Bioingegneria Elettronica e Sicurezza

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BIOINGEGNERIA

ELETTRONICA

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DIRETTIVA DISPOSITIVI MEDICI

Introduzione

Le norme forniscono l’aiuto più grande durante la fase di progettazione di un apparecchio elettromedicale,
costituendo il tramite per assimilare gli aspetti più importanti in riferimento a tale apparecchio.

E’ importante osservare che non tutti i dispositivi medici sono apparecchi elettromedicali.

Al fine di poter essere commercializzati all’interno della CEE, tutti i dispositivi medici devono seguire la
direttiva dispositivi medici (è l’unica imposizione di legge valida per i dispositivi medici). Tale direttiva ha
subito diverse modificazioni nel corso del tempo.

Tra il 1970 e il 1980 viene pubblicato in Italia un articolo riferito ai dispositivi medici nel quale si afferma la
necessità che questi debbano essere costruiti a regola d’arte. Non veniva specificato, tuttavia, quali fossero
le caratteristiche che un dispositivo medico doveva possedere al fine di poter essere costruito in tal modo.

Tra il 1980 e il 1990 viene affidato al CT 62 del CEI il compito di stabilire le norme di prodotto a livello
nazionale, ovvero fornire indicazioni su come costruire un dispositivo medico. Il governo riconosce al CEI la
possibilità di determinare cosa volesse dire costruire a regola d’arte un dispositivo medico.

Se un dispositivo segue la norma, allora esso è sicuramente costruito a regola d’arte. Tuttavia, non è detto
che se un dispositivo non segue la normativa allora non è a regola d’arte: in tal caso bisogna valutare se il
dispositivo medico svolge correttamente il compito per cui è stato realizzato.

Inizialmente, quindi, l’approccio per garantire la sicurezza e la funzionalità di un dispositivo medico era di
tipo prescrittivo. Le norme di tipo prescrittivo fornivano le istruzioni per poter costruire un dispositivo che
fosse a regola d’arte. Ma un approccio di questo tipo finiva per essere troppo limitante, a causa del
continuo progresso tecnologico e aumento di complessità delle apparecchiature. Per restare al passo con lo
sviluppo tecnologico, le norme prescrittive dovrebbero essere riviste ogni 2-3 anni, come succede negli
USA: Lo Sforzo economico-organizzativo di tipo enorme ma possibile: 50.000 pagine rivista ogni 2/3
anni molti comitati che lavorano per rinnovare la norma.

Ma in realtà esse vengono revisionate solo ogni 7-8 anni.

Verso la fine degli anni ’90 si decise di adottare un approccio che fornisse maggiore responsabilità al
costruttore del dispositivo: la norma forniva le condizioni generali(REQUISITI ESSENZIALI) che un dispositivo
medico doveva seguire per poter essere allo stato dell’arte(rispetta in tutto e per tutto le norme esistenti),
ma veniva lasciata al costruttore la libertà di decidere come costruire l’apparecchio, in funzione dello
sviluppo tecnologico. Un approccio di questo tipo si adatta bene a qualunque tipo di tecnologia: lasciare
maggiori libertà al costruttore e fornire norme sulla progettazione, costruzione, distribuzione e
manutenzione dei dispositivi medici.

Nel 1993 viene pubblicata la direttiva dispositivi medici 93/42, direttiva fondamentale per quanto riguarda
i dispositivi medici. Tale direttiva è stata modificata nel 2007 in materia di software per dispositivi medicali:
il 90% degli apparecchi elettromedicali contiene uno o più sistemi di controllo e sono collegati a dei

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calcolatori aventi dei software necessari al loro funzionamento. Nel 2007 si stabilisce che, in questi casi,
solo il software necessario al funzionamento dell’apparecchio deve essere considerato un dispositivo
medico.

Attraverso il decreto legislativo 46/97 il governo italiano recepisce la direttiva dispositivi medici 93/42,
pubblicata nel 1993.

Al fine di poter commercializzare un dispositivo medico in Europa, esso deve essere munito del marchio
della Comunità Europea (CE).

La più importante è la 47/2007 che è l’ultima( diventata legge italiana dal Marzo 2011), ma ci sono versioni
del 98, 00, 01, 02, 03.

La versione italiana arriva fino all’M4, ma arriva fino all’M5 in inglese.

La direttiva dispositivi medici 93/42 è l’unico riferimento normativo obbligatorio per i dispositivi medici. Tale
direttiva impone l’obbligo della marchiatura CE e stabilisce che, al fine di ottenerla, è necessario che il
fabbricante dimostri di aver rispettato i requisiti essenziali nella costruzione del dispositivo in questione.

Per dimostrare di aver rispettato i requisiti essenziali si può procedere in due modi:

1)avere una norma di riferimento, che può garantire di aver rispettato tutti, o in parte, i requisiti essenziali;
se la norma è rispettata, il fabbricante non è più obbligato a dimostrare il rispetto dei requisiti essenziali di
cui la norma stessa tratta. Egli deve in ogni caso mostrare il soddisfacimento dei requisiti essenziali non
trattati nella norma di riferimento.

2)se non si ha una norma di riferimento, il costruttore ha il compito di dimostrare che il dispositivo medico
soddisfa i requisiti essenziali.

Solo quando si è provato, in uno dei due modi precedenti, di aver soddisfatto i requisiti essenziali, si può
procedere all’ottenimento della marcatura CE.

Tanto più un dispositivo medico è pericoloso, tanto più risulta complesso il procedimento per ottenere il
marchio CE.

MARCHIO CE

Quando compriamo un dispositivo vogliamo avere la certezza che segue la direttiva e la troviamo
guardando il marchio CE.

Passi dal fabbricante per poter marcare il proprio dispositivo in modo legale, condizione necessaria per
poter commercializzare il dispositivo.

Nel caso in cui una struttura sia in possesso di un dispositivo medico privo di marcatura CE, perché acquistato prima dell’entrata in
vigore della direttiva dispositivi medici 93/42, tale dispositivo, se funzionante correttamente, può ancora essere utilizzato a patto
che venga effettuata una adeguata analisi del rischio. Ciò è vero in particolar modo se il dispositivo in questione è un apparecchio
elettromedicale.

L’analisi del rischio viene effettuata tenendo conto di due parametri: la probabilità che si verifichi un evento negativo e l’entità dei
danni che potrebbero derivarne.

Quando si fa l’analisi del rischio, in primo luogo è necessario individuare tutti gli eventi negativi che possono derivare dall’utilizzo di
un particolare apparecchio, per poi determinare la probabilità che essi si verifichino. L’analisi del rischio di un apparecchio va
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effettuata relativamente alle condizioni d’uso di quest’ultimo (ad esempio, per un apparecchio radiologico, l’analisi del rischio va
effettuata relativamente all’ambiente in cui esso viene impiegato).

Vengono chiamati rischi residuiquelli che permangono anche dopo aver effettuato l’analisi del rischio e dopo aver fatto modifiche
opportune atte all’eliminazione del maggior numero possibile di rischi.

Oggigiorno, per ovviare al problema posto dal continuo sviluppo tecnologico, si preferisce avere delle norme che regolino le
modalità di progettazione, costruzione, distribuzione e manutenzione dei dispositivi medici. Nelle norme da seguire vengono
indicati, tra le atre cose, anche i controlli di qualità da effettuare e i metodi di imballaggio, in modo da evitare il danneggiamento
del dispositivo durante il trasporto.

E’ inoltre necessario applicare una manutenzione adeguata del dispositivo medico e deve essere garantito il suo corretto utilizzo da
parte dell’utente. A tal proposito si può procedere:

- attraverso il manuale d’uso, che rappresenta l’unico tramite tra il produttore e l’utilizzatore e chiarisce come utilizzare il
dispositivo medico;

- attraverso il manuale di qualità, che contiene istruzioni operative che definiscono in modo rigoroso come procedere all’interno di
una determinata struttura.

Un determinato prodotto può essere conforme ad una sola direttiva, ovvero deve esserci corrispondenza biunivoca tra dispositivo e
direttiva.

Un effetto collaterale della direttiva dispositivi medici è che essa obbliga ad impiantare una gestione del controllo della qualità
all’interno della ditta produttrice di dispositivi medici.

Aspetto non trascurabile della direttiva :


prima di essa un dispositivo poteva essere fatto da una ditta qualunque con la direttiva la ditta deve avere
un PIANO DI QUALITA’ impiantato e valido per la produzione di dispositivi medici. Un terzo organismo
controlla come lavori periodicamente.

La direttiva permette di fare un salto di qualità dei dispositivi medici, visto che le industrie producono con
un sistema di qualità impiantato.

Corpo della Direttiva

La direttiva dispositivi medici 93/42 inizia definendo il campo cui essa stessa si deve applicare, definendo
cosa si intende per dispositivo medico e per accessorio di un dispositivo medico. Essa procede poi andando
a definire i requisiti essenziali che deve presentare un dispositivo medico e impone l’obbligo di riportare alle
autorità nazionali informazioni inerenti dispositivi medici non sicuri ed eventuali incidenti da essi causati.

La direttiva è una serie di norme SEMPRE E SOLO per il costruttore, alcune parti, tipo l’obbligo di riportare
alle autorità nazionali informazioni inerenti dispositivi medici, riguardano gli Stati dell’Unione che ribalta
l’obbligo agl’utilizzatori, i medici

Ci deve essere una persona,un primo responsabile con residenza europea, direttamente responsabile di
ogni tipo di prodotto commercializzato.

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Vengono poi classificati i dispositivi medici in quattro classi in ordine di pericolosità crescente.

- Classe : a questa classe appartengono i dispositivi medici definiti intrinsecamente sicuri, ovvero dispositivi
che, se utilizzati correttamente, non dovrebbero poter essere fonte di incidenti;

- Classe : a questa classe appartengono i dispositivi medici che, pur scambiando energia con il paziente
in maniera significativa, non dovrebbero esser causa di danni significativi;

- Classe : a questa classe appartengono i dispositivi medici che scambiano energia con il paziente in
maniera significativa e che sono potenzialmente in grado di arrecare danni gravi;

- Classe : a questa classe appartengono i dispositivi medici maggiormente pericolosi per il paziente, a
causa della potenza in gioco o della parte del corpo cui essi sono applicati (ad esempio una valvola cardiaca,
pur non scambiando energia, può causare gravi danni in virtù del fatto che viene applicata al cuore del
paziente).

Successivamente, nella DDM 93/42 viene definito come procedere alla definizione delle conformità, viene
imposta la registrazione delle persone responsabili della messa in commercio del dispositivo medico,
impone la marcatura CE e definisce come essa può essere perseguita legalmente.

Definizioni all’interno della DDM 93/42

Dispositivo medico: qualunque strumento, apparecchio, impianto, software, sostanza o altro prodotto,
utilizzato da solo o in combinazione (compreso il software destinato dal fabbricante ad essere impiegato
specificamente con finalità diagnostiche o terapeutiche e necessario al corretto funzionamento del
dispositivo) destinato dal fabbricante( a seconda della destinazione d’uso un dispositivo può essere
classificato per una classe o per un’altra) ad essere impiegato sull'uomo a fini di:
- diagnosi, prevenzione, controllo,terapia o attenuazione di una malattia;
- diagnosi, controllo, terapia, attenuazione ocompensazione di una ferita o di un handicap;
- studio, sostituzione o modifica dell'anatomia o di un processo fisiologico;
-intervento sul concepimento, il quale prodotto non eserciti l'azione principale, nel o sul corpo umano, cui è
destinato, conmezzi farmacologici o immunologici né mediante processo metabolico ma la cuifunzione
possa essere coadiuvata da tali mezzi.

Accessorio: prodotto che, pur non essendo un dispositivo medico, sia destinato in modo specifico dal
fabbricante ad essere utilizzato con un dispositivo per consentirne l'utilizzazione prevista dal fabbricante
stesso.
Stimolatore neuromuscolare: gli elettrodi e il cavetto sono gli ACCESSORI del dispositivo medico, classificati
a parte.
Dispositivo di diagnosi in vitro: qualsiasi dispositivo composto da un reagente, da unprodotto reattivo, da
un insieme, da uno strumento, da un apparecchio o da un sistemautilizzato da solo o in combinazione,
destinato dal fabbricante ad essere impiegato invitro per l'esame di campioni provenienti dal corpo umano
al fine di fornireinformazioni sugli stati fisiologici o sugli stati sanitari o di malattia o anomalia
congenita (ad esempio il dispositivo atto alla misura della glicemia).

Dispositivo su misura: qualsiasi dispositivo fabbricato appositamente, sulla basedella prescrizione scritta di
un medico debitamente qualificato e indicante, sotto laresponsabilità del medesimo, le caratteristiche
specifiche di progettazione deldispositivo e destinato ad essere utilizzato solo per un determinato paziente.
Laprescrizione può essere redatta anche da altra persona la quale vi sia autorizzata in virtù

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della propria qualificazione professionale. I dispositivi fabbricati con metodi difabbricazione continua od in
serie, che devono essere successivamente adattati, persoddisfare un'esigenza specifica del medico o di un
altro utilizzatore professionale, nonsono considerati dispositivi su misura (ad esempio l’occhiale da vista).
Non ci sono vie d’uscita per i laboratori di sviluppo delle Università e delle aziende.

Dal 2007, i dispositivi medici oltre che sicuri devono essere EFFICACI. Per dimostrarne l’efficacia :
-per dispositivi già conosciuti si prosegue la dimostrazione seguendo un filo bibliografico e di ricerca su
articoli e riviste (metanalisi);
-se è un dispositivo innovativo,

Dispositivi per indagini cliniche: un dispositivo destinato ad essere messo adisposizione di un medico
debitamente qualificato per lo svolgimento di indagini in un ambiente clinico umano adeguato. Una volta
che il dispositivo è completamente sviluppato (sebbene privo di marcatura CE), viene stilato un protocollo
clinico molto dettagliato inerente la sperimentazione tramite il suddetto dispositivo, che viene poi
sottoposto al ministero della sanità per approvarne l’EFFICACIA. I dispositivi per indagini cliniche vengono
utilizzati in deroga dalla marcatura CE. Le indagini cliniche erano obbligatorie per i dispositivi medici di
classe , in seguito per tutti i dispositivi.

Fabbricante: la persona fisica o giuridica responsabile della progettazione, dellafabbricazione,


dell'imballaggio e dell'etichettatura di un dispositivo in vistadell'immissione in commercio a proprio nome,
indipendentemente dal fatto che questeoperazioni siano eseguite da questa stessa persona o da un terzo
per suo conto.

Destinazione: l'utilizzazione alla quale è destinato il dispositivo secondo leindicazioni fornite dal fabbricante
nell'etichetta, nel foglio illustrativo o nel materialepubblicitario. La destinazione d’uso è importante perché
da essa dipende la classificazione dei dispositivi medici.

Immissione in commercio: la prima messa a disposizione a titolo oneroso o gratuitodi dispositivi, esclusi
quelli destinati alle indagini cliniche, in vista della distribuzione outilizzazione sul mercato comunitario,
indipendentemente dal fatto che si tratti didispositivi nuovi o rimessi a nuovo.

Messa in servizio: fase in cui il dispositivo è stato reso disponibile all’utilizzatorefinale in quanto pronto per
la prima utilizzazione sul mercato comunitario secondo lasua destinazione d’uso.

Eccezioni

La DDM 93/42 non si applica:

o ai dispositivi destinati alla diagnosi in vitro;


o ai dispositivi impiantabili attivi, disciplinati dal decreto 14 dicembre 1992;
o ai medicinali;
o ai prodotti cosmetici;
o al sangue umano, ai prodotti derivati dal sangue umano, al plasma umano o alle cellule ematiche di
origine umana;
o a organi, tessuti o cellule di origine umana, né a prodotti comprendenti o derivanti da tessuti o
cellule di origine umana;
o a organi, tessuti o cellule di origine animale, salvo che il dispositivo sia fabbricato utilizzando
tessuto animale reso non vitale;
o dispositivi di protezione individuale (ad esempio il guanto chirurgico).

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La DDM 93/42 si applicaanche ai dispositivi di emissione radiologica ionizzante, soggetti inoltre alle
direttiva specifiche 80/386 Eurotom e 84/466 Eurotom.

Requisiti Essenziali

I requisiti essenziali devono essere soddisfatti dai dispositivi medici in relazione alla loro condizione d’uso.
Tali requisiti si suddividono in requisiti generali e in requisiti relativi alla progettazione e costruzione dei
dispositivi medici.

Quando si progetta un dispositivo medico bisogna tenere conto dei requisiti essenziali e specificare come
essi sono stati rispettati: si deve compilare una check-list dei requisiti essenziali soddisfatti dal dispositivo.

Fanno parte dei requisiti relativi alla progettazione e costruzione:

- caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche;


- infezione e contaminazione microbica;
- caratteristiche relative alla fabbricazione e all’ambiente;
- dispositivi con funzione di misura;
- protezione contro le radiazioni;
- requisiti per dispositivi medici collegati o dotati di una fonte di energia;
- informazioni fornite dal fabbricante;

Tra i requisiti generali citiamo quelli che seguono.

- Requisito 1. I dispositivi medici devono essere progettati e fabbricati in modo che la loro utilizzazione,
se avviene alle condizioni e agli usi previsti, non comprometta lo stato clinico o la sicurezza dei pazienti,
né la sicurezza o la salute degli utilizzatore ed eventualmente di terzi, fermo restando che gli eventuali
rischi associati all’uso previsto debbono essere di livello accettabile in rapporto ai benefici apportati al
paziente e compatibili con un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza;
- Requisito 2. Le soluzioni adottate dal fabbricante per la progettazione e costruzione dei dispositivi
medici devono attenersi a principi di rispetto della sicurezza, tenendo conto dello stato di progresso
tecnologico generalmente riconosciuto;
- Requisito 5. I dispositivi medici devono essere progettati, fabbricati e imballati in modo tale che le loro
caratteristiche e le loro prestazioni, in considerazione dell’utilizzazione prevista, non vengono alterate
durante la conservazione e il trasporto, tenuto conto delle informazioni ed istruzioni fornite dal
fabbricante.

Va inoltre segnalato come i manuali d’uso forniti dal fabbricante debbano essere relativi alle condizioni di
utilizzo del dispositivo medico. Il manuale d’uso può non essere allegato ai dispositivi di classe inferiore o
uguale a , ma è necessario provare la loro inutilità.

Criteri di classificazione dei dispositivi medici

I criteri di classificazione dei dispositivi medici sono enunciati nell’ allegato IX della DDM 93/42 e possono
essere modificati dal comitato dispositivi medici, il quale apporta modifiche valide a livello europeo.

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Se la direttiva dispositivi medici si applica al dispositivo in esame, al fine della classificazione è necessario
valutarne la durata e la tipologia.

La durata di un dispositivo medico si definisce:

a. Temporanea: il dispositivo è destinato ad essere utilizzato, di norma, per una durata continua
inferiore ai 60 minuti;
b. A breve termine: il dispositivo è destinato ad essere utilizzato, di norma, per una durata continua
inferiore ai 30 giorni;
c. A lungo termine: il dispositivo è destinato ad essere utilizzato, di norma, per una durata continua
superiore ai 30 giorni.

Nell’Allegato IX della DDM 93/42 vengono inoltre fornite le seguenti definizioni utili ai fini della
classificazione dei dispositivi medici.

Dispositivo invasivo: dispositivo che penetra parzialmente o interamente nel corpo tramite un orifizio o una
superficie corporea.

Orifizio del corpo: qualunque apertura naturale del corpo, compresa la superficie esterna del globo oculare,
oppure qualsiasi apertura artificiale e permanente quale uno stoma;

Dispositivo invasivo di tipo chirurgico: dispositivo invasivo che penetra nel corpo attraverso la superficie
corporea mediante o nel contesto di un intervento chirurgico.

Dispositivo impiantabile: qualsiasi dispositivo destinato a: essere impiantato totalmente nel corpo umano;
sostituire una superficie epiteliale o la superficie oculare, mediante intervento chirurgico e rimanere in tale
sede dopo l’intervento; essere impiantato parzialmente nel corpo mediante intervento chirurgico e
rimanere in tale sede dopo l’intervento per un periodo di almeno 30 giorni.

Strumento chirurgico riutilizzabile: strumento destinato, senza essere allacciato ad un altro dispositivo
medico attivo, ad un uso chirurgico per tagliare, perforare, segare, grattare, raschiare, pinzare, retrarre,
graffiare o per procedure analoghe e che può essere riutilizzato dopo l’effettuazione delle opportune
procedure.

Dispositivo medico attivo: dispositivo medico dipendente, per il suo funzionamento, da una fonte di energia
elettrica o da altro tipo di energia, diversa da quella generata direttamente dal corpo umano o dalla gravità
e che agisce convertendo tale energia. Un dispositivo medico destinato a trasmettere, senza modificazioni
di rilievo, l’energia, le sostanze o altri elementi tra un dispositivo medico attivo e il paziente non è
considerato un dispositivo medico attivo. Il software indipendente (stand-alone) è considerato un
dispositivo medico attivo.

Dispositivo attivo terapeutico: dispositivo medico attivo utilizzato da solo o in combinazione con altri
dispositivi medici, destinato a sostenere, modificare, sostituire o ripristinare le funzioni biologiche nel
contesto del trattamento per alleviare una malattia, una ferita o un handicap.

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Dispositivo attivo destinato alla diagnosi: dispositivo medico attivo utilizzato da solo o in combinazione con
altri dispositivi medici, destinato a fornire informazioni riguardanti la diagnosi, la diagnosi precoce, il
controllo o il trattamento di stati fisiologici, di stati di salute, di malattie o di malformazioni congenite.

Sistema circolatorio centrale: comprende arteriaepulmonales, aorta ascendens, arcusaortae, aorta


descendens fino alla
bifurcatioaortae, arteriaecoronariae, arteria carotiscommunis, arteria carotisexterna,
arteria carotis interna, arteriaecerebrales, truncusbrachiocephalicus, venaecordis,
venaepulmonales, vena cava superior, vena cava inferior.

Sistema nervoso centrale: comprende cervello, meningi e midollo spinale.

Nell’Allegato IX della DDM 93/42 vengono trattate successivamente le regole di applicazione.

- Regola di applicazione 2.1: l’applicazione delle regole di classificazione deve basarsi sulla destinazione
d’uso dei dispositivi.
- Regola di applicazione 2.2: se un dispositivo è destinato ad essere utilizzato in combinazione con un
altro dispositivo, le regole di classificazione devono applicarsi separatamente a ciascun dispositivo.
- Regola di applicazione 2.3: il software destinato a far funzionare un dispositivo o ad influenzarne l’uso
rientra automaticamente nella stessa classe del dispositivo.
- Regola di applicazione 2.4: se un dispositivo non è destinato ad essere utilizzato esclusivamente o
prevalentemente in una determinata parte del corpo, esso deve essere considerato e classificato in
base all’utilizzazione più critica specificata.
- Regola di applicazione 2.5: se ad un dispositivo si applicano più regole, tenuto conto delle prestazioni
che gli sono assegnate dal fabbricante, si applicano le regole più rigorose che portano alla
classificazione più elevata.

Si citano in seguito, distinte per tipologia di dispositivo, le regole di classificazione.

- Regole per dispositivi non invasivi:


o Regola 1
Tutti i dispositivi non invasivi rientrano nella classe , a meno che non sia di applicazione una
delle regole seguenti.

o Regola 2
Tutti i dispositivi non invasivi destinati alla canalizzazione o alla conservazione di sangue,
liquidi o tessuti corporei, liquidi o gas destinati ad una trasfusione, somministrazione o
introduzione nel corpo, rientrano nella classe , quando:
a) possono essere collegati con un dispositivo medico attivo appartenente alla classe
o superiore;
b) sono destinati ad essere utilizzati per la canalizzazione o la conservazione di sangue o
altri liquidi corporei o la conservazione di organi, parti di organi o di tessuti corporei.
In tutti gli altri casi, essi rientrano nella classe .

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o Regola 3
Tutti i dispositivi medici non invasivi intesi a modificare la composizione biologica o chimica del
sangue, di altri liquidi corporei o di altri liquidi destinati a trasfusione nel corpo rientrano nella
classe , a meno che il trattamento non consista in filtraggio, centrifugazione o scambi di
gas, di calore, nel qual caso essi rientrano nella classe .

o Regola 4
Tutti i dispositivi non invasivi in contatto con la pelle lesa:
a) rientrano nella classe se sono destinati ad essere utilizzati come barriera meccanica per
la compressione, per l’assorbimento degli essudati;
b) rientrano nella classe se sono destinati ad essere utilizzati principalmente con ferite
che hanno leso il derma e che possono cicatrizzare solo per seconda intenzione;
c) rientrano nella classe in tutti gli altri casi, ivi compresi i dispositivi destinati
principalmente a tenere sotto controllo il microambiente di una ferita.

- Regole per dispositivi invasivi:


o Regola 5
Tutti i dispositivi invasivi in relazione con gli orifizi del corpo, diversi dai dispositivi invasivi di
tipo chirurgico, che non sono destinati ad essere allacciati ad un dispositivo medico attivo o
che sono destinati ad essere allacciati ad un dispositivo medico attivo appartenente alla classe
:
a) rientrano nella classe se sono destinati ad un uso temporaneo;
b) rientrano nella classe se sono destinati ad un uso a breve termine, a meno che non
vengano utilizzati nella cavità orale fino alla faringe, in un canale dell’orecchio fino al
timpano o in una cavità nasale, nel qual caso essi rientrano nella classe ;
c) rientrano nella classe se sono destinati ad un uso a lungo termine, a meno che non
vengano utilizzati nella cavità orale fino alla faringe, in un canale dell’orecchio fino al
timpano o in una cavità nasale e che non rischino di essere assorbiti dalla membrana
mucosa, nel qual caso essi rientrano nella classe .
Tutti i dispositivi invasivi in relazione con gli orifizi del corpo, diversi dai dispositivi invasivi di
tipo chirurgico, destinati ad essere connessi ad un dispositivo medico attivo appartenete alla
classe o ad una classe superiore, rientrano nella classe .

o Regola 6
Tutti i dispositivi invasivi di tipo chirurgico destinati ad un uso temporaneo rientrano nella
classe , a meno che essi non siano:
a) destinati specificatamente a controllare, diagnosticare, sorvegliare o correggere difetti del
cuore o del sistema circolatorio centrale attraverso un contatto diretto con dette parti del
corpo, nel qual caso essi appartengono alla classe ;
b) strumenti chirurgici riutilizzabili, nel qual caso essi rientrano nella classe ;
c) destinati specificatamente ad essere utilizzati in contatto diretto con il sistema nervoso
centrale, nel qual caso essi rientrano nella classe ;

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d) destinati ad avere un effetto biologico o ad essere interamente o principalmente assorbiti,
nel qual caso essi rientrano nella classe ;
e) destinati a somministrare medicinali tramite un sistema di rilascio, se ciò avviene in forma
potenzialmente dannosa tenuto conto della modalità di somministrazione, nel qual caso
essi rientrano nella classe .

o Regola 7
Tutti i dispositivi invasivi di tipo chirurgico destinati ad uso a breve termine rientrano nella
classe , a meno che essi non siano destinati:
a) destinati specificatamente a controllare, diagnosticare, sorvegliare o correggere difetti del
cuore o del sistema circolatorio centrale attraverso un contatto diretto con dette parti del
corpo, nel qual caso essi appartengono alla classe ;
b) destinati specificatamente ad essere utilizzati in contatto diretto con il sistema nervoso
centrale, nel qual caso essi rientrano nella classe ;
c) a rilasciare energia sottoforma di radiazioni ionizzanti, nel qual caso essi rientrano nella
classe ;
d) destinati ad avere un effetto biologico o ad essere interamente o principalmente assorbiti,
nel qual caso essi rientrano nella classe ;
e) a subire una modifica chimica nel corpo, a meno che non siano posti nei denti, o a
somministrare speciali medicinali, nel qual caso essi rientrano nella classe .

o Regola 8
Tutti i dispositivi impiantabili e dispositivi invasivi a lungo termine di tipo chirurgico rientrano
nella classe , a meno che essi non siano destinati a:
a) essere posti nei denti, nel qual caso rientrano nella classe ;
b) essere utilizzati a contatto diretto con il cuore, il sistema circolatorio centrale o il sistema
nervoso centrale, nel qual caso essi rientrano nella classe ;
c) avere un effetto biologico o essere interamente o principalmente assorbiti, nel qual caso
essi appartengono alla classe ;
d) subire una modifica chimica nel corpo, a meno che non siano posti sui denti, a
somministrare speciali medicinali, nel qual caso essi rientrano nella classe .

- Regole aggiuntive applicabili per dispositivi impiantabili attivi:


o Regola 9
Tutti i dispositivi attivi terapeutici o destinati a rilasciare o a scambiare energia rientrano nella
classe a meno che le loro caratteristiche siano tali da permettere loro di rilasciare energia
nel corpo umano o scambiare energia con il corpo umano in forma potenzialmente pericolosa,
tenuta conto della natura, della densità e della parte in cui è applicata l’energia, nel qual caso
essi rientrano nella classe .
Tutti i dispositivi attivi destinati a controllare o a sorvegliare le prestazioni di dispositivi attivi
terapeutici appartenenti alla classe , o destinati ad influenzare direttamente le prestazioni
di tali dispositivi, rientrano nella classe .

o Regola 10
I dispositivi attivi destinati alla diagnosi rientrano nella classe se:
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a) sono destinati a rilasciare energia che sarà assorbita dal corpo umano, ad esclusione dei
dispositivi utilizzati per illuminare il corpo del paziente nello spettro del visibile;
b) sono destinati a visualizzare in vivo la distribuzione di radio farmaci;
c) sono destinati a consentire una diagnosi diretta o un controllo dei processi fisiologici vitali
ove la natura delle variazioni è tale da poter creare un pericolo immediato per il paziente,
per esempio la variazione delle funzioni cardiache, della respirazione o dell’attività del
sistema nervoso centrale, nel qual caso essi rientrano nella classe .

I dispositivi attivi destinati ad emettere radiazioni ionizzanti e destinati alla diagnosi, alla
radioterapia o alla radiologia di intervento, compresi i dispositivi che li controllano e che
influenzano direttamente la loro prestazione, rientrano nella classe .

o Regola 11
Tutti i dispositivi attivi destinati a somministrare e/o sottrarre medicinali, liquidi corporei o
altre sostanze dal corpo rientrano nella classe , a meno che questo sia effettuato in una
forma potenzialmente pericolosa, tenuto conto della natura delle sostanze in questione, della
parte del corpo interessata e del modo di applicazione, nel qual caso essi rientrano nella classe
.

o Regola 12
Tutti gli altri dispositivi attivi rientrano nella classe .

- Regole speciali
o Regola 13
Tutti i dispositivi che comprendono come parte integrante una sostanza la quale, qualora
utilizzata separatamente, possa essere considerata un medicinale e che possa avere sul corpo
umano un’azione accessoria a quella del dispositivo, rientrano nella classe . Tutti i dispositivi
che incorporano, come parte integrante, un derivato del sangue umano rientrano nella classe
.

o Regola 14
Tutti i dispositivi utilizzati per la contraccezione o per la prevenzione della trasmissione di
malattie trasmissibili per contatto sessuale rientrano nella classe , a meno che siano
dispositivi impiantabili o dispositivi invasivi a lungo termine, nel qual caso essi rientrano nella
classe .

o Regola 15
Tutti i dispositivi destinati specificatamente ad essere utilizzati per pulire, disinfettare,
sciacquare o se necessario idratare le lenti a contatto rientrano nella classe . Tutti i
dispositivi destinati specificatamente ad essere utilizzati per disinfettare i dispositivi medici
rientrano nella classe a meno che non siano destinati specificatamente a disinfettare i
dispositivi invasivi, nel qual caso essi rientrano nella classe . Questa regola non si applica ai
prodotti destinati a pulire i dispositivi medici diversi dalle lenti a contatto mediante un’azione
fisica.

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o Regola 16
I dispositivi medici destinati specificatamente a registrare le immagini diagnostiche ottenute
con raggi X rientrano nella classe .

o Regola 17
Tutti i dispositivi fabbricati utilizzando tessuti animali o loro derivati resi non vitali
appartengono alla classe a meno che detti dispositivi non siano destinati ad entrare in
contatto solo con pelle umana.

o Regola 18
In deroga alle altre regole, le sacche di sangue appartengono alla classe .

o Regola 19
In deroga alle altre regole, le protesi mammarie rientrano nella classe .

Si riportano di seguito alcuni esempi di classificazione di dispositivi medici.

Elettrobisturi: dispositivo attivo, terapeutico, non invasivo, in quanto il generatore a radiofrequenza non si
applica direttamente al corpo umano. Esso appartiene alla classe in relazione alla Regola 4.

Utensile da taglio per elettrobisturi: dispositivo invasivo di tipo chirurgico. Esso appartiene alla classe o,
eventualmente, alla classe in relazione alla Regola 6.

Vite ortopedica assorbibile: dispositivo impiantabile, invasivo, a lungo termine. Esso appartiene alla classe
in relazione alla Regola 8.

Occhiale da vista: dispositivo non invasivo, a breve termine, su misura. Esso appartiene alla classe in
relazione alla Regola 1.

Defibrillatore cardioversore: dispositivo attivo, terapeutico, invasivo, a lungo termine. Esso appartiene alla
classe in relazione alla Regola 8.

Elettrodo neuromuscolare: dispositivo non invasivo, non attivo. Esso appartiene alla classe in relazione alla
Regola 1.

Lente a contatto: dispositivo invasivo, non attivo, non impiantabile, a breve termine. Essa appartiene alla
classe in relazione alla Regola 5.

Protesi ortopedica: dispositivo impiantabile, invasivo, chirurgico, non attivo, a lungo termine. Essa
appartiene alla classe in relazione alla Regola 5 e alla Regola 8.

Gli organismi notificati

I singoli stati membri della CEE possiedono al loro interno enti, pubblici o privati, che possono proporsi
come notificatori circa l’idoneità dei dispositivi medici. Per poter agire in qualità di organismi notificati, tali

13
enti devono essere in possesso di apposite caratteristiche e, in questo caso, essi vengono notificati a livello
europeo dallo Stato di appartenenza.

Ciascun organismo notificato è caratterizzato da un codice di riconoscimento che, in caso di intervento in


relazione all’ottenimento della marcatura CE, viene riportato al di sotto di tale marchio. Questo avviene in
particolare per tutti gli apparecchi di classe superiore alla classe .

L’organismo notificato non ha alcun potere se non quello di portare avanti, insieme al fabbricante, le
procedure necessarie all’ottenimento della marcature CE per un determinato dispositivo. L’ente può
intervenire in materia di rispetto delle regole del controllo di qualità e, in caso di mancata osservanza di tali
regole, esso può procedere alla sospensione del sistema di controllo qualità dell’azienda produttrice.

Nel momento in cui un organismo di controllo non rientra più in possesso delle caratteristiche
indispensabili al suo scopo, lo Stato di appartenenza dismette tale ente, procedendo a comunicare la
decisione presa a livello europeo.

La marcatura CE (Art. 16 DDM 93/42)

I dispositivi medici, ad eccezione di quelli su misura e di quelli destinati per indagini cliniche, che soddisfano
i requisiti essenziali previsti dall’ Art. 3 della DDM 93/42 devono recare al momento dell’immissione in
commercio una marcatura di conformità CE.

La marcatura di conformità CE deve essere apposta in maniera visibile, leggibile ed indelebile sui dispositivi
in questione o sul loro involucro sterile, sempre che ciò sia possibile ed opportuno, e sulle istruzioni per
l’uso. Per dispositivi di classe o superiore, la marcatura CE deve essere corredata del numero di codice
dell’organismo notificato coinvolto. Sul dispositivo, sul confezionamento e sul foglio illustrativo che
accompagna il dispositivo, può essere apposto qualunque altro marchio, purché la visibilità e la leggibilità
della marcatura di conformità CE non siano in tale modo ridotte.

E’ vietato apporre marchi o iscrizioni che possano indurre terzi in errore riguardo al significato e alla grafica
della marcatura di conformità CE.

Valutazione delle conformità (Art. 11 DDM 93/42)

Per i dispositivi appartenenti alla classe , ad esclusione dei dispositivi su misura e dei dispositivi destinati
ad indagini cliniche, il fabbricante deve, ai fini dell’apposizione della marcatura CE:

a) seguire la procedure per la dichiarazione di conformità CE (sistema completo di assicurazione di


qualità) di cui all’Allegato 2 del decreto, oppure
b) seguire la procedura relativa alla certificazione CE di conformità del tipo di cui all’Allegato 3 del
decreto, unitamente:
1) alla procedura relativa alla verifica CE di cui all’Allegato 4 del decreto, oppure
2) alla procedura relativa alla dichiarazione di conformità CE (garanzia della qualità della
produzione) di cui all’Allegato 5 del decreto.

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Per i dispositivi appartenenti alla classe , ad esclusione dei dispositivi su misura e dei dispositivi destinati
ad indagini cliniche, il fabbricante deve, ai fini dell’apposizione della marcatura CE, seguire la procedura di
conformità CE di cui all’Allegato 7 del decreto unitamente:

a) alla procedura relativa alla verifica CE di cui all’Allegato 4 del decreto oppure,
b) alla procedura relativa alla dichiarazione di conformità CE (garanzia della qualità della produzione)
di cui all’Allegato 5 del decreto, oppure
c) alla procedura relativa alla dichiarazione di conformità CE (garanzia di qualità del prodotto) di cui
all’Allegato 6 del decreto

In sostituzione delle procedure appena elencate, il fabbricante può seguire la procedura relativa alla
dichiarazione di conformità CE (sistema completo di garanzia di qualità) di cui all’Allegato 2 del decreto.

Per i dispositivi appartenenti alla classe , ad esclusione dei dispositivi su misura e dei dispositivi destinati
ad indagini cliniche, il fabbricante deve seguire, ai fini dell’apposizione della marcatura CE:

a) la procedura relativa alla dichiarazione di conformità CE (sistema completo di garanzia di qualità) di


cui all’Allegato 2 del decreto (escluso il punto 4), oppure
b) la procedura di certificazione CE di cui all’Allegato 3 del decreto unitamente:
1) alla procedura relativa alla verifica CE di cui all’Allegato 4 del decreto, oppure
2) alla procedura relativa alla dichiarazione di conformità CE (garanzia della qualità della
produzione) di cui all’Allegato 5, oppure
3) alla procedura relativa alla dichiarazione di conformità CE (garanzia della qualità del prodotto)
di cui all’Allegato 6 del decreto.

