De Vico - Storia Generale Del Regno Di Sardegna

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SCRITTORI SARDI

Opera pubblicata con il contributo della Regione Autonoma della Sardegna


Assessorato della Pubblica Istruzione, Beni Culturali,
Informazione, Spettacolo e Sport
FRANCISCO DE VICO

HISTORIA GENERAL
DE LA ISLA Y REYNO DE SARDEÑA

a cura di
Francesco Manconi

edizione di
Marta Galiñanes Gallén

CENTRO DI STUDI FILOLOGICI SARDI / CUEC


SCRITTORI SARDI

coordinamento editoriale
CENTRO DI STUDI FILOLOGICI SARDI / CUEC

Francisco De Vico
Historia general de la Isla y Reyno de Sardeña
dividida in siete partes
ISBN 88-8467-192-2

Historia general de la Isla y Reyno de Sardeña - Primera parte

ISBN 88-8467-193-0
CUEC EDITRICE © 2004
prima edizione maggio 2004

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Stampa Grafiche Ghiani, Monastir (Ca)
FRANCESCO MANCONI

Storia di un libro di storia

1. Il bisogno di una storia patria

«Nacen cada día libros sin número de Historias de Ciuda-


des, de Iglesias, de Religiones, de Reinos, en que no se lee
casi otra cosa, que orígenes fabulosos, Apóstoles, i Predica-
dores de la Fe supuestos, Mártires traídos de tierras mui
distantes a ennoblecer falsamente la tierra que no tuvieron
por madre; Antigüedades, mal inventadas, o ridículas: que
si los limpiassen destas Fabulas, quedarían ceñidos a mui
pocas hojas. No ai Lugar en España por corto, i obscuro
que sea, que ya no piense en hacer propia Historia con los
materiales que halla en esta mina recién descubierta, i
copiosíssima, de estrañezas, i novedades. Con el número de
Escritores, i libros, que todos leen, i no todos con la reser-
va, i juicio que devieran, se va esforzando deste modo el cré-
dito destos Autores, que en pocos años podría parecer
impiedad, i argüirse como tal, el contradecirlos»1. La severa
requisitoria, contenuta nell’opera Censuras de historias fabu-
losas, è dello storico spagnolo Nicolás Antonio. Verso la
metà del Seicento Antonio denuncia principalmente i falla-
ci falsos cronicones; ma, più in generale, pone in discussione
la concezione esaltatoria di quella storia patria, spesso con-
traffatta, che si era affermata fra Cinque e Seicento nella
penisola iberica.
La febbre “patriottica” che assale in quel tempo gli spa-
gnoli, ma non solo gli spagnoli, determina la pubblicazione

1
NICOLÁS ANTONIO, Censuras de historias fabulosas. Obra posthuma,
Valencia, 1742, p. 4.
VIII FRANCESCO MANCONI

di molte storie nazionali e di uno strabiliante numero di


storie di città, in cui le manipolazioni dolose degli avveni-
menti prevalgono sul rigore e sull’obbiettività dell’analisi
storiografica2. Sono le passioni ideologiche, le faziosità cit-
tadine, le animosità e i personalismi di gruppi e di singoli a
dettare le contraffazioni. Vantare una storia della propria
città il più possibile antica e famosa, proporla come supe-
riore a quella degli altri, è il tratto comune che contraddi-
stingue buona parte di questa produzione storiografica di
valore diseguale. Non importa se la ricostruzione delle
vicende più remote è fondata su elementi dubbi o fantasti-
ci o addirittura su manipolazioni più o meno patenti: ciò
che conta è sostenere un mito di fondazione, alimentare
una certa fama, ricostruire fasti collettivi, in modo che l’e-
saltazione dei valori comunitari ricada beneficamente sui
singoli.
La pubblicazione di molte monografie a carattere locale
scaturisce appunto dal tenace sentimento dei loro autori
d’appartenenza ad una comunità. Un sentimento comples-
so e sfaccettato, che solitamente s’innerva nelle contrappo-
sizioni regionalistiche o municipalistiche, ma che trae
anche linfa dalle velleità genealogiche, dalle credenze reli-
giose o dalle solite passioni dell’uomo spagnolo per l’onore,
la fama, la purezza di sangue. In ogni caso, a fare aggio sulla
verità storica sono il bisogno d’affermare un primato e la
ricerca spasmodica di un’identità singolare e straordinaria
della collettività urbana o regionale3. Le ricostruzioni fanta-
stiche poste in essere con tanta profusione fra Cinque e Sei-

2
SANTIAGO QUESADA, La idea de ciudad en la cultura hispana de la edad
moderna, Barcelona, 1992, pp. 7-9.
3
JOSÉ CEPEDA ADÁN, La historiografía, in Historia de España Menéndez
Pidal, t. XXVI, Madrid, 1988, vol. I, p. 257; S. QUESADA, La idea de ciu-
dad cit., pp. 59-63.
Introduzione IX

cento riguardano livelli diversi della cultura del tempo:


diversi per i contenuti, per le finalità, per i fruitori.
Il successo che i falsi storiografici hanno presso l’opinio-
ne pubblica spagnola è straordinario. Ha scritto Godoy
Alcántara che «realmente la popolarità dei cronicones era
incontrastabile, e non si poteva andare contro senza espor-
si a pregiudizi, fastidi e dispiaceri»4. Ma questo genere sto-
riografico non s’impone solo in Spagna. Anche gli italiani
«si lasciarono abbagliare dalla luce di sì gran nomi e – scri-
ve Tiraboschi – crederon gemme di gran valore que’ libri; e
singolarmente gli storici di alcune Città e Provincie parti-
colari d’Italia furon lietissimi di ritrovarvi il fondamento
della lor gloria nell’antichissima origine, che alle lor patrie
si assignava da que’ classici e infallibili Autori»5.
Il riferimento è all’opera di Annio da Viterbo (il frate
domenicano Giovanni Nanni), il più celebre dei falsificato-
ri italiani. A Roma Annio fa carriera all’ombra del papa Ales-
sandro VI6. Come accadeva spesso ai poligrafi bisognosi,
Nanni era legato agli spagnoli Borja da un rapporto cliente-
lare. Per questo nella sua opera, scritta su commissione,
riserva un largo spazio alla storia di Spagna e alla celebrazio-
ne dei fasti genealogici della casata di papa Borja7. All’inter-

4
JOSÉ GODOY ALCÁNTARA, Historia crítica de los Falsos Cronicones,
Madrid, 19812, p. 257.
5
GIROLAMO TIRABOSCHI, Storia della Letteratura italiana, Modena,
1776, lib. VI, cap. 2, p. 16. Sulla storiografia italiana secentesca cfr. SER-
GIO BERTELLI, Storiografi, eruditi, antiquari e politici, in Storia della lette-
ratura italiana, dir. Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, vol. V Il Seicen-
to, Milano, 1967, pp. 319-414.
6
THOMAS J. DANDELET, La Roma española (1500-1700), Barcelona,
2002, p. 39 ss.
7
ROBERTO WEISS, Traccia per una biografia di Annio da Viterbo, in «Ita-
lia Medievale e Umanistica», 5, 1962, pp. 425-441; ANTHONY GRAF-
TON, Invention of Tradition and Traditions of Invention in Renaissance
Europe: The Strange Case of Annius of Viterbo, in The Transmission of Cul-
X FRANCESCO MANCONI

no delle Antiquitates, pubblicate nel 1498 e dedicate ai Re


Cattolici, Annio inserisce abilmente un suo falso che attri-
buisce, per renderlo credibile, a Beroso (un autore caldeo
che opera realmente intorno al 290 d.C., citato da Plinio il
Vecchio e ritenuto perciò degno di credito). In quello scrit-
to, che verrà negli anni a venire utilizzato largamente dalla
storiografia italiana e spagnola, Annio individua nel nipote
di Noè, Tubal, figlio di Japhet, il fondatore della Spagna nel-
l’anno 143 dal Diluvio, 637 prima della fondazione di Troia
e 2174 prima di Cristo. Non basta: un discendente di Tubal,
uno dei ventiquattro re della Spagna primitiva, Ercole Libio,
antenato della casa d’Austria, personaggio molto più antico
e prestigioso dell’Eracle greco, fonda diverse città spagnole
(Siviglia, Cadice, Urgel, Vich, Tarazona, Barcellona, ecc.).
Tutto questo l’Ercole africano lo farà prima di recarsi in altri
paesi europei (in Italia, in Gallia e in Germania) e prima di
fondare Troia8. La storia di Ercole Libio, descritta nel falso
attribuito a Beroso, ci interessa da vicino perché la ritrovere-
mo nell’opera di Vico che attribuirà al personaggio un ruolo
di protagonista delle origini della Sardegna.
Presso la cultura storica spagnola del XVI e XVII secolo
notevole è la fortuna di Annio da Viterbo e il suo metodo
storiografico trova numerosi seguaci. La creazione di miti di
fondazione di città e di nazioni, la ricostruzione fantastica
di genealogie che risalgono alla notte dei tempi rispondono
ad una domanda diffusa di ascendenze illustri e di antichis-
simi eventi gloriosi. Più la ricostruzione delle origini di un
casato o di una città risale indietro nel tempo, meglio è.
Non aveva fatto così Annio quando aveva fatto discendere

ture in Early Modern Europe, ed. Anthony Grafton and Ann Blair, Phila-
delphia, 1990, pp. 8-38.
8
JULIO CARO BAROJA, Las falsificaciones de la Historia (en relación con la
de España), Barcelona, 1992, p. 45 ss.; ROBERTO BIZZOCCHI, Genealogie
incredibili. Scritti di storia nell’Europa moderna, Bologna, 1995, p. 264.
Introduzione XI

i Borja direttamente da Iside e da Osiride? L’ideale è trova-


re legami con i maggiori protagonisti della Bibbia e della
grande mitologia9. Attribuire origini antiche e leggendarie a
famiglie ed a comunità urbane e nazionali è, dunque, un’e-
sigenza che prende piede in Spagna. Seguendo la lezione di
Annio si tenta d’accreditare una priorità culturale dei popo-
li iberici sugli altri europei; ai sovrani si attribuiscono ascen-
denze le più antiche e prestigiose, alla civiltà spagnola si
accredita un’antichità maggiore di quella greca e romana.
Quando i cronisti del Cinquecento dovranno enfatizzare
i destini imperiali della Monarchia degli Asburgo, ricostrui-
ranno la storia primitiva della penisola iberica appoggian-
dosi spesso al falso Beroso. Qualcuno, come Florián de
Ocampo nella sua opera Cinco libros primeros de la Crónica
general de España (una volgarizzazione in chiave favolosa
della storia ispanica, scritta a sostegno della causa imperiale
di Carlo V), lo parafraserà e lo amplierà10; altri, come
Ambrosio de Morales e Juan de Mariana, lo metteranno in
discussione postulando (specialmente il primo) il rigore
delle fonti storiche. Ma entrambi dovranno sempre fare i
conti con quelle falsificazioni che sono il portato ineludibi-
le della cultura del tempo. Si spiegano così certe prudenze
di giudizio del padre Mariana, il suo assoluto rispetto della
tradizione specialmente di quella religiosa (non si può
discutere la venuta dell’apostolo Giacomo in Spagna perché
urterebbe la devozione popolare), il suo rifiuto di ricono-
scere alcuni re spagnoli, ma in pari tempo la disponibilità
ad accreditarne alcuni altri non meno leggendari. Disprez-

9
ROBERT BRIAN TATE, Mithology in Spanish Historiography of the Middle
Ages and Renaissance, in «Hispanic Review», XXII, 1954, pp. 11-13;
AUGUSTIN REDONDO, Légendes généalogiques et parentés fictives en Espa-
gne, au siècle d’or, in Les parentés fictives en Espagne (XVIe-XVIIe siècles), a
cura di Augustin Redondo, Paris, 1988, pp. 15-35; R. BIZZOCCHI,
Genealogie incredibili cit., pp. 26-43.
10
J. CARO BAROJA, Las falsificaciones cit., pp. 84 ss.
XII FRANCESCO MANCONI

za Beroso, il padre Mariana, ma ritiene autentici i falsi cro-


nicones di Flavio Marco Dextro, di Maximo e Eutrando che
sono opera del gesuita toledano Jerónimo Ramón de la
Higuera. Li utilizza, forse, perché trattano della cristianiz-
zazione della penisola iberica ad opera dell’apostolo Giaco-
mo. Intorno a questo grande tema della storia religiosa spa-
gnola, un topos della storia di Spagna, a partire dal Cinque-
cento si sviluppa un incessante lavorío falsificatorio, rivolto
ad attestare la predicazione giacobea nelle più importanti
città spagnole11.
Fra tutte le falsificazioni le più clamorose sono sicura-
mente quelle dei libros plúmbeos del Sacromonte di Grana-
da. Il caso nasce da forti motivazioni ideologiche e si inqua-
dra nella cultura religiosa e storiografica della Spagna del
tempo12. Si tratta dell’estremo tentativo della civiltà andalu-
sa, nella sua anima morisca, di colmare il vuoto di ottocen-
to anni di storia cristiana del regno di Granada per inte-
grarsi legittimamente nella società imposta dai Re Cattoli-
ci. Conviene fare qualche cenno a questi celebri falsi perché
esistono forti affinità con le invenciones dei cuerpos santos
che si verificheranno in Sardegna subito dopo e perché si
collocano nello stesso contesto culturale in cui viene conce-
pita la Historia general di Francisco Vico. Fra il 1595 e il
1599 nel monte di Granada vengono rinvenute a più ripre-
se diverse lamine di piombo, nelle quali sono incise lunghe
cronache, scritte alcune in arabo ed altre in latino. L’inten-
zione dei falsificatori, individuati nei conversos Miguel de

11
J. GODOY ALCÁNTARA, Historia crítica cit., passim; THOMAS KEN-
DRICK, Saint James in Spain, London, 1960.
12
Sul tema, oltre a Julio Caro Baroja e José Godoy Alcántara, cfr. CAR-
LOS ALONSO, Los apócrifos del Sacromonte (Granada). Estudio histórico,
Valladolid, 1979; MIGUEL JOSÉ HAGERTY, Los Libros Plúmbeos del Sacro-
monte, Madrid, 1980; ZÓTICO ROYO CAMPOS, Reliquias Martiriales y
Escudo del Sacro-Monte, Granada, 1995.
Introduzione XIII

Luna e Alonso de Castillo, è d’accreditare una sana e paci-


fica convivenza fra arabi e cristiani, dimostrando che Gra-
nada, una delle città più antiche di Spagna, era stata popo-
lata in tempi remotissimi non solo da popoli di origine
araba ma anche da cristiani di lingua spagnola ma di ascen-
denze arabe, come sono appunto gli inesistenti autori degli
apocrifi, un san Tesifón (o Ebnatar), discepolo di Santiago,
ed un san Cecilio (o Ebnelradí), vescovo di Granada. Nei
falsi libros plúmbeos l’esaltazione del culto dell’apostolo San-
tiago e della sua predicazione a Granada, gli elogi per gli
arabi e per la coesistenza fra cristiani e musulmani, addirit-
tura la tesi della compenetrazione delle due civiltà si accom-
pagnano ad una fantasiosa ricostruzione storica della pre-
senza dei discepoli dell’apostolo, i quali col loro martirio
nobilitano ed in sostanza “redimono” il luogo da secoli d’as-
senza della tradizione cristiana. Accanto alle lamine di
piombo vengono rinvenuti, manco a dirlo, i resti dei pre-
sunti martiri. Subito vengono attestati miracoli, molti
hanno visioni di luci celestiali, altri percepiscono l’emana-
zione di odori fragranti dai resti mortali dei santi. In un
ambiente disposto alla credulità, l’euforia è generale, il
clima – scrive Hagerty – è di “santa expectación”. In poco
tempo il monte comincia a popolarsi di migliaia di croci; in
segno di devozione processioni di moltitudini di fedeli, di
ordini religiosi, di cofradías, di parrocchie e congregazioni si
susseguono al suono di musici e di canti. A quel punto la
“consacrazione” popolare del luogo è avvenuta, per cui la
falsificazione appare talmente verosimile da divenire in
breve un’inconfutabile verità. Difensori dell’autenticità di
quei ritrovamenti si ritrovano ai massimi livelli della pira-
mide sociale: sono il re Filippo II, gran collezionista di reli-
quie; il Consejo di Castiglia e personaggi di primo piano
della Chiesa spagnola come il cardinale Fernando Niño de
Guevara, lo storico falsario Román de la Higuera che si
affretta a pubblicare una Defensa de las reliquias del Sacro
XIV FRANCESCO MANCONI

Monte de Granada, e – ovviamente – l’arcivescovo della


città13. All’inizio del Seicento costui vince la sua battaglia
per la qualificazione delle reliquie. Ma subito dopo l’auten-
ticità dei piombi viene posta fortemente in discussione. La
stessa predicazione giacobea in Spagna, che costituisce il
nucleo fondamentale della falsificazione granadina, viene
negata a Roma da un’autorità indiscussa come Cesare Baro-
nio14. La storia, assai lunga e complicata, coinvolge Roma e
Madrid ai massimi livelli e durerà praticamente per tutto il
Seicento fino alla definitiva condanna nel 1682 degli apo-
crifi del Sacromonte15.
Ma com’è che l’inganno viene scoperto dopo quasi un
secolo? Com’è che persino le più alte gerarchie ecclesiasti-
che romane per tanto tempo esitano a pronunciarsi, sebbe-
ne da subito fossero stati avanzati fortissimi argomenti circa
la falsità dei libros? È che in tempi di Controriforma il dub-
bio e l’incredulità sono esercizi mentali praticati con molta
prudenza. Spesso, per convenienze politiche e per sottili
opportunismi, il bisogno di sacro fa aggio sulla verità stori-
ca. Per i cristianos viejos granadini il passaggio di Santiago a
Granada e la presenza in città di san Cecilio come primo
vescovo risulta un elemento fondamentale per partecipare a
pieno titolo dell’unità spagnola che si era realizzata con i Re
Cattolici. D’altro canto anche per i moriscos della città (che
sono la maggioranza della popolazione) la notizia che il
primo vescovo di Granada fosse stato arabo era d’impor-
tanza estrema, quasi vitale, per la loro tranquilla sopravvi-
venza in un contesto politico radicalmente cristianizzato.
C’è dunque un’ampia convergenza d’interessi, che la Chie-

13
MIGUEL L. LÓPEZ MUÑOZ, Estudio preliminar a Z. ROYO CAMPOS,
Reliquias Martiriales cit., p. XXIII.
14
ZACARÍAS GARCÍA VILLADA, Historia eclesiástica de España, vol. I, t. 1,
Madrid, 1929, pp. 30-41.
15
C. ALONSO, Los apócrifos del Sacromonte cit., p. 160 ss.
Introduzione XV

sa locale non solo accetta ma contribuisce sapientemente a


costruire. Insomma, i responsabili materiali della falsifica-
zione operano fra complicità diffuse, tutti mirano a trarre
vantaggi politici dall’impostura. Come ha scritto Hagerty,
«a Granada c’era un forte desiderio di credere e di ricreare
il proprio passato, di riempire il vuoto islamico di otto seco-
li»16.
Il caso dei piombi del Sacromonte è tutt’altro che isolato.
S’inserisce in quel clima di fervido rinnovamento della fede
e di ritorno al cristianesimo delle origini che si contrappo-
ne alle degenerazioni dell’età moderna. In Spagna come in
Italia lievita l’interesse per le antichità cristiane e il culto dei
martiri diviene qualcosa di più d’un semplice fatto devo-
zionale. La ricerca e il collezionismo delle reliquie hanno
uno sviluppo incontenibile: si moltiplicano gli scavi in aree
cimiteriali ed il commercio dei reperti assume proporzioni
incontrollabili da parte delle gerarchie ecclesiastiche. I luo-
ghi di sepoltura delle città – specialmente della Roma del
Cinque-Seicento – divengono inesauribili depositi di corpi
di martiri proto-cristiani17. A poco servono le voci in con-
trotendenza di personaggi come il padre Mariana che in
Spagna denuncia l’attitudine dei suoi connazionali a rinve-
nire – e ad inventare – sempre nuove reliquie e a praticarne
un commercio simoniaco18.

16
M. J. HAGERTY, Los Libros Plúmbeos cit., p. 27.
17
Sugli scavi romani, cfr. ANTONIO BOSIO, Roma sotterranea opera postu-
ma di A. B. romano, Roma, 1634; N. PARISE, Bosio Antonio, in Diziona-
rio biografico degli Italiani, ad vocem. In generale, cfr. JOSÉ LUIS BOUZA
ALVAREZ, Religiosidad contrarreformista y cultura simbólica del Barroco,
Madrid, 1990; GIANVITTORIO SIGNOROTTO, Cercatori di reliquie, in
«Rivista di Storia e Letteratura religiosa», 1985, n° 3, pp. 383-418.
18
J. L. BOUZA ALVAREZ, Religiosidad contrarreformista cit., pp. 109-111.
Anche in Sardegna vi sono gli increduli circa l’autenticità di alcune reli-
quie rinvenute negli anni 1614-16: uno di essi è GERÓNIMO BRUNO, che
in un breve studio rimasto inedito muove forti critiche alle scoperte pro-
XVI FRANCESCO MANCONI

Il fervore controriformista non può non toccare anche la


Sardegna, una provincia della Monarchia spagnola che si
caratterizza nel Seicento per una piena omologazione alla
cultura castigliana19. Le invenciones dei “corpi santi” che
hanno luogo nell’isola fra il 1614 e il 1616 s’inquadrano
pienamente in quel contesto culturale di fervente religio-
sità; ma in pari tempo, travalicando la sfera religiosa, ven-
gono strumentalizzate per rinfocolare le annose diatribe
municipalistiche che dilaniano la società sarda. La vertenza
sul primato ecclesiastico da tempo in atto fra le due arci-
diocesi di Cagliari e Sassari è solo un aspetto di una più
complessa contesa municipale, che riguarda il primato poli-
tico, la difesa di preminenze e prerogative, la ricerca conti-
nua di conferme e di ampliamenti del corpo dei privilegi
municipali. Gli equilibri di potere fra le élites, le opportu-
nità di promozione individuale e collettiva, la centralità
della città come luogo di controllo territoriale e d’attrazio-
ne demografica ed economica dipendono dal peso politico
che la comunità urbana ha saputo conquistarsi nel contesto
regionale. Insomma, fra Cinque e Seicento sassaresi e
cagliaritani ritengono che siano in giuoco le sorti dell’auto-
nomia municipale, ossia l’esercizio stesso della potestà
decentrata nella provincia sarda. Per questo in tutte le sedi
del potere nobili, ecclesiastici, letrados, consellers municipali

mosse dall’arcivescovo Esquivel, ritenute non degne di fede per l’inat-


tendibilità di iscrizioni funerarie contraffatte dai contemporanei. Bruno
solleva forti dubbi anche sul ritrovamento del corpo di S. Lucifero, cer-
cato per ragioni politiche e identificato secondo criteri approssimativi
(De reliquis Sardiniae anno domini MDCXIV, MDCXV, MDCXVI inven-
tis Hieronymi Bruni opinio, ms. in Biblioteca Universitaria di Cagliari,
Monumenta Sardiniae, a cura di Gian Paolo Nurra, fol. 25-38).
19
FRANCESCO MANCONI, The Kingdom of Sardinia, a Province torn
between Catalonia, Castile and Italy, in Spain in Early Modern Italy: Poli-
tics and Society, eds. Thomas James Dandelet and John A. Marino, Lei-
den, 2004 (in corso di pubblicazione).
Introduzione XVII

dell’una e dell’altra parte saranno coinvolti in un’accesa


quanto logorante contesa municipalistica20.
Nei primi decenni del Seicento la partita pare avviata alla
conclusione con la prevalenza di Cagliari, in virtù dei privi-
legi che le derivano dal riconoscimento di fatto del ruolo di
capitale del regno. La questione della capitale, appunto,
resta il nocciolo duro della disputa (specialmente in sede
parlamentare) perché è su questo riconoscimento che si
fonda non solo il prestigio politico della città e la salva-
guardia della consuetudine giuridica, ma anche la conces-
sione futura di privilegi collettivi e individuali, nonché la
distribuzione della gracia real che vuole dire titoli, preben-
de, stipendi e carriere21.
La controversia, condotta senza esclusione di colpi a
Madrid come in Sardegna, raggiunge il culmine quando
Sassari può efficacemente contrastare la città rivale gettan-

20
Sulla storia della rivalità politica fra Cagliari e Sassari manca una ricer-
ca che dia conto del fenomeno in tutta la sua complessità. Sul tema del
primato ecclesiastico (per il quale rinvio al testo e alla bibliografia di RAI-
MONDO TURTAS, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila,
Roma, 1999, pp. 374-382) mi limito ad osservare che la diatriba aveva
una valenza prevalentemente politica. Sebbene a partire dal XII secolo
l’arcivescovo di Pisa fosse solito qualificarsi come primate di Sardegna,
mai la Santa Sede gli aveva conferito questo titolo. Roma aveva accorda-
to al presule pisano nel 1138 il titolo di primate della provincia ecclesia-
stica di Torres e nel 1176 anche quello, con diverso contenuto giuridico,
delle province d’Arborea e di Cagliari. In età moderna il titolo era stato
riesumato nella vuota formula di “primate di Sardegna e di Corsica” dal-
l’arcivescovo di Cagliari che se ne fregia sulla base di alcuni falsi docu-
mentari costruiti ad hoc. Per tutto il Cinquecento vane sono le proteste
presso la Santa Sede dei presuli sassaresi che contestano il primato caglia-
ritano, fintanto che ai primi del Seicento anche l’arcivescovo di Sassari
Andreu Bacallar non si autoattribuisce lo stesso titolo, privo di contenu-
to giuridico ma carico di significati culturali e politici.
21
Per un raffronto col caso siciliano, cfr. FRANCESCO BENIGNO, La que-
stione della capitale: lotta politica e rappresentanza degli interessi nella Sici-
lia del Seicento, in «Società e storia», n. 47, 1990, pp. 27-63.
XVIII FRANCESCO MANCONI

do sul piatto della bilancia il peso politico conquistato da


Francisco Ángel Vico y Artea.
L’ascesa burocratica del sassarese Vico risulta sorprenden-
temente rapida per un letrado di provincia. In un breve vol-
gere d’anni passerà da giudice togato della reale governación
di Sassari alla audiencia di Sardegna per poi fare il grande
salto e coprire la plaza di regente per la Sardegna nel Consi-
glio Supremo d’Aragona22. Intorno a Vico, che a corte saprà
conquistarsi uno straordinario credito politico, si coalizza-
no nella provincia sarda molti interessi che vanno oltre gli
angusti ambiti municipali e superano persino le barriere di
ceto e di abito23. Sono gli interessi forti di una consorteria
assai allargata che si aggrega e si sostiene in virtù di un siste-
ma di patronage che conta, appunto, sulla mediazione del
regente sardo. Quando l’attribuzione delle plazas del regno,
sia civili che ecclesiastiche, finisce per passare al vaglio del
regente sassarese la gracia real risulta sempre più spesso squi-
librata a favore di Sassari e dei suoi alleati. Scriverà di lì a
qualche anno il padre Jorge Aleo, cagliaritano, che «non fu
minore l’impegno che Vico profuse nell’aiutare e favorire i
suoi concittadini. Fino a quando visse e ricoprì la carica di
Regente fece sempre in modo di preferire ed anteporre i Sas-
saresi quando si trattava di coprire posti vacanti sia nelle
dignità ecclesiastiche che nei ruoli di governo e nelle altre

22
Per una prima traccia della biografia di Vico cfr. FRANCESCO MANCO-
NI, Un letrado sassarese al servizio della Monarchia ispanica. Appunti per
una biografia di Francisco Ángel Vico y Artea, in Sardegna, Spagna, Medi-
terraneo dai Re Cattolici al Secolo d’Oro, a cura di Bruno Anatra e Gio-
vanni Murgia, Roma, 2004.
23
D’altronde lo stesso Vico si colloca socialmente a cavallo fra nobiltà di
toga e di spada dopo la concessione di un privilegio militare per i servi-
gi resi alla Monarchia durante il parlamento Gandía del 1614 (Archivo
de la Corona de Aragón (ACA), Real Cancillería, reg. 4918, Privilegium
militaris in favorem Doctoris Francisci Angeli Vico Artea naturalis Regni
Sardiniae, fol. 66).
Introduzione XIX

plazas de paz y de guerra. Mai i Sassaresi erano stati favoriti


in tale maniera e mai avevano occupato in tale numero e
nello stesso tempo le dignità e le altre cariche del Regno»24.
Il potere personale acquisito da Vico è sicuramente l’arma
migliore di cui dispongono i sassaresi, ma insufficiente per
risolvere a loro favore una disputa annosa che ha luogo pre-
valentemente negli ambiti curiali romani e madrileni. È lì,
a Roma e a Madrid, che si accumulano da tempo apunta-
mientos e memoriales più o meno documentati e convincen-
ti per sostenere il primato ecclesiastico, mentre in Sardegna
la conflittualità politica a tutto campo va assumendo toni
particolarmente acuti. È appunto negli anni venti-trenta
del Seicento che si fa largo fra le élites sarde la consapevo-
lezza che il problema del primato è problema culturale,
morale e politico ad un tempo. Nel vasto mondo della
Monarchia ispanica, di cui la Sardegna è parte, le sorti delle
collettività politiche dipendono sempre più dalle idee, dai
sentimenti e dalle credenze dei governati, non meno che
dalle istituzioni di governo. Per questo modellare le menta-
lità attraverso la costruzione di una memoria storica collet-
tiva è divenuto ovunque un percorso obbligato per definire
o per rinvigorire una società politica o un gruppo sociale25.
Vico è consapevole della natura ideologica del discorso
storiografico e acutamente coglie la necessità di porre in
relazione pratica politica e analisi storica. Bisogna che la
contesa assuma una caratterizzazione politica più ampia,

24
JORGE ALEO, Storia cronologica e veridica dell’Isola e Regno di Sardegna
dall’anno 1637 all’anno 1672, a cura di Francesco Manconi, Nuoro,
1998, pp. 121-122 (cito dalla versione italiana del manoscritto Historia
chronológica y verdadera de todos los successos y casos particulares succedidos
en la Isla y Reyno de Sardeña del año 1637 al año 1672).
25
ROBERT BRIAN TATE, El cronista castellano durante el siglo XV, in Home-
naje a Pedro Sainz Rodríguez. III Estudios históricos, Madrid, 1986, p.
659.
XX FRANCESCO MANCONI

che faccia forza su un’opinione pubblica il più possibile


allargata e cosciente del proprio passato collettivo. Si fa stra-
da così nel letrado Vico, nell’uomo di diritto, l’idea di farsi
storico. In conformità alla cultura spagnola del tempo che
gli offre innumerevoli modelli, la sua riscrittura della storia
regionale è strumentale alla disputa politica fra le due città.
Rendere la patria “gloriosa” (ovviamente, la “sua” patria)
è la nuova parola d’ordine di Vico. E quale argomento
migliore per magnificare la “gloria” di una città che il recu-
pero della sua storia religiosa? Celebrare i santi locali, riva-
lutarne le esemplari vicende misconosciute, riproporre le
reliquie al culto dei fedeli risulta il modo migliore per rac-
cogliere adesioni e per far lievitare passioni collettive nei più
diversi strati sociali. Non è un caso che i primi scavi nella
basilica di Torres siano dei primi di maggio del 1614. Si è
appena concluso il parlamento del duca di Gandía che ha
fatto registrare qualche esito positivo per la rete di potere
sassarese contrapposta a quella cagliaritana26. Vico è stato
particolarmente attivo in parlamento ed è cresciuto nella
considerazione del viceré. È il momento, per i sassaresi, per
battere il ferro ancora caldo, per riequilibrare le sorti della
città da tempo vacillanti di fronte ai periodici sopravvanza-
menti di Cagliari nella sfera politica, ecclesiastica e cultura-
le. Cagliari, sede di fatto del parlamento, del viceré e della
audiencia, fa segnare ormai vari punti a suo favore anche
nelle vertenze sul primato ecclesiastico e per il riconosci-
mento dell’università27.

26
GIAN GIACOMO ORTU, Centralismo e autonomia nella Sardegna di
Filippo III, in «Rivista storica italiana», a. CII (1990), fasc. II, pp. 302-
303; Il Parlamento del viceré Carlo de Borja duca di Gandía (1614), a cura
di Gian Giacomo Ortu, Cagliari, 1995.
27
A proposito della contesa per l’istituzione delle due università è oppor-
tuno precisare che Cagliari conquista qualche riconoscimento nel parla-
mento del conte de Elda (1602-03); ottiene poi il privilegio pontificio di
Introduzione XXI

Gli scavi di Torres sono promossi dall’arcivescovo di Sas-


sari Gavino Manca de Cedrelles e vengono effettuati sotto
la supervisione dei gesuiti sassaresi Jaime Pinto e Juan
Barba. Il rapido rinvenimento dei corpi dei tre martiri tur-
ritani Gavino, Proto e Gianuario, e subito dopo di altri
innumerevoli “corpi santi”, alimenta la fervida religiosità
dei sassaresi e del loro vescovo ed è l’occasione per grandi
manifestazioni pubbliche di devozione. Ma la presenza di
amministratori municipali, di autorità civili e di vari perso-
naggi direttamente coinvolti nella contesa municipalistica
lascia intendere come l’operazione archeologica non sia
destinata a rimanere confinata nell’ambito religioso e devo-
zionale ma debba assumere una chiara valenza politica.
Quei “corpi santi” costituiscono prove inequivocabili delle
prestigiose origini cristiane di Torres, per cui un lustro
enorme ricade sulla città di Sassari e sui suoi abitanti. Non
ci sono prove documentarie di un coinvolgimento diretto
di Vico e della sua rete di potere nell’iniziativa della Chiesa
sassarese, ma a nessuno può sfuggire l’uso politico che da
subito viene fatto delle invenciones28.

Paolo V nel 1607 e la formale fondazione regia soltanto nel 1620. Tutto
resta però sulla carta fino al 1626, quando a Cagliari iniziano a funzio-
nare tutte le facoltà universitarie. Sassari, invece, il cui collegio gesuitico
fin dal 1612 conferisce effettivamente i gradi accademici, dovrà attende-
re il 1632 per ottenere da Filippo IV la ampliación come università di
diritto regio (sull’argomento cfr. RAIMONDO TURTAS, La nascita dell’U-
niversità in Sardegna. La politica culturale dei sovrani spagnoli nella for-
mazione degli Atenei di Sassari e di Cagliari (1543-1632), Sassari, 1988;
Id., Scuola e Università in Sardegna tra ‘500 e ‘600, Sassari, 1995).
28
D’altronde le informazioni di cui disponiamo sui legami di parentela,
sulle relazioni interpersonali e sugli interessi di consorteria consentono di
delineare, seppure sommariamente, l’esistenza di una rete di rapporti fra
i protagonisti degli avvenimenti di quegli anni. Basta qualche esempio,
per chiarire. Vico è fortemente interessato alla promozione ad università
del collegio gesuitico di Sassari, di cui il padre Pinto è rettore; la posi-
zione filo-sassarese del rettore Pinto nelle contese religiose risulterà tal-
XXII FRANCESCO MANCONI

Nella relación de la invención dei martiri turritani che nel


1615 l’arcivescovo sassarese presenta a Filippo III viene
menzionata più volte, a sostegno dell’assunto della “antigua
christiandad” della città di Torres, una “historia de Serdeña”
di Francisco Ángel Vico29. Di lì a poco, nel 1619, anche il
padre Jaime Pinto, rettore del collegio gesuitico di Sassari e
protagonista degli scavi di Torres, citerà una “historia Sar-
diniae” di Vico nel primo volume della sua opera Christus
Crucifixus pubblicato a Lione nel 162430. Sono indizi, solo

mente scoperta che nel 1629 il preposito generale della Compagnia di


Gesù lo allontanerà dalla Sardegna assieme al rettore del collegio di
Cagliari Antíogo Carta, a causa di “desunión y parcialidades” che i due
avrebbero fomentato (R. TURTAS, Scuola e Università cit., p. 294). Il
padre Barba, sassarese, è parente di Francisco Basteliga, secretario del
Santo Officio, e di Antonio, tesoriere del real patrimonio che a Cagliari
verrà accusato d’essere un manutengolo del regente Vico. I due sono di
origine corsa (come i Vico) ed il loro cognome è precisamente Ornano
de Basteliga. Ornano è anche il cognome (poi modificato in Francisco)
di un’altra famiglia corsa trapiantata in Sardegna nel Quattrocento
(FRANCISCO DE VICO, Historia general de la Isla y Reyno de Sardeña , Bar-
celona, 1639, parte 5ª, cap. 35; Origen del Cavallerato y de la Nobleza de
varias Familias del Reyno de Cerdeña, manoscritto dell’Archivio Amat di
San Filippo, ediz. anastatica Cagliari, 1977), a cui appartiene la moglie
di Vico doña Gabriela Francisco Cedrelles. Cedrelles è anche il secondo
cognome dell’arcivescovo Gavino Manca, la cui casata è contigua a Vico
nelle lotte di fazione.
29
GAVINO MANCA DE CEDRELLES, Relación de la invención de los cuerpos
de los santos Mártires S. Gavino, san Proto, y san Ianuario, Patrones de la
Yglesia Metropolitana Turritana de Sácer en Serdeña, y de otros muchos que
se hallaron el año de 1614. La qual embía a su Magestad don Gavino
Manca Arçobispo Turritano de Sácer, dando cuenta de lo que se ha hallado
en aquella Yglesia, y de los milagros que Dios nuestro Señor obró por ellos,
Madrid, 1615.
30
JAIME PINTO, Christus Crucifixus: sive selectorum ex Scriptura universa
locorum in certas classes pro variis Christi titulis digestorum nova et accura-
ta discussio, Sacrorum Interpretum et Concionatorum usui accommodata,
Lugduni, 1624. Il secondo volume dell’opera verrà pubblicato a Lione
nel 1644.
Introduzione XXIII

indizi, che negli avvenimenti di quegli anni il ruolo del


letrado sassarese non sia stato del tutto marginale e che una
qualche influenza, se non altro culturale, Vico l’abbia eser-
citata.
Della “storia di Sardegna” citata da Manca e da Pinto non
si conosce alcun esemplare a stampa. Non vi è dubbio però
che fra il 1615 e il 1619 circoli un’opera storica di Vico,
presumibilmente manoscritta e destinata alla revisione e
all’ampliamento, forse un primo assaggio di quella Historia
general che il nostro pubblicherà nel 1639. Il disegno di
Vico di scrivere una storia dell’isola concepita come stru-
mento di propaganda politica viene, dunque, da lontano.
La circolazione di un suo libro de mano s’inquadra perfetta-
mente in una consuetudine culturale molto diffusa in quel
tempo: “corre manuscrito” il testo di Vico, magari diffuso
in diversi esemplari in modo che passi di mano in mano,
che venga letto discusso e divulgato, che faccia opinione,
che crei o rafforzi adesioni e convincimenti politici31.
Ma torniamo per un momento alla invención delle reli-
quie. Alla relación di Gavino Manca de Cedrelles se ne
aggiunge subito un’altra di Francisco Basteliga, secretario del
Santo Officio ed esponente della rete di potere sardo-corsa
collegata a Vico32. Nel suo scritto Bastelga (o Basteliga)
ripercorre sommariamente la vicenda della scoperta di una
“multitud” di corpi santi turritani, ponendo l’accento sulla
partecipazione corale dei sassaresi che si traduce in cerimo-

31
FERNANDO BOUZA, Comunicación, conocimiento y memoria en la
España de los siglos XVI y XVII, Salamanca, 1999; Id., Corre manuscrito.
Una historia cultural del Siglo de Oro, Madrid, 2001.
32
FRANCISCO BASTELGA, Relación sumaria, y verdadera, de todo lo que ha
sucedido, y de la multitud de cuerpos de Santos, que se han hallado en la Igle-
sia de san Gavino de Torres, que está situada, y plantada fuera de la Ciudad
de Sácer, distante della doze millas, junto al mar, y puerto de Torres de la
dicha Ciudad, azia la parte del sol se pone, en el Reyno de Cerdeña, Barce-
lona, 1615.
XXIV FRANCESCO MANCONI

nie devozionali di ordini religiosi e cofradías, in feste popo-


lari e cavalleresche, nella produzione di componimenti poe-
tici in onore dei martiri.
Gli avvenimenti sassaresi non potevano non suscitare
immediate reazioni a Cagliari. Dopo qualche mese è l’arci-
vescovo Francisco de Esquivel a replicare all’iniziativa dei
sassaresi e a promuovere scavi archeologici nell’area circo-
stante la basilica di S. Saturnino e nei dintorni della città,
fino ad interessare molti villaggi dell’interno dell’isola33. L’e-
sito è scontato: «desde s. Avendrás hasta Nuestra Señora de
Buenayre (que será trecho de dos muy largas millas) no hay
palmo de tierra en que cavando no se halle cuerpos, reli-
quias, o vestigios de santos Mártyres»; Cagliari è «un muy
grande cementerio de Mártyres»34. Anche Esquivel, dun-
que, può esaltare la straordinaria santità della sua sede epi-
scopale e darne conto in una relazione a stampa inviata nel
1619 al re Filippo III assieme ad un reliquiario dei corpi
santi cagliaritani35.
Nel novembre del 1618 le reliquie dei martiri erano state
trasferite dalla chiesa di san Lucifero nel nuovo santuario
costruito nella cattedrale di Cagliari. In quella circostanza è

33
Archivio diocesano di Cagliari, ms. 13: Actas originales sobre la inben-
ción de las reliquias de Santos que se hallaron en la Basílica de San Sador-
ro, y otras Iglesias, y Lugares de la Ciudad de Cáller, y su Diócesis; ms. 14:
Actas originales sobre la milagrosa inbención de las sagradas reliquias del glo-
rioso San Lucífero Arçobispo de Cáller. Sugli aspetti archeologici cfr.
DONATELLA MUREDDU, DONATELLA SALVI, GRETE STEFANI, Sancti innu-
merabiles. Scavi nella Cagliari del Seicento: testimonianze e verifiche, Ori-
stano, 1988, pp. 27-28.
34
Relación de la invención de los cuerpos santos, que en los años 1614, 1615,
y 1616, fueron hallados en varias Yglesias de la Ciudad de Cáller y su Arço-
bispado. A la M.C. del Rey don Philippe N.S. por don Francisco de Esqui-
vel Arçobispo de Cáller, y Primado de los Reynos de Sardeña, y Córsega,
Napoli, 1617, pp. 6-7.
35
Archivo Histórico Nacional (AHN), Consejos suprimidos, libro 2558,
Filippo III all’arcivescovo di Cagliari, 17 aprile 1619, fol. 60v.
Introduzione XXV

d’obbligo per i cagliaritani predisporre una cerimonia di


proporzioni grandiose che risulti straordinaria e memorabi-
le per il concorso della gente, per la solennità del rito, per
la fastosità degli apparati scenografici e simbolici, per la
partecipazione di tutta la cittadinanza unita nel giubilo alle
gerarchie laiche e religiose36.
Come a Sassari, dunque, più che a Sassari. Analoga la
condotta dei due prelati, analoghe le procedure cerimonia-
li, analoghe le pratiche propagandistiche, analoghe le rea-
zioni delle popolazioni, analogo il silenzio sui contrasti fra
la chiesa sassarese e la chiesa cagliaritana. Sono uomini di
fede e di cultura, i due arcivescovi, ma sono anche mossi da
forti passioni politiche. La ricerca e il culto delle reliquie
corrispondono al dettato del Concilio tridentino, ma non
vi è dubbio che la contesa per il primato ecclesiastico – per
quanto non se ne faccia mai menzione – induca a forzature
clamorose nell’autenticazione dei corpi santi. La diatriba
aveva ormai travalicato la dimensione religiosa e la campa-
gna di scavi alla ricerca di prove storiche e quindi di reliquie
di protomartiri scaturiva dalla necessità politica d’affermare
una superiore antichità e cristianità delle propria sede epi-
scopale.
I “furori” archeologici non sono, ovviamente, una prero-
gativa dei sardi. In tutto il mondo ispanico le “invenzioni”
(uso il termine nel doppio significato etimologico) deter-
minate da motivi religiosi sono frequenti e mirano ad avva-
lorare episodi della storia di Spagna dei primi tempi del cri-
stianesimo. Le storie edificanti di martirii e di manifesta-
zioni di fede purissima, le biografie miracolistiche, la mani-
polazione di documenti e le ricostruzioni fantasiose di fatti
concernenti persone e cose della massima rilevanza sono il

36
La descrizione della cerimonia è in SERAFÍN ESQUIRRO, Santuario de
Cáller, y verdadera historia de la invención de los Cuerpos Santos hallados
en la dicha Ciudad, y su Arçobispado, Cagliari, 1624.
XXVI FRANCESCO MANCONI

risultato di un incessante lavoro d’enfatizzazione della pro-


pria storia e d’esaltazione dei propri oggetti di culto. Sono
“pie” frodi, insomma, che mirano a precostituire una quan-
tità tanto sovrabbondante quanto sospetta di prove docu-
mentarie in un contesto culturale in cui un’ardente fede
religiosa e forti passioni patriottiche alimentano un dispre-
gio per la verità storica spinto fino alla finzione e all’ingan-
no37.
Augustin Redondo si è chiesto se gli spagnoli del XVI e
del XVII secolo abbiano creduto davvero ai miti relativi a
santi e città ed alle ricostruzioni fantasiose che contraffan-
no la visione storica della civiltà ispanica38. Non vi è dubbio
che in una società permeata dei valori della cristianità e
della romanità siano apparse comunque plausibili le indagi-
ni storiografiche che recuperano ed esaltano la tradizione
cristiana e le elaborazioni che si appoggiano all’autorità
degli autori classici. Inoltre la curiosità e il gusto per le
antigüedades d’età classica, la disposizione culturale verso il
mito e il trascendente, l’attitudine mentale alla simulazione
e alla strumentalizzazione politica degli uomini del tempo
favoriscono non poco una condivisione acritica delle mani-
polazioni storiografiche del tempo.

2. La Historia general, uno strumento propagandistico al ser-


vizio della causa politica di Sassari

Nel Seicento chi scrive di storia vuole concretamente susci-


tare l’interesse verso i valori identitari della propria comu-
nità (sia essa nazionale, regionale o cittadina), riconosciuta
come luogo d’appartenenza per nascita o per comunanza di
diritti e di costumi. L’asserzione di una conformidad de las

37
J. CARO BAROJA, Las falsificaciones cit., p. 190 ss.
38
A. REDONDO, Légendes généalogiques cit., p. 34.
Introduzione XXVII

costumbres è il messaggio ideologico che si intende trasmet-


tere nell’intento di sollecitare il lettore ad aderire ad una
comunione di valori e d’interessi. Bisogna, insomma, irro-
bustire la coscienza dell’identità affinché i cittadini non
rimangano estranei alla propria “patria”. In definitiva lo stu-
dio della storia serve per connotare la comunità attraverso il
suo passato e dimostrare la continuità della sua presenza
storica esaltando l’essenza del gruppo in quanto tale. Ma un
concetto così astratto, per affermarsi, deve innestarsi su
qualcosa di più concreto e palpabile come è il diffuso senti-
mento collettivo dell’onore (honor del pueblo) che si sovrap-
pone ai tradizionali valori dell’onore individuale e del pre-
stigio familiare. In questo modo «la vanidad nobiliaria de
las familias – ha scritto Godoy Alcántara – pasó a las ciu-
dades, y todas quisieron tener historia particular»39.
A questo punto, però, s’impone una domanda. La pub-
blicazione di una miriade di storie regionali e locali, che
rispecchiano le diversità dei popoli ispanici, non è in con-
trasto con l’idea secentesca di ricostruire una storia nazio-
nale che si fondi sul mito unitario di una Hispania antica
quanto il mondo e forte di una sua omogeneità millenaria?
La contraddizione è soltanto apparente, perché tutto si
regge coerentemente per quel sentimento di doppia appar-
tenenza che è proprio degli spagnoli del XVII secolo: la
coscienza e l’orgoglio d’essere partecipi dei grandi destini
della Monarchia ispanica si concilia perfettamente con l’at-
taccamento alla propria terra, individuata talvolta nel grup-
po etnico ma più spesso semplicemente nella città d’origi-
ne40. Non a caso il tratto caratterizzante della vita delle città

39
J. GODOY ALCÁNTARA, Historia crítica cit., p. 256.
40
In questo senso, JOHN H. ELLIOTT, Rivoluzione e continuità in Europa
nella prima età moderna, in Id., La Spagna e il suo mondo (1500-1700),
Torino, 1996, p. 151; MARIA JOSÉ RODRÍGUEZ SALGADO, Patriotismo y
política exterior en la España de Carlos V y Felipe II, in La proyección euro-
XXVIII FRANCESCO MANCONI

è l’autonomia, concepita e vissuta dai cittadini in un qua-


dro giuridico di privilegi municipali e personali, di partico-
larismi sempre correlati al valore della fidelidad al re.
Dunque le storie che abbracciano le vicende complessive
dei popoli ispanici rappresentano un tentativo di porre le basi
culturali dell’amalgama di una pluralità di regni, di provincie
e di popoli che hanno trovato la sintesi istituzionale nella
Monarchia degli Austria. Si vuole, insomma, disegnare l’u-
nità della nazione politica senza prevaricare la coscienza etni-
ca individuale. È per questo che quelle storie generali si inte-
grano perfettamente con le storie locali e congiuntamente
assicurano l’affermazione di un nuovo sentimento di comu-
nità in cui il valore della patria diviene un elemento d’inte-
grazione politica, talvolta persino un fattore di formazione di
una coscienza protonazionale41. Tuttavia la riduzione ad unità
delle storie delle provincie al fine d’ottenere un’armonia poli-
tica della Monarquía de los reinos non sempre risulta accetta-
bile. E non è accettata laddove la coscienza storica comunita-
ria esprime una più spiccata tendenza alle differenziazioni,
come nei casi dell’Aragona e della Catalogna42.
In generale è un vero e proprio modello storiografico ad
imporsi nel primo scorcio del Seicento, un modello in cui
si conciliano e si compenetrano l’accettazione dello stato
plurinazionale ricondotto ad unità nella persona del re e
l’attenzione ravvicinata per i valori particolaristici e per le

pea de la Monarquía hispánica, dir. Felipe Ruiz Martín, Madrid, 1996,


pp. 50-52.
41
JOSÉ ANTONIO MARAVALL, Estado moderno y mentalidad social (siglos
XV a XVII), Madrid, 1986, t. 1°, pp. 490-491; Id., Antiguos y modernos,
Madrid, 1986, pp. 399-400.
42
XAVIER TORRES, Nacions sense nacionalisme: Pàtria i patriotisme a l’Eu-
ropa de l’Antic Règim, in «Recerques», n° 28, 1994, pp. 83-89; Id., Pacti-
sme i patriotisme a la Catalunya de la Guerra dels Segadors, in «Recerques»,
n° 32, 1995, pp. 45-62; ANTONI SIMON I TARRÉS, Els orígens ideològics de
la revolució catalana de 1640, Barcelona, 1999, pp. 18-22.
Introduzione XXIX

tradizioni delle diverse componenti nazionali della Monar-


chia. In questo contesto culturale, di fedeltà duale alla
Monarchia e alla “patria” provinciale, si colloca anche la
Historia general de la Isla y Reyno de Sardeña43.
A firmare l’opera è Francisco Ángel Vico y Artea, regente
sardo nel Consiglio d’Aragona. Vico non è uno storico ma
un giudice togato che alla fine degli anni trenta è giunto al
culmine delle sua parabola politica. A Madrid, nel Supremo
d’Aragona, ha il delicato compito di curare i rapporti fra il
centro e la periferia sarda. In realtà, secondo l’accusa che gli
muovono i suoi nemici sardi, Vico è dedito alla cura degli
interessi della sua città e della consorteria che lo ha espres-
so più che alla salvaguardia degli interessi generali del regno
di Sardegna.
La pubblicazione di una historia general di Sardegna, con-
cepita da Vico come mero strumento di pressione e di pro-
paganda, s’inquadra perfettamente nel disegno dei sassaresi
di contrastare in ogni modo l’egemonia politica ed econo-
mica di Cagliari. In questo l’intrapresa di Vico non si disco-
sta per nulla dalla temperie politica del tempo e neppure
dalla spiccata tendenza regionalista della storiografia ispani-
ca. Ma la ricostruzione della storia “generale” del regno
sardo sembra guardare (ecco la singolarità di contenuto e di
metodo) non solo ai modelli di storia regionale della Coro-
na d’Aragona (come gli Anales di Jerónimo Zurita o le cro-

43
AGUSTÍ ALCOBERRO, La historiografía de la Corona de Aragón en el rei-
nado de Felipe II, in La sociedades ibéricas y el mar a finales del siglo XVI,
tomo 3° El área del Mediterráneo, Madrid, 1998, pp. 24-25. Sul tema
delle lealtà plurime (al re, alla provincia e alla città) nelle monarchie com-
posite, si veda JOHN H. ELLIOTT, Catalunya dins d’una Europa de monar-
quies compostes, in «Pedralbes», n° 13-I, 1993, pp. 11-24. Sulla fedeltà al
re, cfr. AURELIO MUSI, L’Italia dei Viceré. Integrazione e resistenza nel siste-
ma imperiale spagnolo, Cava de’ Tirreni, 2000, cap. VI.
XXX FRANCESCO MANCONI

nache d’Aragona degli Argensola44) ma anche, ambiziosa-


mente, alla Historia general de España del gesuita Juan de
Mariana, pubblicata a Toledo prima in latino nel 1592 e
poi in versione castigliana nel 160145. La storia del padre
Mariana prende in considerazione tutto il passato ispanico
fin dalle più remote origini e presenta un ampio spettro
tematico che va dalle origini favolose della penisola iberica,
ai personaggi illustri, agli avvenimenti capitali, alle lingue
parlate, alla geografia, alle tradizioni, ai lodatori che osser-
vano dall’esterno il mondo ispanico. La narrazione si basa
su fonti le più disparate come le cronache, i romances, le sto-
rie locali e, naturalmente, i testi classici; ma è costruita
anche su falsi, leggende e racconti fantastici. Della poca
attendibilità di queste fonti lo stesso autore è in qualche
misura consapevole, tanto da ammettere che «contentarnos
hemos con conjeturas», dobbiamo accontentarci di conget-
ture. Il difetto di una rigorosa selezione delle fonti e la com-
mistione di vero e di fantastico, se per un verso è un limite
storiografico dell’opera, appare un pregio per un altro. Alla
fine il proposito del gesuita spagnolo di scrivere una storia
di Spagna alla portata di tutti sembra pienamente realizza-
to. Un’opera a carattere divulgativo, tradotta per questo dal
latino in castigliano («volvíla en romance, muy fuera de lo
que al principio pensé, por la instancia continua que de

44
JERÓNIMO ZURITA Y CASTRO, Anales de la Corona de Aragón, Zaragoza,
1610; LUPERCIO LEONARDO DE ARGENSOLA, Información de los sucesos del
Reino de Aragón en los años 1590 y 1591 en que se advierte los yerros de
algunos autores, Madrid, 1808; Id., Declaración sumaria de la Historia de
Aragón para inteligencia de su mapa, Zaragoza, 1621; BARTOLOMÉ LEO-
NARDO DE ARGENSOLA, Primera parte de los Anales de Aragón que prosigue
los del Secretario Gerónimo Çurita, Zaragoza, 1630.
45
JUAN DE MARIANA, Historiae de rebus Hispaniae libri XX, Toleti, 1592;
Id., Historia general de España compuesta primero en latín, después buelta
en Castellano por Juan de Mariana, D.Theólogo, de la Compañía de Iesús,
Toledo, 1601.
Introduzione XXXI

diversas partes me hicieron sobre ello y por el poco conoci-


miento que de ordinario hoy tienen en España de la lengua
latina»), è il risultato finale della fatica di Mariana. Insom-
ma, un’opera che ambisce ad aprire nuovi orizzonti di
conoscenza storica, ma che si apprezza alla fine specialmen-
te come uno straordinario documento aderente ai valori
della società ispanica, che ne rispecchia le tradizioni, i
costumi nazionali, il sentire comune.
Il padre Mariana come modello metodologico e ideologi-
co, dunque. Ma sono anche altri i tratti in comune fra la
storia di Mariana e quella di Vico: l’uso della lingua casti-
gliana in funzione divulgativa, l’impianto pluritematico, il
taglio generalista (in verità, più millantato che reale). Se ne
differenzia invece per un certo affastellamento espositivo,
per il marcato sentimento localista – tutto filosassarese –
dell’autore, per la caratterizzazione panflettistica, per l’ec-
cessiva disinvoltura nell’azzardare congetture e nell’uso
delle fonti le meno attendibili. L’intento d’esaltare in ogni
momento la “patria” sassarese a discapito della rivale città di
Cagliari porta quasi sempre l’autore a piegare la verità sto-
rica agli interessi politici di parte. Segnate le opportune dif-
ferenze, va detto che l’opera firmata da Vico è, come la sto-
ria di Mariana per gli spagnoli, il portato dei tempi, lo spec-
chio dei sentimenti e delle passioni che muovono i sardi in
quella prima metà del Seicento.
Vedremo dopo come la historia di Sardegna, apparente-
mente disegnata come storia generale del regno, finisca per
scadere nella tendenziosità municipalistica più esasperata
rinfocolando nel contesto sardo polemiche già aspre ed
accalorate. Permeato da un forte sentimento localistico a
dimensione cittadina, il libro rappresenta un segnale (uno
dei tanti, ma certo fra i più evidenti) di quella disunione, di
quella insolidaridad común46 che in tutti i regni della Coro-
46
L’espressione è di J. CEPEDA ADÁN, La historiografía cit., p. 591.
XXXII FRANCESCO MANCONI

na ispanica alimenta tensioni interne, mina i delicati equi-


libri sociali, preannuncia i rovesci politici del tempo di
Filippo IV e di Carlo II.
Eppure l’enunciazione della lettera di presentazione del-
l’opera al re Filippo IV non lascia presagire che la historia di
Sardegna sia destinata a suscitare tante passioni e contrap-
posizioni nell’isola. L’autore della lettera, Pedro de Santia-
go, incaricato dal Consejo de Estado d’esaminare l’opera per
verificare se i suoi contenuti potessero originare contrasti
fra le città di Cagliari e Sassari47, scrive che Vico «intenta
solo dar crédito a su Patria, con dexarnos noticiosos de sus
blasones antiguos, valor de sus Ciudadanos, antigüedad, y
constancia en la Fe, y multitud de Santos, que gloriosa-
mente ha engendrado, siendo asilo de otros, que desterra-
dos de África se recogieron en ella»48. Sembra una delle
tante storie regionali il cui scopo è soltanto la celebrazione
della Sardegna o – letteralmente – la sua “difesa”. Secondo
Santiago, l’opera si sarebbe potuta intitolare, appunto, Sar-
deña defendida: difesa mediante la riscoperta della sua anti-
chità, della nobiltà delle sue origini, di una fede religiosa
costante ed ininterrotta, di una ridondante santità.
Anche un regno fra i più appartati del sistema imperiale
ispanico può, dunque, essere illustrato se vanta un passato
antico: perché l’antico è un valore positivo in quanto tale ed
i contemporanei possono beneficiarne per sostenere la loro
eccellenza e preminenza49. Secondo il topos tradizionale
della superiore virtù del passato, è importante che le rico-
struzioni storiche risalgano il più possibile indietro nel
tempo. Quando le fonti documentarie tacciono, si può fare

47
ACA, Consejo de Aragón (CdA), leg. 1094, consulta del Consejo de Esta-
do, 8 giugno 1638.
48
FRANCISCO DE VICO, Historia general de la Isla y Reyno de Sardeña, Bar-
celona, 1639, p. 4.
49
J. A. MARAVALL, Antiguos y modernos cit., pp. 285 e 415.
Introduzione XXXIII

ricorso alle corrispondenze nominali: i nomi possono costi-


tuire, con la loro forza significante, una prova altrettanto
convincente dell’origine di uomini e di cose50. Stabilire affi-
nità fra i nomi e le persone, costruire legami parentali, ricer-
care assonanze toponimiche, risalire alle etimologie consen-
te di disegnare senza titubanze una storia che si perde nella
notte dei tempi e che assume quindi un valore incompara-
bilmente superiore alle storie degli altri.
È questo il metodo seguito da Vico, lo stesso – assai disin-
volto – proposto a suo tempo da Annio da Viterbo ed appli-
cato largamente dai suoi epigoni. Come è attestato da Bero-
so (il solito falso Beroso di Annio!), il primo nome della
Sardegna è Cadossene, un nome ebreo composto da Cados,
che significa santo, e da Sene, che significa sandalo, e quin-
di facilmente riferibile alla forma geografica dell’isola. San-
dalo santo, allora. E dato che «gli effetti corrispondono al
nome», viene logico sostenere la condizione di santità della
Sardegna, rilevabile peraltro da molti dati concreti come la
bontà del clima e dei venti, le ricchezze del mare dei fiumi
e delle miniere, la fertilità dei campi e la salubrità delle
acque e dei cibi. Non basta: santa anche l’isola, per la vita
comoda e senza restrizioni che assicura ai suoi abitanti, per
la purezza dei luoghi e per l’assenza di veleni, per la limpie-
za della fede dei sardi mai toccati dalla macchia dell’abomi-
nevole eresia51. Anche il secondo nome, Sandaliotes, ha lo
stesso etimo perché risulta composto da Sandalion e Thio-
ca, che significa calzare divino. Ma quell’appellativo d’ori-
gine greca – argomenta Vico – risale a molto tempo prima
che i greci entrassero in Sardegna, come si deduce da Bero-
so (il falso Beroso, ancora), il quale scrive che nell’anno
2221 della creazione del mondo Phorco, figlio di Nettuno,

50
R. BIZZOCCHI, Genealogie incredibili cit., p. 216.
51
F. DE VICO, Historia general cit., parte 1ª, cap. 1°.
XXXIV FRANCESCO MANCONI

giunse in Sardegna per popolarla con genti estrusche52. Il


terzo nome imposto dai greci fu Ichnusa, che significa
impronta del piede umano. Questo nome, simbolo di
abbondanza, durò fino all’arrivo di Ercole il Tebano che la
chiamò Iolea53. Ultimo viene il nome Sardegna, derivato dal
re Sardo, figlio di Ercole. Ma quale Ercole? Il Libico, o forse
il Libano, oppure – più probabilmente – il Tebano? «Myste-
rios de los nombres», recita il titolo del primo capitolo del-
l’opera. Quei nomi della Sardegna restano volutamente
misteriosi, in modo da accreditare origini molto prestigiose
perché connotate da un’antichità così remota che sfugge a
qualsiasi certezza storica. Ma, soprattutto, quelle denomi-
nazioni denunciano una fama di sacralità, determinata da
elementi assunti dalla mitolologia classica ed intrecciati con
componenti della tradizione cristiana.
Su questo schema, in cui lezione di Annio e della storio-
grafia ispanica del tempo ha un peso determinante, si
costruisce quella “difesa” della Sardegna proposta come
introibo alla Historia general. Ecco dunque le affermazioni
più o meno fantasiose sul passaggio nell’isola di tutti i
popoli dell’antichità (dai toscani, ai greci, ai troiani, ai car-
taginesi, fino ai vandali, ai goti, ai longobardi, ai genovesi,
ai pisani ed infine agli spagnoli); sulla creazione del sistema
difensivo delle torri litoranee da parte di Ercole Libico fon-
datore di Turris Lybisonis Herculis Augusta; sulla fertilità del-

52
Ibidem, parte 1ª, cap. 1°; parte 2ª, cap. 2°.
53
Ibidem, parte 1ª, cap. 1°. La stessa denominazione di Iolea – o Iole –
era stata attribuita alla città di Cagliari (forse la parte per il tutto?) in una
lapide falsa del 1562 che reca la seguente iscrizione: “DIVO HERCULI
POST CATECLISM(UM) / RESTAURATORI CONSERVATORI /
REPARATORI CIVITAS JOLE / D(EDIT) D(E)D(ICAVIT)”. Si può
ritenere che questo reperto sia il punto di avvio della grande gara falsifi-
catoria di cagliaritani e sassaresi (cfr. il catalogo della mostra documenta-
ria Falsi e falsari della Sardegna (Villanovaforru, 29 ottobre 1988 - 28 mag-
gio 1989), Cagliari, s.d. [ma 1988]).
Introduzione XXXV

l’isola (il rio Coguinas – ad esempio – viene paragonato per


le sue esondazioni addirittura al Nilo!) e sull’abbondanza,
universalmente riconosciuta sin dall’antichità, delle sue
risorse naturali. Appoggiandosi ad oscure quanto ambigue
citazioni di Aristotele, Orazio, Silio Italico, Plinio e di altri
autori classici d’indiscusso prestigio, Vico esalta la dovizia
incomparabile dei prodotti naturali dell’isola. Grani, frutti
della terra e dei boschi, carni, pesci, formaggi, lane, cavalli,
acque purissime, saline, miniere d’oro d’argento di metalli
e pietre preziose, coralli, ed altre ricchezze naturali sono
presenti nell’isola in quantità talmente ridondanti da poter
affermare perentoriamente che «Sardeña no necesita de
nada»54.
Una Sardegna autosufficiente, dunque, o addirittura
ricca, fino alla sovrabbondanza. La parola abundancia è
ricorrente nella prima parte della Historia general, a dimo-
strare un passato di leggendario benessere, una storia d’o-
pulenza talmente straordinaria da stupire persino gli autori
dell’antichità. Allo stesso modo Vico confuta la taccia di
“pestilente” attribuita alla Sardegna a cominciare dagli
autori classici fino ai contemporanei. Giocando sull’equi-
voco scientifico della confusione fra peste e malaria, il
nostro autore rivendica per l’isola un clima salubre e la sto-
rica assenza di epidemie contagiose55.
È appena il caso di rilevare come tutto questo contrasti
radicalmente con lo stato di povertà e d’insalubrità che
patiscono i connazionali di Vico. Ma il tentativo di negare
la condizione storica della Sardegna, ed addirittura di ribal-
tarla, rientra nelle dimostrazioni di “amor di patria” carat-
teristiche della storiografia del tempo. In un crescendo di

54
F. DE VICO, Historia general cit., parte 1ª, cap. 3°.
55
Sulla fama di terra “pestilente” attribuita alla Sardegna cfr. FRANCESCO
MANCONI, Castigo de Dios. La grande peste barocca nella Sardegna di
Filippo IV, Roma, 1994, pp. 11-35.
XXXVI FRANCESCO MANCONI

lodi la Sardegna è definita «sepulchro de Héroes»: è la terra,


cioè, che molti «enamorados de la bondad de Sardeña» ten-
tarono di conquistare, ma vi persero la vita arrendendosi al
valore dei suoi difensori indigeni, inclini per natura alla
guerra e alla caccia56. L’invenzione di una perenne resisten-
zialità dei sardi, decisi a respingere le contaminazioni ester-
ne, è un altro topos della storiografia sarda, utile per costrui-
re l’immagine di un popolo senza macchia, ritenuto da Vico
forte, intelligente, incline al bene, ossequioso dei dettami
della religione cattolica, ostile ad ogni forma d’eresia, di
buona complessione fisica. Insomma una nazione fortuna-
ta, la Sardegna, dove «ay ciudades y lugares que por natura-
leza de su clima, se les influye cierta calidad que los haze
promptos a las virtudes o a las armas; y assí señalava por
muy gran parte de dicha, tener la patria gloriosa, por ser
una de las noblezas que más illustran»57.
Celebrare la patria, “tener la patria gloriosa” appunto, è il
fondamento ideologico della storia di Vico. Ma quale patria
si vuole onorare? Non la Sardegna – come si sarebbe porta-
ti a ritenere – ma la città d’origine perché quella è per Vico
(e in genere per gli uomini del suo tempo) la prima vera
“patria”.
Una storia volutamente di parte, quella di Vico, concepi-
ta per sostenere il confronto con la città rivale. Ecco qual-
che spigolatura fra i molti sforzi per accreditare il primato
di Sassari. Fra le città della Sardegna Torres viene collocata
al primo posto per antichità. Turris Libisonis, fondata da
Ercole Libico nell’anno 2216 della creazione del mondo, fu
la prima colonia romana «famosa por grandeza, riqueza,
puesto, y río». Diretta filiazione di Torres è Sácer, denomi-
nata anticamente Tatari, città fondata dai Tartari nell’anno
2790. Dopo, in ordine d’antichità, viene la città di Norax;

56
F. DE VICO, Historia general cit., parte 1ª, cap. 10°.
57
Ibidem, parte 1ª, cap. 11°.
Introduzione XXXVII

terza è Olbia, fondata intorno al 2600 dal re Galatas il gio-


vane, figlio di Olbia re di Gallia; ad altre due città di nome
Olbia segue in sesta posizione Grillen, ubicata nel luogo
dove oggi sta Orgosolo e fondata dagli Ateniesi intorno agli
anni 2800. Cáller (Cagliari) viene soltanto settima per anti-
chità, poiché a fondarla è il re Aristeo intorno al 3450 o,
secondo altri, sono i Cartaginesi nel 3776. Come altre città
sarde Cáller subì notevoli distruzioni, tanto che sopravvis-
sero solo le “appendici” periferiche di Estampaig e di Lla-
pola. Il centro della città, il Castello, venne ripopolato sol-
tanto dopo molti secoli quando i Pisani costruirono la cat-
tedrale intitolata a Santa Maria58. L’elenco delle antiche città
sarde è lungo, fino ad un numero di 41 toponimi; ma la più
gran parte sono un parto della fantasia dell’autore che attin-
ge a piene mani alla creatività letteraria di Annio.
Ed Annio è ancora l’ispiratore del racconto sulla storia dei
primi popolatori. Attraverso il poligrafo falsario di Viterbo
si vogliono accreditare le origini etrusche dei primi sardi,
ma soprattutto si intende stabilire un opportuno legame,
ovviamente antichissimo, tra la Sardegna e la Spagna. Il tra-
mite è Ercole Libico, il personaggio mitologico che passò in
Spagna, la signoreggiò, vi fondò molte città e poi nel viag-
gio di trasferimento in Italia toccò la Sardegna dove
ingrandì la città di Torres e la ribattezzò Turris Lybisonis59.
Da Torres a Tatari (la città dei Tartari, viene azzardato) il
passo è breve60.
Così la “patria” del regente sardo nel Consiglio d’Aragona
può vantare un’antichità e un prestigio senza eguali nell’i-
sola. Sono propositi, quelli di Vico, già inesorabilmente
condannati da Jerónimo Zurita, lo storico più prestigioso a
cui egli dimostra di volersi appoggiare. Nel preambolo dei

58
Ibidem, parte 1ª, cap. 13°.
59
Ibidem, parte 2ª, cap. 2°.
60
Ibidem, parte 2ª, cap. 7°.
XXXVIII FRANCESCO MANCONI

suoi Anales de la Corona de Aragón Zurita manifesta tutta la


sua contrarietà verso quegli storici che si ostinano a far risa-
lire ad epoche le più remote i loro nebulosi racconti; li accu-
sa di procedere come quei cosmografi che nelle loro tavole,
quando devono descrivere porzioni di territori a loro sco-
nosciuti, vi collocano montagne o animali mostruosi, come
per rappresentare terre deserte e inabitabili61.
Non varrebbe la pena di riportare le invenzioni contenu-
te nelle prime due parti della Historia general se non fosse-
ro uno specchio fedele dello spirito che anima l’autore. Le
sensibilità politiche, le passioni municipalistiche, gli inte-
ressi di fazione traspaiono netti dalla costruzione di una sto-
ria che ha la pretesa d’accreditarsi come veridica. Il caso –
vale la pena di rimarcarlo – è tutt’altro che isolato. L’opera
in questione, che si connota per l’approssimazione espositi-
va e per una disinvolta utilizzazione delle fonti, si colloca a
pieno titolo nella variegata tradizione storiografica iberica
del Seicento. Allora la difficile “arte” dello storico risiedeva
nella capacità di coniugare la ricerca delle origini col senti-
mento della patria e di porre a frutto l’abilità mistificatoria
costruita su un solido terreno d’erudizione. Dosare accorta-
mente verità e simulazione in una mescolanza quasi indeci-
frabile, radicare il racconto in un’evanescente tradizione
leggendaria è la strada maestra per fare storia quando la tra-
dizione scientifica è – come nel caso della Sardegna – fran-
camente molto debole. Per questo le leggende assumono un
ruolo prevalente e nel nostro caso vengono rivalutate ed
esaltate come fonte storica.
Insomma, Annio da Viterbo fa scuola in ogni senso, per-
ché dalla capacità di convincere o almeno d’apparire credi-
bili dipende in buona misura la fortuna dell’opera. Secon-
do il costume storiografico del tempo, Vico – lo si diceva

61
JERÓNIMO ZURITA, Anales de la Corona de Aragón, ed. Angel Canellas
López, Zaragoza, 1967, vol. 1°, p. 3.
Introduzione XXXIX

prima – fa ricorso a frequenti citazioni delle fonti classiche


(Tolomeo, Tito Livio, Diodoro Siculo, Strabonio, ecc.), in
modo che le sue affermazioni acquistino maggiore credibi-
lità. Ad una prima impressione parrebbe anche che egli
voglia fare propria la lezione metodologica di Ambrosio de
Morales, il quale nel Discurso general de las antigüedades de
España aveva suggerito alcuni indirizzi di ricerca corretti,
come l’identificazione delle vestigia e delle impronte del-
l’antichità, l’individuazione dei luoghi attraverso i dati for-
niti dagli itinerari antichi e dagli autori classici, l’analisi eti-
mologica dei toponimi e la comparazione con quelli attua-
li, il riferimento ai temi religiosi e alle vite di santi e marti-
ri62. A ben vedere, però, le raccomandazioni di Morales ven-
gono seguite con molta disinvoltura dal nostro autore. In
concreto i punti di riferimento principali restano gli Anales
de la Corona de Aragón di Jerónimo Zurita e il De rebus sar-
dois del giurista sassarese Giovanni Francesco Fara63. Il

62
AMBROSIO DE MORALES, Las antigüedades de España que son nombradas
en la Corónica con las averiguaciones de sus sitios y nombres antiguos que
escribía Ambrosio de Morales. Cronista del rey Católico nuestro señor Don
Felipe II, con un Discurso general del Autor, donde se enseña todo lo que a
estas averiguaciones pertenece para bien hacerlas y entender las antigüedades,
y otras cosas, Madrid, 1792.
63
Il primo libro del De rebus sardois di GIOVANNI FRANCESCO FARA fu
pubblicato a Cagliari nel 1580 per i tipi di Nicolò Canyelles. Edizioni
complete dei quattro libri del De rebus sardois e dell’altra opera De cho-
rografia Sardiniae libri duo vennero pubblicate nel 1835 a Torino da
Luigi Cibrario e nel 1838 a Cagliari da Vittorio Angius. Una prima edi-
zione critica è stata curata di recente da ENZO CADONI (Joannis Franci-
sci Farae, Opera, voll. 3, Sassari, 1992). Per la biografia di G. F. FARA cfr.
BACHISIO RAIMONDO MOTZO, Su le opere e i manoscritti di G. F. Fara, in
«Studi sardi», a. I (1934), fasc. I; RAIMONDO TURTAS, Giovanni France-
sco Fara. Note biografiche, in ENZO CADONI - RAIMONDO TURTAS, Uma-
nisti Sassaresi del ‘500. Le «biblioteche» di Giovanni Francesco Fara e Ales-
sio Fontana, Sassari, 1988, pp. 9-27; nonché la “voce” Fara Giovanni
Francesco, a cura di Antonello Mattone, in Dizionario biografico degli Ita-
liani, vol. 44, pp. 753-757.
XL FRANCESCO MANCONI

ricorso a quelle fonti letterarie, sicuramente di alto profilo


scientifico ma differenti per linea storiografica ed imposta-
zione metodologica, avviene sostanzialmente in maniera
acritica, senza avvertire la contraddizione fra la visione
imperialista panaragonese degli Anales e l’impostazione
regionalista, ripiegata sugli interessi culturali locali, della
storia di Fara64. Ma Vico fa storia con l’intento esclusivo di
servire un’ideologia e vuole soltanto asseverare il proprio
discorso attraverso l’autorità scientifica di Zurita e di Fara.
Se si lasciano per un momento da parte i disegni politici
dell’autore della Historia general, va detto a sua parziale giu-
stificazione che anche la scarsità di fonti “buone” ed i gran-

