Andrea Palladio

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Andrea Palladio

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Palladio

Andrea Palladio pseudonimo di Andrea di Pietro della Gondola


(Padova, 30 novembre 1508 – Maser, 19 agosto 1580) è stato un architetto e
scenografo italiano.

Ha dato il nome ad uno stile - lo stile palladiano, appunto - che aderisce ai


principi classico-romani, in contrapposizione ai ricchi ornamenti
rinascimentali. Palladio progettò numerose chiese, ville e palazzi, soprattutto
a Vicenza, dove si formò e visse, a Venezia e nelle aree circostanti. Sua è la
progettazione della Chiesa di San Giorgio Maggiore nel capoluogo lagunare.

BIOGRAFIA

Andrea Palladio - Andrea di Pietro della Gondola, detto (Padova 1508 –Maser,
Treviso 1580). Figlio di un mugnaio, si trasferì giovanissimo a Vicenza lavorando come
lapicida nella bottega di Giovanni da Pedemuro. Il letterato Giangiorgio Trissino lo
impegnò nella costruzione della propria villa a Cricoli (1537) e lo introdusse nei circoli
culturali veneti con il nome di Palladio. Alla sua formazione contribuirono le opere di
G.Falconetto, di M.Sanmicheli, di J.Sansovino, di G. Romano, oltre che il trattato di
Sebastiano Serlio. I viaggi compiuti con il Trissino a Roma gli permisero di studiare a
fondo i monumenti antichi e di conoscere la produzione dei grandi architetti attivi a
Roma nel Cinquecento. Nel 1549 il Consiglio dei Cento di Vicenza gli affidò la
ricostruzione del Palazzo della Ragione , la “Basilica” che venne completata nel 1614
e che chiude il vecchio edificio gotico in un involucro classicheggiante il cui motivo
dominante è la reiterazione della “serliana”. Morto il Trissino, nel 1550, Palladio si
accostò al dotto prelato veneziano Daniele Barbaro, per il quale eseguì le illustrazioni
di un’edizione del De Architectura di Vitruvio (1556) e per il quale compilò il volume
L’antichità di Roma che ebbe molto successo. Gli vennero affidate numerose
commissioni e nel 1570 divenne architetto ufficiale della Serenissima, pubblicando,
nello stesso anno, I quattro libri dell'architettura, nei quali prende in esame i
fondamenti teorici, gli edifici privati, la costruzione della città e i templi. Palladio, pur
desumendo dallo studio diretto dei monumenti antichi gli elementi morfologici classici,
li reinterpreta in un linguaggio architetettonico nuovo sia a Vicenza, Palazzo
Chiericati (1550 c.), Palazzo Valmarana (1565/66), l’incompiuta Loggia del
Capitanio (1571), che nelle ville dell’entroterra veneto dove il patriziato veneziano
consolida il proprio patrimonio con la rendita fondiaria. Nascono così Villa Almerico-
Capra (la “Rotonda”) vicino a Vicenza, Villa Pisani a Montagnana, Villa Foscari (la
“Malcontenta”) presso Mira, Villa Barbaro a Maser, Villa Emo Capodilista a Fonzolo.
Oltre che nelle campagne e nella città di Vicenza, di cui rinnovò il volto monumentale,
Palladio fu attivo anche a Venezia, dove realizzò le grandi chiese di S.Giorgio
Maggiore (1566) e del Redentore (1577-92). La sua ultima impresa fu il Teatro
Olimpico iniziato per l’Accademia Olimpica (1579-80) e terminato dopo la sua morte
da Vincenzo Scamozzi.

Figlio del mugnaio Pietro della Gondola e di Marta detta "la zota", Andrea
nasce a Padova nel 1508. Nella città del Santo egli compie le sue prime
esperienze come scalpellino nella bottega di Bartolomeo Cavazza da Sossano,
che sembra avergli posto condizioni particolarmente dure. Nel 1524, infatti,
dopo un primo tentativo fallito, riesce a fuggire a Vicenza: qui entra nella
bottega di Pedemuro San Biagio, tenuta da Giovanni di Giacomo da Porlezza e
Girolamo Pittoni da Lumignano, a quell'epoca scultori molto famosi a Vicenza.
Tra il 1535 e il 1538 avviene l'incontro che cambierà radicalmente la sua vita:
mentre lavora nel cantiere della villa suburbana di Cricoli conosce Giangiorgio
Trissino, poeta e umanista, che lo prenderà sotto la sua protezione. Sarà
proprio lui a soprannominarlo Palladio, a guidarlo nella sua formazione
culturale improntata soprattutto sullo studio dei classici, a condurlo, infine, più
volte a Roma. Qui Andrea si trova per la prima volta a contatto con le
architetture che aveva imparato ad amare, può osservare dal vivo i monumenti
imperiali, ammirandone la bellezza e studiandone i materiali, le tecniche
costruttive, i rapporti spaziali. Ma i viaggi col suo mecenate significano anche
l'incontro con i "grandi" del tempo: Michelangelo, Sebastiano Serlio, Giulio
Romano, Bramante. Intorno al 1540 inizia intanto la sua attività autonoma di
architetto, con opere come il Palazzo Civena a Ponte Furo (Vicenza) e la villa
Godi a Lonedo, mentre nel 1549 si situa l'episodio che lo consacrerà
definitivamente: la ricostruzione delle Logge della Basilica di Vicenza in
sostituzione di quelle quattrocentesche. Il progetto del Palladio ha la meglio su
una concorrenza decisamente agguerrita (erano stati fra gli altri consultati
Serlio, Sansovino, Sanmicheli, Giulio Romano). Da allora le nobili famiglie
vicentine e veneziane si contenderanno l'attività del Palladio. Inizia così il
periodo più intenso dell'attività palladiana, che si concretizzerà in opere di
assoluta bellezza, dal palazzo Chiericati alla villa Barbaro di Maser, dalla
"Malcontenta" a Mira alle chiese veneziane del Redentore e di S. Giorgio
Maggiore, fino alla notissima Rotonda. Nel 1570, inoltre, Palladio pubblica il
trattato I quattro libri dell'architettura, espressione della sua cultura, dei suoi
ideali ed anche della sua concreta esperienza. Negli anni '70 è a Venezia in
qualità di "proto", cioè consulente architettonico, della Serenissima. Tra
febbraio e marzo del 1580 vengono intanto avviati i lavori per la costruzione
del teatro Olimpico, edificato su richiesta degli Accademici Olimpici (lo stesso
Andrea era stato nel 1556 socio fondatore) per la recitazione della tragedia
classica. Tuttavia, prima che l'opera sia completata il Palladio si spegne il 19
agosto 1580.

Indice
• 1 Opere
• 2 Lo stile di Palladio
• 3 Bibliografia
• 4 Voci correlate
• 5 Altri progetti

• 6 Collegamenti esterni

Opere
Tra le opere più significative e innovative spicca Villa Almerico–Capra, detta
La Rotonda: la pianta è quadrata con ripartizione simmetrica degli ambienti,
raggruppati intorno ad un salone circolare ricoperto da una cupola. In
ognuna delle quattro facciate si trova un classico pronao con colonne ioniche
timpano a dentelli. È pensata come luogo di intrattenimento, su modello
romano, non come centro produttivo come altre ville palladiane. La cupola
centrale (11 metri di luce), che nel progetto di Palladio doveva essere
emisferica, fu realizzata postuma su modello differente, rievocando le linee
di quella del Pantheon romano.