Per i dispositivi appartenenti alla classe , ad esclusione dei dispositivi su misura e dei dispositivi destinati
ad indagini cliniche, il fabbricante deve, ai fini dell’apposizione della marcatura CE, attenersi alla procedura
prevista all’Allegato 7 del decreto e redigere, prima dell’immissione in commercio, la dichiarazione di
conformità CE richiesta, inviandone copia al Ministero della salute. Non è richiesto l’intervento
dell’organismo notificato ai fini dell’ottenimento della marcatura CE.

I dispositivi su misura sono esentati dall’obbligo di apposizione della marcatura CE. Il fabbricante è
comunque tenuto a seguire la procedura relativa alla dichiarazione di conformità, di cui all’Allegato 7 del
decreto, precedentemente l’immissione in commercio.

Per i dispositivi destinati ad indagini cliniche è necessario seguire la procedura di cui all’Allegato 7 del
decreto. Tale procedura risulta essere lunga e complicata, in modo da evitare di vedere nelle indagini
cliniche uno stratagemma per sottrarsi, anche temporaneamente, all’apposizione di marcatura CE.

I sistemi di qualità

Le procedure da seguire al fine di ottenere la marcatura CE possono prevedere:

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1) la verifica CE(Allegato 4 del decreto): procedura intrapresa nel momento in cui all’interno della
struttura della ditta produttrice di un certo dispositivo non è presente un sistema impiantato del
controllo della qualità. La verifica CE è operata dall’organismo notificato che esamina la
documentazione che accompagna il dispositivo, riservandosi il diritto di effettuare sperimentazioni
su di esso;

2) la dichiarazione di conformità CE (Allegato 2 del decreto): procedura avallata dall’organismo


notificato e che prevede l’impiego di un sistema di controllo della qualità;

3) la certificazione CE (Allegato 3 del decreto): procedura in base alla quale un organismo notificato
constata e certifica che un esemplare rappresentativo di una determinata produzione soddisfa le
disposizioni del decreto.

Un sistema di qualità può essere esteso a tre livelli:

- garanzia della qualità del prodotto: necessità di fascicolo tecnico,relativo alla fabbricazione, specifico
per un solo prodotto.

- garanzia della qualità della produzione; necessita di fascicolo tecnico,relativo alla fabbricazione,
specifico per tutta la produzione;

- sistema completo di garanzia di qualità: necessità di un fascicolo tecnico relativo non solo alla
fabbricazione ma anche alla progettazione del prodotto.

Il fascicolo tecnico

Al fine di ottenere la marcatura CE, per dispositivi di classe o superiore, è necessario che il fabbricante
invii ad un organismo notificato tutta una serie di documentazioni che, nel loro insieme, costituiscono il
fascicolo tecnico.

Devono essere inclusi nel fascicolo tecnico:

- una descrizione generale del prodotto e delle sue varianti previste;


- schemi di progettazione, metodi di fabbricazione, schemi delle parti costituenti il dispositivo;
- descrizione e spiegazione necessaria alla comprensione degli schemi di progettazione;
- risultati delle analisi del rischio effettuate;
- elenco delle norme di prodotto adottate;
- eventuali metodi di sterilizzazione impiegati;
- risultati dei calcoli di progettazione, di controllo e di verifica;
- relazioni di prova ed eventuali dati tecnici;
- etichettatura e informazioni d’uso;

Possibili deroghe alla marcatura CE

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Su richiesta motivata, le autorità competenti possono autorizzare l’immissione in commercio e la messa in
servizio di dispositivi medici per i quali le procedure relative all’ottenimento di marcatura CE non sono
state espletate. E’ quindi possibile usufruire di una deroga di tempo definito, terminato il quale è
necessario provvedere all’apposizione della marcatura, onde evitare il ritiro del prodotto.

Kit completi per campo operatorio

Vi sono delle procedure particolari per i kit completi per campo operatorio, i quali contengono al loro
interno diversi dispositivi medici utilizzabili nel corso di un intervento. All’interno di un kit medico, tutti i
dispositivi compatibili tra loro devono essere posti in confezioni sterili e, per ciascuna tipologia, devono
esservi dispositivi in numero sufficiente.

Ognuno dei dispositivi costituente un kit medico presenta marcatura CE, che viene apposta dal fabbricante
in rispetto della DDM 93/42, e si richiede che chi compone il kit dichiari:

a) di aver verificato la compatibilità dei dispositivi secondo le istruzioni fornite dal fabbricante;
b) di aver imballato il kit operatorio fornendo agli utilizzatori le istruzioni d’uso pertinenti fornite dal
fabbricante;

La produzione di kit completi per campo operatorio è soggetta a metodi di verifica e di controllo interni.

Unicamente per i kit medici vale la norma secondo la quale se tutti i dispositivi medici costituenti il kit
possiedono marcatura CE, allora il kit stesso possiede marcatura CE.

Registrazione dei responsabili dell’immissione in commercio

Ai sensi dell’Art. 13 della DDM 93/42, il fabbricante che mette in commercio un dispositivo medico a suo
nome, se ha sede legale nel territorio italiano, è tenuto a comunicare al Ministero della salute il proprio
indirizzo e la descrizione del dispositivo in questione. Se non ha sede in uno stato membro, il fabbricante
che mette in commercio un dispositivo medico a suo nome è tenuto a designare un unico mandatario
nell’Unione Europea. Il mandatario che ha sede legale nel territorio italiano comunicherà le informazioni
pertinenti al Ministero della salute.

Ulteriori obblighi del fabbricante di un dispositivo medico

Ai sensi del punto 4 dell’Allegato 7 del decreto, il fabbricante è tenuto ad istituire e aggiornare una
procedura sistematica di valutazione dell’esperienza acquisita sui dispositivi nella fase successiva alla
produzione, prevedendo un sistema appropriato per l’applicazione delle misure correttive eventualmente
necessarie, tenuto conto della natura e dei rischi relativi al prodotto.

Egli è inoltre tenuto ad informare le autorità competenti degli incidenti seguenti, non appena ne venga a
conoscenza:

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i) qualsiasi disfunzione o deterioramento delle caratteristiche e/o delle prestazioni nonché qualsiasi
carenza delle etichettature o delle informazioni per l’uso che possano causare o hanno causato la
morte o un grave peggioramento delle condizioni di salute di un paziente o di un utilizzatore;

ii) tutti i motivi di ordine tecnico o sanitario connessi con le caratteristiche o le prestazioni di un
dispositivo per i motivi elencati al punto i) che inducono il fabbricante a ritirare sistematicamente
dal mercato i dispositivi appartenenti allo stesso tipo.

Il ruolo delle norme di prodotto

Le norme di prodotto dettano i requisiti di compatibilità elettromagnetica (emissione ed immunità ai


disturbi) e di sicurezza per gli apparecchi per i quali sono redatte.

La DDM 93/42 prevede che le norme di prodotto possano essere utilizzate a presunzione di conformità con
i requisiti essenziali necessari ad ottenere la marcatura CE. Qualora un requisito essenziale, presente nella
check-list che è necessario compilare ai fini dell’apposizione di marcatura CE, sia soddisfatto da un articolo
presente nelle norme di prodotto, si può evitare di dimostrare il soddisfacimento di tale requisito citando
l’articolo in questione.

Le norme di prodotto si riferiscono ai soli apparecchielettromedicali e si suddividono in:

a) norme generali;
b) norme collaterali;
c) norme particolari.

Le norme generali contengono le regole che devono essere generalmente rispettate per la costruzione di
apparecchi elettromedicali.

Le norme collaterali regolano alcuni aspetti trasversali di specifici apparecchi elettromedicali.

Un esempio di norma collaterale è la norma CEI 60601-12, che tratta la compatibilità elettromagnetica. I
test di compatibilità elettromagnetica sono volti a valutare i disturbi elettromagnetici generati dalle
apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché eventuali malfunzionamenti delle stesse, a causa di
perturbazioni generate da altre sorgenti. Questa norma collaterale indica quali sono le prove e le
prescrizioni da adottare per valutare la compatibilità elettromagnetica. In particolare risulta che le
emissioni elettromagnetiche non devono influenzare il funzionamento del dispositivo e viceversa.

Un’altra norma collaterale è la norma CEI 60601-1-4, relativa all’elettronica programmabile per apparecchi
elettromedicali.

Le norme particolari vengono sviluppate per il singolo apparecchio elettromedicale, onde evitare problemi
inerenti la sicurezza diretta o indiretta.

Da quanto visto si nota come le norme permettono di capire come progettare un apparecchio
elettromedicale, individuando gli aspetti critici e le metodologie per evitare errori che potrebbero
compromettere la sicurezza.

18
Norme generali

Le norme generali (ad esempio la norma CEI EN 60601-1) trattano gli aspetti generali relativi alla sicurezza
degli apparecchi elettromedicali e possono essere utilizzate a presunzione di soddisfacimento dei requisiti
essenziali. Nel momento in cui si prova che una norma non è più sufficiente al soddisfacimento di un certo
requisito sarà necessario dimostrare di averlo comunque soddisfatto.

Le norme risultano molto utili anche nell’effettuazione dell’analisi del rischio, ovvero la messa in evidenza
del maggior numero possibile di pericoli che possono derivare da un utilizzo corretto dell’apparecchio e di
quelli che possono verificarsi a seguito di un guasto. Molto spesso le norme si accompagnano a guide
all’utilizzo e alla manutenzione dell’apparecchio in questione.

Le norme generali trattano di:

1) pericoli elettrici: l’energia elettrica utilizzata dagli apparecchi elettrici può provocare danni sia
all’operatore sia al paziente;
2) pericoli meccanici: il dispositivo deve essere poggiato su base stabile, non deve presentare spigoli
etc.
3) radiazioni eccessive e non volute: le radiazioni emesse devono avere determinate potenza e
geometria per non causare danni;
4) accensione di miscele anestetiche ed infiammabili;
5) temperature eccessive e altri pericoli;
6) precisione di funzionamento: molti dispositivi medici erogano una certa quantità di energia che
deve rimanere all’interno di un determinato range di valori, in modo da non arrecare danni e nel
contempo produrre benefici;
7) funzionamento anormale e prove di guasto: a volte può risultare oneroso dover definire tutte le
conseguenze scaturite da ogni possibile guasto che potrebbe occorrere all’apparecchio. Per ovviare
a questo problema vengono indicate alcune tipologie standard di guasto singolo (ovvero guasto che
non avviene contemporaneamente ad un altro)rispetto alle quali il dispositivo deve garantire
sicurezza. L’apparecchio elettromedicale deve garantire sicurezza anche in condizioni di primo
guasto;
8) prescrizioni costruttive;
9) guida generale e motivazioni: permette di comprendere appieno la norma;
10) appendici.

INFORTUNI DI TIPO ELETTRICO

La corrente elettrica, quando attraversa il corpo umano, provoca ustioni in corrispondenza sia del suo
punto di ingresso sia del suo punto di uscita. L’entità dei danni arrecati all’organismo dipende dall’intensità
di corrente elettrica che fluisce nel corpo e si può incorrere in episodi di:

- tetanizzazione dei muscoli scheletrici: il passaggio di corrente causa un’eccitazione dei muscoli
scheletrici attraversati, che in virtù di ciò si contraggono;
- tetanizzazione dei muscoli respiratori, ovvero blocco della funzione respiratoria;
- fibrillazione ventricolare dovuta al passaggio di corrente elettrica attraverso il cuore.

Ogni qual volta si entra in contatto con un metallo in tensione, ci si espone al rischio di shock elettrico.
19
A seconda dell’intensità di corrente che attraversa il corpo, lo shock elettrico si distingue in:

a) microshock, se l’intensità di corrente elettrica è nell’ordine delle centinaia di micro-ampere;


b) macroshock, se l’intensità di corrente elettrica è nell’ordine delle centinaia di milli-ampere.

Le conseguenze derivanti dal macroshock dipendono sia dall’intensità di corrente che attraversa il corpo
sia dal tempo di esposizione ad essa. L’intensità della corrente elettrica che attraversa il corpo
dell’infortunato dipende dal valore dell’impedenza di contatto tra quest’ultimo e la parte metallica in
tensione: minore è l’impedenza di contatto, maggiore è l’intensità della corrente che l’attraversa.

Macroshock per contatto diretto

Si parla di macroshock per contatto diretto quando l’infortunato (in genere l’operatore) entra in contatto
con una parte metallica che è normalmente in tensione. Il corpo dell’infortunato viene percorso da
corrente che si scarica a terra attraverso il percorso paziente e l’intensità di tale corrente dipende dalla
resistenza offerta dallo stesso percorso paziente.

La migliore prevenzione dal macroshock per contatto diretto è provvedere ad una corretta formazione
dell’operatore; infatti, molto spesso, questo tipo di infortunio occorre a causa di una formazione non
adeguata o superficialità nell’operare da parte dell’utilizzatore del dispositivo elettrico.

Macroshock per contatto indiretto

Si parla di macroshock per contatto indiretto quando l’infortunato entra in contatto con una parte
metallica che normalmente non è in tensione, ma lo diviene a causa di un guasto. La prevenzione da
questo tipo di infortunio elettrico non dipende tanto dalla formazione dell’operatore quanto più dalla
sicurezza dell’apparecchio in questione.

Microshock

Il microshock è un infortunio elettrico che riguarda per lo più il paziente ed è strettamente correlato alla
densità di corrente elettrica:

= /

ed alla criticità della zona percorsa da corrente.

Se si pone, ad esempio, un elettrodo con superficie relativamente piccola sulla cute in corrispondenza del
cuore, la corrente non arriva ad eccitare il muscolo cardiaco in quanto viene dispersa dalla pelle. Se,
invece, si pone l’elettrodo direttamente in contatto con il cuore(come accade in pazienti portatori di
20
catetere endocavitario collegato ad un pace-maker), la corrente non si disperde e, poiché la superficie di
contatto tra i due è piuttosto piccola, si può rischiare di avere una densità di corrente elettrica tale da
portare a fibrillazione ventricolare.

In genere si incorre in microshock quando la corrente che attraversa una superficie ha intensità superiore ai
50 . Al di sotto di tale valore i rischi sono pressoché nulli.

La norma prevede che, in caso di apparecchiature elettromedicali direttamente a contatto con superfici
critiche, l’intensità della corrente elettrica non sia superiore ai 10 efficaci.

Sensibilità del corpo umano alla corrente elettrica

La sensibilità del corpo umanoquando viene attraversato da una corrente alternata a 50 può essere
studiata osservando il piano “intensità di corrente elettrica efficace – tempo di esposizione”. E’ possibile
suddividere tale piano in quattro distinte regioni a seconda degli effetti che l’attraversamento di corrente
determina nell’organismo.

- Regione 1: è delimitata a destra da una retta verticale, corrispondente ad una intensità di corrente pari
a 0,5 . In tale regione, indipendentemente dal tempo di esposizione alla corrente, non si rilevano
reazioni percettibili nell’organismo.

- Regione 2: è delimitata a sinistra dalla retta verticale corrispondente ad una intensità di corrente pari a
0,5 e a destra dalla curva b, avente un asintoto verticale in corrispondenza di un’intensità di
corrente pari a 10 . Il valore massimo dell’intensità di corrente in questa regione è circa 500 . In
questo tratto di piano si hanno reazioni nel corpo umano, ma senza effetti fisiologicamente pericolosi.

- Regione 3: è delimitata a sinistra dalla curva b e a destra dalla curva C1, caratterizzata da uno zero in
corrispondenza dell’intensità di corrente pari a 500 e da un asintoto verticale in corrispondenza di
un’intensità di corrente pari a circa 30 .Si osserva un flesso nella curva in corrispondenza delle
coordinate (300mA, 400ms). Nella regione di interesse si verificano normalmente effetti pericolosi, ma
reversibili, che si concludono senza danni organici (contrazione dei muscoli, difficoltà respiratorie,

21
difficoltà nella formazione e conduzione degli impulsi nel cuore). Non è contemplata la possibilità di
fibrillazione ventricolarema, al crescere del tempo di esposizione, aumenta la probabilità di ustioni per
effetto termico.

- Regione 4: è delimitata a sinistra dalla curva C1 ed è prevista una certa possibilità di incorrere in
fibrillazione ventricolare, che aumenta man mano che si superano le curve C2 (probabilità del 5%) e C3
(probabilità del 50%). Per giungere in questa zona, in caso di breve esposizione, è necessaria una
corrente elettrica di intensità superiore a 500 , mentre per lunghi tempi di esposizione sono
sufficienti correnti elettriche di intensità intorno ai 30 .

La norma prevede un margine di sicurezza per l’intensità di corrente, corrispondente ad un valore di 30 ,


oltre il quale aumenta la probabilità di incorrere in fibrillazione ventricolare.

La durata dell’esposizione dell’infortunato alla corrente elettrica è determinata sulla base del tipo di
infortunio occorso e dalla eventuale presenza di dispositivi che intervengono per bloccare il flusso elettrico.
L’intensità della corrente elettrica viene invece determinata sulla base del tipo di contatto occorso.

Si è notato che, a parità di superficie di contatto, le ustioni in corrispondenza della zona di ingresso e della
zona di uscita della corrente elettrica dal corpo umano hanno la medesima entità.

A livello internazionale sono stati studiati quelli che sono i percorsi tipici seguiti dalla corrente elettrica
quando essa si propaga nel corpo umano. A ciascun percorso è stato attribuito un fattore di rischio,
corrispondente alla probabilità che il passaggio di corrente lungo tale percorso possa portare a fibrillazione
ventricolare nell’infortunato. Ad esempio, il percorso mano-piede ha un fattore di rischio pari ad 1, mentre
il percorso mano-torace ha un fattore di rischio pari a 1,5.

Il concetto di materiale isolante, valido in caso di correnti elettriche continue, non può applicarsi alle
correnti elettriche alternate. Si ha quindi sempre un passaggio di corrente elettrica attraverso qualunque
tipo superficie.

Quando si deve valutare la resistenza di contattotra l’infortunato e la parte metallica in tensione, bisogna
tener conto che, a parità di intensità di corrente elettrica,essa diminuisce all’aumentare della tensione di
contatto in accordo con la legge di Ohm:

Si osserva che tensione di contatto e intensità di corrente sono tra loro direttamente proporzionali, con la
resistenza di contatto come costante di proporzionalità.

Il percorso paziente in condizioni di primo guasto

Si definisce primo guasto il primo malfunzionamento che si verifica nel dispositivo in questione.

Consideriamo un apparecchio elettromedicale, schematizzabile come un bipolo elettrico collegato ad una


sorgente di alimentazione quale, ad esempio, un generatore di tensione alternata. Tale generatore è dotato
di due morsetti che individuano rispettivamente unazona neutra N, caratterizzata dal passaggio di corrente
elettrica monofasica e che si trova allo stesso potenziale del generatore, ed unazona fasica F, caratterizzata
da un segnale di potenziale ad andamento sinusoidale con valore efficace pari a 220V.

22
In condizioni di corretto funzionamento, il telaio metallico che racchiude l’apparecchio elettromedicale è
ben isolato e si trova al potenziale di terra.

Con il termine terra si intende un nodo elettrico che si trova ad un potenziale simile a quello del terreno e
attraverso cui fluiscono le correnti.

Una perdita di isolamento nell’apparecchio può portare alla comparsa di una resistenza di guasto che
mette in comunicazione tra loro la zona fasica del generatore di tensione ed il telaio metallico, portando
quest’ultimo ad un potenziale diverso da quello di terra. In questo caso possono verificarsi episodi di
macroshock per contatto indiretto.

L’infortunato è caratterizzato da unaimpedenza paziente posta in serie alla resistenza di guasto .


L’intensità della corrente elettrica che percorre l’infortunato è data dalla relazione:

=
+

Nel caso di macroshock per contatto diretto, l’infortunato entra direttamente in contatto con la zona fasica
F del generatore, andando a generare una maglia percorsa da una corrente elettrica di intensità:

=
| |

Al fine di prevenire il macroshock per contatto diretto è conveniente:

- provvedere ad una buona formazione del personale;


- impiegare un trasformatore di isolamento, che in ambito ospedaliero viene utilizzato per lo più al fine
di garantire il funzionamento dell’apparecchio anche in condizioni di primo guasto;
- impiegare un interruttore differenziale.

L’impedenza paziente

L’impedenza paziente, che può essere tranquillamente equiparata ad una resistenza, si può considerare
costituita da una serie di tre resistori: la resistenza di contatto, la resistenza dei tessuti e la resistenza di
uscita dal corpo.

23
La resistenza di contatto si forma in corrispondenza del punto di ingresso della corrente elettrica nel
corpo umano, in quanto essa assume valore finito nel momento in cui l’infortunato viene in contatto con
una superficie metallica in tensione. Il suo valore è molto variabile ed è funzione della superficie di
contatto. In genere si ha 10Ω ≤ ≤ 10 Ω.

La resistenza dei tessuti !! tiene conto della resistenza opposta dai tessuti attraversati al passaggio di
corrente elettrica edin genere assume valori di qualche decina di ohm.

La resistenza di uscita "# dipende dalla conducibilità del pavimento e della superficie di contatto del punto
di uscita della corrente con il pavimento stesso. Normalmente essa assume valori di qualche decina di ohm.

Un effetto biologico conseguente al passaggio di corrente elettrica nel corpo umano è il riscaldamento dei
tessuti, poiché questi possono essere considerati come un resistore che dissipa una potenza pari a:

$" = %

Studiamo l’effetto del passaggio di corrente elettrica nell’infortunato al variare della superficie di contatto,
nell’ipotesi di resistenza paziente pari a = 1100Ω e di contatto diretto con la zona fasica del generatore.

Svolgimento

Per semplicità supponiamo che sia

= + !! + "# = &1000 + 50 + 50'Ω = 1100Ω

Immaginiamo che l’infortunato tocchi la parte metallica in tensione con un dito, la cui superficie è in media
di circa 100 %
. La corrente elettrica che percorre l’infortunato è data da

220
= = = = 200
| | 1100Ω

Se il contatto è breve, l’infortunato può andare incontro a conseguenze anche gravi, ma non
necessariamente fibrillazione ventricolare (per la quale sarebbe necessaria una intensità almeno pari a
500 ).

La potenza dissipata in corrispondenza della superficie di contatto è data da

$" = %
= 50Ω ∙ &200 ∙ 10*+ '% = 40-

che corrisponde ad una distribuzione di energia per unità di superficie pari a

$" 40- 40-


.$ = = = = 40-// %
100 % 1/ %

24
che è molto elevata e causa di ustioni gravi anche in caso di contatto per breve tempo.

Immaginiamo ora che l’infortunato tocchi la parte metallica in tensione con una mano, caratterizzata da
una superficie di circa 100/ %.

Dato che la superficie di contatto è cento volte più grande di quella precedente, possiamo grossolanamente
affermare che la resistenza di contatto sarà cento volte più piccola di quella precedente, ovvero

1000Ω
= = 10Ω
100

mentre !! ed "# non variano rispetto a prima. La resistenza paziente risulta quindi pari a

= &10 + 50 + 50'Ω = 110Ω

La corrente che attraversa l’infortunato vale, in questo caso

220
= = = =2
| | 110Ω

La probabilità che l’infortunato incorra in fibrillazione ventricolare è molto alta.

La potenza dissipata in corrispondenza della superficie di contatto è

$" = %
= 10 ∙ &2 '% = 40-

corrispondente ad una distribuzione di energia per unità di superficie pari a

$"
.$ = = 0,4-// %

che è sufficientemente bassa da non causare ustioni in corrispondenza del punto di ingresso della corrente
elettrica nel corpo.

Quanto visto è applicabile nell’ipotesi che l’infortunato sia con i piedi nudi in contatto con il pavimento. Se
invece egli indossasse le scarpe, dotate di suola isolante, risulta necessario modificare il modello
dell’impedenza paziente. Si sostituisce la resistenza "# con un condensatore 1"# , le cui armature sono
rappresentate rispettivamente dal pavimento e dalla pianta del piede dell’infortunato, mentre la suola
della scarpa rappresenta il materiale dielettrico tra le armature. Vale dunque la relazione

23 24
1"# =
5

dove 23 = 8,85 89/ è la costante dielettrica nel vuoto, 24 è la costante dielettrica del mezzo (in genere
pari a 4 o 5 89/ ), 5 è la distanza tra le due armature (ovvero lo spessore della suola) e la superficie di
ciascuna armatura. Per i piedi si considera una superficie di contatto pari a 100/ % per piede, ovvero una
superficie totale = 200/ % .

In queste condizioni l’impedenza paziente, alla pulsazione :3 = 2;< = 2; ∙ &50 ' ≅ 314> 5/?, è
espressa dalla relazione:
25
&:3 ' = & + !! ' −
:3 1"#

Il modulo dell’impedenza paziente è dato dalla relazione

1 %
1
| | = A B& '% + & '% = D& + '% +E F ≈
C !!
:3 1"# :3 1"#

L’interruttore differenziale

L’interruttore differenziale costituisce una delle possibili precauzioni da adottare per prevenire, almeno
parzialmente, il macroshock per contatto diretto. Questo dispositivo, conosciuto anche come salvavita, è
costituito da un toro di materiale magnetico attorno al quale vi sono 3 avvolgimenti:

l’avvolgimento di andata, che viene percorso dalla corrente 1;


l’avvolgimento di ritorno, che viene percorso dalla corrente 2;
-
-
- l’avvolgimento esplorante;

Gli avvolgimenti in cui scorrono 1 e 2 sono identici e le due correnti elettriche sono eguali ed opposte. Gli
effetti di induzione magnetica generati dai due avvolgimenti si annullano a vicenda, sicché
nell’avvolgimento esplorante non si rileva passaggio di corrente. In queste condizioni i due interruttori
sono chiusi.

Nel momento in cui l’infortunato entra in contatto con la fase attiva, la corrente elettrica 1 si suddivide
nella corrente ′2 e nella corrente . La corrente ′2 è quella che, dopo esser circolata nel dispositivo
utilizzatore, giunge nell’avvolgimento di ritorno. La corrente , invece, fluisce nell’infortunato per poi
scaricarsi a terra. Nel momento in cui la differenza tra le correnti elettriche 1 e ′2 supera un certo valore
di soglia, la forza elettromagneticarisultante che agisce sull’avvolgimento esplorante (ora diversa da zero)
induce i due interruttori ad aprirsi. In genere l’apertura degli interruttori è determinata da una differenza
1 − ′2 ≈ 30 .

Il tempo di intervento dell’interruttore differenziale è di circa 20 ?, durante il quale l’infortunato è


percorso da corrente elettrica ed è potenzialmente esposto al rischio dimacroshock.

Analisi del macroshock per contatto indiretto

26
Il macroshock per contatto indiretto è l’infortunio elettrico che si verifica più frequentemente negli
ospedali. Deriva da un guasto e può essere evitato se si adottano contemporaneamente due misure
precauzionali: un impianto di terra efficiente (con il collegamento a terra di tutte le masse metalliche
accessibili) e un interruttore differenziale.

Molti dispositivi elettrici sono racchiusi all’interno di un telaio, parzialmente o totalmente conduttore, e
sono collegati ad una sorgente elettrica per poter funzionare. In seguito ad un guasto, come ad esempio la
perdita di isolamento, viene a formarsi un percorso (normalmente resistivo e a bassa impedenza), che
collega tra loro la zona fasica del generatore ed il telaio. Se il telaio non viene toccato, ai capi della
resistenza di guasto si ha una caduta di tensione pari a . La corrente elettrica che circola nella
resistenza di guasto è

Minore è la resistenza di guasto, maggiore risulta la corrente che l’attraversa.

Se il telaio viene toccato dall’infortunato, questi viene percorso da una corrente elettrica di intensità

=
+

dove rappresenta la resistenza paziente, e la tensione ai capi della resistenza di guasto non è più uguale
ad . L’intensità della corrente che fluisce nell’infortunato dipende, quindi, sia dalla resistenza paziente sia
dalla resistenza di guasto.

In condizioni di guasto, quando l’infortunato entra in contatto con l’involucro, la differenza tra il potenziale
del telaio ed il potenziale di terra fa sì che si generi una corrente di dispersione, che scorre attraverso il mal
capitato. Per ovviare a questo problema è sufficiente collegare a terra il telaio del dispositivo. Tale
collegamento viene effettuato con un filo metallico, caratterizzato da una resistenza # , su cui si ha una
caduta di tensione, denominata tensione di contatto, pari a .

Se l’infortunato viene a contatto con l’involucro metallico, essendo # ∥ , la caduta di tensione sulla
resistenza paziente sarà proprio uguale a ed esprimibile dalla relazione:

#
=
# +

La messa a terra di tutti i contenitori metalliciconduttori è la prima precauzione da prendere per prevenire il
macroshock per contatto indiretto.

La norma prevede che il contatto a terra venga effettuato in modo da garantire

≤ 24

27
Tale valore èil più alto consentito ad una tensione alternata, con frequenza compresa tra i 10 e i 50 ,
ad andamento sinusoidale, in modo da prevenire fenomeni dimacroshock per contatto indiretto. Tale
tensione viene quindi considerata come bassa tensione di sicurezza.

Al fine di garantire una tensione di contatto inferiore o al più uguale alla bassa tensione di sicurezza, si
agisce regolando opportunamente la resistenza di terra # , essendo ignoto il valore della resistenza di
guasto.

La resistenza di guasto , nella maggior parte dei casi, ha un valore che diminuisce con il passare del
tempo (condizione di guasto progressivo) e la condizione più sfavorevole si verifica quando essa diviene un
cortocircuito. Quando ciò accade, la tensione di contatto diviene uguale alla tensione di alimentazione
, in quanto ( # ∥ ' è in serie con il generatore di tensione alternata.

In questo caso risulta determinante l’impiego di un “limitatore della corrente”, che si costituisce di un
interruttore differenziale oppure di un interruttore magnetotermico.

Quando diviene un cortocircuito, la tensione di contatto è espressa dalla relazione:

= # "

dove " rappresenta la corrente di dispersione verso terra, che fluisce nell’infortunato. Per garantire una
tensione di contatto inferiore o uguale alla bassa tensione di sicurezza, si regola la resistenza di messa a
terra in modo tale che sia:

24
# ≤
"

Il valore di # dipende dal tipo di interruttore impiegato:

- l’interruttore magnetotermico interviene limitando solo la corrente che lo attraversa;


- l’interruttore differenziale misura indirettamente il valore della corrente elettrica di dispersione verso
terra e determina l’apertura degli interruttori quando " ≥ 30 efficaci, anche se la tensione di
contatto dovesse avere valore inferiore alla bassa tensione di sicurezza.

Ai fini della prevenzione da macroshock per contatto indiretto risulta molto importante la sinergia tra il
limitatore di corrente e l’impianto di messa a terra opportunamente dimensionato. Nel caso in cui la
resistenza di guasto sia un corto circuito, e quindi = , il collegamento a terra del telaio previene che
l’infortunato venga percorso da una corrente di dispersione verso terra nel tempo necessario all’intervento
del dispositivo di limitazione della corrente.

L’impianto di collegamento a terra, da solo, sarebbe sufficiente, giacché impedisce che ci siano brusche
variazioni di tensioni in corrispondenza del telaio dell’apparecchio; esso, tuttavia, tende a deteriorarsi con
il tempo. Da qui la necessità di un limitatore di corrente.
28
Analisi del fenomeno di microshock

Il fenomeno del microshock è possibile soltanto se il cuore è in contatto con un oggetto metallico avente
una superficie piccola, come ad esempio un catetere, che costituisce un percorso diretto e conduttivo
dall’esterno verso il muscolo cardiaco. Un catetere è un piccolo tubicino, di diametro variabile tra 1 e
4 e costituito di materiali plastici o siliconici, che viene inserito in una cavità del corpo umano per
portarvi all’interno corrente elettrica o liquidi. Può essere impiantato parzialmente o totalmente nel corpo
umano e ha durata permanente. Un catetere endocavitario di norma offre una resistenza di 700 − 1000Ω
al passaggio di corrente elettrica.

La pericolosità di un catetere, da un punto di vista della sicurezza elettrica, sta nel fatto che esso può
costituire un percorso preferenziale verso terra per la corrente e, nonostante quest’ultima abbia in genere
intensità molto bassa, la piccola superficie del catetere fa in modo che la densità di corrente elettrica si
elevata, esponendo il paziente a possibile microshock.

Le correnti di dispersione potenzialmente causa di microshock nel paziente possono avere origine diverse.

a) Una corrente elettrica di dispersione può essere generata dal altri apparecchi a contatto con il paziente
e che poi si richiude a terra attraverso il catetere.
b) Il paziente viene a contatto, direttamente o indirettamente, con una superficie metallica che si trova a
potenziale diverso dal potenziale del catetere; tale differenza di potenziale genera una corrente
elettrica di dispersione che attraversa il catetere.
c) L’apparecchio collegato al catetere genera una corrente elettrica di dispersione che attraversa il
muscolo cardiaco e che si richiude a terra attraverso una superficie metallica, riferita a terra, con cui il
paziente entra in contatto.

Per prevenire fenomeni di microshock, nei casi a) e/o c) si impiega una strumentazione CF
(cardiacfloating): essa viene collegata all’apparecchio elettromedicale connesso al catetere, o comunque in
prossimità del paziente, e garantisce che le eventuali correnti elettriche di dispersione attraverso il
muscolo cardiaco abbiano una intensità massima inferiore ai10 efficaci imposti dalla normativa.

Per prevenire fenomeni di microshock nel caso b) è opportuno che tutte le masse metalliche in prossimità
del paziente vengano poste al medesimo potenziale elettrico. A tale scopo viene definito uno spazio-
paziente, costituito daun tronco cilindrico avente per base una semisfera di diametro 3 , che va dal tavolo
paziente sino a terra. Si fa quindi in modo cha la differenza di potenziale tra le masse metalliche all’interno
dello spazio-paziente e il catetere non sia superiore ad una decina di milli-volt.

L’impianto di terra a stella

Per garantire l’equipotenzialità delle masse metalliche presenti all’interno dello spazio-paziente, si
potrebbe collegare ciascuna di esse a terra tramite un conduttore metallico di resistenza:

M
=L

29
NNO
dove L è la resistività del materiale (ad esempio, per il rame si ha L = 0,18 Ω ∙ N ), M è la lunghezza del
conduttore e l’area della sua sezione trasversale. Questo conduttore metallico potrebbe anche essere
percorso da una corrente di dispersione originatasi in un ambiente esterno allo spazio paziente.

Supponiamo che il conduttore metallico in rame abbia lunghezza di 10 e area della sezione trasversale
pari a 2,5 %
. Esso viene percorso da una corrente elettrica di dispersione " , proveniente da un altro
ambiente, di intensità pari a 1 , e ad esso sono collegati tutti gli involucri metallici appartenenti allo spazio-
paziente.La resistenza del conduttore metallico è quindi pari a:

mm% 10
= 0,18 Ω ∙ = 0,072Ω = 72 Ω
m 2,5 %

La differenza di potenziale all’interno dello spazio-paziente risulta pari a;

Δ = " = 72 Ω ∙ 1 = 72

La corrente che fluisce nel paziente, supponendo la resistenza offerta dal catetere pari a 1 Ω sarà

Δ 72
= = = 72 > 10
RS 4 1 Ω

Questa soluzione risulta essere inadatta in quanto, come si vede, la differenza di potenziale tra le masse
metalliche interne allo spazio-paziente si trova a dipendere dalla corrente di dispersione proveniente da un
ambiente esterno. Sarebbe molto complicato garantire l’equipotenzialità tra le masse metalliche in simili
condizioni.

Per evitare l’inconveniente appena descritto, si possono connettere tutte le masse metalliche interne allo
spazio-paziente ad un nodo, detto nodo equipotenziale NE. Il nodo equipotenziale è a sua volta collegato ad
un secondo nodo(al quale possono convergere le correnti elettriche di dispersione generate in ambienti
esterni allo spazio-paziente), che è connesso a terra per mezzo di una resistenza di terra # .
Questa soluzione prende il nome diimpianto di terra a stella.

Ciascun conduttore metallico è caratterizzato da una resistenza . Se le apparecchiature nello spazio-


paziente funzionassero in modo ideale, non ci sarebbero correnti elettriche di dispersione all’interno dei
vari conduttori metallici connessi al nodo equipotenziale. Nella realtà, invece, tutti gli apparecchi generano
delle correnti elettriche di dispersione il cui valore efficace, secondo la norma, deve essere inferiore a 1 .

Il valore della differenza di potenziale all’interno dello spazio-paziente è funzione della resistenza di terra
# . Infatti, supponiamo che tutti i conduttori metallici che connettono i vari apparecchi al nodo
equipotenziale abbiano stessa lunghezza e stessa area della sezione trasversale. Supponiamo che il paziente
venga in contatto con il primo e con l’ultimo apparecchio dell’impianto di terra a stella.

30
Denotando tali apparecchi con 1 e 2 rispettivamente si ha che la differenza di potenziale nello spazio-
paziente è data da

% − U = % "O − U "V

Per ipotesi i conduttori metallici sono tutti eguali e quindi

% − U = # & "O − "V '

Supponiamo che l’apparecchio 1 si comporti in modo ideale ( "V = 0) e che per l’altro la corrente elettrica
abbia il valore massimo concesso dalla normativa ( "O = 1 '. Quindi la differenza di potenziale nello
spazio-paziente dipenda dal valore di # .

La norma impone ai conduttori metallici di avere una lunghezza inferiore o uguale a 10 ed una sezione
inferiore o uguale a 6 %
(nel caso peggiore si avrebbe una resistenza di 30 Ω). La corrente elettrica che,
in dette condizioni, fluirebbe attraverso il paziente, avrebbe un’intensità nell’ordine di grandezza dei nano-
ampere. Il paziente è dunque in condizione di sicurezza dal microshock.

Supponiamo ora che si verifichi un guasto in uno degli apparecchi all’interno dello spazio-paziente. Da esso
si viene a generare una corrente elettrica di dispersione " con un’intensità sicuramente molto superiore ad
1 , mentre dagli altri apparecchi, che si suppone funzionino correttamente, si generano correnti di
dispersione trascurabili che al massimo hanno intensità pari al valore imposto dalla norma.La differenza di
potenziale nello spazio paziente risulta essere determinata da ∆ = # " .

Ai fini della sicurezza elettrica, ciascun apparecchio è collegato alla rete elettrica o tramite un interruttore
differenziale o, eventualmente, attraverso un altro dispositivo chiamato trasformatore di isolamento.

Il trasformatore di isolamento interviene limitando il valore della corrente elettrica di dispersione al valore
imposto dalla norma, prevenendo quindi l’eventualità che il paziente subisca microshock.

