Miyake - Mostri Del Giappone
Miyake - Mostri Del Giappone
Miyake - Mostri Del Giappone
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Mostri del Giappone
Narrative, figure,
egemonie della
dis-locazione identitaria
Toshio Miyake
Edizioni
Ca’Foscari
Mostri del Giappone
Collana diretta da
Paolo Calvetti, Massimo Raveri
Bonaventura Ruperti, Guido Samarani
Edizioni
Ca’Foscari
Ca’ Foscari Japanese Studies
Religion and Thought
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line Berndt (Kyoto Seika University, Japan) Luisa Bienati (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia) Caterina
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Zanotti (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
Linguistics and Language Education sub-series: Patrick Heinrich (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia) Hideo
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Venezia, Italia) Andrea Revelant (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia) Steffi Richter (Universität Leipzig,
Deutschland) Sven Saaler (Sophia University, Tokyo, Japan)
Executive coordinator
Marcella Mariotti (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
Head office
Venezia
Edizioni Ca’ Foscari - Digital Publishing
2014
Mostri del Giappone: Narrative, figure, egemonie della dis-locazione identitaria
Toshio Miyake
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tutti i saggi pubblicati hanno ottenuto il parere favorevole da parte di valutatori esperti della
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scientifico della collana. La valutazione è stata condotta in aderenza ai criteri scientifici ed
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all essays published in this volume have received a favourable opinion by subject-matter ex-
perts, through an anonymous peer review process under the responsibility of the Scientific
Committee of the series. The evaluations were conducted in adherence to the scientific and
editorial criteria established by Edizioni Ca’ Foscari.
Avvertenze 9
1 Introduzione
Verso una teoria transculturale dei mostri e della mostruosità 11
Sommario 1. Monster studies e yo økaigaku. – 2. Il nuovo yoøkaigaku. – 3. Yo
økai, modernità e
identità nazionale come marginalit centralizzata. – 4. Giappone mostruoso? Occidentalismo,
orientalismo e auto-orientalismo. – 5. Dislocazioni, sconfinamenti, deformazioni. – 6. Narrati-
ve, forme, egemonie.
Bibliografia generale139
Indice analitico151
Avvertenze
Il Sistema di trascrizione seguito è lo Hepburn, che si basa sul principio
generale che le vocali siano pronunciate come in italiano e le consonanti
come in inglese. In particolare si tengano presente i seguenti casi:
Periodizzazione
1 Monster studies e yo
økaigaku
Questo libro nasce dal tentativo di offrire una risposta ai numerosi in-
terrogativi più sopra esposti. Si tratta di domande che in parte sono già
state sollevate in passato, ispirando altri studiosi e risposte molto artico-
1 Per un’introduzione al ricco panorama dello yōkaigaku in Giappone, cfr. Komatsu 1994a,
1994b; 2006; mentre per gli studi monografici sugli yōkai in ambito anglofono, cfr. Figal
1999; Foster 2009; Li 2009; Reider 2010; Wakabayashi 2012; per quanto riguarda i mostri
giapponesi moderni e contemporanei, cfr. Allison 2006; Blouin 2013; Papp 2010; Tsutsui, Ito
2006. In Italia, in mancanza di studi sistematici, a parte il lavoro introduttivo di Berzieri
2008; sono da segnalare Benoît Carbone 2013; Cardi 2012; Cucinelli 2013; De Antoni 2010;
Orsi 1998.
1 Introduzione13
Mostri del Giappone
2 Per una panoramica dei monster studies o monster theory, oltre a Cohen 1996, cfr. Asma 2009;
Creed 1993; Graham 2002; Levina, Bui 2013; Mittman, Dendle 2012.
14 1 Introduzione
Mostri del Giappone
3 Per gli studi italiani di ‘teratologia sociale’ ispirati al lavoro del sociologo Alberto Abruzzese
(1979), si veda Giovannini 1999 e Foni 2007; per una ‘teratologia filosofica’ Braidotti 2005; e
per una ‘teratologia estetica’ Bellini 2008.