Maestoso è il Teatro Olimpico di Vicenza, ultima opera dell'artista: la ripida


cavea si sviluppa direttamente dall'orchestra per culminare nel solenne
colonnato trabeato. Il palcoscenico appena rialzato è definito da un fondale
architettonico fisso da cui partono cinque strade illusionisticamente
lunghissime (opera di Vincenzo Scamozzi, che completò il teatro alla morte
del maestro). Qui trionfa tutta l'esperienza del maestro in una felice sintesi
con la poetica di Vitruvio.
L'architettura ed i motivi del teatro classico romano storicamente all'aperto,
vengono portati all'interno di uno spazio chiuso ma al contempo aperto dalle
profonde prospettive al di là dei grandi portali, in un concetto modernissimo
di dinamismo spaziale.

Villa Capra detta La Rotonda

Lo stile di Palladio
L'architettura del Palladio divenne presto famosa in tutta Europa, dando vita
ad un fenomeno noto come Palladianesimo. In Inghilterra si ispirarono al suo
stile Inigo Jones e Christopher Wren. Un altro suo noto ammiratore fu
l'architetto Richard Boyle, conosciuto come Lord Burlington che - con William
Kent - progettò Chiswick House. La Casa Bianca, residenza del presidente
degli Stati Uniti d'America, è progettata in stile palladiano.

Bibliografia
• AA.VV., a cura di A. Chastel e R. Cevese. Andrea Palladio: nuovi
contributi. Milano, Electa,
1990. Bene appartenente al Patrimonio
• Garofalo Emanuela, Leone dell'Umanità UNESCO
Giuseppina. Palladio e la
Sicilia. Palermo, Caracol, 2004.

Villa Capra Villa Capra detta la Rotonda

detta la
Rotonda
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(Reindirizzamento da Villa Capra


detta La Rotonda) Dati
Vai a: Navigazione, cerca Anno inserimento: 1994 - 1996
Tipologia: Architettonico
Villa Capra detta La Rotonda
Criterio: C (i) (ii) (*)
(conosciuta anche come Villa
Nessuna
In pericolo:
indicazione
Scheda: Scheda UNESCO
[[Image:{{{linkMappa}}}|295px|]]
Patrimoni in Italia
Almerico-Capra o Villa Capra-Valmarana) è una villa a pianta centrale
costruita da Andrea Palladio a partire dal 1566 a ridosso della città di
Vicenza. Il nome "Capra" deriva dal cognome dei due fratelli che
completarono l'edificio dopo che fu ceduto loro nel 1591. Villa più famosa del
Palladio e probabilmente di tutte le ville venete, la Rotonda è uno dei più
celebrati edifici della storia dell'architettura dell'epoca moderna.

Indice
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• 1 Ispirazione
• 2 Progetto
• 3 Completamento e modifiche
• 4 Interno e decorazione
• 5 Rapporto con il paesaggio
• 6 La villa oggi
• 7 La Rotonda come modello
architettonico
• 8 Bibliografia
• 9 Voci correlate
• 10 Altri progetti

• 11 Collegamenti esterni

[modifica] Ispirazione
Quando nel 1565 il canonico e conte Paolo Almerico, ritiratosi dalla Curia
Romana dopo essere stato referendario apostolico sotto Papa Pio IV e Pio V,
decise di tornare alla sua città natale Vicenza e costruirsi una residenza di
campagna, non avrebbe potuto immaginare che la casa da lui
commissionata all'architetto Andrea Palladio sarebbe divenuta uno dei
prototipi architettonici più studiati e imitati per i successivi cinque secoli.
Malgrado Villa Capra abbia ispirato in seguito migliaia di edifici, essa stessa è
senza dubbio ispirata al Pantheon di Roma. Nel corso della sua vita, Palladio
progettò più di venti ville in terra veneta. Questa residenza, più tardi nota
come "La Rotonda", sarebbe divenuta una delle sue più celebri eredità al
mondo dell'architettura.

[modifica] Progetto
Il sito prescelto fu la cima tondeggiante di un piccolo colle appena fuori le
mura di Vicenza. A quel tempo il fascino per i valori arcadici iniziava a
spingere molti nobili possidenti a misurarsi con le gioie della vita semplice,
malgrado gli aspetti piacevoli della vita a contatto con la natura rimanessero
ancora in secondo piano rispetto alla scelta, tutta economica, di orientare gli
investimenti verso un'agricoltura di tipo intensivo. Essendo celibe, il prelato
Almerico non aveva bisogno di un vasto palazzo (anzi vendette quello che
possedeva in centro città) ma desiderava una sofisticata villa, e fu
esattamente questo che Palladio ideò per lui: una residenza suburbana con
funzioni di rappresentanza, ma anche tranquillo rifugio di meditazione e
studio. Isolata sulla cima del colle, questa sorta di originale "villa-tempio" in
origine era priva di annessi agricoli. L'architetto la incluse,
significativamente, nell'elenco dei palazzi e non tra le ville nei suoi Quattro
libri dell'architettura del 1570.

Pianta di Palladio per la Rotonda, ne I quattro libri dell'architettura, 1570

La costruzione, iniziata nel 1566 circa, consisteva di un edificio quadrato,


completamente simmetrico ed inscrittibile in un cerchio perfetto (vedi figura
a lato). Descrivere la villa come "rotonda" è tuttavia tecnicamente scorretto,
dato che la pianta dell'edificio non è circolare ma rappresenta piuttosto
l'intersezione di un quadrato con una croce. Ognuna delle quattro facciate
era dotata di un avancorpo con una loggia che si poteva raggiungere salendo
una gradinata; ciascuno dei quattro ingressi principali conduceva, attraverso
un breve vestibolo o corridoio, alla sala centrale sormontata da una cupola.
L'aula centrale e tutte le altre stanze erano proporzionate con precisione
matematica in base alle regole proprie dell'architettura di Palladio che egli
elaborò nei suoi Quattro libri. Proprio la sala centrale rotonda è il centro
nevralgico della composizione, alla quale il Palladio imprime forza centrifuga
allargandola verso l'esterno, nei quattro pronai ionici e nelle scalinate. La
villa risulta così un'architettura aperta, che guarda la città e la campagna.
Il progetto riflette gli ideali umanistici dell'architettura del Rinascimento. Per
consentire ad ogni stanza un'analoga esposizione al sole, la pianta fu ruotata
di 45 gradi rispetto ai punti cardinali. Ognuna delle quattro logge presentava
un pronao con il frontone ornato di statue di divinità dell'antichità classica.
Ognuno dei frontoni era sorretto da sei colonne ioniche (esastilo ionico). Ogni
loggia era fiancheggiata da una singola finestra. Tutte le stanze principali
erano poste sul piano nobile.

Con l'uso della cupola, applicata per la prima volta ad un edificio di


abitazione, Palladio affronta il tema della pianta centrale, riservata fino a
quel momento all'architettura religiosa. Malgrado vi fossero già stati alcuni
esempi per un edificio residenziale a pianta centrale (dai progetti di
Francesco di Giorgio Martini ispirati a villa Adriana o dallo "studio di
Varrone", alla casa del Mantegna a Mantova - o la sua illusionistica "Camera
degli sposi" in palazzo Ducale -, sino al progetto di Raffaello per villa
Madama), la Rotonda resta un unicum nell'architettura di ogni tempo, un
riconosciuto modello ideale.

[modifica] Completamento e modifiche


Vista dalla riviera berica

Né Palladio, né il proprietario Paolo Almerico, avrebbero visto il


completamento dell'edificio, malgrado questo fosse già abitabile nel 1569.
Palladio morì nel 1580 e quindi un secondo importante architetto vicentino,
Vincenzo Scamozzi, fu assunto dai proprietari per sovrintendere ai lavori di
completamento, che ebbe luogo nel 1585, limitatamente al corpo principale,
con la costruzione della cupola, sormontata dalla lanterna.