L’interruttore differenziale, come visto, fa sì che le correnti elettriche di dispersione verso terra abbiano
intensità compresa tra i 10 ed i 30 , in modo tale che la differenza di potenziale all’interno dello
spazio paziente abbia valore nell’ordine di qualche centinaia di , sufficientemente bassa da garantire la
sicurezza del paziente.

L’interruttore magnetotermico

L’interruttore magnetotermico è un dispositivo che permette di interrompere l’alimentazione ad una certa


linea elettrica quando rileva una corrente superiore ad un valore di soglia impostato. Esso agisce
determinando l’apertura di due interruttori ed impedendo il passaggio di corrente elettrica verso i
dispositivi utilizzatori.

31
L’interruttore magnetotermico garantisce l’integrità della linea elettrica ma proteggesoloindirettamente da
shock elettrico poiché, prima di poter intervenire, è necessario che l’intensità della corrente che lo
attraversa superi un certo valore di soglia; non è detto che il valore di soglia impostato sia tale da non
causare eventuali danni all’infortunato.

All’interno dell’interruttore magnetotermico si possono individuare due sezioni distinte: la sezione termica
e la sezione magnetica.

All’interno della sezione termica si individua una parte costituita da una coppia di piastre conduttrici
deformabili. A seconda dell’intensità della corrente elettrica che le attraversa, e quindi del calore generato
per effetto Joule, queste due piastre si deformano e possono eventualmente pilotare l’apertura meccanica
degli interruttori, togliendo corrente elettrica al circuito. Tuttavia, l’intervento della sezione termica
necessita che le piastre metalliche assorbano una quantità di energia sufficiente a deformarsi. Il tempo di
intervento medio di questa sezione dell’interruttore è normalmente compreso tra i 10 e i 20 secondi.

Quando si verifica un corto circuito, la corrente elettrica assume valori molto elevati in un tempo
brevissimo, di gran lunga inferiore al tempo di intervento della sezione termica. A ridurre il tempo di
intervento del dispositivo provvede la sezione magnetica, costituita da un solenoide avvolto su di una barra
magnetica, che interviene quando la corrente di lavoroche attraversa il dispositivo diventa molto maggiore
della corrente nominale. Il tempo necessario alla sezione magnetica per intervenire è compreso tra i 10 e
20 milli-secondi.

La sezione termica permette di avere una certa flessibilità nel tempo di intervento quando il sovraccarico
della linea non è troppo elevato, mentre la sezione magnetica riduce notevolmente il tempo di intervento
in caso di cortocircuito.La curva di intervento di un interruttore magnetotermico è la seguente:

La curva più in basso è riferita alla temperatura di lavoro nominale, mentre quella in alto si riferisce alla
massima temperatura cui può operare il circuito.

YZ[\]^]
Si noti chese la corrente di lavoro è uguale a quella nominale, ovvero
Y_]`a_[Zb
= 1, l’interruttore
YZ[\]^]
magnetotermico non interviene mai. All’aumentare del rapporto Y , il tempo di intervento diminuisce
_]`a_[Zb
seguendo un ramo di iperbole fino a che tale rapporto non assume un valore pari a 4; questa zona della
curva è caratterizzata dall’intervento della sola sezione termica dell’interruttore magnetotermico. Per valori
del rapporto tra corrente di lavoro e corrente nominale superiori a 4, interviene la sezione magnetica; la
curva scende in maniera quasi verticali per poi assestarsi ad un valore costante del tempo di intervento,
Y
indipendentemente dal valore assunto dal rapporto Y Z[\]^] .
_]`a_[Zb

Il trasformatore di isolamento

32
Consideriamo un circuito costituito da un certo numero di utilizzatori, collegati in parallelo con un
generatore di tensione alternata e tutti connessi al conduttore metallico di terra. Immaginiamo che nel
circuito sia compreso un dispositivo limitatore di corrente, ad esempio un interruttore differenziale.

Supponiamo che uno degli utilizzatori sia in condizioni di primo guasto, determinando la comparsa di una
resistenza di guasto. L’interruttore differenziale, nel momento in cui rileva una corrente di dispersione
superiore a 30 interviene, determinando l’apertura degli interruttori e togliendo quindi l’alimentazione
anche a tutti i dispositivi utilizzatori correttamente funzionanti.

Per ovviare a questo problema si può sostituire il limitatore di corrente elettrica con un trasformatore di
isolamento. Questo dispositivo isola il circuito primario, contenente il generatore di tensione alternata, dal
circuito secondario, comprendente i vari dispositivi utilizzatori. Nel momento in cui un dispositivo
utilizzatore è in condizioni di primo guasto, grazie al trasformatore di isolamento la corrente di dispersione,
dovuta al guasto, non trova nessun percorso che la conduca verso la componente neutra del generatore. Il
funzionamento degli altri dispositivi non viene compromesso.

E’ presente un rapporto 1:1 tra la tensione V1 ai capi del circuito primario e la tensione V2 ai capi del
circuito secondario. Il trasformatore di isolamento viene impiegato quando sono presenti dispositivi
utilizzatori dal cui funzionamento può dipendere la vita del paziente.

Il modello di trasformatore di isolamento maggiormente impiegato è quello monofase, caratterizzato dal


fatto che nel circuito primario, collegati al generatore di tensione alternata, si possono individuare un
conduttore neutro N ed un conduttore fasico F.

Supponiamo che l’infortunato, caratterizzato da una resistenza , venga in contatto con il conduttore
fasico del circuito primario. Si osserva che in questo caso si viene a formare una maglia chiusa che contiene
33
sia il generatore di tensione alternata sia la resistenza paziente. Ai capi di si eserciterebbe una differenza
di potenziale pari ad e l’infortunato sarebbe soggetto a macroshock.

Al contrario, se l’infortunato toccasse il conduttore neutro, la maglia chiusa che si verrebbe a formare non
comprenderebbe il generatore di tensione alternata e, quindi, in fluirebbe una corrente nulla.

Analizziamo cosa accade se l’infortunato entra in contatto con il circuito secondario.

Ai capi di cade una tensione pari a quella erogata dal generatore di tensione alternata, ma essendo il
circuito secondario un circuito aperto, la corrente che scorre nella resistenza di guasto è nulla. Viene quindi
a determinarsi un isolamento tra circuito primario e circuito secondario, in quanto il primo è collegato a
terra, mentre il secondo no.

Immaginiamo che al circuito secondario siano connessi una serie di dispositivi utilizzatori, ognuno dei quali
riferito a terra. Se in uno degli utilizzatori si viene a manifestare una resistenza di guasto , ci si trova
esattamente nella condizione precedente: la resistenza di guasto viene percorsa da corrente nulla, poiché
facente parte di una maglia aperta, mentre tutti gli altri utilizzatori possono continuare tranquillamente ad
operare.

Le cose vanno diversamente inuna condizione di secondo guasto, caratterizzata dalla comparsa di una
seconda resistenza di guasto % ; il circuito secondario assumerebbe la seguente configurazione:

Nell’ipotesi che la resistenza offerta dal trasformatore di isolamento sia diversa da zero, ovvero c ≠ 0, e
assumendo U ≪ c , % ≪ c , la tensione ai capi della seriedelle due resistenze di guasto si esprime
come:

U + %
=
%
U + % + c

34
Si viene quindi a formare una maglia chiusa percorsa da corrente, esponendo l’infortunato a possibile
macroshock. Poiché in condizioni di guasto singolo la tensione nel circuito secondario non varia rispetto alla
condizione di corretto funzionamento, è impossibile accorgersi dell’avvenuto primo guasto e, quindi, non si
può prevenire la pericolosa condizione di secondo guasto.

Per poter informare l’operatore della presenza di una eventuale resistenza di primo guasto è necessario
dotare il circuito di un monitor di isolamento:

Supponiamo che la resistenza di guasto sia collegata al ramo inferiore del circuito secondario.

Il monitor di isolamento si costituisce di un milliamperometro, collegato al circuito secondario e riferito a


terra. Si viene così a formare una maglia chiusa che comprende sia il milliamperometro sia la resistenza di
primo guasto, percorsa da una corrente:

%
=

La presenza del milliamperometro fa si che il circuito secondario sia ora riferito a terra, eliminando di fatto
la proprietà di isolamento e determinando che, in condizioni di primo guasto, l’infortunato viene percorso
da corrente. Tuttavia questo è l’unico modo possibile per accorgersi della presenza di una resistenza di
primo guasto.

Per prevenire eventuali danni a carico dell’infortunato, quindi, si procede collegando il microamperometro
a terra per mezzo di un’impedenza di valore elevato (per esempio sia = 220 Ω):

La presenza di molto grande in serie con il milliamperometro fa si che:

- se non è presente, nel circuito secondario non circola corrente elettrica, in quanto non è possibile
individuare una maglia chiusa;
se è presente , allora si individua una maglia chiusa in cui circola una corrente che, dato l’elevato
valore di , assume un valore massimo pari ad 1 (essendo = / ).
-

Se, contrariamente a quanto visto, la resistenza di guasto si manifestasse in corrispondenza del ramo
superiore del circuito secondario, allora si avrebbe la seguente configurazione:

35
Si osservi come si può individuare una maglia chiusa che non comprende la tensione 2. Il
milliamperometro, di conseguenza, non rileva passaggio di corrente elettrica in tale maglia, non
consentendo la rilevazione dell’avvenuto primo guasto.

Per poter individuare anche in questo caso la presenza di un eventuale primo guasto, è necessario rivedere
il trasformatore di isolamento come un trasformatore induttivo così strutturato:

In questo modo, sia che la resistenza di guasto si manifesti al morsetto superiore del circuito secondario, sia
che si manifesti al morsetto inferiore, è sempre possibile individuare una maglia chiusa comprendente il
milliamperometro, e una tensione pari alla metà di quella del generatore di tensione alternata.
Supponendo = 220 ff e ≫ , per fare in modo che il milliamperometro rilevi una corrente
massima pari a1 ff è necessario porre = 110 Ω.

Si è fino ad ora trascurato il fatto che la corrente elettrica circolante nel circuito non è continua, bensì
alternata. Un milliamperometroè in grado di misurare solamente correnti continue, ovvero correnti che lo
attraversano sempre nella stessa direzione. Bisogna modificare ulteriormente il circuito in modo tale che la
corrente elettrica attraversi il milliamperometro procedendo sempre nello stesso verso.

h
Supponendo = 220 ff , ovvero % = 110 ff corrispondente ad un valore di picco:

E F =E F ∙ √2 = 110 ∙ √2 ≈ 160
2 2 ff

h
%
L’andamento della tensione nel tempo è quindi il seguente:

La corrente elettrica che fluisce nel milliamperometro ha valore positivo quando lo attraversa dall’alto
verso il basso.

Per poter far rilevare al milliamperometro una corrente che si propaga sempre dall’alto verso il basso (cioè
positiva) si impiegano quattro diodi, configurati nel seguente modo:
36
Ogni diodo si costituisce di un anodo e di un catodo: quando la corrente attraversa il diodo dall’anodo verso
il catodo, esso si comporta alla stregua di un cortocircuito; quando la corrente attraversa il diodo dal catodo
verso l’anodo, esso si comporta come un circuito aperto.

Quando la tensione nel circuito assume valori positivi, la corrente in esso si propaga da sinistra verso
destra: in questo caso jk e j% si comportano come circuiti aperti, mentre jU e j+ si comportano come
corto circuiti, obbligando la corrente a fluire nel milliamperometro dall’alto verso il basso.Quando la
tensione nel circuito assume valori negativi, la corrente si propaga da destra verso sinistra e, i diodi,
invertendo il proprio comportamento rispetto al caso precedente, continuano a costringere la corrente a
percorrere il milliamperometro dall’alto verso il basso.

Nella pratica, i trasformatori di isolamento si costituiscono di un nucleo di materiale ferromagnetico


attorno al quale si avvolgono, senza entrare in contatto, il circuito primario ed il circuito secondario. I due
avvolgimenti metallici possono essere equiparati a due piastre metalliche separate da un materiale
dielettrico, cioè ad un condensatore. Questa capacità, detta capacità parassita, collega tra loro il circuito
primario ed il circuito secondario.

Quando il circuito secondario viene riferito a terra da una resistenza di primo guasto, la differenza di
potenziale ai capi del circuito secondario è uguale a quella ai capi della capacità parassita, che verrà quindi
percorsa da una corrente elettrica di espressione:

=
| l
& :'|

In condizioni di corrente alternata, un condensatore ha espressione:


& :' =
l
:1C

La corrente che scorre nel condensatore, ovvero la corrente di dispersione che circola nel circuito
secondario in condizioni di primo guasto, è definita dalla relazione

" = :1C

In assenza del monitor di isolamento, si accetta come valore della capacità parassita quello che, nel caso in
cui il circuito secondario venga riferito a terra per mezzo di un cortocircuito, determina una corrente di
dispersione pari al massimo ad 1 ff . Supponendo un alimentazione pari a 220 ff , il valore massimo
ammissibile per la capacità parassita è:

" 1
1C = = ≈ 15m9
: 220 ff ∙ &2; ∙ 50 '

37
Si noti che il trasformatore di isolamento non protegge dal rischio di microshock: infatti la massima
corrente concessa è 1 ff , maggiore dei 10 massimi necessari alla prevenzione da microshock.

Consideriamo ora il circuito compreso di monitor di isolamento:

Se si verifica una condizione di primo guasto, uno dei due morsetti del circuito secondario viene collegato a
terra tramite la resistenza di guasto. Questo fa si che la capacità parassita 1C risulti coinvolta in una maglia
chiusa e, conseguentemente, il monitor paziente rileverà una corrente " diversa da zero. Tale corrente di
dispersione è la stessa che attraversa la capacità parassita quando ai suoi capi vi è una tensione pari a /2.

Correnti di dispersione

Consideriamo un apparecchio elettromedicale caratterizzato da un involucro esterno metallico al cui


interno è presente un trasformatore di alimentazione. Quest’ultimo è collegato alla rete elettrica (tensioni
di 220V efficaci) e, dal punto di vista funzionale, ha lo scopo sia di fornire la tensione necessaria ad
alimentare i circuiti che seguono, sia di introdurre isolamento all’interno della rete.

Il trasformatore di alimentazione è il primo stadio di isolamento presente in un apparecchio


elettromedicale: a monte del trasformatore è presente una distribuzione di corrente monofase mentre a
valle vi è un disaccoppiamento tra la linea fasica e la linea neutra. La tensione di alimentazione viene poi
trasmessa ai circuiti successivi presenti per mezzo di un terminale di riferimento.
Il fenomeno del macroshock per contatto indiretto avviene quando, in seguito ad un guasto, si forma un
collegamento resistivo tra la zona fasica del generatore e l’involucro metallico. L’impiego di un
trasformatore di alimentazione previene dal rischio di infortunio elettrico in quanto esso è contenuto in
una scatola che funge da isolante e che impedisce la formazione di un collegamento tra trasformatore e
involucro metallico. Per questo motivo, il trasformatore di alimentazione appartiene agli apparecchi
compresi nella classe di doppio isolamento di sicurezza.

Se l’apparecchio elettromedicale funziona per rilevare biopotenziali, il circuito sarà munito di una serie di
elettrodi collegati al paziente. Gli elettrodi rappresentano la parte applicata del dispositivo, ovvero la parte
che collega direttamente il paziente all’apparecchio elettromedicale.

Un elemento molto importante è il cordone di alimentazione.Esso si costituisce di tre cavi: due servono per
l’alimentazione (conduttore fasico e conduttore neutro) mentre un terzo serve per collegare l’alimentatore
alla terra di protezione e viene chiamato cordone di protezione.

38
In un circuito come quello indicato si possono individuare tre tipologie di correnti di dispersione:

- corrente di dispersione nel cordone di protezione ( "no );


- corrente di dispersione dall’involucro ( "p );
- corrente di dispersione nel paziente ( "o ).

Queste tre correnti di dispersione sono caratterizzate da una frequenza di 50 ed è molto importante
considerarle giacché il corpo umano risulta particolarmente sensibile alle correnti elettriche alternate con
frequenza compresa tra 10 e 200 .

La corrente di dispersione "no è quella che attraversa il cordone di protezione per poi richiudersi a terra.
Per tutti gli apparecchi elettromedicali deve essere "no ≤ 500 ff e, in condizioni di primo guasto, la
normativa impone sempre di rispettare il limite massimo di 1 ff .

Il cordone di protezione risulta essere obbligatorio per gli apparecchi elettromedicali di classe , mentre la
sua presenza è facoltativa negli apparecchi di classe o .

Gli apparecchi elettromedicali rientranti in classe sono esenti dall’obbligo di impiego di un cordone di
protezione, giacché muniti di fonte energetica entro-contenuta, che impedisce fisicamente di collegare
direttamente la parte applicata al paziente quando l’apparecchio è connesso alla rete elettrica.

La corrente "p è quella che scorre dall’involucro dell’apparecchio verso la terra di protezione. La
misurazione di tale corrente viene eseguita utilizzando uno strumento apposito, il tester IEC 601-1. Se
l’involucro del dispositivo non presenta parti metalliche allora vi si applica un foglio metallico connesso al
tester e, in tal modo, si procede alla misura della correntedi dispersione sull’accoppiamento capacitivo così
formatosi.

La corrente di dispersione nel paziente "o è quella corrente che dall’elettrodo può scaricarsi a terra
tramite il paziente e può essere idealmente misurata connettendo, per mezzo di un amperometro,
l’elettrodo in esame e la terra di protezione. La "o è la corrente più alta che può essere misurata
collegando gli elettrodi uno per uno alla terra, oppure considerando combinazioni di collegamento degli
elettrodi a terra.

Tipologie di apparecchi elettromedicali

Gli apparecchi elettromedicali possono distinguersi in tre categorie sulla base della qualità dell’isolamento
tra il dispositivo stesso ed il paziente. Gli apparecchi di tipo B sono quelli in cui il paziente è isolato dalla
rete elettrica soltanto per mezzo del trasformatore di alimentazione. Gli apparecchi di tipo BF e di tipo CF
sono quelli in cui l’isolamento del paziente è garantito sia per mezzo del trasformatore di alimentazione sia
tramite undispositivo DC/CDconverter,che ha la funzione di isolare i circuiti collegati direttamente al
paziente dal circuito di alimentazione (si noti che ciò non ha nulla a che vedere con il doppio isolamento di
sicurezza). La lettera F nelle sigle BF e CF sta per floating, ovvero flottante, ed indica che il paziente non è
collegato direttamente a circuiti non isolati.

All’interno del dispositivo DC/CD converter sono presenti un trasformatore di isolamento ed un oscillatorio;
quest’ultimo ha il compito di trasformare la corrente di alimentazione da continua in alternata, in modo da
poter far funzionare il trasformatore. E’ presente inoltre un raddrizzatore che permette di ottenere una
tensione continua a partire da tensione e corrente alternate. Il dispositivo DC/CD converter garantisce
l’isolamento per valori di tensioni entro i 3000-3500V.

39
A questo circuito di isolamento è necessario trasferire, oltre all’alimentazione, anche il segnale: questo
avviene per mezzo dell’amplificatore di isolamento. Il segnale di ingresso giunge all’amplificatore di
isolamento per mezzo del riferimento 1, mentre quello in uscita lascia il dispositivo mediante il riferimento
2. I due riferimenti si mantengono isolati l’uno dall’altro.

I valori massimi delle varie correnti di dispersione negli apparecchi elettromedicali di tipologia B, BF e CF in
condizioni di corretto funzionamento e di primo guasto sono riportati in tabella:

Da un punto di vista funzionale, gli apparecchi di tipo CF vanno impiegati nei casi in cui il paziente è a
rischio di microshock.

Le cause che possono portare ad una condizione di primo guasto negli apparecchi elettromedicali possono
essere diverse:

- interruzione nel cordone di protezione, con conseguente dispersione nell’involucro della corrente "no ;
- interruzione di uno dei conduttori di alimentazione, fasico o neutro;
- condizione di rete invertita, ossia quando la fase dell’apparecchio elettromedicale si collega con il
conduttore neutro della sorgente e vice versa (la condizione di corretto funzionamento è detta rete
diretta).

Molto spesso accade che l’interruzione del cordone di protezione e di uno dei conduttori di alimentazione
debbano essere considerati come una condizione di guasto singolo, verificando i valori delle correnti "p e
"o sulla base dell’effetto combinato delle due condizioni di guasto precedenti.

Nodo di riferimento

40
Il nodo che ha la caratteristica di essere comune a molti componenti di un certo apparecchio
elettromedicale è detto nodo di riferimento. Esso è collegato alla massa conduttiva più grande
dell’apparecchio in questione ed è quello che viene, in generale, chiamato massa. La norma CEI 601-1
impone che la massa debba essere disaccoppiata dal contenitore metallico che, a sua volta, deve essere
collegata a terra.

PRELIEVO DI BIOPOTENZIALI

I biopotenziali sono delle differenze di potenziale,rilevabili sul corpo umano,legate al funzionamento di


determinati organi o sistemi. Queste differenze di potenziale contengono informazioni che,
opportunamente raccolte, possono essere visualizzate.

Il compito di prelevare i biopotenziali è affidato agli elettrodi, ovvero dispositivi in grado di trasdurre le
correnti ioniche presenti nel corpo umano in correnti elettroniche. Viene chiamato trasduttore un
dispositivo che converte una qualche grandezza in un segnale di tipo elettronico. L’azione opposta, invece,
è svolta dagli attuatori, dispositivi in grado di convertire un segnale di tipo elettrico in grandezze di altro
tipo (ad esempio meccaniche).

Sono detti sensori biomedici tutti gli apparecchi atti ad effettuare misurazioni su grandezze del corpo
umano, siano queste di natura fisica o chimica. I sensori sono una particolare classe ditrasduttori ed hanno
la funzione di convertire un particolare segnale fisico o chimico in una grandezza di tipo elettrico.

41
Elettrodi per il prelievo di biopotenziali

Il compito dell’elettrodo è quello di fornire l’interfaccia tra il corpo umano e il dispositivo di misura in
modotale da far avvenire le reazioni (principalmente di ossido-riduzione) necessarie affinché l’elettrodo
possa operare una trasduzione.

Gli elettrodi per prelievo di biopotenziali sono dotati di un amplificatore la cui risposta in frequenza è molto
simile a quella di un filtro passa – alto.

Le componenti del segnale in ingresso caratterizzate da una frequenza inferiore al polo della funzione di
trasferimento dell’amplificatore vengono attenuate. Per poter avere in uscita un segnale amplificato, ma
non distorto, è necessario prelevare segnali confrequenze per cui la funzione di trasferimento
dell’amplificatoreha valore costante e modulo unitario.

L’elettrodo,generalmente costituito da un metallo, si interfaccia con un elettrolita; quest’ultimo è un mezzo


conduttivo liquido specifico per l’elettrodo con cui viene a contatto. L’elettrolita impiegato per il prelievo di
biopotenziali è una soluzione fisiologica.

Immaginiamo di porre a contatto tra loro l’elettrodo e la soluzione fisiologica che funge da elettrolita. Le
molecole di acqua della soluzione fisiologica hanno la capacità di rompere i legami chimici che legano tra
loro gli atomi più esterni della superficie metallica dell’elettrodo;tali atomi subiscono una reazione di
ossidazione e sono quindi in grado di ionizzare:

1 ↔ 1 rs + mB *

Gli ioni prodotti passano nella soluzione elettrolitica, in prossimità dell’elettrodo, mentre gli elettroni
rilasciati durante la ionizzazione si muovono lungo la superficie del metallo.

Sugli ioni 1 rs presenti nella soluzione elettrolitica agiscono due forze distinte: una forza attrattivache tende
a farli avvicinare al metallo dell’elettrodo (che ha ora carica parzialmente negativa per via dell’eccesso di
elettroni) ed una forza diffusiva che, agendo secondo gradiente di concentrazione, tende invece a farli
allontanare. Gli ioni 1 rs tendono quindi a disporsi tutt’intorno all’elettrodo,a distanza tale che le due forze
che agiscono su di essi siano in equilibrio tra loro.

La condizione di equilibrio è però molto precaria, sia a causa di perturbazioni dovute a ioni interni alla
soluzione elettrolitica(che interagiscono con gli ioni 1 rs ), sia perché si verificano continuamente nuove
ionizzazioni di atomi della superficie del metallo. Queste circostanze fanno si che intorno all’elettrodo si
venga a formare una nube di cationi 1 rs , posta ad una certa distanza dall’elettrodo stesso, che si rinnova
continuamente a causa delle varie ionizzazioni. Si tratta quindi di una condizione di equilibrio dinamico.

Nella quadro di questa situazione è necessario tenere conto anche della presenza, nella stessa soluzione
elettrolitica, di un certo quantitativo di anioni r* . Quando tali anioni in soluzione si avvicinano

42
all’elettrodo subiscono una trasformazione di ossidazione, cedendo elettroni al metallo dell’elettrodo (che
si riduce).

r*
↔ + mB *

r*
Ma può anche capitare che gli anioni reagiscano con i cationi1 rs in soluzione mediante una
trasformazione di ossido-riduzione:

r*
+ 1 rs → 1

La parziale carica negativa della superficie metallica(dovuta all’esubero di elettroni liberi)e la parziale carica
positiva della nube ionica presente nella soluzione elettrolitica, fanno sì che si venga a generare una certa
differenza di potenziale tra la superficie dell’elettrodo e la soluzione fisiologica. Tale differenza di
potenziale, detta di potenziale di semicella, è dovuta allo spostamento di elettroni che si manifesta
all’interfaccia a causa delle continue reazioni di ossidazione e riduzione che vi hanno luogo.

Il valore del potenziale di semicella dipende:

-dalla capacità di ionizzare degli atomi presenti sulla superficie dell’elettrodo metallico;
- dall’estensione della superficie dell’elettrodo;
- dalla concentrazione di anioni presenti nella soluzione elettrolitica.

Per poter misurare il valore del potenziale di semicellaviene impiegato unelettrodo di riferimento, realizzato
facendo gorgogliare dell’idrogeno gassoso al di sotto di una retina di metallo. All’elettrodo così ottenuto si
attribuisce un potenziale di semicellanullo ad una temperatura di 25°C. Basandosi sull’elettrodo ad
idrogeno gassoso si possono determinare i potenziali di semicella dei vari metalli impiegati come elettrodi.

Come regola si stabilisce che, se un metallo ha una capacità di ionizzare inferiore a quella dell’elettrodo a
idrogeno, allora esso ha potenziale di semicellanegativo. Viceversa, se il metallo ha tendenza a ionizzare
maggiormente dell’elettrodo di riferimento, allora gli si attribuisce potenziale di semicellapositivo.

Per la realizzazione di elettrodi finalizzati al prelievo di biopotenziali vengonoimpiegati materiali specifici.

Argento clorurato: è poco solubile, si disperde poco nel corpo umano e presenta una interfaccia
stabile;
Cloruro di mercurio: è un ottimo conduttore;
Cloruro di argento: ha un’impedenza di contatto molto elevata e presenta una interfaccia poco
stabile; l’impiego di questo materiale necessita dell’interposizione di un gel conduttivo tra cute ed
elettrodo, in modo da ridurre il rumore ( uR & v1w' = 0,223 );
Argento metallico: a contatto con la cute tende a clorurare, dando origine ad un sottile strato
clorurato che svolge la medesima funzione del gel conduttivo ( uR & v' = 0,799 ).

L’impiego di oro per la realizzazione di elettrodi finalizzati al prelievo di biopotenziali comporta diverse
problematiche. Infatti, quando si connettono gli elettrodi agli amplificatori, le correnti di polarizzazione
dirette versoquesti ultimi vedono una impedenza troppo alta e non riescono a fluirvi.

Immaginiamo di immergere due elettrodi, connessi tra loro mediante un filo conduttore, all’interno di un
recipiente con soluzione fisiologica.

43
Gli atomi dell’elettrodo costituito dal metallo più reattivo (anodo) ionizzano a contatto con la soluzione
fisiologica, liberando un certo numero di elettroni; gli ioni prodotti passano nella soluzione fisiologica
mentre gli elettroni liberi si muovono lungo il filo conduttore dall’anodo versoil catodo (la corrente avrà
ovviamente direzione opposta). Il processo porta ad un progressivo consumo dell’anodo, con conseguente
diminuzione della differenza di potenziale tra anodo e catodo e, alla fine, interruzione della corrente
elettronica. Un dispositivo come quello descritto, che prende il nome di cella galvanica, è equiparabile da
un punto di vista elettrico ad un resistore. L’intensità della corrente generata dipende dalla capacità di
ionizzare dei metalli impiegati come elettrodi.

Immaginiamo ora di collegare ai due elettrodi un generatore di tensione alternata. All’istante y = 0 si


accende il generatore; esso trasferisce elettroni da un elettrodo all’altro fino a che la differenza di
potenziale tra i due non è pari ad . La corrente tende a zero esponenzialmente e, quando questa assume
valore nullo, si dice che la cella è stata polarizzata. Mediante il processo descritto si è costruito un
condensatore: durante la fase di carica del condensatore, gli ioni positivi presenti nella soluzione
elettrolitica si spostano verso l’elettrodo con carica negativa, senza che vi sia uno scambio di carica
all’interfaccia.

Tipologie di elettrodi per il prelievo di biopotenziali

In elettrochimica, la polarizzazione è un fenomeno che diminuisce l'efficienza dei processi elettrochimici,


rallentando il procedere delle reazioni di elettrodo e dando luogo a cadute delladifferenza di potenziale
elettrico; tali cadute, dette sovratensioni, comportano la generazione di calore a causa della loro
natura dissipativa e rappresentano delle deviazioni dalle condizioni di equilibrio della cella elettrochimica

Un elettrodo è idealmente non polarizzabile se non va mai incontro a polarizzazione, per cui presenta
un potenziale di elettrodosempre uguale a prescindere dal valore di intensità di corrente che lo
attraversa.Gli elettrodi di questo tipo sono caratterizzati da un’interfaccia con la soluzione elettrolitica
particolarmente stabile.

Un elettrodo è invece idealmente polarizzabile se va sempre incontro a polarizzazione, per cui non è mai
attraversato da corrente, a prescindere dalla differenza di potenziale ad esso imposta.L’interfaccia di questi
elettrodi con la soluzione elettrolitica non presenta una buona stabilità.

Le soluzioni fisiologiche presentano in sospensione quattro diverse specie ioniche: s , z * , { s , 1w * .


Immaginiamo di prendere una barretta di argento, materiale impiegato per gli elettrodi destinati al prelievo
di biopotenziali, e di immergerla in questa soluzione. A contatto con la soluzione elettrolitica, l’argento
metallico si ossida, liberando ioni vs nella soluzione ed un certo numero di elettroni all’interno della
barretta. Gli ioni vs , presenti in soluzione molto vicino alla barretta metallica, possono reagire con gli ioni
1w * dando origina al sale v1w. Le molecole di questo sale sono poco solubili e tendono a depositarsi sulla
barretta metallica formando uno strato sufficientemente spesso (circa 10 ) da privare l’argento della sua
caratteristica lucentezza.

44
Gli elettrodi in argento sono caratterizzati da un quantitativo di rumore piuttosto basso e da un potenziale
di semicella molto stabile (elettrodo non polarizzabile). Tuttavia lo strato di v1w tende a deteriorarsi,
andando ad interferire con le caratteristiche elettriche.

Per ovviare a questo problema oggi vengono prodotti elettrodi di cloruro d’argento
sintetizzatoelettrochimicamente: si dispone il sale in un contenitore della forma voluta e vi si connette un
filo di argento (che determina il contatto elettrico con l’elettrodo che si intende sintetizzare); si sottopone il
contenitore ad elevata pressione, riscaldando il sale fino a 1200-1400°C; a fine processo si ottiene
l’elettrodo in cloruro d’argento, che presenta la consistenza di una ceramica. Lo spessore dell’elettrodo di
v1w è di circa 2mm. Gli elettrodi così prodotti hanno buone caratteristiche meccaniche e difficilmente si
deteriorano. Sono molto impiegati nel prelievo di biopotenziali anche per la loro capacità di generare poco
rumore (si genera rumore ogni qual volta uno ione passa da metallo a soluzione elettrolitica o viceversa).

E’ possibile produrre elettrodi usa e getta in cloruro di argento sintetizzato elettrochimicamente a partire
da una base di ottone argentato: per questi elettrodi è necessario l’impiego di un gel conduttivo al fine
unico della protezione dell’ottone dal deterioramento.

Modello elettrico di un elettrodo

Per poter prelevare dei biopotenziali è necessario trasdurre la corrente ionica in corrente elettronica;le
correnti ioniche devono, però, essere prima opportunamente indotte all’interno del corpo umano.
Entrambe le funzioni citate sono svolte dagli elettrodi: nel primo caso essi lavorano con correnti molto
basse, prelevando i biopotenziali, mentre nel secondo caso essi operano con correnti aventi densità più
elevata in modo da produrre stimolazione nei tessuti eccitabili.

Poiché gli elettrodi hanno un’impedenza che è funzione della frequenza, il modello impiegato per
rappresentarli deve essere munito di un componente reattivo capacitivo. Si è visto che, da un punto di vista
elettrico, gli elettrodi perfettamente non polarizzabili sono equiparabili a resistori mentre quelli
perfettamente polarizzabili sono equiparabili a condensatori. In realtà, tuttavia, non esistono elettrodi
perfettamente polarizzabili o perfettamente non polarizzabili: il modello dell’elettrodo viene quindi
realizzato mediante un accoppiamento in parallelo tra un resistore " ed un condensatore1" . Nel modello
è necessaria la presenza di un generatore di tensione uR , che produce il potenziale di semicella, e di una
resistenza | , che manifesta il comportamento non ideale dell’elettrodo.

Il verso del generatore di tensione dipende da come è disposto il corpo del paziente.

A livello dell’interfaccia, la corrente si suddivide in corrente di spostamento e corrente di conduzione. La


corrente di spostamento è quella che scorre in 1" in virtù del processo di carica del condensatore, cosa che
avviene senza che vi siano scambi di carica all’interfaccia (condizione di elettrodo perfettamente
polarizzabile). La corrente di conduzione è quella che scorre in " ed è dovuta esclusivamente allo scambio
di carica che avviene all’interfaccia tra il metallo dell’elettrodo ed elettrolita (condizione di elettrodo
perfettamente non polarizzabile).

45
| tiene conto della resistenza offerta aivari fenomeni conduttivi che avvengono nella cella elettrolitica o
nel corpo umano. Essa assume valori pari, al massimo, ad un centinaio di Ohm, decisamente inferiori a
quelli dell’impedenza generata dal parallelo tra " e 1" .

Consideriamo il circuito precedente operante in regime continuo: il condensatore 1" diviene un circuito
aperto e i resistori " ed | sono connessi in serie, con " ≫ | . In particolare, se non interessa rilevare il
potenziale di semicella, il generatore di tensione può tranquillamente venire rimosso.
In condizioni di regime a tensione alternata, il generatore di tensione si può assimilare ad un corto circuito
(in quanto generante un potenziale continuo dovuto ad una corrente continua). Lo stesso può dirsi di | , in
quanto essa assume valori notevolmente inferiori al parallelo tra " e 1" . Se l’elettrodo in questione è
perfettamente non polarizzabile, allora è lecito trascurare 1" . Se l’elettrodo è perfettamente polarizzabile,
invece, si può trascurare " .

Determiniamo ora il diagramma di Bode del circuito in esame, eliminando tranquillamente il generatore di
tensione, giacché produce una tensione in continua. Il diagramma di Bode è dato dal modulo
}&~•'
dell’impedenza &?' = Y&~•'
, dove : = 2;<. Osservando il circuito si vede che:

&?' = | + U &?'

dove

1 1 1 1 1
U &?' = = = ∙ = ∙
€&•‚ || ‚'
ƒ" + ?1" ƒ" 1 + ! ‚
"
1 + ?1" "

Di conseguenza, l’impedenza del circuito è

1 + ?1" " +
&?' = U &?'
| | "
+ = + ∙ =
| | "
1 + ?1" " 1 + ?1" "

So osserva che:

in continua ? = 0 e conseguentemente &?' = | + " ;


quando ? → ∞ si opera con frequenza molto grande ed il condensatore diviene un corto circuito,

ovvero &?' = | ;

• s•
la funzione di trasferimento presenta uno zero: …† = ‡ ‚ = 1" /& " || | ';
‚ •‚ •‡

• la funzione di trasferimento presenta un polo: …C = 1/1" ".

" || | avrà un valore inferiore sia di | sia di " : ne segue che, in termini di frequenza, quella dello zero
presenterà un valore maggiore di quella del polo. Il diagramma di Bode del modulo del circuito è quindi:

Quanto detto è valido nel caso semplice di un elettrodo che si interfaccia direttamente con la soluzione
elettrolitica. Nel caso di un elettrodo posto sulla cute, il modello elettrico diviene più complicato.

46
Contatto tra l’elettrodo e la pelle

La pelle del corpo umano è costituita da tre strati sovrapposti: l’epidermide, che è il più superficiale, seguito
dal derma e, più in profondità, dal tessuto sottocutaneo.

Gli elettrodi vengono applicati sull’epidermide, che si costituisce di uno strato corneo (formato da cellule
epiteliali nell’ultima fase della loro vita o già morte), di uno strato granuloso e di uno strato vasale (in cui si
generano nuove cellule epiteliali).

Per il contatto tra elettrodo e corpo umano risultano essere di fondamentale importanza:

- lo strato corneo;
- le ghiandole che producono sudore, che vanno a modificare la composizione chimica del liquido a
contatto con l’elettrodo.

Se si posizionano due elettrodi uguali, uno sul palmo della mano e l’altro sul dorso, questi misureranno lo
stesso potenziale di semicella. In condizione di ansia, il potenziale di semicella dell’elettrodo posto sul
palmo della mano variaper effetto di una maggiore sudorazione. Questo fenomeno è noto come processo
galvanico cutaneo (GRS).

Molto spesso tra la superficie dell’elettrodo e lo strato corneo viene interposto un gel conduttivo, al fine di
ridurre la resistività dello strato in questione. Oltre all’interfaccia elettrodo/gel si devono prendere in
considerazione le interfacce gel/strato corneo e strato corneo/derma.
Lo strato corneo è uno strato isolante, mentre il derma e lo strato sottocutaneo sono entrambi
conduttivi.La situazione, da un punto di vista elettrico, è quindi la seguente:

uR
è il potenziale di semicella dovuto alle caratteristiche dell’elettrodo; !R è il potenziale di semicella
dovuto agli ioni presenti nel gel e nello strato corneo; !ˆ‰Š4 è il potenziale di semicella dovuto al sudore
presente; | è la resistività del gel al passaggio della corrente; ‰ 4‹S è la resistività del derma al passaggio
della corrente. L’elettrodo viene quindi a contatto con un mezzo stratificato.