64
Non è chiaro se la scelta culturale di Fara di dedicarsi allo studio delle
“cose sarde” sia dettato da un “obbligo” politico verso la comunità d’ori-
gine. Riesce difficile comunque credere che l’ecclesiastico sassarese Fara
non sia stato influenzato dalle divisioni in atto all’interno della chiesa
sarda e dalla cultura “patriottica” del suo tempo. Certo è che nella con-
tesa per il primato ecclesiastico egli è allineato sulle posizioni dell’arcive-
scovo Alonso de Lorca di difesa degli interessi di Sassari e di diniego del
primato di Cagliari. In un memoriale inviato nel 1588 all’arcivescovo
Lorca, che a Roma patrocinava la causa della diocesi di Sassari, Fara
sostiene che «no pueden pretender [...] los de Cáller sean más nobles de
los de Torres y Sásser siendo que Torres es colonia de los antiguos Tru-
scos y de los Romanos decendientes de la noble sangre troyana y de Mar-
tes que han dominado y subiugado todo el mundo y los de Cáller [...]
son colonia y decendientes de Cartagineses quales en virtudes, letras, y
armas son estados muy inferiores a los Romanos y dexando a parte lo
demás que está sobredicho si consideramos los habitadores dellos en par-
ticular no puede Cáller pretender como pretende ser más noble» (la let-
tera-memoriale di Fara ad Alonso de Lorca è in British Library (BL),
London: Manuscripts Add. 28468, Papers relating to the Primacy of Sar-
dinia, doc. Antigüedad de la Siudad de Sásser. Es respuesta del Ill.mo y
Rev.mo don Francisco Fara [...] a una carta que desde Roma le escrivió el
Ill.mo y Rev.mo don Alonso de Lorca Arçobispo Turritano sobre la pretención
de la Primaçía de su Iglesia contra la Calaritana, fol. 69-79r; copia poste-
riore del documento è conservata in Biblioteca Universitaria di Sassari,
Manoscritti, ms. 55 t).
Introduzione XLI

di vuoti della storiografia regionale impongono il ricorso


alla leggenda, al mito e addirittura al falso. Le vicende sto-
riche della Sardegna sono oscure o poco conosciute ed
anche la lettura di fonti come il falso Beroso torna utile per
colmare vuoti di conoscenza storica. La lettura di Annio
parrebbe non di prima mano, ma mutuata da Fara che a
quel falso, forse inconsapevolmente, aveva attinto a piene
mani. Il capostipite della storiografia sarda, al pari di Sigi-
smondo Arquer65, era incorso, appunto, nell’infortunio
molto frequente fra gli storici spagnoli di dare credito ad
Annio da Viterbo e ai falsos cronicones. Tutto l’armamenta-
rio ideologico di Annio (superiorità delle origini estrusche,
esaltazione della romanità e dei valori dell’antichità, auto-
rità della tradizione, ecc.) è presente nella cultura storica del
prelato sassarese. In verità l’uso che egli fa di fonti poco
attendibili o addirittura false è più controllato e sicuramen-
te privo della strumentalità che viene rimproverata all’auto-
re della Historia general de Sardeña. Fara sfugge quasi sem-
pre al vizio di Vico di voler contemperare prove documen-
tarie ed esigenze ideologiche e quindi d’utilizzare fonti
inquinate o leggendarie per sostenere tesi fantasiose o per
inventare eroi, re, condottieri e santi.
I santi: sono certamente i personaggi più prestigiosi ed
eminenti, utili per illustrare le storie delle nazioni e delle
città. Con un esplicito richiamo alla grande forza della tra-
dizione orale («es tradición, no ay más que buscar»)66 Vico
recupera la leggenda delle peregrinazioni dell’apostolo San-
tiago – e addirittura di Pietro e di Paolo – nelle provincie
ispaniche. E se non basta la tradizione, per rafforzare l’as-

65
Anche SIGISMONDO ARQUER aveva fatto ricorso al falso Beroso nella
sua Sardiniae brevis historia et descriptio per Sigismundum Arquer Calari-
tarum, sanctae theologiae et iuris utriusque doctorem, in SEBASTIAN MUN-
STER, Cosmographiae universalis libri VI, Basileae, 1550, p. 242-250.
66
F. DE VICO, Historia general cit., parte 3ª, cap. 1°.
XLII FRANCESCO MANCONI

sunto fa ricorso alle invenzioni dei falsos cronicones di Marco


Maximo e di Flavio Lucio Dextro. Ciò che conta è che la
Sardegna benefici del privilegio incommensurabile della
venuta degli apostoli, «porque las tierras – afferma Vico –
quedan honradas sólo de hollarlas Santos»67. Per il solo fatto
che un santo, un grande santo come Giacomo, l’ha calpe-
stata, l’isola acquisisce gloria religiosa e quindi lustro
incomparabile.
In una visione strumentale della storia, tutta rivolta alla
celebrazione dei fasti cittadini, la glorificazione dei santi –
specialmente dei santi locali – consente d’affermare una
prevalenza religiosa, storica e quindi anche civile, di una
comunità sull’altra. Vico sa bene quale importanza la cul-
tura controriformistica attribuisca ai martiri e ai santi loca-
li. Per questo una corposa parte dell’opera – la terza – è
dedicata all’evangelizzazione della Sardegna e all’apologia
dei protomartiri e dei santi: «la mayor gloria de las Provin-
cias – afferma – es la introdución de la Fe Christiana y
Católica»68. In questo quadro culturale le migliori creden-
ziali per Sassari non possono che provenire dal suo passato
costellato di santi, vescovi e dignità ecclesiastiche. La supe-
riorità rispetto a Cagliari viene fondata non tanto sul
numero dei santi e delle prelazie ecclesiastiche quanto sulla
priorità della cristianizzazione, sul primato cronologico del
martirio dei santi Gavino, Proto e Gianuario (glorie rico-
nosciute della chiesa sassarese) rispetto a quello di san
Antiogo, protomartire sulcitano da ascrivere alla chiesa
cagliaritana.
Porre l’accento sulla “guerra dei santi” non significa che
l’obiettivo storiografico di Vico si riduca alla difesa degli
interessi di Sassari. Dimostrare il fondamento storico del
legame istituzionale fra la Spagna e la Sardegna è l’altro

67
Ibidem, parte 3ª, cap. 1°.
68
Ibidem, Introdución de la tercera parte de la Historia.
Introduzione XLIII

obiettivo del libro. In linea con gli indirizzi della storiogra-


fia del tempo, la Historia general assume come punto di rife-
rimento ideologico la Monarchia degli Austria, quel sistema
plurale delle nazionalità e dei regni a cui la Sardegna appar-
tiene senza soluzione di continuità da più di tre secoli. Per
questo Francisco Vico, il fedele ministro di Filippo IV e il
patrón politico della sua “patria” provinciale, rimarca il
principio della doppia appartenenza dei sudditi della
Monarchia asburgica ed esalta una continuità dinastica (dai
conti-re di Barcellona fino agli Asburgo, attraverso i Trastá-
mara) nelle vicende della Sardegna che ha il suo fondamen-
to nel ruolo provvidenziale della Chiesa di Roma. Vico sot-
tolinea come il dominio diretto del papato sull’isola fosse
iniziato con la donazione del figlio di Carlo Magno Ludo-
vico e fosse stato riconosciuto dopo dai giudici sardi e dalle
signorie di Pisa e di Genova. Nella donazione imperiale (la
cui autenticità lo storico non pone in discussione) viene
ravvisato un disegno della Divina Provvidenza perché il
dominio della Chiesa di Roma aveva consentito la libera-
zione dell’isola «de la tyranía de los Infieles, [...] con suma
gloria del dominado y del dominante»69. In seguito all’in-
feudazione di Bonifacio VIII il dominio era passato a Gia-
como II d’Aragona e quindi alla Monarchia degli Austria70.
L’aggregazione della Sardegna alla Corona d’Aragona era
avvenuta non per conquista ma per infeudazione ed unione
volontaria, a dimostrare i sentimenti d’ispanità dei sardi.
Quindi la legittimità storica dell’appartenenza del regno
alla Corona catalano-aragonese e dopo alla Corona asburgi-
ca è corroborata dalla costante fidelidad dei sardi, ma spe-
cialmente dei sassaresi. È Sassari, la “patria” di Francisco
Vico, la città che si distingue per lealtà dinastica, che si era

69
Ibidem, Introdución de la quarta parte de la Historia.
70
Ibidem, parte 4ª, capp. 8° e 14°; parte 5ª, capp. 1° e 12°.
XLIV FRANCESCO MANCONI

opposta in ogni circostanza alla sedizione arborense ed


aveva assicurato importanti servigi ai sovrani catalani71.
In questa apologia della fedeltà dei sardi alla Corona ispa-
nica Vico non è solo. Già il letrado cagliaritano Sigismondo
Arquer aveva rilevato la singularis fidelitas dei suoi concitta-
dini, mentre il sassarese Fara aveva celebrato come fonda-
mentale il ruolo ricoperto da Sassari nella conquista catala-
no-aragonese della Sardegna72. A questi storici sardi – come
pure a Jerónimo Zurita ed a Juan de Mariana – Vico attin-
ge a piene mani quando deve avvalorare le ripetute attesta-
zioni di lealismo monarchico dei sardi. È una professione di
fede assolutamente normale ed in linea con i comportamen-
ti generalizzati in quel tempo, che sono disciplinati da un
complesso sistema di relazioni politiche e personali fra coro-
na e sudditi. Sono, cioè, le regole ed i meccanismi del patro-
nazgo real a determinare le fortune e i rovesci dei singoli
individui, delle famiglie e dei gruppi di potere. Anche nei
regni periferici è la Monarchia spagnola, attraverso la prati-
ca della concessione diretta o mediata di prebende, titoli ed
onori, a premiare, a controllare, ad aggregare o a discrimi-
nare i sudditi portatori di lealtà individuali o comunitarie73.
L’invasione dei mori e la loro cacciata è – lo si accennava
prima – un altro argomento che consente d’accostare storica-
mente la Sardegna alla Spagna. Lasciato un pò in ombra nella

71
F. DE VICO, Historia general cit., parte 4ª, cap. 29; parte 5ª, capp. 12º,
30º, 41º, 42º.
72
A questo riguardo cfr. le considerazioni di RENZO LACONI, I primi sto-
rici sardi e la versione imperiale e subalterna della nostra storia, in Id., La
Sardegna di ieri e di oggi. Scritti e discorsi sulla Sardegna (1945-1967), a
cura di Umberto Cardia, Cagliari, 1988, pp. 130-132.
73
JOSÉ MARTÍNEZ MILLÁN (ed.), Instituciones y elites de poder en la
Monarquía Hispana durante el siglo XVI, Madrid, 1992; Id., Las investi-
gaciones sobre patronazgo y clientelismo en la administración de la Monar-
quía hispana durante la edad moderna, in «Studia histórica. Historia
moderna», 15, pp. 83-106.
Introduzione XLV

narrazione, il tema risulta di grande impatto propagandistico


per l’opinione pubblica sardo-ispanica a cui il libro è desti-
nato. Il racconto su questa sorta di Reconquista periferica
della Sardegna e delle Baleari che viene attuata dai pisani e
dai loro alleati sardi nel secolo XI è significativamente breve,
al limite della laconicità. Ciò che interessa all’autore è insi-
nuare un dubbio, semplicemente segnalare al lettore come
soltanto la città di Cagliari sia stata toccata effettivamente
dalla dominazione araba quando la terra sarda è caduta in
mano agli infedeli. In poche battute l’antichità cristiana della
capitale del regno viene drasticamente ridimensionata per la
“macchia” dei suoi trascorsi musulmani. A chi vanno, invece,
i meriti della reconquista vittoriosa sui mori? Ai sassaresi,
ovviamente, i quali avevano recuperato l’isola alla cristianità
con l’aiuto dei pisani74. I cagliaritani come i moriscos e i sas-
saresi come i cristianos viejos, allora? Non proprio, ma l’in-
tendimento di svalutare la storia cristiana di Cagliari e d’insi-
nuare un pregiudizio religioso è del tutto scoperto.
L’intento propagandistico di Vico si fa ancora più esplici-
to nella sesta parte della sua historia. Le millenarie vicende
della Sardegna vengono condensate in una rapida sintesi
concepita ad uso della contingente polemica stracittadina.
Il primato politico e morale della “Provincia Turritana” si
giustifica per i suoi molti meriti e qualità: per l’antichità
della città, prescelta come insediamento da Ercole e dal
popolo dei Tirreni (Etruschi o Vetuloni, che dir si voglia);
per la romanità di Torres, colonia abitata esclusivamente da
autentici cittadini di Roma e non da popoli assoggettati;
per la funzione di casa e corte di un re o di un giudice tito-
lare di sovranità; per la straordinaria ricchezza (come dimo-
stra il nome di Logudoro) del suo territorio. Nobiltà e anti-
chità sono i termini ricorrenti per illustrare la città di Tor-
res, e quindi Sassari. Ma in questa favolosa storia turritana,
74
F. DE VICO, Historia general cit., parte 4ª, capp. 13°e 14°.
XLVI FRANCESCO MANCONI

in cui i fasti della romanità e della religiosità s’intrecciano


indissolubilmente e a loro volta si cumulano ai meriti dei
sassaresi come sudditi fedeli della Monarchia ispanica, gli
attributi di nobiltà ed antichità non vanno disgiunti da
quelli dell’onore e della gloria: «desde que tuvo nombre Sar-
deña con sus primeros pobladores descendientes de Noé
miró Dios por la Provincia Turritana con afecto tan pater-
no que la ilustró con las primacías de población por Turre-
nos, y por Hércules, que le dio su nombre, de recepción de
la Fe Católica con S. Pedro, S. Pablo y Santiago sus Predi-
cadores, y de primera también en hermanar la fidelidad
humana con la divina, pues si primeros en aquélla, prime-
ros también en ésta se entregaron gloriosos y gustosos a la
sereníssima Corona de Aragón; y assí necessariamente
aviendo de tratar de las infeudaciones que oi tiene el Reino,
le cabe el primer lugar a la Provincia Turritana, infeudación
primera de que goza la Magestad Católica de nuestro sobe-
rano Monarca en Sardeña»75.
Ecco, in sintesi, i motivi che hanno spinto Vico alla pub-
blicazione del libro: celebrare l’eccellenza della storia di Sas-
sari e magnificare la lealtà dei suoi concittadini verso la
Monarchia degli Asburgo. Antichità archeologiche, genea-
logie incredibili, santi e reliquie a profusione, scrittori anti-
chi e moderni di diversa attendibilità vengono usati indi-
scriminatamente in un disordinato quanto grandioso pasti-
che storiografico per sostenere una causa politica scoperta-
mente di parte. Sostenere ad ogni costo la causa del prima-
to di Sassari è per lui un comandamento ideologico che fa
aggio su qualsiasi improbabile interesse culturale per la sto-
ria regionale. La storia è vista come ancella della politica.
Vico è in ogni senso uno spagnolo dell’età barocca e la sua
historia è da considerarsi “veritiera” non perché sia una sto-
ria attendibile ma perché è capace di rappresentare una pro-

75
Ibidem, parte 7ª, cap. 1°.
Introduzione XLVII

vincia ispanica con le sue passioni, i suoi sentimenti, le sue


credenze. Per meglio dire, la sua Historia general lascia
intendere, più di qualunque altro documento dell’epoca,
quali siano i connotati culturali e politici della società sarda
del Seicento. È una società profondamente ispanizzata e
partecipe senza riserve dei destini della Monarchia degli
Austria, una società divisa – al pari di qualunque provincia
ispanica – dai particolarismi e dalle lotte di gruppi di pote-
re impegnati a conquistare o consolidare posizioni politiche
e privilegi individuali e collettivi. Di questo mondo, che
nella prima metà del Seicento vive una complessa e convul-
sa evoluzione in virtù di robusti cambiamenti sociali e di
riequilibri epocali nella sfera economica e politica, Franci-
sco Vico è per molti aspetti il personaggio emblematico.

3. La Historia general nel contesto delle competizioni munici-


palistiche

La Historia general de la Isla y Reyno de Sardeña porta la data


di pubblicazione del 1639. La lunga e tormentata gestazio-
ne è determinata dalle contrarietà di natura politica non
meno che dalle difficoltà di scrittura e d’elaborazione sto-
riografica. Come si è detto il progetto aveva preso le mosse
molti anni prima, al tempo delle invenciones dei “corpi
santi”. Ma aveva cominciato a concretarsi nella definitiva
versione a stampa verso la metà degli anni trenta del Sei-
cento, quando il regente del Supremo d’Aragona era ritor-
nato in Sardegna dopo un lungo soggiorno a corte. Come
fiduciario del conte-duca di Olivares Vico doveva tradurre
in pratica nel regno insulare il programma della Unión de
armas. Sarebbe stata l’occasione per curare anche gli affari
di famiglia e, perché no, gli interessi della sua città.
Da Madrid Vico aveva seguito, e probabilmente anche
orchestrato, gli ultimi sviluppi della contesa. Conclusa la
XLVIII FRANCESCO MANCONI

competizione fra Cagliari e Sassari per la fondazione ed il


riconoscimento da parte della Corona delle due università
di diritto pontificio, l’attenzione si era nuovamente rivolta
alla vertenza irrisolta sul primato ecclesiastico. Il ritorno
nell’isola del regente alla fine del 1635 coincide con la ripre-
sa della “guerra dei santi” dopo la pubblicazione del
Triumpho de los Santos del Reyno de Cerdeña del letrado
cagliaritano Dionisio Bonfant, dottore in teologia e figura
di primo piano del Consiglio generale della città76. Nella
difesa del primato i cagliaritani assegnano un’assoluta cen-
tralità alla contestata figura dell’arcivescovo e primate di
Sardegna san Lucifero, la cui santità è sostenuta da Bonfant
e più tardi “difesa” dal mercedario Ambrosio Machín, arci-
vescovo di Cagliari77. L’impegno agiografico e il culto delle
reliquie in cattedrale, cominciati con l’arcivescovo Franci-
sco de Esquivel e proseguiti dal cappuccino Serafín Esquir-
ro, non erano venuti meno neppure quando la santità di
Lucifero era stata autorevolmente negata negli Annales eccle-
siastici dal cardinale Cesare Baronio e quando nel 1630 l’In-
quisizione sarda aveva disposto la sospensione della stampa
del libro di Bonfant per sottoporre la questione alla Supre-
ma a Madrid. La comunità cagliaritana ne aveva fatto un

76
DIONISIO BONFANT, Triumpho de los Santos del Reyno de Cerdeña, A la
Magestad Cathólica del Rey don Phelippe IIII por Dionisio Bonfant de la
Ciudad de Cáller, Doctor en Theología, y en Derecho. En el qual a más de
la vida, e invención de muchos Santos de Cerdeña, se escrive la venida de los
Apóstoles S. Pedro, S. Pablo y Santiago, y de algunos discípulos de Christo a
la Ciudad de Cáller Cabeça del Reyno; de la Canonización de los Santos, de
la antigüedad, y Primacía de la Iglesia Calaritana, de la Santidad de su Pre-
lado S. Lucífero, y se responde a algunos modernos, Cagliari, 1635.
77
AMBROSIO MACHÍN, Defensio Sanctitatis Beati Luciferi Archiepiscopi
Calaritani, Sardiniae, & Corsicae Primatis, & aliorum Sanctorum, quos
colit Calaritana Ecclesia, Necnon et Primatus Archiepiscopi Calaritani, et
eius Primatialis Ecclesiae, una cum Decisionibus Sacrae Rotae Romane,
Cagliari, 1639.
Introduzione XLIX

caso politico ed era ricorsa contro la censura alla audiencia


sarda prima e dopo al Consiglio d’Aragona che alla fine, in
forza di una concordia col Consiglio dell’Inquisizione, aveva
finito per autorizzare la stampa del libro78.
Un’opera assai contestata, quella di Bonfant, per il suo
dubbio valore teologico ma soprattutto per la scoperta
valenza politica. Nella dedica a Filippo IV il letrado caglia-
ritano dichiara di voler seguire le orme di coloro che ridan-
no lustro alle città, agli uomini e agli eroi «a fuerça de la
pluma, en vez de pica, [y] hazen rostro al tiempo, escri-
viendo historias, y componiendo Annales, por ser la histo-
ria lo que todo lo passado restituye presente». Vuole, Bon-
fant, «restituyr a la verdad de su ser y antiguos resplandores,
que tuvo este Reyno de Cerdeña y esta mi patria Cáller tan
leal, y fiel a la divina y a V. Magestad […]; restaurar en el
modo possible a la pluma antigüedades de numerosas
poblaciones, y sumptuosos edificios mal logrados a fuerça
del disfavor del tiempo, y al pesar déste sacar de las obscu-
ras masmorras del olvido, en que cruel tenía supultados los
divinos Héroes de tantos Santos, que a precio de su sangre,
vidas, y obras Santas defendieron la fe Cathólica»79.
Sono intendimenti del tutto simili a quelli degli storici
spagnoli del tempo. Per esaltare la storia sacra della sua città
Bonfant riferisce leggende e miti privi di fondamento stori-
co, accosta in un indecifrabile miscuglio fonti storiografiche
e letterarie attendibili ad altre assolutamente false o infon-
date, propone un grande numero di reperti archeologici
rinvenuti anni prima negli scavi cagliaritani. Nei tredici
libri di una prolissa quanto tendenziosa esposizione dice di
voler narrare i fasti religiosi dell’isola, ma in concreto cele-
bra soltanto santi e martiri della sua città perché sono costo-

78
ANGELO RUNDINE, Inquisizione spagnola censura e libri proibiti in Sar-
degna nel ‘500 e ‘600, Sassari, 1996, p. 103.
79
D. BONFANT, Triumpho de los Santos cit., p. 2v.
L FRANCESCO MANCONI

ro «casi todos hijos de Cáller, y todos deste Reyno de Cer-


deña subieron deste patrio suelo a las alturas del Cielo». In
questo trionfo ineguagliabile di santità e di glorie religiose
è d’obbligo inserire la narrazione dell’arrivo a Cagliari degli
apostoli Pietro e Paolo e, ovviamente, di Santiago che nelle
inattendibili cronache locali della sua peregrinazione evan-
gelica percorre in lungo e in largo le terre ispaniche prima
d’approdare a Compostela. La conferma del favore divino
verso la città “cabeza del Reyno” è data dal martirio subito
in città da una moltitudine di martiri proto-cristiani. Si
tratta di una vicenda di così lunga durata e di proporzioni
talmente straordinarie che l’antichità e il primato della chie-
sa cagliaritana non possono essere messi in dubbio, come
fanno gli avversari sassaresi.
Il più temibile degli avversari è ritenuto il gesuita Jaime
Pinto, il quale nella sua autorevole opera Christus crucifixus
aveva in qualche modo affrontato il tema del primato esal-
tando i martiri turritani e le antichità della sua città d’ori-
gine80. Per questo Bonfant ne contesta tenacemente le affer-
mazioni in alcune pagine finali dell’opera81. Piuttosto che
«hazer rostro al tiempo», che fare fronte al tempo per recu-
perare una memoria storica perduta, il letrado cagliaritano
vuole contrapporsi alla città rivale ed alla sua storia.

80
J. PINTO, Christus crucifixus cit., vol. 1°, cap. De Martyribus Sardiniae,
et praecipue Turritanis, recens inventis digressiuncula, pp. 437-448. Su
Pinto cfr. PASQUALE TOLA, Dizionario biografico degli uomini illustri di
Sardegna, Torino, 1837-38, vol. 3°, pp. 86-91; PIETRO MARTINI, Biogra-
fia sarda, Cagliari, 1837-38, vol. 3° pp. 40-46; MIQUEL BATLLORI, L’U-
niversità di Sassari e i Collegi dei Gesuiti in Sardegna. Saggio di storia isti-
tuzionale ed economica, in «Studi sassaresi», serie III, 1 (1967-68), p. 90;
RAIMONDO TURTAS, La Casa dell’Università. La politica edilizia della
Compagnia di Gesù nei decenni di formazione dell’Ateneo sassarese (1562-
1632), Sassari, 1986, p. 12, nota 10.
81
D. BONFANT, Triumpho de los Santos cit., p. 566 ss.
Introduzione LI

La sfida non può non essere raccolta dai sassaresi: prima


di tutti da Francisco Vico che, al pari di Bonfant, si arma di
penna e forse anche di pica. Non è da escludere che il
Triumpho de los Santos fosse conosciuto da Vico già dal
1630, da quando il libro viene portato a conoscenza dei
Consigli dell’Inquisizione e d’Aragona in seguito al provve-
dimento di censura dell’Inquisizione sarda. È probabile che
già in questa fase, a Madrid, Vico abbia deciso di rimettere
mano alla sua vecchia historia manoscritta per contrastare le
affermazioni di Bonfant.
Certo è che nel corso del 1636, quando Vico è già in Sar-
degna, prende corpo una vigorosa reazione dell’establish-
ment sassarese alle iniziative editoriali cagliaritane. L’arcive-
scovo di Sassari ed i vescovi di Ampurias e Bosa s’indirizza-
no al Consiglio d’Aragona prospettando seri pericoli per
l’ordine pubblico se Cagliari fosse stata prescelta ancora
come sede per la celebrazione delle cortes di Sardegna. «Los
Cavalleros de Sásser – affermano i tre prelati che difendono
il primato ecclesiastico di Sassari – no podrán yr a aquélla
por no tenerse por seguros en ella: esta desconfiança viene
occasionada de haver el doctor Dionisio Bonfant, natural
de Cáller, apoyado de sus Conselleres y Arçobispo, impri-
mido estos meses atrás un libro muy perjudicial y infama-
torio contra los de Sásser, cuyos ánimos quedan enconados
de manera que se puede temer mucho mal entre estas dos
Ciudades que son las más principales del Reyno, y donde
reside la mayor nobleza dél»82. I tre prelati auspicano che la
celebrazione del parlamento avvenga ad Oristano perché la
città – dicono – è il «riñón del reyno», ma in realtà perché
è controllata politicamente da don Pedro Vico, figlio del
regente e coadiutore dell’arcivescovo assenteista Mallano.

82
ACA, CdA, leg. 1184, i vescovi di Sassari, Ampurias e Bosa al Consi-
glio d’Aragona, 20 dicembre 1636.
LII FRANCESCO MANCONI

La polemica sulla sede del parlamento segue di poco un


episodio clamoroso che attiene più strettamente alla querel-
le religiosa ormai imperniata sul reciproco disconoscimento
dei rispettivi “campioni” di santità. A Cagliari nel 1636 il
conseller en cap del municipio e il vicario dell’arcivescovo
avevano contestato l’esposizione nel convento del Carmine
da parte della comunità sassarese residente nella capitale di
un dipinto dei tre martiri turritani che ritraeva il presbitero
Proto «con todas las insignias de Patriarca». Era per i caglia-
ritani una nuova provocazione dopo la pubblicazione di un
ennesimo documento in cui all’arcivescovo di Sassari veni-
va attribuito il titolo di primate83. La rimozione forzata del
quadro suscita forte risentimento nei sassaresi che a loro
volta contestano pubblicamente la santità del vescovo Luci-
fero. È evidente che la “guerra dei santi” travalica ormai
l’ambito religioso e coinvolge sempre più direttamente le
popolazioni delle due città disposte in alcune circostanze ad
agitazioni di piazza.
Per assolvere al mandato del conte-duca di Olivares di
reperire denaro, soldati e vettovaglie per le guerre della
Monarchia nel quadro del programma della Unión de armas
Vico assume ad interim la carica di regente la real cancillería
del regno di Sardegna84. Da quella posizione burocratica

83
Cfr. il messaggio indirizzato al Consiglio d’Aragona da DIONISIO BON-
FANT, in Breve tratado del Primado de Cerdeña, y Córcega, En favor de los
Arçobispos de Cáller, y del Real Patronasgo de su Magestad, que le tiene fun-
dado en la dignidad Primacial de la Santa Yglesia de la Ciudad de Cáller,
cabeça de todo el Reyno de Cerdeña; dirigido a la Magestad Cathólica del
Rey Nuestro Señor Don Phelipe IIII, Cagliari, 1637.
84
ACA, CdA, leg. 1083 e 1149, memoriali di Francisco Vico al Consi-
glio d’Aragona, s.d. [ma 1645]; AHN, Consejos suprimidos, libro 2562,
Lo que vos el Noble Magnífico y amado Consejero don Francisco de Vico
Regente la Cancillería en mi Consejo Suppremo de Aragón havéis de llevar
encargado para executar en Cerdeña, Madrid, 20 luglio 1635, fol. 276v-
279.
Introduzione LIII

preminente (si tratta della seconda autorità del regno dopo


il viceré) egli è in grado di gestire, o perlomeno di control-
lare, gli affari pubblici e privati del regno. La sua presenza
ingombrante è destinata a rinfocolare le animosità fra
cagliaritani e sassaresi e a riacutizzare vecchi personalismi
nell’ambito della audiencia di Sardegna85. Vico è ritenuto il
responsabile delle “parcialidades” che si verificano nell’iso-
la. In effetti è l’orchestratore principale di un complesso
sistema di patronage che non riguarda solo Sassari, ma coin-
volge in una rete clientelare diffusa nel territorio i ceti diri-
genti di alcune città ostili a Cagliari (come Bosa, Castella-
ragonese ed Oristano). La plaza togata che occupa a Madrid
e la rete di potere che ha intessuto fra la corte e la Sardegna
gli assicurano un predominio senza eguali. I gruppi diri-
genti cagliaritani sono consapevoli della minaccia che Vico
rappresenta per i loro interessi collettivi ed individuali. L’al-
larme è talmente forte che le fila dei suoi oppositori (uno
schieramento composito, che va dai consellers municipali ai
giudici della audiencia) si serrano per mettere in discussio-
ne l’egemonia del regente sassarese: «en la Audiencia no sólo
hay conformidad, pero bandos y enquentros formados pues
en el pleyto de la Primacía de las Iglesias de Sáçer y Cáller
en las provisiones que se haçen por la Real Audiencia con el
Arçobispo de Sáçer excluyen al Regente porque es desta
Ciudad de Sáçer, y él se lo permite pudiéndolo resistir, en
que le culpan pareçe que devía remediarlo, pero los demás
Juezes se oponen contra dél por ser opuestos a él y lo más
de la Ciudad y Cabo de Cáller»86.

85
L’avversione per Vico è tale che il regno si ostina a negargli il paga-
mento del salario di regente sardo nel Supremo d’Aragona (ACA, CdA,
leg. 1236, Relación de lo que contienen las Consultas y papeles tocantes a la
plaça de Regente de este Consejo en persona natural de Cerdeña y su salario,
propinas y Casa de aposento, s.d. [ma 1636]).
86
ACA, CdA, leg. 1185, il regente Azcón al Consiglio d’Aragona, 31
dicembre 1636.
LIV FRANCESCO MANCONI

Quel 1636 è un anno di grandi ambasce per Vico non


tanto per le continue e defatiganti ripicche fra le due città
quanto per le forti resistenze che vengono frapposte al ple-
nipotenziario di Olivares nell’espletamento del suo manda-
to politico87. Quando è ormai prossima la scadenza della
missione, il fiscal della audiencia di Sardegna Francisco
Corts presenta al Consiglio d’Aragona una denuncia sui
presunti illeciti commessi da Vico a partire dagli anni della
sua ascesa al potere. Il rapido arricchimento del letrado sas-
sarese sarebbe avvenuto mediante la vendita di prebende
ecclesiastiche e la manipolazione delle cause da lui giudica-
te. «Ha sido – afferma Corts con un’efficace metafora –
esponja de las bolsas y haciendas de los que acudían a pedi-
lle justicia, porque jamás la ha administrada sino bendién-
dola a puro dinero; y no ha podido ningún mercader nego-
ciar en cosas del patrimonio que él no haya tenido su parti-
cipación, en particular en quantos partidos de sacas se
hicieron en el gobierno de don Juan Vivas […] y sin esto ha
tenido participación en los arrendamientos de las almadra-
bas y es tan público y notorio que se han visto y leydo en
las quentas de los administradores asentadas todas las parti-
das que cada uno le dava por su participación»88.
Sono attendibili le accuse del giudice Corts? Sono in
qualche misura verosimili; e sono, comunque, inesorabili
nel loro intento di demolire l’immagine politica del regente.
È evidente che Corts non agisce da solo, ma è informato,
consigliato e sostenuto dai molti nemici che Vico annovera
in Sardegna. Accuse circostanziate e verità incontrovertibili

87
F. MANCONI, Un letrado sassarese al servizio della Monarchia ispanica cit.
88
ACA, CdA, leg. 1083, il giudice Francisco Corts al Consiglio d’Ara-
gona, s.d., consultada dal Consiglio in data 11 agosto 1636. Allegato alla
consulta è il circostanziato memoriale intitolato Capítulos que resultan
contra el Regente Don Francisco Ángel Vico en perjuycio y contra el servicio
de Vuestra Magestad.
Introduzione LV

si sommano ad insinuazioni di dubbia attendibilità, mirate


a screditare il regente ed a ridimensionarne il ruolo politico
a corte. Il memorial di Corts, un documento di parte che
vuole mettere a nudo l’illegale condotta pubblica e privata
dell’accusato, consente con le dovute cautele di vagliare la
personalità del ministro Vico, il contesto politico in cui egli
opera, i vantaggi personali e di consorteria che gli derivano
dalla posizione politica di vertice. I cargos di Corts scadono
talvolta in allusioni maligne che intendono soltanto minare
la honra dell’accusato. Corts insinua, ad esempio, che don
Francisco, per nascondere le sue umili origini, abbia cam-
biato cognome posponendo quello paterno, Artea (il padre
era «un pobre hombre que andava vendiendo agujetas por
las villas»), a quello più titolato della madre, Vico («un her-
mano della era cura de una Iglesia y le ayudó en los estu-
dios»). La denuncia non è verificabile direttamente sui dati
anagrafici di Francisco Ángel Vico, ma non pare destituita
di fondamento, se si considera che a quel tempo non era
inconsueto assumere come patronimico il cognome mater-
no89.
L’intento dichiarato dell’accusatore è di screditare il regen-
te provincial di Sardegna e provocare una visita che ponga

89
Un esempio illustre è quello di Santa Teresa d’Avila, il cui padre Alon-
so aveva adottato il cognome materno, Cepeda, per nascondere le sue
origini ebraiche. Il nonno paterno si chiamava infatti Juan Sanchez ed
era un ebreo converso (CRISTIANA DOBNER, Il segreto di un archivio. Tere-
sa di Gesù e il nonno marrano, Roma, 2003). Altrettanto illustre è il caso
di Bartolomé de las Casas, il cui padre Pedro era fratello di Gabriel,
Diego e Francisco de Peñalosa: erano tutti conversos, il che spiega la diver-
sità di cognome (HUGH THOMAS, El Imperio español. De Colón a Magal-
lanes, Barcelona, 2003, p. 152). A quel tempo era possibile scegliere il
primo cognome fra quelli dei quattro nonni: ecco perché Vico adotta il
cognome materno, come attestano d’altronde i libri matricolari dell’U-
niversità di Pisa dove egli risulta figlio di “Joannes de Altea” (RODOLFO
DEL GRATTA, Acta graduum Academiae Pisanae (1543-1599), dir. Ennio
Cortese, Pisa, 1980, p.261).
LVI FRANCESCO MANCONI

fine alla sua carriera. Se il Consiglio d’Aragona valuta sem-


pre con prudenza le denunce provenienti dalla periferia,
originate come sono da contrasti personali e da lotte di
fazione, ancora più cauto si dimostra in questo caso: «la
natural inclinación de los de aquel Reyno es fácil en quejar-
se y poner en descrédito a los ministros, y esto obliga a pro-
ceder con particular tiento por su reputación y más quando
se llega a ablar de quien ocupa tan preheminente puesto en
este Consejo como el Regente don Francisco Vico»90. Fra i
consiglieri d’Aragona più d’uno è portato a ritenere, forse
per un moto di solidarietà corporativa, che i comporta-
menti di Vico rientrino nella normalità. Un regente provin-
cial di un Consiglio territoriale, che ha funzioni di raccor-
do fra la corte e la periferia, deve necessariamente esercita-
re una funzione preminente e deve coordinare e controllare
le reti di potere in provincia. Per questo ha l’obbligo di gra-
tificare un certo numero di fedeli per i quali deve sollecita-
re ricompense onorifiche, prebende e altre gratificazioni
materiali.
L’attacco concentrico mosso a Vico fra il 1636 e il 1637
ha per protagonisti anche i consellers municipali di Cagliari.
I cagliaritani sono convinti che per ripristinare un rapporto
politico equilibrato non vi sia altra strada che ridimensio-
nare il potere di Vico nel Supremo d’Aragona. Nel marzo
1637 viene presentato a corte da Francisco de Ravaneda,
conseller en cap del municipio di Cagliari, un nuovo memo-
rial per tutelare gli interessi della città e per sollecitare la
rimozione del ministro sassarese ritenuto indegno di rap-
presentare il regno di Sardegna91. Appena i sassaresi ne
hanno notizia, inviano anch’essi a corte un loro síndico, il

90
ACA, CdA, leg. 1083, consulta del Consiglio d’Aragona, s.d. [ma otto-
bre-novembre 1636].
91
ACA, CdA, leg. 1083, memorial del síndico di Cagliari Francisco de
Ravaneda al Consiglio d’Aragona, 3 marzo 1637.
Introduzione LVII

dottor Antonio Nuseo, vicario generale della Chiesa turri-


tana e procuratore dell’arcivescovo, allo scopo di neutraliz-
zare l’offensiva cagliaritana e rivendicare a loro volta una
serie di privilegi e di reparos amministrativi92.
L’accusa più dura mossa dai cagliaritani a Vico è d’aver
violato l’obbligo di lealtà verso il sovrano nell’esercizio del
mandato in Sardegna93. Le “parcialidades” e le “enemista-
des” che dilaniano la società sarda sono per i cagliaritani il
risultato delle trame del regente, poste in essere per torna-
conto personale e per consolidare la preminenza sua e dei
gruppi di potere sassaresi. Vico replica altrettanto dura-
mente in una comparsa difensiva per il Consiglio d’Arago-
na denunciando gli innumerevoli ostacoli al suo operato
frapposti dalle conventicole cagliaritane. I suoi avversari,
annidati nelle amministrazioni cittadine e nelle istituzioni
laiche ed ecclesiastiche, avevano puntato soltanto a scredi-
tarlo e ad allontanarlo dall’isola per riacquistare la libertà
d’azione che la legittima preminenza reale, esercitata dal
ministro, aveva limitato94. Nella primavera del 1638 una
consulta del Supremo d’Aragona rigetterà le molte accuse
del síndico cagliaritano Ravaneda. Non esistono prove certe
– sentenzierà il Consiglio – a carico del regente, il quale non
ha «faltado en ningún tiempo a las obligaciones de buen
ministro». Vico viene scagionato e reintegrato nella sua
plaza, mentre il síndico Ravaneda è condannato alla confi-
sca dei duemila ducados di cauzione95.

92
ACA, CdA, leg. 1237, Antonio Nuseo al Consiglio d’Aragona, s.d. [ma
febbraio 1637].
93
ACA, CdA, leg. 1083, memorial di Ravaneda al Consiglio d’Aragona,
3 marzo 1637.
94
ACA, CdA, leg. 1238, súplica di Vico al Consiglio d’Aragona, s.d. [ma
fine 1637].
95
ACA, CdA, leg. 1083, consulta del Consiglio d’Aragona, 20 maggio
1638.
LVIII FRANCESCO MANCONI

Tuttavia i contrasti municipalistici restano in piedi, anzi


si rinvigoriscono in una guerra a tutto campo, condotta
senza risparmio di energie intellettuali, di denaro e di basse
trame. Una conflittualità così accesa si ripercuote sui com-
portamenti quotidiani della gente comune: «Luego se ha
sentido Sásser – aveva scritto Ravaneda nel suo memorial –
y ha hecho sátiras contra Cáller, y visto esto Cáller ha hecho
otras contra Sásser, de que ha crecido esta enemistad, y ha
sido de manera que el Virrey y Real Audiencia con prego-
nes han puesto penas contra lo que han intentado y inten-
tan las sátiras»96. La cronaca del cagliaritano Jorge Aleo rife-
risce che in quel tempo «ogni giorno si rinvenivano pasqui-
nate e libelli infamatori in discredito del sacro nelle canto-
nate e nelle strade della città di Cagliari»97. Nel periodo
1636-39 vengono fatti circolare una trentina di memoriales
che non recano né luogo né data di stampa in un botta e
risposta che vede coinvolti cittadini cagliaritani e sassaresi
ed i rispettivi fiancheggiatori98. La preoccupazione è grande
fra i giudici della audiencia sarda ed uno di loro è portato a
scrivere che nell’isola sono in atto «infinitas parcialidades
que son peores que las de Nyerros y Cadeles»99. I dissidi
sardi non sono paragonabili, se non con una forzatura iper-
bolica, alle vicende catalane del primo Seicento, quando le
bande dei nyerros e dei cadells, divise da insanabili lotte di
fazione, si combattevano senza tregua in molti luoghi della

96
ACA, CdA, leg. 1083, memorial di Francisco de Ravaneda al Consiglio
d’Aragona, 3 marzo 1637.
97
J. ALEO, Storia cronologica e veridica cit., p. 76.
98
Per una conoscenza più approfondita dei memoriales che concernono
prevalentemente la disputa sul primato, si rinvia alla già citata raccolta di
manoscritti Papers relating to the Primacy of Sardinia (British Library,
London: Manuscripts Add. 28468).
99
ACA, CdA, leg. 1237, Azcón al duca di Alburquerque, 24 febbraio
1637.
Introduzione LIX

Catalogna100. Tuttavia alcuni fatti clamorosi che si verifica-


no fra Cagliari e Sassari in quel periodo denotano che la
disputa è ormai degenerata fino a configurarsi veramente
come una guerra fra bandos.
Il viceré e la audiencia, preoccupati del diffondersi di una
pubblicistica anonima incontrollabile per i normali canali
della censura, vietano alla tipografia sassarese di Scano
Castelví di stampare qualunque pubblicazione senza auto-
rizzazione preventiva. Al provvedimento Sassari si oppone
in maniera decisa e attraverso il suo síndico Nuseo denuncia
il provvedimento della audiencia (notoriamente filocagliari-
tana nella sua maggioranza) come un tentativo di controllo
ideologico. Bloccare la produzione editoriale è una misura
contraria alle leggi e ai privilegi municipali e soprattutto alle
tradizioni culturali della città, «donde por residir el Arçobi-
spo, el Tribunal del Santo Officio, el Governador, sus Ase-
sores y un pro-abogado, y la primera y más antigua Univer-
sidad del Reyno instituída y fundada con Autoridad Apo-
stólica y Real, y de muchos conbentos y colegios de Reli-
giosos y Seminarios de Seglares, en la qual Universidad se
leen todas facultades y reciben grados exercitándose en ella
continuas conclusiones y actos literarios por lo qual llega a
ser del inconveniente y desautoridad que se dexa conside-
rar, y más comúnmente se viene a faltar en la particularidad
que los dichos actos literarios requieren, pues para qual-
quier dellos que se haya de imprimir es forçoso que prime-
ro se represente a la dicha Audiencia distando quatro jorna-
das de la dicha Ciudad de Sáçer, de manera que se toma por
mejor partido remitir fuera del Reyno lo que se ofreçe

100
Sul tema il riferimento obbligato è XAVIER TORRES I SANS, Nyerros i
Cadells: bàndols i bandolerisme a la Catalunya moderna (1590-1640),
Barcelona, 1993. Cfr. anche XAVIER TORRES I SANS, Faide e banditismo
nella Catalogna dei secoli XVI e XVII, in Banditismi mediterranei (secoli
XVI-XVII), a cura di Francesco Manconi, Roma, 2003, pp. 35-52.
LX FRANCESCO MANCONI

imprimir (como oy se haze) por ser más breve camino aun-


que siempre difícil a los Religiosos y estudiantes pobres»101.
A Madrid la revoca del provvedimento è immediata, come
consigliano ineccepibili motivi giuridici e altrettanto rile-
vanti ragioni d’opportunità politica e culturale102.
Non esistono prove documentarie d’un intervento di
Vico presso il Consiglio d’Aragona per sostenere il memo-
rial di Nuseo. Tuttavia i buoni rapporti che egli intrattiene
con i padri gesuiti che operano nell’università di Sassari103 e
l’antico sodalizio con la famiglia Scano Castelví (il titolare
della tipografia è erede di Francisco Scano Castelví, perso-
naggio di punta della rete di potere sassarese, protagonista
del parlamento Gandía e più volte amministratore civico104)
fanno pensare che una qualche pressione egli l’abbia eserci-
tata, perlomeno per accelerare le decisioni del Consiglio.

101
ACA, CdA, leg. 1237, memorial di Nuseo al Consiglio d’Aragona, s.d.
[ma febbraio 1637].
102
Biblioteca Nacional, Madrid, Manuscritos, ms. 18651/39, Carta Real
de Felipe IV por la que se levantan, bajo pena de mil florines de oro, ciertas
prohibiciones que el Virrey y Real Audiencia de Cerdeña impusieron a los
impresores de Sácer, Madrid 30 septiembre 1637 (pubblicata da EDUARDO
TODA Y GÜELL, Bibliografía española de Cerdeña, Madrid, 1890, pp. 297-
298; FRANCINA SOLSONA I CLIMENT, Felip IV d’Espanya i l’impresor de
Sassari, in Studi storici in onore di Francesco Loddo Canepa, Firenze, 1959,
pp. 333-339; R. TURTAS, La nascita dell’univesità cit., pp. 179-181).
103
Nella sua historia Francisco Vico racconta come nel 1627, quando era
provinciale suo fratello Pedro, i gesuiti di Sassari avevano preso possesso del
nuovo collegio costruito in un’area che lui stesso aveva messo a disposizio-
ne della Compagnia (R. TURTAS, La Casa dell’Università cit., pp. 11-12).
104
Sulla tipografia, cfr. E. TODA Y GÜELL, Bibliografía española cit., pp.
280-281; su Francisco Scano de Castelví, cfr. G. ORTU, Centralismo e
autonomia cit., pp. 320-321; Il Parlamento del viceré Carlo de Borja duca
di Gandía cit., pp.20-21. Il forte legame di Vico con gli Scano de
Castelví e con i Manca è attestato dalla presenza dei sassaresi Francesco,
Jacopo e Stefano Manca e di Francisco Scano de Castelví come testimo-
ni ufficiali della laurea in utroque iure di Vico a Pisa il 28 aprile 1590
(DEL GRATTA, Acta graduum Academiae Pisanae cit., p. 261).
Introduzione LXI

La guerra stracittadina per la difesa dei rispettivi santi si


radicalizza al tal punto che minaccia di degenerare da pole-
mica dotta a questione d’ordine pubblico. Nel 1638 l’arci-
vescovo di Sassari Passamar presenta al re e al papa un
memoriale denunciando l’arcivescovo e il capitolo di
Cagliari come responsabili delle pratiche “idolatriche” del
popolino cagliaritano, a cui era permesso di venerare molte
reliquie di presunti santi e martiri ed in particolare del
vescovo Lucifero ritenuto «cismático y condenado»105. L’ar-
civescovo di Cagliari Ambrosio Machín risponde con il
libro Defensio Sanctitatis Beati Luciferi, stampato con tutte
le dovute approvazioni fra il 1639 e il 1640106. La “difesa”
della santità del patrono cagliaritano non è solo un dovere
d’ufficio: Machín è algherese e la sua città è tradizional-
mente alleata con Cagliari ed avversa a Sassari. Quando
l’Inquisizione vieta la pubblicazione dell’opera un vero e
proprio moto d’indignazione corre nella società cagliarita-
na. Il Santo Officio non agisce arbitrariamente, ma in
conformità a disposizioni superiori che impongono il bloc-
co della stampa e della circolazione di libri riguardanti il
primato sardo in attesa che le autorità di Roma si pronun-
cino sulla questione. Ma a Cagliari si grida immediatamen-
te al complotto: l’opinione pubblica è turbata dalla circola-
zione clandestina di una grande quantità di «pasquines,
sátiras y tratados infamatorios» e sospetta che anche il tri-
bunale dell’Inquisizione, che ha sede a Sassari, si sia fatto
influenzare dagli avversari107. La vendetta dei cagliaritani si
rivolge verso alcuni sassaresi residenti a Cagliari, il tesoriere

105
BL, Add. 28468, Papers relating to the Primacy of Sardinia, Resumen de
todo lo que contiene el libro, fol. 90-92; ACA, CdA, leg. 1190, il Presi-
dente, la Audiencia e la Junta patrimonial di Sardegna al Consiglio d’A-
ragona, 10 marzo 1641.
106
A. MACHÍN, Defensio Sanctitatis Beati Luciferi cit.
107
A. RUNDINE, Inquisizione spagnola cit., pp. 109-113.
LXII FRANCESCO MANCONI

reale Ornano de Basteliga e i fratelli Díaz, l’uno canonico


della cattedrale e consultore del Santo Oficio e l’altro aboga-
do fiscal delle reales visitas. I tre, noti per essere stretti soda-
li di Vico, erano stati ritenuti gli ispiratori della censura
inquisitoriale ed i responsabili della campagna di stampa
denigratoria nei confronti dei santi martiri cagliaritani. Col
pretesto d’evitare più gravi “inquietudes” popolari, nel
1640 Ornano viene espulso dal regno ed i Díaz sono allon-
tanati da Cagliari e confinati nel villaggio di Mandas. Le
loro carte vengono sequestrate col consenso dei giudici
della audiencia e dei principali ministri reali, alla ricerca dei
libelli infamatori contro Lucifero e i santi cagliaritani108.
Se i memoriales a stampa e le “sátiras” hanno acquisito
un’importanza decisiva nello scontro per il primato eccle-
siatico e civile un peso non minore lo vanno assumendo i
libri di storia. L’animosità dei cagliaritani nei confronti di
Vico cresce agli inizi del 1637 quando si diffonde la notizia
della prossima pubblicazione a Barcellona della Historia
general de la Isla y Reyno de Sardeña. Gli informatori dicono
che il letrado sassarese avrebbe firmato un libro di storia dai
contenuti ferocemente anticagliaritani, «una obra contra la
Ciudad de Cáller» che sarebbe stata predisposta da Vico di

108
ACA, CdA, leg. 1190, il Presidente, la Audiencia e la Junta patrimo-
nial di Sardegna al Consiglio d’Aragona, 10 marzo 1641.
La diatriba sul vescovo “cismático” è destinata a continuare a lungo.
Lucifero assurge quasi a simbolo del conflitto stracittadino e per diversi
anni rimane al centro delle polemiche persino fuori dalla Sardegna. A
Madrid nel maggio del 1647 una festa in onore del santo viene celebra-
ta nell’ospedale della Corona d’Aragona, a cui fanno riferimento i sardi
residenti nella capitale. La festa è legittimata da un breve papale e dal-
l’approvazione del Consiglio di Cruzada, ma trova la netta opposizione
dei sassaresi capeggiati da Vico che si servono del Vicario di Madrid per
impedirne la celebrazione. La festa si celebra comunque con solennità,
“con luminarias y artificios de fuego y una música sumptuosa”, ed anche
con grande disdetta di Vico (ACA, CdA, leg. 1083, memorial di don
Jayme Capay al vicecancelliere d’Aragona, 14 agosto 1647).
Introduzione LXIII

concerto col gesuita sassarese Jaime Pinto «su amigo intrín-


seco».
Il soggiorno nell’isola è per Vico l’occasione propizia per
raccogliere fonti documentarie utili per scrivere una storia
dei feudi e della nobiltà sarda. È probabile che agli inizi il
progetto di ricerca storica fosse indirizzato in quell’unica
direzione che sta molto a cuore a Vico in predicato d’essere
nobilitato dopo l’acquisto del feudo di Soleminis109. È forse
dopo la lettura del primo libro di Bonfant che il progetto si
fa più ambizioso e prende corpo la concertazione con l’in-
tellettualità sassarese per sostenere in un trattato di storia la
tesi del primato turritano.
Il fatto che il padre Pinto avesse affrontato nella sua dotta
opera teologica anche il tema del primato ecclesiastico di
Sardegna, esaltando i martiri turritani e le antichità della
sua città d’origine ed avesse citato un libro di Vico ancora
inedito, autorizza i detrattori del regente ad insinuare ripe-
tutamente che egli fosse soltanto il finanziatore della Histo-
ria general di Sardegna scritta per suo conto dall’autore del
Christus crucifixus. Dopo qualche tempo le mormorarazio-
ni sulla paternità del libro diventeranno certezze, tali da
costituire un capo d’accusa del memorial contro Vico pre-
sentato a corte nel 1644 dal síndico della città di Cagliari
Salvador Martín110. Saranno anche l’occasione per promuo-
vere, in contrapposizione alla storia di Vico, la pubblicazio-
ne di un “memorial en derecho en favor del Primado del
Arçobispo de Cáller” firmato dal dottor Dionisio Bonfant,

109
F. MANCONI, Un letrado sassarese al servizio della Monarchia ispanica cit.
110
Biblioteca Universitaria di Cagliari: Memoriale al Re della Città di
Cagliari contro i sassaresi Francisco Vico, Julián Usena e Basteliga, s.d. [ma
1644]. L’insinuazione di Martín verrà ripresa più tardi da un cronista
solitamente attendibile come J. ALEO, Storia cronologica e veridica cit., p.
121.
LXIV FRANCESCO MANCONI

divenuto nel frattempo “provisor general de la Universidad


de Cáller y Cerdeña”111.
La controffensiva cagliaritana non si arresta al confronto
Vico-Bonfant, ma punta ad ottenere la censura preventiva
del libro del regente, col pretesto della pericolosità per l’or-
dine pubblico dei libri di storia tendenziosi. Quando il sín-
dico cagliaritano Ravaneda chiede al Consiglio d’Aragona il
sequestro della Historia general (i sassaresi avevano fatto
altrettanto per i libri di Bonfant) argomenta che nel libro
«compuesto por el Regente don Francisco de Vico de histo-
ria de aquel Reyno […] hay muchas cosas que saliendo a luz
el dicho libro serán de muy grande ocasión para renovar los
dichos encuentros y parcialidades». Il Supremo d’Aragona
si preoccupa di non avallare in alcun modo l’azione di
discredito nei confronti di Vico («podría ser que el dicho
Regente las haya escrito por relación de papeles de algunos
que en esta parte no tienen buena intención»), ma non tra-
scura neppure le ragioni dell’altra parte. Per questo dispone
che il viceré di Catalogna gli rimetta il manoscritto e faccia
sospendere la stampa del libro, «hasta que se reconozca [el
original] y que pareciendo que hay cosas dignas de reformar
para conservar la paz y quietud entre los naturales del dicho
Reyno se reformen, y no haviéndolas, se buelva para que
passasse adelante la dicha impresión»112.
L’esame del libro da parte del Consiglio d’Aragona avreb-
be preceduto un altro controllo preventivo di competenza
del Consiglio di Estado. È la procedura seguita da qualche
tempo per la pubblicazione dei libri di storia, ritenuti
“materia política” che riguarda gli affari di stato e di guerra.
La regola di sottoporre la pubblicazione di opere storiche

D. BONFANT, Breve tratado del Primado de Cerdeña, y Córcega cit.


111

ACA, CdA, Registros, reg. 315, 2 luglio 1637, fol. 125-126r; ACA,
112

CdA, leg. 1094, consulta del Consiglio d’Aragona, 15 gennaio 1638.


Introduzione LXV

all’approvazione preventiva del Consiglio di Estado era stata


introdotta a corte ai primi del Seicento. Ma già nei primi
anni del regno di Filippo IV, per sfuggire all’esame precau-
zionale, si ricorre alla stampa di fogli sciolti privi di dati
tipografici, confidando nella tolleranza di autorità e di
stampatori disposti a chiudere un occhio. In tal modo cir-
colano copiosi in tutti i regni della Corona (la Sardegna, lo
abbiamo visto, non fa eccezione) pamphlets o folletos di
poche pagine che surrogano opere di storia di più ampio
respiro, fintanto che una legge del 1627 non impone la cen-
sura preventiva su tutti gli stampati, siano essi «relaciones,
cartas, apologías, panegíricos, gacetas, nuevas, sermones,
discursos o papeles en materia de Estado o gobierno». Dieci
anni dopo, quando la ripresa delle ostilità con la Francia
impone un più severo controllo della propaganda politica,
un decreto reale del 1637 dispone che il Consiglio d’Ara-
gona «no dé licencia y disponga no se imprima ninguna
cosa de calidad que toque a historia, ni de sucesos dignos de
ponerse en ella, sin que se me dé primero cuenta desto para
que yo mande lo que conviniese, y también pondrá parti-
cular cuidado en hacer recoger qualesquier papeles de que
tenga noticia que toque a esto»113.
A determinare l’ulteriore restrizione della libera circola-
zione delle opere storico-politiche non può essere stato –
secondo Domínguez Ortiz – che un fatto concreto. Non è
da escludere che la causa del provvedimento sia proprio la
contestata storia di Francisco Vico che era all’attenzione
della corte dai primi del 1637. Dopo il parere preventivo
del Consiglio d’Aragona formulato dal regente Matías de
Bayetola, il manoscritto della Historia general viene rimesso
al Consiglio di Estado che lo farà esaminare dal padre Pedro

113
ANTONIO DOMÍNGUEZ ORTIZ, La censura de obras históricas en el siglo
XVII español, in «Chronica Nova», 19 (1991), p. 115.
LXVI FRANCESCO MANCONI

de Santiago114, «para que lo viesse y que todo lo que pudies-


se poner emulación entre un Cavo y otro lo advirtiesse
notasse y comunicasse con el Protonotario»115.
In ogni modo il “caso” Vico costituisce un precedente
decisivo per rafforzare la censura sui libri di storia. A distan-
za di qualche anno verrà richiamato in una consulta per
ribadire la regola dell’esame precauzionale dei libri di storia
che trattino temi di politica: in quanto “materias de estado”
il contenuto deve essere sottoposto al controllo del Consi-
glio di Stato, previo parere del Consiglio territoriale. La
materia verrà disciplinata più chiaramente con un real
decreto del 1645, indirizzato al Consiglio di Castiglia: «Por
justas consideraciones he resuelto que los libros de historias
se vean por ministros de Estado, y que sin que esto preceda
no se impriman aunque tengan aprobación del Consejo de
Castilla o el de Aragón […]. Y para que esto tenga conse-
cuencia siempre que se remitan libros con título de historia
o guerra, a las personas a quienes se mandaren ver se pre-
venga que todo lo que tocare a historia lo reserven al Con-
sejo de Estado, por haberse experimentado salir algunas
impresiones cuyas intitulatas suenan una cosa y lo que con-
tienen es de diferente calidad»116.
Nel 1639 finalmente la Historia general può vedere la luce
a Barcellona, presso la tipografia di Lorenzo Deu, «delante
el Palacio del Rey». Il controllo plurimo esercitato a corte
riflette le preoccupazioni per l’ulteriore frattura politica che
la diffusione della storia di Vico avrebbe generato in Sarde-

114
ACA, CdA, leg. 1094, consulta del Consiglio d’Aragona del 15 gen-
naio 1638.
115
Archivo General de Simancas (AGS), Estado, leg. 4126, consulta del
Consiglio di Estado del 23 novembre 1644.
116
Real Academia de la Historia, Madrid: Colección Salazar, tomo K 17;
AGS, Estado, leg. 4126, consulta del Consiglio di Estado del 3 dicembre
1644.
Introduzione LXVII

gna. Non è un caso che nel 1640, quando il viceré Doria,


principe di Melfi, prospetta la possibilità d’avere con sé
Vico come collaboratore nelle prossime cortes del regno, il
Consiglio d’Aragona si esprima negativamente, «por oca-
sión de los pocos affectos que [el regente] tiene en el Cabo
de Cáller por ser él de de Sácer»117. In una fase di grande tra-
vaglio politico per la Monarchia è opportuno che il gover-
no vicereale mantenga una sostanziale equidistanza onde
favorire la convergenza dei parlamentari sulle richieste di
Madrid. Accortamente, e nei limiti del possibile, il regente
sardo mantiene un ruolo defilato per qualche tempo.

4. Un conflitto nel conflitto: Salvador Vidal contro Francisco


Vico

La battaglia dei cagliaritani non viene combattuta soltanto


negli ambienti di corte. Ha modo di svilupparsi anche con
un’accesa polemica storiografica in cui Vico deve confron-
tarsi con un singolare poligrafo di nome Giovanni Andrea
Simone Contini, un frate minore francescano nativo di un
villaggio prossimo a Cagliari. Sotto il nome di penna di Sal-
vador Vidal, Contini scrive una grande quantità di opere
sugli argomenti più disparati. Le alabanzas di santi locali e
le storie di antigüedades e grandezas di città spagnole e sarde
costituiscono il genere più frequentato, ma non l’unico,
della sua ricca produzione118. In un ventennio, fra il 1626 e

117
ACA, Camara de Aragón, leg. 1234, il viceré Doria al Consiglio d’A-
ragona, gennaio 1640, consultada il 5 ottobre 1640.
118
GIOVANNI MARIA CONTU, Vida del Venerable Padre Fray Salvador
Vidal Marense, Religioso Observante del Seráfico Patriarca San Francisco,
manoscritto del sec. XVIII della Biblioteca Universitaria di Cagliari,
Fondo Baylle.
LXVIII FRANCESCO MANCONI

il 1646, Vidal firma ventuno libri, lasciando per di più ine-


diti quindici manoscritti di carattere religioso e civile119.
Un tipico poligrafo del Seicento, il padre Vidal, che mette
a disposizione dei committenti più diversi il suo bagaglio
d’erudizione per celebrare santi famiglie e città, per soste-
nere polemiche dotte, per difendere tesi precostituite. Per
farsi un’idea delle attitudini culturali di Vidal basta leggere
il manoscritto Vida, Martyrio, y Milagros de San Antíogo sul-
citano Patrón de la Isla de Sardeña cuyo cuerpo se halló en las
catacumbas de su Iglesia de Sulcis el año 1615 a 18 de março.
A margine dell’opera agiografica del santo ascritto alla
“causa” cagliaritana egli celebra anche Maracalagonis, il suo
piccolo ed oscuro villaggio natale, descritto come patria di
santi, municipio romano, sede di un’antica e ricca comu-
nità ebraica, luogo di residenza di una ricca e “grandísima
nobleza”120.
I consellers della città di Cagliari non possono lasciarsi
sfuggire i servigi del loro concittadino e affidano alla sua
vena di polemista il compito di confutare sul piano storio-
grafico le tesi di Vico. Dunque anche questo impareggiabi-
le letterato scende in campo a difesa della causa di Cagliari
accanto a Machín e a Bonfant. La polemica contro Vico
viene condotta in una serie di debordanti scritti che hanno
la pretesa di rettificare punto per punto le falsità della Histo-
ria general. Vico replica con altrettanta vis polemica e con
argomentazioni altrettanto ridondanti e barocche, come si
conviene ad un dibattito erudito secentesco. La disputa sto-
riografica è meritevole d’attenzione non tanto per i suoi
119
SALVADOR VIDAL, Propugnaculum triumphale in adnotationes sive cen-
suras authoris innominati, Milano, 1643, p. 307. Cfr. anche JORGE ALEO,
Successos generales de la Isla y Reyno de Sardeña prosiguiendo desde el año de
1000 hasta el de 1325 del nacimiento de Christo nuestro Señor, tomo II,
anno 1684, p. 1126 del manoscritto dell’Archivio di Stato di Torino.
120
Sul manoscritto, cfr. SERGIO BULLEGAS, La scena e il paesaggio, Ales-
sandria, 1997, pp. 18-19.
Introduzione LXIX

discutibili contenuti quanto per i valori ideologici che sot-


tendono l’impegno dei due protagonisti121.
Salvador Vidal è dunque il campione prescelto dai consel-
lers municipali cagliaritani, ma le sue prestazioni di polemi-
sta vengono sollecitate anche dall’arcivescovo Ambrosio
Machín e dal provinciale sardo dell’ordine dei francescani
che in Sardegna si è diviso, al pari dei gesuiti, nella disputa
sul primato ecclesiastico122.
È così che Vidal pone mano agli Annales Sardiniæ nella
seconda metà del 1638 per pubblicarli a Firenze a metà del
1639123. In verità del 1639 è soltanto la prima parte dell’o-
pera, l’Apparatus ad Annales Sardiniae, un caotico libello in
forma di trattato scritto di getto per confutare a caldo le tesi
della Historia general. La seconda parte degli Annales esce

121
La polemica fra Vico e Vidal è stata liquidata con sufficienza dalla sto-
riografia sabauda prima e da quella risorgimentale dopo (cfr. per tutti
GIUSEPPE MANNO, Storia di Sardegna, Capolago, 1840, tomo III, p. 127
ss.; PASQUALE TOLA, Dizionario biografico degli Uomini illustri di Sarde-
gna, ossia storia della vita pubblica e privata di tutti i Sardi che si distinse-
ro per opere, azioni, talenti, virtù e delitti, Torino, 1857, vol. III, p. 297
ss.). Agli storici sardo-italiani dell’Ottocento la produzione storica secen-
tesca, che scaturiva da un contesto culturale assai complesso e da moti-
vazioni ideali lontane nel tempo, risulta incomprensibile. I giudizi liqui-
datori, viziati da un forte pregiudizio ideologico antispanico e filosabau-
do, si perpetueranno fino a tempi recenti, fino a quando la storiografia
sarda cinque-secentesca non conoscerà una riconsiderazione problemati-
ca da parte di R. LACONI, I primi storici sardi e la versione imperiale e
subalterna della nostra storia cit., pp. 101-143.
122
Sembra che i dissidi interni all’ordine religioso siano degenerati in
scontri personali, persino fisici, che coinvolgono Vidal in prima persona.
Durante un periodo di permanenza nel convento di Sassari Vidal sareb-
be stato vittima d’un tentativo d’assassinio e avrebbe subito, su denuncia
dei suoi confratelli, un processo davanti alla Congregazione dei Regolari
(G. M. CONTU, Vida del Venerable Padre Fray Salvador Vidal cit., pp.
356-7 e 522).
123
SALVADOR VIDAL, Annales Sardiniæ. Serenissimo Ferdinando II Ethru-
riae Duci Magno. Pars prima, Firenze, 1639.
LXX FRANCESCO MANCONI

nel 1645, nel momento cruciale dell’offensiva cagliaritana


per allontanare Vico da Madrid. L’opera, che appare decisa-
mente più meditata, vuole tracciare una storia della Sarde-
gna a partire dalla natività del Signore e propone come
tema centrale, ovviamente, l’esaltazione della santità dei
martiri cagliaritani. In un disinvolto affastellamento di
fonti documentarie, di richiami ai classici dell’antichità, di
cronache di scavi alla ricerca di corpi santi, di citazioni di
Baronio e di altri storici accreditati, di trascrizioni epigrafi-
che talvolta autentiche e talaltra false, di ipotesi fantastiche
e mai verificate, Vidal porta a suo modo un contributo alla
vertenza sul primato ecclesiastico124. Nel quinquennio che
intercorre fra la pubblicazione delle due parti degli Annales
la disputa storiografica è destinata a lievitare e ad incidere
direttamente sulle animosità fra cagliaritani e sassaresi. La
replica a Vidal si materializza in un libello anonimo, di
«authore innominato sed magni nominis et literaturæ»,
intitolato Ad Annales Sardiniae per fr. Salvatorem Vitalem
censurae et observationes quaedam, che risulta pubblicato a
Girona nel 1640. In realtà l’opuscolo, dedicato al Papa e al
re Filippo IV, viene stampato a Sassari ad opera di alcuni
ecclesiastici per confutare le argomentazioni del frate fran-
cescano con «una censura criminal – dicono a Cagliari – y
observaciones mordacíssimas»125. Il pamphlet viene diffuso

124
SALVADOR VIDAL, Annales Sardiniæ. Pars II. A saluberrimi Virginis par-
tus exin ad usque provectum annum CCC. Ill.mo Clarissimoque D. Don
Ioanni Arias Maldonato Regio Senatori, Milano, 1645.
125
Vidal ne attribuisce la paternità all’arcivescovo turritano don Diego
Passamar ed allo stesso Vico (S. VIDAL, Respuesta al histórico Vico. Del
R.P.Fr. Salvador Vidal, de la Orden del Padre San Francisco, de la Regular
Observancia. Dirigida al Rey Don Felipe IV y a Su Real Supremo Consejo de
Aragón, Venezia, 1644, pp. 10-11 e 39-41). In realtà l’autore è stato iden-
tificato nel religioso sassarese Giuseppe Sequi (J. ALEO, Successos generales
cit., p. 1131; MATTEO LUIGI SIMON, La Sardegna antica e moderna, a cura
di Carlino Sole e Virgilio Porceddu, Cagliari, 1995, p. 30).
Introduzione LXXI

persino a Cagliari, dove viene utilizzato da alcuni esponen-


ti del bando filosassarese (Ornano de Basteliga e i fratelli
Díaz) come strumento di propaganda nella piazza della cat-
tedrale, nel palazzo del viceré, negli uffici, nei circoli aristo-
cratici. Tutto questo suscita risentimenti forti e provoca una
vera e propria sollevazione di popolo contro i divulgatori
del libello. Insomma, è una conferma che anche in Sarde-
gna i libri di storia sono “materia política” (come sostiene il
Consiglio di Estado), sono divenute ormai armi privilegiate
nelle contese municipali.
La risposta di un libellista dalla penna facile quale Vidal
non si fa attendere. La nuova opera, il Clypeus aureus excel-
lentiae calaritanae, viene scritta di getto a Firenze per con-
futare ancora vari assunti della Historia general: «Vindico
patriam a telis illatis, ictibusque crebrerrimis», dice nella
prefazione al libro posta sotto l’epigrafe S.P.Q.K. (dove la k
sta per kalaritanus)126. In una seconda parte del Clypeus,
intitolata Alphabetica gemma, pretiosor adamante, de excel-
lentia Calaritana, impiega ancora – tanto puntigliosamente
quanto confusamente – le fonti più disparate relative a sanc-
ti ed encomia per illustrare il primato di Cagliari e per
demolire l’opera del letrado sassarese.
Da Madrid risponde Francisco Vico con una sua Apolo-
gatio honorífica127. Stavolta Vico ha ottenuto regolare licen-
za dalla Suprema Inquisizione, il prestigioso avallo scienti-
fico di uno storico assai accreditato come il gesuita Gil

126
SALVADOR VIDAL, Clypeus aureus excellentiae Calaritanae, Firenze,
1641, p. 3.
127
F. DE VICO, Apologatio honorífica del Doctor don Francisco de Vico del
Consejo de Rey N.S. y su Regente más antiguo en el Supremo de Aragón a las
obieciones que haze a su historia general del Reyno de Sardeña el Padre Fr.
Salvador Vidal, de la Orden de San Francisco de la Observancia, de la Pro-
vincia de Toscana, en su libro intitulado Clypeus aureus excelentiae calari-
tanae, Madrid, 1643.
LXXII FRANCESCO MANCONI

González Dávila128, l’incondizionata approvazione finale del


regente la real cancillería del Consiglio d’Aragona Matías de
Bayetola129. Vico rintuzza le accuse e denuncia la mancanza
di metodo storiografico di Vidal, che sostiene un’inesisten-
te centralità pisana nella storia sarda e cagliaritana, e la
«adulación servil» del frate francescano verso il granduca di
Toscana a cui il Clypeus è dedicato. Il distacco dalla Sarde-
gna di Vidal (uomo irrequieto che viaggia fra la Spagna,
Firenze, Roma e Milano) e il suo inconsueto ossequio ad un
signore italiano servono a Vico per insinuare una presunta
“infedeltà” verso la Monarchia ispanica dell’autore e, per
estensione, di Cagliari che lo protegge130. Ma a squalificare

128
«E visto esta Apología honorífica escrita por el Dotor Don Francisco
Vico […] y responde con mucha propiedad el título con los honores de
su noble erudición; con ella da nueva gloria al felicíssimo Reyno de Cer-
deña y enseña al adversario el camino real de la verdad y la modestia con
que se an de tratar materias que pertenecen a un Reyno favorecido de la
clemencia del Cielo y fortuna de sus Príncipes» (ACA, CdA, leg. 1083,
licencia di Gil González Dávila, 17 agosto 1643),
129
«He leydo este libro intitulado Apologatio Honorífica compuesto por
el Doctor Don Francisco de Vico del Consejo de Rey nuestro Señor y su
Regente Decano en aquel mi collega, y hallo en él que con grande eru-
dición singular estilo y doctrina y summa prudencia discurre admirable-
mente sacando a luz muchas verdades que por la antigüedad del tiempo,
y omissión de algunos historiadores estaban olvidadas y ocultas y parti-
cularmente las que conciernen a la fundación y población del antiquísi-
mo Reyno de Cerdeña y a los succesos que assí en lo ecclesiástico como
en lo secular ha avido desde su principio hasta agora no sólo en el cavo
de Cáller sino en el de Sásser, conciliando (con exemplar christiandad y
desapasionado zelo) la santa emulación que entre ellos por falta de ver-
daderas noticias ha avido, dando como da a cada uno de dichos cavos
con autoridad y testimonio de gravíssimos historiadores y Santos lo que
le toca, […] con que cesarán fácilmente las emulaciones y voluntarias
competencias que ha avido por falta de verdaderas noticias» (ACA, CdA,
leg. 1083, licencia del regente Bayetola, 27 agosto 1643).
130
D’altronde di lì a poco nella foga polemica sarà lo stesso SALVADOR
VIDAL a scrivere temerariamente in una nuova opera, il Propugnaculum
Introduzione LXXIII

Vidal è prima di tutto l’inconsistenza storiografica della sua


opera: «mezcla lo fabuloso y pervierte lo verdadero, que
nada ha dexado santo, nada lustroso de lo gentilicio, que no
lo estrague profano y poco ajustado a la verdad lo rebuelva
litigioso»131.
Sarebbe troppo lungo descrivere la verbosa disputa,
ridondante di citazioni dotte e di puntigliosi distinguo.
Nulla di nuovo Vico aggiunge alla sua Historia general,
limitandosi a riproporre le solite fonti mutuate da Fara
(Annio, Beroso e qualche classico latino). È evidente che
l’intento non è tanto quello di ristabilire improbabili
“verità” storiografiche quanto di utilizzare quegli scritti per
affermare la prevalenza di una città sull’altra, nell’intento
d’influenzare le decisioni romane e madrilene sulla questio-
ne del primato.
Vale la pena tuttavia di segnalare le reciproche insinua-
zioni a scopo infamatorio circa la “contaminazione” avve-
nuta nelle due aree geografiche dell’isola durante le invasio-
ni dei mori. Così pure è opportuno accennare alla stru-
mentalità delle considerazioni sulla divisione dell’isola in
quattro giudicati. Vico, che vuole provare l’antichità della
disunione interna dei sardi (e quindi di una tradizione plu-
ricentrica del dominio politico) presceglie fonti che fanno
risalire quella partizione all’epoca romana; mentre per
Vidal, che vuole difendere l’unità isolana e l’assoluta cen-

triumphale in adnotationes sive censuras Authoris Innominati contra Anna-


les Sardinaie (Milano, 1643), che «Magnus Hetruriae Dux Mammona
non est, neque Deus est Rex Philippus» (p. 43); rincara la dose poco
dopo sostenendo che «totius Sardiniae legitimum dominum non esse
Philippum regem» (p. 139).
131
F. DE VICO, A la epístola dedicatoria de este llamado Clypeo, en que el
Padre Fray Salvador Vidal le pone en la protección del S.P.Q.K., prefazione
a Apologatio honorífica cit.
LXXIV FRANCESCO MANCONI

tralità cagliaritana, la divisione era molto più recente, di


epoca pisana132.
Il carattere strumentale della polemica storiografica dei
primi anni quaranta è evidente e le contingenze politiche
portano di necessità Vico a rispondere punto per punto a
Vidal nella sua Apologatio honorífica. E Vidal, paragrafo per
paragrafo, foglio per foglio, replica a Vico nella Respuesta al
histórico Vico. Pubblicata a Venezia nel 1644, la Respuesta è
indirizzata al re Filippo IV ed al Supremo Consiglio d’Ara-
gona, quasi a proclamare accortamente la fidelidad dell’au-
tore alla Monarchia ispanica messa in dubbio precedente-
mente. Vidal difende prima di tutto la sua credibilità di sto-
rico e di autore di libri sulla Sardegna «verídicos y verazes,
de erudición salpicados; muy bastecidos, fortalecidos, y
guarnecidos de autoridades y testimonios sólidos de illu-
stres y graves Escritores»133. Ben diversa è, a suo dire, l’ope-
ra di Vico, manifestamente faziosa, «antípoda de Cáller»:
«Todo lo que toca a Sardeña lo estraga, pervierte, enbaraça,
trastueca, y confunde, todo lo profana y reviste de fabulo-
sos quentos, mascarado, y disfraçado en diferente persona-
ge del que es en realdad. Por si quiera escureçer el resplan-
dor de las verdades tocantes a la antiqüedad, y excelencia de
Cáller, y otras Ciudades del Reyno, atribuyendo quanto ay
a su Sácer. Peca en los tiempos, lugares, y sitios: traslada, y
gradúa su terreno, su cielo, y suelo, sus montes, fuentes,
ríos, mares, puertos, inventando Obispados, Abadías, Prio-
ratos, Monasterios, Tetrarquías, Cetros ínclitos, Comidaz-
gos Reales, absolutos, e independientes: supremos domi-
nios Quiteronios y Turritanos: fluxo, y refluxo de Cardena-
les, de Primis para consagrar Iglesias &»134.

132
S. VIDAL, Clypeus aureus cit., p. 112 ss.; F. DE Vico, Apologatio honorí-
fica cit., p. 93 ss.
133
S. VIDAL, Respuesta al histórico Vico cit., pp. 24-25.
134
Ibidem, pp. 22-23.
Introduzione LXXV

La saporosa pagina, un bell’esempio dell’argomentare


barocco di Vidal, rappresenta a meraviglia i termini di una
polemica che non pretende più di mantenere una sua cifra
scientifica, di attestarsi almeno sulla posizione di denuncia
dei limiti storiografici dell’altro, ma mira diritta a denun-
ciare la faziosità municipalistica, a gridare le colpe e le
nefandezze dell’avversario con la stessa passionalità politica
che si riscontra nei libelli anonimi e nei memoriales politici
indirizzati alla corte.
Nella sua colorita Respuesta al histórico Vico scrive ancora
Vidal: «E yo digo (y Cáller lo dice también, y no lo ignoran
otras Ciudades y Villas de Sardeña) que estando a lo que de
sola la fiscalidad que ha hecho Vico contra las cosas de Cál-
ler como sus libros insinúan, y otras obras y efectos suyos
manifiestan, no pudo aver enemigo tan perjudicial y pestí-
fero contra Cáller come el Doctor Francisco de Vico, de
nación Corsicano de la montaña, y aldea de Vico, y de naci-
miento casual Saçarés. Que si fuera Sardo verdadero, y
natural, no persiguiera a Cáller con tanto y tal detrimento
de la paz pública»135. Come è dato vedere, la polemica è sca-
duta alle accuse personali e alle insinuazioni sulla dubbia
naturaleza sarda di Vico. Contestare la cittadinanza ispani-
ca del regente significa minare la credibilità politica dell’alto
magistrato del Consiglio d’Aragona e porre in dubbio la sua
imprescindibile fedeltà alla Monarchia. L’attacco personale
di Vidal giunge al massimo quando con una Apóstrofe breve
al Rey nuestro Señor invoca, in un crescendo di retorica, l’in-
tervento sovrano: «Está Sardeña en peligro de perderse;
sumergendo se está la navezilla desta Isla, o Felipe Quarto,
que Dios te guarde mil años, mira que este tu Reyno corre
las mayores borrascas que jamás desde quando Sardeña es
Sardeña ha padecido; se está quemando y abrasando en

135
Ibidem, p. 52.
LXXVI FRANCESCO MANCONI

odios intensos, enconados, intestinos. Ninguna de las guer-


ras que rezan las historias ha sido tan horrible como es la
que oy la aflige, y destruye: y si no se provee de reparo y
remedio llegará muy presto al non plus ultra: y luego es
tarde»136.
È difficile valutare quale peso politico questi libri di sto-
ria avessero nelle lotte fra municipi. È da presumere che la
circolazione fosse limitata, ma è probabile che in un’epoca
in cui l’opinione pubblica anche di livello sociale inferiore
risulta fortemente influenzata dalla propaganda scritta,
anche opere come queste, conferme prestigiose di “verità”
già acquisite e consolidate, venissero esibite e divulgate a
modo di pamphlets, quasi brandite come armi.

5. Verso la jubilación del regente

La volontà di rivalsa dei cagliaritani riprende vigore al


tempo della caduta del conte-duca di Olivares. Sono i gior-
ni che segnano l’inizio del declino della parabola politica di
Vico. Ha accumulato molte inimicizie, il regente sassarese.
Non solo nel consiglio municipale di Cagliari ma anche
nella audiencia di Sardegna quasi tutti i giudici gli sono
ostili, Dexart e Canales specialmente. I ministri reali e i
principali esponenti dello stamento militare ed ecclesiastico
sono schierati sulle posizioni dei cagliaritani e favoriscono
la clamorosa cacciata da Cagliari della quinta colonnna sas-
sarese (Ornano de Basteliga ed i fratelli Díaz), consapevoli
come sono di colpire indirettamente il patrón che sta a
Madrid.
Approfittando del momento politico favorevole i consellers
di Cagliari inviano a corte nel 1644 il síndico Salvador

136
Ibidem, p. 101.
Introduzione LXXVII

Martín. La città intende portare la situazione politica sarda


all’attenzione del sovrano e di don Luis de Haro, il succes-
sore del conte-duca. La speranza è che anche nel regno
insulare sia realizzabile una restaurazione politica che con-
duca all’allontanamento del regente Vico compromesso con
Olivares. La corte aveva mantenuto una linea di sostanziale
neutralità di fronte ai conflitti in atto in Sardegna. Tuttavia
la stretta intesa fra Vico e il protonotario d’Aragona don
Jerónimo de Villanueva aveva giocato sempre a favore del
regente provinciale ed aveva finito per orientare il Consiglio
d’Aragona verso decisioni gradite al ministro sassarese e
sgradite, per converso, ai cagliaritani. Ma la posizione di
Vico si era fatta oggettivamente più debole nel momento
della caduta di Olivares e del conseguente allontanamento
di Villanueva137. A quel punto i cagliaritani ritengono che
Vico non goda più di protezioni e che sia giunto il momen-
to che anche lui, sgradito ai sardi come Villanueva lo era ai
catalani, venga allontanato dal Consiglio d’Aragona.
Nelle istruzioni al síndico Martín i consiglieri municipali
di Cagliari formulano un lungo elenco di accuse contro
Vico. Ne evidenziano i comportamenti ostili verso la loro
città, le “persecuciones” nei confronti dei suoi abitanti «pro-
curando visitarles a los unos y a los otros, buscándoles
modo para inquietarlos». Per aver promosso ed avallato
provvedimenti contrari agli interessi della città il regente era
stato ricusato e si pretendeva che non rappresentasse più nel
Supremo d’Aragona la provincia che lo aveva espresso. La
sua faziosità si era manifestata particolarmente nell’esercizio
del patronazgo, sempre squilibrato a favore dei sassaresi. La
casa dei sassaresi Manca, per esempio, aveva fatto man bassa
di plazas ecclesiastiche e civili, si era consolidata politica-

JOHN H. ELLIOTT, La rebelión de los catalanes. Un estudio sobre la deca-


137

dencia de España (1598-1640), Madrid, 19822, p. 467.


LXXVIII FRANCESCO MANCONI

mente ed aveva accresciuto le proprie sostanze economi-


che138.
È solo un primo assaggio delle proposizioni contenute nel
memorial che Salvador Martín presenta a corte per chiede-
re la “jubilación” del regente sardo. Scrive Martín che negli
anni della regencia di Vico Cagliari aveva manifestato la sua
fidelidad al re in molte occasioni, con molti e costosi servi-
cios decisi nei parlamenti e in particolare all’atto dell’incon-
dizionata adesione alla Unión de armas. Invece delle dovute
ricompense la città aveva sperimentato l’ostilità del regente
provinciale, che si era eretto sempre a difensore di Sassari
fomentando «disensiones y encuentros, dividiéndole en dos
vandos y parcialidades»139. L’avversione verso la capitale del
regno trova conferma nella pubblicazione promossa da Vico
di alcuni libri di storia e di certe carte geografiche che sot-
traggono a Cagliari «las honras y antigüedades que los
historiadores antiguos y modernos le han dado, aplicándo-
las a la ciudad de Sásser su patria»140. Ma sono anche altre le
manifestazioni dell’animosità del regente verso Cagliari:
primo, l’aver fomentato nel 1638 il dissidio fra gli arcive-
scovi delle due città sul primato delegittimando, fra l’altro,
alcuni provvedimenti della audiencia sarda favorevoli alla
causa di Cagliari; secondo, l’aver sollecitato da Madrid – di
concerto con la conventicola filosassarese formata dal padre
Pinto, da fra Alonso Serrano e dal dottor Julián Usena – il
provvedimento di censura dell’Inquisizione sarda nei con-
fronti dei libri di Bonfant e di Machín. Sostiene Martín che
quello di Vico è un disegno di lungo periodo, orchestrato a

138
ACA, CdA, leg. 1083, istruzioni segrete della Città di Cagliari a Sal-
vador Martín, 12 luglio 1644.
139
Biblioteca Universitaria di Cagliari: Memoriale al Re della Città di
Cagliari contro i sassaresi Francisco Vico, Julián Usena e Basteliga, s.d. [ma
1644].
140
Ibidem, fol. 4r.
Introduzione LXXIX

favore di Sassari e delle sue clientele, largamente beneficate


a danno dei cagliaritani: «aviendo experimentado en estas
últimas Cortes las vacantes de Prelaturas, pensiones, y otras
mercedes, ha tenido maña el dicho Regente para que los
hijos de la ciudad de Cáller no participassen en ellas, avién-
dose dado a sujetos de Sássar, y las más a personas deudas
suyas». È per tutte queste ragioni che Vico «está recusado
para no poder intervenir casi en todos los negocios de gra-
cia y de justicia de los naturales del Reyno: y en particular
en los de la dicha Ciudad». E la ricusazione deve essere il
viatico per la «jubilación» di un regente che è inviso e che
per giunta «es de edad de más de ochenta años»141.
Il memorial Martín si differenzia dai precedenti docu-
menti per la linea accusatoria. Stavolta i cagliaritani rinun-
ciano a screditare Vico con denunce sulle sue pratiche ille-
cite per arricchirsi e promuovere socialmente parenti e
clienti; puntano invece decisamente sugli aspetti politici del
suo mandato ministeriale. Sono principalmente le disquisi-
zioni sul primato religioso, già enunciate in molti pamphlets
e memoriales portati al vaglio di Roma, e la denuncia della
tendenziosa ricostruzione della storia di Sardegna l’oggetto
delle rimostranze proposte a Madrid.
Rimuovere il ministro sassarese dal Consiglio d’Aragona
significa per i cagliaritani riequilibrare le posizioni di pote-
re fra le due città e forse far pendere definitivamente la
bilancia politica a favore di Cagliari. Vico replica al memo-
rial di Martín che, a suo dire, lo presenta «como enemigo
de mi Reyno y Provincia», con una memoria di grande acu-
tezza. Respinge tutti i cargos come «injuriosos y sin más pro-
bança que su arbitrio» e contrattacca punto per punto accu-
sando a sua volta gli avversari di difendere esclusivamente le
ragioni di una fazione “particular” che agisce, sia in Sarde-

141
Ibidem, fol. 8r.
LXXX FRANCESCO MANCONI

gna che a corte, per inconfessabili fini di consorteria142. Vico


giuoca la sua partita difensiva appellandosi alla legittimità
politica della sua condotta in difesa degli interessi generali
del regno conculcati dalle camarillas cagliaritane e rivendi-
cando una probità storiografica che gli è stata riconosciuta
ufficialmente da “algunos peritos en historia” e dai Consigli
d’Aragona e di Castiglia.
Le accuse di faziosità per aver scritto un libro in pregiu-
dizio di Cagliari sono del tutto infondate, sostiene, perché
«nada puede desear Cáller con verdad en su beneficio que
no le dé mi historia». Ha dato a Cagliari ciò che è di Caglia-
ri, senza sminuirne la storia e senza intendimenti diffama-
tori, semplicemente sulla base di fonti letterarie e docu-
mentarie a lungo ricercate e studiate. L’autodifesa, dai toni
fortemente indignati, gli consente anche di chiarire una
volta per tutte la questione della paternità del libro: «digo y
juro por esta señal de la Santa Cruz † que ni el Padre Pinto
cooperó en la historia, ni en mi Respuesta [a Vidal], ni ha
savido, ni save lo que contiene, sino es por alguna generali-
dad como los demás, ni sus ocupaciones en los ressos,
observancia de su Regla, y la obra tan grande que ha com-
puesto y compone de quatro tomos grandes de Christo
Crucifixo le han dado lugar a ello, ni a reconoçer los libros
históricos, y Archivos Reales, con el de Barçelona, que reco-
nocí en el año 29 y 30 que estuve hallí, y Universidades de
los quales está compuesta la historia en la qual he andado
poco menos de 40 años»143.
Ancora una volta la decisione del Consiglio d’Aragona
non si discosterà dalla tradizionale linea di prudenza. I car-
gos di Martín non paiono probanti e comunque non giusti-
ficano un provvedimento così severo come l’allontanamen-

142
ACA, CdA, leg. 1083, Papel del Regente Vico en satisfación de otro de
Salvador Martín, s.d. [ma 1644].
143
Ibidem.
Introduzione LXXXI

to dal Consiglio del suo decano. Non bastano per convince-


re i ministri madrileni una nuova denuncia sulla prossima
pubblicazione a Saragozza di un nuovo libro di Vico, «una
apología muy perjudicial a la paz y quietud pública» e un
secondo memorial dove si ribadisce che «en 18 años que está
[Vico] en este Consejo lo que ha experimentado [Cagliari]
es haverle perseguido y por éste se le ha admitido la dicha
recusación, y oy es fundamento bastante para la dicha jubi-
lación»144. I toni accesi poco si conciliano con la linea di
pacatezza del Supremo d’Aragona, che una volta di più giu-
dica inconsistenti e generiche le accuse dei cagliaritani. Tut-
tavia il Consiglio (forse perché è in atto il rinnovo dei suoi
membri) assume formalmente una posizione mediana. Da
un lato auspica che il sovrano ordini a don Francisco «que
no scriba libros que puedan mover los ánimos de los de la
Ciudad de Cáller, y si alguno tuviere scrito que no lo saque
a luz»; dall’altro, si impegna a non comminare alcun agra-
vio ai ricorrenti e promette future ricompense alla città di
Cagliari a patto che non presenti più ricorsi a Madrid senza
il preventivo assenso del viceré di Sardegna145.
L’equidistanza del Supremo d’Aragona aveva finito per
favorire Vico dopo la concreta possibilità di una sua estro-
missione dalla regencia146. Ma è un successo di corto respi-
ro. Da tempo l’opposizione al regente non si riduce ad una
questione di rivalità per la difesa dei valori religiosi e mora-
li delle due comunità: ormai tocca sempre più nel profon-
do questioni d’affermazione egemonica di oligarchie urba-
ne composite e portatrici di interessi diversi e complessi;

144
ACA, CdA, leg. 1083, secondo memoriale di Martín, s.d. [ma gennaio
1645].
145
ACA, CdA, leg. 1083, consulta del Consiglio d’Aragona, 12 gennaio
1645.
146
Biblioteca Nacional, Madrid, Manuscritos, ms 1440, Discurso de un
discreto sobre que se jubile a un Ministro de el Reyno de Zerdeña.
LXXXII FRANCESCO MANCONI

scaturisce da una distribuzione della ricchezza e della gracia


ritenuta iniqua; riguarda, insomma, la riconsiderazione
delle dinamiche politiche del patronazgo real. In buona
sostanza sono in molti a ritenere che urge rivedere non sol-
tanto gli equilibri interni nel regno ma anche ristabilire un
equo rapporto fra la corte e la provincia sarda. Dopo l’usci-
ta di scena del conte-duca pare a molti che anche il suo
fiduciario sardo abbia fatto il suo tempo. Non sarebbe più
necessaria, in fin dei conti, la mediazione del potente mini-
stro provinciale nelle relazioni fra Madrid e la Sardegna.
La ripresa del conflitto con la Francia e la dolorosa seces-
sione catalana consentono un’intensificazione dei rapporti
fra la Corona e la nobiltà sarda, la quale fa a gara per offri-
re i propri servigi alla Monarchia asburgica nella guerra di
Catalogna. Alcune casate, come i Villasor e i Castelví, for-
niscono uomini ed armi e costruiscono proprio allora quei
rapporti privilegiati con la Corona che assicureranno loro
in futuro posizioni di primo piano nell’aristocrazia sarda.
Sempre più spesso la nobiltà provinciale e le élites mercan-
tili dialogano direttamente con Madrid: lo fanno assicuran-
do servicios militari e reclutando tercios, lo fanno intensifi-
cando le relazioni di corte, lo fanno cercando in loco intese
col viceré di turno e con i ministri reali.
Ormai l’età avanzata del regente sardo ed il maturare di
avvenimenti epocali marcano ineluttabilmente la fine del
suo percorso politico. In un sistema di governo che anche
in periferia tradisce sempre di più i segni della crisi econo-
mica e delle disfunzioni amministrative le oligarchie avver-
tono la possibilità – e la necessità – d’allentare la morsa del
centralismo madrileno rappresentato inflessibilmente per
qualche decennio da Francisco Vico.
CRITERIO DE LA EDICIÓN

El criterio seguido procura acercar el texto antiguo al lector


actual, de manera que la obra pueda leerse con el menor
número de dificultades. De acuerdo con esto y teniendo en
cuenta el criterio de modernización más frecuente en la
publicación de clásicos españoles, se han establecido las
siguientes normas para la edición del texto:
Se acomodan las letras s, ss, ç, z, x, j, g, v, b, q-, y r al uso
actual. La letra h se imprime según los usos de hoy, sobre
todo en el verbo haber y sus derivados; la palabra aora se
imprime ahora, pero cuando aparece agora, se deja así. La ff
doble se imprime sencilla: effecto como efecto. La letra -ll-,
que es grafía culta (como en illustre) se imprime sencilla. El
grupo ph- se imprime como f- (geographia). Se suprime la h
que va con la c o con la t, como en catholico, o thermas. La
ñ se conserva como aparece. Los nombres de los personajes
antiguos se atienen a las normas generales.
Las vocales i y u que aparecen en el texto como j y v se
adaptan al uso actual; si la i aparece como y se imprime i
(ayre como aire). Las vocales tónicas que difieren de las de
ahora se imprimen según la edición antigua (mesmo) y lo
mismo pasa con las vocales átonas distintas de las actuales
(sospiro, adevinos), vacilaciones vocálicas que son reflejo de
las fluctuaciones que caracterizan este estadio de la lengua.
Se respetan los casos de aféresis y parágoge que puedan
hallarse (felice). Se conservan formas como inico por inicuo,
o antigo por antiguo, cuando así aparece.
Los grupos de consonantes cultos se regularizan hacia la
derivación popular, según se han fijado en la ortografía
actual, respetando la forma más moderna constatada en el
texto: successo> suceso, subjecto > sujeto; del mismo modo, se
da la regularización de consonantes hacia la norma culta,
como en, por ejemplo, docientos > doscientos, juridición >
LXXXIV HISTORIA GENERAL

jurisdicción, letor>lector. También se imprime tan bien o


también según convenga al uso moderno; lo mismo ocurre
con las formas sino y si no. Se respetan las formas así y ansí.
También se conserva el caso de proprio que alterna con pro-
pio.
Las pocas formas verbales que puedan diferir de las usa-
das hoy se conservan como están en el texto, fundamental-
mente las asimilaciones de infinitivo o imperativo y pro-
nombre (ganalla, quitalle, alegallo) y las que no han alcan-
zado su forma actual, como es el caso de algunos futuros
(porné), indefinidos (vido) e imperativos de presente (pone).
Las mayúsculas se imprimen como hoy, al igual que la
acentuación y puntuación; los párrafos se separan de la
manera más conveniente para su impresión moderna, pro-
curando que los signos se acomoden al desarrollo de la sin-
taxis, sobre todo en párrafos complejos, con el objeto de
que resulte más fácil su lectura.
Además, se “limpia” el texto de posibles erratas, errores y
repeticiones o peces de imprenta y se añaden otros elemen-
tos, sobre todo en casos en los que puede haber ambigüe-
dad. Para ello se usan los siguientes signos:
[ ] para añadir letras, vocablo o palabras que no están en el
texto;
( ) para eliminar letras o palabras que están de más en el
texto;
< > para indicar la sustitución de una grafía por otra. En
este caso, se da la forma del texto original en nota a pie de
página;
{…} para indicar la falta de palabras o frases en el mismo
texto original.
m.g.g.
CRITERI DELL’EDIZIONE

In questa edizione si cerca di avvicinare il lettore attuale al


testo antico, in modo che l’opera possa essere letta con il
minor grado di difficoltà possibile. In virtù di questo e con-
siderando il criterio di modernizzazione più in uso nella
pubblicazione di classici spagnoli, ci si è attenuti alle
seguenti regole:
si adattano le lettere s, ss, ç, z, x, j, g, v, b, q- e r all’uso
attuale. La lettera h si riporta secondo gli usi odierni,
soprattutto nel verbo haber e nei suoi derivati; la parola aora
come ahora, salvo quando appare come agora, forma antica
che si rispetta lasciandola come tale. La doppia f si rende
semplice: effecto come efecto. La lettera ll, grafia colta (come
in illustre), si semplifica in l. Il gruppo ph- si riporta come
f- (geographia). Si sopprime la h associata alla c o alla t, come
in catholico o en thermas. La ñ resta come appare nel testo.
Nei nomi dei personaggi antichi ci si attiene alle norme
generali.
Le vocali i e u che nell’originale appaiono come j e v si
adattano all’uso attuale; se la i appare come y si trascrive
come i (ayre come aire). Le vocali toniche diverse da quelle
di oggi si riportano secondo l’edizione antica (mesmo) e lo
stesso avviene per quanto riguarda le vocali atone non coin-
cidenti con le attuali (sospiro, adevinos), considerando tali
incertezze come dovute all’instabilità che caratterizza que-
sto stadio della lingua. Si rispettano i casi di aferesi e para-
goge (felice). Si mantengono le forme come inico per inicuo
o antigo per antiguo.
I cultismi grafici non coerenti con la norma attuale ven-
gono regolarizzati secondo la forma più moderna presente
nel testo: successo>suceso, subjeto>sujeto; al contrario si inse-
riscono, ove assenti, i cultismi propri dell’uso attuale, come
per esempio docientos>doscientos, juridicion>jurisdicción,
LXXXVI HISTORIA GENERAL

letor>lector. Si riporta tan bien o también secondo la norma


corrente; lo stesso vale per le forme sino e si no. Si rispetta-
no le forme ansí ed así. Si conserva anche il caso di proprio
che si alterna con propio.
Poche forme verbali differiscono da quelle dello spagnolo
attuale: si tratta fondamentalmente delle assimilazioni di
infinito o imperativo e pronome (ganalla, quitalle, alegallo)
e di quelle che non hanno raggiunto la loro forma attuale,
come in alcuni futuri (porné), passati remoti (vido) e impe-
rativi del presente (pone).
Maiuscole ed accentuazione seguono le norme stabilite
dalla Real Academia; i paragrafi si separano in maniera più
consona alla stampa moderna, facendo in modo che la pun-
teggiatura si adatti allo svolgersi sintattico, soprattutto nei
paragrafi complessi, facendo sì che la lettura risulti più age-
vole.
Inoltre, si “pulisce” il testo da eventuali refusi, aggiun-
gendo altri elementi, specialmente dove si presentino casi di
ambiguità. Per ottenere questo, si usano i seguenti segni:
[ ] per integrare lettere, vocaboli o parole che non appaio-
no nel testo;
( ) per eliminare lettere o parole che sono in eccesso;
< > ad indicare la sostituzione di una grafia per un’altra. In
tal caso, si riporta la forma del testo originale in una nota
a piè di pagina;
{…} per indicare l’assenza di parole o frasi nel testo origi-
nale.
HISTORIA GENERAL
DE LA ISLA Y REYNO DE SARDEÑA
División de la Historia en siete
partes.

En la primera se da noticia de los nombres que ha tenido Sarde-


ña, y de su sitio, grandeza, fertilidad, y división de las provincias,
o reinos en que estuvo dividida, y así mismo de su gobierno tem-
poral antiguo, y del que hoy tiene.
En la segunda se trata de los primeros reyes, y habitadores que
tuvo, y de las guerras que pasaron entre los cartagineses, y roma-
nos sobre el dominio della.
En la tercera se hace relació[n] del tiempo que entró en ella la luz
del Sagrado Evangelio, y de los santos que ha tenido; y se narran
los sucesos q[ue] tuvo hasta el año 768, que vino al dominio del
Imperio Romano, y se da noticia del origen que tuvo el oficio de
jueces, que gobernaron los cuatro judicados, o reinos, en que esta-
ba dividida en su tiempo.
En la cuarta se trata de la donación que della hicieron los empe-
radores Carlo Magno, y su hijo Ludovico a la Iglesia Romana, y
patrimonio de s[an] Pedro, y de las invasiones que en ella, y en
otras provincias hicieron los sarracenos; y guerras y varios sucesos
que con ellos tuvieron los pisanos, y genoveses; y otras cosas que
pasaron hasta el año 1297.
En la quinta parte se trata de la enfeudación que el papa Bonifa-
cio Octavo hizo de Sardeña al rey don Jaime de Aragón el Segun-
do, y de las guerras que tuvo con los pisanos; con otros sucesos
tocantes al dominio, y señorío della.
En la sexta se individua la antigua cristiandad de cada una de las
provincias; y se da noticia de los obispados antiguos, y modernos,
y de todos los prelados, y pueblos que han tenido sus iglesias.
En la séptima y última se da noticia de las enfeudaciones de las
ciudades, villas y lugares del Reino, y de los señores que las han
tenido desde su primera fundación.
4 FRANCISCO DE VICO

LICENCIA

Nos, Don Felipe, por la gracia de Dios Rey de Castilla, de Ara-


gón, de León, de las dos Sicilias, de Jerusalén, de Portugal, de
Hungría, de Dalmacia, de Croacia, de Navarra, de Granada, de
Toledo, de Valencia, de Galicia, de Mallorca, de Sevilla, de Sar-
deña, de Córdoba, de Córcega, de Murcia, de Jaén, de los Algar-
bes, de Algecira, de Gibraltar, de las Islas de Canaria, de las Indias
Orientales y Occidentales, Islas y Tierrafirme del mar Océano,
Archiduque de Austria, Duque de Borgoña, de Brabante, y de
Milán, de Atenas, y Neopatria, Co[n]de de Abspurg, de Flandes,
de Tirol, de Barcelona, de Rosellón, y Cerdaña, Marqués de Oris-
tán, y Conde de Goceano.
Por cuanto por parte del noble, magnífico, y amado consejero
nuestro, el doctor don Francisco de Vico, regente la Cancellería en
nuestro Consejo Supremo de Aragón, nos ha sido hecha relación,
que con su industria, y trabajo ha compuesto un libro, intitulado,
Historia general de la isla y Reino de Sardeña, suplicándonos fuése-
mos servido dar licencia para imprimirle en nuestros reinos de la
Corona de Aragó[n]; y habiéndole mandado reconocer por perso-
nas expertas de satisfacción, parece no haber en él cosa por la cual
se pueda justificadamente impedir, lo habemos tenido por bien.
Por tanto con tenor de las presentes de nuestra ciencia, y real auto-
ridad deliberadamente y consulta, damos licencia, permisión, y
facultad al dicho regente don Francisco de Vico, para q[ue] él, o la
persona, o personas que su poder tuvieren, puedan imprimir el
dicho libro intitulado, Historia general de la isla y Reino de Sardeña,
en cualquiera parte de los dichos reinos de la Corona de Aragón, e
islas a ellos adyacentes, libremente y sin contradicción alguna. Y
ma[n]damos a los ilustres egregios, espectables, nobles, magníficos,
y amados co[n]sejeros fieles nuestros, los lugartinientes, y capitanes
generales regente el oficio, y por tantas veces de nuestro general
gobernador en los dichos reinos de la Corona de Aragó[n], e islas
adyacentes, canceller regentes la Cancellería, y doctores de las nues-
tras reales Audiencias, justicia de Aragón, y sus lugartinientes,
maestres racionales, bailes generales, procuradores reales, abogados,
y procuradores fiscales, vegueres, potestades, justicias, zalmedinas1,

1 Zalmedinas: antiguo juez de Aragón con jurisdicción civil y criminal; Cfr. MOLI-
NER, M., Diccionario de uso del español, Madrid, Gredos, 1983, (DUE).
Historia general 5

merinos, alguaciles, porteros, y otros oficiales, y cualesquieres


ministros nuestros, constituidos, y constituideros en los dichos rei-
nos de la Corona de Aragón, e islas adyacentes, so incurrimiento de
nuestra ira, e indignación, y pena de mil florines de oro de Aragó[n]
de bienes del que lo co[n]trario hiciere exigideros, y a nuestros rea-
les cofres aplicaderos, que no impidan la dicha impresión, ni den
lugar a que se embarace, sino que se guarde, y cu[m]pla la presen-
te nuestra licencia, y permisión, si de más de la dicha pena, en nues-
tra ira, e indignación desean no incurrir. En testimonio de lo cual
mandamos despachar las presentes con nuestro sello real común en
el dorso selladas.
Dat[a] en la villa de Madrid a diez días del mes de septiembre,
año del Nacimie[n]to de nuestro Señor Jesucristo, mil seiscientos
y treinta y ocho.

YO EL REY

Dominus rex mandavit mihi Petro de Villanueva, visa per Cardi-


nalem, Carvajal pro Thesaurarium Generalem Bayerola, Magaro-
la, & Sisternes, Regentes Cancellariam, & me pro Conseru.
Generali.
In diversorum xj.fol.ix.
6 FRANCISCO DE VICO

SEÑOR

En consulta del Consejo de Estado resolvió V[uestra] Majestad


(Dios le guarde), que se me remitiese un libro que ha compuesto
don Francisco de Vico, rege[n]te del Consejo Supremo de Ara-
gón, intitulado La historia de Sardeña, para que le viese y diese mi
parecer en él.
Divídele su autor en tres partes: en la primera trata del nombre,
sitio, y fertilidad de Sardeña, división de sus provincias, y del
gobierno antiguo que tuvo; en la segunda historia, las invasiones
que padeció de cartagineses y romanos, sobre imperarla; en la ter-
cera trata varias cosas y, en particular, desde el capítulo séptimo
hasta el catorce, las grandes virtudes, la constancia en defender a
san Atanasio, el pecho intrépido en oponerse a los heresiarcas2 de
Lucífero, y le defiende de la nota de cismático con razones rele-
vantes en grande gloria y honor de la ciudad de Cáller, donde fue
obispo, y en todas con grande erudición y aparato de autores, y
razones prueba docto lo q[ue] intenta, y intenta solo dar crédito
a su patria, co[n] dejarnos noticiosos de sus blasones antiguos,
valor de sus ciudadanos, antigüedad y constancia en la fe, y mul-
titud de santos, que gloriosamente ha engendrado, siendo asilo de
otros, que desterrados de África se recogieron en ella.
No sé quién pueda ofenderse de periodo, de razón, ni tilde de
cuantos el rege[n]te escribe; porq[ue] alaba a unos sin ofensa de
otros, y universalmente cuanto dice es acreditándolo con autores,
con quienes tendría obligación de reñir primero la pendencia el
resentido, antes que culpar al regente porque las refiere. Pero
quien oye decir a san Augustín en la epístola 15 que está muy
ajeno de presumir de sí, que no haya ofendido con alguna pala-
bra de las que ha escrito a los que le hubieren leído. Ego me longe
esse sentio ab illa perfectione, de qua scriptum est, siquis in verbo non
offendit, hic perfectus est vir. No extrañará que el celo y erudición
del regente haya padecido la misma fortuna. Azares son de los que
escriben, y en particular historia, de quienes dijo Salustio in
coniurat[ione] Cathilinae, que se igualan escribiendo, por los ries-
gos que corren con la envidia a lo que merecieron obrando los
héroes, cuyos hechos historian: Mihi quidem tametsi, aut qua-
quam par gloria sequatur scriptorem & iactorem rerum. Y así mere-
2 Heresiarcas: en el texto original, “Geresiarcas”.
Historia general 7

ce el regente, por la paciencia, lo que merecieron sus famosos sar-


dos por la fortaleza.
No se me ha dado noticia de quién, ni en qué se ha fundado la
censura; pero para que Vuestra Majestad, que la sabe, haga juicio
si es justificada o temeraria, diré la doctrina q[ue] para conocerla
trae el Ostiense en el principio de su Suma: Fit temeraria repre-
hensio multis modis, primo cu[m] quis ante iudicat, quam inteligit;
secundo cum ante inculpat, quam iterando lecta perquirat. Dis-
tinct.3.Cod. Sciendum. Tertio cum non considerat, quod scriptores
idiotae corrumpunt scripturas. Quarto, qui ex inuidia aliorum dicta
mordendo condemnat, ad hoc tantum quod detrahat, vel discordiam
partat, quod prohibetur 46. dist. [et] Capítulo Clericos invidens.
Y con el que mi corto caudal alcanza, juzgo, que en las tres par-
tes referidas deste tomo, no hay cosa por la cual pueda justifica-
damente temerse por ella sedición, ni turbación en la paz pública
de aquel Reino (que es lo q[ue] a mí se remite mire) si de otro
tomo que tiene prevenido el autor para dar también a la estampa,
en que trata los sucesos de los emperadores en aquella isla, hasta
que hicieron della donación a la Iglesia Romana, la infeudació[n]
que el papa Bonifacio VIII hizo della, y de la isla de Córcega al
rey don Jaime de Aragón, la antigüedad y grandezas de la ciudad
de Cáller y su famoso castillo, y las infeudaciones de las demás
ciudades y lugares de la isla, se recela que sacará algunas razones,
con que queden favorecidas pretensiones particulares de su patria
Sácer, no juzgo por justicia, ni conciencia, que padezca el regen-
te calumnia, pues aún no consta que haya cometido delito, pues
como dijo san Hilario lib[er] de Synodis. Iniquum est, nisi comper-
ta usque ad finem ratione dictorum praeiudicare sententiam ex
initijs cum nondum de inchoatis ad cognoscendium, sed de absolutis
ad cognitionem sit iudicandum. Y se puede fiar bien de sus muchas
letras, virtud y cordura, que lo preve[n]drá todo y que escribirá
no solo como docto, sino como ministro, procurando que aquel
Reino quede en sus elogios glorioso, y ninguna parte dél ofendi-
da, para fome[n]tar encuentros.
En los Augustinos Descalzos en 27 de julio de 1638.
Fray Pedro de Santiago
8 FRANCISCO DE VICO

APROBACIÓN
Por comisión del Consejo Supremo real de Aragó[n] he visto y reco-
nocido con cuidado el libro impreso, que se intitula, Primera Parte
de la Historia de Sardeña, cuyo autor es el doctor don Francisco de
Vico, natural de dicho Reino, del Consejo del Rey nuestro Señor y su
rege[n]te en el dicho Supremo de Aragón, dividido en tres partes, en
que se trata de la etimología, sitio, clima, fertilidad, gobierno anti-
guo y presente, reyes, jueces, leyes y oficios, con que se ha gobernado,
y de la inclinación y fidelidad a la Corona real de sus naturales, y de
los muchos santos mártires q[ue] en dicho Reino han sucedido, y tam-
bién en el Imperio Romano, desde el año 360 hasta el de 768, y hallo
que (en mi entender) es obra bien trabajada, digna de su autor, en
que se descubre cuán leído es en historias antiguas y la grande noti-
cia que tiene dellas y, particularmente, de las que por injuria de los
tiempos o por descuido y omisión de los historiadores naturales de
aquel Reino, estaban casi sepultadas en el olvido; y porque a todas
luces la tengo por útil, curiosa y provechosa, mercece que salga a luz
y se comunique, por no haber hallado en ella cosa que lo impida ni
contradiga a los reales derechos del Rey nuestro Señor.
Matías de Bayetola y Cabanillas
Historia general 9

APROBACIÓN Y LICENCIA.
Con advertida atención y gustoso advertimiento, por comisió[n]
y orden del muy ilustre señor el doctor Agustín López Fernández,
oficial y vicario general del reverendísimo y ilustrísimo señor don
Gil Garci Manrique, Obispo de Barcelona, vi un libro, cuyo títu-
lo es Historia de Sardeña, compuesto por el muy ilustre señor don
Francisco de Vico, del Consejo de su Majestad y su regente del
Supremo de Aragón y del Reino de Sardeña. Y a más de no haber
hallado cosa que se oponga a nuestra santa fe, ni desdiga de bue-
nas costumbres, veo en él servadas las leyes de rigurosa historia,
con la dulzura de la humana elocuencia, y gustosos episodios, sin
el disgusto de prolijos; de manera que el autor, miscuit utile dulci,
muestra también agradecimiento justo, pues sie[n]do la patria
madre, se le debe en su apretura cualquier trabajo. Sardeña queda,
y honrada, con serlo de tan grande hijo, pues gloria matris, est
sapientia filij, y conocida con aplauso de todos; pues ex unguibus
cognoscitur leo, y defendida de la mala opinión, en que más fatal
desdicha, que verdad le ha puesto, por la diligencia de un hijo,
que volvié[n]dole la fama, hace la suya conocida en el orbe: Fama
super aethera notus. Da admiración a los más doctos tanta doctri-
na en asunto de historia, y pasmo a los mayores ministros el ver
que asistiendo al gobierno con la puntualidad y satisfacción que
ha visto el orbe y experimentado nuestro gran Monarca, que para
amparo de la Iglesia viva largos años, no haya faltado a la defensa
de su patria ofendida, sie[n]do en su desagravio aguzada lanza su
pluma, y armas a prueba sus fuertes razones; en buena hace más
que Alcides, pues si dicen Nec Hercules ad duo, responderemos
Vicus ad duo. Y así es mi parecer, que no solo se le puede dar licen-
cia, sino que se debe, pues a desagraviar agraviados todos deben
ayudar.
Así lo siento y firmo en este co[n]vento de San Francisco de Bar-
celona en 3 de agosto de 1635.
Fray Antonio Solanes
Lector de Teología jubilado.
Dicto die, attenta supra dicta approbatione concedimus licentiam
imprimendi. López Vic.Gen.& Offic.
10 FRANCISCO DE VICO

APROBACIÓN Y LICENCIA.
Por expreso mandato y comisión del muy ilustre señor don Ale-
jos de Mar y Mon y Jafer, Caballero del hábito de la orden mili-
tar de Santiago, señor de la Baronía de san Marsal, del Consejo
de Guerra de su Majestad Católica, y su gobernador general en el
presente Principado de Cataluña, he leído y con particular aten-
ción advertido este libro, cuyo título es, Historia de Sardeña, com-
puesta por el señor don Francisco de Vico, del Co[n]sejo del Rey
nuestro Señor, y su regente en el Supremo de Aragón por el Reino
de Sardeña. Y digo ser historia muy verdadera y ordenada con
grande diligencia, fidelidad y estudio del autor, en que ha mos-
trado su grande ingenio y doctrina y estar muy versado, no solo
en las cosas y sucesos de su querida patria Sardeña, pero en toda
otra historia, así universal como particular, y en todas ciencias y
facultades, como más claramente y, en particular, lo entenderá el
lector en el discurso desta historia. Por lo que se le puede y debe
dar licencia para imprimirla.
Éste es mi parecer y, como tal, lo firmo de mi nombre. En Barce-
lona, y septiembre a los 5 de 1635 años.
Jaime Ramón Vila Sacerdote
Don Alejos de Mar y Mon y Jafer
Historia general 11

SEÑOR
Pongo a los reales pies de Vuestra Majestad la historia de su Reino
de Sardeña con ánimo, no solo de resucitar y perpetuar memorias
muertas de la antigüedad, y calidad de su origen, heroicos hechos,
y felicísimo gobierno de los innumerables antecesores de Vuestra
Majestad, y fiel amor de aquellos sus vasallos, tan de cera para sus
mandamientos, como de acero a sus cargas, sino a fin de que se
admire lo majestuoso y acompañe lo lucido de la real Corona de
Vuestra Majestad; pues enriqueciéndola todos sus reinos como
preciosas piedras entre tan excesivos resplandores, ésta de Sarde-
ña, aunque lucida y rica, ha padecido oscuridad, no de valor y
estimación, que tiene encaje en tan eminentísimo puesto, sino de
luz de verdaderas historias, que ve[n]ciendo las tinieblas de erro-
res, le dieran lo vivo y lucido que merece. Esto consigo, propo-
niéndolo a los ojos del mundo en estos borrones, para que cono-
ciendo sus fondos y quilates, venere lo poderoso y grande de su
Señor, pues tierra que por su clima benévolo, terreno fertilísimo,
abundancia más llena en todo género de bienes, que hacen dicho-
sas a las demás provincias, y que para ser en todo cabal, e inde-
pendente dellas, la abastó Dios de lo rico, y deleitoso del mar, bas-
taría a hacer afortunado a un Príncipe, a tan grande Monarca,
tanto lustre no brille, y en Imperio tan dilatado y poderoso, tanto
poder no supone claro argumento de lo excelso de la Corona, y
mayor de la dicha deste su Reino, pues por arreo suyo tan subli-
mado se conoce, y lo está tanto en su generosa voluntad, y mag-
nánimas obras de Vuestra Majestad, que humilde a sus reales pies
le rinde siempre, co[n] sus personas y bienes, las gracias, por las
señaladas, que le ha hecho, y para mí (entre las muchas con que
Vuestra Majestad me ha honrado) lo será señaladísima, que con
su singular clemencia, admita este mi trabajo, o deseo más que
obra, por suyas, pues por serlo yo de Vuestra Majestad, por mis
obligaciones, ellas disculpan mi audacia en presentárselo.
Guarde Dios a Vuestra Majestad, para eternizar la gloria de su
Corona con la felicidad, que la conserva y la goce y posea largos
siglos.
12 FRANCISCO DE VICO

AL REINO DE SARDEÑA
Cuando, obligado de la mesma naturaleza, principié la defensa de
nuestra patria Sardeña, habiendo precedido muy particular noti-
cia de sus agravios, solo puse los ojos en ajustar (según mi obliga-
ción) con verdad, los que padecía por pasiones particulares; suce-
dió a aquel deseo natural aborrecimie[n]to a las penas en que
incurren los que debiendo nacer para la patria, se contentan con
nacer para sí, y halléme forzado a entregarme al trabajo, que trae
consigo la precisa ocupación de libros, pues las pocas treguas que
permiten los jurídicos, eran para entrar en batalla con los históri-
cos, siéndome alivio el mismo trabajo, ¡ojalá el que repartió los
talentos mejorara los míos!, que el celo de satisfacer las obligacio-
nes de la patria, y oficio, como los he trabajado, los empleara ofi-
cioso, bien pudiera intitular mi libro, Sardeña defendida, pues
aclarando sus excelencias, juntamente las defiendo y refiero con
los ilustres de nuestros antiguos héroes, con fidelidad y valor,
herencia que nos dejaron con obligación precisa de imitación, si
no en lo heroico de sus grados, por imposible en el
conocimie[n]to de las deudas, a no degenerar con las obras de los
tributos heroicos que nos dio la naturaleza. Nada digo, que no
pruebe, pues de nada me valgo, que con alguna autoridad no lo
pruebe. A los de mi patria, Sardeña, les dirijo mi afecto, para que,
mejorando discursos, sepan cuánto tiempo y en qué vivieron
como ofendidos, que yo fío de sus mejores aciertos, y defensas
más aventajadas; obligación legítima, y más que todos natural ha
sido la mía, no impropia a la facultad de leyes que profeso, a la
obligación de juez que administro, muy digna aun en ministro
mayor, en que me disculpa el más Sabio Rey, autor de las Parti-
das, por quien se gobierna España, y tan dado a la historia, que
reconocen los mejores consejos de sus leyes aquellos libros; pues
si de sucesos se derivan las determinaciones, confiriendo los nues-
tros con los antiguos, nada puede ofrecerse, que no tenga ejecu-
toria resolución. Esto en mí será disculpa, en Vuestra Señoría
obligación, pues hallándose con más ventajosos y desocupados
entendimientos, será indisculpable la omisión y flojedad con que
se olvidaren de su patria, a quien tan fácilmente podrá ilustrar,
con hacer notorias las grandezas singulares con que Dios la ilus-
tró.
Historia general 13

AL LECTOR.
Engéndranos cual madre la patria, y como a tal se le deben respe-
tos divinales; así los reconocí, luego q[ue] pude, al Reino de Sar-
deña, de quien tuve ser y calidad, con obligaciones más que
comunes, y procurando no incurrir en pena de desertor dellas ni
en las de no excusar el daño pudiendo, deseé hacer algún recono-
cimiento, pues era imposible satisfacción cabal, y por reconocer
más cabales las circunstancias que me obligaban, busqué con
algún cuidado las que en favor, o en contra de mi patria había, y
divirtiendo las pocas ociosidades que permiten estudios mayores,
las ocupé en leer historias, procurando adelantarme a las niñeces
con que se queda, el que con saber solo los sucesos de sus años y
patria se contenta; y revolviendo los años, empecé a cotejar las
noticias que los antiguos dieron de Sardeña, con las experiencias
que yo gozaba, y hallándolas ruidosas y sin sustancia, conocí cuán
poco obligaban a crédito sus historias, y que en su mesmo arroja-
miento se desvanecían. Por eximir la nota, tal vez imaginé que no
hablaban de Sardeña, en que nací, o que los tiempos la habían
mudado en cielo, suelo y sujetos; pero no permitiendo las señas
la disculpa, fui borrando relaciones imaginarias con testimonios
de quien vió y no solo oyó, y, por la misma razón, sabrá mejor lo
que dice; comencé a descubrir en algunos autores mucha sinceri-
dad, donde no les perturbó la desafición; pero do[n]de se atrave-
saron pasiones, aunq[ue] particulares apretados, obligan a ven-
garse en sus libros, lo q[ue] no pudieron por sus personas, y en
otros hallé q[ue] pecaron repitiendo lo que hallaron escrito, sin
entrar en el examen de su verdad. Salí de mi patria, donde junté
cuantos libros pude y, peregrinando parte de Italia y pasando por
Francia y España, cotejé con mis experiencias las que certificaban
sus historias, mármoles y piedras, y confieso que me hallé agrade-
cido de que aun en ellas cobrase lenguas la verdad en abono de
Sardeña, y se defendía a sí misma, con que fuera de mi intención
se vino a formar historia defensiva, cuya noticia, para general,
necesitó de imprenta, siendo al principio solamente apuntamien-
tos dirigidos al consuelo de soledades en mi estudio, y convencí-
me cuando vi, que sin bastar desengaños de los que gobernando,
o caminando habían detenídose en Sardeña, y dehacían con expe-
riencias oculares calumnias imaginarias; todavía adelantándose
con desigual ligereza la mala fama al desengaño, hallé que más
autores modernos se habían dejado llevar de las primeras relacio-
14 FRANCISCO DE VICO

nes, que desengañandose de las segundas; y, aunque con las ver-


dades que tenía experimentadas y los testigos de fuera comproba-
ba, me hallaba consolado, eché de ver que importaba poco lo
estuviera yo, no estando satisfecha mi patria, y era degenerar de la
natural obligación faltar a la defensa, y gustoso me sacrifiqué al
trabajo anejo al historiar sucesos que nadie de intento ha seguido,
y al peligro a que se expone quien camina por senda contradicha,
antes que se anduviera. Propuse, pues, escribir la historia de Sar-
deña y para su entera noticia (aunque parezca cosa extraña a nues-
tra historia) alargar la pluma, apoyándola a los sucesos de los grie-
gos, cartagineses, Senado e Imperio Romano y otras naciones que
la dominaron, y tratar dellos para sacar, y saber de raíz los tiem-
pos, y las causas de los sucesos de nuestra Sardeña, y no escribir
della (como algunos) de paso y a pedazos, que no pueden dar con
fundamento, claridad y distinción, entera noticia de las cosas, y
respo[n]der a sus émulos, no por venganza sino defensa, imitan-
do a Cayo Catón, senador romano, en la alegación de su defensa
del sindicado del gobierno de Sicilia: In hac mea allegatione domi-
ni (dice el buen Cayo) nihil erit nisi certum, nihil nisi sincerum,
nihil nisi sanum, nihil nisi verum, nihil nisi siccum, lo que yo pro-
meto guardar en el discurso desta historia; porque no diré cosa
que no sea cierta, nada que no sea verdadera, nada que no salga
de entrañas sanas, nada que no sea con entereza, y nada final-
mente que no sea sencilla y desnuda de ostentación y ofensa; y así
en estos anales ocultaré los nombres de los que han alargado la
pluma contra Sardeña, donde la demasía no obligare a respuesta.
Divídolos en siete partes, que van referidos en el folio de la
segu[n]da hoja desta obra, y porque el anteponer o posponer no
de prelación, advierto que mi intento no es graduar, sino referir
las calidades y propiedades de sus tierras y gentes, con verdades
ajustadas. A nadie limito, para que si co[n] mayor acierto y pluma
tuvieren más abonos de Sardeña, los adelanten; que como yo pre-
tendo historiar con verdad sus mejoras, cualquier que las descu-
briere, me tendrá con reconocimiento, no con emulación a sus
aciertos. Y si se contentaren, agradeciendo a mi trabajo su empleo
en descubrir verdades, el premio sea la veneración que se debe a
la misma verdad: la malicia y el que pecó sin ella por relaciones,
merezca el gusto que le debe resultar del desengaño. Conozco
que, escribiendo en general, es imposible agradar a todos; pero
también conozco que no faltará a quien agrade. Y si a alguno le
Historia general 15

pareciere, que en acelerar lo que toca a Sardeña o defenderla,


excedo en el estilo histórico, refirie[n]do e insertando las mismas
palabras de los autores en romance o latín, supla y perdone mis
yerros, que aunque la afición los haya ocasionado a parecer gran-
des y muchos, dignos son de perdón, pues los comete amor y más
tan dulce como el de la patria.
16 FRANCISCO DE VICO

AL LECTOR
Sobre los preceptos que el autor ha observado en
esta obra.
En esta historia he andado con particular cuidado
de observar sus preceptos, y no incurrir en la fla-
queza de los historiadores griegos, de los cuales,
1Quintil. Li.II
hablando Quintiliano, dice: Graecis historicis ple-
c.4. rumque Poeticae similis est licentia. Y Juvenal, des-
diciendo de sus historias, añade: Quidquid Graetia
mendax, audet in historia. Y alargándose más Táci-
to habla dellos: Debet autem quis sapit, diligenter
2Tacit. in orat. observare, quod uti ipsi se Graeci te stantur, nulla
ad Graecos. olim apud ipsos annotatio fuerit; y porque de la falta
destas notas ha padecido nuestra Sardeña, no es
mucho que en las cosas muy antiguas se incurra en
algunos errores con detrimento de la antigua
nobleza del Reino, como bien lo nota Tito Livio:
Datur haec venia antiquitati, ut miscenda humana
3Tit.Liv. in prae- divinis, primordia urbium augustiora faciat. Y
fac. oper. teniendo yo por blanco en la historia el dicho de
Vopisco: Neminem scriptorum, quantum ad histo-
riam pertinet, non aliquid esse mentitum; y lo que
refiere Cicerón: Primum esse historia legen, né quid
4Vopisc. in vita
Aurelian.
falsi dicere audeat, deinde, ne quid veri non audeat,
Cicer. in2. de orat. ne qua suspitio gratiae sit in scribendo, ne qua simul-
tatis. He procurado no afirmar lo dudoso, ni dejar
5Curt. de reb. gest.
de referir lo cierto con la doctrina de Curcio. Item
Alexand. plura transcribo, quam credo, nam nec affirmare
substineo de quibus dubito, nec substinere quam
accepil. Todo esto he observado, sin llevarme el
afecto de amor, ni perdonar al trabajo, para hallar
y referir las cosas dignas de memoria; valiéndome
6Lucian. de hist.
del documento de Luciano: Qui rerum gestarum
scrip.
maximas (dice) & memoriae dignissimas praetermit-
tunt, aut percurrunt, prae imperitia autem, aut inep-
tia, aut ignorantia, tum eorum, quae dicenda sunt,
tumque tacendares minimas admodum prolixe, &
laboriose, minorando persecuntur. De lo cual sucede
muchas veces, que incurrimos en me[n]tiras, sin
pensarlo, por ignora[n]cia, o con acuerdo, como
Historia general 17

7Polib.
refiere Polibio: Duplex (dice) est mendacij genus: lib. 12
unum, quod ab ignoratione veri proficiscitur, alte-
rum, quod a certo mentiendi proposito venit; qui igi-
tur per ignorantiam a proposito aberrat, ei veniam
esse dandam, ad capitali ab his odio esse dissiden-
dum, qui id voluntate & certo animo, proposito
agant. Y Tácito: Veritas plurimis modis infringitur, 8Tacit. lib.I histor.
primum inscitia Reipublicae, ut alienae mox libidi-
ne assentandi, aut rursus odio adversus dominantes, 9Diodo. li.13 anti.
ita neutris cura posteritatis interfensos. Y Diodoro, quit.
imitando a Tácito, prosigue: Qui data opera exac-
tam indagationem negligunt, hos merito accusandos
arbitror, quando nonnullis adulando, vel per odium
virulentius altos impugnando, a veritate aberrave-
rint. ¡Oh, infelices escritores aduladores y falsifica-
dores de la verdad en odio de otros! Desto me he
librado (aunque no de los émulos), sucediendo a
mí lo mismo que a Jerónimo Zurita, que sin saber
lo que contenía su historia y ésta mía, procuraron
impedir la impresión della, habiéndola yo trabaja-
do con igual amor, del menor lugar, como del
mayor reino, imitando a Casiodoro: Ea est enim
(dice) animi virtus, ut deposito affectu, nihil taceat,
quod narrandum invenerit, nihil enarret, quod veri- 10Casiodor. epist.
simile non invenerit, que es lo que se debe guardar III.
en la historia por ley, y precepto inviolable, que lo
que se refiere proceda de verdadera información, y
no se calle, ni diga cosa por odio, amor o adula-
ción; porque si se calla, o alarga la pluma por odio,
se tiene su autor por satírico y pernicioso; si por 11Polib. lib.13.
amor o adulación, cae en descrédito notable; si por
informació[n] defectuosa o siniestra, por remiso y
neglige[n]te; y si por ignorancia, se da por inhábil.
Y para excusar estos cargos, he procurado apurar la
verdad, sin quedar co[n] dudas escrupulosas della.
Y puedo decir co[n] Polibio: Cum meis, ac de meis
scribens, ita libere attendo veritati, ut quisquis legat,
attente de se, & in se, expertum fateri necesse est, por
convenir así a la verdad de la historia y reputación
de su autor, que tiene tantos jueces como lectores
18 FRANCISCO DE VICO

de la obra; reconociendo en primer lugar, para su


acierto, todos los autores, libros y papeles que han
tratado de nuestra Sardeña, y de las materias que
refiero, sin empeñarme en tratar de cosa que no
haya llegado al cabo, con verdaderas acotaciones,
sin prolijidad infructuosa, sin adulación dañosa, y,
finalmente, sin ofender con fingidas y mentirosas
contumelias a provincias, ciudades y naciones, que
se refieren en esta historia, ni aun a los autores, que
sin tener noticia de nuestra Sardeña, la han agra-
viado, haciendo solamente demostración de sus
errores, con las evidencias que los manifiestan, de
que doy gloria y gracias infinitas a Dios, y las daré
a todos los que estos mis trabajos leyeren, y enten-
dieren ser ésta la pura y sincera verdad. Reconozco
la merced que personas graves y doctas en todas
profesiones q[ue], antes de la impresión de esta
obra, pasaron los ojos por ella, para dar su acerta-
da ce[n]sura, por lo que se me ofrecieron honrarla
con epigramas, versos heroicos, dísticos, sonetos y
otras alabanzas; pero como yo solo estimo y pongo
en la reputación las q[ue] lleva co[n]sigo la misma
obra, y no las extrínsecas, q[ue] no dan esencia
me les ofrecí agradecido, desapegando dellas mi
pasión, entregándola al amor, nobleza, cordura y
sabiduría del desapasionado lector.
Historia general 19

DESCRIPCIÓN DE
SARDEÑA
Sardeña, a quien dio nombre Sardo, su Rey, hijo de Hércules el
Tebano, o Alceo, padre de los cincuenta Tespíades y tío del gran
Iola, a quien sucedió Sardo, su primo en el Reino, fue llamada
primero de los hebreos, Cados Sene, y, después, de los antiguos
griegos, Ichnusa y Sandaliotis, que es lo mismo en ambas lenguas,
que calzado sagrado, así por lo que representa, según algunos, su
figura o planta, como porque, según otros, los nobles etruscos,
sus primeros habitadores, usaban deste calzado o sandalias. Tiene
su sitio en el ombligo y centro del mar Mediterráneo, y es una de
sus mayores islas, porque tiene de ámbito poco menos de sete-
cientas millas. Por el oriente tiene el mar Tirreno, que mira a
Nápoles y Sicilia; por el medio día a África; por el poniente muy
vecina a España y al mar Sardo, que se extiende y alarga hasta el
mar Océano; y por el septentrión a la Liguria y Toscana, quedan-
do en medio la Córcega.
Fue dividida de los romanos en cuatro cabos, o provincias, que
fueron la de Torres, y hoy Sácer y Logudoro, la de Cáller, la de
Arborea, hoy Oristán, y la de Galura, y se gobernaba cada una
dellas por sus gobernadores con título de jueces, que vinieron des-
pués a tener jurisdicción de reyes, y sus judicados, o provincias de
reinos. Su suelo es una parte de espaciosas llanuras, y en la otra de
montañas fertilísimas pobladas, a sus trechos, de amenos y fron-
dosos árboles, regados de muchos ríos e innumerables y saluda-
bles fuentes. Es regaladísima de todo género y especie de frutas,
abundantísima de trigos, legumbres, vinos preciosísimos; tiene
enteros bosques de castañas, bellotas, olivos, nogales, perales,
manzanos, naranjos, cerezos y otros deste género. Abunda de toda
suerte de caza, volatería y montería, y de toda especie de ganados,
vacuno, ovejuno y de otra cualquier de cuadrúpedo. Tiene baños
saludables y muchos minerales de todo género de metales. Su tie-
rra no cría leones, tigres, osos, lobos ni otras fieras, ni cría ser-
pientes ni animales ponzoñosos.
Es esclarecida con títulos de duque, marqueses, co[n]des, vizcon-
des y barones, con muchos señores de vasallos y de familias muy
ilustres. Cría los hombres belicosos, fidelísimos a su rey y píos, sin
que hasta hoy se sepa que en ella haya habido secta. Es su mar
abundantísimo de todo género de peces regaladísimos, de atunes,
corales y salinas. Tuvo en lo antiguo cuarenta y dos ciudades, hoy
20 FRANCISCO DE VICO

reducidas a siete tan solamente, pintadas en la tabla con distin-


ción. Sácase della y abastécese a otros reinos con mucha cantidad
de trigos, legumbres, vino, quesos, lanas, cueros, atunes, corales,
sal y otras muchas provisiones.
Fue Sardeña en lo antiguo, siendo del Imperio Romano, tenida
por provincia de Italia; después lo fue de África, cuando el Impe-
rio conquistó a ésta de los vándalos, y hoy lo es de España, des-
pués que ha venido al dominio de sus reyes, según lo refiere
Guido Panciarolo en los Comentarios de las dignidades y oficios del
Imperio Oriental y Occidental, con estas palabras: Sardinia primo
populi Romani Provincia a M. Pomponio est facta, anno Urbis 521,
& biennio post Corsica a Papirio; sed utraque ab uno Praetore rege-
batur: & postremo recepta a Vandalis Africa Iustinianus, illius prae-
fecto Praetorio Sardiniam tribuit: itaque non amplius Italiae, sed
postea Africa Provincia est habita; nunc vero Hispania annectitur.
Historia general 21

CAPÍTULOS DE LA PRIMERA PARTE

Capítulo I°. De la propriedad, y misterios de los nombres, y de los


que tuvo y en que se conserva Sardeña.
Capítulo 2°. Del puesto q[ue] tiene Sardeña, respecto de las partes
co[n] quie[n] confronta, y de su figura, grandeza, sitio; y del de las
islas que le son adyacentes y la cercan.
Capítulo 3°. De la fertilidad y abu[n]dancia de Sardeña y de los
animales comunes y particulares, q[ue] en ella se hallan.
Capítulo 4°. De los ríos más señalados de la isla de Sardeña.
Capítulo 5°. De las fue[n]tes más señaladas, y baños naturales
medicinales que tiene Sardeña.
Capítulo 6°. De los esta[n]ques, y sus peces y salinas, q[ue] hay en
Sardeña.
Capítulo 7°. De las minas de oro, plata y otros metales, y de las
piedras preciosas y otras riquezas naturales de Sardeña.
Capítulo 8°. De la piedra imán y de otras piedras q[ue] se hallan
en Sardeña; de sus corales y pesca de atunes.
Capítulo 9°. Del clima y cielo saludable de Sardeña.
Capítulo 10°. De las costu[m]bres a q[ue] su naturaleza inclina a
los sardos, y de su vestido, traje y lenguaje.
Capítulo 11. De los reinos en que estuvo dividida Sardeña.
Capítulo 12. De los confines, mojones y términos q[ue] tenía[n] los
cuatro reinos o judicados de Sardeña.
Capítulo 13. De las ciudades antiguas q[ue] hubo en Sardeña,
q[ue] queda[n] destruídas, y de las que hoy están en pie.
Capítulo 14. De los obispados, abadías y prioratos que antigua-
mente hubo en Sardeña, y de los que hoy están en pie.
Capítulo 15. De los castillos y fortalezas más insignes que ha tenido
y tiene Sardeña.
Capítulo 16. Del gobierno antiguo q[ue] tuvo Sardeña antes de
entrar en el imperio de los serenísimos reyes de Aragón, y del q[ue]
después acá ha tenido, y tiene.
Capítulo 17. De los gobernadores generales, virreyes y capitanes
generales q[ue] han sido en el Reino de Sardeña, desde la llegada en
él del señor infante do[n] Alfonso, que fue el año 1323.
Capítulo 18. De la institució[n] del oficio de gobernador, q[ue] se
fundó en el Cabo de Sácer, y de su jurisdicció[n].
Capítulo 19. Nómina de todos los gobernadores de Sácer, desde que
llegó al Reino el señor infante don Alfonso.
22 FRANCISCO DE VICO

Capítulo 20. De la institució[n] y fundació[n] del oficio de gober-


nador de Cáller, y su jurisdicción y nómina de los que han tenido.
Capítulo 21. Nómina de todos los gobernadores de Cáller, desde
que llegó al Reino el señor infante don Alfonso.
Capítulo 22. De la fundación de la Audie[n]cia real, y su institu-
ción y de los regentes, oidores y demás ministros que ha tenido hasta
el año 1632.
Capítulo 23. De la fundació[n] e institución del oficio de procura-
dor real y baile general, y de las personas que le han administrado
hasta el año 1632.
Capítulo 24. De la fundació[n] e institució[n] del oficio de mestre
racional en Sardeña, y de los q[ue] le han administrado hasta el
año 1632.
Capítulo 25. De la fundació[n] e institución del oficio de tesorero
de las re[n]tas, y derechos reales del Reino de Sardeña.
24 FRANCISCO DE VICO

PRIMERA PARTE
DE LA HISTORIA
DE SARDEÑA,
en que se trata de sus nombres, de su
sitio, clima y fertilidad. De su gobierno antiguo, y
presente; y de las propiedades y condición
de sus naturales.

Capítulo I
De la propriedad, y misterios de los nombres y de los
que tuvo y en que se conserva Sardeña.

Fuerza y propie- Anteceden las cosas a sus no[m]bres con propiedad


dad de los nom-
bres. Del Río, in
de naturaleza, pero ninguna noticia se consigue
prologo, ad obida- cabal, sin que para ella no abran la puerta la inte-
gia sacra ligencia de los nombres; y así es axioma de filóso-
tom.I.fol.I. Odini-
tius.
fos con su Príncipe, que los no[m]bres son voces
Arist. per hiermen. significativas que impuso el arbitrio o plácido;
lib.I.ibi est vox pero con tan gran crédito de la sabiduría y conoci-
significativa ad miento del que los puso, que fue argume[n]to en
placit.
Pineda in Monar- Adán para convencer la superioridad de su ciencia
chia lib.I.c.4. para la imposició[n] de los nombres; pues no fuera
Cic.Topic. posible acomodarlos con la naturaleza de las cosas,
lib.I.Hugo
c.7.adnot. incluci- si no las conociera, y así nos han quedado los
dar. D.Chrysos. in no[m]bres por minas de tesoros esco[n]didos y his-
episl.ad torias secretas que se nos manifiestan con la
Rom.c.16.ho-
mil.31.Clau- co[n]secució[n] de su noticia, como en imagen
dian.Episc. Vie- donde todo se representa, y medio formado se trae
nen. el proceso para prueba del delito, el mal nombre.
C.de muta. nom.
Petr. Gregor. in
Los efectos sangrientos q[ue] obraron los vándalos
sinta. iur. en África (que fuero[n] muchos bárbaros y crueles)
lib.32,,c.8, n.2& los reconoció Victor Uticense, por resultas de su
3.
Vict. Uticen.lib.3.
mal nombre y concluye refirié[n]dolas, que tales
de persien vandal. no[m]bres debían obrar semejantes daños;
porq[ue] vándalo quiere decir hombre feroz, inhu-
mano y sanguinolento; y, generalmente, a tal fin,
tales son las cosas, como son los no[m]bres, tales
res singulae quales eorum nomina. Los romanos,
sujetándose al agüero gentil, no empezaron acción
Historia general - Primera parte 25

de importancia, sin examinar el no[m]bre por si


Plinio lib.28.cap.2
era infausto. Y en la instrucción de los có[n]sules
era capítulo que antes de alistar el soldado se exa- Tacit.hist.4.
minase el no[m]bre; y correspondiendo al recelo la Bode.missel.
lib.7.
estima los de Atenas, prohibiero[n] por edicto
público que ninguno se llamase co[n] el nombre
de sus libertadores, porque juzgaron q[ue] no
habiendo obras que pudiesen corresponderles, era
indignidad; verdad que nos califican divinas y
humanas letras, y nos co[m]prueba el derecho, con
tan co[n]tinuada experiencia, q[ue] della se for-
man los adagios vulgares y latinos; y desto salió el
verso proverbial, que atribuyen a Ovidio y expli-
can Erasmo y Pontano: Conveniunt rebus nomina
I.Reg.c.25 Victor
saepe suis. Uticen. lib.3.de
Y así conformándome con los doctores escritura- persecu. vuandalo-
rios, como más historiales, introduciré rum.Plin. lib.28
c.2.Lib.I.C.de
llegá[n]dome a los escolásticos, este capítulo de los muta.nom.l.facta§
nombres de Sardeña, forzado de la autoridad de los .si in dando cum
muchos doctores sacros, que nos afirman que los glos.ff.ad
Trebelli.l.sed scien-
nombres no se impusieron en la lengua santa, sino dŭff.cod.
por virtudes sucedidas o previstas. Doctrina que D.Hieron.de
nos comprueba nuestro Reino de Sardeña, con la nomin. Hebraorŭ
propiedad de sus no[m]bres, que comprobaremos Euseb. de praepa-
rat. Evangelica
tratando de cada uno en la antigüedad que los gra- Orig. co[n]tra Cel-
duó la nación que nos le impuso entra[n]do a sum. D. Gregor.
poblar el Reino. moral.31.
Comprueban nos las historias y experie[n]cias,
desde el principio del mundo, hasta el siglo que
gozamos, que todos los que poblaro[n] o conquis-
taron los reinos, procuraron eternizar su memoria 2
en los no[m]bres de las ciudades, fuentes o ríos, de No[m]bres pri-
que cada nación tiene sus pruebas, y en nuestra meros que tuvo
Sardeña.
Sardeña la tenemos continuada de unos en otros Lactan.lib.I.
pobladores, ya del Reino todo, ya de ciudades y cap.II.Pineda in
lugares, de que a cada cosa le cabrá su noticia, dán- Monarchia
lib.I.c.18.§.
dola solamente en este capítulo de lo que toca en ult.to.I.
común a todo el Reino.
El antiquísimo Beroso, a quien más justamente
califican grandes autores, que desacreditan pocos
26 FRANCISCO DE VICO

3 escrupulosos, señalan por el primer nombre de


No[m]bre prime-
ro de Sardeña, Sardeña a Cadossene, y con éste mismo la recono-
Cadossene, o cen todos los más que della tratan; y, descifrando
sa[n]dalia sa[n]ta. su etimología, le reconocen por nombre hebreo,
Albertin. in Geo-
gra. ethnic. Pineda
compuesto de dos dicciones: Cados, que significa
in Monarch. to. I. santo, y Sene, que suena lo que sandalia o alparga-
in censura author. ta, por ser ésta su figura geográfica, como recono-
ad initium.
Andr. Scotus in
cen historiadores y poetas:
Biblio. Hispan. Sardineam in Lybico signat vestigia plantae.
tom.2. Berosius Y satisfecha esta parte, para entender la primera
libro 5. Plin. q[ue] es Cados, o cosa santa, notamos en propie-
lib.3. cap.7. Solin.
Bergomens. & alij dad de todas lenguas, que cualquier cosa útil, per-
in Pin. fecta y emine[n]te en su género, se dice o llama
Monarch.tom I. santa; así, en castellano, el palo se llamó santo por
lib.2.cap.II.§I..
Antonius Uter- medicinal, y el latino llama las leyes, santas; y el
biens. in scholijs italiano, a la cosa ajustada a la razó[n] y verdad,
ad Beros.& Pineda dice santa cosa; y con este nombre reconoce[n] a
ubi supra.
Domingo Mario Sardeña Pausanias, Baronio y Lipsio, traduciéndo-
negro in Geo- le del original, la llamó ínsula abundante de todos
graph. bienes; y, correspondiendo los efectos al nombre,
4
Significado de
se reconoce su propiedad verdaderamente santa en
santo y aplicación este sentido, por la apacibilidad de su clima, sere-
a Sardeña. In nidad de los aires, riquezas de su mar, ríos y mine-
Hebrao. D. Hie-
ron. invi.6.nomi-
rales, fertilidad de sus campos y sanidad de sus
nŭ Hebraorum.. aguas y pastos. Si queremos con Cicerón y otros,
Idem Sepontinus que aquel estado sea santo o bienaventurado, que
ex Ulpian. ubi puede pasar sin necesidad de otro, Sardeña, q[ue]
supra.
Pausanias Baro- de nadie necesita para vivir y pasar cómoda y
nius Lypsius ad abundanteme[n]te por sí misma, sin buscar de
Tacit.li.25. fuera nada de lo necesario para la vida humana,
5
Otra significación justamente se puede a boca llena haber llamado
de santo y aplica- santa o bienaventurada. A que añado, con Dona-
ción a Sardeña. to, que también se llaman santos y religiosos los
Tusculan. li.5. de
rep.15. lugares puros y limpios propiedad que, igualmen-
Xenophon. imme- te como las demás deste nombre santo, se hallan
morabil. en Sardeña, pues, por su virtud natural, ni cría ni
Socrates libro 3.
tolera veneno alguno, y por lo moral se ha conser-
Calepinus ex vado pura la limpieza de su fe, desde que recibió la
Donato verbo católica, sin que la ma[n]chase lo impuro de la
sanctus.
herejía, aunque la han manoseada tantas y tan
Historia general - Primera parte 27

diversas y bárbaras naciones, con que en propiedad


de cuantas significa este no[m]bre santo, quedará
comprobado q[ue] le compete, y fue impuesto a
Sardeña por sus virtudes nativas y previstas el de
Cados, y q[ue] así llaname[n]te la podemos llamar
Sardeña la santa y bienaventurada.
Antes de llegar a la segu[n]da parte deste
no[m]bre hebreo que es Sene, nos mueve a August. de civi-
co[n]siderar san Augustín en aumento de la ta.Dei lib.16..
mayor santidad de Sardeña y sus pobladores, que c.II
siendo éste primer nombre de Sardeña, Cados
Sene, hebreo, impuesto por los que primero la
poblaro[n], como la lengua hebrea fuese la que
Dios habló a nuestros primeros padres, hasta la
confusión de las lenguas, en pena del pecado de
soberbia, en que Nembrot y sus secuaces conjura-
ron contra Dios. Afirma san Augustín, que los que
quedaron con la lengua hebrea, la conservaron sin
confusión, porque no incurriero[n] en la culpa, y
que los demás la perdieron; y así, con evidente
argumento en comprobació[n] de la santidad de
Sardeña y sus primeros pobladores, inferimos que
lo fueron los descendientes de Noé, que conserva-
ron la lengua santa, como se conoce del no[m]bre
que en ella le pusieron y que, juntame[n]te, fue-
ron de los que no pecaron ni entraron en la con-
juració[n] de los secuaces de Ne[m]brot, que
hicieron contra Dios y, consiguienteme[n]te, del
linaje santo y amigo de Dios, que quedó en el
mundo(que tan de su fundamento le compete a
Sardeña) excluye todo veneno y maleza; que pre-
viniendo Dios la merced q[ue] siempre ha gozado,
le dio fundadores exentos de aq[ue]lla culpa, pues
por la naturaleza de Sardeña, antes se quedara sin
población, que admitir la venenosa y perjudicial Beros.& Annius eu
de aquellos herejes, q[ue] no lleva ni permite su relatis à Pineda in
Monarch. to.I.
calidad. Y llegando a la significació[n] de la lib.I.c.II.§.ult.
segu[n]da parte deste primer nombre de Sardeña, Marian.li.I.cap.2
que es Sene, hebreo(como dijimos) dice que signi- ex omnib.
fica calzado o sandalia, figura que correspo[n]de Geographis.
28 FRANCISCO DE VICO

en lo natural co[n] la de España al cuerpo de buey


la que Sardeña tiene, y como ésta no haya tenido
variación, aunque sí en los tiranos q[ue] la domi-
naro[n].
Cuando sucediero[n] griegos, a sus primeros
6 pobladores le dieron el segundo no[m]bre de
Segundo nombre Sa[n]daliotes, en la misma conformidad compues-
de Sardeña, to de Sandalion y Tioca, que significa calzado divi-
Sa[n]daliotes.
no. Lo primero, correspondie[n]te como dijimos a
su figura y forma natural; y lo segundo, a lo divi-
no; porque en tiempo alguno ni en lenguaje algu-
no, se le dio a Sardeña nombre que no insinuase su
divinidad y la reconociese en el mesmo sentido
q[ue] la llamamos santa o bienave[n]turada.
Mucho antes q[ue] los griegos entrara[n] en Sarde-
ña, quiere Beroso que hayamos tenido el nombre
de calzado divino para Sardeña, porque refiere que
en el año décimo de Bolio XI, Rey de Babilonia,
que corresponde a los 2221 de la creació[n] del
mundo, pasó Phorco o Porco, hijo de Neptuno y
Tosea, a poblar Sardeña con gentes etruscas o tos-
canas. Y Servio le señala por el primer Rey de Sar-
deña, y a éstos atribuyen haber nombrado a Sarde-
ña calzado divino, por ser proprio de los príncipes
vetulones o toscanos, de quienes lo tomaro[n] los
romanos, como afirma Servio.
Pero reservando esto para la segunda parte, donde
ajustamos qué gentes y en qué tie[m]pos entra-
ro[n] en Sardeña, trataremos de la propiedad co[n]
que este nombre de calzado divino se dio a Sarde-
7 ña.
Sandalias calzado Muy repetido es en las letras humanas, que el cal-
de los dioses. zado de sandalias era sacro para los dioses que
Aulus Gelius 17.
ubi ex hoc diceba-
veneraron o los emperadores y reyes, q[ue] desco-
tur Apollo Sanda- nocidos de sí, usurparon divinidad, igualándose a
liarius. sus dioses, como lo dijo Virgilio:
Vir. Aene.8. Tirre-
na pedum circǔdǎt
Tirrena pedum circundant vincula plantis.
vincula plǎtis. Y creo en fe de otros, que como otras cosas, hurta-
ron ésta los gentiles a las ceremonias de la ley escri-
ta; porque las sandalias en ella solo usaron los dedi-
Historia general - Primera parte 29

cados a Dios, y nos lo comprueba la tradición anti-


Auson. in monast.
gua y pinturas de los profetas, como en Roma vi yo Sueton. tranquil.
en traslados al natural de pinturas antiquísimas de in vita Caligula&
los profetas con sandalias. A Isaías, Jeremías y Eze- Sex. Aurel. Victor
in epitome.
quiel, y Cristo nuestro Señor nos dicen que las Opin in chrono-
usó. Y en nuestra Señora de la Antigua en Roma, gra. fol. 49.6.
está pintada co[n] ellas, y los santos Apóstoles las Iudith 10.&16.
usaron, y en su comprobación la iglesia de Tréveris Clemente Alex.
en Alemania, tiene entre sus reliquias una de las lib.2.cap.II.
sandalias de san Andrés; y nuestra iglesia santa ha
co[n]servado el uso de sandalias para el vestido
po[n]tifical y co[n]sagración o bendición de pon-
tífices, arzobispos o obispos, conque en divinas y
humanas letras a lo que parece, está bastantemen-
te comprobado, que las sandalias fueron calzado
de Dios humanado, de profetas, de apóstoles y de
sus pontífices y sucesores; y en lo humano, de dio-
ses gentiles o príncipes soberanos que usurparon
deidad, como lo hemos dicho arriba, con el verso
de Virgilio:
Tirrena pedum circundant
vincula plantis.
Reconocie[n]do en el lenguaje sacro de divinas
letras, correspondiente con las humanas, que el Psal. 57.&
calzado es símbolo de la posesión q[ue] se toma- Ps.107.ibi in sui
ban de las ciudades, echando el calzado en ellas. meǎ extendam cal-
Concluyo, que el llamarse Sardeña calzado divino ceamen, meum,&
ibi. D.Hieron in
desde su primera fundació[n], no fue más que lla- sui quam pulchri
marse posesión de Dios, y entregársele con el nom- sunt pedes euange-
bre, para que quedase por suya, como lo ha sido en lizan.
y en Jacob a
la recepción de la fe, luego que san Pedro y san pre[n]der la plan-
Pablo la publicaron al mundo, dándole por sí ta para el mayo-
mesma a Sardeña, como veremos; estableciéndola razgo.
Spontinus de Nau-
con testimonios de tanta sangre como derramaron machia epig. 28.
sus mártires, y con tantos y co[n] tan insignes tem-
plos, defensa y conservación de la santa fe católica,
q[ue] hasta hoy continúa. En lo humano fue cal-
zado real, correspo[n]diendo sus efectos al nom-
bre, pues nunca nació Sardeña al mu[n]do sin
nombre de reino y principado.
30 FRANCISCO DE VICO

Marsilio. Crisipo. El tercer nombre de Sardeña fue Ikenusa, q[ue] le


Poroto, y Silio.
impusieron los mismos griegos, que en latín suena
vestigium hominis, y en castellano, huella del pie
humano; compónese del verbo Iknos, y con este
nombre la reconoce[n] los más historiadores y
Silio lib.3. poetas, Pausanias, Claudiano, y Silio cantó:
Nudae sub imagine plantae
inde Ikenusa prius Graijs
memorata colonis.
Y esta figura en divinas y humanas letras, es sím-
bolo de abundancia desde que la nube se levantó
en esta forma, para remedio de la hambre de
Samaria; y como tantas veces haya sido la nube del
Pausan. li.10. socorro para las ha[m]bres Sardeña, los griegos
Claudia. de bello
Geliǒ.13.Reg.18. q[ue] conocieron su efecto con su conquista, la lla-
Silio lib.3. maron de ese no[m]bre, que es símbolo de abun-
dancia.
Duró con este no[m]bre Sardeña, hasta que llegó a
Calepin. verb. ella Hércules el Tebano, como algunos quieren que
sard. P. Cerda ad le mudó el nombre en el de Iolea, derivándole de
Virg.
eglog.7.vers.50.
Iole a quien ta[n] perdidame[n]te quiso. Otros, y
Cuarto pienso más acertados, afirman se llamó Iolea, del
no[m]bre de Sar- gran Iolao, sobrino de Hércules, hijo de Pico, que
deña Iolea.
Diodor. li.5.cum
vino a poblarla por su mandado co[n] cincuenta
Mela Solino, Stra- de sus hijos los Tespíades o héroes por decreto del
bon, & Volaterra- oráculo, funda[n]do las muchas ciudades y pue-
no.5.2.p.c.6. blos, que veremos en el capítulo de la segunda
Sipontin in cornu-
copia fol.585. parte. El Sipontino, continuando la fábula de Alc-
In dictionar. verb. mena, mujer de Anfitrión, madre de Hércules,
Sardus. dice que el hijo q[ue] con él nació se llamó Iolao,
y éste fue quien dio nombre a Sardeña; y Carlos
Esteban no quiere que toda la provincia se llamase
así, sino algunos pueblos que se nombraron iolen-
ses; y aunque es así, que hubo pueblos con este
nombre, no excluye el haberla ellos tenido, que la
provincia la tuviera; para nuestra historia basta que
la tuvo por sus insignes héroes y pobladores, pues
nadie nos niega la venida, aunque nos varían el
Quinto no[m]bre capitá[n].
de Sardeña.
El nombre último es el quinto con que hoy se con-
Historia general - Primera parte 31

serva Sardeña, derivado de su rey Sardo, hijo de


Hércules, como reconocen cua[n]tos della tratan.
Pero como el no[m]bre de Hércules sea apelativo, Pausan.li.10.Dio-
y le hayan tenido cuarenta y cuatro, no todos dor. lib.5.c.2.
Strabon &
co[n]vienen en señalarle padre a Sardo; porque omnes.
unos le señalan con Silio, a Hércules el Líbico, que Beuter.lib.I.cap.9V
fue el primer Rey q[ue] tuvo Sardeña, como lo sig- arron.& ex Opin-
nificó con sus versos: cer. p.cap.6.
Silio lib.5.
Mox Lybici Sardus gene-
roso sanguine fidens.
Herculis ex se se mutavit
nomina terrae.
Y otros con Pausanias al Líbano, pero como vere- Pausan.li.10.
mos, no tolera la concordancia de los tiempos sus
opiniones, porque, ajusta[n]do los años en los que
señalan los autores la entrada de Hércules en Sar-
deña, no puede correspo[n]der sino al Tebano,
como lo probaremos en el capítulo sexto de la
segunda parte desta historia. Rey y padre fue Sardo
para Sardeña, como comprobarán sus hechos
cuando los referiremos; beneficios muchos le hizo,
que correspondió con tan copiosos frutos la gratí-
sima tierra, que asentando en el alma la corres-
ponde[n]cia, la gravó en sus más preciosas
pre[n]das sensibles, e insensibles en sí mesma, lla-
mándose Sardeña, en sus hijos, llamándose sardos,
en el mar que la circunda, y en su más preciosa pie-
dra, que, llamándose antes ónix, llamaron sardó-
nix, que tanta fidelidad y lealtad sabe tan desde su
origen guardar Sardeña con sus reyes.

Capítulo II
Del puesto que tiene Sardeña, respeto de las partes
con quien confronta, y de su figura, gra[n]deza, sitio,
y del de las islas que le son adyacentes, y la cercan. Provide[n]cia
Es la provincia divina ta[n] cuidadosa de nuestro divina y su lar-
bie[n], que no se contenta con concedernosle gueza en nuestro
comunicable, sino que lo dispone y sazona de bie[n].
32 FRANCISCO DE VICO

manera que nos aumenta la estimación con la faci-


lidad de su conservació[n], experimenta[n]do que
es el origen de nuestro bien el camino para conse-
guirla, la guía para caminarle, y el mesmo bien que
Boecius metr.3.
se consigue, destila la inmensa bondad los bienes
que vimos, y iremos viendo en Sardeña, para uni-
versal beneficio de cuantos menesterosos se soco-
rren della; y aunque fuera efecto singular de su
misericordia, poner a Europa y África para socorro
de sus hambres, el granero do[n]de quiera aunque
distante habié[n]dosele concedido en Sardeña, nos
prendó más para su estimación; pues no solamen-
te es centro del Mediterráneo por su sitio, sino que
se le acomodó Dios capacísimo de puertos muchos
y de seguridad en todos para los navegantes, con
frutos, pastos, aguas y alimentos cómodos y salu-
dables, y ánimos sencillos y liberales en sus due-
ños, comunicándoles con igual largueza, que su
terruno; así lo dijo Lactancio en su Historia de
fol.158. Europa: Abũ´dat Sardinia cũ´ctis ad victum necessa-
rijs, aduenas amanter, & fatis humaniter accipiũ´t. Y
los historiadores, y cua[n]tos geográficos antiguos
Sitio de Sardeña. y modernos tratan de su sitio dicen, que es en el
centro del mar Mediterráneo y lo refiere entre
otros el poeta Claudiano, ibi:
Paeno italosve petenti
oportuna situ.
Y Catulo in exametro nuptiali
medio iacet Insula ponto.
El centro del Mediterráneo dista[n]te co[n] igual-
dad de África y Francia, de que le resulta tan gran
templanza en su clima, que la calor que pudiera
darle la África, le templan las tramontanas de
Claudian. de bello
Gel. ibi paeno ita-
Fra[n]cia, y el rigor destos vientos se desvanece
love petenti opor- co[n] el calor que pudiera dar, y así queda con tal
tuna situ. igualdad, que ni el invierno se siente como en
Catullo in exame-
tro nuptiali medio
Francia, ni el verano aflige como en África.
iacet in suo Ponto. Las delicias de Italia, y las riquezas de España, se le
comunican tan cercanas, que quien vive en Sarde-
ña, no echa de menos su patria en cosa alguna,
Historia general - Primera parte 33

antes reconoce mejora en sus influe[n]cias; báñala Tholomeus lib.3.


tab.7. Hortelius de
por la parte de oriente el mar Tirreno, por donde Insulis.
confronta con Italia; por la parte q[ue] corre desde Diodor.Sicul.lib.3.
Roma al promo[n]torio senés y con las islas anejas Pausan.li.10.
Carolus Stephanus
que son Astura, Palmosa y Ponica, y la mejor de verbo Sardinia.
Sicilia, entre quienes median los dos escollos que Mensterus.
decanta Virgilio: Leonardus
Albertus.Nicol.
Saxa vocãt Itali medijsquae Lemicus. Fara.
in fluctibus aras. Carrillo.
Y donde Facello afirma q[ue] en estas aras firma-
ro[n] y efectuaron treguas Roma y África. Dista Virgil. Aeneid.I.
Sardeña de la playa romana y de Sicilia cuarenta Facel.lib.I.
leguas, otros dicen más. Al medio día confronta
con África y sus provincias Libia y Numidia, y
todo lo q[ue] mira al promontorio Hérmeo, hasta
la boca del río Ansaje y sus islas Hidra, Egeno y
Dracontino, de donde dista ochenta leguas, según
la graduación más cierta. Por el ponie[n]te, la baña
el mar Sardo, así llamado por la razón q[ue] Sar-
deña (como arriba dijimos) es mar anchuroso y
muy profundo, así lo reconoció Virgilio:
Insula flutissono circũ val-
lata profundo
Castigatur aquis, compresson
gurgite terras
Enormes cohibet nudaeque
sub imagine plantae
Inde Iknusa prius Grais
memorata colonis. Virgil. Georg.I.
Y conserva el no[m]bre de mar Sardo, desde q[ue]
baña las playas de Sardeña hasta que desemboca en
el océano por ciento y diez leguas que dista dél. Plin.li.3. cap.3.
Por el septentrió[n] o tramontana, la tierra q[ue]
más cerca le confronta, es la isla de Córcega, en
distancia de tres leguas, y que tiene su sitio en el
mismo mar Sardo, cae en la frontera de Francia y Plin. ubi supra.
del mar Ligústico y Toscano, y de sus islas Capra-
ra, Glofai, Gorgona, de quienes dista las mismas
por el rodeo cie[n]to y diez leguas que arriba seña-
lamos, y que dista de España; y la misma distancia
34 FRANCISCO DE VICO

le señalan de las islas Mallorca y Menorca, que lla-


Pius in itinerario.
maro[n] Baleares; y a la ciudad de Génova ponen
ochenta leguas, conque por demostración mate-
mática y de geografía, queda ajustado, que el sitio
es el ce[n]tro del Mediterráneo de Sardeña con
capacidad y seguridad para los navega[n]tes, rega-
lo y agasajo a los pasajeros, abrigo y socorro a Ita-
lia, Francia, África y España.
Su figura natural corresponde como vimos, exami-
na[n]do sus nombres a la sandalia o huella del pie
humano, y así por su correspo[n]dencia es más
larga que ancha. Bojea de septentrión a medio día
ochenta leguas; donde más se estrecha es hasta
ochenta millas su circuito todo, no saliendo de sí
Tholomeus lib.3.
tab.7 cui subscri- para las otras ínsulas adyacentes, aunque de su
bunt Ossorius, jurisdicción es de seiscientas y cincuenta millas,
Pausanias, & Stra- que se demuestran en esta forma, es la q[ue] me
bon.
pidió y di al doctor Martín Carrillo, cua[n]do
estuvo en Sardeña, visitando los ministros patri-
moniales.
Magnitud de Sar-
deña.
Del puerto de Torres al del Alguer, millas 60
De Alguer a Bosa, millas 40
De Bosa a Oristá[n], millas 60
De Oristán a Cáller 160
De Cáller a Tortolí 110
De Tortolí a Orosei 50
De Orosei a Posada 40
De Posada a Terranova 50
De Terranova a Longoni,
millas 30
De Longoni a Castillo Aragonés,
millas 30
De Castillo Aragonés a
Pausan. li.10.
Torres de adonde salimos,
Polib.lib.I. millas 20
Leonie.li.I. que todas hacen las dichas 650 millas sin entrar,
Victor Uticens.
lib.I.Brasei.
como dijimos, en sus islas; conque confirmamos la
Harod.lib.I. opinión de los más sabios antiguos, que llamaron
a Sardeña la mayor de las ínsulas del Mediterráneo.
El sitio es muy apacible y deleitoso, en partes mon-
Historia general - Primera parte 35

tuoso, pero abundantísimo para todo género de


ganado, y en parte llano; por lo q[ue] mira más a
Italia, abunda más de montes, como lo dijo Strab.li.5.
[E]strabón: Silio.lib.12
Silio.
Aspera est, & in mõtes con-
surgit varios
Quae videt Italiam saxosa
torrida dorso
Exercet scopulis late freta. Montes y llanura
Pero todos estos mo[n]tes cultivados, son más uti- de Sardeña.
losos para el ganado y sementera, q[ue] cualesquier
otras tierras por su mucha fertilidad, naturales pas-
tos opimos y fue[n]tes copiosísimas de cristalinas
aguas, q[ue] los fertilizan; y por la otra parte, que
mira a África, es más llana y abundantísima, como
lo notó Claudiano:
Quae pars vicinior Africae Claud. de bello
Seldonico.
placida Solo.
Sus montes son así verdes, q[ue] pudieran hacer
prados, y así fáciles al arado, que rinden frutos
como los valles mejores, así fértiles, que si no los
cultivan sirven de pasto tan sin estorbo, que de
solas ovejas pasan de un millón y cien mil; a
todos los montes pueblan árboles, los atraviesan
fue[n]tes, algunos burlan el pincel con su perfec-
ción, pues no halla el arte qué suplir, y acabando
en punta piramidal, ya en llanura, que forma
campo; algunos hay abiertos en bocas que los
atraviesan de parte a parte con caudalosas
fue[n]tes y arroyos que los bañan por todas par-
tes, como los de San Juan de Domosnovas, y San
Juan de Dorgali, y otros. A todos los dividen Valles entre los
valles, así llenos de arboledas, de flores, de yerbas, montes de Sarde-
ña, y su fertili-
de frutas, de fuentes, que apenas los caminos se dad.
ven desnudos, y en muchas partes se enlazan y
tejen tanto, que por largos trechos se burlan del
sol, pasando por sus sombras, como por arcos
triunfales. Promontorios, y
Tiene ocho promontorios o cabos más principales, cabos de Sardeña.
once puertos, seguros y capaces.
36 FRANCISCO DE VICO

Sustenta en sí y fuera innu<m>erable3 gente, por-


Sus muchas
riquezas, y gran que la golosina de sus riquezas y frutos, ha llevado
comercio. muchos extranjeros que la habiten, y la apacibili-
dad de sus moradores no ha sabido en la paz resis-
tir la compañía, aunq[ue] tal vez le ha sido perju-
dicial.
8 Cua[n]do la describió Tolomeo y Abraham Orte-
Poblaciones anti-
guas de Sardeña,
lio, la señalan con diez y siete poblaciones diversas,
diez y siete. Ciu- co[n] treinta y siete ciudades que nombran.
dades, treinta y Tanto bien por si era apetecible y la hermosura y
siete. apacibilidad, atrajo tantas y tan diversas naciones,
Tholom. ibid.
Hortel.ibi. que ninguna tierra puede lamentarse de invasiones
54Petrarch. tantas como Sardeña; así la llamó el Petrarca, nido
triumph.4. de mal sosegado para los romanos, y, explicándole su
fama c.I Obregon
ibidem. comentador Obregón, dice, que según el proceso
de los historiadores, nunca los romanos combatie-
ron sobre cosa alguna tanto como a Sardeña; no ha
habido nación a penas de las que el mundo ha
conocido famosas, que no haya desfrutado sus
campos, y sobre ellos se han regado hartas veces
9
con sangre.
Ge[n]tes y nacio- Toscanos son los primeros de que tenemos noticia,
nes diversas en griegos, troyanos, cartaginenses, romanos, vánda-
Sardeña.
los, godos, sarracenos, longobardos, pisanos y
genoveses, y, últimamente, españoles, que han sido
los que han quedado con ella, con el imperio de su
felicísimo Monarca, con que ha llegado a cantar la
ya quieta y contenta Sardeña, que llegó la sombra
Cant.2. que deseaba, para gozar de su quietud y saborearse
10 en los frutos de que abunda.
Hermosura de
Sardeña, perse- Como dichosa ha sido perseguida Sardeña. Asimi-
guida, y aperrea- laro[n] las divinas letras la hermosura al lírio entre
da. las espinas, y era natural consecue[n]cia que sien-
Ovid. in epist.
Helon. ad Par. do bella, y siendo flor, o la habían de cercar espi-
Cant.2. nas invidiosas para punzarla, o guardas espinosas
para defenderla. Ya la vimos de las más naciones
apetecida y perseguida, ahora la veremos de su

3 Innumerable: en el texto original, “innuberable”.


Historia general - Primera parte 37

Católico Monarca defendida, de manera que tiene


más torres que la defienden, que leguas en su
anchura, ta[n]to ha sido necesario en guarda de tal
tesoro.
El primero que, conocie[n]do su felicidad, temió
su navegación, según tenemos noticia, fue Hércu-
les cuando, aportando a Sardeña por parecerle que 11
la verdadera hermosura de la isla necesitaba de Primeras torres de
Sardeña puso
mucha defensa y guarda, la cercó y presidió de Hércules.
torres, tantas que dieron nombre a la ciudad famo-
sa de Torres, que hizo su Augusta, y llamó Turris 12
Ciudad de Torres,
Lybisonis Herculis Augusta, y bastaron a fundar ciu- fundación de
dad y puerto a quien dieron nombre. Hércules.
Pero su renovación en las antiguas y su fábrica en
muchas de las modernas, se debe a don Miguel de
Moncada y al Marqués de Aitona, su yerno, que
sucediéndole en el cargo de virrey, lo que el suegro
don Miguel principió, perficcionó él; y consumó
siendo virrey el Conde del Real, con las de Viñola,
Serpentaria y Cabomano, de manera que hoy se
halla con noventa y cuatro torres en su circuito,
sustentadas de soldados y municiones a costa del
Reino, sin que el patrimonio real contribuya en
ninguna cosa, cuyos no[m]bres se señala[n] en gra-
cia de los naturales ausentes, para que como en
mapa pueda la memoria referirlos; y si parecieren
ásperos a los lectores extranjeros, por eso los dife-
re[n]cia, para que con pasar pocas líneas, excuse el
enfado.
Torres que tocan al distrito de Cáller por medio día, 13
Torres de Sarde-
y poniente. ña.
La torre de la Escasa o Estanque.
La torre de la Madalena.
La del Antiguor del golfo de Cáller.
La de la punta de la Serra.
La de la Guardia grande de Pula.
La de San Macharo de Cabo de Pula.
La de San Diego de cala de Hostias.
La de Quía.
La de Malfata.
38 FRANCISCO DE VICO

La de Pichinuri.
La del Budell en Taulada.
Las que son del distrito de la villa de Iglesias.
La torre de Taulada.
La del Budell.
La de Porto Escuso.
La de Cabo de Plomo.
La de Jenahafranu.
La de Portu Palla.
La de Flumandorgio.
La de Orri de Partimontis.
Torres del distrito de Oristán.
La torre del puerto de Oristán.
La de San Juan del Cabo de San Marco.
La de Cala Moscas.
La del puerto de la Mora.
La del Cabo Manno.
La de Escala sale.
La de Orfanu Puddu.
Torres del distrito de Bosa.
La torre de Cala Santa Catalina de Pizinuri.
La de Cabo negro.
La de Foga Dolla.
La de Isla Ruina.
La de Columbaria.
La de Portu Bosa.
La de Argentinas.
La de Cala del Agua.
Torres del distrito del Alguer.
La torre de Polleri.
La del Cabo de Galera.
La del puerto del Alguer.
La del Cabo de Lirit.
La de Guillén Germán.
La de la Guardiola.
La de Cala Genovesa.
La de Pena Maestra.
La de Porticholo.
Torres del distrito de Sácer.
Historia general - Primera parte 39

La Torre del Halcón.


La de la Pelosa.
La de la Isla Plana.
La fortaleza del Castillaza en la Asinara.
La de Santiago de Cala de Arena.
La de Cala de Oliva.
La de Santa Marina del Trabucado.
La de las Salinas de Sácer.
La fortaleza del Puerto de Torres.
La de Aba Corrente.
La de Cabo Blanco.
La de Cala Augustina.
La de las Almadrabas.
Torres de Castillo Aragonés.
La torre de Frijano.
La de la Isla Roja.
La de Viñola.
Torres del distrito de Galura.
La torre de la Testa.
La de Longosardo.
La de Terra Nova.
Torres del distrito de Posada y Orosei.
La torre de Santa Lucía.
La de Arbataix de Tortolí.
La del puerto de Posada.
La de Vacaserri de Ollastra.
La de Jacuri.
La de Barí.
La de Monti Coral.
Torres de Cáller por levante.
La torre de Sárrabus.
La de San Lorenzo.
La de Monti Ruicio.
La del Puerto Coral.
La de Monti Ferro.
La de San Antonio de Calapera.
La de San Luis de la Serpentaira.
La de Puerto Junco de Carbonara.
La de San Miguel de las Coles.
La de Cala Catalina de Carbonara.
40 FRANCISCO DE VICO

La fortaleza vieja de Carbonara.


La de Cabo Boi.
La de Monti Fenugo.
La de Cala Sarraína.
La de Nuraxi Anna.
La de San Andrés.
La de la Foja Chichío.
La de Carganyolas.
La del Boca del Rey.
La del Pouhet del San Elías.
La de Cala Figuera.
La de Cala de San Bernat.
Éstas son las torres que la hermosean y guardan; y
pues hemos dicho del sitio y cerco que Sardeña
tiene en sí, cae bien en este lugar que se diga de sus
14 islas adyacentes, a las cuales Silio Italo llamó esco-
Islas adyace[n]tes llos, por no ser muy gra[n]des muchos dellos:
a Sardeña.
Silio lib.2. de bello
Exercet Nopulis latè freta.
Hispanico. Tiene por adyacentes más de cuarenta ínsulas,
15 aunque los antiguos conocieron menos, nombraré-
Son islas cuaren-
ta.
las todas con el presupuesto dicho, y no describiré
sino las más famosas en puntualidad de la historia.
Llévase el lugar primero por su grandeza y riqueza,
16 la isla Asenaria o Asinaria, que mira al cierzo, y
Ínsula Asenaria, y
su población pri- pertenece a la ciudad de Sácer; co[n] este nombre
mera y nombres. quedan tres fortunas varias; llamóse primero de su
Tholom.lib.7.tab. primer poblador Hércules, isla de su nombre.
7.
Plin. lib.3.cap.7 Duróle hasta que, peregrina[n]do, Eneas aportó a
Capel. li.6. ella, destruida Troya, y la llamó Onuria, mal pro-
nunciado el diptongo y viciado el nombre, la lla-
17 man Asenaria. Tiene de circuito treinta millas,
Los frutos de la cuatro torres bien artilladas y defendidas: sus ori-
isla Asenaria. llas tributan atunes y otros peces y corales en abun-
18
Halcones hermo-
dancia; sus montes de que abunda jabalíes, ciervos
sean la isla Asena- y moflones y todo género de caza.
ria. Hállase en ella muchos halcones; túvolos en estima
19
Origen del
el señor rey don Pedro de Aragó[n], por esto creció
no[m]bre su fama, y se aquilató su precio en toda España, y
mo[n]te Falcón y mudó el Cabo Gorditano de Sardeña su nombre en
del castillo. monte Halcó[n], por la abundancia destas aves; así
Historia general - Primera parte 41

también el castillo que es también por su eminen-


cia atalaya; carece de animal venenoso o fiero, 20
como Sardeña, en ella se atribuye al milagro, no a No hay animal
la naturaleza de la tierra, porque reconoce ser efec- venenoso.
to de las oraciones del ilustrísimo mártir y prelado
turritano Proto, según se dirá en su capítulo. 21
Otra isla no lejos del puerto de Terra Nova, que le Milagro de san
cae entre levante y cierzo, llama san Dámaso Proto.
Isla Bruciana.
Buciana o Pausiana, y la cue[n]ta por una de las 22
dos Enótridas, por haberla poseído los enótridas Isla Buciana.
italianos. Damas. in vit. S.
Pontian.
Llámala el vulgo Taulara, y con este nombre se Pined. in
conserva, y con doce millas de circuito. Es toda Monar.p.2.
montuosa, con un monte eminente, tanto, que es lib.II.cap.27.§.5.
el primer encuentro de los ojos, de cuantos nave-
gan de Italia para Sardeña.
Su mayor excele[n]cia le previene de haber sido
desterrado y muerto en ella san Ponciano, Papa, de 23
quien se tratará en su lugar. San Po[n]ciano,
La isla Plúmbea, o Molibodes, como llamó Tolo- Papa.
24
meo, o Enosina, como llamó Plinio, se sigue a Isla Plúmbea o de
éstas. Conocémosla con el más dichoso nombre de Plomo.
San Antíogo4. Tholom.ibi. Plin.
Los nombres primeros le dieron las muchas minas
de plomo que en ella se hallan; el último, San
Antíogo, su mayor tesoro, por haber padecido su
destierro en ella un sa[n]to deste nombre, como 25
San Antíogo
luego se verá más largo. mártir.
Ruinas hay que la ilustran, unas en antigüedad,
como la memoria de la ciudad de Sulcis; otras, en 26
Antigüedades de
cristiandad e<l>5 ilustre templo de san Antíogo, la isla Plúmbea.
cuyo edificio se muestra por las ruinas, como la
devoción permanece entera en los efectos.
Tiene de circuito veinte y cinco millas, es mucha la
caza y estimable la pesca, por ser de atunes y cora-
les.

4 Antiogo: “Antíoco” por sonorización de la oclusiva sorda intervocálica.


5 El: en el texto original, “en”.
42 FRANCISCO DE VICO

Junto a la isla de San Antíogo, está otra llamada de


27
Isla de San Pedro.
San Pedro. Dióle el nombre una ilustre iglesia que
tiene consagrada a este Príncipe de Apóstoles; lla-
mábase de los Azores, por la excelencia y abun-
da[n]cia que destas aves tiene; pero mudada la
cabeza de aves en almas para Dios, se entregó en
afecto, y nombre, al mayor y mejor pescador, san
Pedro.
Tiene de circuito veinte millas, con un puerto
capaz y seguro de mucha armada.
De los puertos que Sardeña tiene, es famoso y céle-
bre el q[ue] está junto a la ciudad del Alguer. Lla-
28 móse antiguamente Ninfeo, hoy puerto del
Puerto Ninfeo Conde, y aunque le pudiera ilustrar su mucha
hoy del Conde.
capacidad y seguridad, le ilustra más la frecuenta-
ció[n], por ser frontero a España, conque se ha
hecho famoso en los mares Mediterráneo y Sardo.
29
Las otras islas de menos nombre y sitio, se sujetan
Islas menores que a aquellas gra[n]des; referiré sus nombres por la
cercan a Sardeña. noticia, sin embarazarme en más particular des-
cripción, por evitar prolijidad con su mucho
número:
Pelosa.
Isla Llana.
Coxa de Dona.
Malventre.
La de la Magdalena del Alguer.
Isla del puerto de Bosa.
Isla de los Franceses.
Isla de Planchica.
Isla del Toro y Vaca.
Isla Roja.
De San Machari.
La Serpentaria.
La isla de las Coles.
Malsonara.
Bocas de Bonifacio.
Luturo, entre Córcega y Sardeña.
Caprera.
Arzaquena.
Historia general - Primera parte 43

Isla Trejano.
Islas Longosardo.
Murmureta.
Dos islas Logore de Puerto Possu.
Dos islas de los puertos de la Serpentaria.
Isla Molendos.
Del Cabo de Carbonara.
De Estabatax.
De Ollastre.
Mari Tremo.
Tres islas de si ha muerto.
Ticarolu.
Taulara.
Terranova.
Mulluro.
San [E]stéfano.
Estentino.
Lecusie.
Marsatta.
Isla Roja junto a Castillo Aragonés.
Que entre todas son al pie de cincue[n]ta, con
q[ue] se ha dado noticia del sitio de Sardeña y sus
islas adyacentes, la que se puede haber conseguido
en las más notables y la que basta de las restantes. 30
Advierto que, aunque la jurisdicción de Sardeña No son de Sarde-
comprenda todas estas islas, son buenas para com- ña las propieda-
probar la extensión de su jurisdicción y dominio, des de las islas de
su jurisdicción.
no para inferir o imponer por las propiedades de
alguna a las demás; y así quedará notado para que
los que hablan de Sardeña, atribuyéndole efectos
de sus ínsulas, se desengañen, como lo hiciera Sar-
deña si le atribuyeran virtudes que no tuviera.
44 FRANCISCO DE VICO

Capítulo III
De la fertilidad y abunda[n]cia de Sardeña y de los
animales comunes y particulares que en ella se
hallan.
I
Infelicidad cuán-
Muy de participantes es la infelicidad de un desdi-
to se extiende. chado, a todos se comunica, a los hijos, los parien-
tes, a cuanto le toca; lo insensible no se escapa, las
piedras de su casa en que vive, los campos de la
ciudad en que mora. Novedad pareció a algunos la
condenació[n] de la casa al arado, y si como
viero[n] el derecho humano, examinarán el divino,
en los primeros pasos de nuestra culpa, diera en los
desta pena, pues, condena[n]do Dios a Adá[n] a
que arase la tierra, en la misma obra impuso la
maldición, y a otro delincue[n]te famoso fue sen-
tencia por boca divina, q[ue] su ciudad quedase
desierta, y su casa incapaz de habitación; todos
derechos la refieren; las historias nos cuentan su
ejecución. Los griegos araro[n] a Troya, y los roma-
Proper. eglog.9. nos a la infelice Cartago, y Josefo cuenta la cere-
li.3.
Ovid. de penelop.
monia de sembrar la casa de sal, porque aun las
espinas q[ue] reservó la maldición divina en la tie-
rra arada, no las lleve la delincue[n]te. Los dere-
Oros.lib.4. chos distinguen el ser arada por invasión enemiga
cap.23.
Plutar. in Caron. o por sentencia de príncipe, y ésta no quiere q[ue]
Eutrop.lib.4. quede exenta de privilegio alguno, sino q[ue] en
Plin. lib.15. todo le co[m]prenda la maldición. ¡Oh, bienaven-
cap.18.
turados campos, -dice Isaías-, a quien es permitido
llevar frutos donde quiera que se siembre[n], los
q[ue] se eximen de maldición tan común, los q[ue]
sin necesidad de arado produce[n] flores, frutos y
riquezas, y si le descubre el arado las entrañas, es
para mostrarlas tan buenas, que sus correspon-
de[n]cias son doblados frutos y colmadas mieses!.
Esto es lo que dijo Pausanias, y tradujo Lipsio,
hablando de Sardeña, ínsula bienaventurada,
dichosa y abundante. Éste es el nombre de santa,
que en propriedad de la lengua hebrea se la dio a
Sardeña, para que en la misma en que se halla la
maldición común de la tierra, se verifique la exen-
Historia general - Primera parte 45

ción de Sardeña. Entre las maravillas que recogió


Aristóteles de todo el mundo, refiere la abu[n]dan- Aristot. de
cia de Sardeña. De todos los autores antiguos no mirab.n.15.
hay alguno que la omita, Silio Italico, Horacio, y Strab.li.5.
Poli.lib.I
Lucio Floro la llamó prenda de los de Roma; y Apran.l.16
muchos refiere[n] lo mismo haber sido la tierra de bel. civil.
que más llenó de frutos a Roma; y añaden que Plutar. in uti.
hubo tiempo en que no pasando por más, q[ue] se Pompei.
Flor.lib.4.cap.2
ensancharon las trojes6 de Roma para recebir el Claudi.de bello
trigo q[ue] la ofreció Sardeña, se rompieron sus Gildon. filius
graneros: lib.12.de
bell.pun..
Nec det vela Remis, nec Horat.
Horrea rumpat Lucan.
Sardorum congesta vehens Pruden.ad Simac.
tab.I.
granaria classis. 2
Esto mismo verifica Silio Itálico tratando de Sar- Abundancia de
deña, y su abundancia: Sardeña, general-
me[n]te reconoci-
Caetera propensae, caeteris nu- da.
trita favore.
Y Horacio: Quid dedicatũ poscit Silio li.12.
de bell.punico.
Apolinem
Vates? Quid orat, de patera novũ Horat.Ode.31.
Fundens liquorem? non opinnas
Sardiniae segetes feracis.
Lucio también juntando a Sardeña con Sicilia, dice
de ambas:
Viraq[ue] frugiferis est Insula
nobilis arvis
Nec plus hesperiam longin-
quis…
Nec Romana magis com-
plerunt horrea terrae
Ubere vi glebae superat ces-
santibus austris

6 Troj: lugar rodeado de paredes, donde se almacenan frutos; especialmente, cerea-


les (DUE).
46 FRANCISCO DE VICO

Tam medium nubes Borea


cogente subaxem.
Effusis magnum Lybiae tulit
imbribus annum.
Y para argumento invencible, cuando compitieron
sus tiranías la asolada Cartago y la dichosa Roma,
habie[n]do juntado cuantos poderes alcanzaban, y
eran los grandes que el mundo tenía, para compe-
tir el valor sin que la hambre los contrastase, cons-
tituyeron por granero común a ambos ejércitos la
3 ínsula de Sardeña, y bastó para todos sin necesitar
Suste[n]ta Sarde-
ña los ejércitos de compañía; y despues que Roma la hizo tributa-
romanos y los ria habiendo ensanchado y roto sus graneros, bara-
cartagineses. tó tanto el trigo, que le dejaron los mercaderes a
Claud. de bell.Gel.
P.lin.lib.3.14 los marineros por el costo del flete, increíble abun-
Increíble y conti- dancia, si la autoridad fuera menos o la experien-
nua abundancia cia contraria; y pues ya los muchos testigos ocula-
de trigo en Sarde-
ña.
res que han asistido en Sardeña animan nuestro
Lucius Florus crédito a perder el recelo, refiriendo cosas increí-
lib.4.cap.2. bles en contar experiencias. Si en Roma se dejó por
el costo del flete el trigo que se cargó, digo, que
sucede en Sardeña dar el labrador la mitad del
trigo para que se le lleven de la era al granero, con
sola distancia de dos leguas, y viene a ser, a veces,
de más precio el costal o saca en que se lleva, que
el trigo que se le echa. Desempeño superior, para
que la relación romana parezca corta y no exagera-
5
Buena calidad de ble, a la ca[n]tidad corresponde la calidad del
trigo en Sardeña. trigo, que es tan bueno, que no solo no debe nada
6 a cualquier otro, más aún les hace notable ventaja,
Abunda[n]cia de
otros frutos en de que son testigos los reinos.
Sardeña. Al trigo acompañan con igualdad las legumbres,
7 las flores, las frutas y las uvas, que sin quedar en
Crueldad bárbara
de Cartago contra
necesidad, puede proveer reinos enteros, tanto más
Sardeña. en prueba de su fertilidad, cuanto más lastimada
8 de la bárbara crueldad de Cartago, que, vengativa
Bosque de Milis,
cidras y naranjas.
de haber proveído a los romanos, arrancaron cuan-
Volat. ex Arist. de tos árboles daban frutos de su raíz.
mirab.cap.5. Bosque hay que toma el nombre de su lugar más
cercano, llamado Milis, que siendo largo casi tres
Historia general - Primera parte 47

millas y ancho una y media, está tan extendido de


naranjos, que apenas ha podido el Sol registrar sus
troncos. Esta misma abundancia goza la ciudad de
Sácer, el Alguer, Bosa, Ollastre, y otros muchos
lugares que enriquecen tanto el Reino, que llegan
a darse seis naranjos por maravedí; y así en recreo
y fuentes, es retrato del Paraíso que perdimos. Hay
en grande abunda[n]cia cerezos, guindos, ciruelos,
muchos y diferentes perales, castaños, nogales, oli-
vos, acebuches7, encinas y alcornoques, y, en fin,
todo género de árboles útiles y fructuosos, tan dul-
ces, y tantas uvas, que no invidia los vinos salernos Marcial.
y surrentinos, que cantó Marcial, ni echa menos
las aceitunas de otra parte y ramilletes de Madrid
y Valencia.
Compruébase esto más con la ocasión de la llega-
da del rey Iolao y su ge[n]te a Sardeña, hablando
de su sitio, campos, amenidad y abundancia: Iolaus
(dice) in Sardiniã vilificavit, indagatisq[ue] pugnae
devictis, pulcherrimũ Insulae tractũ, & maxime cam-
pestrim, qui etiã nunc Iolai nomen tenet, sorte divi-
sit, ab hoc itaq[ue] tellus ita exculta, & fructiferis
arboribus consita fuit, ut certatim deinde Insula ape-
teretur, nam ubertate frugũ usq[ue] adeo celebris eva-
sit, ut Carthaginenses opibus postmodũ aucti, multa
potentia eius desiderio certamina susceperint. 9
Co[n] la mesma abundancia goza de carnes, Abunda[n]cia de
carnes en Sarde-
porq[ue] fuera d[e] las comunes a todas provincias ña.
de ganado mayor y menor, venado y volaterías, es 10
particular en Sardeña la del moflón, q[ue] llamó Moflón y sus pro-
piedades.
Plinio musimón, y Estrabón musbó[n]. Su figura Lib.8.c.40.
es de un carnero, aunq[ue] algo mayor, los dos Plin.I
cuernos (uno dijo Pellicer por no haberlo visto) Strab.li.I. de sub
erbus.
fortísimos sobre toda ponderació[n], el cuello Pellicer a la Sole-
grueso y largo, la piel de ciervo, su aspecto como dad primera de
de carnero, su carne sabrosa; cázase con mucha Góngora.
dificultad, porq[ue], demás que su habitació[n] es

7 Acebuche: olivo silvestre (DUE).


48 FRANCISCO DE VICO

en lo más arriscado de los mo[n]tes, su ligereza es


increíble, y si los cazadores o perros le ponen en
apretura, co[n]fiado de la fortaleza de sus cuernos,
se arroja del mayor precipicio, y da[n]do sobre los
cuernos, no así resalta la pelota como él se levanta
corriendo con ligereza, q[ue] certifica haber salido
del salto sin peligro, dejando burlados cazador y
perros. Éste es el animal cuya noticia escri<ta>8 se
había perdido en España, por no tenerla de Sarde-
ña.
11 Su mar es abundantísimo de cua[n]to género de
Abundancia de
atunes y otros peces hay en el mar Mediterráneo; de los atunes
peces en Sardeña. quedó dicho en la descripció[n] de sus islas, y de
sus regalados peces, anguilas, truchas y sabogas, se
dirá en la descripción de sus ríos y fuentes; en fin,
como se proveen de trigo tantas otras tierras a
quien socorre Sarde<ñ>a, también los provee de
peces, porque las anguilas, mugueddos9 y atunes, se
saca[n] para Italia y otras partes; y es ta[n]ta la pes-
quería y sus intereses, q[ue] aplicados a los cofres
reales, se toman por asiento en la hacienda de su
Majestad en q[ue] es muy interesada, y los arren-
12 dadores no poco aprovechados.
Abunda[n]cia de Tiene crianza de lino y de quesos y lanas con tanta
lino, quesos y
lanas. sobra, q[ue] busca de fuera quien se la compre.
La artificiosa y útil fábrica de panales se maneja
13 con curiosidad, y se logra co[n] abu[n]da[n]cia, de
Panales, miel y
cera. manera que para sus deleites miel alcanza y presta,
y la bondad de su miel es tal, que compite con otra
cualquiera, y aun con el azúcar.
Previno la naturaleza humana diversión a cuida-
dos, y ensayo a malicias en tres géneros de cazas, en
el mar, la pesca a q[ue] tanto acuden mar, ríos y

8 Escrita: en el texto original, “escrivio”.


9Mugueddos: “Mújol”: pez teleósteo comestible de hasta medio metro de largo, de
cuerpo cilíndrico, verdusco, con listas negras por arriba y plateado por abajo; su
carne y huevas son muy apreciadas. (DUE).
Historia general - Primera parte 49

fue[n]tes de Sardeña, en la tierra fieras, de quie[n]


por felicidad se exime Sardeña para el daño, no
empero para el deleite, porq[ue] los venados, jaba-
líes y moflones industrian para la guerra y deleitan 14
Caza de moflones
cua[n]to basta para la caza, valiéndose de sus caba- de Sardeña.
llos en q[ue], como veremos, no invidian a Córdo-
ba, aunq[ue] no sean tan hermosos; y de sus
perros, q[ue] nada deben a Irla[n]da. De cua[n]ta 15
estima sea[n] los caballos por su gala, ligereza, leal- Multitud y forta-
tad, y socorro, con q[ue] facilita[n] nuestros leza de caballos
menesteres, no es mi profesión ni intento tratarlo. en Sardeña.
Mucho han dicho de los antiguos Plinio, y de los
modernos lo recogió Marcelo Donato y Sigó[n].
Pero trata[n]do de los de Sardeña, dice: Apud quos
Cap.30.
venandi, & equitãdi laus viget. Como dijo Cicerón,
comprobó la antigüedad la experiencia de sus cali-
dades en uno q[ue] sirvió al señor don Juan de
Austria, en cuya alabanza se hicieron los versos
siguientes:
Hic maculis varijs passim
distinctus, & altis
Sardiniae feracis agris evectus
apertis
Procedens campis spumãtia
frena remordet
Et fremit insultãs impletq[ue]
hinnitibus auras.
Todo lo reconoció Iacet en su descripció[n] de Iacet.t.6.
Europa, do[n]de habla de Sardeña; y trata[n]do de fol.152.
sus caballos, los llama ágiles y robustos, aunq[ue]
menores que los frisones, q[ue] son los que llama
suyos. Reconoce su abundancia después de haber
calificado su estima, pues llegan a esparcirse por
los campos sin reconocimiento de dueños, y así se
sacan muchos del Reino para otros, de manera que
en calidad de caballos no es inferior a los q[ue] más
16
se estiman. Y la caza de animales es en Sardeña de Caza de otros
las primeras, y más bien acomodadas, pues aco- animales y cuán
modándose a lo útil que della puede resultar, que acomodada.
es el ejercicio y ensayo para la guerra, le falta lo Iacet ubi supra.
50 FRANCISCO DE VICO

peligroso, por no hallarse las fieras que tan en


duelo de España y otros reinos hicieron
lame[n]table la caza: Abundat enim regio, dice este
autor, Apris, cervis, damis, y no contó el moflón
por no haber quizá llegado a su noticia; pero
cue[n]ta gamos y ciervos, cuya ligereza industria y
enseña; y así justamente concluye que la caza en
Sardeña es de las primeras en comodidad y deleite;
pues sobrándole ta[n]to desto, le falta lo riguroso y
de peligro.
Mucho se han divertido algunos curiosos, en que-
rer averiguar los inventores de la cetrería o caza de
unas aves con otras; la naturaleza de los azores des-
cribe[n] veinte y seis autores antiguos, q[ue] se
Riteruz. in
apian.mob. lib.2. halla[n] en Riteruzco, al principio de su apiano, y
Iovi. Hist. lib.2 en los modernos Sahagún y Ayala; muchos
niega[n] a los antiguos este deleite y quieren q[ue]
se deba esta invención a Federico Barbarroja; pero
no sé co[n] cuánta razón, porque en los tiempos de
Plin. lib.10. Aristóteles, Eliano y Plinio, Julio Fírmico lo des-
cap.42.
Firmia.li.3.cap.8
cribe autor de más de 1200 años. El Co[n]cilio
Concil. Franc. sub Fránquico, y el Agatense prohiben a los clérigos el
Zacariã I. uso desta caza desde el año de 426; allí lo alega
anno 542. Graciano, 800 años antes q[ue] naciese Barbarroja,
ut refert.
Pannius in chron. con q[ue] no será bien que Pancitolo,
Ecclesiae. defrauda[n]do la antigüedad, quitó a Sardeña el
uso de sus azores, que los tuvo muchos, bellos y
ligeros, diestros y famosos, tanto que ilustraron
una de las islas adyace[n]tes co[n] su no[m]bre
(como se ha dicho) y el señor rey don Pedro de
Aragón, demás del uso con q[ue] los ilustró, pre-
sentó muchos a diversos príncipes, que los estima-
ron.
De manera, q[ue] verificada por mayor y menor
(cua[n]to basta a q[ue] co[n]ste la verdad, sin nota
17 d[e] prolijos) la fertilidad de Sardeña, en mar y tie-
Sardeña no nece-
sita de nada.
rra, consta co[n] evidencia que nada le negó la pro-
videncia divina en beneficio de la naturaleza
humana, sin que para el suste[n]to, adorno, rique-
zas y deleites necesite de algo, antes tenga, no solo
Historia general - Primera parte 51

co[n]grua, sino abunda[n]temente, lo forzoso y


necesario; pero lo deleitoso y regalado, no avara
para sí, sino pródiga con cuantos della se valen.
Así, podemos alegallo por sentencia difinitiva dada
por la suprema potestad del sustituto de Dios, el
Papa, y escrita en la galera de su palacio sacro de
San Pedro de Roma, que en verdad tan conocida,
aun las piedras hablan; en las cuales se halla de Sar- 18
deña la inscripción siguiente, con la cual se com- Inscripció[n] en
prueba todo lo dicho: Roma que lo
Saardinia Mare Sardorũ. declara co[n] sus
propriedades.
Sardinia á Sardo unde nomen
accepit.
Lybicorum Colonorum duce
fuit occupata.
Quorum huc usque lingua cum
Italica
Et Hispana comixta, incole
utuntur
Ea nec lupos, nec venenata fert
animalia
Frumento pecore venatione abũ
dat.
Bello deditos homines generat,
ac laboriosos.
Desta inscripció[n] queda probado todo lo que
hasta aquí se ha dicho, que Sardeña tuvo nombre
de rey Sardo, que no cría lobos ni animales ponzo-
ñosos, que es abundante de trigo, ganado, caza, y
que produce los hombres fuertes y laboriosos para
la guerra; y se podrá decir de Sardeña, lo que cantó Silio.lib.II.
Silio:
Serpẽtum pura tellus, ac vi- 19
Sardeña se iguala
avata venenis. en la
Y Virgilio de Pancaya, en Arabia: abunda[n]cia y
Totaq[ue] iburiferis Panchaia propriedades a
Pa[n]caya.
pinguis arenis, Virg.2.
Sed gravidi fruges; ac Bacchi Georg,ver.
Massious humor. 140.144.151. y
Bis gravidae pecudes, bis po- 152.
52 FRANCISCO DE VICO

mis utilis Arbor.


Atrabidae tigres absunt, &
saeva leonum semina.
No quiero aquí olvidar, que Sardeña no solamente
es feliz con la abundancia y deleite que tiene en
todo género de caza, pero lo es mucho más en ser
20 libre de todo animal dañoso y ponzoñoso, por sin-
Sardeña libre de gular beneficio que le vino por medio del santo
todo animal
po[n]zoñoso. prelado y mártir turritano Proto, por cuya ora-
ció[n] nos le co[n]cedió el Señor desde que fue
desterrado por el presidente Bárbaro en la isla Ana-
ria o Asinaria, donde y en toda la Sardeña había
mucha cantidad de animales ponzoñosos, de lo
cual da testimonio la común y antiquísima tradi-
ción, y lo escriben los que tratan la vida destos san-
tos, y entre otros don Antonio Cano, don Salvador
Alepus, ambos arzobispos turritanos de Sácer, Pie-
tro Antonio Filipi en la Historia de Córcega, y el
doctor Jerónimo Araolla, en la Vida y triunfo de
otros santos, de quien pondré aquí una octava en
21
nuestra propria lengua sarda, por comprenderse en
Habla de las ora- ella todo lo q[ue] acerca desto se dice:
ciones de los san- Penetrat sas orijas divinales
tos. Sa suplica de puru coro essida,
Et subitu remediu a tantos males
Bengisit, dae Deus sa gracia apida:
Et restant cuddos brutos animales
In pagos dies totos privos de vida,
Et dae fora may pius fera maligna
S’est vista in sa Asinara ne in Sardiña.
Con la mesma propriedad referida, la describió
César Ripa en su Intanología y descripción de varias
imágines, obra muy curiosa en lengua italiana folio
225 y la pinta y pone a Sardeña en figura de una
22 dama hermosa, porque sin oposición todo lo
Jeroglífico de Sar- bueno es bello; por pedestal una piedra labrada en
deña.
forma de huella humana, la forma mira a la figura
natural de Sardeña, la materia a su co[n]sistencia y
fortaleza, que en lenguaje divino, el que edifica
para permane[n]cia, labra sobre piedra fundamen-
Historia general - Primera parte 53

tal: vestida de verde por su amenidad perpetua, y


Qui aedificavit
sustancia vigorosa, así lo explicó Plinio cercada de domum quam
agua por la de los mares que la islan, o por la con- supra petram
currencia de naciones q[ue] hay al comercio, y por Plin. epist.144.
Virgil. Aeneid.I.6.
tantas como antiguamente compitieron su domi- Colum.in praefat.
nio; que muchas aguas lo mismo significan que operit.
naciones en lengua santa, y finalmente, la pinta
con una corona de olivo, en que significa su abun- Ezech.27.
Apocal.17.
dancia laureada en competencia de tantas tierras;
que de olivas solían coronarse los luchadores,
como refiere Pindaro, y cantó Virgilio: Pandarus
Scholiastos.
Tres praemia primi.
Accipient flavaque caput ne-
ctentur olivae. Virgil.
Aeneid,52.
Y un manojo de espigas en la mano derecha, todo
para significar su fertilidad y abu[n]dancia por
reina en todo lo necesario a la vida, cerraremos este
capítulo con lo que dice Zurita: es tanta la fertili-
dad y abundancia de Sardeña y la comodidad de su
sitio, tan oportuna por la vecindad de Italia, Sici-
lia, Fra[n]cia y España, que fue siempre muy fre-
cuentada de todas las naciones de oriente y occi-
dente.

Capítulo IIII
De los ríos más señalados de la isla de Sardeña. I
Son ta[n] pesados los agravios a la patria, que con Cuá[n]to obligue
poder de la mesma naturaleza, deben todos salir a la defensa de la
Patria.
la defensa, la potestad suprema eclesiástica, q[ue] Baiard. ad clar.
reside en el Papa, quieren se limite por su Iglesia iniuria.
ofendida, y la secular, que no pueda remitir ofen-
Boer. decis I.20.
sas semejantes, y en la obligación de naturaleza a n.5.p.I. tract.in
padre y patria; si compiten, es ya sentencia sin cap. insunitane
contradicción q[ue] la patria prefiere; co[n] dere- 03.dist.
Bald.in c.I de
cho pues tan conocido natural y positivo, entró pact.iur.sis.§.iniu-
por obligación, y afición, y llamado de justicia a la ria punct. num.6.
defensa de Sardeña, defraudada en la antigüedad Batar.968.num.3.
en su clima, en sus fundadores, en su fertilidad y
54 FRANCISCO DE VICO

pastos; por ser materia opinable, aclararé la verdad


sin darme por entendido en la ofensa, agora empe-
ro que la defraudan en lo mejor y más averiguado
2 y notorio de sus bienes, que son las aguas, dándo-
Aguas de Sarde-
ña, y sus alaban-
le Tolomeo y Hortelio solos tres ríos; y hay quien
zas. diga que necesita para sustento del agua llovediza.
Forzado, respondo a tan evidente calumnia, tanto
más de sentir, cua[n]to la ofensa toca en parte tan
3 principal y notoria.
Nobleza del agua, Es de los elementos el más noble el agua, siendo
y de su dignidad cualquier ministerio en que se sirve al
alime[n]to.
Señor; grande es el de las aguas, habiendo sido
carroza de Dios cuando, paseando el mu[n]do, se
gloriaba en sus obras, y no sé si fue premio del
bue[n] servicio darles por morada el cielo y hacer-
les materia (como algunos quieren) del aqueo cris-
talino, o como otros, conservándolas con su propia
especie; de aquí es, que cuanto más se purifican las
aguas, tanto más participan de los celestes, y sien-
do tantas y tales las de Sardeña, tan puras, suaves y
fértiles, co[n] tantos ríos y fuentes como veremos,
verla defraudar en parte tan principal, empeñó su
defensa; y aunque para conservarla con su derecho,
bastaban tantas bocas extranjeras que la califican,
estando co[n]stituido protector para su defensa
por la misma naturaleza, y por la obligación en que
me puse de referir como historiador la verdad,
diré, en singular, los ríos más célebres q[ue] tiene y
sus propriedades, y en desempeño del injusto des-
crédito, haré numeroso aparato de sus muchas, lin-
das, claras y fértiles aguas.
4 El primer río por la antigüedad y caudal de sus
Río de Torres. aguas, es el que llamamos Turritano, por la ciudad
y puerto de Torres, fundación, como vimos y vere-
Terentius, mos, de Hércules Líbico; llámase también Flumi-
Parro.de lengua nargia, compuesto del verbo latino flumen, que es
latina ad Cicer.
lib.I. in Corn..
el río Afluendo y de Argos o Argi Argoru[m], que
folio I00I. son los griegos denominados de Argos, ciudad del
Peloponeso, acomodadísima entre todas las de la
Grecia para pastos; o de Argos, hijo de Apis, en
Historia general - Primera parte 55

cuyo tiempo se llamaro[n] los griegos, argives, y en


beneficio de haberles dado el uso del pa[n] q[ue]
les trajo de fuera, pasa[n]do del dominio
te[m]poral q[ue] le reconocía[n] como rey, le ado-
raro[n] como Dios. Así pues, aportando Hércules
co[n] sus griegos a la ciudad y puerto de Torres,
nombró al río Fluminargia, ya reconociendo sus
pastos superiores a su Argos, ya adornándole co[n]
nombre deífico; pues si le medró el rey Argos por
inventor en gracia del uso del trigo, hallándole tan
sin trabajo introducido en campos ta[n] por natu-
raleza fértiles como los de Sardeña, justamente le
aplicaron el nombre de su mayor veneración y fer-
tilidad. Es pues insigne este río, no solo por los
campos que riega, sino también por las saludables,
sabrosas y abundantes anguilas y truchas que cría,
y, singularmente, se hermosea la más famosa 5
Puente del río de
pue[n]te que Sardeña tiene, para aquel Reino pri- Torres.
mera, y que en muchos otros no reconoce segun-
da. Tiene su principio de las fuentes y corrientes 6
Nacimiento del
que nacen en el valle que llaman Búnnari, entre la río de Torres.
ciudad de Sácer y villa de Óssilo, y bajan por los
molinos de Escala de Choca, y se juntan más abajo
con el río de Campo de Mela, y fuentes de Bortu,
y siguen su corriente por Mascari, cogiendo el río
de Úsini y Íteri, hasta las puentes de San Georgio,
dos leguas de Sácer, hacia la ciudad del Alguer,
engrosándose con los demás que topan, mezclán-
dose con el río de Ottava, y demás arroyos, hasta
que llega a las puentes de San Gabino de Torres,
donde se entra al mar.
La señal mayor que dejaron los romanos de su
dominio, fue la introducció[n] de su lengua, y ha
sido reconocimie[n]to y vasallaje que han
prete[n]dido se les tribute cua[n]tos por el derecho
de guerra se han introducido señores peregrinando
de sus patrias, y habie[n]do sido Sardeña la
ma[n]zana de la discordia sobre q[ue] compitie-
ro[n] antiguamente las tres mejores diosas de
monarquías, griega, romana y africana, cada cual
56 FRANCISCO DE VICO

en ciudades, lugares, torres, puertos, fuentes y ríos,


fueron deja[n]do sus nombres, que viciaron des-
pués con impropiedad de extranjeros, godos, ván-
dalos, moros, genoveses, pisanos y, últimamente,
aragoneses, catalanes y castellanos; y así se trabaja
no poco en la variación de estas lenguas, en descu-
brir las que tuvieron, tomando otro nombre algu-
no de dichos ríos.
Es el segundo en antigüedad y gra[n]deza, el que
7 llaman de Coguinas en la Baronía de Anglona y
Río de Coguinas. Coguinas, que pertenece al Conde de Oliva,
Cicer.
Tuse. Duque de Gandía; y, aunque dudoso cuál de las
Nonius. naciones que dominó a Sardeña dio este nombre
Marcellus. al río y a toda su vega, me inclino mucho que la
Protentius.
latina, porque el verbo Cogo, significa lo mismo
q[ue] congregación e unión de muchas cosas; y
así fue lo mesmo no[m]brar las aguas deste río y
a el de Coguinas: q[ue] decir río en que se con-
grega[n] aguas muchas, y como corresponda la
verdad al significado desde que nace de los peñas-
cos de Mo[n]teagudo, baja recogiendo las aguas
por la villa de Rebeco y campos de Ocier, estado
de Anglona, villa de Pérfugas y Castillo Doria, así
nombrado de cuando los deste linaje ilustre de
Génova le dominó, y, después de haber regado los
campos y llanuras de Coguinas, va tan caudaloso
que no sufre puente, y rebelde en consentilla,
habiéndosele edificado con grande costa y gastos,
hermosa; y a lo que sejuzgó fuerte. El Obispo de
Ampurias, don Juan Saña, en el primer invierno
fueron tan furiosas las corrientes, que
arranca[n]do la puente, aún no nos dejó ruinas
para memoria. Por esto pues, pudo llamarse de
Coguinas, o río que se congrega de muchas
aguas.
Tampoco me parece que pudo el significado de su
no[m]bre, desviarse de otra propriedad a que suele
aplicarse, y en que le usó Virgilio, y en que le expli-
can muchos:
Cogite oves pueri si lac per-
Historia general - Primera parte 57

ceperit aestus
Ut nuper frustra prensa bimur
ubera palmis.
Lo que explicando Nerio Marcelo dice que allí sig- Ner. Marcell. de
propriet. verborã
nificaba cogo, lo mesmo q[ue] mulgeo, que es orde- lit. C.
ñar; y deriva[n]do el vocablo Cog[u]inas de Cogo,
co[n] esta propriedad habié[n]dose primero llama-
do los campos y valles cog[u]inas, será lo mesmo
que haberse dado el no[m]bre, por ser aquellos
campos abrevaderos abundosos a los ganados, de
cuya fertilidad les nacía la mucha leche, y será
co[n] propriedad lo mesmo ser valle de Cog[u]inas
que ordeñaderos, llamá[n]dolos así co[n] forzoso
vocablo; como si dijera campos fértiles en que
medran los ganados leche tanta, que necesitan de
que se ordeñe antes de llegar a los corrales. Todo es
conforme a lo que la experiencia enseña deste río,
y de la fertilidad de sus campos; o si no, digamos
que, siendo su curso tan rápido, pudo también del
verbo cogo nacerle el nombre, pues también signi-
fica violencia y apresuramiento.
Nada de abundancia dio Dios a otras tierras, que,
aunque muy singular, no la tenga Sardeña. Sabida 8
es la historia del Nilo y su singularidad portentosa Fertilidad del río
Nilo.
(en que ha cansado tantos filósofos) de que salien-
do de sí mesmo, riega los campos con agua tanta,
cual necesitan para fertilizarse, de donde, como
quiso Servio, medró el nombre de Nilo; y es (dice)
porque redundando en la tierra cua[n]do se resti- Iortian. de nat.
tuye a sus aguas, deja en la superficie un nuevo Heli tribullus.
Te propter nullos
cieno o limo de que después se causa la fertilidad, tellus tua postulat
y por esto se llamó Nilo, id est novus limus. Así imbres.
pues, nuestro río de Coguinas por sí mesmo
Arida nec pluvio
redundante en los valles, sin q[ue] necesite de otro supplicat verba
riego con su misma red<u>ndancia10, tanto cuan- Iovi.
to la adelanta, asegura la cosecha. 9
Peces que cría
Tampoco faltan a este río las pescas que a los este río.

10 Redundancia: en el texto original, “redendancia”.


58 FRANCISCO DE VICO

demás; porque, si bien su profundidad no permite


muchas truchas, tiene las que bastan a no pedirlas
a otro, y en abu[n]dancia muchas anguilas y sabo-
gas.
Comprobando con mejores experiencias de si Sar-
10 deña cuánto debe estar en todo agradecida a Dios,
El río de Bitti. nos da en tercer lugar el río de Bitti, a quien pudo
Virgilius Aenei.9. dejar el no[m]bre uno de los compañeros de
Ser.I.n.I.
Aenei. Eneas, que después mataro[n] los rútulos; o si más
creemos a Servio, Bitras, capitá[n] de la armada
cartaginesa; y si a nuestra experie[n]cia maestra
Plin.lib.II.cap.6. mayor, llamándose por opinión de Plinio, la miel
que se coge del tomillo Bithimum, la abundancia
destas yerbas en sus orillas y campos, darían el
nombre. Examinado, pues, cuanto se puede en la
antigüedad rastrear de su no[m]bre, paso a sus
obras, en que cuantos han tratado de las proprie-
dades de los ríos le han defraudado, pues reco-
rriendo el mundo, hallaro[n] que los historiadores
buscaron en la India, en Asia, Francia, en Italia y
España, ríos que llevasen oro y plata, y se olvida-
ron de Bitti que le cría y lleva, el cual sale del
mismo Cabo de Sácer y, entrándose en el de Galu-
ra, va recogie[n]do muchas aguas que bajan de los
montes de Bitti, y fertilizando la Baronía de Posa-
da por el mar, deste nombre fenece el suyo.
11 Para el nombre de cuarto río que se le da la fuente
Río de Oliena.
Plin.lib.13.cap.5. de Oliena, que pertenece al Marquesado de Qui-
rra, aunque antes le había dado Tolomeo el de
Cedrino, derivado de un simulacro de Apolo, que
gozaba Roma, traído de Seléucia, cuya veneración
introdujeron con su dominio los romanos en Sar-
deña; pero perdido este nombre de la idolatría, el
12
que le vive es el de Oliena o Olenia; y, llegando a
El nombre de su descripción, su misma fertilidad me acordó la
Oliena, se le dio fábula de Amaltea, q[ue] sustituyéndose ama para
por su
abu[n]dancia
Júpiter, siendo cabra, llamaron Ninfa, y aun en el
como Amaltea. cielo le constituyeron asiento; y uno de sus cuernos
perdido entre las ramas, le dio Júpiter para él
muchas virtudes, Olimpiodoro, Filemón Cómico,
Historia general - Primera parte 59

cuyos versos de griego en latín trae del Río, y Filós-


trato quieren q[ue] Amaltea, cavando con el cuer-
no, descubriese a su dueño un tesoro gra[n]de de
que nació llamar a toda abundancia cuerno de 2.to.adarg.23.
Amaltea. Esta cabra o ninfa fue natural de Oliena
en Boecia, de que dijo Ovidio:
Nascitur Olienae signum plu-
rum ale capellae.
Y los griegos, autores de fábulas semeja[n]tes,
diero[n] a nuestra fuente el nombre llamado de 13
Oliana o Oliena, porque nace con tanta nobleza Fuente de Oliana
abu[n]dante y
desde su origen este río, que nace grande y tanto, deleitosa.
que en su mismo nacimiento apenas se llega al
fondo co[n] tres picas.
Es tan señalada esta fuente por sus aguas claras,
saludables y fértiles, que cuantos gustan honestar
ociosidades, se van a esta fuente, y, sentados a su
orilla, no solo tienen en las muchas truchas de que
la fuente abunda regalo, sino entretenimie[n]to,
porque puesta la mesa al margen de la fuente, las
migajas son cebo a las simples truchas, que por el
derecho de la mesa, se dan en regalo a ella. Cuan-
tos señores o personas de gusto han pasado a Sar-
deña, celebran aquesta fuente; porque los tapetes
de las flores y yerbas, la abundancia y claridad de
las aguas, la serenidad del aire y entretenimiento
del puesto, justamente le llamó Oliena, o patria de
la abundancia, porque sin dificultad cuantos a ella
llegan, así la reconocen.
Es dificultoso su origen, unos quieren que es brazo 14
Origen dudoso
de mar, fundados en que cuando soplan levantes, del río Oliena.
creciendo sus aguas en mucha cantidad, demás de
la mayor abu[n]dancia e ímpetu con que las arro-
ja, tambié[n] salen envueltas con alga y paja mari-
na. Otros, renovando la antigua fábula de Alfeo,
habie[n]do co[n]siderado que entre Orgósolo y
Ollastre, se despeña un río, que corriendo algunas
leguas, llega a besar la montaña de Oliena, piensan
que, escondiendo allí sus aguas, las renace por la
boca de la fue[n]te; verosímil es todo, porque ni la
60 FRANCISCO DE VICO

dulzura prohibe q[ue] aunque del mar sean las


aguas, la tierra las purifique, ni el esconderse y
15 renacer un río, es novedad que se extraña.
Río de Flumen- Señaló Tolomeo otro cuarto río que llamó
doso.
Ceprú[n], y los naturales le han dejado co[n] el
16 no[m]bre de Flume[n]doso o Fluminosa, latino.
La propriedad de Explicando Peroto (aunque el Calepino no le
su nombre, aguas refiere) dice, que significa una región o provincia
y origen.
Perot. epig.3. ad abundante de muchos ríos; así lo es sin duda,
Domitian. pues dos fuentes que están en la montaña de
Aritzo o de Brunea de Perdu Surdo (que todo es
uno), dan principio a dos ríos, el que agora des-
cribimos, que se despeña por la parte de la villa
de Silo, que mira a la tramontana, que es el que
llamamos Flumendosa, y otro, a la parte de levan-
te que mira a Orgósolo, y llamó Tolomeo Cedri-
no, y de que nosotros tratamos, cuando de la
17
fuente Oliana.
Origen de Flu- Nacen de los mo[n]tes Corru de Boe, y Genas de
mendosa. Arge[n]tu por el oriente; y habiendo regado Flu-
mendosa la región de Barbaria Seulo, y la de Bar-
baria Belví y la región de Curadoría, Siurgus, y
encontrada de Gerrei, se junta con otro río llama-
do Zuri, que nace de los mo[n]tes de Pedra de
Fogu, y, bajando a la encontrada de Sárrabus, junto
a las villas de Santu Vitu y Muravera, desagua en el
mar por tres bocas algo distantes entre sí.
18 Entre los ríos célebres el quinto con el no[m]bre de
Río de Utta, su Utta se ha quedado; tiene su principio de los cam-
orige[n], aguas, pos y lugar que se llama Vadu Episcopu, baja por
propriedad, y
nombre. la región de Gerrei por la Curodoria Trexenta,
junto al pueblo de Arri, en donde recoge al río de
19 Fluminedo, que sale de las mo[n]tañas de San
Flumeddu.
Basili, y pasa por Santa Juliana, Ussana, San Espe-
rat; y muy crecido llega a la villa de Monastir,
donde ya gigante necesita de puente, q[ue] la tiene
hermosa con trece ojos, y continuando al mar su
camino, por entre Décimo Manno y Décimo
20 Putzu, junto a villa Nascogia y Siliqua (por donde
Siserri. recoge al río de Siserri, que sale de San Juan de
Historia general - Primera parte 61

Domos Noas, Speciosa y Utta) coge las aguas a 21


Flume[n] Lene.
Flumen Lene, que nace de los montes de Villachi-
dro, y a otro río que a no topar con este, fuera
insigne por sí, porque nace de los montes de
Domus Noas, en q[ue] le da principio una fuente
tan grande, que es río crecido a pocos pasos, q[ue] 22
le distingue hasta que encuentra con Utta, recoge Río de Utta.
después a Segore otro río, y por entre la ciudad de
Iglesias, y villa Masargia, vistas las de Siliqua y
Utta, se entra en el estanque de Cáller.
Este río de Utta que es del dominio del Marquesa-
do de Quirra, no hallo q[ue] te[n]ga significado en
el le[n]guaje de la tierra, ni en cua[n]tos de otros
ha recebido, aunq[ue] Plinio halló un río q[ue] en
latín llama Uttũ, q[ue] dice hay en la provincia de
Mecia, hoy Panócica, e Austria, do[n]de constitu-
yen a Viena propugnáculo de la fe; y aunq[ue] no
digo con certidu[m]bre q[ue] este nombre se le
pegara a nuestro Utta, del otro no es conjetura
vana que domina[n]do a Sardeña tan diversas
naciones, dieran este no[m]bre de su río al q[ue] se
le semejaba en corrie[n]tes al q[ue] ellos cono-
cía[n].
No es de olvidar de publicar a los curiosos, q[ue]
en este río se cría[n] las mejores sabogas q[ue] en
otro ninguno, y co[n] mucha abu[n]dancia; y
co[n] tener fama de muy buenas las q[ue] se pes-
can en Tortosa de Cataluña, afirmaré decir (por
haber gustado de ambas) q[ue] no llega[n] de
mucho éstas a las del río Utta, las cuales en su
sazó[n] son superiores en sabor y sustancia.
La ciudad de Iglesias abu[n]da en muchos ríos
q[ue] la fertiliza[n] y riega[n] divididos en partes,
sin formar alguno de no[m]bre, sino es uno que se 23
llama Canóniga, muy deleitoso. Río de Canoniga.
Por la ciudad de Oristá[n] camina[n] otros. Uno es
24
el d[e] Uras q[ue] sale d[e] la mo[n]taña de Bau Río de Uras.
Argiona, territorios de parte Valencia, pasa por
parte Useddos, Zépara, Mosuddis y Uras q[ue] 25
Morgongioris.
enriquecido con el caudal de Morgongioris q[ue]
62 FRANCISCO DE VICO

se le ju[n]ta salie[n]do a encontralle de parte


Mo[n]tis, donde nace pierde su nombre, no su
propriedad. Otro río Morgo le debió dar el
no[m]bre de quie[n] refiere Plinio, q[ue] despe-
ñándose de los Alpes, enriquece el prado para que
llegue al mar.
26 En Oristá[n] está el río q[ue] llamó Tolomeo Tiro
Río de Oristán, y y Pausanias Ileónico Torso, cuyos árboles debieron
su no[m]bre
Torso. dar las astas y yedras para las fiestas de Baco, que
refieren Tácito, Macrobio y Diodoro, y estas astas
llaman tirsos.
27
Orige[n] deste Origínase de unas fue[n]tes q[ue] está[n]11 en el
río. distrito de la villa de Budusó de la enco[n]trada
de Mo[n]teagudo en provincia de Sácer, y
corrie[n]do por Gociano, recoge muchas aguas
d[e] la regió[n] de Orani y Ottana de parte de
Barigadu ju[n]to a las villas de Neo[n]eli y Ula,
a la de Busaqui q[ue] es del Co[n]dado de Sédi-
lo, del Fordo[n]jano, se le ju[n]ta el río Massaris,
cuya arboleda y frescura no desdice de su nom-
bre q[ue] lo fue de Baco. Allí se ilustraba en anti-
guos te[m]plos, con puente hermosa y suntuosa,
de que han quedado las ruinas por darnos q[ue]
referir. Origínase Massaris de los montes de
Corru de Boe por la tramontana en la región de
Mandrolisai, no lejos de la villa de Seulo; y
bajando por la parte de Vole[n]sa entre Láconi y
Génoni para en Alai y Fordonjano, do[n]de se
junta al de Oristán; júntasele también el de Pie-
dras Fittas, q[ue] nace de Orgósolo y el Guciano
que nace de Fonni, y baja por entre Gaboi y
Ovodda, y otro llamado Ba[n]delasi o Balau,
Gúspini, Atzuni, Abba Santa, Guilarza co[n]
quienes se hace caudaloso y abundante, fertiliza
los campos que alcanza, en particular el de Oris-
tán, que se llama Ca[m]pidano. Cría muchas
anguilas y sabogas y en mayor abundancia q[ue]

11 Está[n]: en el texto original, “està”.


Historia general - Primera parte 63

otros ríos, por subir del mar a(l) desovar en sus


28
corrientes. Río de Bosa.
Finalme[n]te tiene el río de Bosa de aguas con cali-
dad y q[ue] sea muy famoso, q[ue] por bañar la
ciudad de Bosa cobró della el no[m]bre, con q[ue]
ha quedado, aunq[ue] Tolomeo le llamó con
no[m]bre de Temo, sale de la región de Cabudab-
ba y bajando por Padria y Putzu Mayor, y otros
pueblos de la Planuria de Bosa hacia el mo[n]te de
Minerva, después q[ue] cobra el tributo de
muchos, y entre ellos el del campo de Bous va tan
caudaloso, q[ue] sus aumentos suelen ser perjuicio
y daño a la ciudad, como lo fuero[n] pocos años
ha. Pero restaura este daño co[n] fertilizar los
ca[m]pos, co[n] alime[n]tar de peces y anguilas, y
co[n] que siendo navegable, entran a la ciudad sae-
tías12 con q[ue] es muy cómodo a las provisiones y
mercaderes, y de hermosura y deleite, pues que
ningún otro del Reino es tan igual y poblado de
arboledas, con que por largo trecho se divisa, y se
goza navegándole de todas las viñas y jardines
q[ue] tiene en su ribera, que son muchos y fertilí-
simos.
Aunq[ue] he procurado reducir a número en esta
descripción los ríos mayores, y fue[n]tes de Sarde-
ña, so[n] los pequeños tan sin número, q[ue] por
evitar enfado, no los refiero por menudo, como el 29
Río de Ocier. Río
de Ocier, el de Rebeco, y el de Molargia, que a más de Rebeco. Río
de ser caudalosos, crían en abunda[n]cia las mejo- de Molargia.
res y más sabrosas anguilas y truchas, salmonadas,
q[ue] otro ningún río de Europa. Dos proposicio-
nes son infalibles e innegables a cuantos han visto
a Sardeña, q[ue] ni más abu[n]dantes, claras, ni
continuas aguas se halla[n] en parte alguna, ni más
fértiles para sí en muchos y muy regalados peces,
ni más provechosos a los campos, cuya ciencia
experimental vence toda opinió[n].

12 Saetía: cierto barco de tres palos y una sola cubierta que se empleaba para corso
y transporte (DUE).
64 FRANCISCO DE VICO

Capítulo V
De las fue[n]tes más señaladas y baños naturales
medicinales que tiene Sardeña.
I Por irreverencia juzgó Celio Rodigino,
Alaba[n]za de
fuentes y ríos.
sacá[n]dolo de Hesíodo, pasar los ríos, fue[n]tes o
Rodigin. aguas perennes, sin mucha veneración. El mismo
lib.4.c.38.ex sentimiento tuvo Peroto; y fuera parte de agravio
Hesiodo. querie[n]do celebrar en Sardeña tantos ríos como
Perotus. se han referido, y ta[n]tas fue[n]tes, como nos
espera[n] de que hacer relació[n], q[ue] se pasa-
se[n] sin hacer alto en su contemplació[n], mayor-
mente nos sucede en la realidad, lo q[ue] Suetonio
(como refiere Pineda) fingía para consuelo de
maravillas en la naturaleza, q[ue] gozó la antigüe-
dad, y deseaba[n] los modernos. Dice pues, quien
quisiere ver los huertos de Salomó[n], de q[ue]
gozó Palestina, y los célebres Roma, de que abusó
Nerón; finja algú[n] lugar lleno de caudalosas
fue[n]tes, ríos, estanques, pastos, silvas, frutales,
rosales, y no deseará que Judea se restaure, ni
Roma se restituya. Y si dijéramos q[ue] ve[n]cien-
do la naturaleza al arte, con describir a Sardeña y
su amenidad, frutas, flores, estanques, ríos y
fue[n]tes; por el mismo hecho se calificará igual a
los huertos pé[n]siles de Babilonia, a los artificia-
les de Judea y Roma: su misma descripción nos
sacará de cua[n]to empeño en esto hiciéremos por
Sardeña.
Oscurísimo es el orige[n] de las fuentes. No pre-
tendo usurpar a nadie el trabajo, ni hacer
oste[n]tació[n] del mío, en lo q[ue] tengo observa-
do. Pero ciñendo la co[n]sideració[n] a lo preciso
de q[ue] necesita mi historia, digo, co[n] el católi-
co Salonio q[ue] no se puede co[n]seguir el
orige[n] de las fue[n]tes sin luz superior d[e]l cielo.
2 Muchos las reconociero[n] divinas. Otros las lla-
Fuentes natural-
mente alabadas.
maron sagradas, y comúnmente los Padres y doc-
tores sagrados, sienten q[ue] del mar se originan, y
3 al mar se restituyen. Pero dejando la averiguació[n]
De dónde salen. de sus muda[n]zas y calidades a los q[ue] de pro-
Historia general - Primera parte 65

pósito las tratan, y examinan las antiguas opinio-


nes; y llegando a decidir, digo; q[ue] casi todos
reconocen que el mar es universal principio y
matriz de las aguas: dél salen y a él se le restitu-
yen.Y aunq[ue] algunos, no sin mucha dificultad,
se suben a las nubes a sacar la dulzura de las aguas
de las fue[n]tes y ríos, podría[n] excusar ese traba-
jo si quisiese[n]; pues co[n] escudriñar los secretos
de la tierra, echaría[n] de ver mejor co[n] los san-
tos Padres, filósofos y médicos, que las entrañas
della son el crisol de su perfección, para q[ue],
depuesta la malicia, su bondad se deba a la q[ue] le
comunica la tierra. Y así asentando por co[n]clu-
sión infalible, q[ue] la mayor bo[n]dad, o malicia
de las aguas, les proviene de los minerales de la tie-
rra por do[n]de caminan, digo, q[ue] segú[n] este
principio, es innegable la bienaventuranza y felici-
dad en q[ue] constituímos a Sardeña; pues dándo-
le ta[n]tas, y tan abu[n]dantes y felices aguas como
en sí tiene, y reconociendo q[ue] la felicidad y
bo[n]dad le proviene de la tierra, necesariame[n]te
co[n]fesaremos q[ue] es en sí feliz y dichosa la
q[ue] purifica tantas aguas. Y mejora[n]do el agüe-
ro de la gentilidad, no pasaremos su descripción
sin dar muchas gracias al Autor que nos las
co[n]cedió, pues sin envidiar artificios, nos da por
su naturaleza Sardeña, lo q[ue] en contempla-
ció[n] fingía Suetonio, para co[n]suelo de la falta
de Judea y Roma. Y porq[ue] dejamos dicho en el
capítulo pasado cua[n]to pertenece a la fue[n]te de
4
Oliena, q[ue] dio no[m]bre y aguas a su río, pasa- Fuente de Oliena.
remos, co[n]cediéndole el primer lugar, a las
demás no menos señaladas en calidad, y bondad de
sus aguas, y en la abu[n]dancia de truchas y angui-
las, q[ue] en ellas se crían. Déstas es una la fuente
de Siniscola, q[ue] nace en la regió[n] de Posada, y 5
Fuente de Sinis-
tan gra[n]de desde su nacimie[n]to, q[ue] es su cola.
raudal como de dos bueyes de agua clara y saluda-
ble, y que igualme[n]te fertiliza, como alimenta.
Dio su no[m]bre san Juan a otra fuente, q[ue] nace
66 FRANCISCO DE VICO

6 de una cueva junto a Domus Noas; y sin duda


Fuente de San
Jua[n] de Domos q[ue] mirada su curiosidad, co[n] propriedad tiene
Noas, y su cueva. el no[m]bre, pues como entre los nacidos, fue el
Santo el mayor, esta puede ser la mayor de las
fuentes, no en cantidad, sino en curiosidad, pues
camina[n]do su cueva por un larguísimo trecho,
q[ue] entra del monte a dentro, así distila, q[ue]
fertiliza; así es materia y artífice, que de las aguas
q[ue] distilando despide, va forma[n]do por sí
mesma unas columnas y figuras varias y hermosas,
que con variedad y perfección casual admiran. Vea
el secreto que en esto encubre la naturaleza, en
Rodigino el curioso. No son menos insignes, las
7 q[ue] en lengua de la tierra, se llaman Cabud Abbas
Fuente de Cabo
de Aguas. o Cabud aquas, por ser en su nacimie[n]to muy
crecidas, y como cabezas y principios de ríos cau-
dalosos; y aunque participan este nombre algunas
fuentes, como en el distrito de Iglesias y en las pro-
vincias de Oristán y Galura, las más célebres son
en la provincia de Sácer y Logudoro, q[ue] es la
q[ue] más abunda de fue[n]tes, como son las siete
8 fue[n]tes ju[n]tas q[ue] se llaman de San Leonar-
Fuentes de San do, por la antigua iglesia q[ue] allí hay dedicada al
Leonardo.
mismo Sa[n]to, y hoy es encomie[n]da de los
9 Caballeros de san Juan. Igualmente es célebre la de
Fuente de Santa Santa María de Cabud Abbas, abadía antigua de la
María de Cabo orde[n] de san Bernardo, y comenzó con el mismo
de Agua.
10 Santo, el cual envió 150 mo[n]jes a Sardeña a
Fuente de insta[n]cia de Januario, juez turritano (como vere-
[E]scano. mos en su lugar) y no muy lejos de allí hay otras
11
Fuente de Cabo muchas fue[n]tes ju[n]tas, q[ue] se llama[n] de
de Aguas de Mei- [E]scano. Igual, y au[n] superior a éstas es la fuen-
logo. te caudalosa ju[n]to a Torralba, q[ue] da no[m]bre
12
Fuente de Briai. a su partido, y distrito de Cabud Abbas, y sus
13 anguilas no menos famosas y abundosas q[ue] sus
Fuente de Sila- aguas. No son menos célebres las de Briai, en el
nos.
14
partido de Ossi, las de Tiesi, Bonorva, Villanueva
Soleta. de Monteleó[n], Silanos, Fo[n]tana Manna de
15 Ocier, Soleta in Montagudo, q[ue] en ser fresca es
Fuente de Bitti.
sola y única; la de Bitti, Terunela, q[ue] en
Historia general - Primera parte 67

bo[n]dad y calidad, no debe nada a las mejores de


la isla y fuera della; las de Láconi, q[ue] son muchí- 16
simas; las cristalinas del Sarcidano, la d[e] Espíritu Fuentes de Láco-
Sa[n]to, q[ue] mana en el mismo camino entre ni. Sarcidano.
Núoro y Orani, para alivio y regalo de los cami-
nantes; la de Spinduledda de Villa Xirdo, que se 17
arroja de un alto. Las de Sindía y las q[ue] tiene la Villacidro.
ciudad de Sácer en su distrito, q[ue] son casi innu- De Sindía. Las de
Sácer.
merables y tiene alrededor más de sietecientas y
sanísimas, como la Agua Clara de San Martín, que
es la q[ue] los antiguos romanos llevaron por sus Agua Clara, San
Martín.
caños y arcaduces a la antigua ciudad de Torres,
lejos por los rodeos, más de veinte millas con sus
arcos altos a trechos y de fábrica admirable, que
hasta hoy se descubren las muchas de Barca; las de
Zúnquini y, la más famosa de todas, Rosello, que 18
tiene en la misma ciudad, de cuya calidad, bondad Barca Zúnquini,
Rosello.
y abundancia se dirá más largamente en su lugar.
Dejo las demás fue[n]tes de que abunda Sardeña
en tan gran copia en todas las montañas, que con-
tarlas todas sería nunca acabar; co[n]téntome con
decir, que no hay lugar, ni población por pequeño
que sea, que necesite de balsa de agua de lluvia
recogida, por abundar tanto los manantiales, que
no solo las poblaciones, pero aun los caminos,
campos, heredades, viñas, huertas, y jardines
abundan tanto dellas, que se topan a cada paso.
Pasemos a referir (dejando por innumerables las
fuentes de aguas claras y limpias) a las de calidades
más singulares y sus efectos.
En prueba de la fertilidad de Sardeña, hemos
varias veces repetido, que no solame[n]te es deu-
dora a su Dueño, artífice de lo necesario a la vida,
sino de lo deleitable y gustoso, juntamente con lo
saludable. Cuánto estimasen los antiguos los
baños, con cuán costosos edificios y ceremonias los 19
Baños estimados
usaban, hallamos en las historias antiguas; pero en lo antiguo.
nosotros que solo necesitamos de la antigüedad
para comprobar que lo que ella celebró raro, tiene
Sardeña usual y común. Decimos que tiene baños
68 FRANCISCO DE VICO

famosos y fuentes tibias y calientes muy saluda-


20
bles, dentro la misma ciudad de Sácer, donde hoy
Baños en Sarde- está fu<n>dado13 el monasterio de Santa Isabel,
ña. hay baños medicinales para todas enfermedades, y
21
Baños de Sácer.
nuevamente se han descubierto los antiguos edifi-
cios co[n] sus casillas a propósito, donde entraban
los enfermos para bañarse. En Benetuti, pueblo del
Condado de Gociano en el Cabo de Sácer y Logu-
22 doro, manan cinco fuentes varias de aguas más y
Baños de Benetu- menos calientes, que hacen varios baños, no
ti. menos de salud que de regalo. No lo son menos los
baños de Foroniano o Fordongiano, en la provin-
cia de Oristán. Y en la misma provincia, no lejos
23 de Sárdara y San Gavino Monreal, hay otros muy
Baños de
Fordo[n]giano. buenos. En el distrito de Coguinas hay otros muy
24 famosos, a la raíz del monte del castillo de Oria (de
Baños de Cogui- que se hizo arriba mención) es llamado con el
nas.
mismo nombre, donde se ven rastros de los edifi-
cios que indican haber tenido sus termas, y casas
para tomar los baños.
Con sentimiento de nuestro descuido refiero, que
solo se conservan ahora las fuentes, sin que
quede[n] en pie los edificios; porq[ue] aunq[ue]
hubo tie[m]po que España los derribó, porque afe-
minaba[n] los hombres, esto se entendió entonces,
y hoy en las cosas más lícitas se experime[n]ta, que
el abuso dellas obliga a la prohibición. Y cuando a
Sardeña se le estorbará el vicio, nunca tendré por
disculpado el gobierno político que no conservó
para la salud el uso; remedio que segú[n] Hipócra-
tes, es más eficaz que cuantos otros nos dan médi-
cos y medicinas. Y así los aprueban muchos de los
políticos y otros. Mas este descuido es hoy común

13 Fundado: en el texto original, “fuudado”.


Historia general - Primera parte 69

en el mundo, y no de alabar, cotejado con el cui- 25


Descuido en no
dado de los antiguos, q[ue] no solo co[n]serva- conservar los
ba[n] los baños y las termas hechas para el útil y baños.
bie[n] público, mas hacían otras de nuevo,
do[n]de veían aparejo, y disposición, segú[n] lo
dice Plinio el mozo, y del cuidado q[ue] de las
suyas tuvieron los romanos, dan claro testimonio
las ruinas q[ue] se ven en Roma, de las termas que
hiciero[n] los emperadores Antonino, Diocleciano
y otros. Y cua[n]do en otros baños, y en el uso
dellos se experimentara[n] daños, los conocidos
útiles de los de Sardeña, y sus fue[n]tes debiera[n]
conservarlas; porq[ue] como refiere Solino, no solo
tienen virtud las que hay en Sardeña para expeler 26
Efectos de los
del cuerpo humores corruptos, q[ue] es cua[n]to baños.
las demás fuentes han conseguido y curar aun las
más sutiles partes, y difíciles del cuerpo, como son
los ojos, más aún consolidan los huesos quebrados,
y extiende[n] los nervios encogidos. Ni se limitan
a un efecto, o calidad; porque fuente hay no lejos
de Bitti, q[ue] llaman Orolía, cuya agua, ahora sea
bebié[n]dola, ahora lavándose con ella, quita el
dolor de cabeza. Otras curan males envejecidos, y
casi incurables. Otras hay que en sus calidades
tiran por extremos, así las hay calientes, que se pela
en breve cualquier animal, que en ellas entra. Así
frías, que si no se saca en breve dellas el vino, le
destempla y enflaquece. Pero lo que más es, sopre-
pujando la virtud natural, refiere Solino, y cantó
Juvenal, que entre estas fuentes hay algunas, donde
27
llevados los ladrones, si precediendo juramento Fuente co[n]tra
niegan el hurto, quedan ciegos, como de mejor los ladrones per-
vista, si fue calumnia la acusación, las palabras de juros.
Solino son estas, describiendo a Sardeña: Fontes
sane calidi, & salubres aliquos locis effervescunt, qui
medelas afferunt, aut solidant ossa fracta, aut abolent
a Solifugis insertum venenum, aut etiam occularias
dissipant aegritudines, scilicet qui oculis medentur, &
coarguendis valent furibus; nam quisquis sacramento
raptum negat, lumina aquis attrectat, ubi periurium
70 FRANCISCO DE VICO

non est cernit clarius, si perfidia abnuit, detegitur


facinus caecitates. E lo mismo refieren con seme-
jantes y casi las mesmas palabras Mario Nigro y
Alexandro ab Alexandro, y lo celebró Rennio co[n]
Mar. Nigr.
cap.14. de
elegantes versos que refiere Camertino, comentan-
Insul.Europ. Ale- do el dicho lugar de Solino:
xand.ab Sardinia postquam pelago
Alex.lib.5.genita circumflua tellus,
dierum, cap.10.
Fontibus eliquidu praebet mi-
racula mundo,
Quod sanant aegros pandunt,
damnantq[ue] nefando
Periuros furto, quos tacto
lumine caecant.
Esta propriedad de aguas tuvo en mi crédito tal
repugnancia, que como no lo había comprobado
en Sardeña mi experiencia, me había determinado
a no referilla, aunque Solino refería lo mismo de la
fuente Tiane, y antes dél Filóstrato y Plinio de otra
en Bitinia y de Sicilia Hermolao, y Berclayo pone
para los adulterios otra fue[n]te, que llama Proba-
toria, en África. Pero hallándome autor demás de
los dichos a san Isidoro, al padre Burgos, a la His-
San Isid.li.13. toria General del mu[n]do de Miguel Bolgemoud, a
Domingo Mario Nigro, a Eslava en sus Noches de
Invierno, por no negarme a tanta autoridad, refie-
ro lo que mi crédito dificulta, reservando su certe-
za al autor en quien estriba su afirmació[n], y al
adagio o refrán común q[ue] nació de ahí para un
famoso ladrón:

Fur hic sardois maxime


dignus aquis.
de q[ue] Juvenal y otros usaron.
Pero dejando estos milagros a que la naturaleza los
reconozca, y los filósofos (si los hay) los examinen,
28
digo que en la región de Mo[n]teleón, en el Cabo
Agua de San de Sácer, hay una cueva, llamada de San Luxorio,
Luxorio en Mon- por haberla el Santo consagrado con su habitación,
teleó[n]. en la cual desde las primeras vísperas de su fiesta,
Historia general - Primera parte 71

hasta acabar las segundas de su día, mana una


agua, que pareciendo natural, es sobrenatural en
sus efectos, pues remedio general para todos enfer-
mos; y así es muy frecuentado su concurso. Otros
afirman también lo mismo de una agua medicinal
y saludable que hay en el distrito o territorio de
Oliena, que cura varios géneros de enfermedades. 29
Tambié[n] es muy singular lo de la cueva de San Agua en el terri-
torio de Oliena,
Juan de Domus Noas, de que está hecha relación, cura varias enfer-
que se forman de la misma agua co[n]gelada, las medades.
columnas y figuras varias que en ellas se hallan,
que parecen de cristal. Hablo como a historiador,
no como filósofo, y así por no divertirme, reservo
la satisfacción deste secreto en la naturaleza, a lo
que averiguan los que tratan dellos. No me puedo
negar a la satisfacción de algú[n] escrúpulo: prue-
bas tuvo la gentilidad, y aun después q[ue] nuestra 30
Prueba del adul-
España recibió la Ley de Gracia, le quedaron algu- terio en diversas
nas, que, justamente, las desterró el no uso, y con provincias.
dificultad se halla aún hoy la relación de que las
hubo. El adulterio se purgaba co[n] el duelo, de
q[ue] hay ley, en las de los lo[n]gobardos, tit.32.l.I.
y historia en las de Cataluña, q[ue] co[m]prueba el
uso en Alemania, co[n] haber gallárdame[n]te
defendido la ho[n]ra de la emperatriz Matildis,
hija del Rey de Inglaterra, y mujer del emperador
Enrique, quinto deste nombre, el gra[n] Co[n]de
de Barcelona, don Ramón Arnaldo Berenguer, ter-
cero deste no[m]bre; así tuvo España el uso del
agua e hierro para la prueba del adulterio, q[ue]
borró como temerarias la Iglesia santa; de manera
que su no uso casi borró la memoria. Argume[n]to
de q[ue] si hoy faltan en Sardeña naturales que
conocen las aguas que fuero[n] probatorias de los
hurtos, no faltando autores y historias que las
refieran, su no uso, no es probanza q[ue] no las
hubo, sino que la ley evangélica, desterró la bárba-
ra y temeraria.
Muestra bien Solino no haber visto a Sardeña por
lo q[ue] la afrenta, necesitándola de agua, hasta
72 FRANCISCO DE VICO

valerse de la pluvial. Pero examinemos si el valer-


se della es afre[n]ta, y probado que no lo es, pasa-
remos a averiguar si es necesidad o regalo. Los
muchos ríos y fuentes de que hemos hecho rela-
ción, señalándo primero los distritos y provincias
de Sardeña, y luego las particulares en que cada
río y fue[n]te se halla, son probanza clara, q[ue]
si el agua pluvial se recoge, o es curiosidad o rega-
lo, pero nunca necesidad. Disputó Hipócrates y
lo apuró Escorcia, si el agua pluvial era saludable
y la quiso co[n] algunas circunstancias, que veri-
ficadas, juzgó lo era más que la de fue[n]tes, y
siendo así, no la necesidad, sino el regalo había
introducido las cisternas de agua de lluvia en Sar-
deña, como tambié[n] los pozos en Toledo para
refrescar, sin q[ue] por eso se diga que teniendo a
Tajo, mendiga las aguas de pozo; así son en Sar-
deña las cisternas, que aunque en ca[n]tidad y
calidad le sobren las muchas aguas q[ue] hemos
visto para riegos, y alimento, no empero para el
mayor regalo.

Capítulo VI
I De los estanques y sus peces y salinas que hay
Estanques de Sar- en Sardeña.
deña, y su
bo[n]dad, y Distinción constituyen entre lago y esta[n]que los
abundancia de que tratan dellos, diciendo que el lago tiene, aun-
peces. que no corrientes, perpetuas aguas, y el estanque
en el estío se seca, y en el invierno adquiere; y esta
distinción generalmente admitida, nos obliga a lla-
mar lagos cuantos en Sardeña se hallan, pues nin-
guno jamás llega a ocasió[n] que se halle sin agua.
Cuestión particular movió Plinio, disputando cuá-
les fuesen las aguas más saludables, examinó las de
las nubes, recorrió las de las fuentes, y ni dejó río
co[n] que no corriese su pluma ni cisterna, o lago
donde no entrase; pero todas las redujo fácilmente
filosofando, como nos es permitido, los secretos
Historia general - Primera parte 73

más ocultos por el efecto q[ue] los manifiesta, y


porque fuera difícil y costosa experiencia beber de
todas aguas, hacie[n]do prueba en la salud, para
mejor conocerlas, señala que la fuente que criare
flores y el lago q[ue] produjere anguilas, será[n] de
sanidad conocida. Y sin más experiencia, por la
que él alcanzó, las califica por sanas y útiles; y aun-
que es así que las quiere como los médicos las dese-
an, sin calidad alguna de olor, color y sabor, tam-
bién advierte que sin estas calidades pueden ser
nocivas. Mucho extendieron las plumas médicos y
filósofos, examinando las aguas y todos concluyen
q[ue] la probanza de Plinio es la más relevante,
reducida a efectos, sin que pueda haber regla tan
general, que califique las de aguas, de fue[n]tes,
ríos y estanques, lagos o pozos, aunque las aguas
estantías reconoce[n] que son menos saludables. Y
por esta parte las de los lagos de Sardeña se com-
prenden en la exclusiva general, pero mucho más
las exime Plinio, señalando por muestras de sus
saludables efectos, el criar en ellos anguilas, que,
como veremos, en todos se crían, y, el tenerlos en
Sardeña, más es comodidad de pesca y sal, que otra
alguna. Es la ganancia en la pesca tan conocida,
que su Majestad los da por asiento, en particular
los estanques de Oristán, que son los muy conoci-
dos, y en la antigüedad lo estuvieron, con nombre
de aguas Hipsitanas, según Tolomeo. En estos Tholo.tab.7.
estanques, fuera de la pesca común, es singular y
regalado un pez pequeño, llamado Mugueddo14, de
que se lleva mucha cantidad fuera del Reino, por
muy de estima.
Es igual en abundancia de aguas y pesca, el estan-
2
que grande de Cáller; singularízase en criar otro Estanque de
particular pescado, llamado esparralló[n], su mejor Cáller.
sazón en el otoño. Nada le negó a este esta[n]que
la naturaleza para co[n]stituirle abundante, sano y

14 Mugueddo: “Mújol”. Véase la nota número 10.


74 FRANCISCO DE VICO

hermoso; porque el mar entra y sale en él, el río le


atraviesa y en él se aisla un pedazo de tierra, aun-
que pequeño, estimable por su hermosura, opaci-
dad y recreación.
Por todas partes que miremos a Sardeña, la halla-
remos con estos estanques, todos de aguas perpe-
tuas, abu[n]da[n]tes en pesca y hermosura, de
manera que en este adorno e interés, no hay parte
que invidie a otra, y todas casi quedan con igual-
3 dad. Al levante, desde Sárrabus tiene muchos
Estanques de esta[n]ques y muy abu[n]dantes de anguilas y
Sárrabus.
otros pescados. A medio día, los de Palmas, en la
región sulcitana, y en la de Cáller los que llama
Tholo.Tab.7. Tolomeo, aguas Neapolitas, y los de Mo[n]real, en
la de Sebaci; y entrando hacia el poniente, junto a
la ciudad del Alguer, hay un estanque abundantí-
4 simo y rico, que parte goza el Conde de Sédilo,
Estanques del
Alguer.
don Jerónimo Cervellón y Torresano de Sena, que
es la Casa y lo posee como heredero de la de Mateo
de Arborich; parte también goza la Casa de Cetri-
lla, y otra la de los Franciscos, digo los que salen de
Córcega, que tenían el ius patronato de la capilla
de Santa Lucía, en el convento de San Francisco
del Alguer.
Por la de septentrión tiene menos, más muy
5 señalados, como es el de Platamona, dos leguas
Estanque de Pla- de Sácer, y muy cerca de la antigua abadía de
tamona.
San Miguel de Plano, de que es dueña la Con-
desa de Sédilo, doña Felipa de Sena. Goza tam-
6 bién Sácer de los que tiene en la región y Baro-
Los estanques de
la Nurra. nía de Nurra, y del de Capu Daspro, cuyo
dominio era de la antigua Casa de los Gambe-
llas, y ha pasado a la de los Pilos, que la poseen
con título de mayorazgo, q[ue] goza con otros
vínculos aquella Casa, y del estanque de Squi-
runzu, cuyo dominio es de la Casa de Giagara-
7
cho y Francisco.
Salinas de Sarde- Nada hallo tan útil a la naturaleza humana, como
ña. el sol y la sal. Plinio había dicho antes, que era
imposible sin ella la conservación de los cuerpos,
Historia general - Primera parte 75

ni fuera bien que mesa tan opípara, abundante y


varia, como Dios puso en Sardeña, tuviese el sin-
sabor de mal guisada con no dalle sal: diósela
pues Dios con abundancia tanta, que como fue
remedio de hambre para tantas tierras, con panes,
carnes, frutas, y peces, quesos, corales, y otras
cosas, lo es también con su sal, de que se sacan
muchas cargas para muchas partes, y es tan gene-
ral, q[ue] no hay provincia o parte de las cuatro
en que se divide la isla, que no las tenga, nom-
brá[n]dose de los lugares las más famosas, como
las de Cáller que son muchas y muy abundantes,
y las de Oristán, las de Iglesias en sus costas, y las
de Galura por muchas partes de su ribera, y las de
Sácer, Alguer y Bosa en las suyas; y aunque las
que más abundan de sal son las de Cáller, pero en
la fortaleza y eficacia con no ser tan bla[n]ca, lo
son mucho las de Sácer, cuya cantidad menor es
bastante para lo que no lo es mayor de esotra.
Conque no invidiará Sardeña los tesoros tan
deca[n]tados de Plinio en la India, donde los tri- Plin. li.31.cap.7.
butos de sal prefirió por tesoro mayor, q[ue] el
oro y margaritas.

Capítulo VII
De las minas de oro, plata, y otros metales, y de las
piedras preciosas y otras riquezas naturales
de Sardeña. I
Introdujo el amor la primera idolatría, usurpando Mina de oro y
de Dios la bondad y otros bienes que fingió en las plata y otros
minerales en Sar-
criaturas para adorarlas, y, continuando en esta deña, y piedra
pretensión, nada oculta la antigüedad, que escu- imá[n].
driñándola ingenios vivos, enamorados de sus
patrias, no quieran sie[n]do bueno o razonable,
apropriárselo y acomodárselo la palabra Tharsis:
que el santo profeta y rey David, puso en el salmo
71 pronosticando que al Mesías verdadero y nues-
76 FRANCISCO DE VICO

tro Dios humanado, habían de reconocer los gen-


tiles, y, en veneración de su culto, sus mayores
tesoros le rendirían, en señal de que aun siendo
reyes, confesaban por asentado artículo de fe, el
que después tanto se ha reconocido, que no hay
poder real que de aquel primer origen de omnipo-
te[n]cia no se derive; dice, pues, David: Reges
Tharsis, & Insulae (es a saber las mediterráneas)
munera offerent. Donde la palabra Tharsis levantó
los ánimos de muchos, para litigar cuál fuese el
Reino de Tharsis, que dichoso en el reconocimien-
to divino, pagase en lo mesmo que recibe la ade-
lantada vocación a ta[n]to bien. Diré sin litigar ni
usar la judicatura en encontradas opiniones, lo que
por ambas partes se pretende, y acomodándome a
lo más corriente, aprovecharé para mi historia lo
que dellas necesita. Favorece a nuestra España
mucho la consonancia de los nombres de Thartesio
y Tharso, cuyo origen en el de su lengua castellana,
prueba y califica el doctísimo Aldrete; y de los
antiguos nos dejó escrito Juliano, Arcipreste de
Santa Justa, en sus Advers. 9 que la nao en que se
embarcó Jonás para excusarse del mandato divino,
era de Cadú, o Tharso, y por Tharsis, en las divinas
letras, ser expreso Cadis; él mismo lo afirma
Advers. 15 y con la mesma autoridad de tradición
hebrea; y que el Tharsis, de que tantas riquezas lle-
vaba en sus naos Salomón, fuese España, dicen
muchos. Otros quieren que no haya España podi-
do dar tanto, y, no examinando lo que fue, sino
acomodándose con lo q[ue] hoy sucede, quieren
que hayan pasado a las Indias aquellas armadas.
Cumpliendo pues con lo propuesto, y escogiendo
en favor de nuestra España, lo que tantos le dan,
reconozco que tuvo España riquezas co[n] que
poder cargar las flotas de Salomón, y juntamente
2
Tartesia en qué
q[ue] el Tarso de quien el libro 3° de los Reyes, y
parte de España el salmo 71 y la historia de Jonás hablan, fue la
cae. región de España, que se llamó Tartesia.
Y dejando la defensa a quie[n] me dio el empeño,
Historia general - Primera parte 77

digo, que con este fundame[n]to, un ingenio ara-


gonés versado en letras divinas, aunque, supo-
nie[n]do otro autor, introduce q[ue] los reyes de
Tharsis, si por ella se entiende España, como ésta
haya estado dividida en muchas Coronas, deben
ente[n]derse de los de la de Aragón. Muévese que
aunque sea así, que muchos llama[n] Thartesia al
Andalucía, y a la villa de Tarifa se le dio nombre de
Tartesia. Otros ha[n] variado deste sitio, y Marcial Li.9. Epig. 62.
la puso en Córdoba. Y como Marcial quiso que
fuese Córdoba, otro la puso en las márgenes del Bizantius de urbi-
bus.
Ebro, q[ue], como es notorio, baña el Reino de
Aragón. Cantó Ausonio:
Condiderat iam Solis equos
Thartesia Calpae.
Stridebatque Titan in-
signis Ibero.
Y Sidonio, referido por Ravisio:
An Tartesiacum venit In-
dus aquatos Iberum.
También hac[e]15 el argume[n]to para probanza,
que cuando el p[adre] Cartagena verifica con algu-
nas calidades de España, la razón que pudo haber
para juntar con los Reyes Magos los de Tarsis, que
allí supone sea España, ninguna comprueba con
cosas anejas a los reyes de Castilla o Portugal, con
ser él castellano, sino q[ue] todas las saca de pro-
piedades y acciones anejas a reyes de Aragón. Y no 3
poco le ayuda la glosa sobre el dicho salmo 71, Sardeña fue la
pues, explicando él Insulae, añade: Qui dominan- que ofreció los
dones a Jesús
tur in Insulis. De manera que los reyes de España, recién nacido.
que lo eran, o pasan de ser también de las ínsulas,
son de los q[ue] habla el santo Profeta, en quienes
Pineda in
verifica el verso dicho. Y el padre Pineda, hablan- Ezech.c.20.
do de Tiro y de su comercio con las ínsulas, y de
Tarso o España, dice: Quis nõ videt Insulas esse
maris Mediterranei? de las cuales se entie[n]de tam-

15 Hac[e]: en el texto original, “haz”.


78 FRANCISCO DE VICO

bién lo del salmo: Reges Tharsis, & Insula. Sie[n]do


una de las más principales Sardeña, con lo cual
viene a ser corriente en favor de Sardeña, a que los
reyes de Tarsis y de las ínsulas, los que realmente
dominaba[n] o habían de dominar con el tiempo,
son los que con reconocimientos grandes y ofertas
de sus bienes, había[n] de reconocer a Dios. Veri-
fícalo el padre Cartagena, probando del señor Rey
de Aragón, don Ramiro el Primero, el título de
Cristianísimo, q[ue] le dio el papa Gregorio Sépti-
mo, en los señores don Pedro el Segundo y Sancho
Ramiro, que hicieron tributario su Reino a la Sede
Apostólica, y en el rey don Alonso que se le dejó
entero al Santo Sepulcro. Liberalidad que, justa-
mente prevista por David, pudo admirarle y cele-
brarla con la de los Reyes Magos; pues si ellos die-
ron lo precioso de sus reinos al Pesebre de Cristo
Señor nuestro, éste todo el Reino al Sepulcro de
Cristo. Y lo que es innegable, en favor de los reyes
de Aragón es, que en señal de más agradecida la
Sede Apostólica a su amparo que al de otros reyes,
las señales de sus insignias, pone en los cordones
de los despachos de sus Breves, que del color de las
armas de Aragón, son y han sido.
De que se colige en favor de Sardeña, que ahora
hable de los reyes de Aragón que la dominaro[n],
ahora de los que antes de la entrada de los moros
4
Los sardos hijos fueron señores de parte della; sie[m]pre que se
de Tiro. hable de reyes de España, juntamente señores de
islas, entra a la parte Sardeña, de cualesquier
acciones que por ello se le atribuyan y expresa-
me[n]te parece que con otro lugar del mismo
Profeta Rey, se comprueba nuestro intento; pues
hablando de otro reconocimie[n]to q[ue] al Hijo
de Dios humanado había de hacer el mundo, dice
en el salmo 44 que Filiae Tyri in muneribus, dán-
Iulian.advers.16.
doles por pre[n]das de voluntad, el rendimiento
de las hijas de Tiro; y como explicó el arcipreste
Juliano, ésta es Cartago, fundació[n] de tirios, y
las que éstos en España fundaron, en que es pre-
Historia general - Primera parte 79

ferida en tie[m]po Sardeña, pues es innegable,


que primero que los de Tiro conocieran a España,
había muchos años que estaba poblada dellos Sar-
deña, y así como hija primogénita de Tiro entre
las demás islas del Mediterráneo, reconocida de
todos los historiadores, según veremos parte 2°,
capítulo 3° con los siguientes, es señalada en las
divinas letras, e innegable su prelación en el lla-
mamie[n]to de las gentes a la adoración de Dios
humanado. Y aunque la probanza literal de
aqueste lugar convence nuestro intento, no
menos le hará notorio los efectos; pues no sé, si
en pago de haber dado para el te[m]plo de Salo-
mó[n] tantas y tan abundantes riquezas, le pagó
Dios, en q[ue] los primeros fundadores de la fe de
Cristo, Señor nuestro, la publicasen en Sardeña,
que agradecida y correspondie[n]te, tanto en lo
moral, como en lo natural, co[n] buenos frutos
de la fe divina q[ue] se arraigó en sus almas,
nunca ha padecido quiebra. Y como dijimos e ire-
mos viendo, el veneno q[ue] no admite en los
animales, también desecha, y extirpa en los here-
jes cuya malvada cizaña, no se ha mezclado en su
limpio y ace[n]drado trigo.
Añadamos más prueba a nuestro intento, que nos
la darán los mismos frutos de Sardeña tan singu-
larme[n]te suyos, que España no los pueda tener 5
Piedra imá[n]
de otros, la piedra imán o calamita; porq[ue] dó[n]de se halla.
cua[n]tos autores tratan della, nu[n]ca la ponen en
España, o en sus provincias. Unos la ponen en la
India, otros en los trogloditas, otros en el mo[n]te
Ida, y ninguno a lo menos que yo haya leído, en
España; cuanto más, que la experiencia no nos ha
dejado noticia que la hubo, ni la tiene. Y de la
misma manera que a España no la da autor algu-
no, ninguno la niega a Sardeña, donde se halla con
tanta abundancia en los montes y tierras de Pata-
da, que della, como de los demás frutos suyos,
Roma y otras naciones han cargado, siendo como
abundante, fina.
80 FRANCISCO DE VICO

Sobre verdad tan averiguada, se fundame[n]ta


nuestra probanza, porque siendo así que entre las
riquezas que las flotas de Salomón llevaron de Tar-
Abule≈.lib.3.Reg..c. sis, de España y de sus ínsulas, fue la piedra imán,
10.
como constantemente afirma el Abulense. Claro
es, que no habían de ir desde España a la India, al
monte Ida, o a los trogloditas por ella, teniéndola
en Sardeña, y que della se llevó; conque queda
convencido que la hija de Tiro Sardeña, que tan
prevenida estuvo en ofrecer dones al esposo, es de
la que habla el Texto Sagrado, pues se averigua
haber hecho presente de cosas, que otro no pudo
dar.
Ni es argumento menor, el que se deduce de haber
sido la piedra preciosa sarda, ónix o sardónique,
fruto particular de Sardeña; así lo afirmó el Sipon-
tino, llamando utilísima y hallada primero de los
6
Piedra Sardois, en
sardos, y su nombre es la mayor probanza, pues se
Sardeña. compone de sarda y ónix, que significa la uña del
Plin.lib.37.cap.7. ho[m]bre, cuya hechura tiene, y del lugar en que
Carcanus Lelius in
Breviario.
primero se halló, y el argumento de los nombres es
irrefragable; porque como dice Tito Livio, en los
Lib.5.ab urbe. hechos puede variar la mayor o menor afición de
los historiadores, pero los nombres son invariables,
y así él prefiere el argumento de los nombres a la
autoridad de los doctores, Habiendo pues sido en
opinión de tantos autores la piedra sardónique,
originaria de Sardeña, y servídose della en el tem-
plo de Salomón, o lo que es innegable, sido mer-
Ezech.28.13. caduría, q[ue] los de Tiro adquirieron, con quien
fue el contrato de Salomón; convencido queda,
que los dones singulares que fuero[n] de Sardeña,
sin poder ser de otro, son de los que aquí habla el
Profeta Rey.
Habiendo pues empleado en Dios las primicias
d[e] nuestros tesoros, que después se han conti-
nuado en las amplísimas dotaciones de tantos y tan
grandiosos templos, monasterios, conventos, aba-
días y otras casas pías, que en los principios de
nuestra fe, fundaron sus primeros jueces y reyes, y
Historia general - Primera parte 81

después, como veremos, se han continuado; trata-


remos de sus más riquezas, y las q[ue] tiene parti-
culares.
Dejaron en común testimonio de sus muchas
7
riquezas a Sardeña, Pausanias, que la llamó Praedi- Minas y tesoros
ves, y otros Metallifera; otros, Argenti ditissima; de Sardeña.
prueba son las arenillas de oro de los ríos, q[ue] de
los montes de Logudoro nacen, y las que del río de
Bitti averiguamos en el capítulo cuarto, a que
agora añadimos, que fue tan abundante Sardeña de
oro, que los mo[n]tes y lugares se nombraron de su
abundancia, como la probanza de Logudoro, a que
corresponde el castellano lugar de oro, y algunos
de sus montes se llaman también de oro, como
Montioro y Monteaurato, o con la corrupció[n]
del vulgo, Mo[n]tihirato, lo cual prueba y confir-
ma el Obispo de Bosa, don Juan Francisco Fara. Lib.I.Chronogra-
phia.
La abundancia que tuvo de plata, reconocieron
muchos, y Architas, dando a cada provincia su
fruto, el que señaló a Sardeña fue plata:
India Ebore (dice) Argento
Sardinia, & Attica melle.
Domingo Mario Nigro, hablando de Sardeña, la
llamó dives argento, rica de plata; sus montes se lla-
maron deste nombre, que lo que el castellano dice
mina de plata, en la propriedad de su lengua, llama
el sardo vena argenti, y corrupto en Arge[n]tum,
que son unos montes que están en el corazón de la
isla. Esto mismo muestran también más claro, las
antiguas minas de plata, que en la provincia de
Arborea, que es Oristán, había cuyos hoyos y ras-
tros quedan hasta hoy en testimonio desta verdad,
de que hacen mención las historias, señaladamen-
te de los genoveses y pisanos y las de Aragón, que, Augustín. Iusti-
en el año 1303, dicen que la armada de pisanos iba nian.
cargada con mucha plata de las minas de Sardeña. Foglieta.Zurita en
sus Annales
Y en la región de Iglesias, las bocas que los anti- lib.3.c.61.
guos abriero[n] en los montes, publican esta ver-
dad de las minas, y hoy las pudiéramos como los
antiguos beneficiar, pero, o el descuido o la mayor
82 FRANCISCO DE VICO

costa, o, lo más cierto, la poca cudicia e inclina-


ción de los naturales, ha dejado inútiles como otras
Pineda en su prae- cosas estos metales.
vio, Salomón El mismo argumento de los nombres, saca, en
li.4.c.4.n.5.
favor de España y sus metales, el padre Pineda,
apretado del mesmo argumento que nosotros de la
falta que hoy hay destos metales, y que por esto
parece que se arriesga el crédito. Responde por
Castilla con esta razó[n], que se esfuerza más por
Sardeña, que los minerales de sus tierras, nunca los
beneficiaro[n] naturales, y habie[n]do los extranje-
ros de trabajar, como les faltó el dominio, cesó el
uso.
Ni es de omitir otra razón, que en Castilla no mili-
Diodor.lib.6.cap.6. ta, y en Sardeña corre sin objección; que, como
refieren historias, los insulanos del Mediterráneo
no usaban de plata o oro, antes prohiben que de
otras tierras se les comunique, porque desde que
Gerión, con el ansia de oro, los tiranizó, y Hércu-
les los co[n]quistó, juzgaro[n] q[ue] excusándose
del oro y plata, se excusarían destos disturbios
q[ue] sus tesoros les habían causado.
Probado cuanto parece q[ue] basta que los metales
monarcas, el oro y la plata, no falta[n], antes son
co[n]naturales a nuestra Sardeña, pasaremos a
otros géneros de riquezas.
8 Habiendo naturalmente de suceder a los siglos de
Hierro en Sarde-
ña. oro y plata, el de hierro, previno la naturaleza su
defensa, y como dio el siglo, sucedió el hierro en
los poderosos para tiranizar en los poco inquietos
y menos ambiciosos para su defensa, así le sucedió
a nuestra Sardeña, que después de haber sido la
competencia de los más valientes, cuando hubo de
tratar de quedarse en sí, sin pasar a otro, o de bus-
car amparo para tanto enemigo, no pobre, ni falta,
sino muy perseguida, se dio (como veremos) al
amparo y protecció[n] de Aragón, y, dándose a sí,
le dio todo lo necesario para su defensa. El oro y
plata, para conducir, los frutos para sustentar y el
hierro para defender. Después que el santo rey
Historia general - Primera parte 83

David hubo juntado el oro y plata que previno su


Paralip.22
dilige[n]cia para el edificio del te[m]plo, dice el
Sagrado Texto, que para la guarda de sus puertas
hizo mucho aparejo de hierro. Deste tiene muchas
y muy abundantes minas en Sardeña, en los mon-
tes de Queremule, en los de Cúllar, que deste
metal se llamó Monteferro, en el distrito de Logu-
doro. Las minas de hierro de Iglesias son muy
señaladas y ricas, se benefician con mucho prove-
cho, aun en nuestros tie[m]pos. Cerca de la ciudad
de Bosa hay minas de latón. En la isla de S[an]
Antíogo, las hay de plomo, de que cobró el nom-
bre de Molibodes o Plúmbea, que es lo mismo, Tholo.tab.7.
como la llamó Tolomeo, y queda referido arriba.
En sus libros naturales dedujo por casi consecuen- Lib.33.t.5.&
cia natural Plinio, que donde quiera que se halla- lib.34.cap.12..&
ren minas de oro y plata, no faltarán las de piedras 13.
preciosas, conque, necesariame[n]te, volveremos a
repetir, a lo menos lo que baste para introducir la
intelige[n]cia, que es propria y connatural a nues-
9
tra Sardeña la piedra sardónique. Ser piedra pre- Piedra sardónique
ciosa es de fe, así lo califica san Juan, fundamen- en Sardeña. Apo-
ta[n]do la ciudad santa sobre piedras preciosas, y cal.21
numerando las piedras que le adornaban, en el
quinto lugar señala al sardónico. Y, aunque sobre
tanta calificació[n], no hay de otra necesidad, su
uso no menos la califica.
Introdújose con el dominio de Sardeña, y así el
Tirio africano fue el primero que la usó, después el
romano y co[n] él todas las naciones. Menandro
testifica que no hubo piedra que los antiguos esti-
masen más, y sus muchos y buenos efectos lo cali-
fican, porque es muy fácil para recebir la impre-
sión de los sellos, y por esto la usó mucho el empe-
rador Claudio, de que se les pegó el nombre, a los
que della usaban. Marcial:
Cuius & hinc lucet Sardo-
nicata manus.
En ella según la muda[n]za del color, se pronosti-
caban los buenos o malos sucesos; así Estatio: Mae- Statius.
84 FRANCISCO DE VICO

ret Onyx longe; bebida, conforta los enfermos; de


Catullus.
donde Catulo:
Quam iucunda mihi munera
libat Onix.
Y a menos autoridad callara mayores efectos, pero
como me arriesgo a parecer descuidado, en fianza
de quien lo testifica, diré otras propriedades desta
piedra. Jerónimo Caldaro dice que reprime la las-
civia e induce a buenas costumbres: Sardoniche las-
civiam, & libidinẽ comprimit, & bonos mores reddit.
Lib.de Gemmis Juan Jacobo Buchero me obliga, fuera de señalar
fol.340 num. s6.
libro y hoja16, a poner a la letra sus palabras: Nec
in Antidoto specia- fuit alia gemma pretiosior, nec usu frequentior; gesta-
li, fol.24. ta animum exhilarat, somnia mala prohibet, inge-
nium acuit, sanguinem compescit: unde ex his fit ut
victores reddat litibus, & divitiaes augeat. No hubo
piedra (dice) en estima y uso más frecuente, alegra
el ánimo del que la usa, excusa malos sueños, aviva
el ingenio, detiene la sangre, hace vencedores y
ricos. Esto mismo aprueba y afirma Gaspar Mora-
Gaspar Morales
cap.5.&6.
les, en el tratado que hace de las virtudes y pro-
priedades maravillosas de las piedras preciosas,
dando a esta piedra todas las virtudes y eminencias
referidas. Ni a la autoridad, desayuda la historia,
refiere el Sipontino, que el tirano Polícrates, que
tan favorecido se hallaba de la fortuna, que no
reconocía haberle dado pesar, para causársele él a sí
mismo, arrojó al mar un anillo en que tenía esta
piedra, que después les restituyó un pez, como
probando que al aspecto favorable e influencia de
las estrellas en los gustos de aquel tirano, no des-
ayudaban las causas naturales, pues por efecto pro-
prio ayudaba la sardonique, de que usaba en el ani-
llo. Persio y Juvenal también verifican su uso, y,
dejando menores virtudes que della refieren los
que en general las trata, pasaremos con nuestra his-
toria a otras de las piedras que Sardeña goza.

16 Hoja: en el texto original, “foja”.


Historia general - Primera parte 85

En la ribera de Cáller se cogen unas pedrezuelas 10


Piedra medicinal
pequeñas, del tamaño de una haba, cuyo efecto para la jaqueca.
natural, es medicinar la jaqueca; engástanse en ani-
llos de ordinario, y su uso es tan conocido como
provechoso.
También se hacen y usan anillos de otras piedras 11
de estima que se llaman turquesas; hállanse en la Turquesas.
ciudad de Iglesias y, fuera de la estimación en que
la tienen, se hacen estimar más, por algunas virtu-
des naturales que en ella se conocen y experimen-
tan.
Hállase también con abu[n]dancia la tierra que lla- 12
man bolo arménico. Mucho duda Calepino que Bolo arménico.
fuera de la Armenia, que es contermina a Capado-
cia, haya otra que tenga sus virtudes; pero, aunque
su escrúpulo se extie[n]de a la de España, el argu-
mento mayor de su verdad son los efectos, y el más
particular la desecación. Pudo ser que no llegase a
su noticia la de Sardeña. De saecult.simpl.
Tres especies desta tierra señala Galeno. Una, que medicamentorũ.
quiere sirva para el tinte de vestiduras, de que se
acordó san Jerónimo y Persio, con el nombre de D.Hier.in Exod.
rúbrica, y este efecto todos le reconoce[n] común- Persius sat.5
mente. En esta parte no se pudo negar al de Sarde- Alexan.insus
ña la fineza, pues se llamaban las vestiduras sardó- Genial.lib.6.cap.6.
nicas, de su tinte; y los reyes atenienses solían teñir Plinio.lib.35.cap.1
sus reales vestiduras en esta creta, o rúbrica, y fue 7.
muy celebrada esta creta de Sardeña y su fineza.
El segundo efecto para q[ue] servían, era para Cornut.in Persio
señalar como lo hacen los carpinteros sus maderas. sat.I
El tercero sirve a los médicos, en la forma que el
mismo Galeno enseña; conque no negaremos su
estima a la fineza de la que se halla en Sardeña.
Tienen Sácer y Cáller mucho salitre, la arcilla, el
yeso; hállase muy cómoda la arena para los edifi-
cios.
Almagre es muy común y de estima en Alguer y
Cossoíne; de manera que en cada uno de los géne-
ros y cosas q[ue] tratamos, podremos co[n] pro-
priedad decir, que de manera Dios hizo abundan-
86 FRANCISCO DE VICO

te a Sardeña, que puede pasar sin necesidad de


nadie, y necesitando todos della.
De la piedra alumbre, y sus efectos trata[n]
muchos autores; hállase mucha en Sardeña, y con
igual estimación de su fineza y abundancia.
De intento he reservado para distinto capítulo tra-
tar de la piedra imán, su uso y propriedades, por-
que como connatural a Sardeña, con otras muchas,
nos darán motivo para otro capítulo, por no alar-
gar este mucho.

Capítulo VIII
De la piedra imán y de otras piedras que se hallan
en Sardeña, de sus corales y pesca de atunes.
Por no alargar el capítulo pasado, reservé para este
I
tratar de la piedra imán; porque, aunque allí se
Piedra imá[n]. probó que la había en Sardeña, no es para dejar
de tornar a ella su mucha virtud, y así llevados d[e]
su oculta fuerza, tornaremos a tratar della, quiera
Dios sea para no atraer hierros.
El nombre latino desta piedra es Magnes, así la
2
llamó Plinio, Lucrecio, Cicerón, Claudiano,
Origen de su Nicandro, y Hipócrates, y después todos los
nombre. intérpretes desta lengua; Nicandro quiere q[ue]
Plinius. por su inventor le naciese el no[m]bre; y cuenta
Lucretius.
Cicer. que un pastor deste nombre que llevaba sus zapa-
Claudian. tos o alpargatas con hierro, advertido q[ue] se le
Nicand. pegaban al monte, reconoció el efecto desta pie-
Hippocr.
dra.
Lucret. Lucrecio y otros quieren que de Magnesia, ciudad
de Lidia, donde se hallan montes desta piedra se
diese el nombre. Cantólo así:
Quam Magnete vocant pa-
tria de nomine Gray
Magnetum quia sit patris
infinibus ortus.
En los trogloditas la puso el rey Evau, y así dijo:
Magnetes lapis est inventus
Historia general - Primera parte 87

apud troglodithas.
Quem lapidum genitrix ni-
hilominus India gignit.
Todos van a buscarla fuera de sí, teniéndola tan
3
cercana; y es mucho de ponderar, que gusten de Piedra imá[n] en
recebir este bie[n] de los bárbaros más remotos e Sardeña.
ingratos a la deuda en q[ue] los ha puesto Sardeña,
la desconozcan por esto, pues forzado de obliga-
ción propria y natural, hago distinto capítulo, para
q[ue] en él se vea cua[n]to antes que en otra tierra
alguna de las que goza[n] la piedra imán, había
Sardeña empleádola en sus efectos.
Polidoro Virgilio fue el primero que yo hallo haber Polidor. Virgil.
movido la cuestión sobre el efecto maravilloso
desta piedra, para el arte de navegar, y tantos 4
inventores han parecido cuantas naciones casi hay. Quién trató las
Geropio lo atribuye a los cimbros; Bosio a los de propriedades
desta piedra.
Amalfi en Italia; los portugueses se la atribuyen a Geropius.
sí, co[n] no poca justificación; Blondo afirma que Bossius.
los de Amalfi fueron enseñados de cierto Goya, y Blondo.
no inventores, sino traducidores. 5
Toda esta dificultad se cifra en si los antiguos nave- Duda si los anti-
garon con conocimiento del arte de navegar, uno guos la conocie-
valiéndose de la aguja y piedra imán. Gravísimos ron.
autores quieren que en Plauto esté entendida, y Lenino Goraldo.
que conforme esto, el uso haya sido desde aquel Celio Calcagneno.
tiempo, y que cuando en su mercator traduce a Stephan. Baptista
Pio.
Eutico manda[n]do tomar la versoria, se haya de Plaut.in mercat.
entender la aguja de marear. Itakio.
El padre Malve[n]dra prueba que todo el mar fue Lambeno.
6
navegable antiguamente como hoy lo es, y que la Que
navegación de Colón, fue la misma q[ue] hizo antiguame[n]te se
antiguamente Hannón el Cartaginés, lo mismo navegaron todas
las mares. Mal-
creen otros; y a la <p>auta17 de que si las Indias se ven. de Antichrist.
descubriero[n] tanto antes, no parece q[ue] se lib.3.c.15.
compadece con el silencio que dellas hubo hasta Causabon. in
Athe.li.3.cap.7.
los tie[m]pos de nuestros Católicos Monarcas.

17 Pauta: en el texto original, “tauta”.


88 FRANCISCO DE VICO

Responde el padre Acosta, que la República bie[n]


7
Cartagineses des-
gobernada de los cartagine[n]ses, oídas en secreto
cubrieron las las nuevas y aun vistas señas de aq[ue]llas riquísi-
Indias. Acosta de mas provincias, prohibieron con edicto no se
nat. nou.
orb.lib.1.cap.II..
publicasen, recelando q[ue] sus naturales, llevados
a tanta felicidad, desamparara[n] a Cartago, con
temor del daño q[ue] ellos cautelaron, y España y
Portugal han padecido.
8 Que navegasen los antiguos por alta mar, y que
Que los antiguos caminasen por el océano Atlántico, pleitea Estra-
navegaron el bó[n] contra Erastótenes, y afirma[n] muchísimos
Océano. Strabon.
autores.
El padre Acosta quiere q[ue] estas navegaciones a
Que fue a caso. las Indias, si las hubo, hayan sido más sucesos de
Acosta ubi supra.
fortuna, que industria náutica.
Otros se hallan vencidos de tantas y tan
9 gra[n]des navegaciones, y creen que no pudie-
Que pudo ser,
fuese con ciencia
ron, siendo a parte determinada causarse siempre
de las estrellas. de la fortuna, y así quieren que los fenicas, maes-
tros mayores de la navegación, en aquel tie[m]po
Cic. ex Arato.
hayan gobernádose por las estrellas, que hoy
también industrian la navegación co[n] el instru-
mento que llaman ballestilla, y así les atribuye el
Plinius. conocimiento de las estrellas y conocimie[n]to
Celius.
Laertius. de su movimiento para la navegació[n], y que
dellos lo aprendieron muchos, y en falta de estre-
10 llas quieren que por el vuelo de las aves se
Por el vuelo de
las aves. haya[n] gobernado.
Pero cuantas repugnancias padezca[n] estas evasio-
11 nes a todos ingenios, es fácil de ponderar, mayor-
Objeciones a
estas opiniones. mente a los prácticos de navegació[n], porq[ue] ni
la división de vientos q[ue] hoy se señala y conoce
por la aguja de marear, pudo sin ella conocerse, ni
los vientos son unos mesmos en todos mares, ni
sus nombres se conocen en una misma forma en
tal manera que los pilotos que lo son en el mar
Mediterráneo y los que lo son en el uno y otro, no
lo serán en el mar del Sur; y qué aves podrían aun
con muy grande vuelo en distancia tamaña como
la del mar Océano, reconocer ni indicar navega-
Historia general - Primera parte 89

ciones; ya se sabe, y los que hubieren navegado a


las Indias hablarán de experie[n]cia y vista, que los
vientos terrales suelen de manera turbar las aves,
q[ue], arrojadas al mar, y cansadas o descaminadas,
se acogen a los mesmos navíos donde se dejan
coger; pues cómo era posible q[ue] de piloto tan
incierto y fallido fiasen sus vidas los navegantes,
necesariamente habremos de buscar otros medios y
no siendo repugnancia los del conocimiento de la
aguja de marear, muy amistados co[n] lo moderno,
parece que es mucho negarse a autoridad tanta, no
co[n]formarse con la antigüedad.
Y así digo, que los fenicios o tirios fueron invento- 12
res de las navegaciones, como lo celebra Plinio, y Fenices
in<v>entores18 de
las co[n]tinuaron sus sucesores los cartagineses, a la navegación.
quienes se atribuye el descubrimiento de las Islas
Afortunadas, y la posesión de lo mejor de España Plin.lib.I.cap.12.
Mela.li.5.cap.12.S
y África; y, con agudeza, se ríe Estrabón de Erásto- trab.lib.I.
nes, que negó a los antiguos la navegación por el
golfo.
De Osiris se afirma, que reconoció todo el
mu[n]do por el océano, y, suplie[n]do la navega-
ción que no puso Diodoro, hay quien diga, que 13
salió Osiris de Egipto, y caminando por el mar Navegació[n] de
Osiris y Hércules.
Bermejo vido19 la India, y todas las regiones q[ue] Diodor.lib.I.c.2
por el mar Océano Africano, Atlántico, el Balear
español y septentrional se pudieron reconocer. Y
habiéndose hallado Osiris y Hércules en nuestra
Sardeña, como se prueba en el libro segundo desta
historia, y siendo Sardeña hijo de Tiro mucho
antes que Cádiz o Tarsis, y siendo así mesmo nave-
gantes o negociadores los de Tiro y Cartago en tan
gra[n]des armadas, innegable es que tuvieron arti-
ficio de que valerse, pues, caminando a parte
determinada, y saliendo las flotas de Salomón

18Inventores: en el texto original, “intentores”.


19Vido: “vio”. Las formas “vide”, “vido”, de origen etimológico, persisten hasta
nuestros días en el uso vulgar.
90 FRANCISCO DE VICO

determinadamente para costear el Mediterráneo y


reconocer sus tierras, no es posible que dejasen de
tener conocimiento de vientos y norte, y dándoles
tan a manos llenas nuestra Sardeña la piedra imán,
ni sus ingenios tan alabados de los antiguos, ni la
necesidad en q[ue] se pusieron por las gra[n]des
navegaciones que emprendían, les pudo ser tam-
poco maestra que dejase de descubrir secreto ta[n]
manual.
Con esto pues concluye, q[ue] aunque a Sardeña y
a sus naturales como contentos de su abundancia,
y no menesterosos de ir a buscar en casas ajenas lo
que en la suya abunda, no le es deudora el arte
náutica de cosa alguna en su uso, si le es en sus ins-
trumentos, pues a cuantos aportaron en sus puer-
tos, sie[n]do imposible que fuese sin navegación,
14 les pagó el trabajo no solamente dándoles sus teso-
Sardeña abunda
de los instrumen-
ros y frutos, sino el mayor y mejor instrumento
tos de la navega- que se conoce para la navegación, q[ue] fue la pie-
ción. dra imán. Y tal vez, quizá, y aun sin quizá, les
comunicaría el uso; pues si los cartagineses y tirios
le alcanzaron siendo pobladores de Sardeña, no
sería[n] tan avaros deste secreto que le negasen,
pues cuando su naturaleza les hubiera criado en
cortedad traspuestos al sitio y aires de Sardeña,
serían como el Pomum Africanum, que trasplanta-
do quedó medicinal, como quedarían liberales y
pródigos de sus secretos y bienes, como lo ha sido
para ellos y todas las naciones la abundantísima
Sardeña, contenta siempre de hallarse co[n] que
15 dar, y sin necesidad de pedir.
Piedras hermosas De la piedra imán, pasemos a otras que son para
y fuertes en Sar- edificios de que abunda Sardeña, de los vestigios
deña para edifi-
cios.
que de su gra[n]deza nos dejó la monarquía y
pote[n]cia romana, ninguno ha quedado más
admirable (ya se mire su grandeza, ya su costa, ya
el arte de su fábrica a quien ha perdonado el
16 tiempo, dejándole más q[ue] otra antigualla ente-
Panteón y su ro) que el Panteón. El autor destas fábricas fue
grandeza. Marco Agripa, y lo que a nosotros non incumbe
Historia general - Primera parte 91

es que, por autoridad de Plinio, se hallaron en Plin. li.36.cap.15.


éstas sus obras cuatrocientas columnas de már-
mol, puestas y fabricadas en el espacio de un año.
Paceracio la modera a trescientas, pero, sin duda, Pacerat.in
propen.lib.2.eleg.3
no estuvo cuando las moderó en el hecho; pues, 2.
señalando estas trescientas columnas, dice, que
fueron marmóreas o de metal, y uno y otro, hubo
cuatrocientos de mármol, y trescientas de metal.
No ha muchos años que en Roma duraban los
bronces perdonados de los bárbaros, q[ue] los
ayuntaron; pero lo que habían reservado tantas
invasiones bárbaras, no sé con qué veneració[n] y
el tiempo no había consumido el nuestro más
q[ue] otro infeliz, obligó a que aquellos bronces
que mejorados de la gentilidad, quedaron consa-
grados a la casa y templo de la Virgen, sirviesen
ya no de adorno, sino d[e] defensa y el tie[m]po
pronosticado del evangélico Isaías, en que las Isai.cap.2
la[n]zas habían de ser cayados, y las espadas rejas
de arado, trocó la suerte, y ya los bronces que
adornaban la Rotunda, son tiros defensivos, ojalá
no diga la mala inte[n]ción ofensivos, divirtióme
el sentimiento de la historia. Digo en fin conti-
nuá[n]dola, que el Panteón soberbísimo en su
fábrica, estriba en unas columnas las más gruesas
y altas que de mármol se hallan; y la misma Roma
en su tradición, y Sardeña en la suya, conservan- 17
do sus memorias nos aseguran que de Sardeña se De Sardeña se
llevaron del lugar de Longosardo y de la provin- sacaron las
cia de Galura, donde muestran las canteras que columnas para el
Panteón.
no consumidas, testifican por su semejanza que
dellas se llevaron a Roma las piedras del Panteón; 18
y aunque la antigüedad se contentó con celebrar Piedra bla[n]ca
del cimborio del
las colu[m]nas, no le es menos su cimborio, así Panteón, se llevó
porque en el templo es la fábrica de mayor arte, de Sardeña.
pues no teniendo otra luz que la que por esta
parte se le comunica, nunca le falta sobrada,
como porque la materia es de una piedra blanca
hermosísima, poco inferior al mármol en su per-
mane[n]cia y hermosura, y superior a él en la
92 FRANCISCO DE VICO

comodidad que tiene en las canteras para labrar-


se co[n] mucha suavidad y blandura. No nos dejó
la antigüedad en duda que esta piedra era de Sar-
deña, aunque reconociendo la cantera se conven-
19
Letras esculpidas
cía la verdad; porque en el mesmo templo está un
en el mármol del rótulo q[ue] lo declara señalándolo, q[ue] aquella
Pa[n]teó[n], que piedra se trajo de Sardeña, de un lugar llamado
dicen se llevó de Cuca, que es distante dos leguas de la ciudad de
Sardeña.
Sácer.
20 La santidad de Paulo V advertido (a lo que se cree)
La santidad de destas antigüedades, estando fabricando en Santa
Paulo V envió
por mármoles a María la Mayor sarcófago, entierro y sepultura
Sardeña. para su cuerpo y la mejor capilla que tiene Roma,
envió a Sardeña sus lapidarios, que hallaro[n] y
reconocieron no solo las que la antigua Roma
reconoció y permanecían en su ser o en sus
memorias, pero descubrieron tantos otros tan lin-
dos, tan curiosos y con tan diversos mármoles y
piedras mar moreñas, y pórfidos hermosísimos,
21 jaspeados de blanco, colorado, azul, amarillo y
Variedad y abun-
dancia de már-
otros colores, cuales singulares, cuales de blanco y
moles, pórfidos y colorado, otros d[e] verde y azul, otros dorados,
otras piedras her- otros plateados, otros blancos y negros, otros
mosísimas en Sar- entreverados de verde, rojo y azul, con tanta
deña.
abundancia, que se hallan diversamente montañas
22 enteras de los mármoles y piedras finísimas
Lugares en que ju[n]to a Sácer y Castillo de Óssilo en monte
las hay.
Ruxu, en la villa de Budusó, o en la de Patada, en
la de Botida, en la de Bitti, y en la Nurra, en Bosa,
en Casteldoria, en la región de Coguinas, en For-
donjano, en Sácer y su distrito, donde sin limita-
ción ya de un color, ya de varios, pueden los artí-
fices escoger voluntariamente las columnas o otro
género de piedras, que en anchura y longitud les
fuere necesaria.
Y aunque comprueban esta verdad los muchos y
hermosos edificios y templos que en Sardeña se
hallan, de que se hará relación particular en su
lugar, muchos más descubrió la experie[n]cia,
cua[n]do el arzobispo turritano de Sácer, de
Historia general - Primera parte 93

ma[n]dato del santísimo Paulo Quinto asistió a los


lapidarios que descubrieron, no cuanto había, pero
mucho de que no se tenía noticia, como en sus
minas, y otros géneros sucediera, si obligara la
curiosidad o necesidad, a lo que en éste obligó. 23
De las piedras es tiempo que pasemos a los corales, Corales en Sarde-
tan preciados y estimados en el mundo, de que ña y su abundan-
abunda Sardeña y su mar, más que cualquier otro. cia.
Entre otros reyes q[ue] dominaro[n] a Sardeña
(como veremos) fueron Medusa y sus hermanas, a
quienes llamaro[n] Gorgonas; pero
singularme[n]te a Medusa, de cuya sangre fabu- 24
la[n] los poetas que se engendró el coral. El Sipon- Medusa y sus
tino y Plinio dice[n] que la causa fue porque la hermanas las
Gorgonas reinas
cabeza de la Gorgona Medusa, cuyas gotas de san- de Sardeña, des-
gre caídas en el mar fueron la semilla de los pur- cubren los cora-
púreos corales, mudaba en piedra a cuantos veía, les.
Plinius.
era porque el coral de su naturaleza es blanco, y Sipontin.
sacado del mar, se muda en piedra roja violenta,
parece la significación por huir de la verdad y cos-
tumbre del hecho, q[ue] pasó en fin desta forma,
siendo reina Medusa de Sardeña, como entre los
frutos de su mar conociese el coral, diole a cono-
cer, hízolo usual y así, llamándose ella Gorgonia,
dio el nombre el coral, de que fue inventora.
Cuando la averigüemos Reina de Sardeña, sabre-
mos también por qué se llamó Gorgonia, y ahora
baste q[ue] del efecto natural, coral co[n]vertido
en piedra después que sus manos le habían sacado
del mar, cuando la fábula, que cuanto veía o toca-
ba convertía en piedras. Cuanto fundame[n]to
te[n]ga esto para verdad, consta por el mismo
hecho que hoy vive constante en Sardeña, donde la
25
abundancia del coral, señaladamente en el Cabo Abunda[n]cia de
de Sácer, Alguer, Bosa, Asinara, Mo[n]tirado en el corales en Sarde-
mar de Sulcis, Iglesias y Cáller, es increíble lo que ña y su valor.
hay y se pesca cada un año, y no se coge cuanto
pudiera; y cuando su fineza y bondad no fuere tan
conocida, el apetito general que del tienen todas
las naciones le califica, y constando su efecto natu-
94 FRANCISCO DE VICO

ral de terneza en el mar y semejanza o conversión


Ovid.13.nect
en casi piedra, como reconocen los autores que tra-
tan del argumento es que no necesita de otro para
el nombre de Medusa inventora del coral, y con-
versió[n] de piedra; porque le llamaron Gorgonia,
defrauda[n]do otros autores deste bien como de
otros a Sardeña, y negándole este fruto, o no refi-
riéndole como suyo (que es lo mesmo) vinieron a
errar en el origen de la fábula, como en el de la pie-
dra.
26 Es piedra el coral que goza de la religión y belleza;
Propriedades del
coral. porque las cuentas que dél se hacen tan preciosas a
los indios como a nuestras damas excusan los peli-
gros. Ornato eran antiguamente de los franceses en
sus armas, más ya común su virtud hicieron mer-
cancía faltando a la gala, y a penas se halla en ellos.
Tomó nombre el coral del corazó[n], por la virtud
27
No[m]bre del
que tiene de confortarle, y exilararle, y tiene demás
coral y su pro- otras virtudes, que recoge en breves palabras Pli-
priedad. nio: Ad multa morborum genera valet eius surculi
Plin.lib.32.cap.2.
adligati infantibus tutelam habere creduntur con-
traq[ue] torminum ac vesice, & calculorum mala in
pulverem igne redacti potuiq[ue] cum aqua auxiliã-
tur, non paruma levem afferunt semnum; nimium
aestatis ardorem extenuat, atque refrigerat sangui-
nem excreantibus medentur. Cinis eorum miscetur
oculorum medicamentis ulcerum cavas explet cicatri-
ces extenuat, &c.
Sus renuevos entre los dijes de los niños le son
28 tutela a los peligros; quemado y hecho polvos es
Propriedades y
virtudes del coral. remedio contra el mal de asma, vejiga y piedra, y
tomados en agua concilian suave y ligero sueño,
tiempla mucho los ardores de estío, consume con-
tinua[n]do su bebida el mal de bazo, ataja el flujo
de sangre, entre los medicamentos de los ojos es
provechosa su ceniza, porque refrigera y consume
el humor; en las llagas, cría y aumenta la carne,
Plin.lib.23. vita co[n]sume las cicatrices y causa otros muchos efec-
nat. Dioscor. The- tos, que nos dicen muchos autores; y aunque en
ophras. piedras de mayores efectos de que Sardeña goza,
Historia general - Primera parte 95

como la de imán y sardónique, excusé por hurtar-


me a la prolijidad tratar sus propriedades, no quise
al coral cuya abundancia no pudo suponer (siendo
tan antigua y general) ignorancia; y porq[ue] cons-
te de cuánto estaba defraudada Sardeña, he hecho
tan particular relación.
Pertenece también a esta riqueza y abunda[n]cia
de Sardeña, la fertilidad de sus campos, la muche- 29
Fertilidad de los
dumbre de sus ganados, la abundancia de sus campos de Sarde-
muchas y muy gruesas pesquerías, así de sus estan- ña.
ques y ríos, como de su mar, el cual es muy 30
Pesca gra[n]de.
abu[n]dante por todas partes de todo género de 31
pescado, en particular, de atunes, cuya pesca es la De los atunes y
más rica, y hay para ella al presente varios puestos su valor.
de su ribera, hasta ocho almadrabas; y dellas se
coge pesca q[ue] vale más de cien mil ducados, y
tiene la isla otras muchas partes donde se pueden
hacer otras tantas almadrabas, conque por com-
probación evidente deducida con sobradas expe-
riencias en cada uno de los capítulos se va demos- 32
General abun-
trando que, en cualquier género de los que o por dancia de Sarde-
necesidad o por ornato de la naturaleza puede glo- ña.
riarse cualquier provincia, se halla tan abundante
Sardeña, que en verdad asentada podremos ir
siempre repitie[n]do de que es bienaventurada a
boca llena, pues todas della, y ella de nadie nece-
sita.

Capítulo IX
Del clima y cielo saludable de Sardeña. I
Lenguas hay que au[n] al cielo no perdonan, que A cuá[n]to se
adelanta la liber-
explican algunos de los q[ue] afrentaron el cielo, tad de un hablar.
sus planetas y estrellas, dándoles nombres indignos
de su ser, por haber sido de personas de execrables
costumbres, empezando por el primero de sus dio-
ses, Júpiter, y parando en lo más vil de los hom-
bres, Príapo, como lo cantó Arias Montano, fecun-
da y dúlcemente: Arius Mŏntan
96 FRANCISCO DE VICO

Ore & scaelesto sydera a tan-


gere
Sermone caelum tundere per-
fido
Audent & infreni per om-
nem
Lingua adeunt temerantque
terram.
Cielo y suelo se hallaro[n] ma[n]chados de su len-
gua, el cielo con sentirse de sus efectos; la tierra
co[n] maldecir sus influe[n]cias alcanzóle a Sarde-
ña desdichadame[n]te más que a otra; no porque
sus influencias o cielos sean destemplados, sino
porq[ue] las lenguas lo fuero[n].
2
Causa por que Ofendiose Ciceró[n] de Tigelio, sardo, gran priva-
Ciceró[n] sintió do de Cayo César, ante quien le había acusado de
mal de Sardeña. haber faltado a la causa de Famea, su tío, también
sardo, habie[n]do ofrecido patrocinarla, de la cual
acusación se queja y procura excusarse Cicerón,
Cicer. ad Atti. escribiendo a Ático. Sentido pues Cicerón del
hecho de Tigelio, ejecutó su sentimiento contra él
y contra su patria, llamándole más pestilente que a
ella esta enemistad, y su origen largamente se refie-
re en el capítulo 14, número 77 y siguie[n]tes de la
segunda parte.
Para ente[n]der este lenguaje hemos de suponer
3 lo que Téxtor verbo fulmen. Pestifera (dice) vocan-
Qué significa en
letras humanas tur quibus interitus, aut exilium, aut aliqua clades
pestilencia. Texter. denunciatur. Llama[n], dice pestile[n]te cualquier
Sipontin. muerte, destierro o ruina. El Sipontino: Pestife-
rum fulgur dicitur quo mors exiliũ ve significari
solet. Y en el epigrama 27: Pestiferaq[ue] mortem
exiliumq[ue] pertendunt. Y Sexto Po[m]peyo en el
libro 14: Pestiferum fulgur dicitur quo mors exi-
lium ve significari solet. Y en el mismo libro,
siguiendo: Pestiferaq[ue] mortem, aut exilium
ostendunt.
4 De manera que en lenguaje común de tantos auto-
Qué significa mal res, consta que llamaron pestilente no a la tierra
sano. que tenía en sí aires mal sanos, ni enfermedad con-
Historia general - Primera parte 97

tagiosa, sino a la que les causaba destierro, otro


daño o sinsabor.
Siendo así que muchas islas escogieron los roma- 5
nos para destierro, no porq[ue] las tuviesen por Islas, destierro de
nobles y porqué.
pestilentes, sino por la falta de comunicación Sex. Pomp. lib.9.
general y particular que tenían, porque cercada de
todas partes, no parece q[ue] a caso, sino de inten-
to se debe caminar a ellas, y que nadie puede llegar
si no es advertidamente, como en Castilla se
eje[m]plifica en muchos de sus castillos, que han
quedado más para castigo de nobles, que defensa
Budeus& alij
del Reino; pues sus sitios solitarios y eminentes, Ulpian. in l. Sti-
solo parece que como la naturaleza a las islas los pulatio no divi-
separa la industria de todo comercio y semejantes dunt.§de verb.sig-
nific. Cic. Spar-
casas se llaman ínsulas comúnmente, para que el tian.& alij.
condenado a su soledad padezca en la falta de
comunicación, mayor torme[n]to que el de sus
prisiones, pues nadie le puede pretender visitar,
que mucho antes no esté divisado de sus atalayas,
y así no se buscan sino en lugares dista[n]tes, abs-
trayendo de sanas o no, a que no atendían. Dión Dion.
señala el destierro de Quinto Pompeyo en Baulis,
isla del promontorio Miseño, cerca de Bayano, de
quien dijo Horacio:
Nullus in orbe sinus baijs
praelucet amaenis. Horat.li.I. epist.
Cuenta más que Quinto Cipión y Publio Rutilio
fueron desterrados a [E]smirna, y della dice Estra- Strab.li.14.
bón, que est omnium civitatum pulcherrima. Ovi-
dio, como refiere Marcial, estuvo desterrado en Marcial.lib.2.
epigr.23.
Sicilia.
Y consultado, la llama la mejor de las islas, y no
creo que alguno la haya llamado pestilente, las
leyes todas co[n]denan a islas, y ninguna las seña- Diodor.
la; y así, Marcelo llamó pena insular, que era lo
mesmo que condenar a islas, porque del juez ordi-
nario era condenar a islas, y del príncipe, señalar
cuál había de ser. Esta pena no era común, sino
solo para nobles, y así requería consulta y aproba-
ción; ni tampoco podía señalarle el juez ordinario
98 FRANCISCO DE VICO

6 en ínsula en que no tuviera jurisdicción; y de aquí


Las más ilustres
ínsulas y de es, que en Nápoles señalaba Caprea, Olipera, o
mejor calidad, otras adyacentes a su gobierno, y de Caprea se sabe
fueron lugar de por Tito Lucio, Suetonio y Silvio, que fue las deli-
destierro.
cias de Tiberio, y así a Sardeña, que como vimos
reconoce Tácito por bienaventurada, destinaron
para destierro, por separada y distante de Roma,
de manera que a lo que parece comprobado por el
lenguaje de los historiadores y derechos, y por la
significación propria de las palabras, no se llaman
6 pestilentes las ínsulas por mal sanas, sino por haber
Islas no se llaman
pestile[n]tes por su soledad ocasionado a escogerlas para destierros,
ser mal sanas. en que igualme[n]te por el derecho está compren-
dida Sardeña, que las demás ínsulas, q[ue] domi-
naron los romanos, pues indistintamente desterra-
ban a los de su dominio, sie[n]do las más excelen-
tes en sitio y abu[n]dancia, y que habían en oca-
siones escogido para su recreo y descanso los mis-
mos emperadores. Tampoco estorba a Sardeña lo
que otros escriben, condenándola por pestilente,
sin más causa que haber desterrado a ella; pues este
lenguaje igualmente lastima a Sardeña, que a cuan-
tas ínsulas y castillos se reconocen y a lo que pare-
7
ce, queda con desengaño su mal afecto.
Qué significa la Y si Cicerón añade que era el sardo Tigerio más
palabra pestilente que su patria, debe entenderse más eno-
pestile[n]te en joso y causador de pesares; así porque, como queda
letras divinas.
probado, no pudo lo pestilente en lenguaje de mal
sano entenderse de Sardeña, como porque en divi-
nas y humanas letras se han entendido así. Esta
8
Explícanse estos palabra, pestilens, en fuerza de su significado, sig-
lugares segú[n] el nifica hominem depravatum superbia tumidum
rigor de las pala- divina & humana contemnentem ac derrisorem. Un
bras en su origi-
nal. ho[m]bre de costumbres depravadas, insole[n]te
9 por su soberbia, despreciador de divinas y huma-
No hay en el latín nas leyes, y burlador de los otros. Algo desto debió
voz simple que le
correspo[n]da.
de suceder a Cicerón co[n] Tigerio, para que tanto
le ocasionase que adelantase la venganza aun a su
patria. Pero no pienso tampoco que la agravió
tanto, como los que, mal interpretando su lenguaje,
Historia general - Primera parte 99

quisieron que sonase mal sano, lo que Cicerón


llamó pesaroso o desabrido o mal acostumbrado.
El mesmo Cicerón lo entendió así, llamando pesti- Cicer.espist.4.
fero bello. Codro pestiferum fatũ. Cantalicio pestife-
Codro.
ro sic nos servaris ab hoste. Sabélico llamó pestilen-
tes a los hunos: Cantalicio.
Ego pestiferi depulsus maeni-
bus hunni. 10
Letras humanas,
Séneca al amor: que corresponden
Quid menata tenes amore pe- al sentido en que
stifero vinctum. hablan las divi-
nas. Sabel.
atado a un amor pestífero. Seneca in Thebai-
Vergíneo, cónsul, resistía la ley agraria, y llamó pes- de.
tilẽs college munus, por los disgustos que della habí-
Sabelli.
an de originarse, de manera que en todas lenguas Aenei.3.li.I.
no suena mal sano lo que se llama pestilente, sino
aquello que causa disgusto, pesar y desabrimiento,
conque estará satisfecho a lo que parece el lengua-
je, con que se llamó Sardeña pestilente.
De aquí es la novedad que ha causado a los moder-
nos experimentados en el clima benévolo de Sar- 11
deña, que su bienaventuranza esté en tantos auto- Pruébase la sani-
res reputada co[n] mal nombre. Quiero traer aquí dad de Sardeña
lo que el maestro Tirso de Molina, autor extranje- por experiencias.
ro dice co[n] sus mesmas palabras: No sé (dice este Cigar.fol.318
autor) por q[ué] ocasión los antiguos desacreditaron
la fama de Sardeña llamándola isla pestilente, pues
afirmo con verdad, que en abu[n]dancia, clima
benévolo, bondad de aires, fertilidad de frutos, y sani-
dad de aguas, puede competir co[n] las más entona-
das provincias de Europa. Así habla un desengaña-
do que había vivido en ella, y con la mesma verdad
lo han ido reconociendo los autores modernos.
Jerónimo Zurita dice la isla de Sardeña así en Zurita
gra[n]deza como en fertilidad y abundacia de la annal.lib.5.Ibid.
tierra, se puede igualar con las más principales islas
de nuestro mar. El padre Mariana que en su Histo- Marian.li.15.
ria latina había llamado a Sardeña (llevado de rela- cap.18.
ciones) Caeli gravitate infamem, lo corrigió en el
romance al mismo libro y capítulo, y llamó mal
100 FRANCISCO DE VICO

sanos los aires que entonces corrían, no la ínsula o


D.Lauren.Ramir.
tierra. El señor don Lorenzo Ramírez dijo que
en su Hipom. a estaba murmurada de los antiguos, y ya no de los
Marcial.lib.4. que la han conocido. Co[n] el mesmo desengaño
epigr.60.
habla el Abad de Montaragón, don Martín Carri-
Carrillo. llo, visitador general, que fue en Sardeña el año
1610, por su Majestad, en la breve relación que
imprimió de Sardeña en Barcelona, cuyas palabras
son: Tiene fama este reino de mal sano, y desto puedo
hacer yo contraria relación, que en diez y seis meses
que he estado en él, no he tenido ninguna indisposi-
ción yo, ni toda mi Casa.
12 Así los desengañados y experime[n]tados, ya se vio
Pruébase también como hablaron en el capítulo primero, los q[ue]
co[n] la vida larga
y sana de los tantas lenguas se hicieron en sus alabanzas, no nos
naturales. puede dar, a mi ver, mayor argume[n]to de la salud
de Sardeña, la experie[n]cia del que vemos en ella
vivir los hombres muy sanos y mucho tiempo;
pues por su tanto, no hay tierra do[n]de más se
envejezca, porque muchos pasan de cien años, y
algunos de ciento veinte y ordinariamente se llega
a los oche[n]ta y nove[n]ta años, y desta edad se
topa[n] a cada paso y en cada lugar de la isla
muchos.
13 Reducidos pues a que experimentados y
Experie[n]cia experie[n]cias desengañan, pues son maestras de la
mayor y mejor mejor enseñanza, discurrir por todas aquellas cau-
prueba.
sas mayores que, experimentadas en Sardeña, han
desengañado sus mal afectos.
Lo primero sean los mesmos autores que, refirien-
do pestes generales y particulares del mundo y sus
provincias, y juntamente originándolas ya pegadi-
zas, ya ocasionadas de varias causas, no hay autor
14
alguno que refiera peste en Sardeña, o originada
Que no co[n]sta della mesma, o q[ue] della se haya pegado a otra, y
en historia alguna solo se tiene noticia de tres veces q[ue] la ha habi-
que haya habido
en Sardeña peste.
do, llevada de otras partes en lugares particulares,
sin que se haya extendido a otros del Reino, con lo
que hace su clima con los venenos de los animales
que no los cría, obra también co[n]tra las enfer-
Historia general - Primera parte 101

medades, no co[n]sintiéndolas en sí, como ni


aquellos.
Hipócrates describe las pestilencias de su tiempo y 15
causas, ya por castigo con la historia de David, y en Pestes generales
de q[ue] hacen
lo humano co[n] la de Persia, que refiere Equines, relación los auto-
y para otra semejante se sacaron los libros Sibili- res. Hippocr. in
nos, y en fin de las más, conocieron a Dios por epide. Echin.
Autor, teólogos y filósofos; otros atribuyeron las 16
pestes a hechizos; otros, a las influencias contra- Causas de peste.
rias, a que se opone Plotino, y muchos que refiere
Valeriola, todas estas pestes no son de las que 17
Pestes que Dios
puede[n] tocar a Sardeña, pues, aunque reconocen envía y que no las
los autores q[ue] han ocasionádose por permisión ha habido en
divina, ha sido tan propicia la Majestad de nuestro Sardeña.
Señor a Sardeña, que ningú[n] autor o historiador
reconoce que le haya tocado en parte alguna.
En Roma el año de 363 de su fundación, hubo
otra peste originada de la mesma tierra. Blondo 18
refiere otra semejante el año de 1234, de que Pestes en Roma y
murió el pontífice Pelagio, sin otras muchas, que otras partes, no
toca[n] a Sardeña.
las inundaciones del Tíber le han causado, que Libio li.5. Sabell.
podrá ver el curioso en Eneas, Silvio y Blondo. Aenei.3.li.5. Sene-
Pero ni estos ni algunos otros de los autores que ca in adip.
hacen memoria de semejantes pestes, así generales
como particulares, aunque señalan las tierras que
alcanzó su contagión, compre[n]den a Sardeña
acordándose de las Baleares y otras ínsulas comar-
canas, conque se convence que de sí nunca la tuvo,
y la influencia suya la resiste.
Y lo que más abona nuestra verdad es, que refi-
riendo estos y otros autores, cómo se pegaron de 19
unas en otras tierras, como Galeno, la famosa de Pestes que de
los atenienses, que dice haberles llevado de Etio- unas tierras a
otras se han lleva-
pía, y Herculano la de Venecia del año de 1456, do, no tocan a
que atribuye a la Esclavonia. Sardeña.
Otra grande que duró diez años, de que se acordó
Orosio, y dice Baronio, q[ue] vino de Etiopía; de Lib.7.c.21.
Justinópolis se originó la que tuvo Venecia el año
de mil y quinientos y cincue[n]ta y cinco; el año
de mil cuatrocie[n]tos cincue[n]ta y seis inficionó
102 FRANCISCO DE VICO

Esclavonia las costas d[e]l mar Adriático; d[e]


Egipto en Acaya, dice George Agrícola, y de Asia a
Roma, Foreste; de Alemania y Francia se pegó a
Delfos y Flandes. Cardano dice que de Babilonia
vino a Italia; ningún autor en manera alguna seña-
la que de Sardeña haya originádose ni llevádose
peste alguna a otra parte, ni en memoria de los
nacidos se halla tal relación en proprios ni extran-
jeros.
Más he de apretar esta dificultad. Todos los auto-
20 res que refieren ya de intento, o casualmente enfer-
Enfermedades
contagiosas que medades pestilentes que hayan sucedido en el
refieren las histo- mundo, dice[n] su calidad, el tiempo que duraron
rias, ninguna en y su remedio si le hubo; así, Tolosa de Francia, de
Sardeña.
quien dice Marco Fabio Paulo que duró siete años;
la que refiere Evagrio, q[ue] duró cincuenta y dos;
y, en tiempo de Filóstrato, quince; y la general en
tiempo de Galo y Voluciano, que afirma Orosio
duró diez años. Proverbio fue griego maldecir a la
ínsula de Lemnos por pestilente; así, Herodoto,
Pausanias en su Corinthiaca, Friderico Silburgo en
las notas a Pausanias, Cantero en su Sintagma, y
Eustacio sobre La Iliada; la ínsula de Delfos, con
Herod.li.6. Schin. todo su oráculo, está condenada por pestilente y se
in epist. ad Philo-
crat. le señalan efectos y tiempo por Herodoto y Esqui-
nes; no se eximió Creta, aunq[ue] el nacimie[n]to
de Júpiter o crianza la ennobleció ta[n]to y así lo
refiere Virgilio.
Sorano cuenta que Tesalia se destruyera si el famo-
so Hipócrates no la sanara; en Cranon, ciudad
junto a la celebrada Tempe, curó otra peste Hipó-
crates Abdera, agora Potestilo, ciudad de Trava,
Cicer.epist.4.&7. fundación de Diomedes, está condenada por Cice-
ad Atticum.
rón, con estas palabras: Abderitarum damnatus est
aer, & item pascua. Y Sorano, en sus Historias Epi-
demnicas, la pinta continuamente enferma en la
antigua Perinto, hoy Heraclea; Larisa aunq[ue]
insigne co[n] haber de su no[m]bre llamádose lari-
seos, Júpiter, y Aquiles padeció la mesma desdicha.
Cap.54. Cicico, ciudad famosa del Asia menor, cuyas ruí-
Historia general - Primera parte 103

nas lame[n]ta Eneas Silvio, no tuvo mejor defensor


co[n]tra Mitridates que la expugnaba con 150 mil
hombres, que la peste de que es autor el mesmo
Silvio. Horcomeno en Tesalio, los potnienses en
21
Beolia, en Arcadia, en Lacedemonia fue continua In Paralel. ex
como refiere Plutarco, y su remedio puso el orácu- aucto.de Plutarch.
lo en que cada año se le sacrificase una virgen
noble, y habiendo sorteado en Elena, cuando la
llevaban al sacrificio, una águila arrebató el cuchi-
llo de la mano al sacerdote, y le puso en una bece-
rra, que sacrificada cesó la peste; no pude negarme
a la curiosidad de la historia, ni a moralizar que
interesado el demonio en peste y muertes mayores
q[ue] las q[ue] padecía Lacedemonia, con las q[ue]
había de ocasionar a Grecia y Troya, Elena no
quiso q[ue] muriese, porq[ue] muriesen más y no
sana[n]do del todo de la peste, tuvo otra Lacede-
monia, que quiere Plutarco, q[ue] haya sanádole
co[n] música Tales Cretense, q[ue] también refiere Bucius c.3. de
Platinas. Estobeo les señala otra tercera, que se peste.
remedió con ofrecerse por su patria, Bulo y Esper- Francasto.lib.2.
ques y Ajerjes, como pidió el oráculo; en nuestros cap.7. de morb.
años, Trento, Padua, Venecia, Mantua y Milán, la Paul.Diacon.lib.2.
padecieron en Egipto, casi es co[n]tinua en África, cap.4.
Euseb.hist.
son raros los años q[ue] no la hay en Nápoles, Eccles.9.cap.8.
pone no pocas Francastorio en Génova, Paulo Diá- Sigon.li.26. de
cono en Basilea, Eusebio Sigonio y Macrobio; y Reg.Ital.
Macrob.saturn.
Masarías apenas deja ciudad en Italia en que no lib.I.cap.17.
señale año y tiempo en que hayan padecido estas Mazarias de peste.
contagiones. De España refiere el padre Mariana el Marian.li.16.cap.
13.
año 1348 una gravísima ; ta[m]bié[n] lo fue la del
año 1507 en Zaragoza; el mesmo año de 1348
moría[n] cada día de más de cien personas; Maria-
na y Zurita refieren muchas que fuera cansancio 22
repetirlas; de manera que no hay clima tan favora- No hay tierra tan
ble, ni tierra tan templada que no viva sujeta a templada en el
mu[n]do, a
estas inclemencias, nacidas muchas veces, no tanto quie[n] no toque
del temperamento malo, como de nuestras muchas la peste.
culpas.
Siendo pues así, que ni tierra, ni región apenas de
104 FRANCISCO DE VICO

las que se conocen se ha dejado de infestar de


23
No hay autor que
peste, según estos autores, señalando tiempo y cali-
señale dad de la enfermedad que les sucede, no se hallará
pestile[n]cia o autor que individue que en Sardeña hubo enfer-
co[n]tagión en
Sardeña.
medad pestilente, q[ue] della se originase o se
pegase a otras partes, siendo tan general su comer-
cio y el concurso de todas las naciones a ella, y las
que de fuera se le han traído, pierden como los ani-
males el veneno, y cesa su rigor, y por las proposi-
ciones generales, no puede[n] deducirse sino de
24 particulares, y calu[m]nias en común no la son
Calumnias en
común no prue- sino individuales, y especifican actos, no señalan-
ba[n]. do algunos contra Sardeña, poco le empece[n]
proposiciones generales.
25
Ningú[n] autor Mayormente, que no solo falta en los autores
antiguo refiere memoria singular de peste en Sardeña, pero los
peste de Sardeña, autores que, llevados de las relaciones antiguas, la
y los modernos
no señalan tiem-
han infamado, no pueden dar ni dan más razón de
po. sí, que haberlo hallado así escrito por otros; y, sien-
do tan advertidos, a muy gran riesgo se expone[n],
pues ni el testigo, ni el historiador, que lo es de los
tiempos, merecen fe, si no motivan con razó[n] sus
testificaciones.
Siendo pues el fundame[n]to de cuantos han que-
rido calu[m]niar a Sardeña, el crédito que han
dado a estos autores, y que Cicerón y otros, aun-
que llamaron pestilente a Sardeña, no fue como
entendieron los q[ue] le han seguido, sino por la
razón referida y en el sentido proprio, pestiferum, o
pestilens, que por divinas y humanas letras está pro-
bado no significa mal sano, sino enojoso y aborre-
26 cible. Bastantemente queda deshecha la opinión
Que queda desva- contra Sardeña, y el mal crédito en que la han
necida la opi-
nió[n] que sin
puesto, no habiendo fundamento en que pueda
fundamento se estribar la obra de la opinión.
publicó contra Pruébase más singularme[n]te la sanidad y
Sardeña.
bo[n]dad del clima de Sardeña, y respóndese a las
objecciones contrarias, singulariza[n]do todos los
principios a que reducen las causas que co[n]tra
Sardeña tiene[n] los que la llaman pestilente, y
Historia general - Primera parte 105

satisfaciéndolos de manera que queden desvaneci-


dos, convenceremos de nuestra justicia, pues lógi-
cos y derechos reconocen q[ue] conve[n]ce el argu-
me[n]to por numeració[n] d[e] las partes, y así
añadiré en mayor argume[n]to de probanza para
nuestra verdad, que descendiendo a todas las cau-
sas q[ue] constituyen en este bien cualquier clima,
todas se verifica[n] co[n] adelantamie[n]to en Sar-
deña, de q[ue] sacaré conclusión para nuestro
intento.
De dos principios reducen los médicos y filóso- Aeneas
Sylvio.cap.74.
fos, las causas de pestilencia, y de los contrarios
se valen, para probar que son dichosas las tierras Ammian Marce-
que gozan el aire saludable, y abundancia de llin.lib.10.fol.mihi
622.
mieses; porque la hambre y peste son hermanas 27
inseparables, y entre los griegos la fuerza del un Ha[m]bre, her-
significado, casi coincide con el otro; y así cuan- mana de peste.
tas pestes nos refiere[n] las historias, las herma-
nan con la hambre, que para remedio de seme-
jantes daños, curaba[n] muchos gobernadores
Livio lib.4.
de prevenir la hambre, porque no se le herma-
nase peste; así, los romanos, y entre los lugares
donde ocurriero[n] por remedio deste daño fue
Sardeña, como a prenda hipotecada de su abun-
dancia; de manera que es conclusión sin contra-
dicción de filósofos, médicos y historiadores,
q[ue] casi nunca hubo peste a que no precedie-
se ha[m]bre. Y pues convence el argumento que
se dice por la razón contraria, bastantemente se
arguye no hubo hambre, luego no hubo peste, y
siendo esto tan así asentado en ciencia y expe-
rie[n]cia, principio es muy evidente de nuestra
prueba, casi nunca hubo hambre en Sardeña, 28
Que nunca ha
luego nunca pudo ser pestilente, y no haya habi- habido hambre
do hambre, ni aun podido haberla; su muchísi- en Sardeña, y así
ma abundancia en todo género de alime[n]tos, no ha podido
haber peste.
frutas, pan, carnes y aguas, todos saludables y
todos abu[n]dantes, convencen con irrefragable
verdad, co[n] que deshermanada la peste de tan
inseparable co[m]pañero como la ha[m]bre, no
106 FRANCISCO DE VICO

solo como está probado, no ha habido peste, ni


es pestilente Sardeña; pero no ha podido haber
probabilidad para serlo, porq[ue] no ha tenido
ocasión para ello.
29
Libia es pestilente
Buscando otro orige[n] a las pestes, enseña Tucídi-
por los animales des q[ue] fue adagio que Libia y África siempre
venenosos q[ue] fueron pestilentes por los muchos animales vene-
tiene. Thucydides. nosos de que abundan, razón que juzgan algunos
por más eficaz q[ue] sus calores, pues como dice[n]
muchos, los etíopes que habitan en Negir, tierra
calidísima, y los de Calicut, que lo es tambié[n] en
la India, y los locrenses, y de Croten en Italia, no
han sentido que son tierras calidísimas pestilencia,
conque solo queda en opinión destos autores, por
causa de la pestilencia co[n]tinua de Etiopía, Libia
y África, la multitud de animales venenosos q[ue]
en ella se crían.
Siendo pues por natural constilación y clima de
Sardeña su propriedad tan conocida, como queda
averiguada, que ni engendra, ni tolera animal pon-
zoñoso o de veneno, argumento es evidente, que si
de los animales pestilentes se engendra peste, no
fiándolos ni tolerándolos Sardeña, no tiene de qué
se le engendre o origine.
30 Dificulta[n]do Mercurial como de la ínsula de
Causa de ser pes- Lemnos, sacándose la tierra sigilata, que es reme-
tile[n]te la ínsula dio para tantas cosas, ¿es la isla tan expuesta a pes-
de Lemnos. Mar-
cial in praxi. tile[n]cias? Respo[n]de q[ue] por naturaleza el
cielo es benévolo y saludable, pero, accidental-
mente, las aguas estantías le causan pestilencias; de
manera que este principio es llano, que no hay tie-
rra de cielo, o suelo tan favorable, que algún acci-
de[n]te en alguna ocasión no le perturbe; de aquí
es, q[ue] siendo otro de los principios más conoci-
31 dos para q[ue] sea libre de pestes cualquier lugar
Pureza de aire en por la pureza del aire y serenidad desta regió[n]
Sardeña.
que llamamos cielo; hemos también de examinar
que en esto se aventaja como en lo demás Sardeña;
poetas y filósofos llaman cielo la región del aire, y
Luciano: Traxit iners caelum fluidae contagia pestis.
Historia general - Primera parte 107

Pero para poder entrar en esta averiguació[n], 32


Pruébase por
hemos de suponer una verdad co[n] los filósofos, razón filosófica
siguie[n]do a su príncipe Aristóteles, q[ue] el fuego que Sardeña no
y el aire son incapaces de putrefacción, y para con- puede ser malsa-
na. Arist.
cordar médicos y filósofos, decimos q[ue] en su sect.25.probl.19.
esfera es incorruptible, pero que en la media e ínfi-
ma región se corrompe, porque mezclándose allí
con los vapores terrestres, forma cuerpo capaz de
corrupción; lo cual supuesto, parece improbable
que Sardeña pueda inficionarse en su aire, de
manera q[ue] llegue a esta corrupción; porque
sie[n]do así, que no hay causa venenosa de que
puedan levantarse vapores que inficionen el aire, y
todas sus aguas y ríos son corrientes, y aunque
como queda visto tenga algunos estanques, todos
crían peces, que alimenta[n] y son saludables, y en
todos entra y sale el mar, no parece q[ue] tiene cosa
alguna particular en sí, de que se le pueda originar
semejante daño, y así la calumnia que le puso Pau- 33
sanias de ser caeli gravitate infamem, ni tiene de Respóndese a
Pausanias.
qué se le cause, ni fundamento para ello, porque la
región del aire o cielo, en sí fue incorruptible, y la
media e ínfima región no tuvo de qué se le causa-
se corrupción.
No hallando objeción a tanta verdad, quisieron
empañar esta luz con una frívola oposición,
dicie[n]do que los montes que Tolomeo llamó en 34
Montes Menome-
Sardeña Menomenos en griego, y en latín Insanos, nos, no
tomaron este no[m]bre, ocasionado de que su impide[n] el aire
grandeza estorba que los vie[n]tos no bañen la en Sardeña.
35
isla; ésta es la causa q[ue] da el poeta Claudiano, Respóndese al
si poetas merece[n] fe, y aunque su lugar de Claudia-
conve[n]cimiento consiste en la misma isla, no. De bell. Gil-
don.vers.sin.
donde es demostrativo y evidente si para solos los
de Sardeña se escribiera, no me cansara en res-
ponder, dejando esta objeción por
notoriame[n]te co[n]traria a la verdad. Pero escri-
biendo para todos, ojalá tan dichosame[n]te que
pueda correr en este libro la satisfacció[n], como
ha corrido la afre[n]ta; diré primero el sitio que
108 FRANCISCO DE VICO

estos montes tienen, y en su mesma descripción


se conocerá el imposible que el poeta intentó.
36 Son los montes Menomenos en amplitud los mayo-
Sitio y disposi- res de Sardeña, no así altos, que los más no los
ción de los mon-
tes Menomenos.
sobrepujen en sitio casi en mitad de la isla; su cali-
dad abundantísima, pues fuera de los pastos comu-
37 nes con que abundanteme[n]te sirven para todo
Pastos en abun-
dancia.
género de ganados, nacen dellos dos fuentes, que
38 después co[n]vertidas en ríos caudalosos, son de
Fue[n]tes que los más conocidos en Sardeña: Flumendosa, cuya
dellos sale[n]. descripción dejamos particularmente puesta en el
capítulo cuarto, que desto trata, y el otro, que sale
de la parte que mira a levante, y dijimos con Tolo-
Tholom. meo que se llamaba Cedrino, ambos de aguas ta[n]
saludables y bellas, q[ue] ninguno las puso en
afrenta de poco saludables; y siendo así que sus
39 pastos, frutos y aguas son alimento comú[n] y
Los mo[n]tes
Menomenos no saludable, no pudieron por sí ser pestilentes,
son los más altos menos por el estorbo que causan según presumen
en Sardeña. a los aires; porque siendo en sitio inferiores y no
hallándose en alguna de las entradas de la isla,
antes en parte donde habiéndola bañado los vien-
tos, ellos como los valles necesitan en sí del refres-
co de los aires, por estar en medio de la isla, y en
altura tan poco eminente, q[ue] respecto de otros
mo[n]tes, parecen valles; y en el sitio que ocupa[n]
no media valle a quie[n] sobrepujen necesariamen-
te, no hay tierra a quien estorben los vientos, ni en
40 él ellos calidad que los haga mal sanos, por estar
No tienen calidad casi todo el año cargados de nieve, y
que los haga ni
pueda hacer mal consiguie[n]teme[n]te ni para sí, ni otros, por su
sano ocasión lo son.
No siendo estos mo[n]tes tales que atraviesen a
Sardeña, ni sus cabos principales, ni de altura que
estorbe el aire, porq[ue] su latitud es mucha, ni su
elevación sobre otros lugares, por el mesmo hecho
se manifiesta la poca razón con q[ue] se movió
Claudiano para llamar mal sanos a estos montes,
de que origina pestilencia para hombres y anima-
les; y conve[n]cido por el hecho lo imposible de su
Historia general - Primera parte 109

objeción, también le convenceremos de que su


mala intenció[n] tradujo el griego y en latín no 41
co[n] la propriedad que ello tiene, sino co[n] la Menomenos es
pasión a que su no sana intención le llevó; dice, nombre griego.
Su verdadera sig-
pues, q[ue] del griego se traduce Menomenos al nificación.
latín con la palabra insanus, y que ésta es lo mesmo 42
que insalubris, siendo insalubris lo mesmo que No es insanus en
saluti contrarium, y tan desusado que en las divinas latín lo que insa-
lubris.
letras no se halla, y en las humanas ningún poeta Plin.li.18.cap.5.
la ha usado; y de las de prosa Plinio y Columela, el Colum.li.5.cap.4.
Sipontino no le trae, ni Varró[n], ni Sexto Pompe-
yo; conque podremos decir, que tan desusado es en
Sardeña el apellido de mal sano, como en latín el 43
vocablo con que se le llama Claudiano. Insanus significa
algunas veces
Mayormente que es tan impropria su traducción muy sano.
de insanus insalubris, como la aplicación a Sardeña,
porque los latinos no usan la palabra insanus como
Persius.Sat.3. Pli-
opuesta a lo que es saludable, antes significa lo nius.
mismo que muy sana, porque se cita a Persio q[ue]
dice: Et insano multum laudãdo magistro; véase el
Calepino verb. insanus, y hallará q[ue] dice que sig-
nifica lo más fértil, ex illo Plinij insanae vites, lla-
mándolas así, porque a un mismo tiempo esta-
ba[n] maduras, en agraz, y en cierne; pero lo más Sext. Pomei.lib.9.
común es, q[ue] promiscuamente la aplican a
todas cosas que en sí contiene[n] alguna cosa exce-
siva en calidad o cantidad; así, Sexto Pompeyo, Claudian.
Virg.eglog.9.Stat.
Insanum pro valde magnum, usus est Plautus; Cice- lib.4.sen.
rón, In hostes victos insani edictam atque imperium
Tyranni; el mesmo Claudiano, Fremitus insani; Seneca.
Sil.lib.II.Stat.
Virgilio, Insani feriant sine litora fluctus; Estat, lib.5.
Dominum insani non agnovere colossi; Séneca en
una gran te[m]pestad, Fugit insanae similis proce-
llae; Sil, Insanos imbres; Estat, Illius insanis ullulati-
bus ipse remugit enceladus.
Todos los vientos son llamados co[n] este apellido,
Baptist.Pio
el mar, los dioses agrados o contrarios: Bautista Ovid.in
Pío, Et dedit insanis vela ferenda noctis; Al mar Ovi- epist.Lean.
dio, Noctibus insani sit mora longa freti; A Marte, Virgil. Aeneid.7.
Virgilio, Accendamq[ue] animos insani martis Syl.lib.5.
110 FRANCISCO DE VICO

Virgil. Aeneid.2. amore; Silvio, Propriusq[ue] patebat insani Mavortis


Stat.lib.I.&2&II.
Stob.72. Marulo. opus.
Franciscus. Philel- Y concluyendo con cuantos usan desta palabra,
phus. Faustus. digo que insanus significa cualquier co[n] notable
Lillius.
Horat.Carmen
magnitud o calidad. Corporea sed tunc senes aggeris
lib.I. Valerando vastum spatium, & sub structiones insanes capit.
Varanio. Calfar- mirabantur; con q[ue] habremos deshecho por
nio. Pamphilio.
Apuleyo. Proper-
autoridades tantas, la de un solo mal traductor, y
tius lib.5. los montes Menomenos de Sardeña, quedará[n]
Plin.lib.36 por muy notables, como lo son en magnitud, y así
cap.15. insanos y no por mal sanos; pues ni el vocablo ni
45 su calidad lo piden, y lo que con autoridad irrefra-
Llámanse los gable convence, que el nombre insanus con que se
montes Menome- nombran los montes Menomenos, no significa
nos de Sardeña
en latín insanos cosa no sana, y q[ue] a estos mismos montes no
por su gra[n]deza. llamaron insanos sino por su grandeza, nos lo dijo
Lucio Floro Lucio Floro con estas palabras: Sardineam Grac-
epito.2.
chus arripuit nihil illic gentium feritas insanorum-
que, nam sic vocatur immanitas montium profuere;
de donde no nos deja duda que la palabra insanos
Virgi.
Aenei.li.I.&6.
de los montes de Sardeña mira a la grandeza, que
eso es immanitas; Virgilio, Immania saxa, & c.
46 immania templa.
Solfuga, araña
que dice[n] en
No habiéndonos podido vencer con montes tan
Sardeña. gigantes, se acogieron otros a arañas o sus seme-
jantes, queriendo q[ue] este animalejo fuese quien
Rodigin.li.12. en Sardeña causase pestilencia; así, Celio Rodigi-
cap.16.
no, explicando a Cicerón contra Tigelio, y buscan-
Plin.li.22.cap.25 do la razón porque le había llamado pestilente a él
& lib.29.c.4. y a su patria, dice: Propter solfugam formicae genus
Lucan.lib..9.
venenatum. Plinio las llamó Solifugas; Cicerón, sol-
fugas; Festo, solipuga; Lucano, solpuga, cuando
47 dice: Quis calcare metuat solpuga tenebras.
La variedad de las
relaciones. Tan vario es el no[m]bre como el conocimiento,
todos quieren que sea venenosa, nadie la vio, y
como fingen su efecto, le dan el nombre tal porque
huye del sol; otro, porque en su mayor calor es más
eficaz su veneno; pero juntando en uno lo que
todos han dicho, veremos lo q[ue] dellos recogió
en sus historias la última q[ue] se ha sacado de
Historia general - Primera parte 111

Europa, que es de Juan Iacet, flamenco, y con


respo[n]derle a él, se satisfará a todos, dice pues:
Verum quod alijs locis serpens est (inquit Solinus) hoc
solifuga Sardis agris animal per ex iguũ, simileq[ue]
araneae forma, in metallis argenteis plurima est;
occultum reptat, & per imprudentiam supersedenti-
bus pestem facit; esto es contra Plinio, que dice:
Manus pugnunt, & periculum vitae afferunt. Es
pues la conclusión de Iacet, hay un animal peque-
ño semejante al araña, que en le[n]gua sarda se
llama vargia, q[ue] se halla en las minas de plata
escondida; si se sientan descuidadame[n]te sobre
ella, causa peste, éste es el último y más mordaz
testigo.
48
Dos cosas se deducen de su relación. La primera, Responde a Iacet.
que este animalejo se halla en los minerales de
plata, lo cual debió de tomar de Mario Nigro, que Mar.Niger in
Insulis
dice: In metallis argenteis plurima est; cuyas bocas Europa.c.14.
están cerradas desde que la codicia de los romanos
junto con su dominio faltaron de Sardeña, co[n]
que cua[n]do fuera el daño muy pernicioso, 49
habiendo faltado desde el año de 456, en que Desde el año 456
anduvieron de caída, inquietados de varias nacio- no se labra[n]
nes sin poder dominar a Sardeña con seguridad, y minas en Sarde-
ña.
supuesto que en las minas se hallaba, y no en otra
parte, este animalejo; y q[ue] mil duscie[n]tos y
ta[n]tos años habrá q[ue] faltan, suficie[n]tes serán
en todo derecho para que se borren por prescrip-
ción el mal nombre de Sardeña, adquirido tan sin
causa.
50
Y no parezca que el hacer el argumento desde que Hoy no hay noti-
falta[n] las minas hasta hoy sea ineficaz o volunta- cia deste animale-
rio, porque hallándose hoy casi memoria en los jo que ponen en
Sardeña.
que son, ni por relación de los que fuero[n] deste
animalejo, por hallarse tan raro, que apenas se
tiene noticia dél, necesariame[n]te habremos de
recurrir al tiempo en que los testigos lo deponen, y
siendo así, como lo es, que este autor nos remite a
los minerales de plata, recurriremos al tiempo en
que se beneficiaro[n]; y constando que hoy en ellos
112 FRANCISCO DE VICO

no se halla este animalejo, ni hay memoria q[ue] se


acuerde que lo había en esos minerales, por no
negar (aunque se pudiera absolutamente) que no
lo hubo, diremos que si le hubo fue en las minas y
sus cavernas cuando se labraban, y que se debió de
sepultar en ellas con su memoria, en cuanto a Sar-
deña.
51
Este pues animal no visto, opone a las serpien-
Impropriedad tes Iacet, flamenco, y en cuanto a la cantidad su
co[n] que habla misma descripción le desengaña; porque él no
Iacet deste ani- dijo q[ue] mataba, ni pudiera decirlo, porque
mal.
nadie refiere haber sido así, sino que causa pes-
tilencia, y Plinio que más se alarga, dice que
arriesga la vida; y siendo así que ni su abundan-
cia como el de las serpie[n]tes de África pudo
causar la opinió[n], para que como dellos su
muchedumbre inficione, porque confiesan los
mesmos autores, ser rara y no común la vista
deste animalejo, muy cierto es que no pudo con
verosimilitud alguna decir que causaba pestes
como las serpientes menos q[ue] su veneno es
mortal; pues ninguno lo dijo, y el que más se
alarga es a confesar q[ue] punzando alguna parte
del cuerpo de las muy sensibles, se hincha algún
tanto, y nada, si se acude con remedios
calie[n]tes. Pero para co[n] nuestros mayores
enemigos convenzamos del todo nuestra verdad,
debe advertirse co[n]tra cua[n]to se nos opone,
Solin.c.4. y le refe- que cuando nos fuera muy común y venenoso el
rimos en el cap.5. animal solfuga, que nos atribuye(n) Solino, tra-
tando de las aguas d[e] Sardeña, en ellas mismas
demás de los otros efectos saludables nos
co[n]stituye remedio, ibi: A solifugis insertum
venenũ, aut etiã ocularias dissipent aegritudines;
de manera q[ue] llama el veneno incierto; pero
en caso q[ue] le haya, no necesite Sardeña de
nadie, pues sus aguas le purifican y quitan,
q[ue] es continuación de la verdad constante
que nos ampara, de q[ue] en Sardeña no se cría
animal venenoso, y si alguno entra de fuera, deja
Historia general - Primera parte 113

el veneno en su tierra o en sus aguas, como dice


Solino d[e] la solfuga; y cua[n]do esto no fuera
así, es de advertir, que en la solfuga, ni en cali-
dad del veneno, ni en la cantidad suya pueda
52
correr la semejanza que le da Iacet con las ser- Propriedades de
pientes, poco había leído de Eutimio, que dice las serpientes con
que las sierpes, ubi in aliquem caeperit furere quien compara
nunquam iram aut furorem deponere donec vene- Iacet la solfuga
son muy
num intulerit, aut rabiem morsu demerit. Y la dista[n]tes.
furia mayor comparó el Sulmonense: Nec brevis
ignaro vipera laesa pede. Y el castellano como 53
Que no es verosí-
víbora pisada, de que se originó el proverbio, y mil lo que Iacet
no sé si en filosofía pueda caber comparación en dice de Sardeña.
tanta distancia, y se podría probar con términos
legales, porque al testigo q[ue] no depone vero-
símil, se repele del juicio; y así pienso que se
dará crédito, como es la obligación a lo que más
conforma con la naturaleza del negocio que se
trata, y se asemeja más a lo verosímil, y que
puede corrientemente suceder.
Viendo tan gran disparidad como la que este autor
afirma, aunque su enemistad con Sardeña le está
bastantemente convencida, pues, como prueban
los de la profesión legal, es innegable la del que
siembra mala fama co[n]tra otro, y, viéndole tan
sin ocasión y disculpa, por no me le parecer en 54
referir sin averiguar he presumido si otras serpien- Desculpa a Iacet
por
tes de Sardis le engañaro[n] co[n] el no[m]bre; equivocació[n] de
pues como refiere Sabélico esta[n]do espera[n]do Sardis a Sardeña.
Croeso respuesta de Lacedemonia: Interim vis colu- Sabellic.
Aeneid..7.lib.6.
brorum ingens in sub urbanis Sardium locis repẽte
extitit eos sequi in pasqua dimissi passim devorarunt.
Y pudo ser q[ue] serpientes o culebras tan prodi-
55
giosas, errado el nombre de Sardis a Sardeña, cau- Que la verdad
sase que su veneno nos alcanzase. Pero si esto no consta[n]te de
fuere la verdad, nos ampare no solo por lo que q[ue] hoy en Sar-
deña no se halla
experimentados nos abonan, como está visto, sino animal
por la notoriedad del hecho que hoy está durable, semeja[n]te pre-
constante, y permanente, que no se cría en nuestra fiere a la opinión.
Sardeña animal venenoso, que es probanza supe-
114 FRANCISCO DE VICO

rior a toda otra igual a la verdad natural, y co[n]


fuerza de sente[n]cia, sin que necesite de otra
56 mayor probanza, por ser la misma verdad natural.
El rumor no per- Y pues el rumor no perjudica a la verdad según tér-
judica a la ver-
dad.
minos legales, deshagan falsedad tan sin funda-
me[n]to verdades tan apuradas, sentenciando en
favor de Sardeña y de su crédito, y abonando por
restitución fama tan no merecida perjudicar.
Están tan borradas de las memorias de las gentes
las causas a que se refiere[n] estas pestes de Sarde-
57 ña y sus daños, que nos es forzoso desentrañar
Adagio antiguo
Sardonius risus y mucha antigüedad para buscarlas. Fue adagio anti-
su exposición. quísimo sardonius risus; Erasmo y Paulo Manucio
en sus adagios no se determinan si Sardis, ciudad
de Lidia, o otra isla de Hiberia, llamada Sardo, o
Hesiod. nuestra Sardeña, le ocasionaron contra la isla de
Manucius. Hiberia, hace la autoridad de Hesíodo, poeta anti-
Isla de Hiberia
guo, cuyos versos trae Manucio traducidos de grie-
llamada Sardo. go en latín, y dicen que hay una ínsula llamada
Sardo en Hiberia, donde nace cierta yerba llamada
sardane, que, comida de los que no la conocen,
co[n]trae los nervios de la boca, de manera que
mata con semejanza de risa.
Quaedam Insula est vocata
Sardo Hiberiae.
In qua herba pernicioso sur-
git e solo
Cui Sardanae nomen Apia-
stis praeferens.
Figuram at ea comessa ab
imprudentibus.
Mox ora contrahit, atq[ue] ri-
sus exibet.
Speciẽ deinde protinus mors
occupat
Immitata risum.
De manera que autor, tierra, yerba y las proprieda-
des con que la pintan los que della tratan, tenemos
ya sin ser Sardeña, y cuando tan individualmente
como aquí concurren las circunstancias que Pausa-
Historia general - Primera parte 115

nias, y después cuantos le han seguido repiten de


la yerba sardonia, bien se puede declarar ya por
libre (según justicia) Sardeña, pues no se ha halla-
do en ella yerba deste efecto, para haberla puesto
en esta sospecha, y habiéndose descubierto tierra
que la tiene hoy, en que se verifica con todas cir-
cunstancias, concluyente probanza hace en favor
de Sardeña, no solo constando con evidencia de la 59
isla a quien se atribuye, pero aun siendo dudosa. Opinión de
Otra causa ocasionó el adagio de Sardonius risus, Hesíodo, expli-
en opinión del dicho poeta Hesíodo; dice, pues, cando el adagio
Sardonius risus.
que hay cierta gente bárbara llamada sardanos, que
aunque no los señala, ya pudieron ser en Liburnia, Plin. lib.4.
donde los pone Plinio, ya en Lidia, como él cap.22& lib.5.
c.29.
mesmo señala en otra parte; pero éstos o aquéllos
sean dellos. 60
Dice Hesíodo que, cuando los hijos ven a sus Hijos que despe-
ñaban sus padres
padres ya muy viejos y en edad muy anciana, no viejos.
esperándoles la muerte natural, para dársela, se
suben a unos muy grandes montes, donde, con
algazara y fiesta, hacen tan malvado sacrificio,
riendo los hijos contra la naturaleza mesma la
muerte de sus padres; y riendo los padres, la que
les espera a los hijos. Ésta pues risa tan fingida, Hesiod.
donde el dolor había de celebrar las exequias, dice
Hesíodo, que ocasionó el adagio; sus versos son,
Caeterum sunt qui refferunt. 61
Versos de Hesío-
Gentem esse quandam Sar- do q[ue] refieren
danorum barbararum. lo mismo.
Aetate qui caessos parentes in
loca praerrupta
Raptos deferens atque ibi
neci.
Saxisq[ue] fustibusq[ue] dant mi-
serrimos
Exarduis sub inde praecipi-
tent petris.
Et interim haec rident iocis
impijs
Luduntq[ue] temere parricidis
116 FRANCISCO DE VICO

lusibus
Alijs probatur magis haec
sententia
Ridere eos qui sic necan-
tur quippe qui
Spectent suorum pignorum
vesaniam
Sitasq[ue] rerum & statuarias
vices.
62 Timeo, autor antiguo referido por Zenodoto,
Lo mesmo q[ue] citando a Esquilo, afirma pues, que cierta gente
cantó Hesíodo,
eve[n]ta Esquilo. sardana, en llegando a tal edad sus viejos, los sacri-
Thimeus. ficaban con mucha fiesta a Saturno; abrazándose
63 primero, y regocijando el suceso, en que se tenía
Indeterminación
de los autores. por agraviado el sentimiento del sacrificio, las cere-
monias no son singulares, que de los franceses en
Barcl. in sus hijos lo refiere Barclayo y de los hebreos el libro
Hist.Agen.
de los Reyes, y esta tan mal ocasionada y fingida
risa atribuyen al adagio; pero todos indetermina-
dos a cuales pueblos lo deben de atribuir de Sardis,
64
Sardiotes o Sardos.
Respuesta por Para nuestro intento si el adagio se originó desta
Sardeña. bárbara costumbre, y no la ocasionó la yerba vene-
65 nosa, que riendo dicen mata, aunque pueda lla-
Cuando la opi-
nión de Hesíodo marse por su abominación el sacrificio pestilente,
y Esquilo se veri- no será por eso la tierra mal sana, antes se le con-
ficará de Sardeña, vence mayor salud, pues este sacrificio no era for-
era en su favor.
zoso, sino voluntario de los que cansados de vivir,
se entregan a él, y no en todas partes se hallan vie-
jos que a tanto lleguen, ni si los climas fuesen poco
saludables lo permitieran.
66 Pero siéndome lícito co[n]jeturar por las historias,
Última y más hallo que Plinio llama Sardinia una ciudad que
propria declara-
ción porque pudo
antiguamente llamaron Hide junto al estanque
decirse. Sardonius Gigeo. Estrabó[n] llamó a este lago Coloo, y dice
risus. que tenía un templo la diosa Diana cercano a el
q[ue] se llamaba Coloona, donde danzaban o sal-
taban las simias en sus días más festivos.
Plin. lib.8.cap.18. Describiendo Plinio qué animal era la simia, dijo
que el que imita a otro burlando dél ridículamen-
Historia general - Primera parte 117

te, éste se llama mona o simia; y así cantó Ovidio 67


Qué significa
destos animales en que habían mudádose los ser- simia y qué ani-
copas o eginenses, que pretendiendo conservar la mal sea.
forma humana que habían perdido, la imitaban
con acciones y visajes.
Quieren algunos q[ue] estelio sea lo mesmo que
simia, por ser animal burlador y malicioso, de que
en derecho, stelliones los burladores y stellionator el 68
engañador. Siendo pues este le[n]guaje reconocido Que sea Stelliona-
en derechos, poetas, historiadores e intérpretes de to y por q[ué] se
divinas y humanas letras, y que lo mismo es decir llama así. Ulpian.
in
que es una risa fingida, o risa de simia, y el adagio l.2.ff.Stellion.ibi.
Sardonius risus (como quiere Manucio) fue glos.
impuesto para significación de risa fingida.
Manutius.
Habiendo los sardianos o sardanos dedicado a su
diosa Diana fiestas destos animales, que con sus
fingimientos causaban risa, parece que dellas se dio
lugar al adagio, llamándole la risa sardonia, o fies-
ta de sardis a Diana de animales de risa fingida.
Sea pues ésta o otra la causa, reconocidas todas
69
ninguna compete a Sardeña, no la yerba porque Que ninguna de
ninguna se halla en Sardeña de semejante efecto, y las causas porque
dándola por usual y común en las corrientes de el adagio se dijo
compete a Sarde-
fuentes y ríos, a alguna noticia pudiera haber veni- ña.
do, pero ninguna se halla en experiencias proprias,
y extranjeras; y la yerba que en Sardeña se parece 70
en la forma al apiastro, ni en sí, ni para otra cosa Que la yerba que
en Sardeña se
es venenosa que no lo sea para las mismas aguas de parece al apiastro,
las fuentes donde nace, reconociero[n] Pausanias y no es venenosa.
Solino, que no lo sea para los animales el vérsela
Pausa. ubi supra.
comer co[n]tinuamente, y que les sirve de pasto
donde se hallan sin riesgo o peligro desmiente con- Solin.
trarias presunciones, como pues me diga el más
escrupuloso podrá haber dado nombre de pestilen-
te esta yerba a Sardeña, que ni en bebida o pasto se
experimenta venenosa; necesariamente pues
habremos de reconocer que o hablaron los autores
de otros lugares, cuya equivocación nos arriesga a 71
que declaradamente se engañaron. Fábula de Talo.
Dejo la fábula de Talo, el hombre de bronce que
118 FRANCISCO DE VICO

Simonides. fabricó Vulcano, de quien refiere Simónides y del


Zenodoto, que, abrasado en fuego invisible, pasan-
do de Creta a Sardeña, a los que se llegaban a los
brazos a dar la bien venida, quemaba en ellos,
Homer.illiad.2.
matándolos riendo; la fábula refiere Homero, y
atribuye a ella el adagio de la risa.
72 Eustaquio sobre la ulisea lo reduce de su no[m]bre
Explicació[n]
desta fábula al
griego, que significa abrir mucho la boca, mos-
adagio Sardonius trando los dientes o como dicen sacando la lengua
risus. para hacer burla, ésta llamaban risa, Ancharisum
amplum, & risum Sardonium, que no tiene más en
Sardeña que en otra parte, para que resulte perjui-
cio.
73 Pero si todavía aunque el nombre es improprio,
El nombre sardo-
nio no es de Sar- pues de Sardo que se le dio a Sardeña, como se ha
deña. visto, nada de lo que le toca se llama sardano, sino
sardos sus reinos, sus mares y todas las que posee;
Plin.lib.15.cap.23. de manera que sardianas llamaron las castañas de
Sardis, como dice Plinio, no sardas, ni su provin-
cia sarda, sino sardiana, no compitiéndonos, pues,
los nombres ni el efecto; porque la diversidad de
Diversitas nominũ los nombres arguye diversidad de cosas; y si toda-
rerum diversitatem vía durare la insistencia y con porfía aún quisieren
arguit, l. id~
esi. C.
de codicel.Bald.
que el adagio sea de Sardeña, no habiendo yerba
rub.cap. de que le ocasione, habremos necesitados de buscar
novo.C.copo. efecto de que le resulte.
Es la naturaleza de los sardos comúnmente, como
74 veremos en el capítulo siguiente, tan natural a la
Poesía natural en poesía, que sin maestro o enseñanza, ignorantes
los que nacen en aún de las primeras letras, versifican como muy
Sardeña.
enseñados, y haciendo suposición desto, porque
aún no se ha llegado su vez para singularizarlo, más
acompaño este discurso con el adagio antiguo fun-
dado en esta fecundidad y felicidad de Sardeña;
Nevio. que como refiere Nevio, sardar era lo mismo que
Calepin. entender, el diccionario de Calepino lo trae en esta
Sipǒt epig.6.
palabra, el Sipontino y Sexto Pompeyo. Y acor-
75 dándome en este capítulo de lo que queda dicho,
Explícase el anti- que la palabra pestilente, significa un hombre bur-
guo adagio sardar.
lador o que mofa y se ríe de todo, en cuya vengan-
Historia general - Primera parte 119

za lo llamó a Tigelio Cicerón, usando deste senti-


do, digo q[ue] Sardonius risus pudo originarse del
verbo sardare, pues raras veces el poetizar suele ser
sin que algunas agudezas lastimen; y así los poetas
sardos o todos los sardos poetas como lo son, obli-
garían a otros con sus poesías, al sentimiento que
Cicerón tuvo de Tigelio; y siendo las poesías para
alabanzas, las convertían en mofa y risa, de que
pudo originarse el adagio; y en caso que sea de Sar-
deña desta y no otra causa, pues no se le verifica,
se le habrá originado.
Convencidos los modernos con que ni el animal 76
solfuga se halla apenas en Sardeña para su inten- Otra causa que
ción, ni hay yerba que califique la pestilencia que dan dos moder-
nos.
le atribuyen, se arrojaron dos modernos a una ima-
ginación que desdice de todo buen discurso.
Y antes q[ue] la refiera digo, que un autor escribió
77
con tan encontradas relaciones a la verdad, que Error destos auto-
obligó a Antonio Petro Filepi a componer en res.
defensa de su patria, Córcega, la historia que della
78
sacó, como afirma en la epístola dedicatoria que Relaciones de
hizo a Alonso de Ornano, hijo de Sampero Corso, Porcaquino se
mariscal de Francia. Este pues autor co[n] Alberti ajustan. Anton
dicen que es tanta la abundancia de moflones pet. Philip.
q[ue] se matan en Sardeña cuatro mil y más de una 79
vez, y es tan de estima su piel para escudos o bro- Respuesta a estos
queles q[ue] usan los isleños, que, dejando sus car- autores.
nes en el campo, corrompen el aire. Lo mismo
refiere a bulto y sin cognición de las cosas Jeróni-
mo Gemusio con estas palabras: In Sardinia nas-
cuntur arietes, qui pro lana pilum caprinum habent
masmones vocant incolae horum se pellibus chotaceis
modo muniunt in pugnis pela utuntur, & pugione.
Digo, pues, que una historia sin verdad, es como Relació[n] incier-
un cuerpo sin ojos, así lo dijo Polibio es la historia ta es lo mesmo
que se extraña de la verdad como cuerpo sin ojos, que ciega.
q[ue] queda inútil y vano para todo efecto, conque
respondo al autor co[n] el santo y doctísimo car- Bellarminus
denal Belarmino, cuyas palabras por ser suyas las co[n]tra Reg. Angl.
pongo aquí: Relatio sine pudore mentitur deijs rebus cap.15.
120 FRANCISCO DE VICO

quae notissime sunt Angliae universae. Porque qué


80
Prueba el error y
más fuera de verdad se pudo imaginar una propo-
engaño de los sición que la que aquí se alega, donde se propone
autores. que para escudo aprovechan pieles más blandas
q[ue] cordobán, y hace[n] defensa de lo que es
regalo y suavidad, mayormente, encontrándose
con proposició[n] menos extraña que la primera;
81 como es decir que la carne del moflón es para
Carne del moflón
es comestible y echar a mal, porque es fresca y salada, sirve de bas-
sana. timento, ni su abundancia tanta que sobre en esa
manera. Si yo escribiera para los naturales solos o
para los q[ue] algún tiempo han estado en Sarde-
ña, refiriera los autores y los dejara sin respuesta,
pues ninguna se le podía dar mayor que a tan des-
baratados discursos dejarlos, para que en su mesma
vanidad se deshiciesen; pero escribiendo para
todos, digo que el mofló[n], animal aunq[ue]
único en Sardeña, es dificilísimo en cazar, y se
adquiere a sí para aprovechar su piel, que es de
regalo para vestido, como para aprovechar su carne
que salada y fresca se come, sin que hasta ahora su
abu[n]dancia haya obligado a que se eche a mal, a
lo menos que los naturales lo sepamos, y lo debe-
mos saber; y aunque el crédito está y se debe dar
comúnmente a los de la tierra a lo que della dicen,
pues son testigos oculares, y de materia que nadie
la puede saber mejor, en ésta es con singularidad
más apretada, pues de los moflones ni Sardeña no
da la noticia, ni ninguno la puede dar, pues en otra
parte no los hay, y la relación que en el capítulo
tercero se puso, y la déste § es sin que admita
escrúpulo lo cierto y verdadero.
Estos son cuantos singulares refieren co[n]tra Sar-
deña, y convencidos que ni montes, aguas, anima-
les o yerbas son venenosos, nuestra proposición
propuesta al principio, de q[ue] verificados no ser
ciertos los singulares en que fundaban las causas de
pestilencia en Sardeña, quedaría restituída a su
fama, y conve[n]cida la verdad, que es por cuya
averiguación se pleitea, que ni Sardeña fue, ni es
Historia general - Primera parte 121

pestilente, ni tiene en sí cosa que le haya podido


ocasionar a serlo, conque en términos lógicos y
juristas, será eficaz nuestro argumento, singulari- 82
zando y desvaneciendo las objeciones, para que Co[n]vence la
probanza en favor
desvanecidas las causas pestilentes que nos opo- de Sardeña por
nen, cesen las malas opiniones y sus efectos. filosofía y dere-
Convencidos con la verdad y experiencia de que cho. Aldret. &
no hay causa particular en Sardeña, ni cosa a que Doctores.l. patre
furioso.ff. de his
la ocasione al mal crédito en que la han puesto, que sunt. Roman
dejadas las particulares, se reduce[n] a causas plene cons.102.&
comunes, y dicen q[ue] en el estío no se puede cons.111.
Crautt.consil. 306.
caminar por algunas partes de Sardeña, señalando Feder. de
a Oristán, y la que correspo[n]de a Orosei y Posa- Sen.cous.150
da; ser enfermo el tiempo del estío, en cuanto el 83
Otra objeción
mundo tiene de habitable, ora sea por la mudanza contra Sardeña.
del clima y tránsito de una calidad a otra contraria, 84
ora otra causa oculta, todos lo reconocen y confie- El estío es gene-
ralme[n]te enfer-
san, q[ue] el estío es pestile[n]te a los animales, mo.
enfermo le llama Virgilio, y los médicos lo confie- Universal senti-
san. Las mutaciones de Roma temidas son en todo mie[n]to. Lucius
deca.I.lib.5
el mu[n]do; en Nápoles es ley q[ue] los citados en
el estío no te[n]gan obligació[n] a comparecer.
Sie[n]do pues estas verdades corrientes, común y
generalmente reconocidas, holgara yo saber por
q[ué] las tierras que no permiten entrar ni salir de
sí, y las que dispensan el derecho en sus estíos, son
delicias del mu[n]do, y Sardeña menos grave que
otra que sin peligro se entra en ella y sale en su
estío, ha de ser la pestilente.
Y que el estío de Sardeña sea menos grave lo prue- 85
Estío en Sardeña
ban las razones con que los contrarios quieren ase- menos enfermo
gurar su opinión; porque prueban q[ue] Oristán y que en otras par-
su comarca, y la de Orosei y Posada son las enfer- tes.86
Lo que dicen del
mas, y que no admite[n] pasaje en el estío (demos estío en Oristán,
que así sea, que después lo averiguaremos); estos Orosei y Posada.
son dos lugares, y no los mayores ni más frecuen-
tados de Sardeña, luego cuando los condenemos a
cuanto quieren los que contra ellos arguyen, no
será Sardeña la enferma, sino estos dos lugares,
quedándole libres cuarenta de cuare[n]ta y dos ciu-
122 FRANCISCO DE VICO

dades, que en la antigüedad tuvo, y hoy siete con


obispos y tres arzobispales, como lo confiesa Iacet.
87 Cuando el señor infante don Alonso de Aragón
partió a Sardeña con su gente en sesenta galeras,
veinte y cuatro navíos co[n] otros menores que
llegaban a trescientas velas, para tomar la posesión
de la enfeudación que el papa Bonifacio VIII
había dado al señor rey don Jaime, su padre, llegó
allá a los nueve del mes de junio de 1323, y des-
embarcó con toda su gente en puerto Palmas; y
con ser en los caniculares q[ue] es cuando el sol y
su intemperie más ofende, no se dice que hubo
peste, ni q[ue] su gente padeciese más que el can-
sancio y trabajo del camino y navegación; ni
menos se dice que la tuvo la gente del rey don
Pedro de Aragón, cuando llegó a Sardeña para
componer las cosas del juez M<a>riano20 de
88
Pruebas por his-
Arborea.
torias q[ue] estos Año de 1478, estando el Reino de Sardeña dividi-
lugares no son do en bandos por los que traían entre sí el virrey
mal sano.
don Nicolás Carroz, y el Conde de Quirra, su hijo,
co[n] el Marqués de Oristán y Co[n]de de Gocia-
no, don Leonardo de Alagón, y el Vizconde de
Sanluri, estando el Reino afligido de hambre, por
la que había causado la co[n]tinua guerra y falta
q[ue] con ella se había hecho al sembrar y coger de
los panes, salieron con ejército, atravesando el
Virrey desde Cáller hasta Sácer; y a doce de mayo
fue caminando a Gociano de que se entregó y des-
89 pués a Oristán, y habiendo ido y vuelto este ejérci-
Ejército q[ue] en
el estío atraviesa a to en la fuerza mayor del estío, y estando en Oris-
Oristán sin daño. tán, no hubo enfermo alguno; y, aunque el virrey
y su hijo murieron después de haber vuelto a
Zurita
Cáller, fue por la causa que averiguó la justicia, y
annal.cap.18. trae Zurita, q[ue] cuenta muy particularmente la
lib.20. jornada.

20 Mariano: en el texto original, “Meriano”.


Historia general - Primera parte 123

Don Artal de Alagón, el año de 1430, corrió las 90


Otro ejército
costas de Sardeña, procurando, como sucesor en la q[ue] atravesó en
Casa de Arborea, apoderarse de los estados que el estío estos luga-
tuvieron, llegó a la isla por agosto, y, habié[n]dola res sin riesgo.
atravesado por sus costas, desembarcó en Longo-
sardo, y se ocupó de la co[n]quista de aquella y
otras fuerzas por muchos días, hasta q[ue] en Oris-
tán ocupó la torre de San Jorge, el burgo, y Santa
María, sin q[ue] siendo el tiempo tan riguroso los
lastimase peste alguna.
Cuando el Vizconde de Narbona entró, apoderán- 91
Otro ejército que
dose de Sardeña su ejército, y el del virrey, Co[n]de estuvo sobre
de Quirra, estuvieron sobre Oristán buena parte Oristán sin riesgo
del estío, sin que peste los turbase o inquietase. en el estío. Zurit.
lib.II.cap.5. Zurit.
El señor rey don Alonso Quinto pasó a Sardeña lib.II.cap.77.
contra el Vizconde de Narbona el año 1420, y
dándose a once de agosto la batalla, y asistiendo el 92
Otro ejército
ejército real hasta apoderarse de aquel estado, no sobre Oristán sin
hubo peste alguna o enfermedad, ni la refieren las riesgo en el estío.
historias. Zurit.lib.13.
cap.4.
Como estos ejemplos, pudiéramos traer otros
muchos, así antiguos como modernos, de manera
que en todos siglos convencen q[ue], aunque la
comú[n] enfermedad de los estíos comprende
todas tierras y clima, en ésta de Sardeña siendo el
tiempo tan destemplado, en proprios ni en extran-
jeros hubo peste, mayormente estando en hambres
y guerras, q[ue] como perpetuas co[m]pañeras de
la peste, donde quiera se acompañan, conque pare-
ce que queda convencida cuanto basta esta parte
que condena a Sardeña en el estío por no pasage-
ra, no siendo tampoco todas las provincias referi-
das y otras muchas que con un tabardillo den al
traste al más regalado.
124 FRANCISCO DE VICO

Capítulo X
De las costumbres a que su naturaleza inclina a los
I sardos y de su vestido, traje y lenguaje.
Almas co[m]para- A las semillas aco[m]paran las almas, pues siendo
das a las semillas.
unas en la sustancia, el distinto terruno, riego o
clima, las hace perecer como diversas en sabor y
otras calidades; de aquí es que, sie[n]do la natura-
2
leza humana igual en todas las criaturas, casi a
Varían en las todas las naciones se les ha pegado del terruno o
co[n]diciones por clima una individual condición, q[ue] parece es a
el lugar en q[ue] todos connatural, y los distingue de los demás; y
nacen.
así se han ido descubriendo en las naciones las cali-
dades que las siguen, llamando bárbaros a los de
3 Tebas; a los de Atenas, perspicaces; tímidos a los de
Calidades pro-
prias de algunas Frigia; varios a los de Mauritania; sangrientos a los
naciones. dálmatas, y mentirosos a los cretenses; y toda esta
diferencia nace de los varios efectos en que emplea-
4
Divinidad que
mos aquellos rayos de divinidad, que se nos parti-
participó el hom- ciparon con el aliento divino; lo cantó, suave y
bre de Dios. dóctamente, Alquimies en estos versos:
Alchimius. An.
lib.II.
Postquam perfectae iacuit no-
de primor vitatis imago
Purent.ginerat Formatumq[ue] tuffum spectem
Tris.Magist.lib. de pervenit in omnem
Deo.invisi.
Idem Nam tenem sanni flatum
Lactan.Firm. perfundit ab ore
lib.I.instit.divij. Inspiraeq[ue] homini quem pro-
D. Gregor.
Natian. timu ille recepiu[m] attruhit.
li.2.Proleg. Plinio le llamó una ascua encendida de fuego inte-
Theodoret.lib.4. rior que inclina a religión; y de aquí es que no hay
de Graec. affeccur.
Cyril.cath.9. nación tan bárbara, que no reconozca alguna dei-
Tertul.adver. dad. Pero aunque este efecto común de providen-
Mare.lib.I.c.14. cia divina, igualmente se reparte en todas las cria-
Athanasius
orat.cont.idola.
turas, y son deudores dél a su Criador, hay otras
August. in deudas más particulares que deben reconocer algu-
Psalm.148.clem. nos hombres más q[ue] otros a Dios, y es de lo que
Zacharias Proverb.
in
se preciaba el griego, que daba gracias a los dioses,
Symb.dem.I.art. no solo del ser de hombre que le habían concedi-
6. do, sino del ser griego, pues parecía haberle dado
el ser duplicado, uno en la naturaleza, y otro en el
Historia general - Primera parte 125

conocimiento; esto quiso reducir a razón natural 5


Aunque todos los
Celio Rodigino, y así repartió propriedades indivi- ho[m]bres
duales a las criaturas, según la parte del mundo debe[n] su ser a
que les cupo para el nacimiento; y, dejando las que Dios, unos más
q[ue] otros le son
no nos competen, dice de las que como Sardeña deudores.
son templadas, de manera que ni el frío las aflige, Cellius Rodig. en
ni el calor las destempla, que semejantes climas sus lug.antig.
lib.10.
produce[n] ingenios hábiles para las letras y con-
naturales para el gobierno y acciones insignes; por- 6
que como cantó el poeta, cuerpo y alma se ayudan Tierras templadas
de la templa[n]za del cielo: Caeterum medianae influye[n] mejo-
res calidades en
regiones hinc calore, hinc frigore temperatae ad habi- sus naturales.
tumq[ue] in primis congruum rettocatae; tum
prudẽtiora premunt ingenia, & sapientiora; tum
imperij praecipue ad nacta factaq[ue]. Y es lo que
Ovidio reconoció: Tempertè caeli corpusq[ue] ani-
musq[ue] iuvatur.
Asentado pues por las razones comunes cuál sea el
temple más favorable según el orden natural, para
que alma y cuerpo, con influencias más favorables,
se ayuden y medren mejores co[n]diciones, será
necesario que reduzgamos21 a la memoria cuando
describimos el sitio de Sardeña, lo que allí se averi-
guó, conviene a saber, que hallándose entre Fran-
cia y África, ni las désta la descomponen, ni las
tramo[n]tanas de aquélla le faltan, con que le tie- 7
nen en tal templanza, que ni el frío le es suma- Sardeña tierra
templada.
me[n]te enojoso, ni el calor de pesar; con lo cual
queda corriente la doctrina de Rodigino, q[ue] esta
nación como las demás que participan deste favor,
produce ingenios más acomodados a todas artes, y
ánimos más dispuestos a todo ejercicio; y así es ello
sin duda en Sardeña, donde las armas y sus traba-
jos le son connaturales, para no extrañarlos, donde
quiera que se hallan; así lo ejecutorió Roma en sus
mármoles, como vimos, capítulo 3°, ibi: Bello

1 Reduzgamos: “reduzcamos”.
126 FRANCISCO DE VICO

Iacet in deditos homines ac laboriosos generat. Y Iacet, últi-


Histor.Europa de
Sardinia,cap.6. mamente, lo reconoce, ibi: Sardi autem sunt corpo-
fol.mihi 158 re robusto, & laborum patientes. Ni cualesquier
ciencias o artes se dificultan a sus ingenios, de
manera que desde que les dio ociosidad la ocupa-
ció[n] de las armas, para uno y otro, siempre ha
habido notorias experiencias de ambas cosas en su
favor, y porque las armas y su ruido nos tuvieron
ocupados con naciones extranjeras, que compitie-
ron su dominio por tantos años, hasta que llegó la
era dorada de la felice Monarquía de España, a
cuya sombra vive segú[n] como queda dicho. Diré
primero cuá[n]to la ennoblece las armas, y después
verificaré la felicidad con que ha lucido en todas
8
La introducción letras.
de la fe católica y Pero no es de olvidar el inter que entre uno y otro
conservación tiempo tuvo, y así digo que aquellos rayos de divi-
della en Sardeña.
nidad que connaturalizó Dios en la creación del
alma, dándole cierta participación de sí, de que
9 nace en todas las criaturas el conocimiento de dei-
Predicació[n]
evangélica en Sar-
dad superior a su ser, dichosamente los conservó y
deña desde los conserva, admitiendo la ley eva[n]gélica, que bebió
Apóstoles. en las fuentes originales de su primera emanación
al mundo por los Apóstoles; y, así, casi desde que
la luz evangélica ilustró el mundo, sacándola de
tinieblas, la participó Sardeña tan agradecida, que
nunca ha innovado o alterado de su primera pure-
10 za, y ha mostrado sus afectos, parte co[n] propria
Demostraciones sangre de mártires ilustres, que en defensa de la fe
gra[n]des que han padecido (de que se harán capítulos particula-
parece[n] en Sar-
deña de amor y res), parte en templos suntuosos y ornamentos de
veneración a la fe costa y precio, de manera que sin exageración
católica. podemos asegurar que en parte alguna de la cris-
tiandad hay tan poca tierra con tantas e ilustres
rentas y dignidades eclesiásticas, ilustres templos y
lo que más es, que tan connatural les fue la suje-
ción y obediencia a la autoridad eclesiástica, que se
11 reconoció peculio suyo; y, así, la jurisdicción tem-
Sardeña, peculio poral que hoy reconoce, fue dádiva pontificia, en
de la Iglesia.
cuyo reconocimiento continuó el de los reyes, tan
Historia general - Primera parte 127

fiel y leal, que la entereza de su fe en lo divino, le


luce en tal manera en lo temporal, que como aque- 12
lla se ha conservado ilesa, también se conserva eso- Conserva[n]do la
tra con cierta especie de religión; pues no hay fe divina entera y
sin lesión, han
negarle a los reyes que en su obediencia la hay, por- tambié[n]
que de derecho divino consta q[ue] por Dios rei- co[n]servado a
nan los reyes, y más los que reinan en Sardeña, sus reyes la
pues ex concessione divina ecclesiae, por su vicario humana con igual
entereza.
hecha, les fue Sardeña concedida.
Las más naciones que salie[n]do de sí mesmas pro- 13
curaron extenderse a las extranjeras fue porq[ue], Causa porque las
más naciones
desacomodadas de su naturaleza, hubieron menes- peregrinan de sus
ter buscar en otros lo que les faltaba en sí; desto patrias.
mucho dicen cuantos tratan de las salidas de las
naciones septentrionales para otras partes, como
veremos en la tercera parte desta historia; no así
Sardeña, pues nada puede desear de otra alguna
nación para vivir en sí, pues como las historias 14
extranjeras nos confiesan, a Sardeña nada le falta Sardeña abu[n]da
de lo necesario para la vida humana. Y recono- de todo lo nece-
sario a la vida
ciendo este tan gra[n]de beneficio por don parti- humana.
cular de Dios, son los sardos naturalmente carita- Iacet ubi sup.&
tivos, magnánimos y liberales en hospedar y rega- Zurita.
lar los forasteros, como lo dijo Iacet con estas pala- Iacet in Histor.
bras: Abundat Sardinia cunctis ad victum humanum Europ.fol.158
necessarijs, advenos amanter, & satis humaniter acci-
pit; con lo cual, mientras no han tenido algún
gobernador que necesite de los sardos para con-
quistar o guerrear con otros, ellos por sí nu[n]ca se
han visto en apretura de salir de sí para buscar a
otros; y, así, no hallaremos en los sardos las con- 15
quistas de los septentrionales q[ue] tan famosos los Sardeña famosa
ha hecho en el orbe, ni tampoco los de los roma- por la defensa
que de sí ha
nos, cuya ambición fue mayor que la tierra; pero hecho contra
hallaremos una guerra defensiva a todas cua[n]tas todas las nacio-
naciones codiciosas o ambiciosas procuraron seño- nes.
rearse del mundo en tal manera, que no menos
fama resulta a Sardeña de valerosa con su resisten-
cia, que a los otros de sus acometimientos.
Y porque en la segunda parte se discurre por los
128 FRANCISCO DE VICO

tie[m]pos y años en que los tiranos del mundo, no


pareciendo le tenían cabal por faltarles Sardeña, la
procuraron conquistar, y cómo nadie la señoreó
16 sin notable resistencia y pérdida, fuera de sus pri-
Cuán costosa fue
Sardeña a los tira-
meros fundadores; bastará en este capítulo dejarlo
nos. presupuesto, remitiéndonos a la averiguación par-
ticular que a cada cosa se dará.
17
Pruébase por his-
Referido hemos al Petrarca, que la llama nido mal
torias. seguro de los romanos, porq[ue], como interpreta
Petrarc. in triũpho Obregón, ninguna tierra les fue ta[n] costosa de
famae.cap.I. sangre y gente como Sardeña. Y estimando su
Arist.phys.4.
Simpli.ibi. mucho valor de los sardos, el papa León Cuarto,
Nicol.Leonico que gobernaba la Silla Apostólica en los años 847
lib.2.var.Histo. hasta 853 en la apretura y necesidades que tuvo
cap.17.
Italia oprimida de los sarracenos, envió a pedir
socorro de gente de armas a Sardeña, como consta
de su carta escrita al presidente o juez della, que
dice así: Celsitudinem vestram duximus exhortan-
dam, ut nobis, quanta tua provideret magnificentia
armatos, sive pueros, sive adultos ac iuvenes cum
armis suis mandare dignemini.
18 A que añado ahora que como dice[n] Aristóteles y
Sardeña, sepulcro Simplicio, es Sardeña sepulcro de héroes, porque
de héroes.
aquellos primeros que el mu[n]do tuvo todos
ambiciosos, y todos enamorados de la bondad de
Sardeña, se arrojaron a su conquista, dejando los
más las vidas rendidas al valor de sus defensores.
Y porque se vea que, aunque Sardeña no se ha
hecho famosa para sus resistencias con el maldito
instrumento de la pólvora, de que tambié[n] abun-
19 da después acá que se inventó, sino que su proprio
Famosa por la valor e inclinación a las armas se las descubrió con-
resistencia hecha naturales a aquellas edades primeras, y después
co[n] su natural
valor. parece que lo son segú[n] se hallan felices en los
arcabuces y escopetas.
Nos hemos de acordar cómo tratando de los
20
Comúnme[n]te
moflones, jabalíes y otros, dijimos cuán ordinaria
los dados a la y co[n]tinua era en Sardeña la caza, y consiguien-
caza son valero- temente habremos de reconocer que los que en ella
sos.
se ejercitan, es imposible q[ue] dejen de ser valero-
Historia general - Primera parte 129

sos. Todos califican cuán robusto ejercicio es éste,


y así, habla[n]do del primer tirano, Membrot, se
dice: Ipse erat potens in terra, & erat robustus vena-
tor. Jenofonte resuelve que es tan poca la diferen- 21
Caza y guerra
cia de la guerra a la caza, que habrá pocos que la muy parecidas.
deslinden, unos mesmos vestidos usaban con Xenophon.lib.I.
igualdad para la batalla y monte. Hist.
Siendo pues tan robusto y trabajado el ejercicio de 22
Caza continua en
la caza, y siendo tan continua en Sardeña, eviden- Sardeña.
temente debe reconocer que los ánimos que natu-
ralmente se inclinan y ejercen en semejantes accio-
nes, pueden sin escrúpulo calificarse por muy mar-
ciales y animosos, mayormente asistié[n]doles el
uso de los caballos tan connatural, que de la cuna
pasa el muchacho a la silla, sin que parezca exage-
ración a los que lo han experimentado en Sardeña,
aunque se juzgue difícil, ver q[ue] los muchachos,
23
aún ignorantes de andar por sí, sepan correr caba- Hombres de a
llos. caballo natural-
Y habiendo sucedido el ejercicio de otras armas, ya mente los sardos.
forzosas para vivir, servir y defenderse, nadie casi
gana ya el comer sin industriarse al tiro, en tal
manera, que el uso de las ballestas y destreza en los 24
tiros dellas, es ave[n]tajadísimo, enseñándose a él Ballesteros muy
diestros los sar-
desde pequeños con ejercitarse, estimulados de dos.
premio que proponen.
Lo mismo ha sucedido en las pistolas y escopetas,
25
cuyo veneno se les comunicó tan general, que Tambié[n] lo son
pegándoles su inquietud, ha sido necesario por en las pistolas y
buen gobierno, prohibir que no se traigan ni fabri- escopetas.
quen, ni tengan las pistolas (como veremos cuan-
do se trate de su gobierno).
En todas ocasiones de guerra han dado muestras
de mucho valor y destreza, particularmente en la 26
conquista de Granada, donde se hallaron sirviendo Sardos sirvieron
a los señores Reyes Católicos muchos sardos, y mucho a los
Reyes Católicos
aunque de sus particulares hechos no nos quedó en la conquista
relación, no se olvidará la memoria de Leonardo de Granada.
Tola, el cual, saliendo a desafío particular co[n] un
moro granadino, que, como Goliat, desafiaba a
130 FRANCISCO DE VICO

27 todos los de nuestro ejército, valiéndose de la des-


Leonardo Tola y
su hazaña. treza con que en Sardeña enlazan los caballos y
toros indómitos, que es arrojando un lazo que
nunca yerran, enlazó el sardo al moro, de manera
que le rindió y llevó arrastrando hasta los reales del
serenísimo Rey Católico, don Fernando, como
28 refiere el privilegio real con que fue armado caba-
Privilegio que se
dio a Tola.
llero Tola, que conservan sus descendientes con
armas que su Majestad les dio.
Cada día pudiéramos dar comprobaciones, pues
siendo infestadas las costas de Sardeña de moros,
29 pocos jinetes nuestros les hacen dejar las presas y a
Costas de Sarde- vueltas la libertad y vida. El último q[ue] sabemos
ña bie[n] defendi- fue de Bernardino Puliga, descendiente del anti-
das por los jine-
tes. guo linaje de los Puligas en Sardeña, que
30 tenie[n]do noticia que los moros habían de noche
Hazaña de Ber- saqueado a Siniscola, tierra marítima junto a Posa-
nardo Puliga.
da, y que con número de más de ciento y cincuen-
ta cautivos se recogían al mar, obligado de su naci-
miento e inclinación marcial, co[n] diez solos
hombres de a caballo q[ue] pudo recoger de repen-
te, a media noche les salió al camino, y muy des-
igual en número y superior en valor, recobraron la
presa, y siguié[n]doles en alcance, escaparon pocos
mal heridos, quedando los demás muertos.
En fin los siglos pasados reconocieron y los pre-
sentes testifican, que las antiguallas de Roma con
verdad experimentada, grabaro[n] en sus mármo-
les justísimamente la relación que dejamos puesta
en el capítulo tercero, cuyo verso último con tan-
31 tas autoridades afirma de Sardeña que sus hijos
En todos siglos nacen naturalme[n]te inclinados a las guerras y sus
ha sido gloriosa trabajos; y diremos con el poeta que de nuestro
Sardeña en sus
armas y valor. proprio origen nos viene ser linaje de gentes mar-
ciales y sufridoras de sus trabajos:
Inde genus durum sumus ex-
periensq[ue] laborum
Et documenta damus qua
simus origine nati.
Y porque la guerra defensiva es la más justificada,
Historia general - Primera parte 131

y recebida por costumbre y derecho de las gentes, 32


Guerra defensiva,
tambié[n] la debemos reconocer por la no menos la
valerosa. más justificada.
Gloriosa se pinta España, porque nunca pudo glo-
riarse Roma que enteramente la tuvo sujeta, y esta 33
singularidad la hace más famosa que sus grandes e Gloria de España,
ilustres conquistas, cuanto es más ilustre la victoria que nadie la tuvo
enteramente suje-
que se gana del romano diestro y aventajado en ta.
armas, que del indio bárbaro y desnudo; con esta
misma gloria se ennoblece Sardeña, pues no
habiendo tiranos de cuantos el mundo ha tenido
que no la hayan envestido, les ha sido la
resiste[n]cia tan varonil, que o desesperados de la
victoria han cedido a la pretensión, o si la han con-
seguido, no ha sido de toda Sardeña, quedándose
los montañeses siempre invencibles, como recono-
ce Zurita, con estas palabras: No hallo autor grave 34
Ninguna nación
que escriba por constante, que hubiese sido en algún ha dominado
tiempo toda la isla de Sardeña sojuzgada debajo del enteramente a
yugo de los infieles, y la parte que ganaron les ha sido Sardeña.
tan costosa que el precio de su sangre e industria, les
ha hallado lo que el valor no pudiera. La primera vez Mann.
que Marón, capitá[n] cartaginés, les acometió,
35
perdió la batalla y gente, (de que hablaremos en Sardos, fáciles a
otra parte), cua[n]do después de haberse dado a los todas las artes
romanos, la recobraro[n] cartagine[n]ses, y en la liberales.
primer guerra Púnica que litigaron su dominio, 36
Leyes antiguas de
costosísima les salió, y siempre lo fue, como iremos Sardeña contra
discurriendo en los años que se siguen, de manera los ociosos.
que no ha habido tierra sobre que tanto se haya Elian.li.4.var.
Hist.Sard.lib.I.
litigado de extranjeros, siéndoles a todos costosísi- de mor.&Retugent.
ma por la defensa que hallaban. cap.23.
Innegable es así mesmo, la facilidad con que inge- Diodor.Sicul.
lib.2.
niosamente se acomodan a todas artes; en las libe- Herodot.lib.2.
rales, sin salir de su patria, tienen lo necesario, y en Bris.lib.I.
las mecánicas, general y perfectísimamente se facet..6.I00
Bobadil.in
hallan entre ellos, y cuando el ingenio no facilita- Polit.
ra, la fuerza indujera; porque en sus gobiernos lib.2.c.13.n.32.
políticos reconocieron aquellos primeros héroes Petr.Greg. ubi
supra num.5.
cuán madrastra es de todo bien la ociosidad, y así
132 FRANCISCO DE VICO

había leyes en Sardeña que la castigaban con rigor,


como testifican Eliano, Alejandro Sardo, Diodoro
Sículo y Heródoto, de que hace menció[n] Casti-
llo de Bobadilla en su Política, y Pedro Gregorio
añade que a cada uno de los vecinos y moradores,
había tiempo en que se le pedían razón de su
vivienda, co[n]que cuando sus ingenios no fuesen
como son de la facilidad que decimos, la obliga-
ción de dar cuenta de sí, les hiciera acomodarse.
Pero es, sin duda, que como la abundancia de la
tierra es tanta, así son los ejercicios, de que en
todos menesteres se halla[n] grandes maestros.
37 Y en cuanto a las ciencias superiores de teología y
Sardos, ilustres en derechos, han sido ilustrísimos en su gobierno
ciencias mayores.
político, cuando con libertad pudieron disponerle
conservá[n]dose con sus leyes municipales, justa y
38 prudentemente, como porque para enseñanza de
Sardos, se han
defendido por sí
la fe y oposición a los herejes, nunca han habido
de los herejes. menester buscar maestros, porque dichosamente
abundante dellos en esta materia, como en todas,
la Majestad divina ha sido tan gloriosa con Sarde-
ña en esta parte, q[ue], conservando la pureza de
su fe, ha tambié[n] dado muestras de sí en la gue-
rra defensiva de los herejes sin jamás admitirlos, y
así dichosamente haciendo muestra de las fuerzas
de su ingenio, puede gloriarse de haber derramado
sangre por conservación de la fe divina, como ha
hecho por la de su libertad.
Es a la naturaleza de los sardos, como referimos en
otra parte connatural la poesía, la facilidad y la
prontitud de ingenio a todas las ciencias y artes, de
que se compuso el verbo sardare o intelligere, que
es lo mesmo como dicho verbo explica Calepino;
y así en fuerza deste vocablo, lo mismo es decir
sardo que inteligente o naturalmente apto a la
inteligencia de todas letras, y, en particular, se
experime[n]ta generalme[n]te en la poesía, en
q[ue], sin enseña[n]za, se acomoda[n] por su natu-
raleza tan fáciles, q[ue] el más remoto pastor y
montañés dispone en su lengua sus quejas o amo-
Historia general - Primera parte 133

res, y lidia[n] dos o más entre sí, respondié[n]dose


los unos a los otros en tal le[n]guaje, q[ue] ellos
mesmos se introduce[n] en la co[n]formidad, y
medida de los versos, q[ue] a más del gusto y delei-
te, da admiració[n] a los oyentes en su pro[n]titud,
cadencias y sente[n]cias agudas de los versos, y lo
mismo sucede en las mujeres de la montaña, en las
endechas que cantan de sus duelos y aflicciones. 39
La fisonomía en comú[n] demuestra en los natu- Fisonomía de los
rales estas mismas co[n]diciones, porq[ue] son sardos, cuán
comú[n]me[n]te de buena proporció[n] los sardos buena.
bie[n] agestados y dispuestos, el color bla[n]co, la
disposició[n] robusta y, en fin, ni en las mujeres, ni
en los ho[m]bres cabe envidia de hermosuras
extranjeras.
Su vestido antiguo heredaro[n] de los primeros 40
padres a quienes Dios primeramente dio el de pie- Vestido antiguo
de los sardos que
les de animales, éste les llevó Hércules y su hijo les dio Hércules,
Sardo, así llamaro[n] los griegos a Hércules el su fundador.
empellejado; aunque Rodigino quiere que Pelas-
Rodigin.
go, Rey de Arcadia, fuese el primero q[ue] los vis- test.antiq.
tió de pieles. Los antiguos romanos usaron deste lib.9.cap.3.
vestido, y algunos quieren q[ue] en aquellos siglos Proper.li.3.
fuesen moneda y vestido las pieles. Los escitas las 41
Vestido de pieles
tenían por sagradas, y se jurame[n]taba[n] en y su antigüedad.
ellas, y los casamientos se hacían sentada la novia 42
en una piel, y lo mesmo era estar in pellibus, que Vestiduras de pie-
les sagradas.
en compañía. El Sipontino con autoridad de Sipontin. ex Plau-
Plauto, dice, q[ue] los españoles las llamaba[n] to
Strigia, y nosotros los sardos mastrucas, sus pala-
Cicer. pro scauro.
bras son: Vestes pellicae quibus in castris utũtur ab
Hispanis Strigia, a Sardis Mastrucae. Y así también 43
Ciceró[n], Sardorum Mastruca. Y san Jerónimo se Los más ilustres
héroes de la anti-
acordó desta vestidura con Volaterrano y Ninfo- güedad vistiero[n]
doro. Todos los héroes antiguos se ilustraron con pieles.
esta vestidura, y así las atribuyen a Camila, Anteo,
44
Baco, Anfiloto, Tarsen. Pieles, vestido
Estas vestiduras era[n] las comunes de Sardeña, primero y
acomodadas a su inclinación y traje militar, útiles comú[n] en Sar-
para todo tie[m]po, pues en el invierno la lana deña.
134 FRANCISCO DE VICO

abriga a parte de de[n]tro, y en el verano repara el


45
Socorro de
calor y refresca vuelta a fuera; así lo reconoció
importa[n]cia Roma, a quien, como refiere Livio, socorrió Sarde-
q[ue] Sardeña ña con doce mil de sus mastrucas o vestiduras mili-
hizo a Roma de
sus pieles.
tares; de aquí llama el mesmo Livio a los sardos,
Pellida, & in pelludos sardos. Y así lo reconoce
Sabe. En.5.lib.3. Sabelio.
46
Felices fueron los siglos q[ue] se co[n]tentaba[n]
Felicidad llama- co[n] estas vestiduras y felices los sardos si
ro[n] los antiguos co[n]tinua[n]do su militar y antigua costu[m]bre
la del siglo en que se co[n]servara[n] en ella; pero estas se mudaro[n]
se vistieron pieles.
en Sardeña en el mismo tie[m]po q[ue] en las
demás provincias forasteras, sin q[ue] haya queda-
do rastro dellas, sino es en algú[n] pastor q[ue] usa
Hoy conserva della en el rigor del invierno, quedando su ganado
Sardeña este ves- en el mo[n]te y tierras de nieve de la misma mane-
tido. ra q[ue] la usan en España y otras partes, y se abra-
zaro[n] los trajes difere[n]tes de las demás nacio-
nes, prevaleciendo siempre el más práctico de
nuestra España.
47
Sardos, cuán ami-
Es la hospitalidad de derecho de las gentes, y se
gables y benéficos co[n]firma por todos derechos divinos y humanos,
en el hospedaje. como largamente tratan los autores, y lo
48 co[m]prueba[n] los derechos, tradiciones y histo-
Derechos divinos
para el hospedaje. rias, y todas se resuelven unas y otras leyes, en lo
q[ue] Virgilio cantó:
Quod genus hoc hominum quae
Virgil. Aeneid.I. vehunt tam barbara morem
Permittit patria hospitio prohi-
bemur arene.
Horacio, In hospitalẽ causarũ; y, al co[n]trario,
Eurípides, Habet partum hospitalissimum.
Horatius Y al hospedar bien o mal, está reducido ser o no ser
Odd.22.
Euripides.
bárbaras las naciones; prueba singular de la apaci-
bilidad que influyó el clima benévolo de Sardeña
49 en sus naturales; pues aun Iacet en su descripción,
Sardeña, insigne
en su hospedaje.
como hemos dicho, reconoce q[ue] advenas amã-
ter, & satis humaniter accipiũt; que amigable y
humanísimamente reciben los extranjeros, de que
es prueba su co[n]tinuo comercio, y lo que experi-
Historia general - Primera parte 135

mentamos los del Reino, en que no es inferior a las


demás provincias de la Europa.
Su le[n]guaje antiguo es grave, deleitoso y senten- 50
cioso, mezclado de las le[n]guas griega y latina, Le[n]guaje de
Sardeña.
co[n] quie[n] simboliza notableme[n]te; porq[ue]
de la latina tiene no solo algunas palabras, pero
muchas oraciones enteras, que son de latín
corriente; del griego le han quedado muchos dia- 51
lectos, jónicos y dóricos, y particulares idiotismos Griego que se
y vocablos, mezclados co[n] muy sentenciosas fra- conserva.
ses, refranes y proverbios. Ésta es la lengua antigua,
que la que hoy continuame[n]te se usa en los más
es la castellana, conservándose en algunos lugares 52
más vecinos a Italia, la italiana, aunq[ue] no tan Le[n]gua castella-
na, hoy la más
perfecta, y en otros la catalana o valenciana, de usada.
q[ue] mezclan vocablos; de aquí es fuera de su
natural facilidad y pro[n]titud de ingenio, q[ue]
co[n] pequeña industria se hallan fáciles en todas
estas le[n]guas, por estar en su natural hechos a 53
comunicarse con dialectos, que de unas y otras les Facilidad de los
sardos en todas
han quedado. le[n]guas.
Y porq[ue] no parezca q[ue] decimos cosa q[ue] no
probemos, digo q[ue] hoy conserva Sardeña no
solo los dialectos griegos, pero en la pronuncia-
ció[n] dellos co[n]serva la mesma ortografía y pro-
nunciació[n] de las palabras griegas q[ue] les han
quedado cua[n]do los jones y dores habitaro[n] en
Sardeña, como veremos en su lugar, y les queda[n]
algunos vocablos que ju[n]tame[n]te son griegos y
sardos, au[n]q[ue] co[n] alguna variació[n] y 54
Nombres griegos
corrupción, q[ue] el tie[m]po y la mezcla de otros y sardos que hoy
le[n]guajes ha causado; y para q[ue] se vea esto se conservan.
mejor, traeré alguno dellos no de los comunes
q[ue] tambié[n] la lengua latina tomó de la griega,
y los conserva, q[ue] son sin número, sino d[e] los
extraordinarios y particulares, como el verbo isco,
q[ue] significa saber; lico, lamer; ido, ver; sehirtas o
sehirtias q[ue] es faltar; nois, nosotros; ateros o
atons, otros; mesos mesu, medio; baros, berrici,
carga; y bario bario, cargar; banbavi, banbague,
136 FRANCISCO DE VICO

algodó[n]; bae, id y andad; macari del nombre


griego macarios, significa ojalá; mandra, lugar
do[n]de se recoge el ganado; anghuelos dice el grie-
go y lo usa el le[n]guaje sardo por decir anguelos, y
de la misma manera dice anghuelu, archanghuelu,
que es lo mismo que ángel y arcángel, y así mismo
usa y pronu[n]cia el sardo otros muchos vocablos
griegos, hablando en su lengua materna, q[ue], por
no cansar al lector, no los refiero, solo añado en
co[n]firmación desto, que se usaba en Sardeña la
lengua griega tan elegante, que Marco Porcio
55 Catón, siendo pretor, aprendió en ella las letras
Conclusión de lo griegas, como veremos.
q[ue] es Sardeña Ésta, pues, es Sardeña, su clima, complexión y cali-
y queda averigua-
do. dades de sus naturales dichosísimos en ellas, y muy
obligados a la gratitud divina; y para que como
pueden serme deudores los sardos a su nobleza
56
Sardos, debe[n]
defendida, queden muy reconocidos al Señor
ser muy gratos a q[ue] se la dio, no será ajeno de mi profesió[n]
Dios por su naci- po[n]derarles la obligación en que esto les pone.
mie[n]to.
Los derechos canónicos y civiles son muy expresos,
57 comprobando que por el lugar se adquiere noble-
Pruébase esta za. Y la razón en que se fundan es que hay ciuda-
obligació[n] en des y lugares que por naturaleza de su clima, se les
derecho canóni-
co. influye cierta calidad q[ue] los hace prontos a las
C. nos qui praesu- virtudes o a las armas y así señalaba por muy gran
mimus, capit. parte d[e] dicha, tener la patria gloriosa, por ser
Adam.40.
dist.I.espist.37. una de las noblezas que más ilustran; y así, entre
q.7.cap las razones q[ue] señala[n] las leyes en Castilla para
quãdo.dist.20.l.si conocer los nobles que llaman hijosdalgo, es
quis C. de natura
lib.l.non tan- porq[ue] fueron escogidos de lugares buenos. De
tum.§. manera que esta dicha de nacer en patrias felices,
clientibus,ff.de es singularísima y de estima, no solo por los privi-
excus..tuto.l.I.ff.
de censi.l.in
legios que son añejos a los lugares, sino por la
orbe 17.ff. influencia de bienes que por la bondad del clima se
de statu.homin. les participan y comunica[n], y la mejor, la pro-
co[n] muchos
otros.
pensión natural al bien q[ue] del favorable clima
58 les previene.
Confírmalo el Cuántas obligaciones induzcan favores tan ade-
derecho civil. lantados quisiera yo saber ponderar, solo referiré
Historia general - Primera parte 137

del Texto Sagrado lo que dijo Dios a su pueblo, 59


Razó[n] por q[ue]
mandándole guardar su ley: - “Porque te elegí debe estimarse la
entre las demás gentes para que primero que otro naturaleza.
la recibieras”, le manda que le sirva, que le ame y Anton.Rusi.li.2.
memo.cap.7.
hácele para ello cargo de que le libró de enemi- Cassane. in
gos, de pestes y demás calamidades. Las amenazas cathal.glor.
de convertir en castigo los beneficios, son iguales mund.cons.3.
part.3.
a las mercedes, y que me contento co[n] repre- Timonides.
sentar lo que el Texto Sacro dice; quiera la Majes- Tiraq..de
tad divina que la docilidad de ingenios que para nobil.c.12.num.4.
todas artes y ciencias dio Dios a los sardos, la l.2.p.2.tit.21.
60
empleen en reconocer las mercedes singulares que Leyes reales que
le deben, que yo me holgara que en lo futuro se lo prueban.
señalen en el servicio de Dios, como lo hicieron 61
Por derecho divi-
nuestros antiguos y en recomendación última de no se les encarga
los sardos, pues los cielos y su Autor en lo divino a los sardos el
y humano les favorecieron tan largamente; reconocimiento a
Dios.
po[n]dero a los lectores para reprobación de opi-
niones mal fundadas, que el orden de la naturale-
za pide que águilas no engendran palomas y q[ue]
a la felicidad del clima y tierra corresponda el
fruto; y habiéndole dado a Dios y a sus reyes, los
sardos con desempeños tan lustrosos, como hoy
continúan, justamente podremos afirmar sin que 62
parezca soberbia, que en Sardeña Pruébase q[ue]
correspondie[n]do los hombres como las semillas comúnme[n]te
gratas a su clima y bondad de tierra los que nacen debe[n] ser incli-
nados al bien los
en ella, así son aptos para la paz, como para la sardos por la bon-
milicia, que experimentadamente se comprueba dad del cielo y
en todos. suelo de su patria

Capítulo XI
De los reinos en que estuvo dividida Sardeña. I
Nada terreno tiene co[n]sistencia porque naciendo Inconsiste[n]cia
de las cosas
con sujeción al movimiento sublunar, por el con- humanas.
siguiente padece sus mudanzas; hanlo experimen-
tado con demostración más conocida cuantos
monarcas han tenido el mundo, dejando para
138 FRANCISCO DE VICO

memoria solas sus muestras pronosticadas en los


eclipses que han padecido, siendo ya campos para
el arado, los que fueron tierras hermosas, y puertos
de mal abrigo a unas pequeñas barcas, los que eran
amparo capaz de poderosas armadas; nuevos reinos
se originaron de las ruinas que los antiguos deja-
ron; de manera que hemos dejado de ser, y otros
comenzando a vivir, en continuando la sucesión de
los tiempos, experimentando lo insensible la
misma mudanza que ha padecido la naturaleza
humana, por quien todo fue criado; así lo cantó
Mallio.lib.I. Malio:
Astrono. Omnia mortale mutantur le-
ge creata
Nec se cognoscũt terrae ver-
tentibus annis.
Exutae variam faciem per
secula gentes.
Y mostrólo la experie[n]cia, pues apenas ha habido
reino ni república en el mundo, q[ue] no haya
padecido su fortuna y eclipse; la romana comenzó
2 en reyes, mudose a cónsules, gobernáro[n]la des-
Monarquías y sus pués decem viros, tras ellos tribunos de los solda-
mudanzas. dos, a estos sucediero[n] tribunos de la plebe,
luego dictadores, y últimame[n]te la imperaron
tiranos con nombre de césares; y en estos, obrando
la incostancia, se mudaron de Roma a Grecia, y
hoy en Alemania. Los cartaginenses vieron trocado
por Escipión el imperio de su ciudad en provincia,
y los galos por Julio César, después establecieron
reinos, y, últimame[n]te, han llegado a monarquía.
Trajano hizo a los dac[i]os, provincia, muda[n]za
q[ue] la padeciero[n] las Panonias, Macedonia y
Dion. Alic.
Tracia; los alvanos (como dice Licinio), después de
lib.antiquit. la muerte de Amulio y Númitor, se gobernaro[n]
por magistrados anales; los egipcios, muerto
Setón, su Rey, se gobernaron por diez senadores,
hasta que restituyeron el Reino en Samético.
Periandro hizo reino la República de los corintios.
Teopompo, Rey de los espartanos, creó el tribunal
Historia general - Primera parte 139

de los Efalos, para limitar la pote[n]cia real; al fin, Diodor.Sicul.li.2.c.


2.
nada terreno tiene co[n]sistencia, pasaron los
siglos del oro a hierro; y, movidos los inferiores por Valerio
la sujeción de los cuerpos celestes, no se pudieron Max.li.4.cap.2.
conservar en un ser, por el continuo movimiento
se despeñaron como ríos por curso natural a su
acabamiento, y lo dio a entender el derecho y Aris- Arist.ethie.lib.7.
Ovid.Metho.lib.
tóteles y cantó Ovidio: 15.§.ut autem lex
Nil equidẽ durare diu sub de non alien.rebus
imagine eadem ecclesias.
Crediderim sic ad ferrũ ve-
nistis ab auro,
Saecula sic toties versa est for
tuna locorum.
Cayó el famoso Ilion, tan nombrado por sus ilu-
siones, y reverenciado de los troyanos, faltó y
quedó asolada la antigua y nombrada Troya, que
tanto celebró Virgilio.
Fuimus Troes, fuit Ilium &
ingens.
Gloria Teucronum
ruit alto à culmine Troya. Virg.li.2. Aeneid.
La isla de Tenedós, que fue capaz de la armada
griega en la guerra troyana, es hoy un triste y peli-
groso puerto:
Est in conspectu Tenedos no-
tissima fama
Insula dives opum Priami
dum Regna manebant.
Nunc tantum sinus & statio
male fida carinis.
Fue poderosa y primera en el mu[n]do la monar-
quía de los asirios, y solo nos ha dejado su memo-
ria, como la segunda griega del gran Alejandro, y
por no cansar es sin duda que no ha habido reino,
ni república en el mundo que no haya experimen- 3
Sardeña y sus
tado estas mudanzas, y en tan general tragedia mudanzas.
cupo a Sardeña su representación de mudanza,
siendo primero gobernada por aq[ue]llos antiguos
héroes o semidioses que veneró la gentilidad, como
140 FRANCISCO DE VICO

fueron Hércules, Porco, el famoso Nórax, Medusa,


4
Aristo, Gálatos, Ialao, célebre en gobierno político
Divídese su Sardo, cuyos beneficios mereciero[n] veneración
gobierno. soberana, y afectos tan leales, de quienes tratare-
mos luego en los ingresos de la segunda parte, y
como experime[n]tamos tan dulce gobierno, tam-
bién le hemos padecido de los más bárbaros e inso-
lentes tiranos que el mundo ha tenido, como nos
irán mostrando los tiempos con sus sucesos. Suce-
dieron al gobierno destos reyes, los cartagineses, y
luego los romanos, y con los adversos sucesos que
Sardeña tuvo, perecieron cuarenta y dos ciudades,
y mudando forma de gobierno, se vio dividida en
cuatro partes o provincias, llamándose ya reinos ya
judicados, y los que las gobernaban a veces se lla-
maban reyes, a veces jueces, según veremos, y lo
hallamos así en la primera parte por el proemio de
las leyes antiguas de Sardeña, dicha en el idioma
vulgar, Carta de Logu, donde una sola parte o pro-
vincia destos se llama reino; y lo mismo hallamos
en los condag<u>es22, q[ue] son los escritores y
memorias antiguas de las cosas de la isla, en las
cuales estos judicados o provincias se llaman tras
cada línea reinos, y lo afirma y testifica también así
el doctor Jerónimo Olivés en el comento y glosa
que hace al proemio de las dichas leyes; y prueba
como tenían estos jueces autoridad y poder real en
sus provincias, a que parece aludir Ovidio en el
libro cuarto de sus fastos, llamando en número
plural reinos de Sardeña:
Ovid.lib.4. de sus
fastos. Sardoaque regna finistris
Respicit à remis.
5 Porq[ue] eran cuatro estos reinos o provincias. El
Reinos de Sarde-
ña, cuatro y sus
primero, el turritano, dicho por otro nombre
términos. Logudoro de Sácer, que es casi tan grande como
los otros tres juntos. El segundo, el arborense,

22 Condagues: en el texto original, “condagres”.


Historia general - Primera parte 141

ahora Marquesado de Oristán. El tercero, callarita-


no. Y el cuarto, galurense, como varios autores
escriben, y entre ellos Sigonio, con estas palabras
habla de los pisanos: In quatuor partes Sardiniam
divisere, Callaritanam, Arborensem, Turritanam, &
Galluritanam. Destas partes, como he dicho, cada
una tuvo un juez independente de cualquiera de
las otras, y como a tales les escribió Gregorio Sép- Gregor.Septimo.
lib.I.epist.29.
timo a todos cuatro una carta, cuyo sobre escrito
dice así: Gregorius servus servorum Dei. Mariano
Turrensi, Horroco Arborensi, item Horroco Callari-
tano, & Costantino Gallurensi Iudicibus Sardiniae,
salutem & Apostolicam benedictionem, & c.
Y Folieta, hablando de Barisonio, juez de Arbo-
rea, sobre las molestias que le diero[n] los pisa-
nos, año d[e] 1130 y 1164, afirma la división del
Reino en cuatro partes, y las nombra todas con
sus jueces. Lo mismo se hallará en Julio Rosio en
el tratado que hizo de triumpho martyrum,
do[n]de, trata[n]do de los tres ilustrísimos márti-
res sardos turritanos, Gabino, Proto y Januario,
dice que Sardeña se divide en las partes referidas;
que si bien de la tercera y cuarta hace una, toda-
vía no discrepa en nombrar las cuatro. Tres (dice)
praecipuè in partes Sardinia dividitur, quarum
prima Regnũ loci auri vulgò Logudoro, secunda
Arboreae, tertia Gallureque & Callaris appellatur.
Y generalme[n]te, los historiadores genoveses y
pisanos llaman reyes a los jueces, y reinos a los
judicados y provincias; así los llamó el cardenal
Ostiense en tiempo del papa Alejandro Segundo,
que fue el año de 1065, según refiere Mainoldo
por estas palabras: Nominat duos Reges Sardiniae
Barisonem, & Trocitorium, quorum primum Logu- Volat.li.6.
dori, alterum Callaris Regem fuisse docet. Y de la Geograph.fol.27.
misma manera Volaterrano, en su Geografía,
nombra co[n] este título de rey al juez turritano,
y hace mención del palacio real, que, entre otros,
tenía en el valle de Sirchi o Quiterone, junto al
lugar donde ahora está la ciudad de Sácer, del
142 FRANCISCO DE VICO

6 cual se cree que era natural san Eusebio, obispo


Templo de San
Eusebio, Obispo vercelense, y está en él hasta hoy día un templo
de Vercelli en antiguo y único en Sardeña, dedicado al mismo
Sardeña, de Santo. También el glorioso san Bernardo, en una
donde dice[n]
era natural.
de sus epístolas al papa Eugenio, que fue antes
monje y discípulo suyo, (y es en el orde[n] de sus
epístolas la 244), llamó al mismo juez turritano
en nombre de príncipe bueno y cristiano, porque
después de haber hecho mención del juez de
Arborea, a quie[n] había descomulgado Baldivio,
Arzobispo de Pisa (dice) quodo sanctae memoriae
Baldivius Pisanus Archiepiscopus fecit in Sardinia
de excommunicatione Arborensis (quiere decir)
Arborensis Iudicis, quia non nisi iuste hoc virum
bonum fecisse credimus vestra authoritate ratum, &
inconcussum manere rogamus. Y más abajo,
hablando del juez turritano, dice estas palabras,
con las cuales remata aquella epístola: Porro
Turritanus Iudex, quia bonus dicitur esse Princeps
sit vobis commendatus, & a vobis manu teneatur,
que es lo mismo que en nuestro romance: “Al
juez turritano, por ser tan buen príncipe, enco-
mendando a vuestra Santidad para que lo ampa-
re y tenga de su mano”.
7 Con lo dicho conviene muy bien lo que en su Polí-
Nombre de jue- tica advirtió Castillo de Bobadilla, que los prime-
ces, su antigüe- ros reyes de Grecia, Faco, Minos y Rodamaco, no
dad y
estimació[n]. tenían calidad o nombre que más estimado fuese
Bobad.li.I. que ser llamados jueces, lo cual se continuó des-
Polit.cap.9. pués en los príncipes de Atenas, y no solo los
num.4.
medos, y comúnme[n]te los griegos y latinos, sino
también entre los hebreos los capitanes generales y
gobernadores superiores en autoridad para con
ellos no tenían otra calidad o renombre más que de
jueces, que segú[n] Genebrardo in Chronicon,
pasaron en el año 2709. Destos fueron Josué, Oto-
niel, Caleb, Gedeón, Sansón y otros, según es de
ver en el Libro de los Jueces, que toma dellos el
nombre, y lo mismo se ha usado en otras provin-
cias, do[n]de los príncipes han profesado el juzgar
Historia general - Primera parte 143

por sus personas; y el Reino de Castilla que tanto


está hoy engrandecido, deja[n]do el modo de
gobierno que tenía de los reyes que le presidían,
vino a hacer elección entre toda la nobleza del
Reino de dos personas, que fueron Nuño Rasura y
Laín Calvo, para que con título de jueces tuviesen
el supremo y universal imperio de la República de
Castilla; y así, el nombre de juez ha sido muy esti-
mado en varias naciones e igualado al nombre de Marian.li.8.cap.
rey. 13.
A todo lo dicho tocante a la divisió[n] del Reino
en sus cuatro partes, parece que se puede oponer 8
primeramente lo q[ue] algunos autores han dejado Objeción contra
escrito, que Sardeña se divide en tres partes o pro- lo dicho.
9
vincias, como hemos visto de Jerónimo de Olivés, Sardeña se divi-
glosador de las leyes del mismo Reino, es, a saber, dió en tres y no
los tres cabos de Logudoro, de Cáller y de Galura, en cuatro reinos.
Olivés en el Pro-
dejando el de Oristán; y porque no se ha de pen- hem. al n.2 y 3.
sar que hombre tan entendido en las causas de Sar-
deña, lo haya dicho sin causa, se ha de advertir que
no ha querido hacer me[n]ción de los dichos cabos 10
o provincias de Sardeña, según la división y des- Respuesta y satis-
cripció[n] antigua, sino segú[n] la presente, con- facció[n].
forme a la cual el Cabo o provincia de Oristán
queda como suprimida en lo te[m]poral, de cuyo
gobierno trata este autor, y unido a la provincia o
Cabo de Cáller; y esto se verifica del mismo autor,
el cual, como arriba dijimos, en el proemio de la
Carta de Logo, dice que Arborea era Reino, y su
juez era rey; ni es de consideració[n] q[ue] Tomás
11
de Porcachi divida el Reino de Sardeña en dos Mala relación
solas provincias o cabos, el uno que mira a la Áfri- q[ue] tuvo Porca-
ca, y el otro a la isla de Córcega, por la poca noti- chi.
cia y conocimiento que este autor muestra haber
tenido de la isla de Sardeña y de sus cosas; lo cual
se echa muy bien de ver en lo que escribe de las dos 12
Yerros inexcusa-
partes o cabos; porque dice q[ue] el Cabo que mira bles de Alberti y
a África, se llamó Cabo de Logudoro; y el que mira Porcachi en la
a Córcega, le llama Cabo de Cáller, todo al con- descripción de
Sardeña.
trario de lo que pasa.
144 FRANCISCO DE VICO

Dice más, y también con el fray Leandro Alberti,


que la ciudad de Torres fue edificada y es colonia
puesta de Tolomeo en la parte de Aquilon, y que,
andando el tiempo, fue destruida de manera que
solo quedaron della los rastros con el puerto, que
se llama de Torres; y que, en su lugar, fue edifica-
da la ciudad de Cáller, doce millas lejos del dicho
puerto, la tierra dentro, fuera de la cual dicen
hallarse en el dicho Reino otra ciudad, llamada
Sácer, de la cual tiene principio un caño o canal,
hecha con maravilloso artificio y mucho gasto,
por la cual se encaña el agua que viene a pasar
junto a la iglesia de San Gabino, no lejos del
dicho puerto de Torres. Esto dice[n], o, por
mejor decir, confunde[n] estos autores, mas nadie
hay que no sepa que esta ciudad que está a doce
millas del puerto de Torres, y la otra, de quien
tiene su origen el caño del agua, es una misma,
llamada Sácer, la cual por haber sucedido a la
antigua de Torres, en la parte en q[ue] hoy está a
doce millas de aquella, se llama también por otro
nombre Torres, y su arzobispo y canónigos tam-
bién de Torres, y toda la provincia se llama así
mismo turritana; por donde se conoce cuán fuera
está[n] estos autores de lo que es Sardeña y de la
noticia de sus provincias o cabos; y se ha de
advertir que como trastuecan estos dos cabos más
13 principales, todo lo que dice dellos se debe tam-
Confusión de bié[n] trastocar; porque lo que hablaron de Sácer,
no[m]bres y ciu- quisieron decir de Cáller, que es el Cabo que mira
dades, q[ue]
hacen Alberti y a África, y lo que dijeron de Cáller, entendieron
Porcachi en Sar- de Sácer, que mira a Córcega; y este su error en la
deña. divisió[n] del Reino se confirma más con el otro
14
q[ue] del mismo autor referimos, donde se vio
Otro error de los que afirma por cosa verdadera y cierta, que de
autores. una vez cazan los isleños más de cuatro mil
15
moflones, cuyas carnes, dejadas por los campos,
Sardeña se divi- causan la intemperie y mala salud en el Reino, y
dió en cuatro rei- otras muchas cosas que dice de Sardeña con igual
nos y los tuvo. incertidumbre, q[ue] han sido y son incógnitas
Historia general - Primera parte 145

en todos los siglos a los naturales della, mas sin


embargo de lo que este autor dice, queda la ver-
dad conocida y la más común, cierta y verdadera
división de Sardeña en sus cuatro cabos o provin-
cias, gobernadas antiguamente por sus cuatro
jueces o reyes diferentes, independentes uno de 16
otro, según se ha dicho y pruébase la verdad desto Pondérase en
con una ley del señor rey don Alonso el Sabio, el comprobació[n]
de la ley real II de
cual, hablando del modo de gobierno y título o la partida, p.2.
nombre de juez, dice así al fin della: E Iudice tit.I.
tanto quiere dezir como juzgador, e nacostumbrar o
llamar este nome a ningún señor fuera sende a los
quatro señores que juzgan e señorean en Sardeña;
que eran los dichos cuatro jueces o judicados de
sus cuatro partes o reinos, como hemos dicho.
Y deja[n]do esto por sin duda, lo que la puede
causar es en qué tiempo se hizo esta división de
17
Sardeña, y cuándo comenzó a gobernarse por jue- Tiempo en que se
ces. Algunos, como Sigonio, por lo que arriba se dividió Sardeña.
ha dicho, son de parecer que esta división y modo
de gobierno comenzó en tiempo en que los pisa-
nos tenía[n] mano en Sardeña; las palabras de 18
Sigonio son: Hi omnẽ Sardiniam in quatuor partes Difícil de averi-
divisere, & c. Otros, que están más en las cosas de guar el tiempo
desta división.
Sardeña, dice[n] que fue la división y gobierno de
jueces mucho más antigua que los pisanos en ella,
lo cual siento yo también, aunque es difícil de ave-
riguar el principio desta división y gobierno, así
por la falta que ha habido de notarse menuda-
mente las cosas de Sardeña, como por los varios 19
Antes que entra-
sucesos y continuos trabajos de guerras que ha sen pisanos en
padecido en todos tiempos; con todo, por lo que Sardeña estaba
podemos ir, coligiendo de los condagues y memo- dividida.
rias antiguas del Reino, y otros historiadores que
más adelante referiremos en los sucesos de los 20
años 453 en adelante. Es cierto que muchos años Hállase esta divi-
sión en Sardeña
antes que los pisanos viniesen a Sardeña, q[ue] fue hecha poco des-
en los años 1015, había en ella jueces y estaban pués de la expul-
divididas sus provincias, como veremos en los sió[n] de los
sucesos de los años 1000, que lo era Andrés Tanca romanos.
146 FRANCISCO DE VICO

con otros que le sucedieron, porque hallamos que


poco después que dejaron de tener el gobierno
della los emperadores romanos, se gobernaba por
jueces, según se verá en su lugar; y señaladamente
sabemos que uno destos jueces o reyes, por
no[m]bre Comida, que lo fue juntamente de las
dos provincias, turritana y arborense, fundó y
21 dotó la iglesia metropolitana de Torres, dedicada
Comida, Juez de
Arbore[n]se, al ilustrísimo mártir san Gabino, y sus dos
fundó la iglesia co[m]pañeros Proto y Januario, mártires turrita-
metropolitana de nos, por el año de 517, como por el condague de
Torres.
la dicha iglesia y la nota de los años que tiene en
su frontispicio claramente parece, y lo afirman
todos los escritores destos tiempos. Y por este
22 mismo tiempo, el dicho rey Comida, traía guerra
Sucesión de reyes con otro Juez de Galura, el cual fue vencido en
de padres a hijos ella por Jorgia, mujer muy valerosa, hermana de
en Sardeña.
Comida, al cual fueron sucediendo otros jueces,
23 co[n]tinuándose este título aun después que el
Carlo Magno emperador Carlos Magno cobró a Sardeña de las
libra a Sardeña de
los Longobardos
manos de los lo[n]gobardos con prisión de su rey
y la da al Papa. Desiderio, y hizo donación de ella su hijo Ludovi-
co, el año 817, a la Iglesia Romana y a sus pontí-
fices, los cuales señaladamente el papa León Cuar-
to en el año de 847, en unas cartas que escribe en
el primer año de su po[n]tificado a uno destos
jueces, que gobernaban a Sardeña, los llama jue-
ces. Y del mismo tenor es el sobre escrito de otra
que hace el mismo pontífice, León Cuarto, y lo
mesmo se continuó en el tie[m]po que los pisanos
poseyeron parte de Sardeña, que recobraron de los
moros, cua[n]do para su recuperació[n] convocó la
Iglesia Romana los poderes de los cristianos, a que
particularmente acudieron los pisanos como pode-
rosos que ento[n]ces eran en la mar, lo cual suce-
dió por los años mil, y con la recuperación de Sar-
deña, la restituyeron a su antiguo y político gobier-
no de jueces, de q[ue] tomaro[n] ocasión algunos
autores de decir que los pisanos dividieron a Sar-
deña en sus judicados, llamando división la que
Historia general - Primera parte 147

fue restitució[n]; pues como queda probado, éste


fue el gobierno proprio de Sardeña desde que le
faltaron reyes, y nos lo comprueba[n] las epístolas
que hemos citado de los pontífices muchos años
antes desde mil en que como hemos dicho, fue la
primer entrada de los pisanos en Sardeña, y des-
pués que ellos entraron en la parte que gozaro[n],
q[ue] fue cua[n]do ayudaron a echar de Sardeña al
rey moro Musato, que poseía una gran parte.
Hallamos también con jueces a Sardeña no en la
parte que los pisanos poseían, sino en otras a quie-
nes escribe el papa Gregorio Séptimo por los años
de 1050, reconvenciéndoles como Sardeña fue
feudo antiguo de la Iglesia desde Carlo Magno, y
pidié[n]doles que lo reconozcan; con que se con-
vence q[ue] estos jueces, cuyo reconocimie[n]to
pedía el Papa immediatamente, eran de su juris-
dicción, y no de la de los pisanos, y así mesmo que
pues por sí se llamaban jueces y juzgados las tie-
rras, no era por la divisió[n] hecha de los pisanos,
sino por la restitución a lo q[ue] desde sus princi-
pios fue, como se probará esto más extensamente y
se dará su principio e introducción de los jueces en
la tercera parte desta historia.

Capítulo XII I
De los confines, mojones y términos que tenían los Lugares y baroní-
cuatro reinos o judicados de Sardeña. as q[ue] en Sarde-
ña han pasado de
Muchos lugares y baronías q[ue] pertenecen a la unos judicados a
jurisdicción y distrito de alguno destos judicados, otros y la causa.
se hallará que pasaro[n] a otro de los cuatro del
Reino, no porq[ue] perteneciese a su distrito y
división antigua, sino por haber sido constituidos
en dote al juez, en quien pasaron por matrimonio
contraido con hijas del juez, a cuyo distrito y judi-
cado pertenecían, como se referirá en la historia, y
en las enfeudaciones de todos los lugares del
Reino, do[n]de se señalan y nombran los dueños
148 FRANCISCO DE VICO

de cada lugar, y cómo pasaron y llegaron a su


dominio. Ahora solamente nos toca referir en este
capítulo doce, la división antigua destos cuatro
judicados, esto es el distrito que cada uno dellos
tenía, y hasta dó[n]de se alargaba y confinaba
2 co[n] los demás.
Distrito y El Judicado de Galura, cuya cabeza era la ciudad
co[n]fines del
Judicado de
de Cívita, hoy Terra Nova con título de marqués,
Galura. comprendía y encerraba en sí la misma ciudad de
Terra Nova, con todo lo que hoy tiene la comarca
o Baronía, que en Sardeña llamamos enco[n]trada
de Galura, de Géminis, q[ue] es Tempio con sus
lugares. Por tramontana, empieza el río gra[n]de
de Coguinas, que confinaba con el judicado turri-
tano; y por levante hasta la misma ciudad de Terra
Nova, tiene de ámbito en largo y ancho más de
cincue[n]ta leguas; y luego se sigue la otra Galura
de Posada de Orosei, con todo el Judicado de
Ollastre y sus comarcas y baronías, q[ue] llegan
hasta el río de Flumendosa en la parte que entra al
levante, y se entra al mar, donde para el término
deste Judicado, y le divide de la comarca o encon-
trada de Sárrabus.
Desta comarca de Sárrabus que empieza del río de
3 Flumendosa pasando de levante a medio día,
Distrito y confi- empieza el Judicado de Cáller y pasa a Palmas, villa
nes del Judicado de Iglesias por medio día, y rodea por San Gavino
de Cáller.
de Montreal, encerrando todas las baronías de
parte Mo[n]tis, parte Oseddo, volviendo hasta el
Cabo de Sárrabus, donde empieza el distrito y
4 territorio deste Judicado.
Distrito y El Judicado de Arborea, aunque por haber queda-
co[n]fines del do solo y por haber sido el último que se extin-
Judicado de
Arborea. guió, vino a ser muy extendido y a comprender
casi muchas baronías y comarcas de las que perte-
necían a los otros judicados; pero su distrito anti-
guo venía a reducirse y restringirse23 en los campi-

23 Restringirse: en el texto original, “restringuirse”.


Historia general - Primera parte 149

danos de Oristán, comarca de Mandrolisai, Cura-


doría de Belví, la de Aritzo, parte Ocier Real, Siur- 5
gus, y rodeaba hasta volver a los confines del Judi- Distrito y
cado de Cáller por la parte de levante, que lo co[n]fines del
Judicado de
demás de ahí adelante todo lo q[ue] mira a medio Torres.
día, poniente y tramontana co[n] sus mares perte-
necía al Judicado de Torres, que es Sácer, Bosa,
Alguer, Castillo Aragonés, con todas sus comarcas,
encontradas y baronías, que llegan hasta Santu
Lusurgiu, Gociano, Curadoría Dore, Núoro,
Orani, Bitti y la mitad de la villa de Mamoyada, en
la cual se divide por una calle de la misma villa,
q[ue] viene a parar en el puesto q[ue] se decía
Cabo Cosu, hoy corruptamente Bono Cosu, con
la jurisdicción del Cabo de Cáller y del de Sácer.
Estos son los cuatro cabos principales, judicados o
partes en que estuvo dividida Sardeña, q[ue]
pudiéramos sin impropriedad llamar reinos, como
lo fueron y veremos, y constará que está reducida
en su gobierno a sus dos cabos principales de
Cáller y Sácer, de cuya erección y jurisdicción,
diremos cuando lo pida la historia.

Capítulo XIII
De las ciudades antiguas que hubo en Sardeña, que
quedan destruidas, y de las q[ue] hoy están en pie.
De las ciudades antiguas que ha habido en Sarde-
ña y de sus puestos, se da noticia en su proprio
lugar y tiempo que se fundaron, según pide el hilo
de la historia; pero para que más fácilmente se
hallen juntas, cuántas y cuáles fueron, me ha pare-
cido reducirlas y ponerlas todas en este capítulo de
la primera parte, en la cual tratamos de la descrip-
ción del Reino, dejando las demás poblaciones y
lugares de menos nombre, y añadie[n]do al fin las
ciudades que hoy todavía quedan en pie.
Las antiguas destruidas o traspasadas o otras pobla-
ciones y puestos son en número 41. La primera de
150 FRANCISCO DE VICO

las cuales (según el orden de su antigüedad) fue la


Torres.
ciudad de Torres, que en latín llamaro[n] Tolomeo
y los demás geográficos Turris Libisonis. Primera
colonia de romanos, famosa por grandeza, riqueza,
puesto y río que la dividía de por medio (según es
de ver por las ruinas) fundada de Hércules Líbico
en el año 2216 de la creación del mundo, donde
hoy está el templo tan gra[n]dioso de San Gabino,
como largamente se dice en el capítulo sexto y
veinte y seis, de la tercera parte; en cuyo lugar, tres
leguas más distante la tierra a dentro, se subrogó
Sácer. después la ciudad de Sácer, antiguamente dicha
Tátari, que fundaro[n] los tártaros en los años
2790, según se dice de ambas más largamente en
el capítulo séptimo de la segunda parte.
La segunda en la antigüedad, fue la ciudad de
Nórax, fundada por el rey Nórax, hijo de Quinto
Nórax.
Mercurio, según Solonio, de Tertena, ciudad según
el parecer de algunos en la Andalucía, de que
tomaro[n] motivo para decir que la fundaron
andaluces o españoles, y pudo ser; y según el de
otros, en la corrie[n]te de Ebro, cerca los años
2420, como se dice en el capítulo tercero de la
segunda parte.
Olbia. La tercera ciudad que se fundó fue Olbia, la pri-
mera situada a la tramontana, en el puerto q[ue]
hoy se llama Olbia o Orria Manna, hacia la torre
de la Testa, donde estaba su puerto, Olbino, fun-
dada cerca los años 2600, por el rey Gálatas el
mozo, hijo de Olbia, Rey de Galia, que por eso le
puso el nombre de su padre, como se dice en el
capítulo quinto de la segunda parte.
Olbia segu[n]da o La cuarta ciudad fue Olbia segunda, y, según algu-
Iolea.
nos, se decía Iolea, situada al medio día, y seis
leguas de Sulcis, fundada cerca los años 2750
(segú[n] Solonio, y Pausanias) por el rey Iolao,
como se refiere en el capítulo quinto de la segun-
da parte.
Olbia tercera. La quinta ciudad fue otra Olbia, fundada de los
tártaros, cerca los años 2790, los cuales la llamaron
Historia general - Primera parte 151

así, dándole el nombre de su patria, de donde eran


naturales en la Tartaria.
La 6° ciudad fue Grillen (donde hoy está Orgóso- Grillen.
lo), fundada cerca los años dos mil y ochocientos
de los atenienses, y le dio este nombre un famoso
capitán dellos que la fundó, llamado Grillo, según
se refiere en el capítulo quinto de la segunda parte.
La 7° ciudad fue la de Cáller, fundada, según algu- Cáller.
nos, del rey Aristeo, cerca los años 3450, como lár-
gamente se dice en el capítulo cuarto de la segun-
da parte; y, según otros, de los cartagineses cerca
los 3776, como se ha hecho mención en el capítu-
lo nueve de la misma segunda parte, la cual pade-
ció el mismo naufragio que las demás que perecie-
ron, quedando solamente Estampaig y la Llápola
(que hoy se dice la Marina), hasta que después de
muchos centenares de años se habitó el castillo de
Castro, y se fabricó en él la iglesia catedral por los
pisanos de la invocació[n] de santa María nuestra
Señora, que después se mudó en Santa Cecilia, en Cornu.
Ereum.
la entrada que hiciero[n] los señores reyes de Pluvium.
Aragó[n], y el nombre de Castro q[ue] tenía el cas-
tillo en el de castillo y ciudad de Cáller, como hoy
se nombra, con sus tres arrabales, q[ue] son Estam-
paig, Villanueva y la Marina, antiguame[n]te lla-
mada Llápola, que tengo por sin duda que debe ser
la que Tolomeo llama Aleópolis.
La octava ciudad fue Cornu, muy grande y popu-
losa entre Seligues y Monteferro, en tiempo de las
sangrie[n]tas guerras de romanos con cartagineses,
teniendo su asilo y refugio en ella, de la cual hace
mención Tolomeo.
La nona ciudad fue Ereum, entre Sácer y Sorso, de
la cual hace mención Tolomeo, donde hasta hoy
está en pie el templo de San Andrés de Eritu, cuyas
ruinas aún parecen.
La 10° ciudad fue Pluvium, donde hoy es Ploague,
que después fue obispado, hoy supreso co[n] otros
muchos en tiempo de Alejandro Sexto.
La 11° ciudad fue Tibula, fundada de los tiburti- Tibula.
152 FRANCISCO DE VICO

nos y latinos, cerca los años tres mil sietecientos y


noventa, de donde tuvieron nombre los pueblos
tibulaces, de q[ue] hace mención Tolomeo y Fara,
folio cincuenta y tres. Su sitio era cerca de la insig-
ne abadía de San Miguel de Plano, a dos leguas de
Sácer, en el paraje o puesto que comúnmente lla-
man Tibuleci o Crapulaci.
Baraci. La 12° ciudad fue la de Baraci, que cae en el para-
je de la Nurra, cuyas ruinas parecen hasta hoy, y
conservan el mismo nombre.
Tilium. La 13° ciudad fue Tiliu[m] o Alirienses, lugar veci-
no al Puerto del Conde, y a la que hoy es ciudad
del Alguer; desta ciudad antigua y de su obispo,
Severino, hace mención san Jerónimo en la epísto-
la 9° del libro 4°.
Tarra. La 14° ciudad fue Tarra, que hoy llamamos Tave-
rra, en el mismo paraje de la Nurra.
La 15° ciudad fue Frijano, junto a Castillo Arago-
nés, cuyas ruinas son hasta hoy patentes, y conser-
Frijano. van su mismo nombre de Frijano.
Eucinum.
La 16° ciudad fue Eucinum, o Cucinum, que hoy
se llama Coguinas, y quedan aún sus ruinas.
La 17° ciudad que fue Juliola en el paraje que hoy
Juliola. llamamos Viñola, que por ventura es el mismo
nombre algo corrompido.
Longosardo. La 18° ciudad fue la de Longosardo, donde hoy
hay una fortaleza con el mismo nombre.
Faucina, o Cívita, La 19° ciudad fue Faucina, después Cívita, y hoy
hoy Terra Nova. Terra Nova, do[n]de tuvieron mucho trato y entra-
da los romanos, por caer ju[n]to al mar, y tener
puerto muy a propósito y vecino a la playa roma-
na.
Ampurias. La 20° ciudad fue Ampurias, no lejos de los pue-
blos que hoy están en pie de Sédini y Dulci, donde
hasta hoy queda en pie la iglesia entera, dedicada a
san Pedro, con las ruinas de las casas del obispo.
Cuncianum.
La 21° ciudad fue Cuncianum, donde queda aún
su famoso castillo con el mismo nombre de Cucia-
no o Gociano.
Bosa. La 22° fue la ciudad antigua de Bosa, no lejos de
Historia general - Primera parte 153

la que hoy está en pie del mismo nombre, cuyas


murallas baña un famoso río navegable, que tiene
flujo y reflujo a la mar, y riega una deleitosa y
amena vega.
Macopsia.
La 23° ciudad fue Macopsia, hoy Macomer.
La 24° ciudad fue la de Silanos que retiene el Silanos.
mismo nombre, aunque desigual y muy pequeño
lugar, fundada de los que seguían la parcialidad
d[e] Sila, llamados silanos, contra Mario, como se
dirá en el capítulo catorce, número veinte y cinco
de la segunda parte.
Gusarapis.
La 25° ciudad fue Gusarapis, hacia donde está hoy
Busaqui, en la provincia de Arborea.
La 26° ciudad fue Aquae Hipsitanae, do[n]de está Aquae Hipsita-
nae.
hoy Fordanjano, con sus varios y famosos baños
medicinales, q[ue] debieron dar nombre a la ciu-
dad.
Terran, hoy Oris-
La 27° ciudad fue Terran, donde hoy está Arborea, tán.
en la cual tenía el arzobispo su residencia y Silla
catredal24, q[ue] después se pasó a Oristán.
Iohola.
La 28° fue Iohola hacia a Oliena.
La 29° ciudad fue Feronia, en el paraje de Posada Feronia.
o Orosei.
La 30° fue Aquae Letinatae, donde hoy está Sárda- Aquae Letinatae.
ra.
La 31° fue Lesa, donde hoy está Ales. Lesa o Ales.
La 32° ciudad fue Usellipolis, grande ciudad y Usellipolis.
antigua colonia de romanos, en el paraje que hoy
retiene el mismo nombre de Usellis, que fue obis-
pado, y hoy suprimido por unión al de Ales.
Neápolis.
La 33° fue Neápolis, entre Uras y Santa Anna.
La 34° fue Populum, donde hoy está Pabilonis, Populum.
lugar muy diferente del antiguo.
Oliempolis.
La 35° Oliempolis, no lejos donde hoy está la ciu-
dad de Iglesias.
La 36° ciudad fue Sulcis, y, Sulcitani populi, en el
Sulcis.

24 Catredal: “catedral” por metátesis.


154 FRANCISCO DE VICO

lugar que hoy le tiene el mismo nombre de Sulcis,


Aquae Neapolita-
nae.
con su castillo.
Sulfata. La 37° fue Aquae Neapolitanae, hacia donde está
hoy Villasor.
La 38° ciudad fue Sulfata hacia Ollastre.
Chirsoneses. La 39° ciudad fue Chirsoneses, donde está hoy
Chirra y su castillo, que es Marquesado.
Chanados. La 40° fue Chanados, donde hoy está Sárrabus.
Valeria. La 41° ciudad fue Valeria, hacia donde está hoy la
villa de Mandas, que tiene título de Ducado de
Mandas.
De todas estas ciudades antiguas dan testimonio
varios escritores; Tolomeo hace mención de las
más de ellas; de algunas, Tito Livio; de muchas,
Diodoro Sículo, Estrabón, Zurita, Fara y otros.
A estas ciudades pertenecen otras muchas pobla-
Poblaciones que ciones, como a la de Viñola, Longosardo y Olbia,
pertenecían a
estas ciudades.
los pueblos corsi o cursi, como los llama Tolomeo,
por la comunicación q[ue] tenían co[n] la Córce-
ga que le está frontera; a Telio los aconites, pueblos
de la Nurra, y los coracenses hacia Santa María de
Coros y Monte León, Conciani populi de Gociano;
ruetensi o ruace[n]si hacia Ruinas o Fordongiano.
A la ciudad de Cornu, los corensi o ateniensi, que
con ambos nombres los llama Tolomeo; corpisensi
hacia Orani y Orgósolo; esaronensi hacia Núoro y
Bitti; scapitani los campidanos, valentini, los de
parte Valenza, barbarcini y iolenses, comprendían
todas las Barbarias, sulcitani pertenecían a Sulcis.
Todas estas y otras muchas poblaciones que las hay
Qué significa
enco[n]tradas en en Sardeña, las llaman en lengua materna, encon-
lenguaje de Sar- tradas, que son como comarcas y baronías.
deña. Cuánta fuese la muchedumbre de los habitadores y
Habitadores y
asistentes en Sar-
moradores, q[ue] antiguamente tenía Sardeña en
deña, fueron en estas ciudades y poblaciones, es buen argumento la
muy gran núme- cantidad grande de las provisiones y gente con que
ro.
acudía a los romanos, y las guerras que suste[n]taban
Tit.Liv. debajo de ellos y de los cartagineses, en las cuales
deca.3.li.3. y refiere Tito Livio que los muertos en una sola batalla
deca.5.li.I. in fin. llegaron a treinta mil, y otra a ochenta mil.
Historia general - Primera parte 155

Finalmente, las ciudades que hoy queda[n] en pie


son siete. Sácer, que sucedió a la de Torres; Cáller,
que sucedió a la antigua de su mesmo no[m]bre;
Bosa, que sucedió así mesmo a la antigua Bosa;
Oristán, por otro nombre Arborea, a do[n]de se
mudó de Terran la Silla archiepiscopal; Alguer,
Castillo Aragonés y villa de Iglesias.

Capítulo XIIII
De los obispados, abadías y prioratos que antigua- Obispados q[ue]
mente hubo en Sardeña y de los que hoy están en pie. antiguame[n]te
Aunque según el número de las ciudades que en hubo en Sardeña.
los tiempos antiguos había en nuestro Reino de
Sardeña, como vimos en el capítulo precedente, se
ha de presumir q[ue] hubo otros tantos obispados,
de los cuales por los infortunios de los tie[m]pos y
guerras tan infelices que tuvo Sardeña, como en su
lugar se dirá, no se tiene entera noticia de todos
ellos, sino son los que san Gregorio Magno hace
mención en sus cartas, como es Januario, Obispo
de Cáller, Inoce[n]cio, Agaton, Mariano y Víctor,
sin especificar las iglesias de donde lo fueron, que
a mi ver hubieron de ser de las iglesias de Nora,
Sulcis, Usselli o Sueli, Osea o Galtellí, y de la de
Faucina. Y en la provincia de Torres, siendo como
era en estos tiempos trabajada, y casi destruida de
los longobardos, por ser tan frontera y vecina a Ita-
lia. La tenían tiranizada, solo se tiene noticia que
lo fue de su iglesia Mariano, al principio del pri-
mer año del pontificado de Gregorio Magno, por
cuya muerte fue nombrado Paulino, Obispo de
Tauri, y después dél fue no[m]brado visitador della
Juan, obispo escilitano, hoy Esquilachi, y después
fue nombrado Neverio, obispo (aunque no se sabe
de q[ué] parte lo era), por visitador de dicha igle-
sia de Torres, como se dirá en los sucesos de los
años 590 hasta 603. Los sufragáneos que entonces
tenía el arzobispado de Torres, era[n] Pedro, Obis-
156 FRANCISCO DE VICO

po de Baracis, ju[n]to a Sácer, de quien hace


me[n]ción san Gregorio en la epístola diez y seis
del libro segu[n]do, indictione once, y Severino,
obispo tiliense o alie[n]se, que era ciudad cerca del
Puerto del Conde, junto a la que hoy es del Alguer,
de los cuales el mismo san Gregorio hace mención,
nombrando con equivocación al tiliense o iliense,
alibiense en la epístola nona del libro cuarto que
escribe a Pedro Notario, sin que con la certidum-
bre verdadera que requiere la historia, se puedan
referir los demás que lo fueron, ni menos en qué
parte los hubo.
Divisió[n] de Sar- Lo que con verdad sabemos, es que muchos cen-
deña en tres pro- tenares de años hallamos dividido el Reino en lo
vincias co[n]
arzobispos y tocante al gobierno eclesiástico en tres provincias,
sufragáneos para como el temporal en cuatro, y cada una de las tres
el gobierno ecle- con su arzobispo y obispos sufragáneos, que son
siástico.
la provincia de Torres, la de Cáller y la de Arbo-
rea.
Iglesia de Torres La de Torres que, después de su segunda destrui-
pasada a Sácer.
ción, q[ue] sucedió en tie[m]po de los longobar-
dos, cerca de los años quinientos noventa y siete,
se pasó con todos sus privilegios y prerrogativas a
la de Sácer (como se dirá en su lugar en el discur-
so de la historia), tuvo sie[m]pre y fue gobernada
por su arzobispo, aunq[ue] antes de los años 500,
como consta por los condagues de la consagración
de su iglesia metropolitana y, según hoy, hallamos
en la práctica de la cancillería romana, tuvo des-
pués por sus sufragáneos, los siguientes: el arzobis-
pado turritano de Sácer metropolitano.
El Obispado de Ploague, que es la ciudad q[ue]
antiguamente se decía Pluvium, hoy extinto y
unido al mismo arzobispado en tiempo de Alejan-
dro Sexto, ejecutado por Julio Segundo.
El Obispado de Ampurias, donde hoy está la igle-
sia catredal de San Pedro de las Imágenes, hoy
suprimido y se pasó a la ciudad de Castillo Arago-
nés, cuyo patrón de la catredal es san Antonio.
El Obispado de Cívita o Pausania, de la invocación
Historia general - Primera parte 157

de san Simplicio, sardo mártir, hoy suprimido y


unido al obispado ampurien[se] y antiguamente
era sufragáneo del Arzobispado de Oristán.
El Obispado de Bisarchio, de cuya catredal era
patrón san Antíoco, y le fabricó un suntuoso tem-
plo el Rey de Torres, Dorgodorio, hoy suprimido y
unido al del Alguer.
El Obispado de Castro, hoy suprimido y unido al
mismo del Alguer, en el pontificado de Alejandro
Sexto.
El Obispado de Sorres, cuya iglesia tenía un famo-
so y suntuoso templo de mucha arquitectura, que
hoy todavía está en pie, y unido al Arzobispado de
Sácer en el po[n]tificado de Alejandro VI.
El Obispado de Bosa, que en su principio tuvo un
famoso y vistoso templo de la invocación de san
Pedro, que aún está en pie, y se pasó a la iglesia de
Santa María, sustentando su primera erección.
El Obispado de Ottana, que con indulto apostóli-
co se transfirió su catredal a la ciudad del Alguer en
el año 1505.
De todos estos obispados sufragáneos, hoy solo
quedan en pie tres, q[ue] son el de Bosa, el de
Ampurias en Castillo Aragonés, y el del Alguer,
todos los demás quedan extintos y suprimidos en
la forma referida.
La provincia de Cáller tenía su arzobispo con los
sufragáneos siguientes.
El Obispo de Sulcis, esto es, Sulcitanen o Sulcien, Arzobispo de
que se pasó a la ciudad de Iglesias. Cáller y sus sufra-
gáneos antiguos y
El Obispo Dobien. en los que hoy se
El Obispo Suellen, de do[n]de fue obispo san conserva.
George, a cuya contemplación Benedicto de
Laco[n], que tenía parte del Judicado de Cáller, le
hizo donación del mismo lugar, y de san Pantaleo,
por los beneficios que por su intercesión del Santo
recibió de Dios en sus enfermedades a Durgodoni,
año 1215.
Estos tres obispados hoy son extintos y unidos al
mismo arzobispado co[n] el Obispado de Galtellí,
158 FRANCISCO DE VICO

que tambié[n] se suprimió, unió por el mismo Ale-


jandro Sexto, exceptuado el de Iglesias, que le tiene
por encomienda.
Provincia de La provincia de Arborea, que también se dice de
Arborea, su arzo-
bispado y sufragá-
Oristán, tiene su arzobispo y la reside[n]cia en la
neos que tuvo. misma ciudad, con un templo muy capaz y de pri-
mor, edificado por Dorgodorio, su arzobispo, con
ayuda del juez Mariano, en el año de 1230, que
tenía los sufragáneos siguie[n]tes.
El obispo usellense, que fue ciudad antigua, y
colonia de romanos, y se pasó su obispado a Ales,
que antiguamente se decía Lesa.
El Obispo de Santa Justa, que era, junto a la mari-
na, ciudad de Oristán.
El Obispo de Terre Albe, de donde se pasó la Silla
a Oristán.
El Obispo de Galtellí, que después se unió al Arzo-
bispado de Cáller.
Estos tres últimos obispados están hoy suprimidos
y unidos los dos primeros al mismo Arzobispado
de Oristán, y el de Galtellí al de Cáller, y solo
queda en pie el Obispado de Ales.
NÓMINA DE LAS
Abadías y Prioratos.
Abadía de Santa La abadía de Santa María Sacarja, de la orden
María Sacarja. camaldulense, fabricada por el Rey de Torres,
Constantino, año 1117.
Abadía de Santa La abadía de Santa María de Cérigo, primero de
María de Cérigo. monjes de Egipto, y después fue reedificada su
iglesia por el Juez de Torres, Mariano, en el año
1113, que se puso en ella monjes de san Benito,
hoy unida al Obispado de Ampurias.
La abadía de San Miguel de Salveneri, de la orden
Abadía de San
Miguel de Salve-
de monjes benitos cistercienses.
neri. La abadía de San Nicolás de Sogio, de la orden de
La de San Nicolás monjes cistercienses, hoy extinta.
de Sogio.
La de San Miguel
La abadía de San Miguel de Plano, en su principio
de Plano. de monjes de Egipto, y después de mo[n]jes beni-
tos, unido al Obispado de Ampurias, hasta que fue
obispo don Miguel Rubio, en el año 1580, hoy del
Historia general - Primera parte 159

Tribunal de la Santa Inquisición por indulto apos-


tólico.
La abadía de Santa María de Cabo Abbas, de frai- La de Santa
les bernardos, que trajo el Rey de Torres, Gonario, María de Cabo
Abbas.
el año 1176, hoy extinta. La de Santa
La abadía de Santa María de Coros, de monjes cis- María de Coros.
tercienses, hoy extinta.
La abadía de Santa María de Campu Longu, hoy La de Santa
María de Campu
Santa María de Belén, que fue de mo[n]jes beni- Longu.
tos, y hoy de frailes franciscos co[n]ventuales. La de San Nicolás
La abadía de San Nicolás de Oristán. de Oristán.
El priorato de San Saturnino, fundado por san Prioratos.
Fulge[n]cio, año 518, y unido al Arzobispado de
Cáller, el año 1444.
El priorato de San Lázaro de Oristán.
El priorato de San Antón de Oristán.
El priorato de San Vice[n]te de Oristán.
En tiempo de san Gregorio había otra abadía q[ue]
debía ser junto a Cáller, de la cual hace
menció[n] en la epístola {…} del libro {…} que
escribe a Januario sobre la lite que el abad Juan
tenía con {…}, Abadesa de uno de aq[ue]llos
monasterios; pero no se tiene noticia de dónde lo
fuese el Abad, y Abadesa, aunq[ue] ésta es cierto
q[ue] lo fue de Cáller, y el Abad lo sería de aquella
provincia.
Amás destas abadías de monjas regulares, florecían
en el Reino otros muchos monasterios de diferen-
tes órdenes.
MONASTERIOS
de la orden de san
Benito. Monasterios de la
El monasterio Sancti Quirici, q[ue] fundó el juez orden de san
Benito.
Barisonio de Torres, en la comarca o Baronía de la
Nurra.
El monasterio de San Pedro de Sirci, que fundó la
madre del Juez o Rey de Torres, Mariano, en el año
1112.
El monasterio de San Juan de Orotelli, puesto en
el territorio de la mesma villa.
160 FRANCISCO DE VICO

El monasterio de San Pedro de Búnari, junto a la


ciudad de Sácer.
El monasterio de San Antonio, que está a las puer-
tas de Sácer.
El monasterio de San Leonardo de Bosue, que está
en el distrito de Sácer.
El monasterio de Santa Tecla de la villa de Nulvi,
en cuyo altar se hallaron, en el año 1616, un canu-
to de plata lleno de la sangre del mártir san Gabino
con otras reliquias suyas, con esta inscripción: Ex
sanguine sancti Gavini Turrensis posito a Ioanne Epis-
copo anno 300.
El monasterio de San Donato de Sácer, q[ue] hoy
es iglesia parroquial de aquella ciudad.
El monasterio de Gulsevi, puesto entre Ocier y
Nuguedo, que era bajo la jurisdicción del Abad de
Tergo.
El monasterio de Santa María de Sune en la Pla-
naria de Bosa, del cual fue abadesa Teodora, según
se refiere en el condague de san Gabino.
El monasterio de Santa Anastasia de Orotelli.
El monasterio de Fazuoles en la villa de Gátulle
con título de priorato, y lo fue un hijo del juez
Barisone.
El monasterio de Santa María de Castro, que
fundó el juez Mariano de Torres y después fue
obispado.
El monasterio de San Saturnino junto a Cáller, que
fue de clérigos regulares, fundado por san Fulgen-
cio en el año 518, que después se unió al Arzobis-
pado de Cáller, en el año 1444.
SÍGUENSE LOS
Monasterios de la Or-
den Camaldu-
lense.
El monasterio de Santa Justa de Orria Manna.
El monasterio de San Nicolás en el mismo puesto.
El monasterio de San Nicolás de Trulla, junto a la
villa de Seméstene.
El monasterio de San Pedro de Escano, con título
Historia general - Primera parte 161

de priorato, hoy unido a la abadía de Sacarja.


El monasterio de San Eustaquio junto a Bosa.
El monasterio de Santa María Sabulcide, en el
Condado de Gociano.
El monasterio de San Eugenio de Semenar.
El monasterio de Santa Jula, junto a Sácer.
SÍGUENSE LOS
Monasterios de la Or-
den Ciesterciense.
El monasterio de Santa María de Cabo Abbas, funda-
do en tiempo de san Bernardo, por el Rey de Torres,
Gonario, que hizo traer monjas en el año 1150.
El monasterio de Santa María de Bonarcado, con
título de priorato; dotóle el juez Mariano de Arbo-
rea, como consta por su letrero que dice:
Anno Dni 1268 {…} aldus Martij consecrata est
Ecclesia haec in honorem Gloriosissimae Virginis
Mariae, & sancti Zenonis Episcopi, & Confessoris a
Venerabili Paternitate Dño {…} sedente Archiepisco-
po Arboren. & a venerabilibus Episcopis Dñis fratre
Iacobo Bosano & {…} sanctae Iustae.
El monasterio de Santa María de Seve, entre la
villa de Florinas y la de Bánnari.
El monasterio de San Antonio de Castro.
El monasterio de San Nicolás de Gútule, que
fundó el hijo del juez Barisonio.
El monasterio de Ferraceso.
El monasterio de Santa María de Escalas, junto a
Sácer, de monjas de la orden de Monte Cristo.
El monasterio de Santa María de Oriasa, junto a
Sácer, de la orden de Valleumbrosa.
El monasterio de Monte Angelitano o Agilitano,
que vulgarmente se dice hoy Mo[n]te Angello,
junto a la iglesia metropolitana de San Gabino de
Torres, del cual hace mención san Gregorio en su
epístola 2° del libro 4°.
El monasterio de San Martín, junto a Sácer, en el
valle del mismo Santo, donde hasta hoy se ve en las
ruinas, y del hace mención san Gregorio en la epís-
tola 28 del libro 4°.
162 FRANCISCO DE VICO

El monasterio de monjas de la invocación de san


Gabino y san Luxorio en Cáller, cuya abadesa era
Gavinia, hace mención della san Gregorio en la
epístola 7°, libro 3°.
El monasterio de San Vito, junto a Cáller, del cual
hace mención san Gregorio en la epístola 46, libro
I°.
El monasterio de San Julián, junto a Cáller, del
cual hace mención san Gregorio en la epístola 66,
libro 3°.
San Gregorio en la epístola 20 del libro 9° hace
mención de otro monasterio de Cáller ya deshe-
cho, cuyo abad era Urbano.
El monasterio que fabricó en Cáller Teodosia,
viuda en su propria casa, por no haberle podido
fabricar en la heredad de Pixenes, del cual hace
mención san Gregorio en la epístola seis del libro
segundo, y en la epístola veinte del libro cuarto.
Otro monasterio de clérigos regulares en Cáller,
del cual hace mención san Gregorio en la epístola
24 del libro tercero.
El monasterio de Santa Herma, que fabricó en su
propria casa la Santa mujer Pompeyana.
Otro monasterio que pone Fara, que por orde[n]
de un santo varón por nombre Pedro, en su misma
casa.
El monasterio del abad Urbano, puesto fuera de la
ciudad de Cáller, y dice Fara que en él fue ordena-
do el abad Juan.
Todos estos monasterios florecieron algunos años,
como fueron los de monjes de Egipto en los años
cuatrocientos y ochenta, y los de la orden de san
Benito, desde los años sietecientos, y los cister-
cienses y camaldulenses y bernardos, desde los
años mil ciento y cuarenta en adela[n]te, con
mucho lucimie[n]to y espejo de santidad; y por los
infortunios de los tiempos, y guerrear del Reino
fuero[n] desamparados, sin que se halle hoy nin-
guno en pie, según largamente se dirá en la histo-
ria en los tiempos q[ue] les cabe, y se hará mención
Historia general - Primera parte 163

de los otros monasterios que entraron en su lugar


y florecen hoy en el Reino.

Capítulo XV
De los castillos y fortalezas más insignes que ha teni-
do y tiene Sardeña.
Según el mismo orde[n] de antigüedad, ternían25 Torres y fortale-
ta[m]bién aquí lugar las torres y fortalezas de la zas.
ciudad de Torres, que tomó su renombre de las
muchas que fabricó en ella Hércules Líbico, su
fundador, y los turrenos o tuscos, sus primeros
moradores, de que hoy quedan los rastros y vesti-
gios y de las casas que fabricaron en forma de for-
taleza, y castillos, servían a los pretorios romanos,
se ven hasta hoy los cimientos que por tradición
conservan las casas pretorianas como más lárga-
mente se dirá en la segunda parte, cuando se trate
de la fundación desta ciudad, donque queda tam-
bién hoy en pie una torre en forma de castillo,
q[ue] guarda el puerto de la misma ciudad de
Torres, aunque no es tan antiguo o ha sido después
acá renovado, según es entero, grande y fuerte. El
segundo lugar tienen los edificios famosos de los
tiempos de Iolao, Rey de Sardeña, no solo de tem- Edificios y tem-
plos, sino de antigüedad, como dello dan testimo- plos.
nio Aristóteles de Mirabilibus mundi, y otros auto-
res que se traen en la segunda parte en el capítulo
quinto, que trata deste Rey; dejó los noragues,
q[ue] tambié[n] son antiquísimos; porq[ue] aun-
que parezcan fortalezas, tengo por más probable
q[ue] fueron sepulturas o monumentos, a imita-
ción de los egipcios, y hallo que las llamó así el

25 Ternían: “tendrían”. Se trata de una variante de las primeras formas contractas


del condicional. Ante la unión de dos sonidos no “tolerados” tras la caída de una
vocal, el español antiguo presentaba una alternativa, las consonantes en conflicto
cambiaban de lugar con lo que el grupo consonántico se podía pronunciar más
fácilmente.
164 FRANCISCO DE VICO

condague o código antiguo de Gútule, que es un


antiguo lugar en la mesma provincia de Torres,
Sácer y Logudoro, donde se hace mención del valle
de los Ma[u]seleos, entendiendo destos Noragues
por los muchos q[ue] hay en él. El tercero lugar
Castillo de Árda- tiene la fortaleza o castillo de Árdara, que aunque
ra, q[ue] fabricó no es tan antiguo como los que hemos dicho, lo es
Giorgia, hermana más de los otros del Reino, porque ha más de mil
del juez Comida.
años que se fabricó, y solían habitar en él los jue-
ces o reyes de Torres, y hacer su asiento y residen-
cia en este castillo, huyendo de las crueles guerras
e invasiones de los godos, hunos, vándalos y otras
bárbaras naciones, como se dirá en su lugar en la
segunda parte. Tras estos se siguen los castillos y
fortalezas que los demás jueces o reyes de Torres
fabricaron en su Reino, como el castillo de Gocea-
Castillo de no, que fabricó Gonario o Genuario, Rey de
Goceano.
Torres, segundo deste nombre, que floreció cerca
de los años 1100. El castillo de Montiferro, que
Castillo de fabricó Iticar, hermano del Rey de Torres, Bariso-
Mo[n]tiferro.
nio, cerca de los años 1180, según parece por los
Castillo de Serra- condagues y escrituras antiguas del Reino; el casti-
valle. llo de Serravalle, en la ciudad de Bosa, que para su
defensa, y de la entrada que hace el río a la mar,
por donde podía ser ofendida, le fabricó el mesmo
Rey de Torres, Barisonio, cerca los años mil y dos-
cientos. Otros dos fabricó el juez Mariano de
Arborea, en forma de castillo en las murallas de la
misma ciudad, en los años mil doscientos noventa
y uno, y mil doscientos noventa y tres, la una, en
la puerta que hace cara a la puente; y, la otra, a la
puerta que mira a la mar; los demás castillos y for-
talezas fuero[n] hechos después de la muerte de
Encio y de Alacia, su mujer, Reina de Torres y de
Galura, de los cuales, no quedando hijo ni sucesor,
procuraron los genoveses y pisanos apropriarse
cada uno de por sí, lo que pudieron asir en la pro-
vincia de Torres, como en la de Cáller y Galura; y
para asegurarse más de lo que se apoderaban, hicie-
ron muchas fortalezas y castillos. Y por el mismo
Historia general - Primera parte 165

tiempo la ciudad de Sácer se cercó de muy buenos Ciudad de Sácer


se cerca.
muros y torres en sus trechos; y así mismo hizo
algunas fortalezas en la Nurra, y otras partes de su
distrito, como en la Asinaria el Castellachio, que
después se ha reparado y mejorado; y destos tiem- Castillos de nues-
pos son los castillos de Monte Port en la Nurra, el tros tie[m]pos.
de lo Nido y el de Gérito, el de Castillo Pisanos, el
de Oria y otros en la misma Nurra; y otro del
mismo nombre de Oria en la región de Coguinas,
q[ue] es el de tres esquinas, fabricado en el
tie[m]po q[ue] gozaba esta región la Casa y fami-
lia de Oria; y así mismo fabricaron otro castillo y
fortaleza en Monte León, puesta en lo alto del Castillo de Oria y
monte, q[ue] tiene una hermosa llanura, y sus de Monte Leó[n].
fuentes de muy lindas aguas, y es de suyo inexpug-
nable, no solo por el arte, sino por su naturaleza; el
castillo de Bonveí o Buen vecino y el de Monte
Iaveso, que fue fabricado por Nicolás de Oria; el
de Óssilo, por arte y naturaleza ta[n] inexpugna-
ble, fabricado por los Marqueses de Malespina; el
castillo de la Capula, famoso, del cual hace men-
ción Zurita, fabricado en lo alto del Monte Peleo,
junto a la villa de Bunnánaro; los castillos de Cla-
ramonte, de Bulci, de Rocafort, de Caresi y el cas-
tillo Pedroso; y en el distrito de Montagudo, el cas-
tillo deste nombre el de Lomene, el de Orgueri, el
castillo Pedroso, el famoso e inexpugnable Castillo Castel Genovés,
olim Aragonés.
Genovés, que tomó el nombre de aquella nación
por ser de la Casa de Oria, hoy Castillo Aragonés,
cabeza del Obispado de Ampurias, fabricado cerca
los años 1200. En la provincia de Galura se fabri-
caron en estos mismos tiempos los dos castillos Castillos de Galu-
que tiene, no muy lejos de sí Terra Nova, el casti- ra.
llo de Longosardo y el castillo de la Fava, dentro de
la villa de Posada, tan celebrado en las guerras de
los pisanos; el de Monte Masa, fabricado por los
Castillos de
Marqueses de Masa. En la provincia de Cáller se Cáller.
fabricaron también muchos y muy famosos casti-
llos por los pisanos y Co[n]des Donoráticos, como
fue el castillo de Aguas Frías, no lejos de Siliqua y
166 FRANCISCO DE VICO

de Joyosa Guarda cerca de villa Masarja, el de


Cicerro no muy lejos de la misma villa; el castillo
de Sulcis y el de Iglesias; el castillo de Palmas; el
castillo de Montereal, junto a la villa de San Gavi-
no, donde se retiró la señora infanta doña Teresa,
cuando pasó el señor infante do[n] Alo[n]so a
poner cerco a Cáller; el castillo de San Miguel de
la Condesa junto a Cáller y el castillo de Quirra.
Rodearon tambié[n] los pisanos de murallas el cas-
tillo de Cáller con tres torres q[ue] son como for-
talezas: la una, en la puerta de entrada del castillo;
la otra, en la de San Brancas, y, la tercera, en la del
Elefante, que en arquitectura y hermosura compi-
ten con las mejores, como más largamente se dirá
en su lugar en la sexta parte, con los r<ó>tulos26
q[ue] cada una dellas tienen. Finalmente, en la ciu-
Castillo de Sácer dad de Sácer, hay un castillo co[n] cinco torres
y su inscripció[n].
muy altas y bie[n] fortificadas; y después les per-
ficcionó la ciudad con su barbacana y foso en el
año 1503, según la inscripción que se lee en la
estrada encubierta que está en frente de la puerta
de la torre de medio, por donde se entra en el cas-
tillo, q[ue] dice: Faelici sub Imperio gloriosissimi
Castellae, Aragonum, Ciciliae, Sardiniae Regis, pro-
curante Ioanne Dusay Regente Generalem Locumte-
nentem Petre Ioanne de Monte Bovino Gubernatore
Urbis, Consiliarij Francisco Melone{…}Vidini, Ber-
nardino Ferrale, Bernabe de Pedrello, & Antonio
Angio, Nofre de Gualbes, Perote Arcis, ante murale
hoc cu[m] fossa publica impensa triemnio elabora-
tu[m] est. Arte Antoni Perty anno 1503.
Últimamente tiene Sardeña todas las fortalezas y
torres que de sesenta años a esta parte se han hecho
al rededor de todo el Reino, que son las q[ue] van
referidas en el capítulo segundo desta primera
parte; y entre ellas la q[ue] más parece fuerte e
inexpugnable es la del puerto de Bosa, que está a

26 Rótulos: en el texto original, “rétulos”.


Historia general - Primera parte 167

vista del embarcadero del río a la mar, tanto por su


sitio natural, que es un peñasco aislado, como por
el arte co[n] que se ha perficcionado en arquitec-
tura y defensa.

Capítulo XVI
Del gobierno antiguo que tuvo Sardeña antes de
entrar en el imperio de los serenísimos reyes de
Aragó[n], y del q[ue] después acá ha tenido y tiene.
Vimos en el capítulo xj desta misma parte, la Primer gobierno
inconstancia de las cosas sublunares, y su sujeción de Sardeña.
a muda[n]za, comprobada con autoridades legales,
y eje[m]plos historiales de diversos imperios y que,
como ellos, los ha padecido nuestra Sardeña,
varia[n]do segú[n] los siglos y tiranos, en el modo
de su gobierno q[ue] en su principio fue monár-
quico en aquellos primeros reyes, héroes o semi-
dioses, Hércules, Porco, Nórax, Medusa, Aristo,
Gálatos, Iolao y Sardo, con otros que lo continua-
ron.
Y cuando faltaron reyes, te[n]go por sin duda
q[ue] se introdujeron los jueces por elección de los Jueces en Sarde-
ña.
pueblos, y q[ue] éste fue el más connatural y pro-
prio gobierno de Sardeña, y lo convence esto la
razó[n] natural, porq[ue] en Sardo, hijo de Hércu-
les, fenecieron los reyes, q[ue] nos señalan los his-
toriadores, que pudo ser como veremos por los
años 2790 de la creación del mundo, y no le seña-
lan otros gobernadores a Sardeña, aunq[ue] la
entraro[n] por mar y tierra diversas naciones, hasta
q[ue] los africanos o cartagineses se apoderaron
della, y los q[ue] más acertadamente ponen la fun-
dación de Cartago como veremos en su siglo, fue
en los 3137 años de la creación del mundo, y no Iustin.lib.18 &
19.
luego que se fundó fue gra[n]de, pues necesitó de
apoderarse de la tierra, donde sabemos que hasta
los años tres mil quinientos y cincue[n]ta y cinco,
no se había[n] eximido de pechar a los africanos,
168 FRANCISCO DE VICO

por el solar de su ciudad, y entonces aún guerrea-


ban co[n]tra Sardeña, y así pone[n] muchos auto-
res su primer entrada en España a los 3446 años,
300 años después de su fundación, y entonces
Pineda in
Monarch. lib.4.
adquirieron la plata con que se hicieron poderosos
cap.28.§ in fine. para las conquistas q[ue] intentaron; y así dice el
Geru[n]dense co[n] autoridad de Diodoro, que
Gerunden. lib.3. narrat Imperium, & quomodo ei Hispaniae, auro,
argentoq[ue] quae in eadem provincia effodiuntur
Carthagineses ditiores, & opulentiores facti, multae
bella gessere, & diversas colonias in ipsam Hispa-
niam, Lybiam, Ciciliam, & Sardiniam construxe-
runt. Con que desde que nos faltaron reyes en Sar-
deña hasta que pudieron formar sus colonias y
gobernarnos por sus leyes, los cartagineses pasaron
seiscientos y cincuenta años y más, y entonces,
como veremos, no del todo se apoderaron de Sar-
deña, ni en ella lo que de sí pudo conservar le faltó
su gobierno natural, proprio y político, que fue el
de sus jueces con sus leyes, como es muy cierto que
los tuviero[n]; porq[ue] en los años seiscientos y
cincuenta que estuvo sin reyes, no fuera posible
gobernarse sin leyes algunas, y los autores y histo-
rias, les dan leyes connaturales y proprias, no dadas
desta nación, sino de sus magistrados, y jueces pro-
prios: Magistratibus (dice Ravisio) cogebantur Sar-
dos ratiocinari unde viverent. Y au[n]que tiraniza-
ron en parte a Sardeña los cartagineses, nunca la
tuvieron absolutamente ellos ni otra nación; y así,
los romanos que les sucedieron, y la hicieron pre-
toria en el año 521, y luego provincia en el año
524 de la fundación de Roma por Marco Pompe-
yo, y le dieron pretor que la gobernase primero
sola, como veremos en el capítulo veinte y dos de
la segunda parte, y luego uniéndole Córcega, para
que un pretor lo fuese de ambas, como lo fuero[n]
Fara.
250 años, que ajusta Fara en sesenta y seis pretores
romanos, que fueron de sus más famosos que van
nombrados, en dicho capítulo 22, capitanes, y
cónsules, fabios, catones, manlios y otros, de q[ue]
Historia general - Primera parte 169

se irá haciendo relación en sus siglos, según suce-


dieron.
Las guerras civiles entre Augusto y Octaviano
tuviero[n] sin pretores a Sardeña algunos años, que
ajustaremos en el capítulo 20 de la segunda parte,
con que muchas de las ciudades y pueblos de Sar-
deña se restituyero[n] a sus jueces y leyes patricias, Restitúyese Sarde-
pero duróles poco este bien, porque vueltos a la ña a su gobierno
natural.
obediencia romana, la gobernaron presidentes.
Para entender esta difere[n]cia, debemos notar con
Estrabón, que todas las tierras que los romanos
tenían fuera de Italia, las llamaban provincias, pero Cómo se decían
con esta diferencia en que las co[n]stituyó Augus- las tierras del
to César, que unas eran provincias cesáreas o q[ue] Imperio Romano
entre el Senado y
pertenecían con su gobierno y rentas al César, se César.
gobernaba[n] desde esta divisió[n] por presidentes, Strab.li.6. in calce
y las consulares o de la República, por procónsules, operis.
Dion. li.35.
con q[ue] entenderemos muchas de las leyes del
derecho; y en esta forma de gobierno se co[n]servó
Sardeña hasta que Nerón quitó a Grecia del Sena- t. de offic. Prssid.
de offic.
do, que entonces para que fuese sin su agravio, praefect.prat. de
como pondera Pausanias, les recompensó con Sar- offic. procon
deña toda la Grecia: Quoniam pro ea Sardiniam
praeditem Insulã in Provinciae formam redegit. Y Pausan.li.7.
Justo Lipsio, habiendo visto el original griego de
Pausanias, le pone a la letra y traduce en latín,
diciendo: Omnium immunem, & liberã Nero reli- Iust.Lyps. ad
Taci.li.15.nu.53.
quit Greciam, per mutatione quadam cum populo
Romano facta, Sardineam enim Insulam beatam, &
uberẽ pro Grecia ei attribuit. En que solo
po[n]deramos q[ue] se reco[m]pe[n]só sin agravio
del Senado toda la Grecia, con la riqueza y abun-
dancia de sola Sardeña.
Así se conservó en el gobierno del Imperio Roma-
no con las variaciones que él tuvo, unas veces
gobernada por presidente particular; otras,
unié[n]dole a este gobierno de Córcega.
Desde el Gran Constantino hasta Graciano, q[ue]
pasaro[n] 80 años, nos comprueba el derecho,
q[ue] tuvo presidentes Sardeña por sí sola, y co[n]
170 FRANCISCO DE VICO

Córcega, con sola diferencia de las apelaciones que


iban a Roma, y en este gobierno se conservó hasta
Entrada de los el año 456 de la Encarnación, que Genserico, Rey
vándalos en Sar- de los vándalos, se la quitó a los romanos, en que
deña.
pudo poco alterar su gobierno, pues solo le tuvo
hasta el año 468, que fuero[n] doce años, que
entonces, como veremos, el emperador Leó[n]
recobró a Sardeña por el imperio, y la restituyó al
Imperio, a cuyo gobierno estuvo hasta los calami-
tosos tie[m]pos de Zenón, q[ue] fue por los años
473, en que empezaron a faltar cónsules aquel y
otros años, con que no hubo quien enviase a Sar-
deña gobernadores, que como veremos era provin-
cia consular, y, entonces, respira[n]do de la tiranía,
se restituyó Sardeña a su antiguo gobierno de jue-
Jueces de Sarde- ces, y eligió como veremos, en Torres, a Comida en
ña, se torna[n] a el año 490, y a su imitación, los de Arborea,
introducir.
no[m]braro[n] para su provincia al mismo Comi-
da, y los de Galura a Baldo.
En este su gobierno natural y proprio se conserva-
Justiniano,
Emperador, torna
ron hasta el año 534, en q[ue] Justiniano, como
a cobrar a Sarde- veremos, por mano de Belisario recobró a Sardeña
ña. y la unió al prefecto Pretorio de África co[n] otras
L.2.C.de offic. provincias, dándole su presidente para su gobier-
Praeto. Arpi.
no.
Y aunque sacado el poco tiempo que godos y
moros y lo[n]gobardos y otras naciones la inquie-
taron, pudo variar en algo su modo de gobierno;
pero el más firme y constante fue en sus jueces o
régulos, co[n] divisió[n] del Reino en sus cuatro
Restitúyese Sarde-
ña a su gobierno provincias o judicados, con nombre de reinos y sus
de jueces, dividi- jueces, reyes, como se ha dicho en el capítulo 11
do el Reino en desta parte, y más largamente se dirá en la tercera
provincias.
de la historia.
Así fueron corriendo los siglos, hasta q[ue] con
dicha felicísima de Sardeña, entró por la concesión
de la santidad de Bonifacio Octavo en la Corona
de Aragón, que entonces resignó en la Majestad
Real su libertad Sardeña, entregándose co[n] lo
que de sí poseía al señor rey do[n] Jaime, segundo
Historia general - Primera parte 171

deste nombre, por su embajada, y en su cumpli- Gobierno nuevo


en Sardeña, cuán-
mie[n]to al señor infante don Alo[n]so, q[ue] llegó do se entregó a la
a Sardeña el año 1323, para tomar posesión della Casa real de Ara-
en nombre del señor rey don Jaime el Segundo, su gón.
padre, y halló a Sardeña dividida en los judicados
de su gobierno parte y muy principal en q[ue] ella
se co[n]servaba co[n] sus leyes municipales, otra
q[ue] le retenía[n] los pisanos, que era del Judica-
do de Cáller, los Co[n]des Donoráticos, el de
Arborea, su juez Hugo, y el de Torres o Sácer de
por sí, gobernándose como república por sus leyes
y estatutos municipales, que son las mismas que
hoy se guardan, reserva[n]do las baronías y lugares
que tenían como señores, exceptos los de la casa de
Oria y Marqueses de Malespina, q[ue] en su siglo,
cuando se trate dellos, se nombrarán en la sexta
parte de la historia, co[n] distinción e individua-
ción de los lugares y personas. Toda esta división
de gobierno cesó reduciéndose a solo uno mediato
con la llegada del señor infante don Alo[n]so, que
entró en la real posesión del Reino en el año dicho
de 1323, y le gobernó mientras estuvo en él, nom-
brando un gobernador al gobierno de la ciudad de
Sácer en el mismo año 1323, y en su partida y
vuelta para España, un gobernador general para
todo el Reino, que después se mudó en título de
virrey, y se puso gobernador en Cáller y su Cabo
en el año 1355, de cuya jurisdicción, preeminen-
cia y autoridad, se dirá en su lugar extensamente;
aquí solame[n]te porné27 la nómina de todos los
q[ue] han sido virreyes y gobernadores de uno y
otro Cabo, para noticia de los que no la tuvieren.

27 Porné: “pondré”. Variante de una de las primeras formas contractas del futuro.
Véase la nota número 28.
172 FRANCISCO DE VICO

Capítulo XVII
De los gobernadores generales, virreyes y capitanes
generales, q[ue] han sido en el Reino de Sardeña,
desde la llegada en él del señor infante don Alfonso,
que fue el año 1323.
El señor infante don Alfonso de Aragón, Conde de
Urgel y Vizconde de Ager, en el Principado de
Cataluña, general de la armada del Rey, don Jaime,
1323
su padre, contra los pisanos.
1323
Pedro de Lupiá, teniente de gobernador general.
1324
Felipe Saluces, gobernador general.
1325
Berenguer Carroz.
1326
Bernardo de Boxados.
1326
Filipe Buil.
1328
Bernardo de Boxados, segu[n]da vez.
1329 Guillermo de Cervelló.
1330 Bernardo de Boxados, tercera vez.
1331 Don Ramón de Cardona.
1336 Ramón de Pompeo.
1337 Ramón de Ribelles.
1340 Ramón de Corbera.
1340 Guillermo de Cervelló; y por no poder venir se
nombró a Blasco Masa.
1340 Guillermo de Cervelló.
1341 Don Jaime de Aragón, hijo del rey don Alfonso.
1347 Ramón de Corbera.
1348 Alfonso Falcó de Proxita.
1354 Pedro de Besalú.
1355 Jimén Pérez de Calatayud.
1362 Pedro de Luna.
1366 Berenguer Carroz.
1369 Esbert de Cruillas, que era gobernador de Sácer.
1374 Simeón Pérez de Arenoz.
1388 Juan de Montbui.
1391 Jorge Falco de Proxita.
1392 Anrigo de la Roca de Córcega, Conde de Chinar-
1393 ca en Córcega.
1394 Rugero de Moncada.
1397 Francisco de Santa Coloma.
Historia general - Primera parte 173

Pedro de Torrellas. 1409


Juan de Corbera. 1411
Acart de Mur. 1419
Juan de Corbera. 1420
Bernardo de Centellas. 1421
Jaime de Besora. 1434
Francisco de Eril. 1438
Nicolás de Monte Capra. 1449
Jofré de Ortafa. 1451
Jaime de Besora. 1452
Don Jaime Carroz, Conde de Quirra. 1454
Empera de Besalú. 1456
Jaime Flos, que fue gobernador de Sácer. 1458
Nicolás Carroz Alberts. 1460
Simeón Pérez Escribá de Romaní. 1479
Guillermo de Peralta en el interim. 1484
Simeó[n] Pérez Escribá de Romaní. 1485
Íñigo López de Mendoza. 1487
Alfonso Carrillo. 1491
Doctor Juan Dusai. 1493
Don Ferna[n]do Girón de Rebolledo. 1508
Don Ángel de Villanueva. 1515
Don Martín de Cabrera. 1529
Don Antonio de Cardona. 1533
Don Jerónimo de Aragall, por ausencia de don 1549
Antonio de Cardona.
Don Antonio de Cardona. 1551
Don Álvaro Madrigal. 1556
Don Jerónimo de Aragall, por el interim. 1569
Don Juan Coloma, que después fue Conde de
Elda. 1570
Don Jerónimo de Aragall, por el interim. 1576
Don Miguel de Moncada. 1578
Don Gaspar Vincencio Novella, Arzobispo de
Cáller por el interim. 1585
Don Miguel de Moncada. 1586
Don Gastón de Moncada, Marqués de Aitona. 1592
Don Alfonso Laso, Arzobispo de Cáller, presiden-
te por ausencia del Conde de Elda. 1595
Don Antonio Coloma, Conde de Elda, volvió de
174 FRANCISCO DE VICO

1598 España al mismo gobierno.


Don Jaime de Aragall, gobernador de Cáller, vice
1604 regia gobernando.
Don Pedro Sánchez de Calatayud, Conde del Real.
1605 Don Jaime de Aragall, gobernador de Cáller presi-
dente.
1610 Don Carlos de Borja, Duque de Gandía y Conde
de Oliva.
1611 Don Alfonso de Eril, Conde de Eril y Barón de
Orcau, en el Principado de Cataluña.
1617 Don Juan Vivas, que fue embajador de Génova.
1621 Don Diego de Aragall, gobernador de Cáller vice
1624 regia, gobernando por muerte de Don Juan Vivas.
Don Pedro Ramón Zaforteza, procurador real de
1624 Mallorca, fue proveído a este gobierno con título
de presidente, hoy Conde de {…}.
Don Jerónimo Pimente, general de la caballería de
1624 Milán, Marqués de Bayona.
Don Diego de Aragall, gobernador de Cáller vice
regia, gobernando por muerte del Marqués de
1631 Bayona.
Don Fray Gaspar Prieto, de la orden de nuestra
Señora de la Merced, Obispo del Alguer, con títu-
1631 lo de presidente.
1632 El Marqués de Almonacir, Conde de Pavías.

Capítulo XVIII
De la institución del oficio de gobernador, que se
fundó en el Cabo de Sácer, y de su jurisdicción.
En el capítulo 11 desta parte, hemos bastante-
mente referido la división antigua del Reino con
sus cuatro judicados, y la jurisdicción de sus jue-
ces, y en el capítulo 16 se ha referido el que tuvo
desde sus primeros habitadores hasta la llegada
del señor infante don Alonso, con el nombra-
miento que hizo de un gobernador general para el
gobierno de todo el Reino. En este capítulo tra-
taremos del oficio de gobernador q[ue] fundó y
Historia general - Primera parte 175

puso en Sácer en el año 1323, y luego en Cáller y


su Cabo en el año 1355, para el gobierno imme-
diato dellos, con su jurisdicción y poder en los
súbditos que gobiernan.
No es tan fácil de averiguar a cuál de los oficios
antiguos, así deste Reino como del Senado e
Imperio Romano correspo[n]da este del goberna-
dor; porque según vimos en el capítulo 16 desta
parte, y veremos en el discurso de los sucesos refe-
ridos en la segunda y tercera parte, este Reino de
Sardeña se gobernó en tie[m]po del Senado y
emperadores romanos por pretores, desde cuando
la hicieron provincia, según en el lugar citado lo
probamos por muchas leyes; los cuales para el L. I. & 2. ff. de
offic.Pref.
gobierno immediato de las provincias del mismo
Reino, se valía[n] de otros jueces, que los llama-
ban capitanes, y aunque, como queda dicho, con-
tinuó después Sardeña en ser gobernada por cua-
tro jueces o régulos, sie[n]do cada cual señor
absoluto de la parte que regía; todavía queda la
dificultad en pie, es a saber si este oficio de gober-
nador fue instituido y corresponde al de los capi-
tanes que los pretores del Reino nombraban para
el particular gobierno de las provincias, o de los
régulos o jueces en que se conservaron, hasta que
vino a ser de los serenísimos reyes de Aragón, y
cuanto a la significación del nombre, vemos que
es diferente del juez o régulo y de capitán; y tam-
bién cuanto al efecto, poder y preemine[n]cia del
mismo oficio y gobierno; porque el juez no solo
era de la provincia o Reino por administrar justi-
cia en paz y en guerra a los súbditos; pero tenía
también absoluto y bastante poder sobre ellos
con mero y mixto imperio, sin reconocer supe-
rioridad, ni dependencia de otra persona ningu-
na, q[ue] no tenía el capitán por estar subordina-
do en las cosas de guerra al pretor; y así sie[n]do
q[ue] este oficio de capitán fue instituido por las
muchas guerras q[ue] co[n]tinuamente tenía el
Reino, como de lo que dijimos en el capítulo 16
176 FRANCISCO DE VICO

con los q[ue] se refiere[n] en la tercera parte, de


lo cual sacamos q[ue] este oficio de gobernador,
no fue absolutame[n]te instituido ni a semejanza
de uno ni de otro; pero segú[n] su poder, vemos
q[ue] participa de entrambos; porque cuanto a la
administración de la justicia en lo civil y crimi-
nal, con mero y mixto imperio que tiene, es
semejante al juez o régulo, por razón q[ue] el
gobernador es superior a todos los de su provin-
cia universalmente, sin exceptuación de los baro-
nes y títulos en todas las causas, co[n] mero y
mixto imperio, y cuanto al poder q[ue] tiene a las
cosas de guerra, y a ser subordinado al lugarte-
nie[n]te, y capitán general de todo el Reino, es
semejante al oficio de capitá[n], q[ue] los prefec-
tos tenía[n] en Sardeña; y aun por participar este
oficio de gobernador de las preemine[n]cias q[ue]
tenía[n] los dos oficios, parece q[ue] simbolizan
con otro que los romanos comúnme[n]te llama-
ban prefecto, que era subordinado al oficio que
ahora llamamos preside[n]tes y capitán general;
porque vemos q[ue] tienen ambos la misma pree-
minencia y poderío; de q[ue] hace mención el
jurisconsulto Ulpiano en la l.ideo, ff.de offic.Pro-
con. y en la l.4.de offic.Praesid. donde se ponen
aquellas palabras: Praeses Provinciae maius Impe-
rium in ea habet omnibus post Principem. Lo cual
Bart. in conocemos en el gobernador, q[ue] es Praefectus
l.I.n.3.ff.de dam. Provinciae, cuyo oficio es el mayor, más alto y
infect. Petr.Greg. preeminente en su provincia respecto de los otros
syntax.iuris.tom.2.
3.part.n.6. jueces ordinarios reale[n]gos, y otros cualesquier
de su provincia, y es immediatamente después del
lugartenie[n]te general en ausencia del príncipe,
co[n] poder de conocer por apelación, y recurso
de todos los negocios, de los cuales conocen en
primera y segunda instancia los jueces de su pro-
vincia, que era atributo y apellido del prefecto
romano, cuya jurisdicción se señala en la l.2.C. de
officio Praeto y en la l.necessariam, ff. de orig.iuris.
Entendida pues la autoridad y jurisdicción del
Historia general - Primera parte 177

gobernador, vendremos a tratar del tie[m]po de


su erección y creación. Digo pues que llegado
que hubo a Sardeña, y puesto el campo en villa
de Iglesias, el serenísimo infante don Alonso,
co[n] facultad plena de Alter nos, del señor rey
don Jaime, su padre, a suplicació[n] de los emba-
jadores de la ciudad de Sácer, que fueron a villa
de Iglesias a prestarle obediencia, erigió y crió
este oficio de gobernador para aquella ciudad, el
año de 1323, y nombró a Guillén Moliner, caba-
llero catalán, que fue el primer gobernador que
aquella ciudad, y aun el Reino todo ha tenido,
como largamente se dirá en el capítulo 9°, núme-
ro 11 de la quinta parte. Era este caballero uno
de los principales que vinieron de Cataluña, sir-
viendo al señor Infante; y, correspondiendo con
sus obligaciones, se hubo muy bie[n] en el
gobierno, aunque duró poco en él, porque le
sucedió el año siguie[n]te de 1324 Ramón Sama-
nat, el cual, después de haber administrado este
oficio como dos años, le sucedió en él Ramón de
Mompavo, q[ue] lo administró muchos años, en
los cuales pudo dar principios y aun acabar qui-
tada la barbacana y fosos el castillo insigne que
hoy tiene aquella ciudad, del cual hablamos arri-
ba en el capítulo 15, sie[n]do gobernador gene-
ral de todo el Reino don Guillén de Cervellón,
cuyas armas con las de la ciudad y de su gober-
nador están hasta hoy en las torres del mismo
castillo, que son un ciervo por las de Cervellón y
un pavo por las de Mo[m]pavo, con una torre en
medio q[ue] son las armas de la ciudad de Sácer,
y las mismas que ponía la ciudad turritana que se
pasó a ella.
Después de Ramón Mompavo, vino por gober-
nador Pedro Gilabert o Gibert, el año 1346, y le
sucedió en el de 1353 Bernat de Cruillas, que
administró aquel oficio tres años, y le sucedió el
año 1356 fray Galcerán de Fenollet, Caballero
del hábito de san Juan; al cual, después de haber
178 FRANCISCO DE VICO

gobernado el dicho oficio un año, le sucedió el de


1357 Bernat de Guimerá, q[ue] fue gobernador
como diez años, después de los cuales vino a
Sácer por gobernador Pedro Alberich, el año
1367, y en el de 1369 Dalmao Jardin o Jordan; y
luego después, por el de 1371, Gilabert de Crui-
llas, q[ue] gobernó aquella ciudad, y su Cabo
como doce años, y le sucedió en el gobierno el
año 1383 Francisco de Santa Coloma, que sí
entre él y Ramón de Zatrilla q[ue] lo fue el año
1416, no hubo otro gobernador en medio, que
no lo he podido averiguar, se saca q[ue] adminis-
tró 33 años este oficio; todos estos gobernadores
hasta aquí no[m]brados, fuero[n] caballeros cata-
lanes muy principales, y después deste lo fue Juan
Pardo de la casta caballero aragonés, como diez y
siete años; porque hallamos q[ue] entró en el
gobierno desta ciudad, y de su Cabo el año 1433;
y luego, después deste, lo administró Jua[n] Flos,
natural de la misma ciudad, con mucha satisfac-
ción del Rey y de las ciudades y pueblos, desde el
año 1440 hasta el de 1459, en el cual le sucedió
otro Ramón Zatrilla, y a éste, Antonio de Sola, el
año 1461, después del cual vino a tenerlo Pedro
Pujades, por el año 1468, y en el de 1484 Juan
Gralla, estos cuatro también fueron catalanes,
aunq[ue] el Juan Gralla, no estuvo en él más de
un año; porque el siguiente, que fue el de 1485,
vino a Sácer por gobernador Juan Biura, y admi-
nistró aquel oficio hasta el año 1506, en que le
sucedió Juan Amat, que también fueron catala-
nes, al cual, después de cinco años, sucedió en el
de 1510 Felipe Boil, valenciano, y a éste, el año
1514 Pere Juan Gamboi, al cual en el año
siguiente de 1515 sucedió Fra[n]cisco Gamboi,
que gobernó a Sácer y a su Cabo nueve años, des-
pués de los cuales lo gobernó do[n] Francisco de
Sena, que fue proveído en este cargo el año 1524,
y habie[n]do de acudir a la corte por la preten-
sión q[ue] tenía en una sucesión de la Baronía de
Historia general - Primera parte 179

Romangia, como heredero no[m]brado por Juan


Milia, señor della, sirviero[n] por su ausencia
aquel oficio muchos, como don Fra[n]cisco
Giró[n] de Rebolledo en el año 1530, don Nofre
de Cardona en el de 1534, don Francisco Cente-
lles en el de 1536 hasta el de 1538, que fue nom-
brado por su Majestad gobernador de Sácer en
propriedad don Diego de Sena, hermano de don
Francisco, y gobernó aquel oficio hasta el año
1546 por su ausencia en este tiempo lo fue don
Jaime Manca y don Juan Cariga, que dejó luego
la vara, restituyéndola al mismo don Diego, al
cual sucedió don Francisco de Erina, caballero
muy principal en Aragón, hombre de grandísimo
valor y un grande patricio; a éste sucedió en la
gobernación don Garau Zatrilla, que no fue de
menos su valor que su predecesor, porque era uno
de los más famosos caballeros de todo el Reino de
Sardeña; y porque tenía la vara encomendada, le
sucedió luego el año siguiente de 1554, don
Antíoco Bellit en propriedad, q[ue] por su gran
valor y partes se ha señalado ta[n]to, que ningu-
no de los antiguos se le ave[n]taja, ni ha perpe-
tuado tanto su nombre en este gobierno, ni ha
alcanzado más fama q[ue] él, por la mucha satis-
facción que dio en todo el tiempo q[ue] gobernó,
que fue hasta el año 1578, aunque hizo ausencia
por un poco de tiempo en q[ue] fue a la Corte de
su Majestad, y entre tanto le administró por
encomie[n]da don Andrés Manca, y don Juan
Fabra; y después del dicho do[n] Antíoco, gober-
naro[n] así mesmo por encomienda este cargo
do[n] Pedro Aimerich, do[n] Antón Coloma, que
fue después Conde de Elda y virrey de Sardeña,
hijo del q[ue] lo era entonces, don Juan Coloma
el año 1580 y el siguie[n]te de 1581, don Antón
Camos, caballero catalán, q[ue] después tomó el
hábito de la sagrada religión de san Agustín en la
misma ciudad de Sácer, y a cabo de muchos años
de religión, fue proveído y nombrado obispo de
180 FRANCISCO DE VICO

una provincia de Nápoles, en el año 1606, des-


pués de los cuales fue proveído por su Majestad
por gobernador de Sácer el año 1583 el mismo
don Pedro Aimerich, del cual dijimos q[ue] lo
había tenido por encomienda, y lo sirvió hasta el
año 1594 q[ue], por su muerte, le sucedió do[n]
Fra[n]cisco de Sena, hijo de don Diego de Sena y
sobrino de don Francisco, q[ue] como arriba diji-
mos, gobernaro[n] aqueste oficio; a éste sucedió
don Enrique de Sena, su hijo, después de haber
sido su coadjutor por su Majestad muchos años,
con la sucesión que hoy tiene deste gobierno.
Tenía este gobernador de muy atrás dos letrados
q[ue] le asistían, uno de los cuales le servía de ase-
sor, y el otro de fiscal para la buena resolución y
despacho de los negocios, los cuales han venido a
crecer tanto, que para mayor comodidad y prove-
cho de todo el Cabo, mandó el Rey, nuestro
Señor, don Filipe Segundo, nombrar el año 1582
dos asesores, dividie[n]do entre ellos la jurisdic-
ción y causas de la dicha gobernación, encargan-
do al uno las causas civiles, y al otro las crimina-
les, junto con el fiscal, y a todos tres los casos
contenciosos y diferencias judicionales, así civiles
como criminales.
Tiene así mismo subordinados el gobernador, dos
vegueres y dos potestades, q[ue] asiste[n] para el
gobierno immediato de su Cabo, q[ue] son el de
las ciudades de Sácer y del Alguer, a los cuales
toca conocer (respective en su distrito) en prime-
ra instancia de los pleitos civiles y criminales de
aq[ue]llas ciudades en las cuales gobierna[n],
co[n] acuerdo y parecer de un letrado q[ue] su
Majestad les da por asesor, en el mismo tiempo
que les nombra para este oficio, en el cual está el
de Sácer dos años y el del Alguer uno; en las otras
dos ciudades sujetas a Sácer, cuales son Bosa y
Castillo Aragonés, hay dos potestades por privile-
gio de su Majestad, y subordinados ta[m]bién
(como se ha dicho de los vegueres) al gobernador
Historia general - Primera parte 181

y dura el gobierno y ejercicio destos potestades


dos años en cada ciudad, a los cuales, en lugar de
asesor, les asisten los conselleres, co[n] cuyo con-
sejo y parecer determina[n] y define[n] las causas
sujetas a sí.
Demás destos jueces inmediatos, solía tener el
gobernador de Sácer otros dos gobernadores,
q[ue] eran el del Co[n]dado de Gociano y el de
Bosa, los cuales no[m]braba su Majestad para el
buen gobierno de aquellos estados, destos supri-
mido el uno q[ue] es el de Bosa, y queda en pie
solo el de Gociano, q[ue] tiene de sueldo o sala-
rio 200 ducados sin otros provechos. Los demás
lugares y regiones, baronías y enco[n]tradas deste
Cabo son gobernadas inmediatamente por sus
señores, entre los cuales hay marqueses, condes y
barones q[ue] son inferiores y tienen subordina-
ció[n] al dicho gobernador, el cual así en grado de
apelació[n], como en las sinrazones y agravios
que los vasallos y súbditos padecen de sus seño-
res, oficiales y ministros hace justicia y usa de
jurisdicción como a superior dellos.
Tiene por ministros treinta alguaciles, y diez por-
teros, los cuales provee su Majestad, y sirven para
ejecutar los mandamientos y ordinaciones del
dicho gobernador, así a lo tocante a lo criminal
como a lo civil de todo el Cabo, y para acompa-
ñarle cuando sale los alguaciles co[n] sus varas
largas y los porteros con sus mazas delante, que
dan gra[n] autoridad al oficio, representándose
en él la Majestad y potestad q[ue] el jurisconsul-
to Ulpiano da a los superiores jueces en la
l.Imper.ff.de iurisdic.omn.iud.

Capítulo XIX
Nómina de todos los gobernadores de Sácer, desde 1323
q[ue] llegó al Reino el señor infante don Alfonso.
Guillén Moliner, fue nombrado por gobernador
182 FRANCISCO DE VICO

de Sácer, a petición de la misma ciudad por el


señor infante don Alfonso en el cerco de villa de
Iglesias.
1324 Don Tomás Zacosta.
1325 Ramón de Santmenat.
1326 Pedro Gilabert.
1327 Ramón Mompavo.
1350 Don Ramón de Cardona.
1354 Bernardo de Cruillas.
1355 Ramón de Riusech.
1355 Pedro Alberti.
1356 Bernardo de Guimerá.
1357 Galcerán de Fenollet.
1360 Dalmacio Jordá.
1363 Pedro Tollet.
1366 Pedro Alberti.
1369 Dalmacio Jordá.
1371 Esbert de Cruilles.
1383 Francisco de Santa Coloma.
1384 Juan de Santa Coloma.
1390 Galcerán de Villanueva.
1412 Ramón Zatrilla.
1415 Alberto Zatrilla.
1416 Ramón Zatrilla.
1434 Juan Pardo.
1440 Juan Flor.
1449 Ramón Zatrilla.
1461 Antonio Serra.
1468 Pedro Pujades.
1482 Francisco Juan de Santa Coloma.
1483 Juan Gralla.
1485 Juan Biura.
1500 Juan de Mombui.
1506 Juan Amat.
1510 Filipe Buil.
1514 Pedro Juan de Camboi.
1524 Don Francisco de Sena.
1529 Don Fra[n]cisco Girón de Rebolledo en el interim.
1534 Don Nofre de Cardona en el interim.
1537 Don Francisco Centellas en el interim.
Historia general - Primera parte 183

Don Diego de Sena en el interim. 1538


Don Jaime Manca en el interim. 1542
Don Juan Cariga en el interim. 1546
Don Francisco de Sena, que tenía este oficio en
propriedad. 1550
Don Francisco de Rigno. 1557
Don Garo Zatrilla en el interim. 1558
Don Antíoco Bellit. 1559
Don Andrés Manca en el interim. 1575
Don Antonio Coloma, que después fue Co[n]de
de Elda, y Virrey deste Reino. 1578
Don Pedro Aimerich, en encomienda. 1580
Don Antonio Camos, en encomienda. 1581
Don Pedro Aimerich, en propriedad. 1582
Don Francisco de Sena. 1591
Don Enrique de Sena, que hoy vive y gobierna, 1613
sucedió a su padre don Francisco, a quien servía de
coadjutor en el oficio.

Capítulo XX
De la institución y fundación del oficio del goberna-
dor de Cáller, y su jurisdicción y nómina de los que
la han tenido.
La jurisdicció[n] deste oficio e<s>28 la misma
q[ue] tiene el gobernador de Sácer, cua[n]do están
ausentes de su Cabo y de su distrito los virreyes y
lugarestinientes de su Majestad, y es superior en
todos los pleitos y causas, civiles y criminales a
todos los demás, que son el capitán de Iglesias y
potestad de Oristán, y así mismo a los oficiales rea-
les, barones y títulos de su Cabo, y conoce dellos
por apelació[n] y recurso.
No hallamos que este oficio se fundase antes del
año 1355, q[ue] lo fue Artal de Pallás, caballero
catalá[n], según refiere Zurita en el tomo 2°, libro

28 Es: en el texto original, “en”.


184 FRANCISCO DE VICO

8°, capítulo 50, año 1355, y haberse dilatado la


fundació[n] deste oficio, hubo de ser, porq[ue]
los gobernadores generales del Reino tuvieron su
reside[n]cia en el castillo de Cáller por mayor
custodia del, co[n]tra los pisanos, de quienes lo
cobraron por fuerza de armas, como en su lugar
veremos. A Artal de Pallás sucedió en el año 1357
Jimén Pérez de Calatayud, caballero aragonés,
que después fue virrey, y sucedió al que lo era en
el gobierno universal del Reino, y le sucedió en la
gobernació[n] en el año 1363 Alberto Trilla, y a
éste en el de 1384 Bernardo Cinisterra, en cuyo
tie[m]po y gobierno se le agregó la gobernación
de Galura, sucediéndole en el año 1390 Juan de
Mombui, al cual sucedió en el año 1400 Francis-
co Sagarriga, y a éste en el año 1404 Hugo
Rosaunes, que lo fue hasta el de 1408, que le
administró Marco Mombui, a quie[n] sucedió en
el año 1410 Juan de Montañana, y perseveró en
el oficio hasta el año 1417, q[ue] le sucedió Luis
de Pontons, q[ue] todos estos fueron catalanes, y
Offo de Proxita, aragonés, que lo fue hasta el año
1433, que le sucedió Luis de Aragall, a éste Juan
Flos q[ue] lo fue hasta el año 1459, que le suce-
dió Jaime Aragall, y en el de 1485 lo fue do[n]
Pedro Maza, y en el de 1519 hallamos lo q[ue] lo
fue Pedro de Aragall, a quien sucedió do[n] Jeró-
nimo de Aragall, que fue grande gobernador, que
por serlo, tenían por instrucciones los virreyes, de
consultar con él todos los casos graves del gobier-
no. A don Jerónimo sucedió su hijo, don Jaime,
en el año 1561, y a éste también su hijo, don
Diego de Aragall, y, por su menor edad, en el
interim se hizo merced deste oficio a don Juan
Zapata, paje de su Majestad, que lo gozó poco
tiempo, y le sucedió don Felipe de Cervelló, su
tío, que lo administró hasta el año 1622, q[ue]
entró en su gobierno don Diego de Aragall, q[ue]
le tenía en propiedad.
Historia general - Primera parte 185

Capítulo XXI
Nómina de todos los gobernadores de Cáller, desde
que llegó al Reino el señor infante don Alfonso.
No se halla que esta gobernación haya tenido
gobernador particular hasta el año 1355, que
hallamos que el primero que fue nombrado para
este gobierno, fue Artal de Pallás. Zurita tomo 2°,
libro 8°, capítulo 58, año 1355. 1355
Jimén Pérez de Calatayud, que después fue virrey
del Reino. 1357
Alberto Trilla. 1363
Bernardo de Cinisterra, en cuyo gobierno se agre-
gó a esta gobernación la de Galura. 1384
Juan de Mombui. 1390
Francisco Sagarriga.
Hugo Basvanes. 1400
March de Mombui. 1404
Juan de Montañana. 1408
Luis de Pontons. 1410
Oso de Proxita, gobernó en tiempo del rey don
Jua[n]. 1417
Luis de Aragall. 1433
Juan Flors. 1433
Jaime de Aragall. 1459
Don Pedro Masa. 1460
Pedro de Aragall. 1485
Don Jerónimo de Aragall, q[ue] fue gra[n]de
gobernador. 1519
Don Jaime de Aragall, su hijo. 1539
Don Diego de Aragall, su hijo, y, por su menor 1561
edad, don Juan Zapata. 1515??
Don Felipe de Cervellón. 1515??
Don Diego de Aragall. 1617
186 FRANCISCO DE VICO

Capítulo XXII
De la fundació[n] de la Audiencia real, y su institu-
ción, y de los regentes, oidores, y demás ministros,
1622
que ha tenido hasta el año 1622.
Cuando los régulos o jueces, poseían y gobernaban
el Reino como señores absolutos que eran, tenían
ministros inmediatos a sí, que, co[n] parecer y
voto de proho[m]bres, decidía[n] los pleitos, cau-
sas y diferencias que había entre sus vasallos, que es
la forma que hoy se guarda en todas las villas y
lugares del Reino en la decisión de los pleitos, por
disponerlo así una de las leyes de la Carta de Logo,
y de lo que se ha podido colegir y rastrear de los
registros y memorias antiguas, se echa de ver
haberse conservado en él siempre este modo de
juzgar, porque se halla[n] muchísimos ejemplares
q[ue] los gobernadores de ambos cabos le gober-
naro[n], determinando las causas con acuerdo y
parecer de los jurados y co[n]selleres, y de aquí
debió de tener principio este apellido de consellers,
porq[ue] daban consejo y parecer a los gobernado-
res de lo que debían de hacer en la decisión de los
negocios.
Aunq[ue] andando el tiempo, se fue introducien-
do que algunos de los gobernadores generales pro-
veían de justicia y acuerdo de letrados que ellos
nombraban por sus consultores, y esto se continuó
indiferentemente hasta el año 1487, que el rey
do[n] Fernando, como tan celoso de la conserva-
ción de sus Reinos, y que sus vasallos en los nego-
cios y pleitos tuviesen breve y acertada resolución,
no reparando en el gasto que a su patrimonio se le
seguía, instituyó y fundó el oficio de regente, para
que asistiese al gobernador general en el conoci-
miento de las causas y demás negocios tocantes al
gobierno del Reino, señalándole de salario 500
ducados; y el primero que nombró fue el doctor
Pons de Ornos, éste estuvo algunos años la
rege[n]cia; y habiéndole tomado residencia el doc-
tor Juan Dusai, le fue forzoso ir a España, a com-
Historia general - Primera parte 187

poner los negocios de su visita, por cuya ausencia


nombró el visitador, tenie[n]do poderes para ello
al doctor Bartolomé Gerp, en el año 1496, q[ue]
vivió muy poco en el oficio, y por su muerte
ma[n]dó el rey don Fernando este mesmo año se
encome[n]dase la plaza de rege[n]te al doctor
Francisco Ram, hasta que los negocios del doctor
Po[n]s se determinasen, e instituyó otra nueva
plaza de abogado fiscal, en la cual nombró al doc-
tor Juan Sánchez, q[ue] la sirvió hasta el año 1505,
y por su muerte, el doctor Dusai, q[ue] después de
haber acabado su visita, quedó en el gobierno
general del Reino, la encome[n]dó al doctor Mar-
tín Carbonel, hasta que el Rey le proveyó en pro-
priedad.
El doctor Ram sirvió la regencia por encomienda,
hasta que por su muerte o promoción del doctor
Ornos, se dio al doctor Juan Ardiles en proprie-
dad, que la tuvo hasta el año 1513, q[ue] fue pro-
veída en el mismo doctor Francisco Ram, que en
los años atrás la había tenido en encomienda,
dando juntamente la plaza de abogado fiscal al
doctor Ram, su hijo, aunque esta provisió[n] últi-
ma no tuvo efecto, como diremos luego.
Y porq[ue] puede causar alguna duda, q[ue] no
tuvo este año la plaza de rege[n]te el doctor Ram,
por hallarse algunas firmas del doctor Miguel Bár-
bara en pleitos q[ue] entonces pendía[n], y en par-
ticular en el pleito q[ue] se trataba sobre la división
de los términos entre la villa de Samatzai y encon-
trada de Trexenta; digo que puede ser que por la
muerte del doctor Ardiles encomendase el oficio el
gobernador general al doctor Miguel Bárbara,
hasta que el Rey la proveyese en propriedad; la
merced que se hizo al doctor Jerónimo Ram de la
fiscalía, no tuvo efecto porque se le representó al
Rey no ser cosa co[n]viniente que padre y hijo en
un mismo tie[m]po y lugar, administrasen estos
dos oficios, por parecer cosa inco[m]patible, y no
conviniente a la buena resolución de los negocios,
188 FRANCISCO DE VICO

y así fue proveída esta plaza en el doctor Bernardo


Simó, haciendo al Ram coadjutor de su padre en la
regencia, el año 1514.
A padre y hijo sucedió en la regencia el doctor
Miguel Mai, el cual le sirvió poco tiempo, por
haberle hecho merced el Rey de la plaza de vice-
canceller de su Consejo Supremo de Aragón, ocu-
pando su lugar el doctor Bernardo Simò fiscal,
hasta el año de 1543; en esta razón compró Ber-
nardo Simó las villas de Ítiri y Uri, que eran de don
Galcerán Cano y Cedrellas, y la Baronía de Monte
León de las ciudades de Sácer, Bosa y Alguer, como
se puede ver en su enfeudación.
A Bernardo Simó sucedió el la fiscalía el doctor
Jaime Mercer, que la gozó hasta el año 1545, que
don Pedro Veguer, Obispo del Alguer, visitó los
oficiales reales, y le suspendió dando su oficio, por
los poderes que tenía, al doctor Jerónimo Olivés,
que después ocupó la plaza de fiscal en el Consejo
Supremo de Aragón, que fue el primer fiscal que
hubo en este Consejo, por nombramiento que se
hizo de su persona en los ocho de junio 1553,
dejando en la de Sardeña al doctor Sigismundo
Arquer, al cual sucedió por encomienda el doctor
Antíoco Porcel, y fue luego proveída en propriedad
en el doctor Nicolás Cola el año 1557.
Al doctor Simó sucedió en la plaza de regente el
doctor Diego Pérez, el cual murió en el año 1550,
y el presidente del Reino, don Jerónimo de Ara-
gall, encomendó el oficio al doctor Antíoco Porcel,
y el de fiscal, q[ue] vacaba por muerte del doctor
Nicolás Cola a Juan Antonio Arquer; por muerte
del regente Diego Pérez fue no[m]brado el doctor
Mo[n]taña, en el año 1553; éste pidió licencia en
el año 1554, para ir a Roma a verse con el carde-
nal Puteo, su primo, y luego después fue proveído
en la regencia de Valencia, y en su lugar vino por
regente a Sardeña micer Pere Canfullons.
Pero como los negocios creciesen y por ser muchos
y el regente y fiscal no podían acudir a su breve
Historia general - Primera parte 189

despacho, enterado desto el rey don Felipe Segun-


do, estando en Barcelona, tomó acuerdo de insti-
tuir y formar la Audiencia y Ca[n]cellaría como la
tenía aquella ciudad de Barcelona, y Principado de
Cataluña, y así nombró cuatro plazas más, que
fueron tres de oidores, que las proveyó en los doc-
tores Francisco Realp, la segunda, en el doctor Sal-
vador Lledó, y la otra, en el doctor Jerónimo Mai,
todos catalanes, agregándole el oficio de juez de
corte; y la cuarta también de oidor en el doctor
Gabino Saso, agregándole el oficio de abogado fis-
cal, que le tenía encomendado el doctor Juan
Antonio Arquer, dejando la regencia al mismo
doctor Francisco Canfullons, por cuya muerte le
sucedió en el oficio el doctor José Mo[n]taner,
catalán, el año mil y quinie[n]tos sesenta y siete.
Murió también en esta sazón el doctor Jerónimo
Mai, y el mismo año le sucedió el doctor Montse-
rrate Tries.
Y porque los de la Audiencia tuviesen ley cierta de
guardar, y podían y debía[n] hacer, se formó sobre
esto veinte y cinco capítulos, q[ue] sirven de ins-
trucciones en la administración de justicia, que se
contienen en la pragmática de la fundación de la
Audiencia, que está guardada en el libro de la
lugartinencia del Reino; el doctor Salvador Lledó
tuvo la plaza de oidor pocos años, y por su muer-
te, fue proveído en su lugar el doctor Miguel Ángel
Cani, el año mil y quinientos setenta y siete, y en
el de 1580 fue proveída la plaza de oidor, y de abo-
gado fiscal en el doctor Valerio Saso, que vacaba
por muerte de Gabino Saso su padre, sucedie[n]do
este mismo año en la de oidor y juez de corte (que
también vacaba por muerte del doctor Mo[n]tse-
rrate Tries) el doctor Tomás Escapolat, y al regente
Montaner sucedió el doctor Jerónimo Amigo, de
Zaragoza el año 1583, q[ue] los demás hasta aquí
nombrados fueron catalanes.
Desta manera estuvo la Audiencia sin haber
mudanza en ella, hasta el año 1589, que por muer-
190 FRANCISCO DE VICO

te del doctor Miguel Ángel Cani ocupó su plaza el


doctor Pedro Miguel Giagarachio, y en el siguien-
te de 1590, sucedió en la de oidor, y abogado fis-
cal el doctor Juan Antonio Palou, por muerte del
doctor Valeri Saso, y proveído en la del doctor
Tomás Escapolat, que el año 1590 fue Dios servi-
do llevársele. Y en el de 1593, sucedió el doctor
Jerónimo Sampero en la rege[n]cia, por muerte del
doctor Diego Amigo, y fue tan corta su dicha
como lo fue en su vida, pues no la tuvo para tomar
posesión del oficio, esperando el título dél, que
llegó el día de su entierro, y así a los diez y siete de
mayo de 1593, ocupó su plaza el doctor Pedro
Jua[n] Soler, juez de corte, sucediéndole en la que
dejaba el doctor Cristóbal Grau; vacaron tam-
bié[n] este mismo año dos plazas en la Audiencia,
por muerte de los dichos Miguel Giagarachio, que
se dio al doctor Jaime Castañer, que había sido su
colega en el oficio de asesor de la gobernació[n] de
Sácer; y la del doctor Pedro Grez, la tuvo el doctor
Luis Farreyol, aunque la gozó poco tiempo, por-
que, habié[n]dose partido del puerto de Cáller en
un navío para España, le acometieron a vista de la
ciudad entre Pula y Carbonara, dos naves inglesas,
y co[n] los primeros tiros que dispararon, acertó a
dar una bala en parte que faltaron algunos pedazos
de maderos, y le hirieron tan mal al juez, que a
vista de todos cayó muerto; su plaza tardó a prove-
erse hasta el año mil y quinie[n]tos noventa y tres,
que le sucedió el doctor Montserrate Roselló.
El regente Soler fue visitado, y para defenderse le
fue forzoso ir a España, y volvió a su gobierno, en
que estuvo hasta que su Majestad le mudó a la
plaza de juez de corte de Cataluña, y en su lugar
sucedió el doctor José de Mur, que era regente de
Cataluña, el año 1605.
Desde que la Audiencia se instituyó y fundó en el
Reino, solía el fiscal della acudir al despacho de los
negocios criminales y a los del patrimonio real;
pero creciero[n] ta[n]to los de entrambos tribuna-
Historia general - Primera parte 191

les, que no podía un fiscal solo acudir a sus despa-


chos, y así padecían detrimento notable; para cuyo
remedio el rey don Filipe Tercero señaló al patri-
monio abogado particular en el año 1604, nom-
brando al doctor Juan Masons con salario de tre-
cie[n]tos ducados, y de poder llevar garnacha y
sentarse con los jueces de la Audie[n]cia en algunas
ocasiones; y mandó que el abogado fiscal de la
Audiencia, atendiese solame[n]te a las causas cri-
minales; y porque corriesen con breve despacho,
mandó también su Majestad eligir en la Audiencia
otra nueva plaza de juez de corte, que solo aten-
diese al criminal, sin poderse entremeter en las
causas civiles, señalándole de salario seiscie[n]tos
escudos. Esta plaza se dio al doctor Juan Masons el
año mil seiscientos y seis, sucediéndole en la que
dejaba de abogado patrimonial el doctor Andrés
del Roso, en este mismo año.
Estuvo así la Audiencia hasta el año mil seiscientos
y nueve, que por muerte del doctor don Jaime de
Castañer vacaron dos plazas, la de fiscal que fue
agregada a la plaza de oidor del doctor Francisco
Giagarachio, y la otra de oidor del mismo do[n]
Jaime Castañer fue proveída en el doctor Juan
Masons, y la de juez de corte que vacaba por pro-
moció[n] deste, fue proveída en el doctor don
Francisco de Vico. Murió también en este año el
doctor Cristóbal Grau que era oidor, y juez de
corte juntamente, y fueron proveídas ambas plazas
en el doctor Gabriel Ángel Dalp. En el año mil
seiscientos y once murió el doctor Juan Masons, y
su plaza de oidor fue proveída en don Francisco de
Vico, ocupando la que éste dejaba de juez de Corte
el doctor Nicolás Escarchoni. Estaban en esta oca-
sión en residencia todos los ministros reales de jus-
ticia y patrimonio; y pareciéndoles al doctor José
de Mur rege[n]te, y al doctor Gabriel Ángel Dalp,
que el buen despacho de sus pleitos necesitaba[n]
sus presencias en la Corte, se embarcaron en el año
1612, y sucedió que a don José de Mur, rege[n]te,
192 FRANCISCO DE VICO

le mudaron en la regencia de Mallorca, y le suce-


dió en la de Sardeña don Miguel Miralles q[ue] era
oidor en aquella Audiencia, y el doctor Dalp fue
proveído en uno de los oidores de aquella misma
Audiencia, y en su lugar pasó proveído a Sardeña
el doctor Lucas García de Valencia. En este mismo
año fue jubilado el doctor Montserrate Roselló, y
en su lugar fue proveído el doctor Pedro de Tara-
zona, natural de la ciudad de Huesca.
En el año mil y seiscientos y trece, murió el doctor
Lucas García, y su plaza de oidor y juez de corte
del civil (que dicen) fue proveída en el doctor
Nicolás Escarchoni, y en la que éste dejaba de juez
de Corte del criminal en el doctor Francisco Corts,
catalán. A don Miguel Miralles sucedió en el oficio
de regente, el año mil seiscientos y diez y siete, don
Francisco Pacheco que era oidor de Mallorca. En
el mismo año murió el doctor Francisco Giagara-
chio, y su plaza de fiscal fue agregada a la que tenía
de oidor don Francisco de Vico, y la otra que tenía
de la misma Audiencia, fue proveída en el doctor
Francisco Corts, y la de juez de Corte del criminal
que vacaba por su promoción en do[n] Jua[n] de
Andrada, asesor que era de la gobernación de
Sácer. En el año de mil seiscientos y veinte y cinco,
fue proveído en doctor Pedro Tarazona a la
Audiencia de Aragón, y le sucedió en la que deja-
ba en Sardeña el doctor don Andrés Roso, que era
abogado patrimonial, y le sucedió en esta plaza el
doctor Juan Dexart. En el año 1627 fue proveído
por rege[n]te del Supremo de Aragó[n] do[n]
Fra[n]cisco de Vico, y en su plaza de oidor le suce-
dió don Juan de Andrada, y la otra de fiscal fue
agregada a la plaza de oidor que tenía el doctor
don Nicolás Escarchoni, y la que éste dejaba de
juez de Corte, se agregó a la de oidor que tenía el
doctor Fra[n]cisco Corts; y la plaza del criminal
q[ue] vacaba por promoción de don Juan de
Andrada, se dio al doctor don Juan Dexart, que era
abogado patrimonial. Murió en el año 1632 el
Historia general - Primera parte 193

doctor Nicolás Escarchoni, y su plaza de oidor del


civil fue proveída en el doctor don Juan Dexart, y
la otra de fiscal fue agregada a la de oidor q[ue]
tenía el doctor don Francisco Corts, y en la de juez
de Corte q[ue] también vacaba por promoción del
juez Dexart, fue proveída en el doctor Miguel
Bo[n]fante. En este mismo año murió don Juan de
Andrada, y su plaza de oidor del civil fue proveída
en don Gaspar Pira, a quien sucedió por su muer-
te, en el año 1635, don Fernando Azcón del Reino
de Aragó[n], y en la del doctor Roso q[ue] había
vacado en el año 1634, fue proveída en el doctor
Miguel Bo[n]fante, y en la q[ue] dejaba este juez
de Corte del criminal, se proveyó en el doctor
Fra[n]cisco Cartó de Cataluña, q[ue] es el último
estado q[ue] hoy tiene la Audiencia de Sardeña.

Capítulo XXIII
De la fundación e institución del oficio de procura-
dor real, y baile general, y de las personas que le han
administrado hasta el año 1632.
Poco después que el señor infante don Alfonso dio
fin a la resistencia que los pisanos le hacían en la
entrada de Cáller, se partió para España, dejando
las cosas toca[n]tes al gobierno del Reino no muy
ordenadas, por las dificultades que tiene[n] todas
las cosas en su principio, y, en particular, la admi-
nistración de las rentas de su real patrimonio, y
dejando encomendadas las del Cabo de Cáller al
gobernador general del Reino, y las de Sácer a su
gobernador.
Desta manera parece, según consta por los regis-
tros q[ue] se administraba el patrimonio real, hasta
el año 1329 que el señor rey don Alfonso quitó
esta carga a los gobernadores, nombrando dos per-
sonas para entrambos cabos, por cuya cue[n]ta
corriese esta cobranza, que fueron Pedro Mainer
por el Cabo de Sácer, y para el de Cáller Ramón de
194 FRANCISCO DE VICO

Castro (si bien éste fue nombrado el año 1331, dos


o tres años después), teniendo cuenta cada uno en
su distrito, sin extenderse más su jurisdi[c]ción
que en su Cabo; y en este mesmo año que se dio el
oficio a Ramó[n] de Castro, fue no[m]brado pro-
curador real, Pedro de Libre, sirviéndole todavía el
mismo Ramón de Castro, el año 1334, asistiéndo-
le Francisco de Erga. Y en el año 1339 hallamos
que nombró el rey don Pedro a Lope de Genestai,
y a Justo de Mirabeto, que es señal que este oficio
estaba a cargo de dos personas, y no de una como
después lo ha estado, y que la administración de las
rentas de los dos cabos fuese distinta, y dividida, y
tenía cada uno dellos su procurador o baile como
distinto, consta por dos cartas que el rey don Pedro
escribió al administrador de las rentas del Cabo de
Sácer, sin especificar el nombre del que las tenía a
cargo, sus fechas de veinte y dos de noviembre de
1376, y de veinte y cuatro de febrero de 1379.
Este modo de gobierno tuvo el procurador real
algunos años, hasta que el rey don Juan, en el de
1387, estando en Barcelona, encargó la cobranza
de las rentas de todo el Reino a Ernaldo de Ponta,
con título de tesorero y administrador general.
Muerto éste, hallamos que estando el Rey en Zara-
goza en el año 1391, reduce estos oficios, y los pro-
vee en Berenguer Ricot con título de baile, a uso y
fuero de Cataluña; a éste sucedió Sergio Panella, y
tras él le tuvo Guillén Gaza, el cual le gozó poco,
sucediéndole luego Guillén de Frilia, el año 1413.
Por muerte deste, hizo merced deste oficio el rey
don Fernando (estando en Valencia) a Pedro Sega-
rra, el de 1415, que también le gozó poco tiempo;
porque el de 1417 se dio la Procuración real a Bar-
tolomé Vidal; éste le poseyó menos tiempo que su
antecesor, sucediéndole el siguiente de 1418, Jorge
Oliveri por cuya muerte se encomendó en el de
1420 a Juan Fivaller, que fue el que juntamente
con Juan de Gorbera, virrey, tomó prestados 2500
florines de Leonardo Cubeddu, Marqués de Oris-
Historia general - Primera parte 195

tán, el mesmo año de 1420, a cuenta de su Majes-


tad, sobre la encontrada y villas que quedan referi-
das en el capítulo q[ue] trata de la enfeudació[n]
del Marquesado de Oristán, fue baile en el año de
1431, Dalmacio Santjust. Y en el siguie[n]te, a 11
de marzo, hizo merced dél a Juan de Montalbán, y
diole poder particular el Rey, de vender algunos
lugares del Reino para sustento de las galeras; éste
le administró pocos meses, por haber muerto
luego; y se halla, que en 27 de septiembre del
mismo año, nombró el señor rey don Fernando,
procurador real a Jaime de Besora, catalán, perso-
na de mucho valor y partes, y que puso este oficio
en grande reputación; porque a su contemplación
se le acrecentó el año 1434, en grande manera la
jurisdicción deste oficio, concediéndole todas las
preeminencias, exenciones y privilegios de que
gozan los bailes de Cataluña; éste dio casi todas las
enfeudaciones del Reino, y fue el que presidió en
la reducción de Monte León a la Corona contra
Nicolás de Oria, y el que finalmente vino a ser
gobernador general del Reino, mostrando en este y
demás oficios que tuvo mucho valor y celo grande
del servicio de su Rey, sucediéndole cosas muy
notables en el discurso de su vida, que el curioso
las podrá ver y notar por él desta historia. Después
deste fue procurador real Francisco Marino, el año
1461, a quien sucedió Berenguer Zaplana, catalán,
y por su remoción entró Juan Fabra, natural de
Valencia, y en su ausencia substituyó a Jaime Crua
hasta el año 1502, que se proveyó en Gaspar Fabra,
a suplicación del mismo Juan Fabra, y muerto, se
hizo merced deste oficio en el año 1509, a un hijo
que dejó, y por ser de menor edad, sirvió el oficio
algunos años don Alonso Carrillo; esta merced que
el señor rey don Fernando hizo a Juan Fabra, con-
firmaron los señores reina doña Juana, y don Car-
los, su hijo, el año de 1516 y el siguiente de 1517,
le dieron por sustituto a Juan Cormelles, y por su
remoción sustituyeron los dichos señores reina
196 FRANCISCO DE VICO

doña Juana y don Carlos, su hijo, al dicho don


Alonso Carrillo, con patente despachada en Barce-
lona, al primero de abril 1519, y gobernó este ofi-
cio hasta el año 1543 en que murió, y entró a ser-
virle don Juan Fabra hasta el año 1567, que lo
renunció en favor de don Nofre Fabra, su sobrino;
éste le sirvió hasta el año 1594, que a su petición
(por hallarse viejo) nombró el señor rey don Feli-
pe Segundo a don Juan de Híjar y Fabra, su hijo,
por cuya muerte pidió nueva merced del oficio, y
se la otorgó el año de 1607, el señor rey don Feli-
pe Tercero, y por muerte de don Nofre, fue nom-
brado procurador real don Pablo de Castelví, su
yerno, hijo del Marqués de Láconi, Caballero del
hábito de Santiago, que actualmente le sirve con
merced de la futura sucesión en favor de don Jaime
Artal de Castelví, su hijo, Barón de las villas de
Síligo y Villanueva, que se le hizo en el año 1633.

Capítulo XXIIII
De la fundación e institució[n] del oficio de mestre
racional en Sardeña, y de los q[ue] le han
administrado hasta el año de 1632.
No hallamos en los registros del Reino, que para la
administració[n] del oficio del racional, haya habi-
do persona disputada por los serenísimos reyes de
Aragón, que tuviese cuenta y razón, de las rentas
del patrimonio real; y es que las debieron de tener
al principio las personas que tenían a cargo sus
cobranzas, que van nombradas en el capítulo ante-
cedente, y solo hallamos que este oficio estuvo des-
pués a cargo, y se administraba por un sustituto
nombrado por el mestre racional de Cataluña, y
por los daños que en esto se seguían a la real
hacienda, por las remisiones y faltas que se suelen
cometer en los oficios que se administran por subs-
titutos, se segregó y dividió del de Cataluña por el
señor rey don Fernando, y le fundó y puso inde-
Historia general - Primera parte 197

pendente dél en el año 1480, y nombró para admi-


nistrarle en los veinte y uno de septiembre deste
año 1480 a Berenguer Granell, catalán, con todas
las gracias, privilegios, prerrogativas, ho[n]ras y
exenciones, que tenía el de Barcelona; y aunque es
verdad que años antes había hecho el rey don
Pedro (estando en Valencia) división deste oficio, y
proveídole en Bernardo Coll, con todo no tuvo
efecto, hasta que el rey do[n] Fernando le puso en
ejecución.
Tuvo este oficio Berenguer Granell hasta el año
1489, que por su muerte hizo merced dél el rey
don Fernando el mesmo año (estando en Granada)
a Benet Gualbes, natural de Cataluña, que le
Los maestres
gobernó diez años, haciendo dejació[n] dél. Nom- racionales q[ue]
bró la reina doña Juana y don Carlos, su hijo, ha tenido Sarde-
estando en Barcelona el año 1509, a Pedro Pileres, ña.
y por su muerte en el de 1528 a don Juan Ram,
q[ue] le sirvió como veinte y ocho años, y por su
muerte le sucedió en el oficio Alexio Fontana, cuya
memoria debe estimar mucho el Reino, por haber
llevado a él la sagrada religión de la Co[m]pañía de
Jesús, y fundado su primer colegio en la ciudad de
Sácer, su patria, sirvió este oficio algunos años, y
desea[n]do su quietud, le renunció y proveyó el
señor rey don Felipe Segundo (estando en Ante-
quera), el año 1556, en Francisco Ram, pero fue
tan corta su vida, que apenas le gozó ocho meses,
y así su Majestad les encomendó segunda vez al
mismo Alexio Fontana, que le sirvió otros dos
años, y por su muerte le tuvo el año 1558 Antón
de Rabaneda; a éste sucedió en el oficio el de 1564
Alo[n]so de Rabaneda, su hijo, que fue residencia-
do y murió en la demanda; y siguiéndola su hijo
don Francisco de Rabaneda, tuvo sentencia absol-
vatoria en favor de su padre, y a él hizo merced
haciéndole su Majestad merced del mesmo oficio,
el cual sirvió con mucha satisfacción, y por tener-
la su Majestad de sus servicios, le proveyó en don
Antón de Rabaneda, su hijo segundo, que a la
198 FRANCISCO DE VICO

sazón seguía la Corte, donde murió, estando de


partida para su residencia; por cuya muerte la
Majestad del rey don Filipe Tercero, nombró en su
lugar a don Pedro de Rabaneda, su hermano
mayor, que le sirvió hasta el año 1622, que murió
en la Corte de su Majestad, y a co[n]templación de
sus servicios, y de los de sus pasados, hizo merced
deste oficio a su hijo don Pedro de Rabaneda, del
hábito de Santiago, Marqués de Mo[n]te Mayor; y
por su menor edad, en el interim, a Francisco de
Rabaneda, que le sirvió hasta el año 1630, que
entró el proprietario en la administració[n] de su
oficio.

Capítulo XXV
De la fundación e institución del oficio de tesorero
de las rentas y derechos reales del Reino de Sardeña.
Sardeña se gober- Cua[n]do nuestro Reino de Sardeña (como habe-
nó co[n]
depe[n]dencia del
mos visto co[n]tinuadame[n]te del discurso de
S.S.R.C. de Ara- nuestra historia) se sujetó al gobierno de los sere-
gón, desde que se nísimos reyes de Aragón y su S.S.R.C. con que los
entregó a sus
reyes.
oficios supremos deste Supremo Consejo lo fueron
también para nuestro Reino de Sardeña; y así los
Ramir. de lege que la antigüedad llamó questores o comites sacra-
Regia, §.15.an.13. rum largitionum, fueron en Aragón los q[ue] con
nombre de tesorero general han representado estos
oficios.
Oficio de tesorero Este oficio es muy antiguo por derecho, y en Ara-
general en Ara-
gón. gón lo hubo desde los años 1289, en que hallamos
L.I.ff.de quaest. su primera noticia repetida en fueros y actos de
Corte en los años siguientes; no así en Sardeña,
Zurita annal.
lib.4. cap.108. donde principió este oficio como veremos.
La Monarquía del imperio de nuestro gran Monar-
Su Majestad ca de las Españas, se compone de todas las provin-
como verdadero
padre de sus rei-
cias que le están sujetas y concurren a sustentar su
nos, quiere q[ue] peso co[n] mucha gloria suya, empleando los
todos sus vasallos talentos de ingenio, y hacie[n]da en el acierto y
participen los
progresos de sus grandes resoluciones; de aquí es,
Historia general - Primera parte 199

que la providencia de nuestros prudentísimos honores y pre-


mios dél.
Monarcas, empeñan en estos efectos con honras Actos de Cortes,
comunes a todos los sujetos de su Monarquía, sin fol.9.
distinción de naciones para excusar la invidia o
tibieza que pudiera causarles la singularidad de los
honores, siendo comunes los cargos; y así, aunque
en Aragón haya fueros que deban ocupar en todos
oficios a naturales y no a extranjeros, no empero
en estos de la hacienda real, q[ue] aunque es el ner-
vio de su mayor sustento los reyes, igualmente
padres de todos sus reinos, queriendo partícipes a Bardaxi, fol.2.
unico quod comis-
todos sus súbditos en este oficio como el más efec- sarij Portar.
tivo nervio de la república, no le quisieron singu- num.3.
larizar a los naturales, sino que fuese común a
todos sus vasallos, porque igualmente partícipes en
el honor lo fuesen en el desempeño, para los gran-
des efectos a que estos oficios son necesarios. Oficio de tesorero
general, le pue-
La administración deste oficio en los primeros años den tener extran-
del imperio de los serenísimos reyes de Aragón, se jeros.
cometía y daba al que servía de procurador real, Oliva. de fare
sisci. cap.4.n.52.
como vimos en el capítulo veinte y tres desta parte,
hasta que como luego veremos, se instituyó para
toda la Corona un tesorero general; el cual tenía de En Sardeña pro-
veía tiniente el
preemine[n]cia proveer en las provincias los oficios tesorero general,
sujetos a él; y así todos los lugarestinientes y cobra- y hasta cuándo.
dores de los derechos reales eran de su provisión,
hasta después que felicísimamente se unieron en los
señores Reyes Católicos, las Coronas de Castilla y
Aragón, se continuó la creación deste oficial, y él
criaba los q[ue] en Sardeña servían hasta el año
1558, que los desmembró el señor rey don Filipe
Segu[n]do de Castilla, Primero de Aragón, como
veremos discurriendo por todos los tesoreros gene-
rales de q[ue] tenemos noticia, y particulares que ha
habido en Sardeña desde que se fundaron en ella.
El primer tesorero que con nombre de general Tesoreros genera-
les que ha habido
hallo que hubo en Aragón, que lo fue para Sarde- en Aragón, que
ña, fue Luis Sánchez, de que hoy ha quedado en ponían tinie[n]tes
Aragón sucesión ilustre, con mayorazgo fundado en Sardeña.
en sus descendientes.
200 FRANCISCO DE VICO

A este mismo tiempo era tesorero en Sardeña,


Gabriel Sánchez, su primo, y de no[m]bramiento
del dicho Luis, y en quie[n] con facultad real
renunció el oficio de que se le despachó privilegio
por el señor rey don Fernando, su fecha en Barce-
lona, a los 25 de agosto 1481.
Luis Sánchez mayor, tuvo merced de su Majestad
el señor rey don Fernando, de la futura sucesión
deste oficio para Luis Sánchez, su hijo, despachada
en Granada, en 24 de septiembre 1501.
Sucedió a Luis Sánchez segundo, Gabriel Sánchez,
su hijo, por merced que la Majestad Cesárea de
Carlos V y la serenísima reina doña Juana, su
madre, le hiciero[n], con privilegio despachado en
Ratisbona a diez y ocho de marzo 1532.
Por muerte del dicho tesorero, Gabriel Sánchez,
hicieron merced deste oficio los señores do[n] Car-
los y doña Juana a don Enrique de Toledo, por pri-
vilegio en Monzón a ocho de agosto 1542.
Don Enrique de Toledo había tenido por su lugar-
tiniente a Domingo de Orbea, y murie[n]do don
Enrique, entró a la propriedad por merced del
señor rey Filipe Segundo, que le despachó sie[n]do
príncipe, en Madrid, a 14 de mayo, 1552.
El mesmo señor don Filipe Segundo, siendo ya
Rey de Castilla y de Aragón, hizo merced deste ofi-
cio a do[n] Rodrigo de Acevedo, que le tuvo en
propriedad por privilegio despachado en Amberes,
cabeza del Ducado d[e] Braba[n]te, en 17 de febre-
ro, 1556.
Habie[n]do muerto don Rodrigo de Castro de
Acevedo y Fonseca, entró en este oficio el Conde
de Chinchón, don Pedro Ferná[n]dez de Cabrera y
Bobadilla, y le tuvo sie[n]do juntamente del Con-
sejo de Estado y Guerra, y mayordomo d[e] su
Majestad desde el año 1558, por privilegio despa-
chado por el señor rey don Filipe Segundo, a 17 de
Año 1558. Se septiembre del dicho año, estando en el Monaste-
desmembró la rio de Valdoncella.
Tesorería de Sar- En este año se desmembró de la Tesorería General
Historia general - Primera parte 201

de Aragón lo que tocaba a Sardeña, cuanto a la deña, y la provee


su Majestad.
provisión deste oficio, que hasta aquí proveían los
tesoreros generales en procuradores o receptores de
su nombramiento, que despachaba[n] para ello
por el privilegio real (de que haremos luego men-
ción) por no turbar la sucesión de los tesoreros
generales, de q[ue] vamos tratando.
Condes de Chin-
Continuóse sucesivame[n]te en los Condes de chón, tesoreros
Chinchón el dicho oficio de tesorero general de generales.
Aragón, desde que se le hizo merced (como hemos
dicho) al conde don Pedro, el año 1558 hasta el de
1617, sucediéndole a éste su hijo el conde don
Diego Ferná[n]dez de Cabrera y Bobadilla, que
sirvió el dicho oficio desde ocho de noviembre de
1576 por privilegio real, despachado este día hasta
el diez y ocho de noviembre 1612, que le entró a
servir por su muerte, el conde don Luis Jerónimo
de Cabrera y Bobadilla, en virtud de privilegio
real, despachado en Madrid, el dicho día, mes y
año.
Por dejación que hizo deste oficio el dicho Conde
de Chinchón, don Jerónimo, se le hizo merced dél
a don Juan de Mendoza y Luna, Marqués de Mon-
tes Claros, por privilegio real, en Madrid, a 8 de
enero 1627.
El año de 1628 fue proveído el Marqués de Mon-
tes Claros a la presidencia del Consejo de Aragón,
con que vacó el oficio de tesorero, de que se le hizo
merced a don Ramiro Filipe de Guzmán, Duque
de Medina de las Torres (que hoy dichosamente le
ejerce) por privilegio real, despachado en el Pardo,
a 11 de enero 1628.
Dijimos como el año 1558 desmembró su Majes- Tesoreros particu-
lares que ha teni-
tad del oficio de tesorero general de Aragón, lo do Sardeña, de
tocante a nuestro Reino de Sardeña, que sucedió provisión de su
siendo el dicho Conde de Chinchó[n], don Pedro, Majestad.
tesorero, y virrey en Sardeña, don Álvaro de
Madrigal.
Hízosele merced del oficio a Pedro de Ruecas, con
nombre de regente la Tesorería General, con el
202 FRANCISCO DE VICO

acuerdo que se contiene en el despacho de su títu-


lo en cláusula deste tenor:
Se ha acordado de consumir los oficios de receptores de
las pecunias a Nos reservadas, y del Marquesado de
Oristán y Gociano con el del procurador que nuestro
tesorero general ha acostumbrado nombrar y tener en
el dicho Reino, y de todos juntos hacer un solo oficio
de regente nuestra Tesorería General, y proveer dél a
Pedro de Ruecas, por la satisfacción que tenemos de su
persona.
Era Pedro de Ruecas el procurador que tenía nom-
brado en Sardeña el tesorero general, y en él se
principió el oficio en Sardeña, por merced de su
Majestad; pero con cláusula q[ue] se despachaba
con consentimiento del dicho tesorero general, y
estando presente.
Renunció Pedro de Ruecas en cinco de noviembre,
1561, y su Majestad dio el oficio a Juan de Ruecas,
su sobrino, el año 1562, co[n] privilegio real en
que su Majestad expresa que hace el nombramien-
to sin perjuicio de las preemine[n]cias del tesorero
general, quedándole la facultad llena, que le com-
pete para librar y cobrar en él, sin que sea necesa-
ria otra orden de su Majestad.
A Pedro de Ruecas sucedió don Juan Narro de
Ruecas, por quien tuvo en inter este oficio do[n]
Julián de Abellá, co[n] privilegio real de cinco de
deciembre, 1618.
A do[n] Juan Narro de Ruecas sucedió en proprie-
dad don Pedro Narro de Ruecas, y a éste do[n]
Antonio Ornano de Bastelga, secretario de su
Majestad, y se le despachó privilegio a 16 de febre-
ro del año 1634.
INDICE

FRANCESCO MANCONI
Storia di un libro di storia pag. VII

Criterio de la edición LXXXIII

Criterio di edizione LXXXV

Historia general de la Isla y Reyno de Sardeña pag. 3

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