Palladio intendeva coprire la sala centrale con una volta semisferica, ma


Scamozzi progettò una volta più bassa con un oculo (che doveva essere a
cielo aperto) ispirandosi al Pantheon e apportò altre limitate modifiche al
progetto, come il taglio alla scalinata che permetteva un accesso diretto
dall'esterno ai locali di servizio posti al pianterreno. La scalinata fu
modificata nel XVIII secolo da Ottavio Bertotti Scamozzi che la riportò alla
forma originale e il piano attico venne suddiviso in stanze da Francesco
Muttoni, che modificò i mezzanini (1725-1740).

Alla morte del committente Almerico, la villa finì in eredità al figlio naturale
Virginio Bartolomeo che, a causa della disastrosa gestione economica, fu
costretto a venderla due anni dopo, nel 1591, ai fratelli Odorico e Mario
Capra. Furono i Capra a portare infine a termine il cantiere nel 1620 con la
decorazione interna ad affresco. Lo Scamozzi aggiunse gli annessi rustici
esterni (la barchessa, staccata dal corpo principale) per le funzioni agricole,
non previste nel progetto originario. Al complesso fu aggiunta infine la
cappella gentilizia, costruita da Girolamo Albanese per volontà del conte
Marzio Capra tra il 1645 ed il 1663.

[modifica] Interno e decorazione


L'interno avrebbe dovuto essere splendido non meno dell'esterno; le statue
sono interventi di Lorenzo Rubini e Giambattista Albanese; la decorazione
plastica e dei soffitti è opera di Agostino Rubini, Ottavio Ridolfi, Ruggero
Bascapè, Domenico Fontana e forse Alessandro Vittoria; gli apparati pittorici
in affresco sono di Anselmo Canera, Bernardino India, Alessandro Maganza e
più tardi del francese Ludovico Dorigny. Le decorazioni della villa coprono un
lungo periodo di tempo e di alcune l'attribuzione non è certa.
Scorcio degli interni

Tra i quattro principali saloni del piano nobile vi sono la sala ovest (con
affreschi di tema religioso) e il salone est, che ospita un'allegoria della vita
del primo proprietario conte Paolo Almerico, con le sue numerose ed
ammirevoli qualità ritratte in affresco.

Il luogo più notevole dello spazio interno è senza dubbio la sala centrale
circolare, dotata di balconate, che si sviluppa a tutt'altezza fino alla cupola; il
soffitto semisferico è decorato da affreschi di Alessandro Maganza; anche qui
troviamo allegorie legate alla vita religiosa ed alle Virtù ad essa collegate,
dove sono raffigurate accanto alla Fama la Religione, la Benignità, la
Temperanza e la Castità. La parte inferiore della sala, alle pareti, è invece
adornata con finte colonne dipinte in trompe l'oeil e gigantesche figure della
mitologia greca, opera successiva di Ludovico Dorigny.

Come nell'architettura di Palladio, pensata per un uomo di Chiesa, anche


nell'apparato decorativo vengono inseriti elementi formali destinati a
suggerire un senso di sacralità, in sintonia con tale programma celebrativo.
La quantità di affreschi richiama ad alcuni maggiormente l'atmosfera di una
cattedrale che non quella d'una residenza di campagna. Goethe, che fece più
volte visita alla villa, disse che Palladio aveva reso un tempio greco adatto ad
abitarvi.

[modifica] Rapporto con il paesaggio


La Rotonda vista dal viale posteriore

Dai porticati è possibile godere della meravigliosa vista della campagna


circostante, dato che non per una coincidenza la villa fu progettata per
essere in perfetta armonia con il paesaggio. Ciò era in netto contrasto con
edifici come la Villa Farnese costruita solo 16 anni prima. Malgrado la
Rotonda possa apparire completamente simmetrica, vi sono delle deviazioni,
progettate perché ogni facciata fosse il complemento dell'ambiente e della
topografia circostante; di conseguenza vi sono delle variazioni nelle facciate,
nell'ampiezza dei gradini, nei muri di contenimento ecc. In tal modo la
simmetria dell'architettura dialoga con l'asimmetria del paesaggio, per
creare un insieme apparentemente simmetrico. Il panorama offre una
visione panoramica di alberi, prati e boschetti, con Vicenza distante
all'orizzonte.

La loggia settentrionale è inserita nella collina come termine di una strada


carreggiabile che corre dal cancello principale. Questo percorso è un viale tra
i blocchi dei servizi, costruito dai fratelli Capra che acquistarono la villa nel
1591, commissionando a Vincenzo Scamozzi di completare l'edificio e
costruire le stalle e gli edifici ad uso rurale. Quando ci si avvicina alla villa da
questa parte, si riceve l'impressione deliberata che sia stia ascendendo dal
basso ad un tempio sulla sommità. Allo stesso modo, in senso inverso, dalla
villa si nota il santuario che incombe sulla città dalla cima di Monte Berico,
unificando così la villa e la città.

Bibliografia
• A. Palladio, I Quattro Libri dell'Architettura, Venezia 1570, libro II, p. 18.
• F. Muttoni, Architettura di Andrea Palladio Vicentino con le osservazioni
dell'Architetto N. N., 9 voll., Venezia 1740-1760, vol. I, pp. 12-14, tavv.
XI-XII, vol. V., tav. XIV.
• O. Bertotti Scamozzi, Le fabbriche e i disegni di Andrea Palladio, 4 voll.,
Vicenza 1776-1783, vol. II, pp. 9-13, tavv. I-IV.
• A. Magrini, Memorie intorno la vita e le opere di Andrea Palladio,
Padova 1845, pp. 78, 238-240.
•  M. Fagiolo, Contributo all'interpretazione dell'ermetismo in Palladio,
in "Bollettino del C.I.S.A. Andrea Palladio", XIV, 1972, pp. 357-380, in
part. pp. 359-362.
•  D. Gioseffi, Il disegno come fase progettuale dell'attività palladiana,
in "Bollettino del C.I.S.A. Andrea Palladio", XIV, 1972, pp. 45-62, in part.
pp. 55-56.
•  R. Cevese, L'opera del Palladio, in R. Cevese (a cura di), Mostra del
Palladio, catalogo della mostra, Milano 1973, pp. 43-130, in part. pp.
82-85.
•  A. Corboz, Per un'analisi psicologica della villa palladiana, in
"Bollettino del C.I.S.A. Andrea Palladio", XV, 1973, pp. 249-266, in part.
pp. 257-264.
•  L. Puppi, Andrea Palladio, Milano 1973, pp. 380-383.