1 Introduzione15
Mostri del Giappone
4 Per una storia dei mostri in epoca antica, cfr. Felton 2012.
16 1 Introduzione
Mostri del Giappone
per quanto riguardo le fonti cinesi dei molti termini giapponesi usati sin dall’antichità, come
yōkai o yūrei, cfr. Kawai 2010.
6 Per una vasta e dettagliata presentazione dei mostri tradizionali, cfr. l’enciclopedia illu-
strata di Mizuki Shigeru 水木しげる tradotta in italiano (Mizuki 2013).
7 Il mononoke, un’esistenza o fenomeno mostruoso amorfo, invisibile, senza voce, ricorre in
molti capolavori della letteratura classica giapponese, dal Genji monogatari 源氏物語 (Storia di
Genji, inizio XI secolo) e il Makura no sōshi 枕草子 (Note del guanciale, fine X-inizio XI secolo)
all’Ōkagami 大鏡 (Il grande specchio, XII secolo). Tuttavia, anch’esso è ispirato da un classico
della storiografia cinese, lo Shiji 史記 (Memorie di uno storico, II secolo a.C.). Per un’analisi
del mononoke nella Storia di Genji, cfr. Bargen 1997 e Ury 1988.
1 Introduzione17
Mostri del Giappone
2 Il nuovo yo
økaigaku
La rinascita dello yōkaigaku negli anni Novanta del XX secolo si deve so-
prattutto all’antropologo Komatsu Kazuhiko (1947-). Nonostante continui
ad evocare gli yōkai come «anima» (kokoro) o «paese natio» (furusato 古
里) del Giappone, Komatsu ha contributo in modo decisivo a fare spostare
l’attenzione dai precedenti approcci essenzialistici – mostri autoctoni come
specchio dello spirito giapponese –, ad una prospettiva più storico-cultura-
le. Se proprio si vuole individuare qualcosa di distintivo negli yōkai rispetto
ad altri mostri in tutto il mondo, allora non sarebbe più da ricercare negli
yōkai in sé, in una loro presunta essenza astorica che rischierebbe, come
in passato, di sovrapporsi in termini nazionalistici ad un’essenza spirituale
dei giapponesi o del Giappone intero; piuttosto suggerisce di concentrarsi
sulla «cultura yōkai» (yōkaibunka 妖怪文化), sul vasto repertorio di espres-
sioni e pratiche culturali relativo agli yōkai che si è sviluppato in luoghi
diversi lungo tutto l’arcipelago nipponico, in epoche diverse, e soprattutto
attraverso un intreccio trasversale di forme materiali e immateriali: dalla
letteratura scritta a quella orale, dalle arti visive al teatro, dai riti religiosi
alle pratiche quotidiane, dai valori, le idee e le ideologie alle decorazioni,
ai giochi. «Studi sulla cultura yōkai» (yōkaibunkagaku 妖怪文化学) è la
denominazione introdotta da Komatsu proprio per distinguere il nuovo
approccio da quello passato (Komatsu 1994a).
La domanda non è più tanto – o non solo – che cosa sono gli yōkai?
Quanto, come sono stati rappresentati nella storia culturale giapponese?
È lo stesso Komatsu che stabilisce una distinzione analitica fondamentale
in tre parti che riassume bene l’intersezione fra la necessità di definire
comunque l’oggetto di studio e quella di articolarlo in modo più aperto
8 Per un’analisi del successo internazionale di Hearn, compresa l’editoria italiana, cfr. Bo-
scaro 2012.
20 1 Introduzione
Mostri del Giappone
1 Introduzione25
Mostri del Giappone
3 Yo
økai, modernità e identità nazionale come marginalit centralizzata
28 1 Introduzione
Mostri del Giappone
ra, dir. Honda Ishirō 本多猪四郎, 1954), dove un anziano delle isole giapponesi devastate da
Godzilla, riconduce le sue origini alle antiche leggende locali di mostri provenienti dal mare.
Oltre agli eventi di cronaca del peschereccio giapponese Daigo Fukuryū Maru contaminato
dagli esperimenti nucleari degli USA sull’atollo di Bikini nel 1954, la progettazione di Godzilla
da parte della casa cinematografica Tōhō deve molto al dinosauro gigantesco risvegliato da
bombardamenti nucleari ne Il risveglio del dinosauro (The Beast from 20,000 Fathoms, dir.
Eugène Lourié, 1953) della Warner Bros., che aveva riscosso l’anno precedente un enorme
successo mondiale (Tsutsui, Ito 2006).
10 Per un’analisi critica del nazionalismo culturale espresso da Kawai, come direttore del
Nichibunken (1995-2001), cfr. Sleeboom 2004, pp. 114-121.
1 Introduzione29
Mostri del Giappone
30 1 Introduzione
Mostri del Giappone
the distinction between the West and Japan would result in the loss of
Japanese identity in general. (Sakai 2002, pp. 563-564)
32 1 Introduzione
Mostri del Giappone
Figura 8. Tan Tan Bo Puking-a.k.a Gero Tan di Murakami Takashi 村上隆, 2002
e Ovest nello stesso tempo. Ciò si può vedere più chiaramente dal fatto
che questi termini si sono cristallizzati non dal punto di vista di un ipo-
tetico e malinconico uomo in generale ma dal punto di vista delle classi
colte europee che attraverso la loro egemonia li hanno fatti accettare
ovunque. Il Giappone è Estremo Oriente non solo per l’Europeo ma for-
se anche per l’Americano della California e per lo stesso Giapponese,
il quale attraverso la cultura politica inglese potrà chiamare Prossimo
Oriente l’Egitto. (Gramsci [1933] 1975, pp. 1419-1420)
1 Introduzione35
Mostri del Giappone
Nel caso del Giappone nella seconda metà dell’Ottocento, di fronte all’e-
mergenza posta dalle grandi potenze euro-americane che impongono al
Paese una sovranità limitata dai ‘Trattati Ineguali’, preventivandone la
colonizzazione come avveniva già nei confronti dei suoi vicini asiatici, la
formazione della propria identità nazionale si confronta necessariamente
con l’occidentalismo eurocentrico, ormai egemone in tutto il mondo. Tutta-
via, non si tratta solo, come suggerirebbe idealmente uno slogan popolare
di fine Ottocento «spirito giapponese, sapere occidentale» (wakon yōsai 和
魂洋才) di un’imitazione e appropriazione strumentali dei saperi, tecnolo-
gie, prodotti di derivazione euro-americana, condotta da una soggettività
autonoma giapponese. È piuttosto la stessa identità nazionale che si forma
attraverso un processo di auto-orientalismo che presuppone un’operazione
molto più radicale e attiva: l’interiorizzazione dell’occidentalismo euro-
americano. Si tratta di assumere la sua grammatica essenzializzante e
contrastiva di fondo, la sua struttura generativa di identità e alterità col-
lettive, i suoi presupposti paradigmatici: Occidente = modernità = univer-
salismo vs Oriente = tradizione = particolarismo. In altre parole, guardare
sé stessi come ‘Oriente’ attraverso lo sguardo eurocentrico. (Sakai 1997;
Miyake 2010b).
Il dilemma della modernità giapponese è condizionato proprio dall’oscil-
lazione costante fra vettori identitari così ingombranti come ‘Occidente’
e ‘Oriente’, con esiti e soluzioni diverse, tutti volti ad evitarne i risvolti
inevitabilmente inferiorizzanti: da una soluzione più difensiva raggiun-
ta attraverso l’accentuazione unilaterale della propria orientalità come
identità tradizionale tanto irrazionale, emotiva, semi-mistica da renderla
incomprensibile, indefinibile e quindi incontrollabile alla ragione moderna
‘occidentale’; fino ad arrivare alla promozione più ottimistica, di un’iden-
tità invece ibrida, come sintesi del meglio dell’‘Occidente’ e dell’‘Oriente’
per giustificarne il ruolo guida in Asia o nel mondo.
La mostruosità del Giappone segnalata da Murakami rimanderebbe
quindi ad una dis-locazione identitaria ambivalente insita nel rapporto
reciproco fra occidentalismo, orientalismo e auto-orientalismo. In primo
luogo, il Giappone intero, la nazione, le persone, la cultura, l’arte, sono stati
orientalizzati, inferiorizzati e localizzati storicamente in termini mostruosi
da parte euro-americana, come qualcosa di disumano o subumano rispetto
al modello euro-centrico o ‘occidentale’. In secondo luogo, i singoli mostri
prodotti in Giappone possono affascinare lo sguardo euro-americano per
le loro connotazioni non moderne, tradizionali, irrazionali, soprannatura-
li, per cui verrebbero configurate cumulativamente da un doppio orien-
talismo. Infine, il Giappone può, come nel caso illustrato dal «Monster
Manifesto» neo-pop di Murakami, provare ad auto-orientalizzarsi strate-
gicamente come mostro, per esplorarne le potenzialità identitarie di tipo
dislocante. Oltre ai quattro motivi elencati in precedenza sulla ricchezza
dei mostri in Giappone, è quindi da questa specifica dinamica relazionale
36 1 Introduzione
Mostri del Giappone
Questo gusto del crepuscolo, il gusto del dischiudersi dell’alba non esi-
ste soltanto nella relazione tra la notte e il giorno. Al di là dei diversi
fenomeni dell’universo, credo che esista anche una sorta di altro mondo,
più sfumato. […] Quando parlo di spiriti, intendo rappresentare, de-
scrivere principalmente tale mondo crepuscolare. Una sorta di mondo
intermedio, una sorta di fragranza intermedia che non è nessuno degli
estremi tra bene e male, giusto e sbagliato, piacevole e spiacevole.
Questo vorrei trasmettere attraverso il mio lavoro. (Izumi Kyōka 泉鏡花
[1908] 1991, p. 9)
«liminalità ontologica» (Cohen 1996, p. 6), per cui non sono riducibili solo
a simboli di un’alterità mono-logica. In questa veste, i mostri sono i nemici
dichiarati di qualsiasi ontologia dell’essenza e della sua retorica binaria
della verità/falsità, profondità/superficialità, giustizia/ingiustizia, bellezza/
bruttezza. Non sono, cioè, creature demoniache destinate ad ammonirci
in termini distopici della distruzione incombente dovuta all’irruzione di
una dimensione negativa o infernale; oppure, all’opposto, non sono esseri
angelici incaricati di sedurci in termini utopici verso un mondo positivo o
paradisiaco.
I mostri culturalmente più significativi sono soprattutto espressioni di
un’alterità ibrida. Se il mostro inteso come alterità monologica può essere
considerato un lucchetto che mette in cassaforte l’integrità di un mondo
culturale, destinandolo però ad una riproduzione statica, allora il mostro
inteso come alterità ibrida ne è la chiave che dischiude lo stesso mondo
verso la sua metamorfosi, ne incarna cioè le potenzialità più creative,
inesplorate e in fieri. In questa veste, il mostro diventa paradossalmente
anche l’espressione culturale del principio più naturale dell’evoluzione
biologica, di quello scarto genetico del tutto imprevedibile nella catena
della riproduzione del DNA così indispensabile all’evoluzione della vita.
In questa ottica, il mostro diventa quindi un principio socioculturale di
dislocazione dei luoghi comuni, di denaturalizzazione delle sue leggi e di
sconfinamento dei nostri limiti identitari.
Questa ambivalenza intrinseca del mostro e della mostruosità, può es-
sere declinata ulteriormente secondo una prospettiva che evidenzia i pos-
sibili effetti sulla soggettività personale o collettiva in termini di processi
di dis-identificazione. In questo caso, il mostro in quanto mediatore ibrido
fra noi e gli altri, fra identità e alterità, può essere considerato come uno
specchio metaforico: uno schermo in cui confluiscono le proiezioni di chi vi
guarda per dis-conoscersi oppure per ri-conoscersi. Il potenziale simbolico
dis-locante, s-confinante, de-naturalizzante dei mostri può essere riformu-
lato infatti secondo due tipi di alterità mostruosa: una di tipo deformata,
l’altra di tipo deformante.
Il mostro come alterità deformata è uno schermo in cui è possibile proiet-
tare tutto ciò che noi non vogliamo o abbiamo paura di essere: dalle ansie,
inquietudini, avversioni, fino ai desideri più intimi, viscerali, inconfessabili,
spesso rimossi. Il mostro che risulta dall’intersezione di queste proiezioni è
un’alterità deformata, perché il grado della sua trasfigurazione deve essere
talmente elevato da occultare chi l’ha prodotta, tanto da non potervi rico-
noscere la propria autorialità di fondo. In altre parole, siamo noi davanti
allo specchio, ma vediamo riflesso qualcosa che deve sembrare altro. Si
tratta di un disconoscimento indispensabile per confermare per contrasto
binario, per separare in modo univoco una propria identità idealizzata,
contrapposta ad un’alterità mostruosamente terrorizzante.
L’alterità deformante del mostro costituisce invece un principio più au-
1 Introduzione39
Mostri del Giappone
Ma, come Teseo, dove incontrerà [l’asceta] il mostro che si cela in ogni
labirinto, l’ultima domanda che cerca la soluzione? [...] L’asceta com-
prende alla fine che il mostro sono i fantasmi della sua mente, le ango-
sce risvegliate dal profondo del suo inconscio. Perché il labirinto è la
sua stessa mente: questa è l’intuizione folgorante che lo libera. (Rave-
ri 2006b, p. 299)
40 1 Introduzione
Mostri del Giappone
nanzitutto entrambi tra gli yōkai più antichi, diffusi e popolari nel passato
come nel presente (Miyake 2006, 2008). Inoltre, perché sono l’incarnazio-
ne mostruosa di specifiche liminalità di tipo ecoculturale che sono state
paradigmatiche nella storia premoderna del paese, e che ne hanno sancito
quindi la rilevanza nei secoli.
Il tengu (cap. 2) è associato alla montagna ricoperta da foreste ed espri-
me nella sua ibridazione uomo-uccello il ruolo liminale nel mediare una
divisione ecoculturale fondamentale: quella della dimensione umana as-
sociata alla pianura, ai campi, alle città, e quindi all’ordine noto, sicuro,
armonioso della cultura, contrapposto alla dimensione dis-umana della
montagna, associata ad un disordine ignoto, pericoloso, caotico di un al-
terità selvaggia.13 Non sorprende che fra tutti gli yōkai sia stato proprio il
tengu ad avere un ruolo religioso così rilevante, superiore ancora a quello
degli oni, tanto da assurgere per secoli ad incarnazione del male stesso (ma
魔) per molte scuole buddhiste ortodosse, mentre altre ne hanno valorizza-
to il potenziale opposto (Wakabayashi 2012). Il tengu è diventato quindi il
mediatore ibrido per eccellenza fra tendenze ortodosse ed eterodosse, una
mediazione, che dall’ambito religioso si è estesa anche al mondo più seco-
larizzato delle scuole di spada, coinvolgendo buona parte dei ceti samurai.
Il kappa (cap. 2) incarna, nella sua forma di anfibio antropomorfo dalle
dimensioni di un bambino, un’altra divisione ecoculturale fondamentale
nel Giappone premoderno; la distinzione fra mondo terrestre e acquatico,
che nell’ambito rurale della coltivazione del riso irriguo, è condizionata
dall’ambivalenza dell’acqua stessa nell’essere al contempo fonte di fer-
tilità, ma anche origine di inondazioni catastrofiche e letali. È proprio
quest’associazione al mondo agricolo che ha contribuito, forse più di ogni
altro yōkai, a promuoverlo in epoca moderna ad uno dei simboli nostalgici
più efficaci del passato nazionale, di un mondo rurale, autentico e comuni-
tario; mentre, sono le sue fattezze ridotte, quasi di bambino, che ne hanno
infine favorito in tempi più recenti la trasformazione in icona kawaii かわ
いい (carina) commercializzata, e l’immissione nell’attuale costellazione
transmediale di manga, anime, videogiochi ecc.
I mostri di Miyazaki Hayao (cap. 4) sono invece la versione attualmen-
te più nazional-popolare del mostruoso in Giappone, in grado di mettere
d’accordo anziani e bambini, conservatori e progressisti, pubblico maschi-
le e femminile, caso forse unico nella storia recente giapponese (Miya-
ke 2010a). Sono i lungometraggi animati di Miyazaki, tutti popolati da un
repertorio sconfinato e cangiante di mostri, ad occupare i primi tre posti
nella classifica nazionale dei film di maggiore successo di tutti i tempi,
13 Per l’attribuzione ambivalente alle forze soprannaturali nel Giappone premoderno di aspetti
sia armoniosi, pacifici, ordinati, sia violenti, impetuosi, caotici, cfr. Plutschow 1991; per una
prospettiva ecoculturale delle credenze popolari basate su questa ambivalenza simbolica, cfr.
Raveri 2006a, pp. 20-21.
42 1 Introduzione
Mostri del Giappone
1 Introduzione43
2 Il tengu, demone divino della montagna
1 Fra gli studi più importanti sul tengu, cfr. il classico di De Visser 1908; Chigiri 1975; Gorai
2000; Knutsen 2011; Komatsu 2000; Wakabayashi 2012.
2 Quasi il 70% del territorio giapponese è montagnoso e, ancora oggi, in buona parte rico-
perto da foreste.
45
Mostri del Giappone
Figura 9. Il tengu nelle vesti di nibbio. Dal Gazu Figura 10. Il tengu come spirito vendicativo
hyakkiyagyo ø 画図百鬼夜行 (Illustrazioni della di Sasaki no Kiyotaka (costretto al suicidio
parata notturna di cento mostri, 3 voll., 1776) di per aver mal consigliato l’imperatore Go
Toriyama Sekien 鳥山石燕 Daigo) che appare alla dama Iga no Tsubone
sul monte Yoshino. Dal Yoshinoyama
yahantsuki-Iga no tsubone 吉野山夜半
月-伊賀局 (Luna di mezzanotte sul monte
Yoshino-Iga no Tsubone) di Tsukioka
Yoshitoshi 月岡芳年, 1886
1 Le origini
La prima menzione dei kanji, o sinogrammi, con cui ancora oggi si scrive
tengu 天狗 risale al Nihonshoki 日本書紀 (Annali del Giappone, 720 d.C.),
prima storia ufficiale del Sol Levante. Nel testo, scritto in cinese, è ripor-
tato il passaggio di una grande meteora che nel secondo mese del 637
attraversa il cielo sopra la capitale, accompagnata da un fragore di tuono
e lasciando dietro di sé una lunga scia da Est ad Ovest. Un bonzo buddhi-
sta cinese la riconosce come un «cane celeste» – il significato letterale di
46 2 Il tengu, demone divino della montagna
Mostri del Giappone
3 Già Hirata Atsutane 平田篤胤 (1776-1843), esponente di spicco degli Studi Nazionali (koku-
gaku 国学), aveva notato nel Kokon yōmikō 古今妖魅考 (Riflessione su mostri e incantesimi
del passato e del presente, 1831) la somiglianza fra le leggende cinesi della volpe celeste e
quelle giapponesi sul tengu. Fra i culti più importanti ispirati al tengu vi sono quelli dell’Izuna
Gongen, l’Akiba Gongen, il Dōryō Gongen, nei quali viene ritratto mentre cavalca proprio una
volpe (fìgg. 13 e 21). Cfr. De Visser 1908, pp. 35-37 e Williams 2005, pp. 59-85.
4 Il ruolo delle influenze straniere sulla figura del tengu è di solito minimizzato da gran parte
degli studiosi, soprattutto giapponesi, che tendono piuttosto ad enfatizzarne gli aspetti autoc-
toni. Tra i riferimenti più noti sulla sua possibile origine indo-cinese si ricorda un classico della
letteratura giapponese, il Konjaku monogatari shū 今昔物語集 (Raccolta di storie di un tempo
che fu, inizio XII secolo) con racconti di tengu che arrivano volando in Giappone dall’India e
dalla Cina (fig. 12). Una storia in particolare ricorda l’affinità con il demone-uccello karura e
2 Demone o divinità?
la sua perenne lotta contro i serpenti; in essa si narra di un’alleanza tra un umano e un drago
trasformatosi in serpente e in questa forma catturato da un tengu del monte Hira, che cerca
di annientarlo. Per una versione italiana del racconto, cfr. Tyler 1988, pp. 116-118; mentre per
un’analisi di questo episodio e dei possibili influssi stranieri, cfr. De Visser 1908, pp. 41, 87-90.
5 Cfr. De Visser 1908, pp. 37-38. Fugaci apparizioni del tengu si trovano anche in altri clas-
sici del periodo Heian, tra cui il Genji monogatari (Storia di Genji, ca 1001) in veste di spirito
degli alberi responsabile con i suoi inganni della scomparsa della bella Ukifune. Per un’analisi
dell’episodio, cfr. Tyler 2000.
6 Per un sunto in inglese di tredici storie tratte dal cap. XX del Konjaku che hanno come
protagonista il tengu, cfr. De Visser 1908, pp. 38-42.
ostacolare il percorso spirituale dei pii monaci, per cui ricorre a qualsiasi
sorta di incantesimo o offerta di poteri soprannaturali, fino ad arrivare alla
possessione o al rapimento di monaci, che vengono ritrovati legati sulla
cima di un albero in uno stato di pazzia.
Con il passaggio critico dal periodo Heian al periodo Kamakura, che
segna la fine epocale di tutto un mondo fondato sull’ordine aristocratico-
imperiale a favore dei nuovi governi dei samurai 侍, il tengu assurge pro-
gressivamente a simbolo ricorrente che rimanda a una serie di avvenimenti
sconvolgenti o incomprensibili. In veste di seduttore maligno è associato
al grande demone tenma 天魔, che regna in uno degli inferni buddhisti
e ostruisce il cammino degli uomini verso la Verità. Si arriva perfino a
immaginare l’esistenza di un inferno inedito nella cosmologia buddhista
canonica, la «via del tengu» (tengudō 天狗道) in cui sarebbero caduti e
rinati i bonzi particolarmente vanitosi e superbi. Da lì sarebbero di nuovo
apparsi sulla terra sotto forma di tengu per ostacolare la devozione di altri
bonzi (Wakabayshi 2012).
A questa escalation malefica e demoniaca del tengu contribuisce anche
l’inclusione nella cosmologia buddhista delle credenze popolari riguardo
alla possessione causata dagli spiriti vendicativi dei morti (onryō 怨霊), che
si pensava dimorassero proprio sulle montagne: manifestazione di illustri
personaggi, deceduti in circostanze di forte risentimento o attaccamento
terreno, che ritornavano tra i viventi, provocando possessioni, malattie,
calamità, disordini sociali (fig. 10).
Così il tengu, nella nuova veste di spirito vendicativo, esercita ormai
un’azione corruttrice a tutti i livelli, anche quelli più alti della società, fino
a minacciare la sovranità stessa. La cecità dell’imperatore Sanjō (976-1017)
viene attribuita alla possessione di un tengu del monte Hiei che si insidia
invisibile sulla sua nuca, coprendo con le ali gli occhi del suo illustre ospite
(Ōkagami 大鏡, Il grande specchio, ca 1119), mentre l’imperatore Sutoku
(1119-1164), sconfitto durante la guerra civile dell’era Hōgen ed esiliato a
vita, giura di vendicarsi dei torti subiti e si trasforma dopo la morte in un
grande demone artigliato dalle sembianze di un tengu, ritenuto respon-
sabile delle guerre e degli spargimenti di sangue che seguiranno (Hōgen
monogatari 保元物語, Storia dell’era Hōgen, 1156-1158).7
Con l’inizio turbolento del periodo Kamakura e il diffondersi delle teorie
apocalittiche circa la «degenerazione della Legge buddhista» (mappō 末
法), il pessimismo dilaga, tanto da comprendere gran parte delle scuole
7 L’esempio più noto di spiriti vendicativi tengu di alto lignaggio è riportato due secoli più tardi
nei racconti guerreschi del Taiheiki 太平記 (Cronaca della grande pace, ca 1374). Vi si narra di un
complotto ordito dal grande tengu Tarōbō del monte Atago, a capo di illustri spiriti vendicativi
diventati tengu, tra i quali gli imperatori Sutoku, Go Toba (1180-1239), Go Daigo (1288-1339), in
grado di provocare le guerre civili scoppiate intorno allo scisma dinastico della «corte del sud
e corte del nord» (nanbokuchō 南北朝, 1336-1392). Cfr. De Visser 1908, pp. 61-67.
Figura 11. Rappresentanti delle maggiori scuole buddhiste di Nara e Kyōto nel periodo Kamakura
trasformati in tengu. Dal Tenguzo
øshi emaki 天狗草紙絵巻 (Rotolo illustrativo e narrativo dei tengu,
1296)
Figura 12. Il tengu Zegaibō arrivato in Giappone dalla Cina in lotta con monaci e tengu locali.
Episodio tratto dal Konjaku monogatari shu � e raffigurato nel Zegaiboø emaki 是害房絵巻 (Rotolo
illustrativo di Zegaibō, XIV secolo)
di tipo sincretico (honji suijaku 本地垂迹, lett. «traccia della vera natura»),
secondo le quali i kami 神, le divinità locali, non sarebbero antagoniste
alle divinità buddhiste o esseri inferiori bisognosi di illuminazione, ma in
verità delle loro manifestazioni. Pertanto anche i tengu, considerati come
una delle incarnazioni (keshin 化身) del dio della montagna (yama no ka-
mi), possono assurgere, nella nuova veste di manifestazione indiretta della
Legge buddhista, a divinità guardiane e a dispensatori di benefici materiali
e spirituali.8
3 Tengu e yamabushi
8 Il dio della montagna (yama no kami) è una delle divinità centrali delle tradizioni popolari.
Nell’ambito agricolo delle pianure si pensa che in primavera scenda dalle montagne per portare
fertilità alle risaie, trasformandosi nel dio dei campi (ta no kami 田の神), figura cardine della
vita rituale comunitaria, per poi ritornare in autunno in montagna. Per le comunità delle mon-
tagne (taglialegna, cacciatori, carbonai) riveste invece spesso un ruolo centrale quale divinità
guardiana dei monti e delle foreste, e di tutte le attività che vi si svolgono. Come gran parte dei
kami, non ha una fisionomia definita, ma può manifestarsi agli umani sotto forme molteplici:
tengu, serpente, dragone, donna (vecchia e brutta, o giovane e bella), cervo, orso e oni.
9 Per una monografia classica in lingua inglese di queste pratiche ascetiche di tipo sciamani-
co, cfr. Blacker 1975. Approfondimenti analoghi in lingua italiana si trovano in Raveri 2006b;
mentre per l’illustrazione di un percorso ascetico sul monte Mitoku, cfr. Masui e Testini 2007,
pp. 99-106.
10 Il tengu sarai è una forma specifica di kamikakushi 神隠し (lett. «occultamento divino»)
che risiede sin dall’antichità nella credenza popolare di attribuire la scomparsa improvvisa e
misteriosa delle persone ad un nascondimento o sequestro da parte di una divinità, demoniaca
o mostruosa. