resto dell'isola contraddistinsero in quegli
stessi anni i non facili rapporti fra autorità locali, i governi di Pisa e di Genova, la Sede
apostolica. Le fonti sono concordi nell'attribuire a C. doti di buon sovrano e lo ricordano
come uno dei principi sardi più apprezzati del suo tempo. In effetti, pace ed ordine
regnarono nel giudicato sotto il suo governo. C. si spense nella reggia di Torres nel 1128. Il
suo corpo venne inumato con grande solennità nella chiesa della SS. Trinità di Saccargia,
sotto l'altare maggiore. In alcuni documenti, sino al 1116, compare come moglie di C. una
Marcusa de Gunale, di nobile famiglia arborense; in altri, posteriori a quella data, una
Maria de Orrubu. Lo Scano ritiene che si tratti sempre della medesima persona, ma le sue
argomentazioni non appaiono probanti. Secondo il Libellus iudicum Turritanorum, quando
sposò C., Marcusa de Gunale era vedova ed aveva avuto due figli dal precedente
matrimonio. Da lei C. ebbe un figlio, Gonario, che gli sarebbe succeduto sul trono del
giudicato. Dopo la scomparsa di C., Marcusa lasciò l'isola per recarsi in Sicilia, dove, a
Messina, fondò un ospedale dedicato a S. Giovanni; lì visse sino alla morte, dedicandosi
al servizio di Dio“.
Die „Foundation of Medieval Genealogy“ gibt folgende Quellen an: „His parentage is
confirmed by the charter dated 24 Jun 1147 under which his son
“Gonnarius...Turritanorum rex et dominus” donated property to Monte Cassino before
leaving for Jerusalem, in memory of “atavus meus Baraso rex, Marianus avus noster,
Constantinus … genitor noster et Marchusa regina uxor eius...; Donnicellu Gunnari de
Laccon et muliere mea Elene de Thori et filias meas Vera de Laccon et Susanna de Thori”
donated property to Monte Cassino, with the consent of nostru judice Gostantine de
Laccon et...muliere donna Maria de Arrubu, by charter dated 24 May 1120”.
XXV.
di Lacon Mariano (I), * ca. 1040, + Anfang 12. Jh., # chiesa maggiore di S. Maria
d’Ardara; oo Susanna de Zori / Thori.
Ampia biografia nel Dizionario Biografico degli Italiani 70 (2014): „Giudice di Torres, primo
di questo nome, nacque prima del 1065 se è lui il Mariano nipote di Barisone che in
quell’anno compare col nonno nel «condaghe» (il registro patrimoniale) di Silki, per una
donazione ai benedettini di alcune chiese. In un’altra scheda dello stesso condaghe
compare con la moglie Susanna de Zori (o Thori) e col figlio Costantino. È verosimilmente
M. il Mariano giudice di Torres destinatario, con gli altri tre giudici sardi – Orzocco
d’Arborea, Orzocco di Cagliari e Costantino di Gallura – di una lettera di Gregorio VII del
14 ott. 1073, nella quale il papa consiglia o, piuttosto, ordina loro di sottomettersi alla
Chiesa di Roma, pena gravi pericoli per la libertà dei loro Stati. Nel 1082 un giudice di
Torres di nome Mariano donò, con la moglie Susanna e con il figlio Costantino, la chiesa di
S. Michele di Plaiano e le altre che da questa dipendevano alla chiesa di S. Maria di Pisa;
questo Mariano è certamente lo stesso del condaghe di Silki. Questi sono i dati che
risultano dai documenti; sulla figura di questo giudice vi sono quindi diversi dubbi, che
nascono da un conflitto insanabile fra i dati offerti dalla documentazione e quanto scritto
dagli storici di diverse epoche. Addirittura il dubbio maggiore riguarda proprio l’identità di
Mariano, che alcuni storici darebbero come il primo di questo nome e altri come il
secondo, incertezza non risolvibile. Secondo lo storico cinquecentesco sassarese G.F.
Fara il Mariano menzionato nella citata lettera di Gregorio VII (che Fara data al 1074)
sarebbe il primo, mentre il secondo sarebbe quello che compare come primo nella
cronaca apografa (ma forse anche apocrifa) nota come Libellus iudicum Turritanorum. Tre
secoli più tardi lo studioso sassarese P. Tola, nel suo Dizionario biografico…, fuse la figura
di Mariano (I) e quella di Mariano (II), segnalate da Fara, in una sola persona,
attribuendogli l’identità che Fara dà al proprio Mariano (II). Tola non esplicita il motivo di
questa fusione, ma è probabile che abbia seguito le indicazioni contenute nel Libellus
iudicum Turritanorum, più volte citato dallo stesso Fara. Il Mariano del Libellus, infatti,
come il Mariano (II) di Fara, è figlio di un certo Andrea Tanca, giudice di Torres in un tempo
imprecisato. Il Libellus racconta anche che Mariano rimase orfano in tenera età, ma che fu
eletto lo stesso come giudice «pro su bonu signu (sinnu) de sa mamma», cioè per il buon
senso, per le capacità di equilibrio e di assennatezza di sua madre. Ancora ricorda il
Libellus che da giovane Mariano era dedito al vino, ma sua madre lo curò con una
medicina che lo fece diventare astemio. Ma, prosegue il racconto, era tanta l’acqua che
beveva che divenne enorme, al punto che lo portavano in giro sopra un carro e doveva
stare sempre a contatto con l’acqua, tanto che in estate stava a S. Maria de Campu Longu
e faceva arrivare l’acqua fin dentro la chiesa e sopra il suo corpo, perché non tollerava il
caldo estivo. Egli era comunque un saggio sovrano, che governò con rettitudine e
giustizia, seguendo le leggi, e fu molto amato dal suo popolo. Fondò il monastero di S.
Michele di Plaiano e la chiesa di S. Maria di Castra e sua moglie fondò S. Pietro di Silki e il
fratello di sua moglie S. Maria di Tergu. Mariano ebbe un figlio di nome Costantino che fu a
sua volta eletto giudice di Torres. Fin qui le notizie contenute nel Libellus. A queste Tola
aggiunge altre notizie di cui si ignora la fonte: rimasto orfano di padre ancora minorenne,
Mariano governò con la reggenza della madre e di Zerchis, magnate del Giudicato di
Torres; fu poi «re pacifico, religioso e liberale oltre modo nell’accrescere lo splendore del
culto esterno»; sposò Susanna Gunale o de Zori, morì nei primi anni del sec. XII e fu
sepolto nella chiesa maggiore di S. Maria d’Ardara. Gli è attribuita una seconda moglie
chiamata Giusta, notizia che sembra confermata da un diploma del 1147 di Gonnario (II),
che tra i suoi ascendenti cita «Mariano e Giusta di Torres ma non sarebbe improbabile che
la stessa Susanna Gunale per l’eccellenza delle sue virtù fosse appellata
antonomasticamente Giusta, e che poi un tal nome passasse come più onorifico alla
memoria dei posteri» (Tola). Un altro storico sassarese, G. Bonazzi, nella sua edizione del
condaghe di S. Pietro di Silki fornisce anche una genealogia dei giudici turritani, nella
quale è sovvertito ancora una volta l’ordine dato da Fara e vi compare per la prima volta
un Barisone, mai citato fino a quel momento, che Bonazzi trae dalle schede del suo
condaghe. Barisone sarebbe il padre di Mariano (I), sposo di una Susanna de Zori e padre
di un giudice Costantino. Le schede del condaghe di Silki in cui compare Barisone non
sono datate, ma le donazioni delle chiese di S. Maria di Bubalis e di S. Elia di Montesanto
fatte ai monaci benedettini (che compaiono anche nelle cronache cassinesi dell’epoca
dell’abate Desiderio; cfr. Saba) le collocherebbero intorno al 1065. Nell’atto relativo a
quelle donazioni compare non solo Barisone, ma anche suo nipote Mariano, come già
ricordato. Anche secondo la Serie cronologica dei giudici sardi di D. Scano M. sarebbe
nipote di Barisone, marito di Susanna de Zori (o Thori) e fratello di Pietro de Serra e di una
certa Giorgia. Sarebbe stato presente all’atto di donazione fatto dal nonno Barisone nel
1065, sarebbe il destinatario della lettera di Gregorio VII e sarebbe lo stesso giudice
Mariano che, il 18 marzo 1082, donò la chiesa di S. Michele di Plaiano alla chiesa di S.
Maria di Pisa. Scano non prende in considerazione i primi giudici segnalati da Fara e così
tutti gli altri studiosi dopo di lui. Anche F.C. Casula e L.L. Brook, nelle Genealogie
medioevali di Sardegna, seguono il sentiero tracciato dal Tola e anch’essi fondono in
un’unica figura i due Mariano citati da Fara. Recentemente R. Turtas, seguendo la
cronotassi dei giudici logudoresi dello storico sassarese M.G. Sanna, conferma l’esistenza
di Mariano (I) come nipote di Barisone, marito di Susanna e padre di Costantino, ma non
entra nella questione dei due Mariano“.
Die „Foundation of Medieval Genealogy“ gibt folgende Quellen an: Domino Barasone et
nepote eius donno Marianus in renno quo dicitur Ore … donnicelo Mariane et donnicelo
Petru et donnicelo Comita donated property to the monastery of S. Benedetto di Monte
Cassino by charter dated 1064. Pope Gregory VII wrote to Mariano Turrensi, Orroco
Arborensi, Orroco Caralitano et Constantino Gallurensi iudicibus Sardiniæ dated 14 Oct
1073“.
XXVI.
NN, *ca. 1020, + ante 1065 (wohl ca. 1045/50); oo NN, il suo figlio Mariano rimase orfano
in tenera età, ma che fu eletto lo stesso come giudice «pro su bonu signu (sinnu) de sa
mamma», cioè per il buon senso, per le capacità di equilibrio e di assennatezza di sua
madre
XXVI.
Barisone, * ca. 990/1000, + nach 1065.
Mariano nipote di Barisone compare 1065 col nonno nel «condaghe» (il registro
patrimoniale) di Silki, per una donazione ai benedettini di alcune chiese. Er wird
identifiziert mit Barisone (I), nato Torchitorio Barisone de Lacon-Gunale (+1073), fu
Giudice (re) del Regno di Arborea dal 1038 al 1060 e Giudice del Regno di Torres, dal
1038 al 1073. Succedette a Gonnario Comita de Lacon-Gunale come Giudice dei giudicati
del Logudoro e di Arborea. Favorì l'immigrazione monastica nell'isola. L'atto di donazione
che fece redigere nel 1063 è il primo ed a questo seguiranno numerosi atti da parte di tutti
i Judikes dell'isola. Nell'atto di donazione il Judike di Torres chiede a Desiderio di
Benevento, abbate di Montecassino, di inviare un gruppo di monaci per prendere
possesso di una vasta area e delle sue pertinenze: comprese le chiese di santa Maria di
Bubalis (Nostra Segnora a Mesumundu) e la chiesetta dei santi Elia ed Enoc, posta sulla
sommità del Monte Santu in territorio di Siligo. Desiderio mandò un gruppo di 12 monaci
con libri, reliquie, ed altri oggetti sacri ma questi furono catturati dai pisani presso l'isola
del Giglio e non arrivarono mai a destinazione. Barisone sollecitò, facendo pressione
anche su Papa Alessandro II, fino ad ottenere che i pisani restituissero il maltolto e
permettessero ad un nuovo gruppo di monaci di raggiungere l'isola. I monaci presero
possesso dei beni donatigli dal Judike nel 1065. Nello stesso anno Barisone decide di
dividere il governo di Torres con Andrea Tanca, suo nipote che gli succederà dopo la
morte, mentre suo figlio Mariano I già governava Arborea 1. Ampia biografia di Francesco
CASULA nel Dizionario Biografico degli Italiani 6 (1964): „Barisone di Torres regnò, con
l'apperativo di giudice, nel Logudoro (contrazione di Locum de Torres) verso la seconda
metà del sec. XI. Il suo piccolo stato, posto nel nord-ovest della Sardegna, si era andato
formando, così come quelli di Cagliari, Arborea e Gallura, qualche secolo prima, in
conseguenza dell'occupazione araba dell'Africa e della Sicilia che tagliava fuori la
Sardegna da Bisanzio da cui dipendeva. La necessità di una pronta difesa dalle scorrerie
musulmane aveva favorito la divisione della Sardegna in quattro territori autonomi, a capo
dei quali stava un giudice, eletto dal popolo e con prerogative sovrane. Per quanto
riguarda il Logudoro, B. è il primo dei giudici di cui abbiamo testimonianza certa; dei suoi
predecessori niente ci è stato tramandato. Pisa aveva stretto, intanto, rapporti con il
Logudoro già dal 1016, soprattutto in seguito alla spedizione nei mari di Sardegna contro
Mugìahid, l'ultimo e il più funesto invasore islamico. La politica di B. fu, però, piuttosto
contraria all'insediamento pisano e intesa più che altro a favorire l'immigrazione di monaci
che portassero nell'isola cultura e religione. A tale scopo B. mandò nel 1063 alcuni
ambasciatori a Desiderio, abate di Montecassino, chiedendogli dodici religiosi che
fondassero nella provincia un monastero ed introducessero la regola di s. Benedetto.
Desiderio accondiscese e dodici religiosi, con libri, reliquie e sacri arredi, partirono, quindi
da Gaeta verso la Sardegna. Ma Pisa, non tollerando il loro insediamento nell'isola, aveva
mandato alcune navi corsare a intercettare la loro rotta. La nave fu assalita presso l'isola
del Giglio e incendiata, tutti gli averi depredati e i monaci ingiuriati. Soltanto otto di essi
riuscirono, dopo varie vicissitudini, a ritornare a Montecassino: gli altri quattro erano periti
durante l'abbordaggio. L'azione dei Pisani, secondo il Besta (pp. 76 s.), sarebbe stata
rivolta soprattutto contro lo stesso B. e testimonierebbe una rottura che sarebbe allora
intervenuta tra il giudicato turritano e Pisa. Il papa Alessandro II minacciò di scomunica i
Pisani se non avessero subito posto riparo alla grave offesa da loro arrecata, ma solo
dopo un intervento diretto di Goffredo di Lorena, marito dalla contessa Matilde, il
monastero riottenne quanto era stato predato e a B. furono date soddisfazioni. Le
cronache tacciono gli avvenimenti immediatamente successivi, e alcuni anni dopo
troviamo le parti in causa apparentemente dimentiche dell'accaduto. Così, mentre Pisa
cercava di penetrare nell'isola attraverso accordi commerciali e intese diplomatiche, B.
rinnovava, intorno al 1065, la richiesta di altri monaci all'abate Desiderio, che la
soddisfaceva, inviando in Sardegna altri due benedettini. Per favorire la loro venuta il
giudice aveva donato all'Ordine le chiese di S. Maria di Bubalis e di S. Elia di Montesanto,
dotandole di larghe estensioni di terreno e di buon numero di servi. Iniziava così la
penetrazione monastica in Sardegna che, dal giudicato di Torres, si estendeva ben presto
a tutta l'isola. Non conosciamo l'anno di morte di B.; gli successe il nipote Mariano I, che
egli aveva associato al regno fin dal 1065“.
XXVII. ?
Gonnario-Comita “de Salanis” (?), Genuarius vulgo Gunarius dictus Comita2, Giudice (=
sovrano regnante) d’Arborea e Torres sowie Gründer der Hauptstadt Tharros in Arborea;
1 Wikipedia.
2 Nach Edition 2003 http://www.sardegnamediterranea.it/pdf/san%20gavino.pdf, erstmals in: Dal mondo antico
all’età contemporanea. Studi in onore di Manlio Brigaglia offerti dal Dipartimento di Storia dell’Università di
Sassari , Roma, 2001, pp. 191 sgg. e Il regno di Torres. Atti di “Spazio e Suono”, 2, a cura di G. Piras, Sassari, 2002,
pp. 366 sgg., , p.XXXI.
oo (Tocode, Focode, Tocoele).
Arborea und Torres scheinen also in der Hand einer Familie gewesen zu sein und sich
innerhalb dieser durch Teilung zu zwei Herrschaftskomplexen entwickelt zu haben.
Konkret wrid Gonnario (Gunnari, Gunnar, Gunnarius, Gonmar, Gunter, oder Gunther ) als
Vater des Barisone von Logudoro (Torres) und Orzocorre (I) von Arborea vermutet.
„Nacque dal giudice d'Arborea Comita II e da Elena de Orrubu nei primi decenni del sec.
XII. Succedette direttamente al padre, ma non si conosce la data precisa della sua
assunzione al trono giudicale d'Arborea, né se vi sia stato un periodo di correggenza.
Sposò in prime nozze Pellegrina de Lacon, appartenente a una delle più antiche e nobili
famiglie dell'isola, e ne ebbe i figli Pietro, Barisone, Ispella e Susanna. La prima
testimonianza riguardante la sua attività risale al 1146. In quell'anno, infatti, in occasione
della consacrazione della nuova chiesa annessa al monastero di Santa Maria di
Bonarcado, egli, nella sua qualità di giudice dell'Arborea, assistito dai maggiorenti e
dall'alto clero del giudicato e da Villano, arcivescovo di Pisa, intervenuto come legato,
concedeva alcune terre demaniali per la dotazione della chiesa stessa. I primi anni del suo
regno, assai poveri di avvenimenti, sembrano caratterizzati da un atteggiamento di
benevolenza nei confronti del clero e delle chiese del giudicato. Dopo aver ripudiato
Pellegrina de Lacon, B. si univa in matrimonio, nell'ottobre del 1157, con Agalbursa de
Cervera, figlia di Poncio e di Almodis, sorella di Raimondo Berengario IV, conte di
Barcellona. Il ripudio e il secondo matrimonio, che comportò rapporti di parentela con la
casa di Barcellona e una certa penetrazione di nobili e funzionari catalani nell'Arborea,
debbono essere visti sotto la luce dell'utilità politica. Il conte di Barcellona, infatti, cercava
nel giudice arborense un alleato nella lotta contro gli Almoravidi, che dalle Baleari
minacciavano con incursioni le coste della Catalogna, mentre B. tendeva ad acquistare il
potente appoggio del signore catalano nell'attuazione del suo disegno di conquista e
unificazione della Sardegna. Circa la campagna contro gli Almoravidi delle Baleari è da
ricordare che B., in epoca compresa fra il 1157 e il 1162, aveva trattato di essa, a nome
dei conte di Barcellona, con l'arcivescovo di Pisa e con i consoli e gli Anziani di questo
comune, ottenendone promessa di appoggio. In una sua lettera a Rairnondo Berengario
B. esponeva il suo punto di vista circa l'impresa progettata, opinando che Pisa si sarebbe
potuta impegnare dopo che avesse fatto pace, o almeno tregua, con Lucca, e se di tutto
fosse stato interessato il pontefice. Dopo gli accordi con il signore catalano, B. iniziò la sua
azione per la conquista e l'unificazione dell'isola. Col pretesto che la discendenza diretta di
Costantino, giudice di Cagliari, era estinta e che la successione di quel giudicato non
poteva discendere per il ramo femminile - il giudicato di Cagliari era, ìnfatti, tenuto da
Pietro, marito di una figlia di Costantino - egli si fece sostenitore di un pretendente al trono,
invase il giudicato di Cagliari e costrinse il giudice Pietro a rifugiarsi presso il fratello
Barisone di Torres. Nella primavera del 1164 Pietro riuscì, con l'aiuto del fratello e di
contingenti pisani, a riconquistare il Cagliaritano e a invadere l'Arborea, costringendo B.
alla fuga. B. riprese allora gli indirizzi della politica filogenovese di suo padre e, messosi in
contatto con il Comune ligure, ne ottenne l'appoggio presso l'imperatore Federico
Barbarossa, che nell'agosto del 1164, a Pavia, nella chiesa di S. Siro, gli concesse
l'investitura della Sardegna col titolo regale. B. si impegnava a compensare con
quattromila marchi d'argento il privilegio ottenuto e a corrispondere un censo annuo come
riconoscimento dell'alta sovranità imperiale sull'isola. I legati pisani presenti alla dieta
protestarono sostenendo che B. era un loro vassallo, e indegno perciò del titolo regale, e
riaffermando il loro diritto sulla Sardegna rifacendosi alla conquista operatane contro
Muglahid; dal canto loro gli ambasciatori genovesi accampavano identiche ragioni tranne
per quanto si riferiva alla persona di Barisone. Di fronte a questo contrasto l'imperatore
preferì aderire alle tesi genovesi, in modo da lasciare il dominio della Sardegna vincolato
all'impero. Contemporaneamente, i giudici di Cagliari e di Torres, spinti dai Pisani e turbati
dall'atteggiamento di B., invasero nuovamente l'Arborea, la saccheggiarono e
incendiarono la "villa" di Cabras, sede di un castello. La somma di quattromila marchi
dovuta all'imperatore per l'investitura veniva intanto prestata a B. dal Comune di Genova e
da diversi cittadini genovesi. Per ottenere questo prestito egli dovette, nel settembre 1164,
sottoscrivere una serie di onerosi iinpegni, che comportavano, a titolo di interesse, il
pagamento di centomila libbre, il censo annuo di quattrocento marchi, la concessione ai
mercanti genovesi della libertà di commercio nel porto di Oristano e nel territorio del
giudicato, la concessione a Genova di uno spazio, nella città di Oristano, atto
all'edificazione di almeno cento case e botteghe, e, infine, l'obbligo di revocare le
concessioni di" donnicalie" già godute dai Pisani. Come garanzia di adempimento del
contratto egli indicava tutto il giudicato e più specialmente i castelli di Arculentu e di
Marmilla. Genova da parte sua si limitava all'impegno di proteggerlo contro i Pisani. Al
principio del 1165 B., accompagnato dal console genovese Pizzamiglio, giunse per mare
ad Oristano. I maggiorenti che lo accompagnavano sbarcarono per ottenere la ratifica
delle convenzioni da lui stipulate e per raccogliere le somme da versare al Comune e ai
cittadini genovesi; non essendo però riusciti a raccogliere dette somme, B. non poté
sbarcare e fu ricondotto a Genova. Intanto il Barbarossa, con improvviso voltafaccia,
concedeva, il 12 apr. 1165, l'investitura della Sardegna al Comune di Pisa e un esercito
pisano impegnava combattimenti nell'isola contro i Genovesi. Nell'estate del 1168 B.
ottenne di compiere un nuovo viaggio in Sardegna per tentare di raccogliere le somme
dovute a Genova. Il viaggio fu preceduto dalla stesura di un altro trattato che riepilogava e
aggravava le condizioni imposte nella convenzione precedente: in particolare si insisteva
sulla dipendenza della liberazione di B., ormai trattato alla stregua di un qualsiasi debitore
moroso, dal pagamento delle somme dovute. Il console genovese Nuvolone Alberici che lo
accompagnava aveva avuto inoltre direttive per un accordo con i giudici di Torres e di
Cagliari circa il raggiungimento della pace nell'isola. Detto accordo fu realizzato - i giudicati
tornarono ai vecchi confini e la pace fu giurata dalle popolazioni - segnando così la fine
delle ambizioni di B. che, però, non fu liberato; con lui furono ricondotti a Genova la moglie
Agalbursa, il nipote Poncio de Bas e altri ostaggi. Finalmente nel 1171, quando da due
anni Genova e Pisa avevano stabilito una tregua in Sardegna, accordandosi per lo
sfruttamento dell'isola, B., che i sudditi arborensi avevano soccorso finanziariamente,
impegnandosi a restituire al Comune genovese le somme da dovute, poté tornare in
Sardegna. Negli anni successivi egli seguì una politica fluttuante nei confronti dei
Genovesi e dei Pisani che si erano insediati nella città di Oristano, i primi, e nei
possedimenti dell'entroterra, i secondi. Riprese, nell'anno 1180, le armi contro il giudice di
Cagliari, ma dopo alcuni successi iniziali fu sconfitto e costretto alla pace dai consoli
pisani. L'ultima parte della sua vita fu dedicata a migliorare le condizioni economiche e
culturali delle chiese del giudicato. Donò, nel 1182, a Montecassino la chiesa di S. Nicola
di Gurgo dotandola di vasti territori e di servi. Fondò in Oristano un ospedale, di cui ancor
oggi restano alcune vestigia, e un monastero, richiedendo che ad esso fossero destinati
dodici monaci dei quali almeno quattro fossero letterati e idonei ad occupare le sedi
vescovili e a trattare gli affari dello Stato con la corte romana e imperiale. Si riavvicinò a
Pisa ed ebbe rapporti di carattere finanziario con il mercante pisano Ranuccio di Boccio.
Morì nel 1186. La personalità di B. è stata diversamente giudicata. 1 primi storici della
Sardegna medievale hanno visto negli avvenimenti fortunosi della sua vita un dramma
dell'ambizione; ma già il Besta, trattando magistralmente di lui e del periodo storico nel
quale egli è vissuto, pur senza dame un giudizio esplicito, lascia trapelare la sua
ammirazione per il sogno di grandezza del giudice arborense. Resta comunque merito di
B. l'aver avuto coscienza dell'importanza che l'isola unificata avrebbe avuto nel gioco delle
potenze gravitanti sulle sponde del Mediterraneo occidentale e l'aver lottato per
l'attuazione di questo progetto di unificazione che, se realizzato, avrebbe affrancato la
Sardegna dallo sfruttamento economico di Pisa e di Genova, liberandola dal
particolarismo e dalle lotte intestine“.
„Giudice d'Arborea, terzo di questo nome, è ricordato molto raramente nelle fonti, di modo
che assai lacunosa e induttiva risulta la sua biografia. Sino ai primi anni delsecolo si
ritenne, in base ai dati tramandati dall'annalista sardo G. F. Fara, che egli fosse nato verso
la fine del secolo XI, dal giudice Gonario di Lacon e dalla moglie Elena d'Orruvu e fosse
salito al trono a seguito della morte, senza eredi diretti, del fratello maggiore Costantino I.
Oggi, sulla scorta delle indicazioni fornite dal Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, si
ritiene invece che sia stato figlio - e non fratello - del predetto Costantino e di Anna de Zori
sua moglie. Gravi incertezze restano, comunque, sulla composizione della famiglia e
particolarmente sulla contestata ammissibilità di un fratello di nome Torbeno che da
usurpatore o da reggente avrebbe tenuto il giudicato trasmettendolo al proprio figlio
Orzocco. Sposò in prime nozze Elena d'Orruvu, da cui ebbe il primo figlio e successore
Barisone, e poi Vera de Gunale, dalla quale ebbe almeno un altro figlio. Non si conosce la
data di nascita né quella della sua ascesa al trono che, peraltro, dovrebbe ritenersi
avvenuta non molto prima del 1131. Di quest'anno è infatti la prima notizia certa
pervenutaci che è costituita dai trattati da lui stipulati con il Comune di Genova. I trattati,
che segnano un improvviso rovesciamento della politica filopisana fin allora seguita dal
giudicato arborense, cadono in un momento cruciale della storia dell'isola coinvolta nella
guerra, in corso da oltre un decennio, tra Genova e Pisa per il predominio mercantile nel
Tirreno. Le prime avvisaglie della secolare gara, di concorrenza si ebbero agli inizi del
secolo XII, allorché Genova incominciò a reagire allo stato d'inferiorità commerciale nella
quale l'aveva messa il predominio della rivale nelle isole di Sardegna e di Corsica. I suoi
primi tentativi di stabile penetrazione in Sardegna ebbero qualche successo nel giudicato
di Cagliari, ma suscitarono l'immediata reazione di Pisa. La guerra scoppiò nel 1118.
L'occasione fu offerta dalla contesa per i vescovadi, corsi, improvvisamente inaspritasi
allorché il papa Gelasio II, disattendendo le insistenti richieste genovesi, confermò
all'arcivescovo pisano il vicariato sui vescovi di tutte le diocesi dell'isola. Pur trattandosi di
una prerogativa di natura ecclesiastica, essa costituiva di fatto uno strumento validissimo
di penetrazione economica e sociale e di preminenza politica, per cui Genova ruppe in
guerra, esigendo parità di diritti e libertà di commercio nelle due isole. Il conflitto finì per
interessare anche la Sardegna, poiché Pisa, temendo di perdere il predominio della
Corsica, cercò di rafforzare il controllo dell'altra isola. Durante la guerra numerosi furono
gli insediamenti di Ordini religiosi pisani in Sardegna, mentre ebbe sostanziale successo la
politica di alleanza con i vari giudici condotta da quella Repubblica. Tra il 1130 e il 1131
Costantino di Cagliari, Gonario II di Torres e Comita di Gallura giurarono fedeltà
all'arcivescovo di Pisa. Il conflitto poi si concluse quando nel 1133 Innocenzo II elevò il
vescovo di Genova alla dignità di arcivescovo e divise le diocesi corse assegnando le
settentrionali all'arcivescovo di Genova e le meridionali a quello di Pisa. A quest'ultimo
riconobbe, inoltre, la giurisdizione sulle diocesi di Civita e Galtelli, il primato sulla provincia
turritana e la legazia apostolica su tutta la Sardegna. Nel corso della guerra C. fu l'unico
giudice sardo che si alleò con Genova. Il motivo della sua decisione risiede nel rifiuto
opposto da Pisa alle sue mire di dominio sull'intera Sardegna e sull'aiuto invece
promessogli da Genova. Quest'ultima in tal modo non solo s'insediava in Arborea,
escludendone i Pisani, ma anche poteva sperare, con la conquista degli altri giudicati da
parte di C., di estendere la propria influenza esclusiva anche su di essi. I trattati furono
due. Col primo C. fece donazioni di chiese, terre e miniere esistenti nel suo regno alla
cattedrale ed al Comune di Genova, promettendo altre terre e miniere da scegliersi in tutta
l'isola non appena fosse venuta in suo possesso; col secondo mise sé, il figlio e il regno
sotto la protezione di Genova al fine di garantirsene la difesa. Dopo la conclusione degli
accordi C. entrò in guerra contro il giudice di Torres. Il conflitto era ancora in corso nel
1145, ma di C. non si ha più alcuna notizia certa sin dal 1133. Il Besta, fondandosi su di un
documento non datato e da lui ascritto al 1133 - dal quale risulta regnante in Arborea il
giudice Torbeno - propende a credere che C. sia scomparso in quell'anno e che a
succedergli sia stato chiamato Torbeno, da lui reputato fratello di Comita. Lo Scano
respinge tali conclusioni e ritiene più probabile che C. fosse ancora in vita nel 1145-46 e
che a lui si riferiscano la scomunica dell'arcivescovo di Pisa Baldovino e il successivo
intervento di s. Bernardo di Chiaravalle. Nel 1145, Baldovino passò in Sardegna in veste di
legato papale e, per appoggiare l'azione pisana volta a scalzare i Genovesi dall'Arborea,
cercò di indurre il giudice alla pace. Al rifiuto oppostogli lo scomunicò, dichiarandolo
decaduto e trasferendo le sue, potestà in capo al giudice di Torres Gonario II. L'anno
successivo s. Bernardo scriveva al papa Eugenio III raccomandandogli di confermare il
provvedimento di Baldovino contro il giudice che descriveva profondamente ingiusto con i
suoi sudditi. Un giudizio che, osserva lo Scano, non si attaglia certamente al figlio di C.
Barisone e perciò deve riferirsi allo stesso Comita. Lo Scano afferma inoltre che a C.
succedette direttamente il figlio; ma non precisa in quale anno e non dice se vi fu un
periodo di reggenza“.