LA CREAZIONE DI UN'ARCHITETTURA SISTEMATICA E TRASMISSIBILE

Palladio è probabilmente il più influente ed il più conosciuto tra gli architetti


che siano vissuti prima del secolo che sta per finire. La sua fama e la sua
reputazione sopravvissero al Barocco, al gusto neo-gotico, alle invettive che
Ruskin gli rivolse, e al movimento moderno, che nella sua fase ultima si
riconciliò pienamente, grazie agli scritti di Rudolf Wittkower e Colin Rowe,
con l'architetto delle ville razionali ed armoniosamente proporzionate. La
citazione eclettica e spesso pedestre degli elementi del linguaggio di
Palladio, come la loggia di villa Poiana, ha mantenuto il suo nome familiare e
viva la fama del suo libro. Ma allo stesso tempo ha aiutato gli osservatori più
attenti a capire la differenza del sistema architettonico di Palladio, in cui
struttura ed ornamento, forma e funzione sono perfettamente integrati, dal
gesto del pasticcere che aggiunge un'altra decorazione alla sua torta.
La reputazione di Palladio, bersaglio della critica od oggetto di elogio, ha
subito varie trasformazioni e distorsioni: è stato visto come fonte di regole
infallibili e buon gusto, oppure considerato nemico dell'architettura
moralmente virtuosa (moderna o neo-gotica che fosse). Nella presente
mostra viene illustrato e analizzato un ampio periodo dell'attenzione
dedicata all'architetto ed al suo libro. La sezione strettamente dedicata a
Palladio cerca invece di avvicinarci alla sua figura in modo da indicare anche
le divergenze da coloro che, in date più tarde e in altri luoghi, si sono serviti
delle sue idee e composizioni come punto di partenza per disegni che spesso
dovevano incontrare esigenze diverse o impiegare materiali differenti da
quelli con cui Palladio aveva familiarità.
Chi era Palladio? Quali erano le sue idee sull'architettura, e come vi giunse?
Quale il carattere del suo contributo allo sviluppo della cultura e delle forme
architettoniche? Egli si differenzia dagli altri grandi architetti italiani ed
europei del suo tempo? li supera? Sono queste le domande che spesso
ritornano nella sterminata letteratura sull'architetto vicentino; ed io qui
voglio soltanto abbozzare delle risposte possibili, come prefazione ad una
mostra che concerne principalmente ciò che fecero, con i disegni e le idee di
Palladio, gli architetti ed i mecenati del Nord Europa.

PALLADIO E I SUOI CONTEMPORANEI

Sarebbe difficile sostenere che Palladio superi per originalità e abilità gli altri
architetti che operarono tra il 1420 e il 1580. Questo è infatti un periodo in
cui l'architettura viene riconosciuta come forma di espressione culturale
eminente, strettamente legata alla rappresentazione del potere, della
ricchezza, del prestigio, e viene vista come uno strumento per plasmare,
controllare e migliorare il carattere e la qualità della vita sia
pubblica che privata.
Brunelleschi (1377-1446) dimostrò una formidabile inventiva tecnica e
strutturale nel disegno della cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze. Nelle
altre sue opere egli riscoprì in parte ed in parte inventò un linguaggio di
forme e motivi architettonici che ha segnato la strada percorsa dai suoi
successori. Leon Battista Alberti (1404-1472) fece ancora di più: egli intuì
l'importanza e la potenzialità dell'architettura come spazio della vita sociale
e religiosa; e comprese come essa costituisse per gli antichi un corpo
articolato di saperi, che permetteva di trovare una soluzione razionale ad
ogni questione connessa alla costruzione e al controllo dell'ambiente abitato.
Nel suo libro De Re Aedificatoria (scritto prima del 1452, ma pubblicato per
la prima volta nel 1485) egli tentò, basandosi su testi scritti e sui monumenti
sopravissuti, di riunire ogni aspetto della scienza e dell'arte architettonica dei
romani per mostrare come esse potessero essere applicate alle necessità del
presente. Alberti non fu solo uno studioso e un conoscitore dell'antichità: il
suo spiccato interesse per i materiali e le tecniche derivava dal contatto con
gli artigiani, dall'osservazione diretta, dalla sperimentazione e dalla sua
pratica architettonica. Alberti non era unicamente un ricercatore sistematico
la cui vigorosa intelligenza riusciva a dare una struttura teorica a ciò che
osservava e studiava, ma anche un brillante scrittore, un artista con
esperienza nel campo della pittura e della scultura, in contatto con i maggiori
artisti fiorentini del suo tempo, Brunelleschi, Ghiberti, Donatello e Masaccio.
La sua ampia cultura, la sua chiarezza di pensiero e il suo talento artistico si
riflettono nei suoi progetti architettonici, che esemplificano e in un certo
senso illustrano le idee presenti nel suo libro - un libro che forse egli lasciò
senza illustazioni deliberatamente, per non distogliere l'attenzione dal
principale messaggio che voleva trasmettere. Il trattato dell'Alberti, insieme
a Vitruvio, fu per Palladio il testo chiave per le questioni architettoniche.
Negli anni che trascorse a Roma(1499-1514), Bramante attinse alle idee
albertiane e seguì l'indicazione dell'Alberti di studiare gli edifici degli antichi
proprio come i letterati ne studiavano gli scritti. Bramante fu il primo ad
usare il sistema degli ordini classici quale linguaggio espressivo che può
essere impiegato e variato a seconda della natura e della dimensione
dell'edificio: l'ordine dorico viene usato sia per il tempietto di San Pietro in
Montorio che per il cortile inferiore del Belvedere al Vaticano, ma il piccolo
tempietto avrà una delicata cornice lineare, mentre l'enorme cortile del
Belvedere una cornice fortemente aggettante sostenuta da mutuli massicci.
La risoluta volontà e le grandi risorse finanziarie che papa Giulio II dedicava
all'edificazione permisero a Bramante di sperimentare i disegni a vasta scala.
Al Belvedere, al palazzo dei Tribunali e a San Pietro Bramante si mostrò
pienamente capace di portare avanti progetti unitari, ispirato dalle terme,
dal Pantheon e da altri grandi monumenti romani, nei quali la chiarezza
strutturale si combinava con l'articolazione murariara e al disegno dei
dettagli. Una concezione tanto grandiosa, basata sullo studio attento
dell'antico, si può trovare nel disegno di Raffaello per Villa Madama, un'opera
che, come la chiesa di San Biagio e il Tempietto di Bramante, fu studiata e
disegnata da Palladio.

Nel panorama dell'architettura del sedicesimo secolo, Palladio è una figura


d'eccezione. Egli non viene dall'Italia centrale, dove erano nati o avevano
svolto il loro apprendistato i più grandi architetti che lo influenzarono, bensì
dal Veneto: era nato a Padova, ma dall'età di sedici anni aveva vissuto e
lavorato a Vicenza. Non comune era anche il suo tirocinio, che non fu da
pittore (come Bramante, Raffaello, Peruzzi e Giulio Romano), né da scultore
(come Sansovino e Michelangelo), ma da tagliapietra. Infatti, se non fosse
stato per i suoi contatti, a partire dalla seconda metà degli anni trenta, con il
nobile e scrittore vicentino GianGiorgio Trissino (1478-1550), Palladio
sarebbe probabilmente rimasto un abile ed intelligente artigiano, capace
forse di disegnare portali e monumenti funebri, ma senza la cultura e l'abilità
intellettuale che in questo momento erano necessarie ad un vero architetto.
Certamente egli non sarebbe stato trasformato dal maestro Andrea di Pietro
nel famoso architetto Andrea Palladio, secondo il sofisticato nome romano
che Trissino inventò per lui.

La figura di Trissino fu determinante per Palladio in molti sensi: era lui stesso
un dilettante d'architettura molto dotato che fece dei disegni per ricostruire il
proprio palazzo cittadino; a metà degli anni trenta rimodellò anche, in linea
con la contemporanea architettura romana, la sua residenza suburbana a
Cricoli, appena fuori Vicenza. Trissino, che era stato un membro del ristretto
circolo culturale di papa Leone X Medici, e che aveva conosciuto Raffaello,
doveva avere ben presente la villa di Poggio a Caiano, ideata dal
committente Lorenzo dei Medici e dal suo architetto Giuliano da Sangallo: a
Poggio si trova un'anticipazione dell'unione gerarchica di stanze di
dimensioni differenti intorno ad un salone centrale voltato tipica di Palladio,
ma anche, per la prima volta, il frontone di un tempio applicato alla facciata
di un edificio residenziale del Rinascimento. A Cricoli Trissino aveva già
impiegato un sistema di stanze di dimensioni diverse, e uno schema di
proporzioni interrelate, stabilendo quindi quello che doveva diventare un
elemento chiave nel sistema progettuale palladiano.
Trissino ebbe grande importanza per Palladio ancora in altri modi. A livello
pratico, egli ebbe quasi certamente un ruolo determinante nel
raccomandarlo agli altri patrizi vicentini durante i primi anni della sua
attività. E fu ancora con Trissino che Palladio fece quei viaggi a Roma che,
negli anni quaranta del Cinquecento, gli rivelarono quel carattere
dell'architettura antica e moderna nella città che egli aveva conosciuto fino
ad allora solo attraverso il Quarto Libro (1537) e il Terzo Libro (1540) di
Sebastiano Serlio. Trent'anni dopo Palladio ricorderà come avesse trovato le
costruzioni antiche "di molto maggiore osservatione degne, ch'io non mi
aveva prima pensato" (Quattro Libri, 1, p. 5). Queste opere, viste con occhi
nuovi in età piuttosto matura, ebbero su di lui un impatto estremamente
forte e gli fornirono un'ampia gamma di modelli che egli immediatamente
adattò ai suoi lavori. Molto probabilmente Trissino guidò Palladio anche nelle
sue prime letture di Vitruvio. Non si sa se Palladio fosse in grado di leggere il
latino; ma anche se non lo fosse stato (e comunque non bisogna escludere
che egli possedesse una sufficiente conoscenza della lingua) intorno al 1540
era già possibile accedere a molte opere fondamentali latine e greche in
versione italiana (il trattato dell'Alberti, ad esempio, appare in una
traduzione italiana già nel 1546). Il che doveva essere di grande aiuto agli
sforzi compiuti da Palladio per acquisire una cultura di ampio raggio ed
assimilare testi che presentavano difficoltà anche agli studiosi.

TRISSINO E GLI ASPETTI LINGUISTICI DELL'ARCHITETTURA DI


PALLADIO

Se torniamo alla questione del modo in cui Palladio somiglia e si distingue


dai suoi contemporanei e dagli autori dei "classici moderni" che egli studiò a
Roma e altrove, allora emerge quello che è forse il suo più grande debito nei
confronti del Trissino.
Bramante, Raffaello, Peruzzi, Antonio da Sangallo il Giovane, Giulio Romano,
Falconetto, Sanmicheli e Sansovino ebbero tutti una considerevole influenza
su Palladio quando era trentenne. Tutti costoro impiegavano nelle loro opere
gli ordini classici in un modo che non era del tutto fedele, ma che anzi
rappresentava un compromesso tra la lettera di Vitruvio e la pratica
osservabile negli antichi architetti romani. Tutti costoro incorporavano nelle
loro opere schemi sia planimetrici che di alzato derivati dall'antico. E in
questo erano del tutto simili a Palladio. La grande differenza tuttavia,
consiste nel fatto che a partire dagli anni quaranta l'architetto vicentino farà
uso di una serie stabilita di tipi generali, di forme differenti di stanze, di
forme degli ordini. Egli vedeva la distanza tra le colonne come componente
essenziale di ogni ordine: due diametri di colonna e mezzo, ad esempio,
come intercolumnio per l'ordine ionico e due diametri per il corinzio. L'ordine
diviene quindi, per la prima volta nell'architettura del Rinascimento, un
potenziale generatore di schemi sia bidimensionali che tridimensionali.
L'opera di Palladio mostra un'aderenza ad un sistema di progettazione che fa
uso d'una grammatica di forme e proporzioni e di un "misurato vocabolario"
di motivi. I suoi immediati predecessori e i suoi contemporanei più anziani
sono meno sistematici. Vi sono ragioni per questo. Costoro in un certo qual
senso inventavano e variavano man mano le regole, progredendo come
architetti di opera in opera. Sovente poi essi si trovavano a doversi
confrontare con commissioni tanto nuove ed inusuali (come Bramante con
San Pietro, col Cortile del Belvedere, col Tempietto; Raffaello con Villa
Madama; Giulio con Palazzo del Te; Michelangelo con la Sacrestia Nuova e la
Biblioteca Laurenziana; Sansovino con la Libreria) che non vi era alcuna
regola, norma o tipo di edificio contemporaneo potesse essere utile per
raggiungere un disegno soddisfacente.
Lo stesso Palladio dovette confrontarsi con problemi unici, "irripetibili": la
Loggia della Basilica di Vicenza, palazzo Chiericati, il Teatro Olimpico, le sue
due grandi chiese veneziane, il ponte di Rialto. Ma il maggior numero - ed
era un gran numero - delle sue commissioni erano per residenze di città e
ancor più di campagna, che avevano necessità e requisiti piuttosto simili.
Nessun architetto fino allora, neanche Antonio da Sangallo il Giovane, aveva
avuto tante commissioni di ville e palazzi. Ciò rendeva auspicabile un
sistema di forme e dimensioni ottimali prestabilite, se non altro come modo
di ridurre la quantità di lavoro necessaria per progettare ogni singolo edificio.
All'inizio della sua carriera Palladio si rese conto che non era necessario
decidere per ogni fabbrica quanto dovessero essere larghe ed alte le porte
interne, quale forma dovessero avere le scale, o quali profili e proporzioni
dare al capitello dorico. Era sufficiente stabilire una serie di forme standard,
certo tali da essere modificate quando fosse stato necessario, ma in genere
applicabili alla maggior parte dei progetti. L'architettura di Palladio quindi,
più di quella di ogni altro architetto del Rinascimento, è fondata su una serie
di elementi concepiti con cura e concettualmente precostituiti: si può
osservare come questi elementi venissero combinati flessibilmente e
creativamente in un disegno (RIBA XI/22 verso) in cui egli genera
rapidamente venti schizzi differenti per la pianta di un palazzo.
Il senso comune aveva un ruolo nell'elaborazione di questo sistema, così
come le consuetudini di lavoro degli artigiani e dei tagliapietra a Venezia e
nel Veneto. I mastri veneziani erano abituati da lungo tempo ad ordinare alle
cave blocchi di dimensioni standardizzate e ad usare forme e misure
unificate per le porte, per le finestre e le colonne. Ma la corrispondenza dei
propositi di Palladio con la creazione di un'architettura di forme, proporzioni
prefissate, principî messi in opera con regolarità, è un atteggiamento
cosciente, che deriva probabilmente dalle molte ore e i molti giorni che egli
spese discutendo con Trissino. Trissino era uno dei più autorevoli teorici di
ortografia, grammatica e teoria letteraria del suo tempo. Come altri letterati
suoi contemporanei egli era interessato, in un periodo in cui, a parte la forma
toscana impiegata da Dante, Petrarca e Boccaccio, non vi era un versione
letteraria canonica della lingua, al problema della maniera più appropriata di
scrivere in italiano. Trissino tuttavia andava al di là di questa preoccupazione
per la forma di italiano più "corretta", fino a comprendere che l'effetto
letterario dipende dalla grammatica e dalla scelta del vocabolario. E'
possibile che lo stesso Trissino vedesse il parallelo tra la struttura linguistica
e l'approccio strutturato al disegno architettonico; d'altra parte, per un
processo di osmosi intellettuale, Palladio, aiutato dalle sue letture di Vitruvio
e Alberti, potrebbe aver trasferito all'architettura il punto di vista del Trissino
sulle relazioni tra lo stile letterario e le regole linguistiche. In ogni caso la sua
architettura assumeva un carattere linguistico e grammaticale che,
consciamente o inconsciamente, era riconosciuto e approvato dagli
intellettuali umanisti, come il suo amico e committente Daniele Barbaro. Per
Barbaro, come per i suoi amici colti, Palladio offriva qualcosa che neanche il
grande e tanto inventivo Sansovino poteva offrire: un'architettura davvero
razionale, basata non solo (come raccomandava l'Alberti) sull'applicazione
della ragione e dei principî derivati dalla natura, ma strutturata sulla
falsariga della linguistica umanista. La preferenza di Barbaro per l'approccio
sistematico di Palladio all'architettura lo spinse ad ottenere per l'architetto
vicentino, a partire dalla fine degli anni '50, una serie di commissioni
ecclesiastiche proprio a Venezia (la facciata di S. Francesco della Vigna, il
refettorio e chiesa di S. Giorgio Maggiore, la ricostruzione del Convento della
Carità), che altrimenti sarebbero state affidate all'anziano, ma ancora molto
rispettato, Sansovino.

L'AFFERMAZIONE DI PALLADIO COME ARCHITETTO

Non è esattamente chiaro come Palladio, dall'esecuzione manuale di difficili


dettagli come i capitelli, e dalla progettazione di opere su piccola scala, sia
divenuto, dapprima occasionalmente e poi integralmente, un architetto che
lavorava non più con gli strumenti dello scalpellino, ma con la mente, con i
libri, con squadra e penna, e con i suoi disegni dell'antico. E' documentato
che nel 1540 egli fece un disegno per la villa Godi a Lonedo, ma per quella
data il suo effettivo intervento era probabilmente limitato, dal momento che
il tracciato delle fondazioni della grande villa era già stato stabilito e non
corrisponde alla divisione preferita da Palladio per la pianta di una villa in
suites di stanze (generalmente tre) di forme e dimensioni differenti. Più
importante è il suo lavoro per palazzo Civena (per quattro fratelli, ricchi ma
socialmente irrilevanti) del quale ci restano diversi disegni. Il palazzo
originariamente apparteneva ad Aurelio dell'Acqua, amico del Trissino, ed è
possibile ipotizzare che Trissino e Palladio avessero già fatto dei disegni per
la ricostruzione prima che, nel 1540, fosse acquistato dalla famiglia Civena.
Nei progetti non realizzati per villa Pisani al Bagnolo, ed altri disegni di
Palladio per diverse ville databili intorno al 1542, si può osservare da subito
l'impatto che la prima visita a Roma ebbe sull'architetto. Appaiono, con
entusiastica abbondanza, motivi derivanti dalle Terme, dal Cortile del
Belvedere e da Villa Madama. Nel disegno finale questi elementi vengono
semplificati e ridotti per lasciar posto a spazi abitabili e per non gravare
eccessivamente sulle finanze dei committenti. In ogni caso, l'architettura che
nasce dal lavoro di Palladio negli anni intorno al 1542, con alti saloni voltati a
botte o a vela, con ampie logge e transenne di colonne, è quella che lo
accompagnerà per tutta la carriera, in attesa della migliore occasione
d'essere usata, come nelle chiese di San Giorgio Maggiore e del Redentore a
Venezia. Anche la costruzione di villa Pisani è sorprendente per la nobiltà
della sua loggia absidata e del suo grande salone voltato: una tale altezza e
magnificenza a questa data erano comuni solo alle chiese più importanti, e
l'architettura della villa deve aver sorpreso, se non stupito molti di quelli che
la vedevano per la prima volta.

L'ARCHITETTURA DELLA VILLA

Nel 1550 Palladio aveva già prodotto un intero gruppo di ville la cui scala e
decorazione può essere vista come perfettamente adeguata alla ricchezza e
alla posizione sociale dei suoi proprietari; i potentissimi e ricchissimi Pisani,
banchieri e patrizi veneziani avevano enormi volte e una facciata a loggia
realizzata con pilastri di pietra e paraste doriche bugnate; il ricco (per breve
tempo) e meno nobile esattore delle tasse sul sale Taddeo Gazzotto aveva
invece, nella sua villa a Bertesina, paraste di mattoni e soltanto le basi e i
capitelli scolpiti in pietra; Biagio Saraceno a Finale aveva una loggia con tre
campate ad arco (tripartita), ma senza ordine architettonico. A villa Saraceno
come a villa Poiana, Palladio fu capace di conferire dignità e presenza ad una
facciata usando semplicemente un'orchestrazione di finestre, frontoni e
logge arcuate; i suoi committenti meno abbienti devono aver apprezzato la
possibilità di godere di edifici di grande impatto senza dover spendere molto
per la pietra e la sua lavorazione.
La reputazione di Palladio agli inizi, ed anche dopo la morte, si è fondata
sulla sua abilità di disegnatore di ville. Durante la guerra della lega di
Cambrai (1509-1517) erano stati inferti ingenti danni a case, barchesse e
infrastrutture rurali. Il raggiungimento dei precedenti livelli di prosperità
nella campagna fu probabilmente lento, e avvenne soltanto negli anni
quaranta, con la crescita del mercato urbano delle derrate alimentari e la
decisione a livello governativo di liberare Venezia e il Veneto dalla
dipendenza dal grano importato, e specialmente da quello che proveniva dal
sempre minaccioso Impero ottomano. Questo enorme investimento in
agricoltura e nelle strutture necessarie alla produzione agricola accelera il
passo. Per decenni i proprietari terrieri avevano acquistato costantemente,
sotto lo stabile governo veneziano, piccole tenute, ed avevano consolidato i
loro domìni non solo attraverso l'acquisto, ma anche con lo scambio di grandi
poderi con gli altri possidenti. Gli investimenti nell'irrigazione e le bonifiche
mediante drenaggio accrebbero ulteriormente il reddito dei ricchi latifondisti.

Le ville del Palladio - cioè le case dei proprietari fondiari - rispondevano alla
necessità di un nuovo tipo di residenza rurale. I suoi disegni riconoscono
implicitamente che non era necessario avere un grande palazzo in
campagna modellato direttamente su quelli di città, quali sono di fatto molte
ville della fine del quindicesimo secolo (come l'enorme villa da Porto a
Thiene). Qualcosa di più piccolo, spesso con un unico piano principale
abitabile, era adatto come centro per controllare l'attività produttiva, da cui
derivava probabilmente la maggior parte del reddito del proprietario, e per
impressionare gli affittuari e i vicini oltre che per intrattenere gli ospiti
importanti. Queste residenze, benché fossero talvolta più piccole delle ville
precedenti, erano ugualmente efficaci al fine di stabilire una presenza sociale
e politica nelle campagne ed erano adatte per il riposo, la caccia, e per
sfuggire dalla città, sempre potenzialmente malsana. Le facciate, dominate
da frontoni di solito decorati con le insegne del proprietario, annunciavano
una potente presenza in un vasto territorio pianeggiante, e non avevano
bisogno, per essere visibili, dell'altezza dei palazzi cittadini. Le loro logge
offrivano un luogo piacevole ed ombreggiato per pasteggiare, per conversare
o per le esecuzioni musicali, attività queste che si possono vedere celebrate
nella decorazione della villa, ad esempio a villa Caldogno. Negli interni
Palladio distribuiva le funzioni sia verticalmente che orizzontalmente. Cucine,
dispense, lavanderie e cantine si trovavano al piano terreno: l'ampio spazio
sotto il tetto veniva impiegato per conservare il prodotto più prezioso della
tenuta: il grano, che incidentalmente serviva anche per isolare gli ambienti
abitabili sottostanti. Al piano principale, abitato dalla famiglia e dai suoi
ospiti, le stanze più pubbliche (la loggia e il salone) si trovavano sull'asse
centrale mentre a destra e a sinistra vi erano delle infilate simmetriche di
stanze, dalle grandi camere rettangolari, attraverso le stanze quadrate di
medie dimensioni, fino a quelle rettangolari piccole, usate talvolta dai
proprietari come studi o uffici per amministrare il fondo.
L'abitazione dei possidenti spesso non era l'unica costruzione di cui Palladio
era responsabile. Le ville, nonostante la loro apparenza non fortificata e le
loro logge aperte, discendevano ancora direttamente dai castelli ed erano
circondate da un cortile recintato da un muro che le dotava della necessaria
protezione dai banditi e dai malintenzionati. Il cortile ("cortivo") conteneva
barchesse, torri colombaie, forni per il pane, pollai, stalle, abitazioni per i
fattori e per i servitori domestici, stanze per fare il formaggio e cantine per
spremere l'uva. Già dal XV secolo si usava creare una corte davanti alla casa,
con un pozzo, separata rispetto al cortile di servizio e con le sue barchesse,
gli animali e gli spazi per battere il grano. Giardini, orti di verdure e di spezie,
vasche per i pesci e, quasi invariabilmente, un grande frutteto (il "brolo")
erano tutti raggruppati o localizzati all'interno del muro di cinta.
Nei suoi disegni Palladio cercò di coordinare tutti questi differenti elementi
che nei complessi precedenti non erano collocati in considerazione delle
visuali simmetriche e delle gerarchie architettoniche, ma soltanto in base
alla forma dell'area disponibile, generalmente delimitata da strade e corsi
d'acqua. Anche l'orientamento era importante: nei Quattro Libri, Palladio
afferma che le barchesse dovrebbero essere esposte a Sud in modo da
tenere asciutta la paglia, per evitare che fermenti e bruci. Palladio trovò
ispirazione nei grandi complessi antichi che somigliano alle dimore di
campagna circondate dalle loro dipendenze, o che forse credeva davvero
fossero dei complessi residenziali - esemplare è il tempio, che egli aveva
rilevato, di Ercole Vincitore a Tivoli. E' chiaro per esempio, che le barchesse
ricurve che costeggiano l'imponente facciata della villa Badoer riprendevano
quel che era ancora visibile del Foro di Augusto. Nel suo libro Palladio mostra
generalmente gli impianti di villa simmetrici, ma in realtà era consapevole
del fatto che qualora non fosse stato possibile esporre entrambe le ali delle
barchesse a Sud, come nel caso di villa Barbaro a Maser, il complesso non
sarebbe mai stato costruito simmetricamente. Un esempio è la villa Poiana,
dove la grande barchessa con raffinati capitelli dorici è certamente disegnata
da Palladio. La barchessa esistente è esposta a Sud, e non viene bilanciata
da un elemento corrispondente dall'altro lato della facciata principale.
Bisogna inoltre aggiungere che le barchesse, i muri di cinta e gli elementi
simili sono oggi a rischio ancor più delle parti residenziali del complesso. Si è
perso il senso dell'integrità dell'impianto originale, e le barchesse, anche
quelle disegnate da Palladio, sono poco conosciute, in molti casi non sono
ufficialmente notificate e di conseguenza si rendono necessari notevoli sforzi
per salvaguardarle dalla distruzione o da danneggiamenti irreversibili. Un
esempio di opera palladiana in pericolo è proprio la barchessa dorica di villa
Poiana.

PALAZZI

Tra il 1542 e il 1550 Palladio era impegnato nella progettazione di tre


importanti palazzi di città, tutti a Vicenza: il palazzo Thiene, il palazzo Porto,
e il palazzo Chiericati che vengono tutti analizzati in questo catalogo. Se la
base economica delle principali famiglie delle città venete derivava dalla
campagna, la vita politica convergeva invece nei centri urbani, dove la
maggior parte di coloro che costruivano e possedevano palazzi controllavano
gli affari cittadini come consiglieri. Nei centri come Verona e Vicenza la
nobiltà era generalmente divisa in due opposte "fazioni", una a favore dei
Francesi e dei Veneziani e l'altra degli Spagnoli, secondo una partizione che
rifletteva quella della scena politica internazionale. In un certo senso queste
fazioni costituiscono un precedente dei partiti politici benché fossero
innanzitutto espressioni di una trama di relazioni tra clienti e protettori,
spesso violentemente animate da vendette e odî familiari. Le famiglie a capo
delle fazioni, come i Thiene e i Porto da un lato, e i filo-ispanici Valmarana
dall'altro, avevano una particolare necessità di esprimere la loro supremazia
con un palazzo grandioso e competitivo. E la reputazione di Palladio era tale
che gli venivano richiesti progetti dai personaggi dominanti di gruppi opposti.

Il primo tra i più importanti palazzi di cui Palladio si occupò, il palazzo Thiene,
venne iniziato nel 1542 per Marcantonio Thiene e suo fratello, che in quel
momento erano i personaggi più ricchi della città. E' possibile ipotizzare,
sulla base dei dati stilistici, della testimonianza di Inigo Jones e degli stretti
rapporti che esistevano tra i Thiene e i Gonzaga, marchesi di Mantova, che il
disegno iniziale per il palazzo sia stato fatto da Giulio Romano il quale visitò
Vicenza nel 1542. Palladio, che non aveva ancora raggiunto chiara fama e
affermazione come architetto, sarebbe stato impiegato in un primo momento
solo per realizzare i progetti dello stimatissimo Giulio Romano. Ma dopo la
morte di Giulio nel 1546, egli ebbe la possibilità di applicare le proprie idee
ed i propri motivi all'edificio, che poi pubblicherà nei Quattro Libri come un
lavoro interamente suo. Questa collaborazione con Giulio fu probabilmente di
grande importanza per Palladio: gli diede la possibilità di entrare in contatto
con un architetto esperto ed incredibilmente sofisticato, le cui esperienze
risalivano agli ultimi anni della vita di Raffaello. E forse anche a Palladio,
come a Vasari durante la sua visita a Mantova, furono mostrati i disegni di
Giulio, tra i quali anche quelli per l'appena terminato "Italienische Bau" della
Stadtresidenz a Landshut. Questo raffinato palazzo urbano che si collegava
tramite un cortile al "Deutsche Bau", iniziato poco prima dal Duca Ludwig X
(che aveva visitato Mantova, ed aveva molto ammirato il palazzo del Te),
sembra aver ispirato il modello palladiano dei due palazzi gemelli che si
affrontano affacciandosi entrambi su un cortile. E' questo infatti lo schema
inusitato che Palladio proporrà prima per palazzo Porto e poi per palazzo
Valmarana. Un progetto non realizzato per la facciata di palazzo Porto,
disegnato tra il 1542 e il 1544, con un ordine di paraste che abbraccia sia le
finestre del piano nobile che il mezzanino, ricorda anch'esso l'alzato del
cortile del palazzo a Landshut.

L'AFFERMAZIONE DELLO STILE PERSONALE DI PALLADIO

A palazzo Porto, a villa Poiana, alla Basilica e a palazzo Chiericati, Palladio


completa l'assimilazione delle lezioni dei suoi più influenti contemporanei; e
passa dall'ecclettismo degli anni '40 alla formulazione di un proprio
inconfondibile linguaggio, mostrando allo stesso tempo un'intelligenza
architettonica di altissimo livello. Nel caso della Basilica, per esempio, egli
crea una quinta monumentale di particolare magnificenza intorno ad un
nucleo preesistente (con le botteghe al piano terra, e la grande sala dei
consigli cittadini sovrastante). La struttura, realizzata in solida pietra, è,
nonostante il suo aspetto romano, quasi gotica nel combinare leggerezza e
solidità. Prendendo spunto dagli anfiteatri di Arles e Nimes, le semicolonne
addossate ai pilastri con la loro trabeazione aggettante costituiscono un
efficace modo di contraffortare e rinforzare il principale elemento portante
che deve resistere alle spinte delle volte retrostanti - le logge precedenti,
che Palladio sostituì con questa costruzione, avevano infatti subito un
cedimento strutturale. L'adozione del motivo della serliana, che era stata
usata da Sansovino nella Libreria e da Giulio Romano (ad esempio
nell'interno dell'abbazia di San Benedetto Po), combinato da Palladio con i
robusti ma sottili pilastri si rivelò una scelta brillante. Questa soluzione fa sì
che il massimo di luce penetri all'interno dell'edificio (la luminosità viene
inoltre aumentata dagli oculi che si aprono nei pennacchi) e che le inevitabili
irregolarità dell'alzato siano assimilate in maniera discreta, quasi
impercettibile, negli spazi tra l'ordine minore e i pilastri, lasciando gli
elementi principali, pilastri ed archi, uguali e regolari.
La raffinatezza del disegno di Palladio, in cui gli elementi funzionali,
strutturali ed estetici giocano tutti un loro ruolo, si deve osservare anche nei
dettagli, come la scelta della base cilindrica (ossia la base tuscanica secondo
Vitruvio) invece della normale base attica per l'ordine dorico minore.
Quest'ultima è una mossa funzionale, poiché le basi cilindriche senza alcun
plinto non sporgono affatto e dunque non intralciano coloro che entrano ed
escono dall'edificio; al contempo, la semplificazione della forma della base
(ripetuta anche al livello superiore) è una maniera di evitare la fastidiosa
proliferazione dei dettagli più piccoli, enfatizzando l'impatto delle grandi basi
attiche. Bisognerebbe aggiungere che Palladio non progettò soltanto un
esterno. In origine le volte a crociera che coprivano i larghi passaggi
trasversali erano trattate con un intonaco bianco brillante una cui
componente era la pietra polverizzata. L'interno si leggeva quindi in
continuità con l'esterno anche nel colore e nella grana della superficie. Un
grande spazio romano, paragonabile alla sala del mercato dei Fori di Traiano
con una grande serliana a chiudere la prospettiva. Il pessimo stato in cui oggi
appaiono le volte, senza stucco, con i mattoni scoperti, ci priva
dell'impressionante esperienza spaziale creata da Palladio.
Non è compito di questo breve saggio introduttivo di ripercorrere tutta la
lunga e prolifica carriera di Palladio, ma soltanto di suggerire alcuni aspetti
della sua formazione e del suo approccio al disegno di architettura. Un
resoconto cronologico delle sue opere dopo il 1550 deve tenere in
considerazione l'ulteriore arricchimento della sua cultura architettonica
durante questo decennio a metà del Cinquecento, risultato della sua stretta
collaborazione con un'altra grande figura intellettuale, il patrizio veneziano
Daniele Barbaro. Fu Palladio a fornire quasi tutte le illustrazioni per la
monumentale traduzione di Vitruvio (con commentario integrale) redatta dal
Barbaro. Questo sforzo definì ulteriormente il linguaggio architettonico di
Palladio; servì inoltre a fissare alcuni elementi che egli avrebbe utilizzato
costantemente nei suoi disegni, come la facciata a tempio con frontone per
le ville e l'ordine gigante con colonne libere che si estende su due piani e che
deriva dalla sua ricostruzione della basilica di Fano descritta da Vitruvio.
Palladio realizzò in pietra quest'ultima efficace soluzione a villa Sarego. Il
carattere innovativo dell'approccio al disegno delle chiese e delle loro
facciate da parte di Palladio viene affrontato altrove in questo catalogo.
Dovrò sorvolare su altri lavori, come ad esempio il ponte di legno a Bassano,
privo di decorazioni, ma bello e strutturalmente elegante. Né vi è spazio per
analizzare uno degli ultimi lavori dell'architetto, il teatro Olimpico a Vicenza,
un'erudita, ma anche miracolosamente vitale resurrezione dell'impianto di
un antico teatro romano.

I QUATTRO LIBRI E L'INFLUENZA DEL PALLADIO

Una delle più importanti creazioni del Palladio non può essere tralasciata,
perché ha troppo a che fare con la mostra. I Quattro Libri (Venezia, 1570)
rappresentano l'autorevole testamento architettonico di Palladio, nel quale
egli espone le sue formulae per gli ordini, per le misure delle stanze, per la
progettazione delle scale e per il disegno dei dettagli. Nel Quarto Libro egli
pubblicò le ricostruzioni dei templi romani che aveva studiato più
attentamente, e nel Secondo e nel Terzo libro offrì (cosa che nessun
architetto aveva fatto prima) una sorta di retrospettiva dei suoi disegni per
palazzi, ville, edifici pubblici e ponti.
Concisi e chiari nel linguaggio, efficaci nel comunicare informazioni
complesse coordinando tavole e testi, i Quattro Libri rappresentano la più
preziosa pubblicazione illustrata di architettura che si sia avuta fino a quel
momento. Ci si può rendere conto dell'intelligenza e della chiarezza
dell'"interfaccia" che Palladio offre ai suoi lettori se lo si confronta con i libri
di architettura di Serlio che iniziarono ad apparire dal 1537. Mentre Serlio
non riporta le misure nelle tavole, ma le include all'interno del testo, Palladio
lo libera da questo appesantimento, e colloca le proporzioni direttamente
nelle piante e negli alzati. A differenza di Serlio, egli presenta gli edifici e i
loro dettagli in uno stile uniforme, rielabora i disegni che aveva tratto da altri
architetti, e riporta tutte le dimensioni in una scala metrica comune: il piede
vicentino, lungo 0, 357 mm.
Quindi non fu solamente l'architettura palladiana con la sua base razionale,
la sua grammatica chiara, la sua inclinazione domestica, ma fu anche la
capacità comunicativa del suo libro che portò all'immensa influenza del
Palladio sullo sviluppo dell'architettura del Nord Europa, e più tardi in Nord
America.
E' chiaro che - come aveva capito Inigo Jones - Palladio non rivelò tutti i suoi
segreti nei Quattro libri. Egli non ha detto esattamente come si possa
progettare seguendo un sistema senza diventare noiosi e ripetitivi; non ha
spiegato con esattezza come e quando forzare le sue stesse regole; e
neanche come usare un disegno per generare molte idee e disegni nuovi
partendo da un singolo schema iniziale, o perché sia importante fare sempre
degli schemi alternativi. Non ha spiegato come disegnare un dettaglio in
modo che questo potesse essere perfetto non per un edificio qualsiasi, ma
per uno in particolare, come le finestre di villa Poiana sono perfette per
questa villa e quelle della Rotonda lo sono per la Rotonda. Scrivendo i
Quattro Libri si proponeva certo di educare, migliorare il livello generale del
disegno architettonico. Ma come tutti i bravi insegnanti (e tutti i maestri con i
loro allievi) egli forse sapeva che è meglio lasciare ai discepoli qualcosa che
possano scoprire da soli.

Howard Burns

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