Segnale e rumore

Quando si effettua il prelievo di biopotenziali, i principali problemi sono legati al fatto che non si è in grado
di prelevare esclusivamente il potenziale d’interesse, ma ve ne sono degli altri, che si sovrappongono a
quello che si intende analizzare. Il potenziale oggetto d’interesse viene chiamato segnale mentre tutti gli
altri costituiscono rumore.
47
Avere una buona conoscenza delle caratteristiche non solo del segnale di interesse, ma anche del rumore
che ad esso si accompagna, risulta essere cruciale nella progettazione di amplificatori differenziali per
biopotenziali. Tali amplificatori, infatti, devono mostrarsi molto sensibili al segnale di interesse e
scarsamente sensibili al rumore sovrapposto.

Nella progettazione degli amplificatori per biopotenziali vengono impiegati i cosiddetti pazienti artificiali.
Un paziente artificiale non è atro che un generatore di segnali non sinusoidali, simili al segnale
elettrocardiografico. Se l’amplificatore differenziale viene collegato al paziente artificiale, esso rileva il
segnale senza problemi. Le cose cambiano se si collega l’amplificatore a due elettrodi che vengono posti a
contatto con un mezzo stratificato, come la cute. In questo caso, l’amplificatore non è in grado di rilevare
correttamente il segnale poiché non tiene conto dell’interfaccia metallo-elettrolita, ove si genera un primo
potenziale dato dalla differenza dei potenziali di semicella (che sono in genere nell’ordine delle decine di
millivolt). La differenza tra i potenziali di semicella dà origine ad un segnale continuo, ovvero a rumore.
L’amplificatore rileva quindi il potenziale dovuto all’interfaccia metallo-elettrolita che,essendo molto più
ampio del segnale di interesse, porta alla saturazione dell’amplificatore, impedendo la rilevazione del
segnale originato dal paziente artificiale. Il problema della saturazione a causa dei potenziali di
semicellapresenti all’interfaccia metallo-elettrolita si verifica, in particolare,quando questi differiscono per
più del 10%.

Il potenziale di semicellaall’interfaccia metallo-elettrolita dipende da tre fattori:il tipo di metallo di cui si


costituisce l’elettrodo;le caratteristiche del fluido che permea lo strato corneo (soluzione elettrolitica);le
forze meccaniche che agiscono sull’elettrodo.

La composizione ionica del fluido che permea lo strato corneo è strettamente legata alle forze meccaniche
che agiscono sull’elettrodo: ad esempio uno spostamento dell’elettrodo sulla cute può sollecitare
maggiormente le ghiandole del sudore, andando ad alterare le caratteristiche dell’elettrolita.

Lo spostamento dell’elettrodo sulla cute dà origine ad artefatti da movimento, che vanno a


compromettere la leggibilità del segnale di interesse.Il segnale ECG ha una banda in frequenza compresa
tra 1 Hz e 50 Hz, mentre per il segnale EEG la banda va da 0,02 Hz a 40 Hz. Gli artefatti da movimento
generano rumore a bassa frequenza (nell’ordine di 0,02-0,03 Hz) e, poiché i segnali ECG ed EEG hanno una
componente frequenziale di interesse di 1 Hz, l’artefatto da movimento si sovrappone molto bene. Nel
caso, invece, del segnale elettromiografico, le componenti frequenziali di interesse variano da 10 a 15 Hz,
molto maggiori delle frequenze dell’artefatto da movimento. In quest’ultimo caso per attenuare il rumore
da artefatto da movimento è sufficiente l’impiego di un filtro passa – alto.

Vi sono, comunque, diversi espedienti per ridurre il rumore da artefatto da movimento:

- si possono impiegare elettrodi non polarizzabili, che sono caratterizzati da un’interfaccia stabile (in cui
il potenziale di semicella non varia al variare della composizione ionica del’elettrolita);
- poiché anche il gel a contatto con la cute genera rumore, gli artefatti da movimento possono essere
ridotti facendo in modo che lo strato di gel sia il più sottile e uniforme possibile;
- in base al loro utilizzo specifico, si possono realizzare degli elettrodi sagomati in modo da essere il più
possibile stabili meccanicamente, riducendo il movimento relativo tra elettrodo e cute.

Anche le dimensioni dell’elettrodo devono essere attentamente valutate: dimensioni troppo piccole
determinerebbero una riduzione della solidità del contatto elettrodo-cute, mentre dimensioni troppo
grandi impedirebbero all’elettrodo di adeguarsi a superfici curvilinee.

Per rendere il segnale più leggibile si usano dei sistemi di filtraggio che aumentano il rapporto segnale
rumore del biopotenziale di interesse. I filtri sono dei sistemi lineari che modificano l’ampiezza delle
componenti del segnale in ingresso in modo diverso a seconda della frequenza: tutte le volte che segnale e
48
rumore hanno frequenze differenti, l’impiego di appositi filtri consente di attenuare le componenti
frequenziali diverse dalla frequenza del segnale di interesse.

Elettrodi maggiormente impiegati per il prelievo di biopotenziali

- Elettrodi a piastra metallica con una superficie di contatto dell’ordine dei / % ; si usano interponendo
del gel tra la piastra metallica e la cute.
%
Elettrodi a disco metallico del diametro di 10-20 mm e superficie di contatto che varia da alcuni a
pochi / ; sono elettrodi non polarizzabili costituiti da ottone rivestito da uno strato di oro e platino;
-
%

vengono impiegati per prelevare segnali ECG ed EMG.


- Elettrodi usa e getta a disco conduttivo contenuti in un supporto schiumoso; sono muniti di una parte
adesiva per attaccare l’elettrodo alla cute, con interposto del gel conduttivo ed adesivo.
- Elettrodi di tipo suction, formati da una coppetta in ottone rivestita internamente di argento che
presenta al centro un disco forato di cloruro d’argento; presentano una ventosa per aderire alla cute;
necessitano dell’interposizione di gel conduttivo.
- Elettrodi di tipo floating, applicati sulla cute interponendo una strato di gel conduttivo dello spessore
di 2 mm; garantiscono un ottimo contatto cutaneo e presentano un’interfaccia particolarmente
stabile.
- Elettrodi in gomma mescolata a grafite; presentano le buone caratteristiche meccaniche della gomma
e le buone caratteristiche elettriche della grafite; vengono impiegati per lo più per la stimolazione di
tessuti eccitabili.
- Elettrodi ad ago, formati da un ago metallico la cui punta ha diametro di pochi micron; l’ago attraversa
il derma e consente di prelevare il segnale direttamente a contatto con le fibre muscolari.
- Elettrodi bipolari, formati da quattro conduttori.
- Elettrodi fire –wire, impiegati nell’analisi del cammino quando si studiano i muscoli in profondità; un
cavetto ad uncino è inserito all’interno di un ago ipodermico che permette di applicarlo al muscolo; di
simile fattura sono gli elettrodi coiled – wire, dove l’ago ipodermico viene sostituito con una cannula
per poter meglio posizionare il cavo uncinato.
- Elettrodi micro – fabbricati, con base in vetro e superficie clorurata; presentano una larghezza
compresa tra 1 e 2 mm; sono costituiti da un certo numero di tip che vengono lavorati per esser resi
conduttori.
- Microelettrodi , impiegati per studiare il potenziale di trans membrana di alcune cellule; presentano
una punta di dimensione di alcuni micrometri, cui si applica un rivestimento di cloruro di potassio
(materiale conduttore).

Gli amplificatori per prelievo di biopotenziali

Nel prelievo di biopotenzialisi possono impiegareduedifferenti stadi di ingresso.

Il 1° stadio di ingresso corrisponde all’amplificatore differenziale,


per cui vale il modello

Šˆ =& s − *' 5

dove 5 è l’amplificazione di modo differenziale.

Il 2° stadio di ingresso corrisponde all’amplificatore single-end,


per cui vale il modello

Šˆ = Œr
49
dove è un numero reale che può essere positivo (amplificatore non invertente) o negativo (amplificatore
invertente)

L’amplificatore differenziale presenta i due ingressi collegati a due elettrodi posizionati sulla cute. Un terzo
elettrodo collega il paziente al riferimento a terra dell’amplificatore.

Si suppone che l’elettrodo di riferimento si comporti come un connettore ideale, in modo da approssimare
mediante un corto circuito il collegamento tra il paziente ed il riferimento a terra dell’amplificatore.

Per gli altri due elettrodi risulta valido il modello elettrico visto in precedenza, trascurando però la presenza
del generatore uR (potenziale di semicella) e della resistenza | (in quanto presenta valori decisamente
inferiori al parallelo tra 1" ed " ). Supponiamo che i due elettrodi applicati al paziente siano identici,
ovvero "V = "O e 1"V = 1"O (circuito simmetrico). Per un amplificatore differenziale, il
generatore di segnali può essere scomposto in due generatori: un generatore di tensione di modo comune
ed un generatore di tensione di modo differenziale " . Il primo, trascurabile, può venir sostituito da un
corto circuito. Il secondo, rappresentante la tensione del segnale di interesse, si può scrivere come la
}‚ }‚
somma di due generatori di tensione:+
%
e− %
. La differenza di potenziale tra questi due generatori, pari
proprio a " , rappresenta tutto ciò che causa una d.d.p. tra i due diversi punti della cute su cui vengono
applicati gli elettrodi.

Se l’amplificatore differenziale fosse ideale, esso presenterebbe impedenze di ingresso infinite ed


impedenza di uscita nulla. In realtà le impedenze di ingresso assumono valore finito e, per semplicità, si
suppone che siano puramente resistive.

Vogliamo ricavare la funzione di trasferimento Šˆ / " . Poiché il circuito comprende solo elementi lineari,
è possibile applicare il principio di sovrapposizione degli effettiai due generatori di tensione. Osserviamo
che, quando il generatore più in basso è spento (ossia è un corto circuito), nella resistenza Œr collegata al
morsetto invertente (“-“), in 1"O ed in "O non scorre corrente. In pratica al morsetto invertente è collegato
un circuito aperto.

50
Quando ad essere spento è il generatore più in alto, si ottiene un circuito simmetrico a quello appena
descritto.

Applicando il principio di sovrapposizione degli effetti ai due generatori di tensione, si ottiene la funzione di
trasferimento:

" ƒ"V + ?1"V " ƒ"O + ?1"O


=• ∙ 5∙ Ž + E− ∙ 5F •− Ž
Šˆ
2 ƒŒr + ƒ"V + ?1"V 2 ƒŒr + ƒ"O + ?1"O
ƒ" + ?1" " "
= E ∙ 5+ ∙ 5F
ƒŒr + ƒ" + ?1" 2 2

Raccogliendo si ottiene:

ƒ" 1 + ?1" "


= 5∙ ∙
Šˆ "
ƒ" + ƒŒr 1 + ?1" •‚ •a_
•‚ s•a_

Considerando solo le resistenze si ricava il risultato finale:

Šˆ Œr 1 + ?1" "
= 5∙ ∙
" " + Œr 1
•‚ •a_
+ ?1" • s•
‚ a_

La funzione di trasferimento trovata presenta uno zero ed un polo rispettivamente alle frequenze

1 1
<• = ; <C =
2;1" " 2; ‚ •‚ •a_
•‚ s•a_

per cui il diagramma di Bode del suo modulo risulta:

In continua, ovvero per ? → 0, la funzione di trasferimento si riduce a:

Œr
95‘ = 5 ∙
"+ Œr

51
Mentre per ? → ∞ si ricava:

95‘ = 5

La funzione di trasferimento ottenuta è del tipo passa – alto:

• tutte le componenti frequenziali inferiori alla frequenza dello zero vengono trattate analogamente,
giacché la funzione di trasferimento si mantiene costante;
• le componenti in frequenza comprese tra la frequenza dello zero e quella del polo vengono trattate
in modo differente in quanto la funzione di trasferimento, in tale intervallo, non è costante;
• tutte le componenti frequenziali maggiori della frequenza del polo vengono trattate analogamente,
giacché la funzione di trasferimento si mantiene costante

Al fine di evitare di alterare il segnale da amplificare, è necessario che tutte le sue componenti frequenziali
siano trattate allo stesso modo, cioè esse non devono essere comprese tra la frequenza dello zero e quella
del polo della funzione di trasferimento (l’ideale sarebbe avere segnali con frequenze al di sopra di quella
del polo, ma questo non sempre è possibile).

La resistenza di ingresso dell’amplificatore assume valori molto più grandi di " ; accade quindi che la
frequenza del polo tende a sovrapporsi a quella dello zero. In tal caso, qualunque sia la componente
frequenziale del segnale in ingresso, l’amplificazione sarà pari ad 5.

Sulla base di ciò, si può sostituire l’amplificatore differenziale con un amplificatore single-end,
caratterizzato dal fatto che = 5, che viene collegato ad un singolo elettrodo e che presenta una
resistenza di ingresso pari a Œr . Il circuito così costruito è del tutto equivalente, dal punto di vista della
funzione di trasferimento, a quello precedentemente analizzato.

Consideriamo ora l’esempio di un elettrodo in cloruro d’argento, avente un diametro j = 8 ed una


superficie = 1/ %. Dalle caratteristiche del materiale di cui è costituito l’elettrodo e dalle sue dimensioni
si ricava che " = 40 ’ e 1" = 40m9. Che cosa accade se si dimezza la superficie di contatto
dell’elettrodo? Si assuma per l’amplificatore impiegato una resistenza di ingresso pari a Œr = 100 ’.

Soluzione

|
Per quanto riguarda la capacità, dalla relazione 1 = 23 24 , si osserva che al dimezzare della superficie


anch’essa dimezza. Mentre la resistenza, considerando la relazione = L |, raddoppia al dimezzare della
superficie. L’elettrodo avente superficie dimezzata rispetto a quello iniziale presenterà come valori:
" = 80 ’, 1" = 20m9. La funzione di trasferimento presenterà, dunque, uno zero in corrispondenza
della frequenza:

52
1
<† = ≅ 10k
2;1" "

Si noti che la frequenza dello zero non varia al variare delle dimensioni dell’elettrodo, ma dipende dal tipo di
materiale di cui si costituisce l’elettrodo. La frequenza del polo della funzione di trasferimento avrà
invece valore pari a:

1
<C = ‚ •‚ •a_
≅ 200
2;
•‚ s•a_

‚ •‚ •a_
Se la resistenza di ingresso fosse molto grande, ad esempio 100”’, allora accadrebbe che •‚ s•a_

1" " .In questo modo le frequenze del polo e dello zero della funzione di trasferimento
coinciderebbero,permettendo di sostituire l’amplificatore differenziale con un amplificatore single-end,
avente = 5. Un elettrodo come quello descritto non va bene se viene collegato ad un amplificatore
avente una resistenza di ingresso di qualche centinaio di chilo-Ohm; va, invece, benissimo per amplificatori
con resistenza di ingresso nell’ordine delle centinaia di mega-Ohm.

E’ molto importante conoscere il valore della resistenza di ingresso di un amplificatore, in modo da poter
valutare se un certo tipo di elettrodo è adatta o meno ad amplificare un certo segnale.

Il problema della saturazione

Oltre ad una errata scelta dell’elettrodo, vi sono altre cause che possono portare l’amplificatore a
saturazione.

Supponiamo che non sia presente il generatore di modo comune;si verifica saturazione se il modulo della
tensione in uscita dall’amplificatore è superiore alla sua tensione di alimentazione.

| " 5| ≥ –“ → ? y—> ˜™mB

Il segnale in uscita dall’amplificatore risulterà distorto.

Onde evitare questo genere di problemi occorre verificare che | " 5| non sia maggiore della tensione di
alimentazione dell’amplificatore.

Nel caso in cui vi sia solo eccitazione di modo comune ( ), si verifica saturazione dell’amplificatore se
| s 5| ≥ –“ oppure| * 5| ≥ –“ .

L’amplificatore differenziale è in grado di funzionare correttamente se e solo se ai suoi morsetti può


scorrere una corrente di polarizzazione š , detta corrente di Bias.
Supponiamo che l’eccitazione di modo differenziale e l’eccitazione di modo comune siano entrambenulle:
allora i due morsetti dell’amplificatore sono posti al potenziale di riferimento a terra, che sicuramente ha
un valore maggiore rispetto alla tensione di alimentazione − –“ , permettendo alla corrente di Biasdi
scorrere nei due morsetti.

53
Se consideriamo il caso in cui è presente solo l’eccitazione di modo comune, il problema della saturazione si
verifica se:

≤− –“ nel caso in cui š è positiva ed entrante nei morsetti dell’amplificatore;


≥+
-
- –“ nel caso in cui š è positiva ed uscente dai morsetti dell’amplificatore.

Colleghiamoora l’amplificatore agli elettrodi, ma senza fornire un segnale di ingresso; osserviamo che i
condensatori 1" , quando attraversati da una corrente continua come š , si comportano alla stregua di
circuiti aperti. Il circuito può quindi essere rappresentato nel seguente modo:

Supponiamo che le due resistenze " siano uguali e che lo stesso possa dirsi per le correnti di
polarizzazione. Conseguentemente si verifica che s = " š = * .
La condizione di saturazione si può quindi esprimere con la relazione:

" š ≥ –“

La tensione di alimentazione degli amplificatori differenziali è dell’ordine dei Volt mentre le correnti di
polarizzazione assumono, generalmente, valori dell’ordine dei pico-ampere o di qualche nano-ampere.
Affinché non si incorra nel fenomeno della saturazione è necessario che il valore delle resistenze " sia di
qualche centinaio di Ohm (si ricordi che il valore di " dipende dalle dimensioni dell’elettrodo).

Nella realtà le resistenze " e le correnti di Bias assumono valori diversi su ciascuno dei due morsetti. Le
due tensioni se * sono differenti,sicché ai due morsetti si genera una tensione di modo differenziale:

s = − šV "V
→ = − =− − ›− šO "O œ = −
* = − šO "O
" s * šV "V šO "O šV "V

In questo caso la condizione di saturazione si verifica quando

| " 5| ≥ –“

Studiamo il seguente esempio. Immaginiamo di avere due elettrodi per il prelievo di un segnale ECG e di
sapere che:

54
š = 10m " = 100 ’

∆ š ≅ 10% š ∆ " = 5% "

Determinare se si verifica saturazione dell’amplificatore.

Soluzione

Dai dati si ricava che ∆ š = 0,1 ∙ 10m = 1m e che ∆ " = 0,05 ∙ 100 ’ = 5 ’. Supponiamo quindi di
avere

"V = 105 ’ "O = 95 ’

šU = 11m šO = 9m

La tensione di modo differenziale ai due morsetti dell’amplificatore è data dalla relazione

" = "O šO − "V šV ≅ 300

Nel caso di un elettrocardiografo, si ha 5 = 1000 eduna tensione di alimentazione pari a ±5 .


Poiché| " 5| = 300 < 5 = –“ , non si verifica la saturazione∎

In generale, quando è presente una caduta di tensione differenziale ai morsetti dell’amplificatore, per essere
certi che non si verifichi saturazione è necessario verificare che:

1) | " 5| ≤ –“ ;
2) s ≤ − –“ oppure * ≤− –“ se
3) s ≥ + –“ oppure ≥+
la corrente di Bias è positiva entrante nei morsetti;
* –“ se la corrente di Bias è positiva uscente dai morsetti.

L’interferenza di rete

Un altro problema che si riscontra durante il prelievo di biopotenziali è rappresentato dall’accoppiamento


capacitivo che si viene a formare tra il paziente e la rete elettrica. Questo accoppiamento capacitivo
determina la comparsa, sul paziente, di una tensione di modo comune: l’interferenza di rete. Questa
tensione (dell’ordine dei Volt) è molto più grande della tensione del segnale che si intende prelevare
(generalmente dell’ordine dei millivolt). Quindi, benché si sia interessati al prelievo di un segnale
sinusoidale alla frequenza di 50Hz, l’amplificatore “vede” unicamente un segnale di modo comune.

L’amplificatore differenziale è soggetto ad una eccitazione di modo comune molto significativa; per
rappresentazionela situazione è quindi necessario impiegare un modello più completo di quello
precedente, sfruttando le relazioni:

Šˆ = " 5+ /

"
1” =

55
Se immaginiamo che non vi sia eccitazione di modo differenziale;la tensione in uscita, dovuta
esclusivamente all’eccitazione di modo comune è data da:

–‰
Šˆ = = ••
.

Questa tensione in uscita rappresental’interferenza di rete che tende a sovrapporsi al segnale di interesse.

Possiamo trascurare le correnti di Bias, assumendo che abbiano valori tali da garantire il corretto
funzionamento dell’amplificatore.

Supponiamo che la tensione di modo comune sia =1 ff e che 1” = 1005¡. Il valore


dell’interferenza di rete in uscita sarà data dalla relazione:

5 1000
= =1∙ = 0,01 = 10
Šˆ
1” 100000

Se il segnale di interesse in uscita dall’amplificatore,dovuto ad una eccitazione di modo differenziale


( Šˆ = " 5), presenta un valore efficace superiore a quello del segnale di uscita dovuto ad
un’eccitazione di modo comune( Šˆ = /), allora si è in grado di distinguere senza problemi il segnale
in questione dal rumore.

Il rapporto:

/ Šˆ
= = =
1” 5 5 "

rappresenta la tensione di modo differenziale che si deve porre in ingresso all’amplificatore in modo che in
uscita si abbia lo stesso effetto prodotto dal segnale di modo comune.

In altri termini, il contributo dell’interferenza di rete sul segnale in ingresso è espresso dalla relazione:

=
¢3a_
1”

Il contributo dell’interferenza di rete sul segnale in uscita è, invece:

= 5= 5
¢3]£¤ ¢3a_
1”

Il rapporto segnale-rumore si può definisce come:

" " "


= = 1”
{ /

Per poter distinguere al meglio il segnale di interesse in uscita, risulta conveniente avere un rapporto
segnale-rumore elevato.

Per far si che il contributo in uscita dell’interferenza di rete sia caratterizzato daun’ampiezza piccola, e
poter quindi visualizzare meglio il segnale di interesse, è necessario aumentare il CMRR.

56
Consideriamo il seguente esempio. Immaginiamo di avere un segnale ECG caratterizzato da un’eccitazione
di modo comune = 1 ff , " = 1 C , 1” = 1005¡. Allora, il contributo in ingresso
}n U
dell’interferenza di rete vale ¢3a_ = ••
= U33333 = 10 ; Il rapporto segnale-rumore è dato da
| }‚ 3,33U
= 1” = 100000 = 100 , corrispondente, in decibel, a 20 log 100 = 405¡. Se l’eccitazione di
¥ }n U
| 3,33U
modo comune raddoppia, allora il rapporto segnale-rumore dimezza, ovvero = 100000 = 50,
¥ %
corrispondente a 20 log 50 = 345¡. Il rapporto segnale-rumore diminuisce di 6 decibel al raddoppiare
dell’interferenza di rete in ingresso.∎

Segue uno schema sulle regole di conversione dall’amplificazione " in guadagno in decibel.

• se l’amplificazione del segnale aumenta di 10 volte, allora il guadagno aumenta di 20dB;


• se l’amplificazione del segnale diminuisce di 10 volte, allora il guadagno diminuisce di 20dB;
• se l’amplificazione del segnale raddoppia, allora il guadagno aumenta di 6dB;
• se l’amplificazione del segnale dimezza, allora il guadagno diminuisce di 6dB;
• aggiungere o togliere 2dB significa moltiplicare o dividere l’amplificazione per circa 1,24;
• aggiungere o togliere 1dB significa moltiplicare o dividere l’amplificazione per circa 1,10;
• aggiungere o togliere 0,5dB significa moltiplicare o dividere l’amplificazione per circa 1,05.

Vediamo ora che succede se colleghiamo all’amplificatore gli elettrodi, supposti perfettamente non
polarizzabili (1" trascurabili).

Indichiamo con l’eccitazione di modo comune, con Œr le resistenze di ingresso dell’amplificatore


differenziale e sia "V ≠ "O . Avendo estratto le componenti in ingresso all’amplificatore, è possibile
trascurare la presenza delle correnti di Bias.

Supponiamo inoltre che 1” → ∞(e di conseguenza = 0), in modo tale che il contributo
dell’interferenza di rete in uscita dall’amplificatore sia nullo. Poiché le resistenze caratterizzanti i due
elettrodi non sono uguali, ne deriva che s ≠ * e, in particolare:

Œr Œr
= ; =
s
"V + Œr
*
"O + Œr

Questo fa sì che tra i due morsetti dell’amplificatore si origini una differenza di potenziale di modo
differenziale,espressa dalla relazione:

Œr Œr "O − "V
= − = − =
"V + "O +
" s * •‚O •‚V
Œr Œr Œr + "O + "V + •a_

57
Normalmente, le resistenze di ingresso all’amplificatore hanno valori nell’ordine del centinaio di mega-Ohm,
mentre le resistenze degli elettrodi si aggirano sul centinaio di chilo-Ohm. Tenendo conto di questo,
possiamo approssimare la relazione precedente a:

"O − "V
" ≅
Œr

La tensione ottenuta rappresenta la componente del disturbo a 50Hz, riferita all’ingresso, dovuta al fatto
che i due elettrodi non sono uguali tra loro:

∆ "
" ≅ ≅ ¢3a_ ∆©
Œr

Si è originata una conversione dell’eccitazione di modo comune in un segnale di modo differenziale: da un


segnale di partenza puramente di modo comune, si è generato un segnale di modo differenziale dovuta alla
differenza tra i due elettrodi(cioè all’asimmetria del circuito).

Se, invece, si impiegassero due elettrodi perfettamente polarizzabili (caratterizzati da due differenti
impedenze " & :', molto più piccole delle resistenze di ingresso dell’amplificatore), allora la componente
del disturbo a 50Hz, riferito all’ingresso, si esprimerebbe come:

∆| "& :'|
" ≅
Œr

Analizziamo ora il seguente esempio. Supponiamo che sul paziente vi sia una tensione di modo comune
= 1 e che le resistenze in ingresso all’amplificatore differenziale valgano Œr = 10”’. Si vuole
determinare il valore della differenza ∆ tra i due elettrodi, assunti perfettamente non polarizzabili,
affinché si abbia un contributo in ingresso dell’interferenza di rete ¢3a_ ∆© ≤ 10 .

Soluzione

Dalla definizione di interferenza di rete dovuta alla differenza tra i due elettrodi, si ha che

∆ " ¢3a_ ∆© Œr 10 ∙ 10*ª ∙ 10 ∙ 10ª


= ≤ 10 → ∆ ≤ = ’ = 100’
¢3a_ ∆©
Œr
"
1

Questo risultato risulta scoraggiante. Infatti, se consideriamo un elettrodo di v1w con una superficie di
contatto pari a = 1/ % , la differenza tra le resistenze degli elettrodi è già pari a 40 ’. Per poter avere
un interferenza di rete contenuta, in queste condizioni, è necessario adoperare una ottima preparazione
del paziente.

Se il valore della resistenzein ingresso all’amplificatore viene portato a 100”’, procedendo come nel caso
precedente si ricava che ∆ " ≤ 1 ’, risultato molto più accessibile.

In conclusione, aumentando il valore delle resistenzein ingresso all’amplificatore è possibile ottenere una
buona visualizzazione del segnale di interesse anche senza adoperare una precisa preparazione del
paziente. Quindi, avere Œr ≫ " non solo consente di avere una funzione di trasferimento costante (in

dell’interferenza di rete. ∎
quanto le frequenze del polo e dello zero vanno a coincidere), ma implica anche una sostanziale riduzione

58
Il risultato ottenuto si basa sull’assunzione 1” → ∞. In condizioni reali, tuttavia, si ha generalmente
/ ≠ 0, 5 ≠ 0;di conseguenza, l’interferenza di rete dipenderà non solo dalla differenza tra i due
elettrodi, ma anche dal fatto che il CMRR assume valori finiti.

Nel caso reale, i contributi dell’interferenza di rete riferiti all’ ingresso e all’uscita dall’amplificatore, si
possono scrivere rispettivamente come:

∆ " 1
= E + F ; = ∙ 5
¢3a_
Œr 1” ¢3]£¤ ¢3a_

Per determinare il contributo dell’interferenza di rete in ingresso è importante conoscere tre parametri:
∆ " , Œr , 1” . Quando si progetta il front-end dell’amplificatore (ovvero tutte le parti elettriche al suo
ingresso), si pone come condizione che:

∆ " 1

Œr 1”

in modo tale da bilanciare i due termini che contribuiscono all’interferenza di rete sul segnale in ingresso.

Il valore di ∆ " per cui l’amplificatore risulta essere sfruttato al meglio, da un punto di vista
dell’interferenza di rete, è dato da:

Œr
∆ =
"
1”

Di norma vengono impiegate delle resistenze di ingresso all’amplificatore piuttosto alte, nell’ordine di uno o
due giga-Ohm, in modo tale da poter rilassare i vincoli che si hanno sulla preparazione del paziente.

Più il CMRR risulta elevato, meglio è. Ma se si sa che il rapporto ∆ " / Œr sarà elevato, è inutile progettare
un amplificatore con CMRR molto grande, in quanto il valore dell’interferenza di rete in ingresso risulta
essere già limitato da tale rapporto.

Nelle considerazioni fatte sino a questo punto non si è generalmente tenuto conto degli elementi
capacitividegli elettrodi. In realtà questo non è sempre possibile. In quali condizioni si può effettivamente
trascurare la componente capacitiva degli elettrodi?

Consideriamo il parallelo tra un resistore " ed un condensatore 1" .

L’ammettenza equivalente (espressa in Siemens, simbolo “S”) è data da:

€& :' = ƒ" + :1" ,

il cui modulo si esprime:

|€& :'| = Aƒ"% + &:1'%

59
La capacità nel modello di un elettrodo è trascurabile se e solo se si ha la certezza che:

&:1'% ≪ ƒ"%

E’ importante notare che il termine capacitivo dipende a sua volta dalla frequenza, essendo : = 2;<

Le sorgenti di rumore

Nella catena di amplificazione viene denominato front-end tutto ciò che viene collegato direttamente alla
rete. Nel caso particolare del prelievo di biopotenziali, il front-end è rappresentato dagli elettrodi.

Affinché l’amplificazione del segnale di interesse sia soddisfacente è necessario che:

1) l’amplificatore non saturi;


2) il rumore generato dall’amplificatore risulti contenuto rispetto all’ampiezza del segnale.

Per quanto riguarda il problema del rumore si possono individuare sorgentiinterne e sorgentiesterne
all’amplificatore.

Le fonti di rumore esterne all’amplificatore possono distinguersi in disturbi prevedibilie disturbi


imprevedibili.
Alla prima categoria appartengono l’interferenza di rete e il rumore di elettrodo. Gli elettrodi sono rumorosi
poiché ogni volta che all’interfaccia metallo-elettrolita avviene un passaggio di carica si genera un
potenziale di disturbo, tanto più intenso quanto più gli scambi di carica sono numerosi. Il rumore di
elettrodo dipende principalmente dal tipo di materiale di cui si costituisce l’elettrodo. Gli elettrodi meno
rumorosi sono quello realizzati in argento o cloruro d’argento. Anche la presenza di correnti di
polarizzazione significative contribuisce ad aumentare il rumore di elettrodo, poiché inducono un
incremento degli scambi di carica all’interfaccia. Un’ulteriore
fonte di disturbo esterna prevedibile è l’artefatto da movimento, che ha origine all’interfaccia metallo-
elettrodo e generalmente presenta ampiezze nell’ordine dei milli-volt.
I disturbi esterni non prevedibili sono costituiti dal rumore generato da altri dispositivi che possono
eventualmente essere presenti nel paziente.

Le fonti di disturbo interne all’amplificatore sono dovute al fatto che i componenti costituenti sono
dispositivi reali e, come tali, generano un rumore che viene poi amplificato, andando a compromettere la
leggibilità del segnale di interesse. Il rumore dovuto alle componenti di una catena di amplificazione è un
fenomeno casuale: esso è generato da elementi diversi e non esiste una correlazione statistica tra i vari
disturbi prodotti. Il valore della potenza di rumore complessivo viene calcolato sommando le potenze di
rumore prodotte da ciascun elemento (per il rumore non si parla di valore picco-picco).

Criterio di progettazione per una catena di amplificazione per prelievo di biopotenziali

La catena di amplificazione è formata dall’alternanza di blocchi di amplificazione e di blocchi di filtraggio.


Questa alternanza ha lo scopo di evitare che si verifichi il fenomeno della saturazione, le cui principali cause
sono la differenza di potenziale di semicella(segnale continuo)l’artefatto da movimento(segnale non
continuo e a basse bande di frequenza).

All’inizio della catena di amplificazione viene posto uno stadio di amplificazione U . E’ importante che
questo stadio non venga saturato dalla differenza di potenziale di semicella. Supponiamo che U sia

60
alimentato con una tensione di ±5 e che l’ampiezza del potenziale di semicella non sia superiore ai 50mV.
In queste condizioni il valore di U non può essere maggiore di 100 (infatti |50 ∙
|
10 ∙ 100 = 5 ). Tuttavia questo limite è ancora alto, in quanto non si è tenuto conto del probabile
*+

artefatto da movimento. Se la d.d.p. di semicella e l’artefatto da movimento hanno ampiezze inferiori a


50mV, è possibile scegliere U pari a 25. In questo modo si ottiene un segnale in uscita con una
componente continua pari a 2,5V (infatti 100 ∙ 10*+ ∙ 25 = 2,5 ) e l’amplificatore opera senza saturare,
amplificando la d.d.p. di semicella e gli altri disturbi(quali l’interferenza di rete e il rumore di elettrodo).

All’uscita di U viene posto un blocco di filtraggio % : esso si costituisce di un filtro passa – altoche ha il
compito sia di eliminare le componenti continue e a bassa frequenza dovute all’amplificazione della d.d.p.
di semicella, sia di attenuare le componenti dovute all’artefatto da movimento che sono state
precedentemente amplificate (e che non sono continue). Sesi attenua di 40dB, le ampiezze dell’artefatto da
movimento diminuiscono di 100 volte; con i valori numerici considerati, in uscita dal filtro % l’ampiezza
dell’artefatto da movimento è pari a 12,5 mV (infatti si ha 50 ∙ 10*+ ∙ 25 = 1,25 in uscita da U e
U,%¢
U33
= 12,5 in uscita da % ).

Di seguito vi è un nuovo blocco di amplificazione + , che deve essere tale da non saturare a causa delle
componenti residue ed attenuate dell’artefatto da movimento e di altri disturbi amplificati dal primo
blocco, ma non attenuate da % , come l’interferenza di rete in ingresso. L’interferenza di rete assume
ampiezze che alla peggio sono di 1 o 2 milli-volt, che però vengono amplificati da U e giungono,
all’ingresso di + , con ampiezze anche di 30-40mV. Di norma il secondo blocco di amplificazione assume
valori compresi tra 20 e 30, in modo tale da non saturare né a causa dell’interferenza di rete amplificata né
per le componenti residue dovute all’artefatto da movimento.

L’interferenza di rete è un disturbo a frequenza di 50Hz e, per eliminare dal segnale le componenti a questa
specifica frequenza, all’uscita di + si pone un filtro di tipo Notch.

Si pone poi un terzo blocco di amplificazione, ¢ , seguito da un blocco di filtraggio costituito da un filtro
passa – banda(o anche rigetta – banda), al fine di eliminare il rumore di elettrodo ancora presente e che di
solito è un segnale a banda larga.

Si procede alternando blocchi di amplificazione a blocchi di filtraggio fino a che non si ottiene
l’amplificazione voluta. Dopo aver posto l’ultimo blocco di filtraggio, si introduce l’amplificatore di
isolamento, che garantisce l’isolamento tra l’ingresso e l’uscita del circuito. Detto amplificatore, tuttavia,
introduce molto rumore a banda larga e, quindi, rende necessario l’impiego in uscita di un filtro passa –
basso. Questo filtro svolge una doppia funzione: elimina il rumore
generato dall’amplificatore di isolamento e limita la banda del segnale che dovrà essere poi campionato e
convertito.

Dopodiché è presente un amplificatore di uscita, che isola l’uscita del precedente filtro passa –
bassodall’ingresso della scheda di conversione.

La scheda di conversione contiene al suo interno un sample and hold che opera ad una certa frequenza e
nel rispetto del teorema di Nyquist, secondo il quale “la frequenza di campionamento deve essere pari al
doppio della banda del segnale da campionare e deve avere una risoluzione di almeno 8 bit”.

Per conoscere di quanto deve amplificare la catena nel suo complessoè necessario conoscere la dinamica di
ingresso del convertitore analogico-digitale, ovvero l’intervallo di tensioni entro cui deve essere contenuto
61
il segnale da convertire. La catena di amplificazione deve essere tale che la dinamica del segnale in ingresso
alla scheda di conversione sia uguale alla dinamica propria della scheda(che viene fornita dal costruttore e
compresa tra 1V e 10V). Possiamo quindi affermare che:

5˜m ˜/ 5Bww ?/ℎB5 5˜ /™m¬B>?˜™mB


8w˜<˜/ ˜™mB =
5˜m ˜/ 8>™8>˜ 5Bw ?Bvm wB

Considerando ciascun blocco della catena separatamente a tutti gli altri, è possibile determinare il valore
del rumore riferito all’ingresso del blocco considerato, cioè il rumore che deve essere presente in ingresso
in modo tale che in uscita si produca un effetto pari al rumore presente quando il blocco è funzionale alla
catena di amplificazione.

Il valore della tensione di rumore in uscita da ciascun blocco è pari ad un parametro Bra moltiplicato per il
modulo dell’amplificatore o del filtro presenti(in particolare, per i filtri si considera modulo unitario).Bra è un
parametro che indica il valore di tensione di rumore in uscita riferita all’ingresso.

La potenza del rumore in uscita dal blocco è determinabile con la relazione:

& Œ '% ∝ $Œ

secondo cui il quadrato della tensione di rumore in uscita da ciascun blocco è proporzionale alla potenza di
rumore.

Consideriamo ora l’ultimo amplificatore della catena, che denotiamo con ®. In base a quanto visto, la
potenza di rumore in uscita da tale blocco considerato singolarmente è:

$® ∝ &Br¯ ∙ ®'
%

A questo valore è necessario sommare la potenza di rumore generata da tutto ciò che precede ®:

$Š ¯
= [&Br¯ ∙ ®'
%
+ &$ Š ± ∙ ® ']

dove$ Š ±
= &Br± ∙ 1'% + $ Š ³ è la potenza in uscita dal blocco di filtraggio che precede ®, $ Š ³ =
&Br³ ∙ ´'
%
+ &$ Š µ ∙ ´' è la potenza in uscita dal blocco di amplificazione ´,
$Š µ
= &Brµ ∙ 1' + $ Š ¶ è la potenza in uscita dal blocco di filtraggio precedente
%
´ e così via a ritroso,
fino alla potenza in uscita dal primo blocco di amplificazione, pari a $ Š V
= &BrV ∙ U' .
%

Per fare in modo che la catena risulti poco rumorosa è necessario, dunque, porre la propria attenzione sul
parametro BrV .

Al fine di progettare una buona catena di amplificazione si devono perseguire due obiettivi in contrasto
l’uno con l’altro:

1. amplificare poco al primo stadio per non avere problemi di saturazione;


2. amplificare molto al primo stadio per avere il minimo rumore possibile.

Si rende necessario bilanciare questi due obiettivi, amplificando il più possibile al primo stadio senza
rischiare di incorrere in fenomeni di saturazione. Per questo è necessario conoscere le caratteristiche sia
del segnale che si intende amplificare, sia delle principali fonti di rumore presenti all’interno della catena di
amplificazione.

62
Per realizzare una buona catena di amplificazione risulta cruciale il sistema di filtraggio: vengono impiegati
dei filtri analogici al fine di attenuare l’ampiezza del rumore sovrapposto al segnale, in modo da non
causare la saturazione degli amplificatori presenti nella catena. Una volta attenuati dai filtri analogici, i
segnali sovrapposti indesiderati vengono successivamente trattati da appositi filtri numerici.

L’interferenza dovuta ai cavi degli elettrodi

Fino a questo punto non si è tenuto conto della presenza dei cavi elettrici che sono collegati agli elettrodi
per il prelievo di biopotenziali. Consideriamo, per semplicità, il caso in cui gli
elettrodi adottati siano perfettamente non polarizzabili.

I cavi utilizzati vengono schematizzati come il parallelo tra una capacità e la serie di
un resistore e di un induttore.

Se si verifica che | ≪ " , essendo " la resistenza dell’elettrodo, è possibile trascurare la presenza della
resistenza nel cavo. Si consideri che, in genere, la superficie del cavo non è superiore ad 1 %
e che "
può essere intorno alle decine di chilo-Ohm: in queste condizioni la resistenza nel cavo si può trascurare
senza incorrere in errori seri.

Il coefficiente di autoinduzione di un cavo rettilineo, avente una lunghezza di 1cm e superficie pari
0,25 %
, è approssimabile a M = 100 . Ne segue che se la lunghezza del cavo viene portata ad 1m tale
valore si avvicina a M = 1 . L’impedenza dovuta alla presenza del solo induttore, considerando una
frequenza di 50 , è pari a = :M| . Si può assumere per l’induttanza un modulo dato da| | = &3 ∙ 10% ' ∙
10*ª ≅ 300 ’. In genere si assume anche l’induttanza trascurabile rispetto alla resistenza di elettrodo.

La capacità 1 dipende da fattori quali la distanza del cavo dal piano di terra e la lunghezza e superficie del
cavo stesso. In genere tale capacità assume valori nell’ordine dei pico-Farad. Supponendo che 1 = 189
econsiderando una frequenza di 50 , si ha che il modulo dell’impedenza associata alla capacità è pari a
U
| |= ≅ 3ƒ’. Ad una frequenza di 300Hz tale valore scende sino a circa 300”’. Questa capacità si

trova in parallelo tra la resistenza di ingresso all’amplificatore e la resistenza di elettrodo. Generalmente
Œr assume valori confrontabili con quelli dell’impedenza del condensatore, mentre " risulta essere di
gran lunga più piccola. Queste considerazioni ci consentono di trascurare la presenza della capacità1 .

In conclusione, nelle condizioni considerate, si può senz’altro considerare il cavo dell’elettrodo come un
conduttore ideale, giacché è possibile trascurare le non idealità.

Come si modifica il modello del cavo se introduciamo ora un secondo conduttore ideale posto ad un
potenziale di 220V (potenziale di rete)? In questo caso nel modello si deve tener conto della comparsa di
una capacità parassita tra ciascun cavo degli elettrodi ed il conduttore al potenziale di rete. Tale capacità
parassita è una capacità distribuita.

63
Supponiamo che gli elettrodi impiegati siano perfettamente non polarizzabili e che "V = "O e 1 V
= 1 O.

In questo caso, tra il riferimento a terra dell’amplificatore ed i nodi A e B rispettivamente, si generano due
tensioni uguali tra loro (essendo il circuito simmetrico) dovute alla partizione della tensione di rete tra 1 e
& " || Œr '. La tensione al morsetto superiore è data da:

" || Œr " || Œr
s = 220 U = 220 ~
" + ~• " −•
o o

il cui modulo si esprime tramite la relazione:

" || Œr
| s| = 220
U %
A& "'
% +· ¸
• o

Data la simmetria del circuito si ha s = * e, conseguentemente, l’amplificatore vede in ingresso una


eccitazione di modo comune avente tensione pari a s. Ciò fa sì che in uscita sia presente un segnale
amplificato pari a / ∙ s. Questa tensione rappresenta un ulteriore contributo dovuto all’interferenza di
rete.

Se i due rami non fossero perfettamente simmetrici, si verrebbe a formare una eccitazione di modo
differenziale " = s − * che verrebbe amplificata di un fattore 5. Anche in questo caso, la tensione in
uscita dall’amplificatore è dovuta al contributo dell’interferenza di rete.

L’effetto di 1 V e di 1 O è quello di determinare, in ingresso all’amplificatore, una tensione di modo comune


che si va a sommare con l’effetto in ingresso dell’eccitazione di modo comune presente sul paziente. Ma
dato che in condizione reali "V ≠ "O e che 1CV ≠ 1CO si può avere in ingresso anche una eccitazione di
modo differenziale, dovuta alle asimmetrie presenti tra le componenti del circuito. Si può supporre di avere
una variazione tra le componenti nel circuito pari al 5%.

Si può migliorare la situazione diminuendo il valore di "V e di "O .

Per diminuire l’eccitazione di modo differenziale dovuta all’accoppiamento capacitivo tra il cavo degli
elettrodi e il cavo di rete si deve fare in modo di rendere uguali tra loro le due capacità di elettrodo e le due
resistenze di elettrodo. Per fare questo si possono avvolgere a treccia i cavi, anche se non è possibile
avvolgere i due cavi di elettrodo per tutta la loro lunghezza.

Un’altra precauzione che si può prendere è quella di usare un cavo coassiale schermato: il vantaggio
consiste nel fatto che in cavi come questo la capacità parassita 1 si forma tra il cavo di elettrodo e lo
schermo. Tale capacità ha valori sufficientemente piccoli da garantire che l’impedenza che si forma, e che è
in parallelo alla resistenza di elettrodo, possa considerarsi trascurabile. In questo modo non vi è più un
accoppiamento con la rete.
64
Per risolver il problema dell’accoppiamento capacitivo formatosi tra i cavi di elettrodo ed il cavo di rete, si
possono collegare alle due resistenze di elettrodo due amplificatori configurati come voltage – follower: in
questo modo, la capacità parassitacollegata tra il cavo di elettrodo e quello di rete vede una impedenza
dell’ordine dei mega-Ohm. In tale condizione,l’effetto generato dall’accoppiamento capacitivo è minimo
(condizione di sonda attiva).Inoltre si elimina un altro problema legato al cavo di elettrodo: l’effetto
triboelettrico.L'effetto triboelettrico è un fenomeno elettrico che consiste nel trasferimento di cariche
elettriche, e quindi nella generazione di una tensione, tra materiali diversi (di cui almeno uno isolante)
quando vengono strofinati tra di loro.

Lo svantaggio nell’introduzione dei due amplificatori consiste nel fatto che si introducono due nuove fonti
di rumore.

IL SEGNALE ELETTROCARDIOGRAFICO

Il segnale elettrocardiografico è un segnale di tipo elettrico che descrive variazioni elettriche.

La rappresentazione di un segnale elettrocardiografico si costituisce di formed’onda, segmenti e intervalli.


Le forme d’onda presenti sono denominate $, ¹, , e‘. Nel bambino è inoltre presente l’ondaº, che
tende via via a scomparire nell’età adulta.

65
Nel tracciato elettrocardiografico, ad ogni
o millimetro di ampiezza delle varie forme
rme d’o
d’onda corrisponde una
tensione pari a 0,1 , mentree sull’asse
sull’ass orizzontale ad ogni millimetro corrisponde
onde un intervallo di tempo
pari 40ms.La sensibilità di un elettroca
elettrocardiografo è di norma pari a 1mV/cm.

La descrizioni degli elementi presenti


resenti iin un tracciato ECG è riportata di seguito.

- zm5 $: è la prima onda che si ge genera nel ciclo cardiaco, e corrisponde alla depolarizzazione
depolar degli atri.
È di piccole dimensioni, poiché
oiché la contrazione degli atri non è molto potente.
nte. La su
sua durata varia tra i
60 e i 120 ms; l'ampiezza (o altezz
altezza) è uguale o inferiore ai 2,5mm (circa 100-200
200μV).
- 1™ 8wB??™ ¹ : si trattaa di un insieme
in di tre onde che si
susseguono l'una all'altra,, e corris
corrisponde alla depolarizzazione
dei ventricoli. L'™m5 ¹ è negativa e di piccole dimensioni (con
ampiezza generalmente inferiore ai 100μV), e corrisponde alla
depolarizzazione del setto interventricolare; l’™m5
o interven presenta
un picco positivo molto alto,
lto, e cor
corrisponde alla depolarizzazione
inistro; l’™m5 è un'onda negativa di
dell'apice del ventricolo sinistro
piccole dimensioni (ampiezza
ezza com
compresa tra i 300 ed i 400μV), e
corrisponde alla depolarizzazione
zzazione d delle regioni basale e
posteriore del ventricolo sinistro
sinistro.

La durata dell'intero complesso è compresa


com tra i 60 e 90 ms. In
questo intervallo avviene anche
he la rip
ripolarizzazione atriale che però
non risulta visibile perché mascherata
scherata dalla depolarizzazione ventricolare.

- zm5 ‘: rappresenta la ripolarizza


ipolarizzazione dei ventricoli. Non sempre è identificabile
icabile, perché può anche
essere di valore molto piccolo.
- zm5 º: è un'onda che non on semp
sempre è possibile apprezzare in un tracciato,, dovuta alla ripolarizzazione
dei muscoli papillari (che regolano l’apertura e la chiusura della valvola mitrale).
itrale).

La linea tra due onde consecutive, corrispondente


corr alle zone in cui il potenziale è mantenuto
mante costante, viene
denominata linea isoelettrica.

Per quanto riguarda i segmenti,


ti, la desc
descrizione è la seguente.

- Segmento P-R: è il segmentonto che congiunge


c tra loro la fine dell’onda P e l’inizio
’inizio de
del complesso Q-R-S.
Tale segmento corrisponde de all’int
all’intervallo di tempo di necessario affinché laa depola
depolarizzazione si
trasmetta dagli atri ai ventricoli.
tricoli. LLa durata in condizioni fisiologiche è di circa 60-80ms
60 (lunghezze
maggiori possono essere causa di blocco atrio-ventricolare).
- Segmento S-T: è il segmento
nto che va v dalla fine del complesso Q-R-S all’inizio io dell’on
dell’onda T. La durata di
tale segmento in condizionene fisiol
fisiologiche è intorno a 150ms. In condizioni patologic
patologiche, come in caso di
ischemia, si osserva che questo
uesto sesegmento è sotto-livellato.

Consideriamo ora gli intervallii present


presenti.

- Intervallo P-R: va dall’inizio


io dell’on
dell’onda P all’inizio del complesso Q-R-S ed esprime
sprime, indicativamente, la
durata del processo di polarizzazion
larizzazione.
- Intervallo Q-R-S: la sua durata
rata è m
molto importante in quanto fornisce indicazioni
cazioni riguardo
r la
conduzione della depolarizzazione
izzazione dagli atri ai ventricoli.

66
- Intervallo S-T: va dalla fine del complesso Q-R-S alla fine dell’onda T e la sua durata fornisce indicazioni
circa la rapidità del processo di ripolarizzazione.
- Intervallo Q-T: in condizioni normali presenta una durata di 400-500ms. Si pensa che la durata di tale
intervallo sia significativa nel caso di morte improvvisa dovuta ad una aritmia cardiaca.

E’ importante conoscere le caratteristiche che deve avere il segnale ECG per poter progettare una buona
catena di amplificazione edottenere, in uscita, un segnale non distorto.

L’amplificazione di modo differenziale per segnali ECG ha valore 5 = 1000, corrispondente ad un


guadagno di 60dB, e gli amplificatori vengono alimentati tra±5V o ±3V.La catena di amplificazione deve
essere tale da non introdurre ritardi significativi tra le varie forme d’onda, in modo da non alterare la
lunghezza di intervalli e segmenti, cose che potrebbe portare ad una diagnosi potenzialmente erronea.
Infatti, ai fini diagnostici, in un segnale ECG è più importante valutare la durata delle varie forme d’onda,
degli intervalli e dei segmenti, piuttosto che l’ampiezza delle varie onde.

Come prelevare il segnale ECG

Il cuore può essere considerato come un generatore elettrico in cui sono presenti zone negative, cioè zone
eccitate, e zone positive, cioè zone in riposo. Tali zone si propagano lungo il muscolo cardiaco in modalità
differenti. E’ molto importante ricostruire la sequenza delle posizioni occupate dalle zone positive e dalle
zone negative.

Il segnale ECG presenta una morfologia che dipende da come è stata effettuata la sua rilevazione (ciò vale
in particolare per le ampiezze relative tra le varie forme d’onda, mala durata delle onde stesse, dei
segmenti e degli intervalli si mantiene costante).

E’ stato necessario individuare delle regole comuni per il prelievo del segnale ECG, individuando punti
specifici del corpo umano su cui applicare gli elettrodi. A seconda di come vengono applicati gli elettrodi, si
individuano diverse derivazioni, ovvero dei vettori, ciascuno dei quali congiunge un elettrodo rilevante un
potenziale negativo con uno rilevante un potenziale positivo.

Nel metodo del Triangolo di Enthoven gli elettrodi vengono collocati sul braccio
destro, sul braccio sinistro e sulla gamba sinistra. Un elettrodo di riferimento viene
posto sulla gamba destra.

Posizionando gli elettrodi nel modo descritto si individuano trederivazionibipolari:

1) derivazione , definita coma la differenza tra il potenziale elettrico presente


sul braccio sinistro e il potenziale elettrico presente sul braccio destro:
Y = ¼“ − ¼•
2) derivazione , definita coma la differenza tra il potenziale elettrico presente sulla gamba sinistra e
il potenziale elettrico presente sul braccio destro:
YY = ¼½ − ¼•
3) derivazione , definita come la differenza tra il potenziale elettrico presente sulla gamba sinistra
ed il potenziale elettrico presente sul braccio sinistro:
YYY = ¼½ − ¼“
67
Le tre derivazioni costituiscono un triangolo con al centro il cuore.Ognuna delle tre derivazioni citate
rappresenta un diverso punto di vista del segnale elettrocardiografico.

Il metodo delTriangolo di Wilson consiste nel misurare le differenze di potenziale


tra un elettrodo “esplorante”, collocato su un braccio o sulla gamba sinistra, ed
un punto di riferimento su cui viene applicato, tramite un resistore (da circa 5kΩ),
l’elettrodo.
Il punto ove viene collocato l’elettrodo di riferimento viene denominato
central terminal (CT).I punti di riferimento dove si applicano gli elettrodi
coincidono con i vertici del triangolo di Einthoven: braccio destro, braccio sinistro
e gamba sinistra.

Il potenziale nel central terminal è esprimibile con la relazione:

1
= &¼• + ¼“ + ¼½ '
#
3

Le tre derivazioni unipolari di Wilson si possono esprimere con le seguenti relazioni:

2 1
= ¾¼• − &¼“ + ¼½ '¿

3 2
2 1
= ¾¼“ − &¼• + ¼½ '¿

3 2
2 1
= ¾¼½ − &¼“ + ¼• '¿
½
3 2

In seguito Goldberg affermò che, eliminando le resistenze poste tra l’arto esplorato ed il central terminal, si
possono ottenere le stesse derivazioni unipolari di Wilson, ma l’ampiezza del segnale così ottenuto risulta
essere maggiore di 1,5 volte. Per fare ciò si rimuovono, uno alla volta, i resistori tra l’arto esplorato ed il
punto di riferimento, in modo tale che l’arto esplorato divenga il terminale positivo. Le rimanenti due
resistenze si considerano collegate in serie.

Le tre derivazioni unipolari di Goldberg si esprimono con le relazioni:

1 3
À = ¼“ − &¼• + ¼½ ' =

2 2 “ÁaZÂ]_

1 3
À = ¼• − &¼“ + ¼½ ' =

2 2 •ÁaZÂ]_

1 3
À = ¼½ − &¼“ + ¼• ' =
½
2 2 ½ÁaZÂ]_

Sfruttando le derivazioni agli arti secondo il triangolo di Einthoven e secondo il metodo di Goldberg, si ha
un totale di sei diversi punti di vista da cui osservare il segnale ECG. Ma in tutti questi casi gli elettrodi sono
posizionati lontani dal muscolo cardiaco.

In alternativa, è possibile impiegare le derivazioni precordiali, che permettono di collocare gli elettrodi più
vicino al cuore.

La disposizione degli elettrodi nelle derivazioni precordiali èdi seguito descritta:


68
- dal punto medio della clavicola, si traccia la retta normale al suolo; nel punto in cui tale retta interseca
il quinto spazio intercostale si dispone l’ elettrodo denominato k ;
- si consideri il quarto spazio intercostale, in particolare il punto in cui tale spazio incontra lo sterno; in
tale punto si applica l’elettrodo denominato % ;
- sulla quinta costola, a metà strada tra gli elettrodi % e k , si colloca un altro elettrodo, denominato + ;
- nel quarto spazio intercostale destro, nei pressi dello sterno,si pone l’elettrodo denominato U;
- dal punto medio dell’ascella si scende verso il basso fino a che non incontra il sesto spazio intercostale;
in tal loco si pone l’elettrodo denominato ª ;
- in corrispondenza del punto medio tra gli elettrodi k e ª si colloca l’elettrodo denominato ¢ .

Quelle appena elencate sono le sei derivazioni precordiali, che si impiegano sempre quando si svolge un
esame ecocardiografico a 12 derivazioni (di cui le sei restanti sono agli arti).

Delle sei derivazioni agli arti, si osservi che soltanto due sono linearmente indipendenti.

Ci sono degli elettrocardiografi che permettono di avere un canale di amplificazione dedicato ad ognuna
delle sei derivazioni agli arti: in questo caso, in ingresso vi è un circuito che permette di ricavare tutti e sei i
segnali di interesse, ognuno dei quali verrà poi amplificato da una specifica catena di amplificazione.
Ciascuna catena deve fornire lo stesso guadagno in dB delle altre.

Un’altra possibilità è offerta da elettrocardiografi muniti di una singola catena di amplificazione: i sei
segnali di interesse vengono campionati nello stesso istante, ma amplificati uno alla volta. I segnali
amplificati vengono poi memorizzati in un apposito circuito in uscita. La catena di amplificazione così
descritta prende il nome di catena multiplexata.

Esistono, infine, dispositivi elettrocardiografici che presentano soltanto due catene di amplificazione: in tal
caso vengono rilevati e amplificati i segnali provenienti unicamente dalle due derivazioni linearmente
indipendenti, dalle quali vengono poi estrapolate matematicamente le altre quattro.

Contrariamente a quanto visto per le derivazioni agli arti, le sei derivazioni precordiali sono tutte
linearmente indipendenti l’una dall’altra.Relativamente a tali derivazioni, esistono elettrocardiografi in cui
sono presenti catene di amplificazione dedicate a ciascun segnale ed altri che presentano un’unica catena
di amplificazione multiplexata.

Catena di amplificazione per elettrocardiografia

69
Per progettare una buona catena di amplificazione per segnali ECG bisogna conoscere quale deve essere
l’amplificazione totale e, di conseguenza, è necessario valutare sia la dinamica di ingresso della scheda di
conversione sia la dinamica del segnale.

Il segnale ECG presenta una dinamica nell’ordine delle decine di milli-volt, mentre la dinamica in ingresso
della scheda di conversione può assumere diversi valori a patto che siano inferiori al valore della tensione
di alimentazione dei vari amplificatori presenti nella catena. Se supponiamo che tutti i blocchi di
amplificazione siano alimentati dalla stessa tensione, allora possiamo affermare che:

1) se la tensione di alimentazione è ±3V, allora la dinamica di ingresso della scheda di conversione è


pari a 2,5-3V;
2) se la tensione di alimentazione è ±5V, allora la dinamica di ingresso della scheda di conversione è
pari a 10V;

Nel secondo caso, conoscendo la dinamica del segnale, che supponiamo pari 20mV (10 − &−10 ') e
la dinamica di ingresso della scheda di rete, che è pari a 10V, si ha che l’amplificazione totale risulta data
U3}
da Š = %3∙U3ÃÄ } = 500.

Il primo stadio di amplificazione, che si vorrebbe fosse il più elevato possibile, deve essere progettato
tenendo conto sia della saturazione dovuta alle differenza di potenziale di semicella sia dell’artefatto da
movimento. Supponendo che entrambi i fattori citati assumano un valore massimo inferiore a 50mV, il
primo blocco di amplificazione può essere U = 25.

Il primo blocco di filtraggio della catena di amplificazione per un segnale ECG si costituisce di un
filtro passa – alto con fase lineare. E’ molto importante che il progetto di tale blocco di filtraggio sia fatto
accuratamente in quanto potrebbe abbassare il segmento S-T rispetto alla linea isoelettrica.
Gli elettrocardiografi consentono, in genere, di scegliere la frequenza di taglio del filtro tra:

- 50-100MHz, per fare una buona diagnosi;


- 1Hz, se si hanno variazioni lente della linea base (dovuta alle d.d.p. di semicella)

Al secondo stadio di amplificazione arrivano gli artefatti da movimento, amplificati di 25 ma attenuati di


40dB, e quindi aventi ampiezza pari a 12,5mV. E’ presente anche l’interferenza di rete, amplificata da U e
non attenuata: supponendo ¢3a_ = 1 , allora in ingresso al secondo stadio di amplificazione
l’interferenza di rete assume un’ampiezza pari a 25mV. Tenendo conto di questi fattori di disturbo, è
conveniente assumere + = 10.

Nella catena seguono poi un filtro di tipo notch e un terzo stadio di amplificazione. Dovendo essere
Š = U ∙ + ∙ ¢ = 500, con i valori considerati fin ora è necessario porre ¢ = 2.

Nella rilevazione del segnale ECG si deve tener conto di una fonte di rumore ulteriore alle solite già citate:
l’attività mioelettrica dei muscoli cui sono applicati gli elettrodi, la cui banda passante inizia ad una
frequenza di 15-20Hz e si estende fino a 350Hz. Per ridurre questo rumore è possibile aggiungere in uscita
al terzo stadio di amplificazione un filtro passa – basso, con frequenza di taglio pari a 30-40Hz. Si deve
comunque tenere conto del fatto che tale filtro potrebbe attenuare anche componenti frequenziali di
interesse.

70
Si hanno poi l’amplificatore di isolamento ed il filtro passa – basso anti-aliasing, che presenta una
frequenza di taglio di circa 400Hz in modo da eliminare il rumore prodotto dall’amplificatore precedente.
Dopo il filtro si dispone un amplificatore di uscita, il quale amplifica per 1.

La frequenza di campionamento del segnale è di norma pari ad 1kHz.

Elettrocardiografia fetale

La rilevazione dell’attività cardiaca del feto è molto importante al fine della diagnosi di una eventuale
insofferenza fetale.

L’elettrocardiografia fetale consente di rilevare l’attività elettrica del cuore del feto, ma sono necessari
particolari accorgimenti per evitare che il segnale ECG del cuore della madre si vada a sovrapporre con
quello di interesse, che presenta un’ampiezza piuttosto bassa.

Esistono due tecniche per la rilevazione del segnale ECG fetale.

Una tecnica prevede di applicare due elettrodi sull’addome della madre e due
sugli arti. Utilizzando la derivazione agli arti, il segnale rilevato non presenta il
tracciato fetale. Sottraendo al segnale ECG rilevato sull’addome il segnale ECG
rilevato dagli arti (che risultano perfettamente sincroni) è possibile ricavare il
tracciato dell’attività elettrica del cuore del feto. Fatto ciò si decide una
frequenza di taglio in modo da determinare il ‘•*• , risalendo così alla
frequenza cardiaca fetale.

L’altra tecnica prevede di impiegare degli elettrodi molto poco sensibili al segnale ECG materno e molto
sensibili al segnale ECG fetale.

Elettrocardiografia dinamica (o Holter)

L’elettrocardiografia viene effettuata allo scopo di evidenziare eventuali alterazioni patologiche nel
funzionamento del cuore. Queste alterazioni possono manifestarsi solo saltuariamente e, per poterle
rilevare, risulta necessario prelevare il segnale ECG per lunghi periodi di tempo.

Il sistema di elettrocardiografia dinamica (anche detta Holter) consente di applicare sul paziente un piccolo
registratore collegato ad un certo numero di elettrodi, in modo da registrare l’attività cardiaca del paziente.
I dati raccolti vengono in un determinato periodo di tempo poi analizzati da un medico specialista.

Nell’elettrocardiografia dinamica si possono individuare due distinti momenti:

1. Registrazione del segnale ECG. I dispositivi Holter devono avere una batteria a
lunga durata, devono essere meccanicamente robusti, presentare dimensioni
contenute ed avere più canali.
2. Elaborazioni dei dati registrati. Per l’elaborazione dei dati è necessario avere
un sistema di lettura automatica accurato, che analizzi tutte le derivazioni presenti ed
i fenomeni che possono essere di interesse per il cardiologo. Il medico ha la possibilità

71
di selezionare gli episodi che possono essere utili al fine della diagnosi, valutando la presenza o
meno di anomalie cardiache.

ELETTROENCEFALOGRAMMA

L’elettroencefalografia nasce a cavallo degli anni ’30 e si assesta verso gli anni ’50 come unicatecnica in
grado di fornire informazioni su ciò che avviene all’interno della scatola cranica.Essa raggiunge il proprio
apice, da un punto di vista dell’importanza, verso la metà degli anni ’60, in concomitanza con la nascita di
calcolatori in grado di effettuare lo studio del segnale EEG da un punto di vista matematico, e non più
esclusivamente morfologico.
72
Il segnale EEG rappresenta un processo casuale che necessita di uno studio per lo più di tipo statistico
anziché morfologico, contrariamente a quanto accade per il segnale ECG.

Intorno al 1975, grazie a calcolatori di stampo più moderno e ad un algoritmo basato sul principio della
trasformata di Fourier, si rende possibile effettuare una stima spettrale del segnale EEG in tempi accettabili
da un punto di vista clinico. Tra il 1975 ed il 1985 compaiono sul mercato elettrodi per elettroencefalografia
muniti di microcalcolatori operanti con un algoritmo basato sulla trasformata di Fourier. Grazie a tali
elettrodi diviene possibile studiare il segnale EEG nell’ambito delle frequenze, permettendo di determinare
la potenza del segnale prelevato in virtù della sua banda passante.

In un segnale EEG si individuano quattrodistinte bande di frequenza.

1. banda δ: 0,5 ≤ < ≤ 3,5 ;


2. banda θ: 3,5 ≤<≤7 ;
3. banda α: 7 ≤ < ≤ 14 ;
4. banda β che si suddivide inÊU : 14 ≤ < ≤ 21 e Ê% : 21 ≤
< ≤ 31 − 32 .

Determinate patologie possono sopprimere l’attività cerebrale in certe bande di frequenza: da qui
l’importanza dell’analisi spettrale del segnale EEG.

Per conoscere la potenza relativa delle bande e delle sottobande di frequenza di un segnale EEG, basta
integrare la densità spettrale di potenza in corrispondenza di tale banda. Lo studio della distribuzione di
potenza nelle varie bande spettrali richiede il prelievo del segnale EEG in diverse condizioni.

Con la nascita di tecniche quali la tomografia assiale computerizzata e la risonanza magnetica diventa
possibile studiare morfologicamente i tessuti presenti nella scatola cranica, individuando con precisione
l’eventuale presenze di lesioni o emorragie. La tecnica elettroencefalografica, tuttavia, rimane importante
nello studio di fenomeni che sono prevalentemente elettrici, e non associati a lesioni di tipo anatomico. Un
esempio è sicuramente lo studio dell’epilessia: questa patologia è dovuta ad una depolarizzazione di una
limitata zona cellulare del cervello (denominata focolaio epilettico) che poi tende a propagarsi lungo il
tessuto cerebrale.La tecnica elettroencefalografica rimane cruciale anche nello stabilire la condizione di
morte cerebrale, che viene dichiarata quando il segnale EEG del paziente si mantiene piatto per un certo
periodo di tempo.

La tecnica elettroencefalografica si caratterizza da una bassa risoluzione spaziale e da una altissima


risoluzione temporale, tanto da consentire l’osservazione dei fenomeni mentre questi hanno luogo.

Elettroencefalografia standard

Per il prelievo di un segnale EEG vengono usati un gran numero di elettrodi, i quali vengono applicati allo
scalpo dello paziente.E’ necessario definire alcuni punti anatomici che vengono frequentemente utilizzanti
come riferimento per la disposizione degli elettrodi.

- Nasion: è la denominazione della fossa sopra al naso;

73
- Inion: punto posto alla fine del cranio subito sopra la prima vertebra cervicale;
- Punti pre-auricolari.

Per la collocazione degli elettrodi, sullo scalpo del paziente si individua un sistema di paralleli e meridiani, i
cui incroci individuano i punti di repere. Alla linea immaginaria che collega tra loro il nasion e l’inion si dà il
nome dilinea mediana. La collocazione dei vari elettrodi sullo scalpo segue uno schema valido a livello
internazionale, noto come sistema 10-20. Questo sistema si basa sulla relazione tra la locazione di un
elettrodo e la sottostante area di corteccia cerebrale. Il “10” ed il “20” si riferiscono al fatto che le distanze
tra due elettrodi adiacenti corrispondono al 10% o al 20% della lunghezza della linea mediana.

A seconda della zona dello scalpo su cui sono collocati, gli elettrodi
vengono denominati tramite lettere e numeri. Tutti gli elettrodi
posti a destra della linea mediana hanno numero pari, mentre
quelli siti a sinistra hanno numero dispari.
Le lettere utilizzate sono: F (lobo frontale), T (lobo temporale), C
(lobo centrale), P (lobo parietale), O (lobo occipitale). La lettera Z
viene utilizzata per specificare che un certo elettrodo è posto sulla
linea mediana (ad esempio FZ, CZ, PZ). Il pedice“p” viene impiegato
per gli elettrodi posti sul fronte polare ( ad esempio FP1, FP2).

Per ogni singola traccia rilevata è necessario specificare la sigla dei due elettrodi che prelevano quella
particolare differenza di potenziale.

In un sistema 10-20 classico vengono impiegati 19 elettrodi; nel caso in cui l’esame EEG debba essere
particolarmente accurato, si possono aggiungere elettrodi negli spazi vuoti.Quando il numero di elettrodi
necessari è maggiore di 64, sullo scalpo non vi è spazio a sufficienza. In questo caso si ricorre ad elettrodi a
forma di aghi, realizzati in tungsteno,che si inseriscono al di sotto dello scalpo del paziente. Il diametro di
questi aghi è di pochi micro-metri e la punta viene realizzata secondo un processo di elettroerosione. In
questo caso, non viene più rispettato il classico sistema 10-20, ma si fa in modo che gli elettrodi vengano
posizionati in modo da costituire una matrice equi - spaziale. Se
si usano più di 64 elettrodi per effettuare l’indagine elettroencefalografica, si parla di EEG ad alta
risoluzione.All’aumentare del numero degli elettrodi impiegati si ha un aumento della risoluzione spaziale.

Per rendere più rapida la preparazione dei pazienti sono presenti delle cuffie regolabili, sulle quali sono già
applicatiun certo numero di elettrodi.

Quando si effettua un esame elettroencefalografico, è necessario decidere in anticipo dove collocare degli
elettrodi di riferimento, in modo da ridurre il più possibile il rischio di artefatti da movimento. I riferimenti
più comunemente impiegati sono:

- il lobo dell’orecchio sinistro ( U ) ed il lobo dell’orecchio destro ( % );


- due punti individuati al di sotto dell’osso mastoide, sotto il padiglione auricolare;
- un unico punto di riferimento sul mento.

Per gli elettrodi, è possibile individuare due diverse tipologie di montaggio: il montaggio bipolare ed il
montaggio monopolare.

Nel montaggio bipolare, due elettrodi consecutivi sono collegati ai


morsetti dello stesso amplificatore differenziale. All’uscita
74
dell’amplificatore si ha un segnale dato dalla differenza tra i potenziali rilevati dai due elettrodi. Al fine di
prelevare correttamente il segnale è necessario disporre di un punto di riferimento.

Nel montaggio monopolare, invece, ogni amplificatore differenziale presenta un morsetto collegato con
uno degli elettrodi presenti, mentre l’altro è connesso al riferimento comune.

Nello studio dell’epilessia è fondamentale individuare la posizione precisa di un focolaio. Immaginiamo di


avere quattro elettrodi, che prelevano rispettivamente il potenziale U , % , + e k , e che vi sia un focolaio
la cui posizione è simmetrica sia rispetto agli elettrodi % e + , sia rispetto a U e k . Supponiamo inoltre
che l’elettrodo % sia a potenziale maggiore rispetto a U, in quanto posizionato più vicino al focolaio
epilettico. Se è stato adottato il montaggio di tipo bipolare, il segnale % − + in uscita dall’amplificatore
differenziale avrà un’ampiezza molto piccola, essendo i due elettrodi posizionati in maniere simmetrica al
focolaio in questione. Inoltre, i segnali in uscita U − % e + − k risulteranno essere in opposizione di
fase.Se, invece, si adotta un montaggio di tipo monopolare, la differenza di potenziale maggiore rispetto al
riferimento viene rilevata dall’elettrodo posto più vicino al focolaio ed i segnali prelevati sono quasi tutti in
fase tra loro.

In elettroencefalografia, quando viene rilevata una differenza di potenziale negativa, la traccia si sposta
verso l’alto; se la differenza di potenziale è positiva, la traccia è traslata verso il basso.
In elettrocardiografia, invece, accade esattamente l’opposto.

I disturbi nel segnale EEG

Nel caso del segnale elettroencefalografico, le possibili fonti di disturbo sono da ricercarsi:

1) nelle differenza di potenziale di semicella;


2) nell’interferenza di rete;
3) negli artefatti da movimento.

L’interferenza di rete può essere particolarmente fastidiosa, soprattutto in virtù della piccola ampiezza del
segnale EEG, generalmentenell’ordine delle decine di micro-volt.

Gli artefatti da movimento in elettroencefalografia sono caratterizzati daampiezze molto simili a quelle del
segnale d’interesse. Generalmente, essi non sono tali da indurre fenomeni di saturazione, ma possono
essere causa di diagnosi errata. Si elencano di seguito i più comuni artefatti.

- Artefatto dovuto ad un movimento verticale dell’occhio, che si manifesta come un’onda, positiva o
negativa, in corrispondenza dei canali dedicatiagli elettrodi 9 1 e 9 2.Questo tipo di artefatto è
sempre presente.
- Artefatto dovuto alla chiusura delle palpebre, che appare come un’onda, positiva o negativa, che si
manifesta contemporaneamente in corrispondenza dei canali dedicati agli elettrodi 9 1 e 9 2 ed
avente una frequenza di 2-2,5Hz. Questo tipo di artefatto è sempre presente.
- Artefatto dovuto al movimento orizzontale dell’occhio, riscontrabile prevalentemente in
corrispondenza degli elettrodi F8 ed F7.
- Artefatti dovuti all’attività mioelettrica dei muscoli,che si rileva prevalentemente in corrispondenza
degli elettrodi frontali e temporali.

75
- Artefatti dovuti ad una variazione rapida ed improvvisa dei potenziali di semicella, dovuta alla presenza
di bolle d’aria sugli elettrodi.
- Pulse-artifact, dovuto ad una variazione dell’interfaccia elettrodo-cute causata dalla pulsazione di
un’arteriola posta sotto l’elettrodo stesso. Si tratta di un artefatto da movimento con contributo in
frequenza molto piccolo; generalmente questo movimento pulsatile è preceduto dall’onda R del
complesso Q-R-S.
- Breach-artifact,dovuto ad una caratteristica piezoelettrica tipica delle ossa. Nel momento in cui si
verifica uno scorrimento tra due superfici ossee, si viene a generare una certa carica elettrica e, di
conseguenza, una differenza di potenziale. Questo artefatto consiste in un’attività ritmica a 6-10Hz ed
è causato da difetti ossei nel cranio. Si manifesta prevalentemente sugli elettrodi centrali e temporali.
- Cardiac-artifact, dovuto presumibilmente ad una sorgente non sita sul cranio. E’ presente su tutti i
canali con la medesima ampiezza ed ha una periodicità simile a quella del tracciato ECG.

Catena di amplificazione per il segnale EEG

Per un segnale EEG, la dinamica può variare da un minimo di 10 ad un massimo di 150 .

Supponiamo che la scheda di conversione abbia una dinamica di ingresso pari a 10V e che il segnale abbia
U3
invece una dinamica pari a 10μV. L’amplificazione totale risulta essere dunque Š = U3∙U3õ =
10ª ,corrispondente ad un guadagno in decibel pari 120dB.

Le fonti di rumore da considerare sono le stesse e, poiché la catena di amplificazione risulta alimentata tra
±10V, il primo blocco di amplificazione non può essere superiore a 100, valore per cui si è prossimi alla
saturazione. Per essere sicuri poniamo U = 50.

Il primo blocco di filtraggio si costituisce di un filtro passa – alto, con un frequenza di taglio di 50-100 milli-
hertz, in modo da attenuare gli artefatti da movimento (l’attenuazione è in genere di 40dB).

Il secondo blocco di amplificazione riceve in ingresso gli artefatti da movimento attenuati, con un’ampiezza
di circa 25mV, e l’interferenza di rete, che presenta un’ampiezza nell’ordine delle decine di milli-volt. Onde
evitare di incorrere in problemi di saturazione si assume + = 20.

Segue un filtro di tipo notch, il cui scopo è quello di attenuare l’interferenza di rete.

Il terzo blocco di amplificazione deve avere un valore compreso tra 400 e 1000.

Il terzo blocco di filtraggio è costituito da un amplificatore di tipo passa – basso. La frequenza di taglio, nel
caso in cui non si sia interessati all’osservazione dei potenziali evocati (aventi banda in frequenza compresa
tra 100Hz e 2kHz), può essere assunta pari a 40Hz.
76
Seguono poi l’amplificatore di isolamento ed il filtro anti-aliasing che, nel caso in cui si vogliano osservare i
potenziali evocati, deve presentare una frequenza di taglio di circa 2kHz.

Si giunge così all’amplificatore di uscita dalla catena ed alla scheda di conversione. Quest’ultima può avere
12, 14 o 16 bit. Maggiore è il numeri di bit, più piccolo risulta l’errore di quantizzazione del segnale. Il
numero di bit della scheda di conversione dipendono dal fine per cui si sta prelevando un dato segnale.

L’impiego del potenziale evocato

Il sistema nervoso umano si può distinguere in centrale e periferico. Fanno parte del sistema nervoso
centrale:

- l’encefalo, al cui interno vi sono le vie di conduzione dei segnali elettrici;


- il midollo spinale che, per mezzo dei nervi spinali, collega tra loro il sistema nervoso centrale e quello
periferico.

Nel sistema nervoso periferico si possono individuare due tipologie di vie conduttive: vie di tipo sensitivo
(che conducono il segnale dalla periferia verso il sistema nervoso centrale) e vie di tipo motorio (che
conducono il segnale dal sistema nervoso centrale verso la periferia). Le alterazioni delle vie conduttive
possono causare compromissione nella trasmissione degli impulsi.

Le vie di conduzione del sistema nervoso possono essere immaginate come un circuito elettrico che collega
una lampadina ad un opportuno generatore. Se la lampadina si accende correttamente, allora il circuito è
intatto e funziona propriamente; in caso contrario si deduce che, in qualche punto, si è verificato un
guasto.Per individuare il guasto, si puòpensare di spostare progressivamente la lampadina lungo il circuito,
in direzione del generatore.

I potenziali evocati vengono impiegati per andare ad indagare alterazioni degenerative delle vie di
conduzione, che in genere si estendono a più fibre conduttive.

Supponiamo di voler testare l’integrità della via di conduzione sensitiva che collega la periferia alla
corteccia cerebrale.
Si applica uno stimolo elettrico in corrispondenza del nervo surale, in modo da determinarne la
depolarizzazione; questa depolarizzazione si propaga attraverso le vie di conduzione sino a giungere alla
corteccia; mediante un dispositivo elettroencefalografico si rileva il potenziale evocato a livello corticale.La
stimolazione viene ripetuta circa 200-300 volte, avendo cura di lasciare tra due stimolazioni consecutive un
certo quantitativo di tempo (0,5-1s), in modo da poter osservare la risposta indotta e far tornare il sistema
in condizioni di riposo.

Si deve tener conto di un periodo dilatenzafisiologico che intercorre tra l’invio dello stimolo ed il rilievo del
potenziale a livello della corteccia cerebrale; tale latenza dipende sia dalla velocità di propagazione dello
stimolo lungo le vie conduttive, sia dall’altezza del paziente. Valori del tempo di latenza superiori a quelli
fisiologici possono essere sintomo di un funzionamento non ottimale delle vie di conduzione degli impulsi
nervosi.

La visualizzazione del potenziale a livello corticale richiede l’applicazione di un elettrodo attivo nella
posizione 1 e di un elettrodo di riferimento posto in 9 . Se il segnale viene rilevato e se il tempo di

77
latenza è quello atteso, si può affermare che la via di conduzione funziona correttamente. In caso contrario,
è probabile che in qualche punto vi sia una lesione: per poterla individuare si procede spostando gli
elettrodi verso il basso, ad esempio incorrispondenza della decima e della dodicesima vertebra dorsale. E’
importante posizionare gli elettrodi laddove il tronco nervoso è sufficientemente vicino alla cute. Se in
questo caso il segnale viene visualizzato, allora la lesione si trova tra le vertebre toraciche e la corteccia. In
caso contrario si procede spostandosi ancora verso il basso, in direzione della sorgente dello stimolo,
posizionando gli elettrodi in corrispondenza della seconda e della quarta vertebra lombare. Se così si riesce
a rilevare il potenziale, si deduce che la lesione si trova nel tratto precedente, altrimenti si continuano a
spostare gli elettrodi verso il basso .

Il segnale di potenziale evocato ha un’ampiezza corrispondente a pochi micro-volt e, di norma, è compreso


nella fascia di rumore della catena di amplificazione (rapporto segnale-rumore minore di zero).

Vi sono tre condizioni che devono essere rispettate affinché sia possibile estrapolare il segnale di interesse
dal rumore.
La prima condizione è che la risposta allo stimolo si ripeta sempre uguale a sé stessa(la frequenza di
stimolazione deve essere sufficientemente bassa da garantire che il sistema non si adegui allo stimolo).
La seconda condizione è che la risposta allo stimolo sia contenuta all’interno di una finestra temporale nota,
avente una durata che dipende dal tipo di sistema.
La terza condizione è che il rumore possa considerarsi non correlato alla risposta indotta dallo stimolo.

Se consideriamo una finestra temporale :Œ , si può definire la risposta allo stimolo tramite la relazione:

ËŒ &y' = ?&y' + mŒ &y'

La risposta allo stimolo è data dalla somma tra lo stimolo stesso ?&y' e la fasciadi rumore mŒ &y' all’interno
della quale è presente la risposta ricercata. Il rapporto segnale-rumore iniziale si può esprimere come:

?&y'
E F =
{ ŒrŒ† m&y'

Il valore medio dellarisposta è dato da:


¥ ¥
1 1
ËSÌ &y' = Í ËŒ &y' = Í›?&y' + mŒ &y'œ
{ {
ŒÎU ŒÎU

dove { rappresenta il numero dibrani di rumore, ognuno dei quali ha una determinata potenza di rumore.
Ricordando che si suppone che non vi sia correlazione tra segnale e rumore, l’espressione precedente può
riscriversi nel modo seguente:
¥
1
ËSÌ &y' = ?&y' + Í mŒ &y'
{
ŒÎU

In particolare, si può osservare che:


¥ ¥
1 1 1 1
Í mŒ% &y' = Ïr% → Í mŒ &y' = Ïr
{ % { { √{
ŒÎU ŒÎU

dove Ïr rappresenta la varianza del rumore. Il valor medio della risposta allo stimolo diviene dunque:
78
1
ËSÌ &y' = ?&y' + Ïr
√{
U
Alla fine del processo di media, la potenza di rumore è proprio Ïr% .
¥

Ne segue che il rapporto segnale-rumore medio si può esprimere mediante la formula:

?&y'
E F = √{
{ SÌ Ïr

Se le risposte allo stimolo indotto si possono considerare identiche e se i brani di rumore non sono correlati
né tra di loro né alle risposte prodotte, allora queste ultime si sommano in ampiezza mentre i brani di
rumore si sommano in potenza, migliorando la qualità del rapporto segnale-rumore.Mediante il processo
descritto, detto tecnica di averaging, si ottiene un aumento del rapporto segnale-rumore di un fattore √{.
Se in numero N di brani di rumore tende all’infinito, si ottiene il solo segnale di interesse. Normalmente si
effettua la tecnica di averaging mediando 200-300 brani di rumore.

Il principale problema nell’analisi dei potenziali evocati è rappresentato da una assenza di parametri
standard cui riferire la normalità di un potenziale, sicché ciascun laboratorio adotta valori limite differenti.

I potenziali evocati maggiormente utilizzati sono:

o potenziali evocati uditivi;


o potenziali evocati visivi;
o potenziali evocati al nervo mediano;
o potenziali evocati al nervo surale o al nervo tibiale.

Mentre il segnale ECG può essere prelevato da qualunque soggetto, con risultati più meno simili a meno di
variazione nelle ampiezze delle forme d’onda, la tecnica dei potenziali evocati per un segnale EEG è
attuabile solo al 95% della popolazione, con variazioni tra caso e caso sicuramente maggiori di quelle
presenti in elettrocardiografia.

Morfologicamente, un potenziale evocato è formato da un certo numero di onde.


L’unica standardizzazione che è stata accettata in elettroencefalografia è quella
secondo cui le diverse forme d’onda vengono indicate sulla base della loro
polarità (positiva o negativa) e della latenza (espressa in milli-secondi). Questa
classificazione vale in particolare per i potenziali evocatisomato-sensoriali e per quelli visivi.
Nei potenziali evocati uditivi le varie forme d’onda vengono indicate con numeri romani progressivi.

L’individuazione del periodo di latenza interorso tra l’invio dello stimolo e l’inizio della risposta è molto
spesso complicata. Osservando il tracciato EEG di un potenziale evocato, spesso si conviene che la latenza si
estenda dallo stimolo indotto (ben visualizzabile), fino al 10% dell’ampiezza della prima forma d’onda della
risposta.

In elettroencefalografia è importante valutare la riproducibilità e la ripetibilità del risultato ottenuto: se il


risultato cambia di continuo, il potenziale evocato non può essere studiato. Per questo motivo vengono
sempre riportati 2 o 3 potenziali evocati elaborati con tecniche di averaging differenti.

79
Il potenziale evocato uditivo

Nello studio dei potenziali evocati uditivi viene impiegato, come stimolo, un impulso triangolare (click)
inviato al padiglione di una cuffia in modo da generare una depressione o una sovrapposizione di intensità
nota. Lo stimolo adottato è non-elettrico e monolaterale, ovvero l’altro orecchio viene mascherato con
rumore bianco. La frequenza di stimolazione è pari a 10Hz.

La frequenza di stimolazione è importante poiché deve essere sufficientemente alta da poter avere
numerosi brani di rumore (incrementando il rapporto segnale-rumore) in un tempo relativamente breve,
ma al contempo deve essere tale da garantire al sistema il tempo necessario per ritornare in condizione di
riposo prima dell’invio dello stimolo successivo. Più il sistema risulta lento, minore deve essere la frequenza
di stimolazione.

I potenziali evocati uditivi hanno una banda che va da 100Hz fino a 1500Hz: si parte da un valore di 100Hz
in modo da eliminare tutto il rumore dovuto al segnale EEG spontaneo che si trova al di sotto del limite di
banda utilizzato.

I potenziali evocati uditivi sono formati da cinque complessi che hanno origine in strutture anatomiche
differenti. L’onda è generata dal nervo uditivo in prossimità della cloclea (o chiocciola) ed è visibile solo se
il potenziale è registrato da elettrodi collocati nelle posizioni
Œ (lobo dell’orecchio destro o sinistro a seconda) e 1 . L’onda
viene generata in corrispondenza della parte prossimale del
nervo uditivo o del nucleo della cloclea. L’onda è prodotta
nella parte superiore del nucleo dell’oliva, mentre le onde e
sono generate rispettivamente nella parte rostrale del ponte
e nella parte caudale del mesencefalo.

Se non sono presenti i complessi e , si può probabilmente


trattare di una lesione a livello encefalico. Se è presente
soltanto il complesso allora il danno potrebbe trovarsi a
livello del nervo uditivo.

Il potenziale visivo

Nello studio del potenziale evocato visivo al soggetto viene chiesto di osservare, con l’occhio che si intende
analizzare, uno schermo rappresentante una scacchiera con caselle bianche e nere. Con una frequenza di
pochi Hz, viene invertito il pattern della scacchiera. La banda del segnale di interesse va da 1Hz a 100Hz (più
bassa di quella del potenziale evocato uditivo). Nella banda d’interesse rientrano, quindi, il rumore
d’elettrodo, l’artefatto da movimento, l’interferenza di rete, il rumore dell’amplificatore ed anche quello
dovuto al segnale EEG spontaneo.

I potenziali evocati visivi sono formati da tre complessi: N75, P100, N145. Il
complesso P100 viene generato da una parte precisa della corteccia cerebrale
sinistra, quando il paziente chiude l’occhio destro,o da una parte della corteccia
cerebrale destra, quando il paziente chiude l’occhio sinistro. I valori di latenza 75
e 145 sono valori medi.

80
La presenza di alterazioni nelle vie conduttive si può evidenziare se:

1) si verifica una latenza prolungata nel complesso P100;


2) si riscontra una differenza importante del complesso P100 tra occhio sinistro e occhio destro;
3) non è presente il complesso P100;

Tipicamente, la massima latenza accettata per il complesso P100 è di 115ms, mentre la massima differenza
accettabile tra i complessi P100 dei due occhi e di circa 15ms.

Potenziali evocati somato-sensoriali

Per analizzare potenziali i evocati somato- sensoriali vengono impiegati degli stimoli di tipo elettrico, con
frequenza di stimolazione dell’ordine di qualche Hertz. La banda del segnale di interesse va da 100Hz a
1500Hz.

Ad esempio, è possibile studiare la velocità di conduzione sensoriale lungo il nervo mediano nella mano.Le
fibre nervose della mano vanno dalla periferia verso il centro. Per studiare un determinato percorso, è
possibile stimolarlo in modo da seguire la direzione fisiologica delle fibre nervose (valutazione orto-
dromica) oppure la direzione opposta a quella fisiologica (valutazione anti-dromica). Dal dito anulare si
dipartono fibre sensitive che entrano a far parte sia del nervo mediano sia del nervo ulnare. Si pone un
elettrodo attivo in corrispondenza della prima falange dell’anulare e un elettrodo di riferimento in
corrispondenza della terza. Si inviano degli impulsi di ampiezza tale da stimolare sono i nervi sensitivi e non
quelli motori. Dopo aver prelevato la differenza di potenziale di interesse (dovuta alla depolarizzazione
delle fibre nervose) e determinato il tempo di latenza, si procede a calcolare la velocità di conduzione.

LAMPADE SCIALITICHE

Le lampade scialitiche sono apparecchi di tipo elettromedicale; anche se non vengono strettamente a
contatto con il paziente sono molto importanti poiché, illuminando adeguatamente il tavolo operatorio o la
cute del paziente, permettono al medico di portare avanti l’atto chirurgico o diagnostico in condizioni di
buona visibilità.

Una lampada per uso chirurgico deve presentare un certo numero di caratteristiche.

o Durante il suo funzionamento, la lampadadeve trasmettere poco calore al collo ed alla testa degli
operatori. Nel caso dell’atto chirurgico, la lampada è collocata sopra il paziente sdraiato sul tavolo
operatorio, cosicché la testa ed il collo degli operatori “catturano” la maggior parte del fascio
luminoso emesso: se la lampada producesse troppo calore, diminuirebbe il confort del chirurgo.
o L’emissione di raggi UV da parte della lampada deve essere contenuta. La radiazione UV non viene
percepita direttamente, mi si possono verificare episodi di affaticamento visivo ed offuscamento a

81
causa della radiazione riflessa. Le radiazioni elettromagnetiche con lunghezza d’onda inferiore a
200nm presentano un’energia sufficiente a rompere i legami di tipo covalente, interagendo con i
tessuti biologici.
o La lampada deve presentare un basso irraggiamento nella banda dell’infrarosso. I raggi infrarossi
possono causare riscaldamento termico sufficiente a disidratare i tessuti o a sottoporli a shock
termico.
o Le lampade devono causare una bassa formazione di ombre. Il principale scopo delle lampade
scialitiche è proprio quello di dissolvere le eventuali ombre presenti, facilitando la visione da parte
dell’operatore anche dell’interno di cavità profonde.
o Le lampade ad uso chirurgico devono avere una scarsa variazione delle caratteristiche ottiche e
dell’intensità luminosa.

Quando si parla di luce bianca, si fa riferimento ad una radiazione luminosa generata dalla sovrapposizione
di componenti nello spettro del visibile, che vanno dal rosso al violetto. Per misurare il calore generato da
una luce bianca, si utilizza la temperatura di calore. Nel caso di lampade impiegate ad uso chirurgico, la
temperatura di calore deve essere tale da permettere al chirurgo di valutare al meglio la colorazione dei
tessuti con i quali opera; i colori che il chirurgo deve poter distinguere vanno dal giallo al rosso e la
temperatura di calore necessaria va da 4000K a 4200K.

La lampada per uso chirurgico è un dispositivo particolarmente critico in quanto si trova all’interno dello
spazio paziente.

In una sala operatoria, al fine di garantire la presenza di un ambiente sterile, viene impiegato un sistema di
ricambio dell’aria. Questo sistema prevede l’insufflaggio nella sala operatoria di aria filtrata, priva di batteri
ed impurità. Il paziente sul tavolo operatorio viene castamente investito da un getto di aria filtrata che
procede dall’alto verso il basso, dove sono collocate apposite bocchette d’aspirazione. La lampada scialitica
è collocata sopra il paziente, dove viene insufflata l’aria filtrata. E’ importante che la lampada non
determini la formazione di vortici nel momento in cui viene investita dal getto d’aria, in quanto la
generazione di detti vortici potrebbe determinare il trasporto di batteri e particelle di polvere sul paziente.

Le lampade scialitiche sono presenti in diverse tipologie, che si differenziano essenzialmente per il criterio
seguito al fine di garantire la scialiticità, ovvero la riduzione al minimo delle ombre generate. Tutte le
lampade scialitiche funzionano utilizzando un certo numero di fasci luminosi, che convergono da diverse
direzioni nel punto da illuminare; in questo modo, se uno dei fasci luminosi dovesse essere interrotto, la
zona d’ombra che dovrebbe venirsi a creare è invece illuminata dagli altri fasci, ininterrotti. Maggiore è il
numero di fasci più elevato sarà l’effetto di scialiticità prodotto dalla lampada.

Lampada scialitica multifaro

Le lampade scialitiche multifaro sono costituiti da un certo numero di fari a


parabola distribuiti su una corona circolare ed al centro. Il numero dei fari
dipende dalla tipologia del dispositivo: è possibile trovare lampadescialitiche
costituite da un faro centrale, circondato da altri cinque disposti a formare un
pentagono, ma esistono anche lampade costituite da fino a 13 fari.

82
Ognuno dei fari comprende una lampadina, una parabola ed un filtro. L’elemento luminoso è collocato al
centro della parabola, in corrispondenza del suo fuoco, in modo da poter considerare la sorgente di luce
puntiforme. La parte finale della parabola è chiusa da un filtro simile ad un vetro.
La lampadina genera calore sottoforma di radiazione infrarossa. Il filtro permette di riflettere la radiazione
emessa in modo tale che essa sia culminata all’interno della parabola,in modo tale che il fascio luminoso
che abbandona la lampada scaldi molto poco.
I filtri impiegati nelle lampade scialitiche sono detti filtri atermici, in quanto limitano l’eccessivo
riscaldamento prodotto da radiazioni nella frequenza degli infrarossi.

A seconda di come la lampada è stata realizzata, è possibile modificare la posizione dei fari intorno a quello
centrale, variando in tal modo la dimensione della zona illuminata dal dispositivo.

Le lampade scialitiche multifaro possono avere un diametro fino a 85cm e possono quindi intercettare
buona parte del flusso d’aria filtrata insufflata nella sala operatoria. Per ridurre questo fenomeno viene
impiegata una struttura a croce, che permette di non avere una grande sezione interposta tra il paziente e
le bocchette di ingresso dell’aria.

Ogni sorgente luminosa di una lampada scialitica emette un fascio costituito da varie componenti nello
spettro visibile, ciascuna delle quali è caratterizzata da una specifica lunghezza d’onda. Per ogni lunghezza
d’onda si possono individuare una potenza trasmessa ed una potenza assorbita. In genere si suppone che la
potenza trasmessa sia uguale per tutte le lunghezze d’onda che costituiscono il fascio. Si definisce
coefficiente di trasmissione il valore datodal rapporto tra la potenza assorbita e la potenza trasmessa in
riferimento ad una determinata lunghezza d’onda. I diversi filtri si caratterizzano per il valore del
coefficiente di trasmissione. I filtri atermici impiegati nelle lampade scialitiche, al fine di ridurre il calore
generato, presentano un coefficiente di trasmissione molto elevato nella banda del visibile (80-85%) e
molto basso nella banda degli infrarossi.

Per risolvere il problema del calore generato si può adottare la tecnica


dello specchio freddo: si riveste internamente ciascuna parabola con un
materiale che sia in grado di riflettere unicamente le lunghezze d’onda
nel visibile. Le lunghezze d’onda nella banda degli infrarossi restano così
“intrappolate” nella parabola che, riscaldandosi, dissipa energia termica
nell’ambiente circostante. Mediante la tecnica dello specchio freddo si
riesce ad ottenere un coefficiente di trasmissione per le radiazioni nel
visibile prossimo al 100%. Generalmente nelle lampade scialitiche i filtri atermici vengono impiegati per
massimizzare l’effetto prodotto dalla tecnica dello specchio freddo.

Al fine di limitare l’emissione di radiazione ultravioletta, viene impiegato anche un filtro ottico passa-banda,
che non impedisce il passaggio delle radiazioni nella banda del visibile ma blocca la banda della radiazione
infrarossa e ultravioletta.

Lampade scialitiche monofaro con riflettore a parabola

In questa tipologia di dispositivi, la luce emessa dal faro viene scomposta dalla
parabola in infinitesime sorgenti luminose distribuite lungo la parabola stessa, in
83
modo da garantire l’effetto di scialiticità. L’unico faro emette una potenza ottica considerevole (circa
250W) generando un quantitativo di calore maggiore rispetto alle sorgenti luminose delle lampade
multifaro.

Lampade scialitiche monofaro a microprismi

In queste lampade, la luce prodotta dal singolo faro viene intercettata da una
corona di microprismi che, fungendo da sorgenti puntiformi, la riflettono
perpendicolarmente al piano della lampada stessa, assicurando in tal modo
l’effetto di scialiticità. In dispositivi di questo genere non è necessaria
l’operazione di focalizzazione del fascio luminoso. I microprismi sono costruiti
in maniera tale da orientare verso il paziente le sole radiazioni nella banda del
visibile. Le radiazioni infrarosse vengono trattenute all’interno della parabola
che, riscaldandosi, dissipa calore nell’ambiente circostante.

Lampade scialitiche monofaro a riflettori piani

In questa tipologia di lampade, la luce emessa dal monofaro viene scomposta per mezzo di una corona di
specchi piani (200-300), determinando l’effetto di scialiticità desiderato. Contrariamente a quanto accade
per le lampade scialitiche a microprismi, i fasci luminosi generati dalla corona di specchi piani non sono ben
definiti, rendendo necessaria un’operazione di focalizzazione.

Classificazione delle lampade scialitiche

Una lampada scialitica può essere classificata mediante una delle seguenti categorie.

Lampada scialitica principale per chirurgia: è una lampada singola all’interno dello spazio paziente ed è
sicura a prova di guasto, cioè assicura una adeguata illuminazione anche in condizione di primo guasto. La
luce prodotta è pertinente a fini sia diagnostici sia terapeutici.
Lampada scialitica secondaria per chirurgia: differisce da quella precedente in quanto non è sicura a prova
di guasto. Sono impiegabili nel caso in cui l’interruzione della diagnosi o del trattamento dovuto all’assenza
di illuminazione adeguata non comporti danni al paziente.

Lampada scialitica per diagnosi: sono lampade non utilizzabili in sala operatoria e adatte solo per fini
diagnostici. Non sono necessariamente a prova di guasto.

Sistemi di lampade scialitiche per chirurgia: si tratta di una combinazione di lampade scialitiche, sicure a
prova di guasto, impiegate in chirurgia per illuminare localmente il corpo del paziente. E’ destinata a render
possibili sia la diagnosi sia il trattamento.
84
Guasti nelle lampade scialitiche

Nell’impiego di una lampada scialitica, le principali forme di guasto che si possono individuare sono due:
danneggiamento della lampadina e mancanza di corrente di alimentazione. Se la lampada scialitica
principale per chirurgia è una lampada multifaro, in condizioni di guasto di una lampadina, l’illuminazione
delle restanti lampadine deve essere tale da garantire una visibilità sufficiente. Se, invece, si impiega una
lampada monofaro a specchio o a microprismi, è necessario disporre di due sorgenti luminose, in modo che
nel caso se ne guasti una subentri l’altra.

La lampada scialitica principale per chirurgia deve essere in grado di funzionare per un certo periodo di
tempo anche se non dovesse più essere alimentata dalla rete elettrica, sfruttando un accumulatore oppure
venendo collegata ad un sistema di illuminazione di sicurezza.

Imposizioni normative per le lampade scialitiche

Le indicazioni circa le specifiche tecniche che le lampade scialitiche sono tenute a soddisfare sono
contenute all’interno della norma particolare per lampade scialitiche CEI 60601-2-41.

Si tratta di dispositivi medici di classe , quindi la dichiarazione di conformità viene redatta dallo stesso
fabbricante.

La norma impone che l’illuminazione ottenibile sul campo operatorio abbia valori compresi tra 40 w—Ë e
160 w—Ë. Tale imposizione non vale per le lampade scialitiche per diagnosi.

La norma impone che, in condizioni di primo guasto, la lampada scialitica principale per chirurgia mantenga
un illuminazione superiore a 40klux. Tale imposizione non vale per le lampade scialitiche per diagnosi.

La norma impone che l’irradiazione UV emessa (Ð < 200m ) sia inferiore a 10-/ %
, in modo che non si
generi una interazione con i tessuti biologici.

L’illuminazione del campo operatorio non deve terminare in modo netto, ma deve esserci una graduale
diminuzione che si protende dal centro verso le zone periferiche, in modo da non indurre affaticamento
visivo nell’operatore.

Il fascio luminoso deve garantire una buona visibilità anche nelle cavità profonde e l’illuminazione deve
essere sufficiente anche nell’eventualità che il fascio venga parzialmente intercettato (vi sono apposite
maschere schermanti previste dalla norma).

L’indice del colore varia da 0 a 100. Un basso indice di colore indica che la sorgente luminosa in questione
non permette di avere una buona percezione del colore. Per le lampade scialitiche impiegate in chirurgia,
l’indice di colore deve essere compreso nella fascia 85-100.

La norma impone che la temperatura di calore per lampade scialitiche sia compresa tra 3000K e 6700K.

E’ necessario che vi sia un riscaldamento scarso del campo operatorio: se si considera una distanza media
tra sorgente luminosa e campo operatorio pari ad un metro, la densità di potenza termica totale deve

85
essere inferiore a 1000-/ %
e il rapporto tra la densità termica irradiata e l’energia luminosa deve essere
inferiore a 6-/&w—Ë ∙ % '.

Le prove di illuminazione per le lampade scialitiche

Le lampade devono essere sottoposte ad una manutenzione preventiva, che consiste dell’individuare un set
minimo di misure che devono essere effettuate al fine di garantire il corretto funzionamento della lampada.
Le prove specifiche di illuminazione sono elencate di seguito.

Illuminazione al centro del campo luminoso (LFC). Lo scopo della prova è quello di determinare l’intensità
dell’illuminazione in corrispondenza del punto che dovrebbe essere più luminoso. Supponendo che la zona
illuminata abbia la forma di un cerchio, se ci si sposta lungo il diametro si osserva che l’intensità luminosa
ha una distribuzione a campana. Il valore massimo di illuminazione si raggiunge in corrispondenza del
centro del cerchio. Per determinare l’intensità dell’illuminazione in corrispondenza del punto più luminoso
si procede nel seguente modo: si pone un luxmetro (strumento di misura dell’intensità luminosa, munito di
un rivelatore circolare con diametro di 10-20mm) su un piano parallelo al piano della lampada ed in
corrispondenza dell’asse ottico della stessa, accertandosi che la distanza tra la superficie superiore dello
strumento di misura e la sorgente luminosa sia pari ad un metro; si accende la lampada scialitiche per un
tempo sufficiente a mandare a regime la sorgente luminosa; ci si assicura che l’indicazione fornita dallo
strumento sia compresa tra 40klux e 160klux.

Diametro del campo luminoso. Si individuano i diametri della zona illuminata in modo tale, nelle zone più
esterne, l’illuminazione sia pari o al 10% dell’intensità massima (d10) o al 50% dell’intensità massima (d50).
Poiché non è detto che il fascio sia proprio circolare, si misurano almeno quattro diametri. L’indicazione
ricercata sarà data dalla media delle misure effettuate.

Illuminazione restante con una maschera. Si pone un luxmetro su un piano parallelo al piano della lampada,
in corrispondenza dell’asse ottico della stessa, in modo tale che la distanza tra la superficie superiore dello
strumento e la sorgente luminosa sia un metro. Ad una distanza di 60cm dalla superficie superiore del
luxmetro viene posizionata una maschera nera circolare con diametro di 210mm, in modo che l’asse ottico
della lampada passi per il centro della maschera stessa. Si accende la lampada, lasciando alla sorgente
luminosa il tempo di arrivare a regime. La maschera è collocata in maniera tale da intercettare una parte
della luce emessa. A questo punto si legge l’indicazione del luxmetro e si calcola la percentuale rispetto
all’illuminazione in corrispondenza del punto più luminoso (LFC).

Illuminazione restante con due maschere non coassiali. Rispetto alla prova precedente, la differenza
consiste nell’impiego di due maschere nere circolari da 210mm, il centro di ciascuna delle quali viene
collocato a 13cm dall’asse ottico della lampada. Poiché non è detto che il fascio sia simmetrico, si
effettuano quattro differenti misure dell’illuminazione restante, considerando quattro diverse posizioni
delle maschere ottenute mediante spostamenti di 45°.

Illuminazione restante con il cilindro. E’ una prova che serve a valutare l’illuminazione all’interno di una
cavità. Il cilindro impiegato per la prova deve avere un diametro interno di 50mm e la sua superficie interna
deve presentare sporgenze di 50 micro-metri con una distanza di 600 micro-metri l’una dall’altra. Il
luxmetro viene posto all’interno del cilindro, ad una distanza di 75mm dal bordo superiore. Il luxmetro deve
trovarsi, inoltre, su un piano parallelo al piano della lampada, distante 1m dalla sorgente luminosa, ed in

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corrispondenza del suo asse ottico. L’illuminazione restante viene calcolata come percentuale
dell’illuminazione nel punto più luminoso.

Illuminazione restante con cilindro e con una maschera.

Illuminazione restante con cilindro e due maschere.

Profondità di illuminazione. Avvicinando il luxmetro alla sorgente luminosa, si osserva che la luminosità nel
punto più luminoso diminuisce, giacché diminuisce il numero di raggi convergenti intercettati dal rilevatore.
Una volta portato lo strumento di misura a circa un metro dalla superficie di illuminazione della lampada, si
effettuano due misure della distanza intercorsa tra il punto con illuminazione massima e due punti in cui
l’illuminazione è il 20% di quella massima. La profondità di illuminazione è data dalla somma delle due
misure effettuate. Maggiore è la profondità di illuminazione, minore sarà la necessità di correggere la
focalizzazione del fascio luminose ogniqualvolta si sposta il paziente.

Temperatura di calore alla massima intensità di illuminazione.La temperatura di calore è un parametro che
varia nel tempo, giacché se varia la luminosità della lampadina varia la temperatura del filamento, nel caso
di lampada ad incandescenza, oppure varia la caratteristica della scarica in un gas, se la lampadina è a
scarica. La prova sulla temperatura di calore può essere evitata se si effettua con scrupolo la prova
dell’intensità luminosa nel punto più luminoso, regolando l’entità della luce emessa e di conseguenza anche
la stessa temperatura di calore.

Densità di potenza sulla superficie illuminata in corrispondenza della banda ad infrarossi.

Resistenza del conduttore di terra e correnti di dispersione. In ordine di importanza, la prima prova da
effettuare al fine di garantire la sicurezza del paziente è quella
relativa alle correnti di dispersione. Quando l’operatore entra in
contatto contemporaneamente sia con la lampada scialitica sia
con il paziente, può fungere da ponte per le correnti di
dispersione, che dall’apparecchio giungono così al paziente
stesso.
Il rischio corrispondente ad un determinato evento si determina
sulla base di due fattori: la probabilità che tale evento si verifichi
e i danni che potrebbe eventualmente arrecare. Le correnti di
dispersione aventi un valore nell’ordine delle centinaia di micro-ampere possono determinare anche la
morte del paziente. L’intensità di tali correnti tende ad aumentare nel tempo, a causa di un deterioramento
progressivo delle strutture isolanti. Quindi, la probabilità di avere correnti di dispersioni elevate e che
l’operatore funga da ponte capacitivo tra paziente e lampada sono entrambe molto elevate.

Vi sono poi delle prove che, seppur non citate dalla norma, è necessario effettuare per assicurare il corretto
funzionamento della lampade principali per chirurgia. Ad esempio verificare il corretto funzionamento degli
accumulatori (per essere certi del funzionamento dell’apparecchio anche in caso di assenza di
alimentazione) e della lampada di emergenza. Quando entra in funzione la lampada di emergenza è
necessario che si attivi una spia di colore rosso, per comunicare all’operatore la presenza di una condizione
di guasto della prima lampada.

Altre prescrizioni riportate nella normativa sono riportate qui di seguito.

87
1. La sostituzione della lampadina richiede l’impiego di un apposito utensile ed, eventualmente, della
rimozione del filtro ottico.
2. Il flusso luminoso non deve variare più del 20% nel corso di una singola operazione.
3. La presenza di un guasto deve essere identificabile dall’operatore senza dover aprire la lampada
(spia rossa di segnalazione).
4. La manutenzione della lampada senza l’impiego di utensili non deve compromettere la sicurezza
del dispositivo.
5. Le lampadine devono assicurare stabilità.

TAVOLI OPERATORI E TRASPORTATORI

Il tavolo operatorioè quel supporto su cui viene posizionato il paziente che deve essere sottoposto ad
operazione medica o chirurgica. Può essere fisso oppure mobile (dotato di rotelle) e vi possono individuare
due parti eventualmente separate: la base e la parte superiore, propriamente detta tavolo operatorio.

Il trasportatore è un dispositivo atto al trasporto della parte superiore del tavolo operatorio (con o senza
paziente).

Anche se a volte non sono dotati di alimentazione elettrica, i tavoli


operatori vengono comunque considerati apparecchi elettromedicali in
quanto, formando un accoppiamento capacitivo con il paziente, possono
modificare il funzionamento di eventuali altri apparecchi collegati allo
stesso.

88
La norma CEI EN 60601-246 rappresenta il riferimento legislativo per tavoli operatori.

Nonostante si tratti di una massa metallica, non vi è alcuna imposizione di collegare il tavolo operatorio al
nodo equipotenziale (sebbene sia meglio farlo, da un punto di vista della sicurezza del paziente).

Le prove da effettuarsi in modo da garantire la sicurezza meccanica di un tavolo operatorio comprendono:

1) prove di resistenza meccanica: non si devono verificare cedimenti o deformazioni quando si applica
un carico pari a 2,2 volte il carico di lavoro sicuro, corrispondente a circa 120kg;
2) prove sulle parti in movimento: qualunque sorgente di potenza in grado di produrre movimento del
tavolo operatorio deve poter essere raggiunta mediante un mezzo accessibile anche in condizioni di
primo guasto;
3) prove di stabilità eseguite con tavolo accessoriato e caricato;
4) prove di interruzione dell’alimentazione: altezza e configurazione della parte superiore del tavolo
non devono cambiare anche in caso di alimentazione interrotta. Deve essere sempre possibile
riportare il tavolo in posizione normale;
5) prove di eventuale tracimazione e versamento di liquidi.

Per quanto concerne invece la sicurezza elettrica gli aspetti cruciali sono rappresentati da:

equalizzazione del potenziale;


correnti di dispersione: i tavoli operatori con parte applicata di tipo B devono avere correnti di
dispersione inferiori o uguali a 10μA in condizioni normali ed inferiori o uguali a 50μA in
condizioni di primo guasto;
compatibilità elettromagnetica;
ustione da elettrobisturi dovute alle caratteristiche del tavolo operatorio;
antistaticità;

ELETTROBISTURI

L’elettrobisturi è un apparecchio elettromedicale impiegato in sala operatoria per ovviare ai problemi di


fuoriuscita di sangue in seguito alla recisione di vasi sanguigni e capillari. Esso permette, a seconda del suo
utilizzo, un’azione di taglio o di coagulo sul paziente operato.

L’elettrobisturi sfrutta delle correnti a radio-frequenza, che aumentano considerevolmente la temperatura


dei tessuti attraversati senza rischiare di stimolare i tessuti eccitabili.

L'effetto termico della corrente su un tessuto può portare a differenti trasformazioni delle cellule
costituentiin virtù della temperatura raggiunta. Se questa è inferiore ai 100 °C, si produce l'evaporazione
dell'acqua contenuta nelle cellule, determinando il blocco della fuoriuscita del sangue; se la temperatura è
superiore ai 100 °C, si ottiene la distruzione della cellula e quindi il taglio del tessuto; se la temperatura è
molto superiore ai 100 °C, si ottiene la carbonizzazione del tessuto.

89
Dall’elettrobisturi partono due elettrodi: l’elettrodo dispersivo (piastra dispersiva) posizionato sul paziente e
l’elettrodo attivoche, opportunamente sagomato, è maneggiato dal chirurgo.

La corrente a radio-frequenza viene prodotta da un apposito


generatore e poi iniettata nel tessuto per mezzo dell’elettrodo attivo. Il
punto di contatto tra l’elettrodo attivo e la cute è molto piccolo, in
modo da determinare una densità di corrente elevatissima e, quindi, un
notevole aumento della temperatura nei tessuti di interesse. Per mezzo
della piastra dispersiva, avente una superficie di contatto con il
paziente dell’ordine delle centinaia di centimetri quadri, la corrente
viene poi riportata al generatore.

L’elettrobisturi presenta una modalità di funzionamento, definita monopolare, in cui, a seconda della forma
dell’elettrodo attivo e della velocità con cui questo viene spostato sui tessuti d’interesse, è possibile
ottenere effetti diversi quali taglio, coagulazione o ancora taglio e coagulazione insieme. Tuttavia, a causa
del grande volume dei tessuti interessati dal passaggio di corrente, si rischia di avere effetti indesiderati
anche in zone distanti dal punto di iniezione della corrente.

Impiegando la modalità di funzionamentobipolare, in cui elettrodo attivo e dispersivo fanno parte dello
stesso strumento, si riduce notevolmente il volume di tessuti interessati dal passaggio di corrente e, con
esso, anche la probabilità che si verifichino effetti indesiderati.

La corrente a radio-frequenza di solito presenta una componente fondamentale compresa tra 500kHz e
5MHz.

Per ottenere l’effetto di puro taglio viene impiegata una forma d’onda sinusoidale ad elevata ampiezza, che
viene mantenuta fino a quando non si è raggiunto l’effetto desiderato.

Il fenomeno dell’aumento di temperatura riguarda anche i tessuti che sono posti a contatto con l’elettrodo
dispersivo. In questo caso le temperature raggiunte non sono elevate come quelle in corrispondenza
dell’elettrodo attivo, ma è necessario prestarvi attenzione. Infatti, già a temperature di 40-50°C può
verificarsi una necrosi dei tessuti posti al di sotto della piastra dispersiva. Per evitare di ustionare i tessuti
presenti sotto l’elettrodo dispersivo, si cerca di impiegare l’elettrobisturi per un periodo di tempo limitato,
consentendo in questo modo ai tessuti a rischio di potersi raffreddare prima di riprendere a riutilizzare
l’apparecchio.

Modificando la forma d’onda della corrente a radio-frequenza, si può fare in modo di avere dei cicli di
sinusoidi ad ampiezza elevata,per quando l’elettrobisturi è attivo, alternati a periodi in cui non vi sono
forme d’onda, per quando lo strumento non è attivo.Le forme d’onda adottate presentano un duty-cicle del
6% quando l’elettrobisturi è attivo; in questo modo si ottiene una temperatura istantanea molto elevata,
utile per avere un effetto di coagulazione immediata ma non per tagliare i tessuti. L’effetto di taglio, infatti,
richiede potenze e temperature medie sufficientemente alte.

Vi sono poi delle forme d’onda intermedie, denominate blend, che permettono di avere un effetto
combinato di taglio e di coagulazione. La forma d’onda blend 1 impiega cicli sinusoidali con ampiezza di
picco molto elevata, aventi duty - cicle del 56%, alternati con periodi in cui allo stadio di uscita non vi è
alcuna forma d’onda. Le forma d’onda blend 2 e blend 3 presentano cicli sinusoidali con valori di picco
maggiori e duty-cicle rispettivamente del 40% e del 25%, alternati a periodi di assenza di forme d’onda in

90
uscita. Ma mano che il duty-cicle delle forme d’onde adottate diminuisce, l’effetto prodotto
dall’elettrobisturi si avvicina a quello della sola coagulazione senza taglio dei tessuti.

L’effetto del riscaldamento dipende dalla velocità con cui viene prodotto calore: se il calore viene prodotto
rapidamente si ottiene un’evaporazione dei liquidi nel tessuto, ottenendo un effetto di taglio puro; se il
calore viene prodotto lentamente, con temperatura istantanea elevata ma temperatura media bassa, si
determina l’effetto di coagulazione.

La comparsa di ustioni in zone non desiderata è dovuto al fatto che, a causa della presenza di
accoppiamenti capacitivi, la corrente a radio-frequenza può alle volte seguire un percorso diverso da quello
che congiunge l’elettrodo attivo a quello dispersivo. I percorsi alternativi dovuti agli accoppiamenti
capacitivi sono più numerosi quando si impiega l’elettrobisturi per la semplice coagulazione piuttosto ché
per il taglio puro. La comparsa di ustioni dovute ad elettrobisturi è un fenomeno molto frequente.

Se si munisce l’elettrobisturi di un utensile da taglio, che presenta alla sua estremità un elettrodo attivo di
forma appuntita, è possibile iniettare la corrente nella cute senza che vi sia contatto tra l’elettrodo e la cute
stessa: poiché la rigidità dielettrica dell’aria secca è pari a 3kV/mm, si può generare un arco elettrico tra la
punta dell’elettrodo e la cute. Affinché ciò sia possibile è necessario operare con tensioni di almeno 500V,
mantenendo la punta dell’elettrodo a non più di 0,5mm dalla cute. In questo modo, grazie all’elevato calore
sviluppato nel punto di ingresso della corrente, si può ottenere l’effetto di taglio dei tessuti insieme alla
coagulazione di piccoli vasi (dell’ordine di qualche micro-metro).

Esiste una particolare forma d’onda, denominata spray, che sfrutta tensioni di 10000-12000V per
consentire la creazione dell’arco elettrico anche quando tra l’elettrodo attivo e la cute vi sono distanze di 5-
10mm; l’arco elettrico segue un percorso casuale, dipendente dallo stato di ionizzazione del gas interposto
tra elettrodo e cute, permettendo di copriresuperfici dell’ordine dei centimetri quadri e di ottenere un
effetto di coagulazione ampia.

Volendo riassumere i principali aspetti che possono portare a differenti effetti quando si utilizza un
elettrobisturi, sicuramente vanno citati:

• il tipo di forma d’onda fornito allo stadio di ingresso dell’apparecchio;


• il valore impostato della potenza in uscita;
• l’estensione della superficie di contatto dell’elettrodo attivo;
• la modalità di utilizzo dell’elettrodo attivo;
• il tempo di attivazione dell’elettrobisturi;
• il tipo di tessuto;
• accumulo di tessuto carbonizzato sulla punta dell’elettrodo attivo (che determina un aumento della
resistenza elettrica).

Pericoli associati all’uso dell’elettrobisturi

91
Nel corso degli anni, l’evoluzione della maggior parte degli apparecchi elettromedicali è stata pilotata dalla
comparsa di nuove tecnologie; l’evoluzione dell’elettrobisturi, invece, è stata legata alla necessità di
risolvere i problemi legati al suo stesso utilizzo.

L’elettrobisturi si costituisce di un generatore di corrente a radio-frequenza munito di due morsetti, cui


vengono collegati rispettivamente l’elettrodo attivo e l’elettrodo dispersivo: sia il generatore, sia l’elettrodo
dispersivo sono collegati direttamente alla terra di riferimento (stadio riferito a terra).

In un elettrobisturi è necessario che tra l’elettrodo attivo e la terra di riferimento si venga a creare una
differenza di potenziale sufficientemente elevata; il generatore di corrente a radio-frequenza produce una
tensione bassa, intorno ai 10-12V, che non è sufficiente a pilotare l’elettrodo attivo. Per questo motivo
viene impiegato un trasformatore induttivo elevatore, caratterizzato dal fatto che il circuito primario (di cui
fa parte anche il generatore di corrente a radio-frequenza) presenta un induttore con un numero di spire
inferiore a quello presente nel circuito secondario: in tal modo, la tensione ai capi del circuito secondario
risulta pari alla tensione ai capi del primario moltiplicata per il rapporto tra le spire dell’induttore presente
nel circuito secondario ({% ) e il numero di spire di quello presente nel circuito primario ({U ), ovvero:

{%
=
% U
{U

Ad uno dei morsetti del circuito secondario è collegato


l’elettrodo attivo, mentre all’altro è connesso
l’elettrodo dispersivo, riferito a terra. Tra i due
elettrodi è presente un’impedenza che tiene conto dei
tessuti che separano tra loro i due elettrodi.Il
trasformatore induttivo elevatore rappresenta lo
stadio di uscita dell’elettrobisturi(riferito a terra).

Il generatore produce corrente a radio-frequenza a qualche centinaio di chilo-hertz o al massimo a qualche


mega-hertz. Queste frequenze sono sicure, giacché sono tali da non stimolare i tessuti eccitabili. Il
generatore viene alimentato a sua volta dalla rete elettrica, che distribuisce energia sottoforma di corrente
alternata sinusoidale alla frequenza di 50Hz. Il trasformatore induttivo elevatore presenta una funzione di
trasferimento del tipo passa – banda, in modo che il trasformatore entri in funzione solo quando al circuito
primario viene fornita energia ad una particolare banda di frequenza: se le componenti frequenziali sono o
troppo alte o troppo basse, allora il trasformatore non permette il trasferimento di energia dal circuito
primario al circuito secondario. Il trasformatore induttivo elevatore viene progettato per lavorare a
frequenze elevate e quindi, in condizione di normale funzionamento, la componente a 50Hz non viene
trasferita al circuito secondario.

In condizioni di primo guasto, quando viene a mancare l’isolamento tra i circuiti primario e secondario, la
componente di frequenza a 50Hz può essere riportata sul paziente tramite gli elettrodi. La condizione più
pericolosa si verifica quando tale componente di frequenza è riportata sul paziente tramite l’elettrodo
attivo, che presenta una piccola superficie di contatto e che, nel corso di un’operazione, potrebbe anche
trovarsi all’interno del corpo. Se l’elettrodo attivo si trova in prossimità del muscolo cardiaco, nelle
condizioni descritte il rischio di indurre nel paziente microshock o fibrillazione ventricolare è assai elevato.

Durante l’intervento chirurgico il paziente viene collegato a diversi apparecchi elettromedicali. Da questi
apparecchi potrebbe disperdersi una corrente ‰Œ!C > 50 (accettabile dal punto di vista della

92
prevenzione del microshock) ma,fintanto che il paziente è collegato a terra, e non si impiega l’elettrobisturi,
ci si trova in condizioni di sicurezza. Quando, però, si riferisce a terra il paziente attraverso lo stadio di
uscita dell’elettrobisturi (circuito secondario),si vengono a formare due percorsi chiusi tramite i quali le
correnti di dispersione possono richiudersi a terra: uno comprendente l’elettrodo attivo ed uno
comprendente l’elettrodo dispersivo.
Nel secondo caso non vi sono particolari rischi, in quanto l’elevata superficie di contatto tra piastra
dispersiva e cute fa in modo che le correnti vengano iniettate nel corpo da più punti, senza che si possa
formare un campo di correnti sufficientemente intenso in prossimità del muscolo cardiaco.
Se, invece, le correnti di dispersione si richiudono a terra attraverso l’elettrodo attivo, il rischio di indurre
microshock nel paziente è molto elevato, specialmente se si sta operando in vicinanza del cuore.

Quindi, per i motivi analizzati, l’elettrobisturi avente il circuito secondario riferito alla terra di protezione
risulta particolarmente pericoloso dal punto di vista del microshock.

Oltre a quelli appena descritti, ci sono altri pericoli minori legati all’impiego di un elettrobisturi, quali ad
esempio il pericolo di ustioni al di sotto dell’elettrodo dispersivo.
Il sangue svolge un’importante azione di termostato, allontanando il calore dalle zone corporee soggette a
riscaldamento; se la quantità di calore prodotta dall’elettrodo dispersivo è superiore a quella che il sangue
riesce ad allontanare in un determinato intervallo di tempo, allora i tessuti si riscaldano. Se tale
riscaldamento viene mantenuto nel tempo, si possono causare necrosi dei tessuti ed ustioni.

Per prevenire questa eventualità, è necessario fare in modo che il calore sviluppato al di sotto
dell’elettrodo dispersivo sia sufficientemente basso e non prolungato nel tempo. E quindi necessario:
operare con la più bassa potenza possibile per ottenere gli effetti desiderati; impiegare elettrodi dispersivi
con superficiesufficientemente estesa (in modo da diminuire l’entità della densità di corrente attraverso
tale elettrodo); applicare l’elettrodo dispersivo in zone sufficientemente vascolarizzate, per consentire il più
possibile l’allontanamento del calore.

Oltre che al di sotto dell’elettrodo dispersivo, l’impiego dell’elettrobisturi può arrecare ustioni anche in
altre parti del corpo, diverse dalla zona operata.La corrente iniettata nel paziente deve poi richiudersi verso
terra ciò può avvenire per mezzo dell’elettrodo dispersivo oppure per altravia. Ad esempio, si possono
verificare ustioni quando l’elettrodo attivo si trova in prossimità di tessuti caratterizzati da una bassa
impedenza verso terra: la corrente tende a seguire questi percorsi a bassa impedenza, causando ustioni
nelle zone del corpo corrispondenti.

Come ridurre il rischio di fibrillazione ventricolare

Per evitare di indurre fibrillazione ventricolare nel paziente, si pongono due condensatori rispettivamente
in serie con l’elettrodo attivo e con l’elettrodo
dispersivo. L’utilità dei condensatori è
rappresentata dal fatto che essi presentano una
reattanza che diminuisce all’aumentare della
frequenza. I condensatori si comportano alla
stregua di circuiti aperti quando si opera a
frequenze basse, mentre sono assimilabili a
cortocircuiti quando si opera a frequenze
93
elevate. Quindi, se i condensatori presentano valori sufficientemente piccoli, impediscono che le correnti di
dispersione a bassa frequenza possano chiudersi verso terra attraverso il paziente. In questo modo, lo
stadio di uscita dell’elettrobisturi risulta isolato rispetto alle basse frequenze (ad esempio 50Hz), riducendo
così il rischio che il paziente incorra in fenomeni di microshock.

Per dimensionare correttamente i condensatori,si può considerare l’impedenza del paziente come un
resistore da 200Ω.
Poiché il compito della capacità è quello di far ricadere parte della tensione dovuta allo stadio di uscita sul
condensatore anziché sul paziente, è lecito supporre una reattanza:

1
Ñ = ≤ 20’
:1

Se consideriamo una frequenza di lavoro dell’elettrobisturi pari ad 1MHz, allora:

1 1 1
1≥ = = = 8m9
:Ñ : ∙ 20 6 ∙ 10ª ∙ 20

Alla frequenza di 50Hz, la reattanza di un condensatore con capacità pari ad 8nF è:

1 1
Ñ = = ≅ 400 ’
:1 3 ∙ 10 ∙ 8 ∙ 10*®
%

Tale condensatore si comporta come un cortocircuito dal punto di vista della frequenza di lavoro
dell’elettrobisturi mentre si comporta da circuito aperto per una frequenza di 50Hz.
Il condensatore in serie con l’elettrodo attivo dell’elettrobisturi presenta una capacità minore rispetto a
quello in serie con l’elettrodo dispersivo. Ciò è dovuto al fatto che l’elettrodo attivo deve garantire un
miglior isolamento dello stadio di uscita dell’apparecchio nei confronti di frequenze prossime ai 50Hz,
essendo il percorso “elettrodo attivo – condensatore – paziente – terra” il più pericoloso da un punto di
vista del microshock.

Il passaggio da uno stadio di uscita riferito a terra ad uno stadio di uscita isolato nei confronti delle basse
frequenze, previene il rischio di microshock ma non garantisce il contenimento del rischio di ustioni.

Come ridurre il rischio di ustioni al di sotto dell’elettrodo dispersivo

Al di sotto dell’elettrodo dispersivo, come si è visto, compaiono delle ustioni nel momento in cui il calore
prodotto in un certo periodo di tempo è maggiore del calore che il sangue riesce ad allontanare dalla zona
corporea in questione.

L’elettrodo dispersivo può essere formato da un foglio di materiale conduttore, ad esempio alluminio,
incollato su una cornice di materiale adesivo conduttivo,che permette di applicarloal paziente. Elettrodi
dispersivi di questo tipo sono definitiresistivi. In altri elettrodi dispersivi, la cornice di materiale adesivo ha
proprietà dielettriche, in modo tale da consentire il passaggio delle radio-frequenze ed impedire quello
delle basse frequenze. Elettrodi dispersivi di questa tipologia vengono detticapacitivi, giacché si viene a
formare un condensatore le cui le armature sono rappresentate rispettivamente dalla cute del paziente e
dalla parte metallica dell’elettrodo.

Si verifica la comparsa di ustioni al di sotto dell’elettrodo dispersivo quando:


94
o esso non è ben posizionato;
o si sceglie una potenza di funzionamento dell’elettrobisturi troppo elevata;
o il tempo di attivazione dell’elettrobisturi è troppo lungo;

Quando l’elettrodo dispersivo si distacca in parte dalla cute del paziente, poiché diminuisce la superficie di
contatto, si viene a determinare un sostanziale aumento della densità di corrente attraverso la porzione di
elettrodo ancora applicata, producendo un maggior quantitativo di calore. Il rischio di ustioni al di sotto
della porzione di elettrodo ancora correttamente applicata è significativo.

Quando l’elettrodo dispersivo comincia a staccarsi dalla cute del paziente, diminuisce la sua superficie di
contatto,con conseguente aumento del modulo dell’impedenza; monitorando il valore dell’impedenza
dell’elettrodo dispersivo ci si può accorgere se questo sta staccandosi dalla cute del paziente.

Misurare l’impedenza dell’elettrodo dispersivo non è semplice. Il suo valore, infatti, dipende dall’intensità
di corrente con la quale si opera, in quanto l’interfaccia elettrodo – cute non è lineare. Per impiegare il
valore dell’impedenza dell’elettrodo dispersivo come verifica che questo sia completamente applicato alla
cute, è necessario adottare una corrente nota ad una frequenza nota. La misura dell’impedenza avviene
durante il funzionamento dell’elettrobisturi.

Per misurare il valore di impedenza può essere adottato un elettrodo split (detto
anchebipartito), costituito da due parti separate tra loro tramite l’interposizione di un
dielettrico. Quando non applicato sulla cute, tra le due parti dell’elettrodo split si misura
un’impedenza infinita. L’impedenza assume un certo valore finito quando il dispositivo
viene attaccato al paziente. Se l’elettrodo comincia a staccarsi dalla cute, l’impedenza
tra le due parti dell’elettrodo bipartito aumenta e può essere misurata (ad una certa
frequenza) anche quando l’elettrobisturi è in funzione.

Se si adotta l’elettrodo bipartito è necessario modificare il circuito di ritorno dell’elettrobisturi aggiungendo


il monitor d’elettrodo: esso si costituisce di un elettrodo bipartito, un generatore di corrente alternata
sinusoidale con frequenza di 20-30Hz e di un comparatore di soglia.

‹ rappresenta la corrente che scorre nell’elettrodo dispersivo bipartito.Il generatore di corrente è


collegato all’elettrodo bipartito ed aisuoi capi è presente una tensione ff = ‹ ∙ | |, dove Z è
l’impedenza vista tra l’elettrodo bipartito e la cute. Quando l’elettrodo si stacca dalla cute, il valore di Z
aumenta e, con esso, anche la tensione rilevata dal comparatore di soglia, che è collegato in parallelo al
generatore.

L’elettrodo bipartito può essere schematizzato nel modo seguente:

95
U ed % rappresentano le resistenze delle due piastre dell’elettrodo bipartito,
mentre è la resistenza dei tessuti interposti tra le due piastre. Nel momento in cui
l’elettrodo si stacca dalla cute, i valori di U ed % aumentano, poiché la superficie
di contatto dell’elettrodo diminuisce. In genere aumenta anche , in quanto il
volume di tessuti interessati dal passaggio di corrente si riduce.

Tenendo conto dell’impedenza paziente edelle resistenze rappresentanti le due piastre dell’elettrodo
bipartito, il monitor d’elettrodo si può rappresentare come segue:

La corrente ‹ scorre nella maglia comprendente U e % per poi richiudersi attraverso lo stesso
generatore, ai cui capi cade una tensione = ‹ & U + % '. In parallelo al generatore di corrente è
connesso il comparatore di soglia, ai cui morsetti è presente proprio la tensione .

Il comparatore di soglia è un elemento circuitale non lineare che presenta un’uscita digitale a due stati: uno
stato indica che la tensione in ingresso è superiore al valore di soglia, mentre l’altro indica che la tensione è
al di sotto di tale valore.Il comparatore di soglia ha un trans-caratteristica del tipo in figura.

La tensione in uscita dal comparatore di soglia può assumere soltanto due valori possibili: + RR o – RR . In
particolare, quando la tensione in ingresso ha un valore Œr > #ÓU , la tensione in uscita assume come
valore + RR .
Affinché in uscita si ottenga come valore− RR è necessario che la tensione di ingressoscenda almeno fino al
valore #Ó% ; in questo modo si evitano commutazioni continue nel caso in cui la tensione di ingresso sia
prossima ad uno dei due valori di soglia. In conclusione, se Œr > #ÓU allora Šˆ = + RR , a meno che non
sia Œr < #Ó% . La differenza tra #ÓU e #Ó% è detta isteresi.

Nel momento in cui tra i morsetti del comparatore assume un valore maggiore alla tensione di soglia
(l’elettrodo si è parzialmente staccato dalla cute), l’allarme collegato in serie al comparatore di soglia
comincia a suonare; l’elettrobisturi emette un segnale d’allarme sia sonoro sia luminoso ed interrompe
l’erogazione di corrente a radio-frequenza.

Consideriamo ora l’insieme del monitor del’elettrodo e dello stadio d’uscita dell’elettrobisturi.

96
Al morsetto superiore del circuito secondario sono collegatil’elettrodo attivo e laresistenza paziente,
mentre al morsetto inferiore sono connessi l’elettrodo dispersivo ed il monitor d’elettrodo.
In queste condizioni, l’elettrobisturi funziona correttamente, in quanto la corrente a radio-frequenza segue
il percorso “elettrodo attivo – impedenza paziente – elettrodo dispersivo – terra di protezione”.
Il monitor paziente, invece, non compie più il proprio dovere: in questa configurazione, il generatore di
corrente è posto in parallelo ad un cortocircuito (al di sotto dell’induttore), sicché ‹ circolerà solo nel
cortocircuito e non più nei resistori U ed % . Poiché ai capi del generatore di corrente ‹ è presente
una tensione nulla, il comparatore di soglia non si accorgerà mai di un eventuale aumento della tensione
dovuto al distacco dell’elettrodo dispersivo bipartito (e conseguente aumento delle resistenze U ed % ).

Bisogna fare in modo tale che la corrente a radio-


frequenza possa circolare nel circuito da sinistra verso
destra e, contemporaneamente, la corrente di misura
attraversi le due resistenza dell’elettrodo bipartito.Si
osservi che le due correnti in questioni hanno
componenti frequenziali differenti. Aggiungendo al
monitor d’elettrodo i condensatori1U e 1% si garantisce
l’isolamento dell’elettrodo dispersivo per le componenti a
bassa frequenza, impedendo alla corrente ‹ di
richiudersi a terra attraverso il cortocircuito anziché di
scorrere nelle resistenze U ed % .

Il monitor di elettrodo permette di prevenire il rischio di ustioni al di sotto dell’elettrodo dispersivo, causate
dal distacco dell’elettrodo stesso.

Per evitare che della corrente a radio-frequenza possa scorrere nel circuito del monitor d’elettrodo, si
modifica il circuito ponendo due induttori come mostrato in figura, in modo tale che essi fungano da
cortocircuiti per le correnti a bassa frequenza e da circuiti aperti per quelle ad alta frequenza.

97
I due induttori, quindi, permettono il passaggio alla sola corrente di misura, caratterizzata da bassa
frequenza, mentre mostrano una reattanza molto elevata (almeno in teoria) nei confronti della corrente a
radio-frequenza. Con questi accorgimenti è possibile rendersi contodel distacco dell’elettrodo dispersivo
dalla cute mentre l’elettrobisturi è in funzione.

Monitor paziente per elettrobisturi

Consideriamo la sezione di tessuti interposti tra l’elettrodo attivo e l’elettrodo dispersivo dell’elettrobisturi,
ipotizzando che lo stadio di uscita dell’elettrobisturi sia collegato a terra dal punto di vista delle alte
frequenze. Dato che le ustioni nelle altre parti del corpo sono dovute unicamente alla corrente a radio-
frequenza, i due condensatori del monitor d’elettrodo si comportano come circuiti aperti.

La corrente a radio-frequenza genera all’interno del paziente un campo di corrente, e tutta la corrente
iniettata dall’elettrodo attivo si richiude verso terra per mezzo dell’elettrodo dispersivo. Supponiamo, però,
che il paziente sia collegato ad una superficie metallica riferita a terra: in questo caso si viene a formare un
percorso alternativo a terra per la corrente a radio-frequenza, che in parte si richiuderà a terra per mezzo
dell’elettrodo dispersivo ed in parte seguirà la via alternativa.

Il problema consiste nel fatto che, nel punto di contatto tra paziente e massa metallica, la densità di
corrente potrebbe essere sufficientemente elevata da sviluppare un quantitativo di calore sufficiente a
provocare delle ustioni.

La corrente a radio-frequenza •½ si suddivide in •½O , che si richiude a terra per mezzo dell’elettrodo
dispersivo, e la corrente •½Ô , che segue invece il percorso alternativo.

Se il percorso alternativo non è presente, allora •½ = •½O ; in caso contrario, la corrente che segue il
percorso alternativo verso terra si esprime come •½Ô = •½ − •½O . Sfruttando un trasformatore a tre
avvolgimenti, di cui due percorsi da corrente ed uno esplorante, è possibile confrontare tra loro le correnti
•½ ed •½O in modo da rendersi conto se vi è, o meno, una corrente •½Ô che potrebbe arrecare ustioni al
paziente.

Se •½ = •½O , nell’avvolgimento esplorante non si forma alcun campo magnetico variabile nel tempo e, di
conseguenza, alcuna forza elettromotrice indotta. Quando •½ ≠ •½O , la differenza di correnti porta alla
formazione di un campo magnetico variabile in corrispondenza dell’avvolgimento esplorante,con
conseguente comparsa di una differenza di potenziale proporzionale alla variazione di corrente. Onde
evitare continue commutazioni dell’uscita del comparatore di soglia, l’avvolgimento esplorante non può
98
esservi collegato direttamente, in quanto percorso da una corrente alternata sinusoidale alla frequenza di
lavoro dell’elettrobisturi.Si impiega, quindi, un convertitore a vero valore efficace interposto tra
l’avvolgimento esplorante ed il comparatore di soglia.
Il convertitore a vero valore efficace riceve in ingresso una tensione Œ alternata sinusoidale alla frequenza
di lavoro dell’elettrobisturi, convertendola in • | . Il comparatore di soglia riceve in ingresso la tensione
• | e, se essa è superiore al valore di soglia, provvede ad attivare l’allarme ed eventualmente a
sospendere l’erogazione di corrente verso il paziente.Il sistema così costituito prende anche il nome di
monitor paziente per elettrobisturi.

Lo stadio di uscita flottante

Si potrebbe anche pensare di rendere flottante l’uscita dell’elettrobisturi, in modo che questa non sia più
collegata a terra. Si eviterebbe così l’eventuale formazione di percorsi alternativi dato che non è più
presente una maglia chiusa tramite cui la corrente •½Ô possa tornare al generatore. Questo metodo, detto
dello stadio di uscita flottante,presenta un problema: si viene a formare una capacità parassita che riferisce
a terra l’uscita dell’elettrobisturi, creando quindi un possibile percorso alternativo per la corrente. Si deve
progettare lo stadio di uscita dell’elettrobisturi in modo che la capacità parassita sia sufficientemente
piccola: in tal modo, ai capi del percorso alternativo, si verrebbe a formare un’impedenza talmente alta da
indurre la maggior parte della corrente a radio-frequenza a scorrere nel percorso principale.La presenza
della capacità parassita fa sì che anche negli elettrobisturi con stadio di uscita flottante sia necessario
l’impiego del monitor paziente.

Il monitor d’elettrodo 2

Una potenziale fonte di rischio per il paziente risiede nell’eventualità che il cavo collegato all’elettrodo
dispersivo si stacchi. L’elettrodo dispersivo è accoppiato capacitivamente con altre masse metalliche
presenti nel campo operatorio, dando origine a percorsi alternativi a bassa impedenza ed “invisibili” al
monitor paziente, tramite i quali la corrente a radio-frequenza può scorrere ed eventualmente richiudersi
verso terra.

Per ovviare a questo problema, negli elettrobisturi è presente un circuito in grado di rilevare la rottura del
cavo dell’elettrodo dispersivo: se il cavo si interrompe, il monitor d’elettrodo interpreta tale rottura come
un distacco dell’elettrodo dispersivo dalla cute del paziente ed entra in azione. All’interno del cavo

99
connesso all’elettrodo dispersivo sono presenti due cavetti più piccoli (uno di andata ed uno di ritorno) che
costituiscono un circuito che funziona come un monitor di elettrodo 2.

Oltre che dai due cavetti di andata e di ritorno, il monitor di elettrodo 2 si costituisce anche di un
generatore di corrente continua, che fa circolare corrente nei due cavetti. La caduta di tensione ai capi del
generatore di corrente continua è bassa in condizioni normali. Quando si interrompe il collegamento con
l’elettrodo dispersivo, questa tensione aumenta e l’elettrobisturi segnala la presenza del guasto in
questione.

Analisi della capacità parassita nel caso di stadio di uscita flottante

Supponiamo chelo stadio di uscita dell’elettrobisturi sia flottante.


L’impedenza che simula il paziente è un resistore di norma pari a 200Ω. Cosa
accade se l’elettrodo attivo si chiude a terra e non sul paziente?

La corrente può richiudersi verso terra grazie alla presenza della capacità
parassita dello stato di uscita flottante. Tale corrente può esprimersi con la
relazione = :1 . Se l’elettrobisturi è impiegato per effettuare il puro
taglio, assumiamo : = 2; ∙ 10ª e ff = 300 e che la capacità parassita
pari ad 1nF. Con questi valori si ottiene una corrente = 2; ∙ 10ª ∙ 300 ∙ 10*® ≅ 1,8 ff . Un simile valore
per la corrente non offre sicurezza sufficiente dal punto di vista delle ustioni arrecabili al paziente.

La capacità parassita dovrà presentare valori al massimo pari a qualche centinaio di pico-farad.

In tal modo, si limitano le correnti di dispersione ad un valore massimo compreso entro la decina di milli-
ampere efficaci. Tale valore è sufficientemente basso giacché i percorsi alternativi interessano superfici
abbastanza grandi e, conseguentemente, non vi sono molti rischi di arrecare ustioni in altre parti del corpo.
Per questo motivo l’elettrobisturi è un dispositivo intrinsecamente sicuro.

Lo stadio di uscita flottante ed il monitor paziente vengono adottati entrambi per ridurre il rischio di ustioni
nel paziente ed agiscono in modalità differenti.
Lo stadio di uscita flottante ha il compito di limitare la probabilità che compaiano percorsi alternativi
pericolosi, mentre il monitor paziente interviene nel momento in cui vi è un percorso alternativo a bassa
impedenza sul quale si richiude la maggior parte della corrente a radio-frequenza, limitando l’esposizione al
rischio di ustioni per il paziente.
Lo stadio di uscita flottante svolge un compito di prevenzione, mentre il monitor paziente svolge una
funzione di protezione.

Il percorso alternativo attraverso il medico

Vi è un altro percorso alternativo della corrente di cui bisogna tener conto, ovvero quello costituito dal
chirurgo. Infatti, esiste una tecnica, detta tecnica del
buzzing, che consiste nell’impiego un paio di pinzette

100
metalliche per chiudere un certo vaso sanguigno, procedendo a cauterizzarlo mediante l’elettrodo attivo
dell’elettrobisturi. Il chirurgo tiene in mano le pinzette, che però sono state portate in tensione: si viene a
formare un accoppiamento capacitivo tra il chirurgo ed il circuito secondario del trasformatore. Le due
armature della capacità sono rappresentate rispettivamente dalle pinzette e dalla mano del medico,
mentre il guanto chirurgico funge da dielettrico.

Ponendoci nel caso peggiore, supponiamo che il chirurgo sia rappresentabile mediante un cortocircuito e
che l’elettrobisturi venga impiegato in modalità di taglio puro. Assumendo che l’elettrobisturi abbia uno
stadio di uscita flottante, che eroghi una potenza di 400W, che operi ad una frequenza di 500kHz e che la
capacità parassita sia 1 = 5089, determiniamo il massimo valore della corrente che attraversa il chirurgo.

Quando il chirurgo tiene in mano le pinzette, la superficie di contatto e dell’ordine del centimetro quadro e,
tra le due armature della capacità che si viene a generare, la distanza è pari allo spessore del guanto
ÕÖ Õ^ |
chirurgico, ovvero 200-250µm.Ricordando che 1 = dove 23 = 8,8589, 24 = 4 − 589, si ha che la

,
capacità del chirurgo è:

2589 ≤ 1RuŒ4ˆ4׊ ≤ 5089

L’elettrobisturi eroga una potenza di 400W sul paziente, che si può considerare puramente resistivo
}O
= 200’). Sapendo che $ =

( , nota la resistenza offerta dal paziente, si determina la tensione ai capi
dell’impedenza paziente come: = √$ = √400- ∙ 200’ ≅ 280 ff . Secondo il teorema di
sostituzione, in un circuito è possibile sostituire un qualunque dipolo
con un generatore di tensione pari a quella che era presente sul dipolo.
Quindi,è possibile modificare il circuito precedente considerando un
generatore di tensione di 280 ff alla frequenza di interesse, collegato
con la serie della capacità parassita e quella del chirurgo.La capacità
l∙ Ø
equivalente sarà pari a: 1 c =
ls Ø
. Assumendo per la capacità del chirurgo il valore massimo possibile,
ossia 50pF, si ricava 1 c ≅ 2589, la corrente che scorre ne chirurgo sarà quindi pari a:

= :1 c = 3 ∙ 10ª ∙ 25 ∙ 10*U% ∙ 280 ≅ 22,5

Una corrente con questa intensità viene sipercepita dal chirurgo, ma non è tale da arrecare ustioni al di
sotto del guanto. Il chirurgo percepisce la sensazione del passaggio di corrente nel momento in cui attiva
oppure disattiva l’elettrobisturi, ossia percepisce le variazioni di corrente elettrica. La situazione non
cambia anche nel caso in cui il medico indossi degli stivaletti isolanti che formano con il piano di terra una
capacità nell’ordine dei nano-farad, giacché la capacità equivalente da 25pF continuerebbe ad essere
predominante.

La seconda capacità parassita

Supponiamo ora che al paziente sia applicata una piastra metallica riferita a terra e che egli sia sdraiato sul
tavolo operatorio. Quest’ultimo si costituisce di un materasso di materiale isolante poggiato su un sostegno
metallico, collegato a terra direttamente o per mezzo di una capacità molto grande.
Si nota che viene a formarsi una seconda capacità parassita1 % , le cui armature sono rappresentate
rispettivamente dal sostegno metallico del tavolo operatorio e dall’elettrodo dispersivo. Il materiale
101
isolante del materasso funge da dielettrico del condensatore. Questa capacità parassita è collegata in
parallelo a 1 (capacità parassita dovuta allo stadio di uscita flottante) e non si è in grado di rilevare la sua
presenza o meno.

La corrente iniettata nel paziente dall’elettrodo attivo


si suddivide in U , che ritorna al generatore mediante
l’elettrodo dispersivo, e in % , che si richiude a terra
per mezzo del percorso alternativoche si viene a
creare grazie alla presenza della piastra metallica.
La stessa corrente % si suddivide a sua volta in due
componenti: la corrente %V che ritorna direttamente
al circuito secondario del trasformatore per mezzo di
1CU (a monte monitor paziente) e la corrente %O che
torna al generatore tramite 1C% (a valle del monitor
paziente).Il monitor paziente è in grado di rilevare la
corrente %V ma non la corrente %O . Per ovviare a questo problema, si progetta l’elettrobisturi in modo tale
che la corrente di dispersione massima a radio-frequenza, "•½`[Ù , abbia un valore fissato e pari ad un
centinaio di milli-ampere. Inoltre, si fa in modo che il monitor paziente intervenga quando viene rilevata
una corrente %V maggiore di un certo valore di soglia #Ó < "•½`[Ù , poiché non tutta la corrente di
dispersione massima si richiude a terra per mezzo di 1CU (e quindi non tutta la corrente di dispersione è
rilevata dal monitor paziente).

Per cercare di rendere la capacità 1C% (esterna all’elettrobisturi)il più piccola possibile,si può procedere
applicando l’elettrodo dispersivo in due diverse zone del corpo del paziente:

1. parte posteriore della gamba


2. parte esterna della gamba

Tra le due, la scelta migliore è la seconda, in quanto la distanza tra l’elettrodo dispersivo e il supporto
metallico del pazienteè maggiore (e 1C% assume valori bassi).

Un altro accorgimento per ridurre il valore di 1C% è quello di utilizzare materassi sufficientemente spessi e
costituiti da materiali isolanti per le alte frequenze.

L’effetto di bordo

Immaginiamo che l’elettrodo dispersivo sia applicato alla cute del paziente ed andiamo a studiare come
varia la densità di corrente lungo l’elettrodo stesso. Si nota che la distribuzione di corrente non è uniforme,
ma tende ad essere maggiore in corrispondenza dei bordi dell’elettrodo (effetto di
bordo). Il primo stadio di ustione si riscontra quando, rimosso l’elettrodo dispersivo,
è presente un arrossamento in corrispondenza del tessuto precedentemente a
contatto con il suo perimetro. Un effetto quale quello appena citato è prova del
fatto che l’elettrobisturi è stato impiegato con una potenza di poco inferiore a quella
che avrebbe arrecato ustione.La condizione ottimale si avrebbe se fosse possibile
impiegare elettrodi tali per cui la densità di corrente sotto di essi sia bassa in

102
corrispondenza dei bordi, per poi andare a crescere man mano che ci si sposta verso il centro.

Elettrodi con questa caratteristica esistono, e prendono il nome di elettrodi ad impedenza variabile.

Questi elettrodi, generalmentedi forma circolare, si costituiscono di varie corone circolari concentriche la
cui conduttività decresce spostandosi dal centro verso la periferia. La densità di corrente sarà maggiore
dove maggiore è la conduttività, mentre sarà più bassa dove la conduttività è minore.

Il problemi legati a questa tipologia di elettrodi sono:

- non esistono elettrodi bipartiti (split) con impedenza variabile;


- la superficie di un elettrodo ad impedenza variabile è inferiore rispetto a quella dell’elettrodo
dispersivo comune, richiedendo maggiore attenzione nell’utilizzo dell’elettrobisturi.

Il fattore di riscaldamento

La probabilità di creare un ustione è proporzionale al calore generato ed al tempo di attivazione


dell’elettrobisturi, mentre è inversamente proporzionale alla superficie di contatto elettrodo - cute. Il calore
presente all’interfaccia viene prodotto per effetto joule ed il fattore di riscaldamento (corrispondente
all’energia termica sviluppata per ogni ohm di resistenza) è esprimibile con la relazione:

< yy™>B 5˜ >˜?/ w5 Bmy™ = %


ff ∙y

dove y rappresenta la durata dell’esposizione.

Il valore limite accettabile per il fattore di riscaldamento è di 9A2s.

103
DEFIBRILLATORI

Il defibrillatore è un apparecchio elettromedicale destinato a far uscire il cuore da uno stato di fibrillazione,
erogando al muscolo cardiaco un impulso elettrico ad alta energia tramite due piastre, posizionate sulla
cute del paziente, o mediante due elettrodi (in tal caso si erogano impulsi con energia inferiore). Si tratta di
un apparecchio di emergenza e, come tale, si deve garantire il suo corretto funzionamento onde evitare di
compromettere ulteriormente la salute del paziente.

I defibrillatori cardioversorihanno la possibilità di essere utilizzati nel paziente avente un ritmo tachicardico
residuo che deve essere interrotto e, a tal fine risulta fondamentale erogare la scarica elettrica al momento
opportuno. Questi apparecchi sono muniti di un elettrocardiografo interno ed erogano la scossa in
corrispondenza dell’onda R del tracciato ECG.

Esiste una categoria di defibrillatori cardioversori detti intelligenti: questi dispositivi sono dotati di un
monitor cardiaco e, dopo che l’operatore ha collocato le piastre sulla cute del paziente, viene erogato
automaticamente un certo numero di scariche a seconda del ritmo cardiaco rilevato.

Il compito principale di un defibrillatore cardioversore è quello di erogare una scarica elettrica importante,
ossia dell’ordine delle decine di ampere, tra le due piastre metalliche applicate sul torace del paziente, in

104
modo da investire il muscolo cardiaco con grande energia.Il livello energetico della scarica varia
normalmente tra 10J e 350-450J.

L’elemento importante in un defibrillatore è il condensatore: durante la fase di carica l’energia viene


trasferita al condensatore da una sorgente energetica, solitamente un accumulatore presente
nell’apparecchio; durante la fase di scarica il condensatore trasferisce l’energia immagazzinata al paziente.
La presenza del condensatore è indispensabile: l’energia non può essere trasferita direttamente
dall’accumulatore al paziente in quanto il primo non è in grado di trasferire elevati quantitativi di energia in
tempi brevi.
U
L’energia immagazzinata dal condensatore si esprime con la relazione: = %1 %
. Supponiamo che il
valore energetico della scarica sia di 350J; sul paziente si vuole avere una corrente = 20 e consideriamo
la resistenza del paziente pari a = 200’. Per fare in modo che su scorra una corrente pari a è
necessario che ai capi della resistenza sia presenta una tensione = ∙ = 200 ∙ 20 = 4000 . Noti
energia e tensione si può estrapolare il valore della capacità come

2 2 ∙ 350
1= = ≅ 45μ9
% 16 ∙ 10ª

Per erogare scariche dell’ordine delle centinaia di joule, sono necessarie correnti dell’ordine delle decine di
ampere e tensioni dell’ordine dei chilo-volt. Per questo motivo i condensatori presenti nei defibrillatori
presentano capacità variabili da 33µF a 65µF.

I componenti in un defibrillatore

Gli elementi indispensabili al funzionamento di un defibrillatore cardioversore sono:

- un circuito di carica che permette al condensatore di caricarsi;


- un circuito di scarica che permette di trasferire la scarica elettrica al paziente;
- un circuito di sincronizzazione, contenente un canale EGC e che permette di erogare la scarica in modo
sincrono con l’onda R.

Il circuito di carica e quello di scarica comunicano tra loro per mezzo di un commutatore.

Il defibrillatore cardioversore presenta normalmente un accumulatore di energia, in modo tale da poter


essere impiegato anche quando non è possibile collegarlo alla rete elettrica. In tal caso sarà l’accumulatore
ad alimentare il circuito di carica del dispositivo.

105
L’accumulatore rende possibile una tensione compresa tra 6V e 24V in continua. Quando il defibrillatore è
collegato alla rete elettrica, che fornisce una tensione alternata a 220V, è possibile ricaricare
l’accumulatore grazie alla presenza di un apposito sottocircuito.

Il circuito di carica deve essere in grado di portare sul condensatore una tensione nell’ordine delle migliaia
di Volt, ma esso riceve dall’accumulatore una tensione continua al massimo pari a qualche decina di Volt. A
tal proposito nel circuito di carica è presenta un trasformatore induttivo elevatore che, però, non funziona
con tensioni in continua. Si rende necessaria la presenza, tra accumulatore e trasformatore, di un
elemento in grado di convertire la tensione da continua in alternata: l’oscillatore.

All’uscita del trasformatore elevatore sarà ancora presente una grandezza variabile, mentre per poter
caricare il condensatore è necessario avere una forma d’onda continua. Per risolvere questo problema,
collegati al circuito secondario del trasformatore troviamo:

1) circuito raddrizzatore: trasforma una forma d’onda alternata con valori positivi e negati (a valor
medio generalmente nullo a causa della presenza del trasformatore) in una forma d’onda
raddrizzata, tutta contenuta nel semipiano positivo o in quello negativo (in modo che il valor medio
sia sicuramente non nullo);
2) filtro: permette, a partire da una forma d’onda alternata tutta contenuta in un semipiano, di
ottenere una tensione sostanzialmente continua;
3) regolatore: pilotato dall’esterno, permette di ottenere in uscita il valore di tensione desiderato.

Il circuito di carica

Il circuito di carica del defibrillatore deve erogare una certa potenza che, noti il quantitativo di energia che
si vuole trasferire al condensatore ed il tempo di carica‘, si può determinare dalla relazione:

$ = /‘

Se il blocco di carica funzionasse a potenza costante, sarebbe in grado di erogare una potenza compresa tra
i 50W ed i 100W. In generale, tuttavia, durante la fase di carica del condensatore la potenza non è costante.
L’energia si esprime meglio mediante l’espressione integrale:
#
= Ú $&y'5y
3

La norma CEI 62-13, relativa ai defibrillatori cardioversori, mette un limite alla potenza massima che il
dispositivo può assorbire dalla rete elettrica durante la fase di carica del condensatore, mediata su una
finestra temporale di 2 secondi: tale limite è imposto a 750W. Il limite di potenza è necessario al fine di
evitare un sovraccarico del defibrillatore: se il dispositivo assorbisse una potenza troppo elevata durante la
fase di carica, potrebbe intervenire un interruttore magnetotermico per interrompere la carica del
condensatore, rischiando però che il defibrillatore non funzioni più in maniera corretta.

La quantità di energia trasmessa al paziente dipende dal valore della capacità del condensatore secondo la
U
relazione = %1 %
. Il valore della capacità, tuttavia, tende a diminuire nel tempo a causa di fenomeni di
deterioramento. Al fine di mantenere costante l’energia trasmessa, i defibrillatori necessitano di essere

106
ricalibrati periodicamente: viene regolato il valore della tensione V in modo da compensare le variazioni di
C.

E’ possibile misurare l’energia che viene trasferita dal circuito di carica al condensatore indipendentemente
dal valore della capacità. Infatti, l’energia trasferita al condensatore è pari all’integrale della potenza
istantanea nel tempo di carica. E’ necessario conoscere la potenza istantanea per determinare il valore
dell’energia trasferita.

In serie con il condensatore viene posto un resistore | , con resistenza dell’ordine di qualche ohm o
inferiore; la corrente di carica scorre sia nel condensatore sia in | , ai capi della quale sarà presente una
tensione •‡ = &y' ∙ | . La corrente di carica è variabile ed assume valori dell’ordine dell’ampere, mentre
la tensione •‡ ha valori dell’ordine del volt.

Il circuito di misura dell’energia che si vuole trasferire al condensatore è schematizzato di seguito.

In parallelo al condensatore vengono collegati due resistori, U ed % , in modo da andare a costituire un


partitore resistivo. Supponiamo che il resistore U sia mille volte più piccolo di % , allora la tensione ai capi
di quest’ultimo risulterà mille volte più piccola di quella presente ai capi del condensatore, in modo tale che
sia •O ≅ .

Si considera la tensione •‡ = &y' ∙ | e la si pone in ingresso ad un amplificatore differenziale. All’uscita


da questo, si avrà una tensione proporzionale alla corrente che circola nel condensatore e in | (e non
alla corrente che circola nel partitore resistivo giacché esso presenta un’impedenza troppo elevata). Si
considera poi la tensione presente ai capi di % e la si pone in ingresso ad un secondo amplificatore
differenziale, alla cui uscita vi sarà una tensione proporzionale a . Le tensioni in uscita dai due
amplificatori differenziali vengono pilotate in ingresso ad un moltiplicatore, in modo da ottenere in uscita
una tensione proporzionale alla potenza trasmessa al condensatore. Ponendo, infine, quest’ultima tensione
in ingresso ad un integratore, in uscita si ricava una tensione proporzionale all’energia E trasmessa al
condensatore.

Il circuito appena descritto consente, quindi, di misurare l’energia trasferita al condensatore senza tener
conto del valore della capacità. Il valore dell’energia misurato viene in seguito inviato al circuito di carica
del condensatore.

Il circuito di carica riceve il valore di energia misurato e lo confronta con quello impostato dal medico: la
trasmissione di energia verso il condensatore avrà termine nel momento in cui il valore di energia misurato
e quello impostato coincidono. Ad essere precisi, il condensatore verrà caricato con un quantitativo di
energia lievemente superiore rispetto a quello impostato dal medico, a causa del fatto che l’energia

107
presente sul condensatore non viene trasferita in toto al paziente: in pratica, per fornire al paziente
un’energia di 350J, il condensatore deve essere caricato con un valore energetico di poco maggiore.

Il circuito di scarica

Il circuito di scarica del condensatore è del secondo ordine e si


costituisce di un induttore M posizionato in serie con la
resistenza paziente C .La corrente di scarica ha un andamento
cisoidale, esprimibile con la relazione:

˜&y' = 3B

sin&:y'

dove … è la costante di tempo del circuito.Scegliendo in modo opportuno


la costante di tempo (che modula la sinusoide) si può fare in modo che
l’energia di scarica sia concentrata nei primi due cicli e, tarando
opportunamente i componenti, si può ottenere uno pseudo periodo pari a
10ms.

In un tempo pari a 20ms, se fosse rappresentabile da un resistore di


100Ω, al paziente verrebbe trasferita quasi tutta l’energia.

Il circuito utilizzato per misurare l’energia che viene trasferita al condensatore durante la fase di carica, può
essere impiegato anche per la misura dell’energia trasferita al paziente.

Lo schema a blocchi di un defibrillatore può essere rappresentato come nella figura seguente:

Nel dispositivo è presente una manopola che permette di scegliere se utilizzare l’apparecchio come
defibrillatore normale o come defibrillatore cardioversore. Nel caso si scelga quest’ultimo, deve essere
presente un canale ECG che permetta di rilevare il tracciato del paziente, potendo sincronizzare le scariche
con l’onda R.

108
All’interno di ogni defibrillatore è presente un microprocessore che svolge tutte le funzioni di gestione: esso
preleva la tensione dai due circuiti di misura dell’energia, ne calcola la potenza istantanea (moltiplicando le
tensioni istante per istante) e per via numerica ricava l’energia trasferita.

Sicurezza elettrica nel defibrillatore

Il defibrillatore cardioversore, dal punto di vista della sicurezza, è un po’ diverso dagli altri apparecchi
elettromedicali: il pericolo maggiore, infatti, non deriva dalle correnti di dispersione, bensì dal non corretto
funzionamento del defibrillatore. Bisogna verificare che il dispositivo sia in grado di erogare energia
sufficiente quando necessario e deve poter erogare tutte le scariche possibili senza dover ricaricare
l’accumulatore. L’elemento debole del defibrillatore è proprio l’accumulatore.

Le operazione di verifica della manutenzione preventiva possono essere effettuare a tre livelli.

a) Primo livello:verifiche effettuate dal personale medico (non prevede l’osservazione dello stato di
isolamento delle piastre e dei cavi);
b) Secondo livello: verifiche effettuate dal personale di ingegneria clinica;
c) Terzo livello: verifiche effettuate da personale ben preparato in grado di intervenire
sull’apparecchio elettromedicale.

Una verifica di secondo livello circa lo stato dell’accumulatore può essere


effettuata mediante il tester per defibrillatori, procedendo nel seguente modo: si
verifica che il tempo di carica del condensatore sia corretto; si controlla che il
numero massimo di scariche emesse dal dispositivo(ad un fissato livello di energia)
sia uguale a quello indicato dal costruttore; si analizza il tempo intercorso fra una
scarica e quella successiva.

Un’altra prova deve riguardare le correnti di dispersione visto che, in molto casi, il defibrillatore
cardioversore viene usato su pazienti esposti a rischio di microshock.

Si devono controllare il corretto funzionamento del circuito di sincronizzazione della scarica con l’onda R del
tracciato ECG del paziente e lo stato dei misuratori di carica ceduta. Entrambe le prove vengono effettuate
sfruttando il tester per defibrillatori, che simula il tracciato EGC di un paziente misurando poi la latenza che
intercorre tra l’onda R simulata e l’invio della scarica.

Forme d’onda erogate da un defibrillatore

Le forme d’onda maggiormente impiegate sono: l’onda cisoidale, l’onda


bifasica e l’onda trifasica.L’onda bifasica, in particolare, nasce per
approssimare l’onda cisoidale senza ricorrere all’impiego di un induttore.

Supponiamo che il condensatore sia stato caricato e consideriamo il circuito di


scarica in cui, al posto dell’induttore, vengono posizionati quattro elementi
semi-induttivi (ponte ad H).

109
Questi elementi si comportano come interruttori e, nel momento in cui il segnale giunge in corrispondenza
del loro morsetto di controllo, essi si chiudono. Per esempio, se il segnale
è posto sul morsetto di controllo degli interruttori 1 e 3, essi si chiudono.
In tali condizioni, l’interruttore 1 risulta collegato con il morsetto positivo
del condensatore, mentre l’interruttore 3 risulta collegato con quello
negativo: la corrente scorre nel paziente da sinistra verso destra. Se, al
contrario, il segnale venisse inviato ai morsetti degli interruttori 2 e 4,
questi si chiuderebbero, cosicché l’interruttore 2 risulterebbe connesso al
morsetto positivo del condensatore mentre l’interruttore 4 a quello
negativo. La corrente scorrerebbe sul paziente da destra verso sinistra.

Allo stesso modo, agendo opportunamente sugli interruttori, si può ottenere un’onda trifasica.

POMPE DI INFUSIONE

La pompa di infusione è un dispositivo che serve per introdurre un


liquido nel corpo del paziente, consentendo la possibilità di regolare e
controllare il flusso del liquido stesso.

Il flusso del liquido avviene grazie al fatto che la pompa esercita, sul
liquido da insufflare, una pressione superiore rispetto a quella esercitata
dal corpo del paziente.

Le pompe di infusione convertono energia elettrica in energia meccanica


e, secondo la DDM 93/42, esse vengono classificate o a seconda
delle sostanze che il dispositivo deve introdurre nel corpo e a seconda della cavità in cui viene insufflato il
liquido.

Le pompe di infusione possono suddividersi in cinque tipologie.

Tipologia 1. Sono pompe in grado di garantire solo flusso continuo. Esse vengono programmate in modo da
erogare un certo flusso fino a quando non viene raggiunto un certo volume di flusso o un certo tempo di
erogazione, stabilito in precedenza.

Tipologia 2. Sono pompe che garantiscono un flusso non continuo, permettendo di erogare diverse quantità
di liquido in intervalli di tempo differenti.

Tipologia 3. Sono rappresentate dai cosiddetti infusori di bolo. Essi permettono di erogare un certo bolo,
cioè un certo volume di un dato farmaco, in tempi efficaci.

Tipologia 4. Sono pompe che permettono di combinare infusori di tipo differente e vengono adottate, ad
esempio, per il controllo del dolore.

Tipologia 5. Sono pompe a profilo programmabile, cioè pompe che permettono di programmare la velocità
di infusione.

Tipologie costruttive delle pompe di infusione

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Pompe di infusione volumetrica. Sono quelle pompe in cui la velocità di infusione è indicata in termini di
volume da infondere per unità di tempo. L’eccezione è rappresentata dalle pompe a siringa, in cui la
velocità di somministrazione viene espressa come millimetri all’ora (si tratta di apparecchi in cui un
dispositivo elettromeccanico preme lo stantuffo di una siringa usa e getta contenente il liquido da
insufflare).

Pompe di infusione a goccia. Si tratta di pompe per le quali la velocità di infusione viene espressa in termini
di numero di gocce per unità di tempo.

Pompe di infusione per uso ambulatoriale. Sono pompe atte ad essere trasportata dal paziente in grado di
deambulare.

Pompe di infusione tele controllabili. Sono pompe il cui funzionamento viene gestito da una postazione
remota, alla quale vengono inviati sia dati di funzionamento sia eventuali segnali d’allarme. Questa
categoria di pompe viene impiegata in due casi:

1) quando si vuole automatizzare un reparto ospedaliero, facendo in modo che un singolo operatore
per mezzo di una console, possa gestire le diverse pompe di infusione collegate al paziente (ad
esempio un reparto di terapia intensiva);
2) per gestire la terapia a domicilio, in modo da ridurre il costo di degenza per il paziente.

Pompe di infusione peristaltiche. Sono delle pompe che causano il movimento di un liquido contenuto
all’interno di un tubetto, esercitando su quest’ultimo una pressione simile a quella presente in un’ansa
intestinale. Ne esistono due tipologie: pompe peristaltiche rotatorie e pompe peristaltiche lineari.

La pompa peristalticarotatoria è la pompa più semplice tra quelle che


utilizzano un motore elettrico ed è stata la prima ad essere utilizzata
per uso clinico nelle infusioni enterali. Essa è costituta da una struttura
rotante nella quale sono inseriti quattro rulli a loro volta rotanti
intorno al proprio asse; con il loro movimento, i rulli determinano la
ostruzione progressiva di tratti di catetere compresi tra due rulli
consecutivi, sospingendo il liquido contenuto in quel tratto di catetere
verso il paziente. La quantità di liquido spinto nel tempo dipende dalla
quantità di liquido occluso tra due rulli consecutivi (legata alla distanza
tra i due rulli e al diametro interno del catetere) e dalla velocità
angolare della struttura rotante. Questo tipo di pompa, dato lo scopo e la capacità di infondere solamente
le grandi portate, non necessita di sensori aggiuntivi finalizzati alla regolazione.

Nelle pompe peristaltichelineari il catetere è posto su un piano di


riscontro ed il flusso di liquido è garantito da una serie di pistoncini
che, con il loro movimento, generano aumenti di pressioni atti a
determinare lo spostamento del fluido in questione. Le estremità
del catetere sono connesse ad un serbatoio ed al paziente
rispettivamente.

Aspetti critici nelle pompe di infusione

111
Gli aspetti critici in questi dispositivi sono legati a:

1) accuratezza del flusso medio programmato su finestre temporali di durata opportuna;


2) problemi di sicurezza elettrica, dovuta al fatto che l’infusione molto spesso avviene in un grosso
vaso vicino al cuore o anche nell’atrio destro del muscolo cardiaco, sicché l’eventuale presenza di
correnti di dispersione generate dalla pompa rende il paziente a rischio di microshock;
3) malfunzionamento di allarmi che segnalino situazioni pericolose.

E’ molto importante che la pompa di infusioni eroghi un preciso volume di liquido, pari a quello stabilito, in
un altrettanto preciso intervallo di tempo.

Per caratterizzare le pompe d’infusione dal punto di vista dell’errore di flusso vengono impiegati due
diagrammi: il diagramma di avvio ed il diagramma a tromba.

Il diagramma di avvio serve per descrivere come la pompa supera la fase transitoria seguente
all’accensione, raggiungendo così il suo stato di funzionamento a regime.
Per costruire questo diagramma è necessario eseguire il priming della pompa: si deve riempire tutta la linea
paziente con il liquido da erogare, accertandosi che non vi sia la presenza di bolle d’aria visibili. Idealmente
si vorrebbe che, una volta impostato il flusso desiderato ed avviata la pompa, questa eroghi da subito il
liquido con la velocità impostata e che tale velocità si mantenga costante nel tempo. In realtà, dopo aver
avviato l’apparecchio, occorre un certo intervallo di tempo prima che il flusso raggiunga il livello stabilito
dal medico. Questo periodo transitorio dura in genere da i 10 ai 15 minuti. La norma prevede che, per la
determinazione del diagramma di avvio, la pompa venga tenuta sotto controllo per almeno mezzo’ora dopo
l’accensione. Questa particolare tipologia di diagramma permette di descrivere gli errori relativi al flusso in
funzione del tempo.Esso dipende sia dalla pompa sia dal kit di somministrazione, che deve essere
compatibile con la pompa stessa; inoltre, la sua costruzione richiede l’impiego di un opportuno banco di
misura.

Il diagramma a tromba descrive il comportamento della pompa di infusione una volta raggiunto il suo stato
di funzionamento a regime. Per la sua costruzione viene adottato lo stesso set-up sperimentale adottato
per la realizzazione del diagramma di avvio. L’osservazione del funzionamento della pompa, per la
determinazione del diagramma a tromba, deve essere protratta per almeno due ore a partire da quando
l’apparecchio raggiunge la condizione di regime. Questa tipologia di diagramma descrive gli errori relativi al
flusso in funzione della durata della finestra temporale di osservazione.

Il banco di misura impiegato per la costruzione dei diagrammi citati si costituisce di vari
elementi.Unserbatoio ventilato, contenente normalmente un determinato livello di soluzione fisiologica,
viene collegato alla linea paziente per mezzo di una camera di gocciolamento. La linea paziente è costituita
da tutti gli elementi interposti tra il serbatoio e l’ago, compresi. La pompa di infusione è collegata tramite la
linea paziente ad un ago da 18G e lunghezza di 12mm.
Dopo aver effettuato il priming della pompa, tutta la linea paziente è piena di liquido; l’ago pesca in un
becker (contenente anch’esso un certo livello di liquido), che è posizionato sopra una bilancia elettronica
con tolleranza pari ad 1/10 di milligrammo. La bilancia è a sua volta collegata ad un calcolatore.

112
Come effettuare le misure

Dopo aver effettuato l’operazione di priming, all’istante y = 0 si attiva la pompa.


Viene effettuata una misura della massa di liquido contenuta nel becker, ripetendola ogni trenta secondi
per tutto il tempo di osservazione prescritto (di norma pari a trenta minuti).

La massa di liquido che la pompa ha immesso nel becker tra due misure successive è pari a
∆ Œ = Œ − Œ*U ; nota la densità ρ del liquido in questione, si può calcolare il volume di liquido contenuto
nel recipiente come:

∆ Œ
∆ =
Œ
L

Il volume di liquido ricavato è ottenuto in un intervallo di tempo avente durata di 30s, pari alla finestra
temporale con cui si effettuano le misurazioni della massa di liquido presente nel becker. Il flusso di liquido
che viene erogato dalla pompa in un’ora di funzionamento è dato da:

∆ Œ
<Œ = ∙ 3600
30

ed è espresso in millilitri all’ora.

Si può analizzare il flusso di liquido sia durante il periodo transitorio della pompa sia da quando essa
raggiunge uno stato di funzionamento a regime. Se consideriamo il periodo di tempo che la pompa impiega
per giungere a regime, si ricava il diagramma di avvio.

Diagramma a tromba di massimo

Il diagramma a tromba descrive il funzionamento della pompa a regime e riporta l’errore di flusso in
funzione della durata della finestra di osservazione, in genere pari a 2-2,5 ore.
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Questo diagramma riporta in ordinata l’errore percentuale mentre in ascissa sono rappresentate quattro
finestre di osservazione, rispettivamente a 2, 5, 11, 19 e 31 minuti.

Consideriamo la prima finestra, della durata di due minuti. Si procede andando a dividere il tempo di
osservazione totale in intervalli di due minuti. L’osservazione del flusso viene rilevata ogni 30s e, per
ognuna delle finestra di due minutivi saranno quindi cinque valori di flusso. L’errore relativo ad ogni
intervallo di trenta secondi è:

<Œ − <‰ !Œ‰ 4S Š


BŒ = ∙ 100
<‰ !Œ‰ 4S Š

dove <‰ !Œ‰ 4S Š rappresenta il flusso non affetto da errore.

L’errore medio di flussopercentuale è pari alla media dei corrispondenti cinque errori relativi di flusso che si
possono osservare.
¢
1
B4 = Í BŒ
5
ŒÎU

A questo punto si confrontano i valori dell’errore medio percentuale ricavato in ogni intervallo di due
minuti e, tra questi, si individuano il valore maggiore ed il valore minore, che verranno riportati nel grafico
in corrispondenza della finestra di osservazione di 2min.

Si procede allo stesso modo per le altre finestre da 5, 11, 19 e 31 minuti, ottenendo una distribuzione
campionaria dell’errore medio percentuale.

Il diagramma a tromba che viene così costruito presenta un errore percentuale di flusso maggiore all’inizio,
che va poi diminuendo man mano che aumenta la durata delle finestre di osservazione.
Per le finestre maggiori si ottiene un flusso medio sempre più simile al flusso desiderato.

L’errore percentuale globale rappresenta l’errore percentuale a cui il diagramma a tromba tenderebbe se le
finestre di osservazione fossero molto grandi: esso si ricava mediando la sequenza di errori medi
percentuali su tutte le finestre di osservazione.Non è detto che il diagramma sia simmetrico rispetto
all’errore percentuale globale.

Diagramma a tromba statistico

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Il diagramma a tromba statistico si ottiene a partire dagli stessi errori percentuali utilizzati per la
determinazione del diagramma a tromba di massimo. In questo caso si fanno, però, due ipotesi:

1) la serie degli errori relativi percentuali su finestre di 30s ha una distribuzione normale,
caratterizzata da un certo valore medio ( )e da una certa varianza (? % );
2) la serie degli errori medi percentuali su finestre di 30s ha una distribuzione normale, caratterizzata
da un certo valore medio ( )e da una certa varianza (? % ).

Sulla base di queste ipotesi, si ha che la distribuzione campionaria su una popolazione di n elementi è
caratterizzata da:
r r
1 1
B̅ = Í BŒ ? % = Í&BŒ − B̅ '%
m m−1
ŒÎU ŒÎU

Poiché il 95% degli elementi che costituiscono la distribuzione


campionaria risultano contenuti tra & − 2Ï' e & + 2Ï',allora
si ha che per ogni finestra di osservazione gli elementi
costituenti hanno una distribuzione gaussiana.

Per disegnare il diagramma a tromba statistico è sufficiente


conoscere l’errore medio percentuale (B̅) e la varianza della
stima della popolazione (? % ). Se è noto il vettore degli errori
di flusso su finestre di 30s, calcolandone la media si ottiene
l’errore medio percentuale; la deviazione standard si ricava
immediatamente facendo la radice quadrata di ? % .Il
diagramma a tromba statistico risulta essere rigorosamente
simmetrico rispetto all’errore medio percentuale.

Le misure necessarie alla determinazione del diagramma di


avvio e del diagramma a tromba devono essere eseguite dal fabbricante, ma dato che esse sono molto
lunghe e costose, non vengono più ripetute.

Per effettuare verifiche preventive sulla pompa di infusione vengono svolte delle prove più semplici. Si
impiega un fluido simile a quello ideale e si misura il tempo necessario affinché la pompa, raggiunta la
condizione di regime, eroghi un certo numero di millilitri di fluido all’interno di un recipiente tarato. Se, ad
esempio, viene impostata una velocità di flusso di 200ml/h, dopo quindici minuti all’interno del contenitore
dovranno esservi 50ml di liquido.

Sicurezza nelle pompe di infusione

La linea paziente costituisce il dielettrico di un condensatore avente come armature da una parte il liquido
conduttore e dall’altra tutte le eventuali piastre metalliche presenti. Le pompe di infusione possono anche

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essere collegate ad un catetere inserito nell’atrio destro del cuore, rendendo il paziente soggetto a rischio
di microshock.

La pompa di infusione deve garantire che non si richiudano a terra attraverso il catetere le varie correnti di
dispersione prodotte sia da altri apparecchi elettrici presenti nello spazio paziente sia dalla pompa stessa.
Conviene che le pompe di infusione siano dispositivi di tipo CF e che le correnti di dispersione siano inferiori a
10µA. La linea paziente costituisce la seconda barriera di isolamento per le pompe di infusione.

Le correnti di dispersione nel paziente si misurano solo se vi sono parti applicate a quest’ultimo. Poiché il
liquido presente nella linea paziente è conduttivo, viene considerata parte applicata la porzione terminale
della linea paziente stessa, ovvero l’ago.

Secondo la norma IEC 601-1, le correnti di dispersione si misurano in condizioni di corretto funzionamento,
in condizioni di primo e di secondo guasto (dove per secondo guasto si intendono l’interruzione del
cordone di protezione o della linea fasica o della linea neutra).

La corrente di dispersione dall’involucro della pompa è l’unica che può essere sempre misurata. A tal scopo
si pone il puntale del dispositivo di misura per correnti di dispersione su una piastra metallica applicata alla
pompa. La corrente di dispersione viene misurata sull’ accoppiamento capacitivo che si viene a formare tra
le parti metalliche interne al dispositivo e la piastra metallica esterna, che può essere collegata a terra
oppure posta in tensione dal misuratore.Le correnti di dispersione che vengono misurate possono essere:

1) in uscita dalla pompa di infusione, quindi sono iniettate dalla pompa e si richiudono verso terra;
2) in entrata alla pompa, quindi si richiudono a terra attraverso la pompa

Le verifiche periodiche che possono essere effettuate in ambito ospedaliero riguardano:

o le correnti di dispersione nel paziente, giacché se le correnti di dispersione in ingresso e in uscita


sono troppo elevate aumenta il rischio di microshock cui viene esposto il paziente (causando
fibrillazione ventricolare o morte);
o accuratezza del flusso medio, verificabile mediante un banco di prova; si imposta un certo flusso e
si verifica che, in un certo intervallo di tempo, la velocità di infusione si mantenga simile a quella
impostata (l’accuratezza può essere del 5-10%);
o verifica del buon funzionamento degli allarmi.

Le pompe di infusione presentano un certo numero di allarmi che scattano in caso di: occlusione della linea
paziente; flusso del farmaco nullo; presenza di bolle d’aria nella linea paziente; flusso diverso da quello
impostato.

Per verificare il corretto funzionamento degli allarmi si effettuano delle prove.


Per l’allarme di occlusione si procede occludendo la linea paziente e verificando che l’allarme si attivi entro
un periodo di tempo ragionevolmente breve (10-20sec).
Per verificare il funzionamento dell’allarme di flusso nullo è sufficiente strozzare il tubo compreso tra la
camera di gocciolamento e la pompa. La verifica sull’allarme di bolle d’aria nella linea paziente viene
effettuata durante il priming della pompa: si inietta un volume d’aria noto nella linea paziente a monte
della pompa, in modo da formare delle bolle, e si rileva la sensibilità ed il corretto funzionamento
dell’allarme in questione.

116
EMODIALIZZATORI

Un malfunzionamento dei reni può causare l’incapacità da parte dei soggetti ad espellere dal sangue
sostanze tossiche come l’urea ed i composti azotati.

Nella prima metà degli anni ’60 si pensa di realizzare un dispositivo in grado di sopperire al deficit renale del
paziente, sfruttando processi di diffusione dell’urea attraverso una membrana semi-permeabile. Nascono
così i primi filtri dializzatori. La membrana semi-permeabile divide il filtro in due comparti: comparto
superiore e comparto inferiore.

Il comparto superiore riceve in ingresso il sangue ricco di urea e, una volta effettuata la filtrazione, lo re-
immette in un grosso vaso sanguigno. Il sangue del paziente attraversa il filtro da sinistra verso destra.

Il comparto inferiore del filtro contiene un liquido, detto dialisato, che presenta inizialmente una
concentrazione nulla di urea. Il dialisato percorre il filtro da destra verso sinistra.

La membrana semi-permeabile rende possibile la diffusione dell’urea, presente nel sangue che scorre nel
comparto superiore, verso il dialisato contenuto nel comparto inferiore del filtro. La diffusione avviene
secondo gradiente di concentrazione delle molecole di urea. Questo tipo di dialisi è detta controcorrente.

Tuttavia vi è un problema. Le molecole di urea sono molto più grandi dei vari ioni in soluzione nel flusso
sanguigno (quali ioni sodio, cloro, calcio, potassio) che, conseguentemente, possono attraversare la
membrana in direzione del dialisato, rischiando di alterare la composizione del sangue. Per evitare che
questo avvenga, si fa in modo che nel dialisato vi sia sa stessa concentrazione degli ioni presenti nel sangue.

Gli emodializzatori moderni consentono di svolgere diverse funzioni:

3) emodialisi: processo con cui si correggono le alterazioni di concentrazione di soluti nel sangue,
sfruttando processi diffusivi di tali soluti attraverso una membrana semi-permeabile;
4) emofiltrazione: processo in cui vengono impiegate membrane semi-permeabili che permettono una
filtrazione per via meccanica, e non per diffusione;
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5) emodiafiltrazione: processo che unisce in sé sia l’emodialisi sia l’emofiltrazione;
6) ultrafiltrazione: processo in cui la rimozione dell’urea avviene per diffusione secondo gradiente di
pressione (si abbassa la pressione del dialisato rispetto a quella del sangue).

Un apparecchio per emodialisi è formato da due circuiti:

1) circuito extracorporeo, che preleva il sangue dal paziente e che costituisce per metà il dializzatore;
2) circuito del dialisato.

Per effettuare l’emodialisi sono necessarie decine di litri di dialisato, il quale deve avere una precisa
composizione. Per ottenere questo composto si procede diluendo un opportuno concentrato con
dell’acqua, all’interno del circuito del dialisato.

Esistono diversi concentrati per dialisi: concentrato acetato, concentrato acido, concentrato bicarbonato,
concentrato senza tampone.

L’acqua impiegata per diluire il concentrato deve essere prima opportunamente trattata. L’acqua prelevata
dalla rete idrica viene inviata ad un dispositivo elettromeccanico chiamato pressostato, che consente il
corretto funzionamento dell’emodializzatore solo quando l’acqua in ingresso ha pressioni comprese tra
2bar e 5bar. L’acqua viene poi inviata ad un riduttore di pressione (poiché l’acqua prelevata dalla rete idrica
ha una pressione troppo grande) e successivamente raccolta in un dispositivo chiamato bicchiere, formato
da due cilindri concentrici. L’acqua si trova inizialmente nel cilindro più interno. Qui la sua temperatura
viene portata ad un certo valore fissato grazie alla presenza di un riscaldatore. L’acqua viene anche
ventilata per mezzo di un tubo di ventilazione con filtro antibatterico. L’attivazione di una particolare
pompa permette di prelevare l’acqua dal cilindro interno del bicchiere ed inviarla, tramite una strozzatura,
verso quello più esterno (operazione di degassificazione). L’acqua passa poi per una elettrovalvola di
ingresso con interruttore a galleggiante, che interrompe l’accesso all’acqua nel momento in cui il livello di
liquido nel cilindro esterno del bicchiere è troppo elevato. L’acqua riscaldata e degassata viene inviata ad
una pompa peristaltica rotatoria collegata con un flussimetro ad U, il quale pilota la pompa precedente in
modo che questa eroghi un flusso costante e pari a quello selezionato.

La diluizione del concentrato con l’acqua tratta avviene all’interno di un miscelatore: esso si compone di
due tubicini di ingresso, tramite i quali vengono introdotti l’acqua ed il concentrato. I due elementi si
miscelano lungo un sistema a serpentine ed all’uscita si ottiene un composto costituito per trenta parti da
acqua e per una parte da dialisato. I flussi di acqua e di concentrato vengono regolati mediante pompe
peristaltiche, che garantiscono che la portata di acqua sia trenta volte maggiore a quella del concentrato.

Dopo il miscelatore troviamo due celle munite di un conducimetro. L’acqua trattata è caratterizzata da una
conducibilità elettrica molto bassa che però aumenta quando introduciamo le specie ioniche necessarie per
formare il liquido dialisato. Note le caratteristiche del concentrato di dialisi, si può prevedere quale sarà la
conducibilità finale del dialisato quando questo è preparato in modo opportuno. Il liquido dialisato deve

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presentare una conducibilità dei µS o massimo dei mS. La seconda cella conducimetrica serve a rilevare la
conducibilità del dialisato in caso di malfunzionamento della prima.

Il dialisato attraversa poi un misuratore di flusso differenziale che verifica, eccezion fatta per il caso
dell’ultrafiltrazione, che il flusso nel tubo di andata e quelle nel tubo di scarico siano uguali.

Nel caso di ultrafiltrazione il dialisato passa per un misuratore di pressione, il quale pilota una pompa
rotatoria in modo tale da determinare nel dialisato una pressione inferiore rispetto a quella sanguigna.

Può capitare che la membrana semi-permeabile si danneggi durante i processi di ultrafiltrazione e che parte
del sangue passi nel dialisato. Per questo motivo, prima di uscire dal filtro, il dialisato passa attraverso un
emettitore di luce,in genere verde. Se nel dialisato è presente del sangue, il liquido assumerebbe una
colorazione rossastra che impedisce il passaggio della luce verde. Se il valore di luce rilevato da un apposito
ricevitore è inferiore ad un valore soglia, viene emesso un segnale di allarma

Per assicurare che non solo la conducibilità, ma anche la composizione del liquido dialisato siano corrette,
la normativa prevede che, prima di ogni seduta di dialisi, venga prelevato un campione di dialisato di cui
viene analizzata la concentrazione ionica per mezzo di uno spettroscopio. Se la concentrazione delle specie
ioniche nel dialisato fosse troppo grande, si avrebbe diffusione delle stessa dal dialisato al sangue,
causando effetti gravi. Viceversa, una concentrazione delle specie ioniche troppo alta nel dialisato
determinerebbe una diffusione delle stesse dal sangue verso il dialisato, fenomeno che può portare ad
emolisi dei globuli rossi.

Dopo aver impiegato l’emodializzatore e prima del suo successivo utilizzo, è necessario provvedere ad una
sterilizzazione. Nel circuito dove in genere scorre il dialisato viene fatto scorrere un liquido contenente, ad
esempio, ipoclorito di sodio. Finita la sterilizzazione si procede ad una fase di lavaggio ad acqua non
degassata per eliminare i residui di liquido di sterilizzazione.

Il circuito extracorporeo preleva il sangue dal paziente per mezzo di una pompa, calibrata in modo da
evitare il danneggiamento dei globuli rossi. Quando il sangue viene rimesso in circolo questo passa per un
filtro meccanico anti-trombo, che impedisce l’accesso ad eventuali trombi di grandi dimensioni formatisi
durante il processo di dialisi. I trombi più piccoli sono rilevati per mezzo di un emettitore di luce rossa. I
trombi sono opachi a questo tipo di luce e, se i ricevitori di luce rileva una luce inferiore ad un valore di
soglia, viene emesso un segnale di allarme. Allo stesso modo vengono rilevate anche eventuali bolle d’aria
nel flusso ematico, che devono essere eliminate prima della rimessa in circolo del sangue.

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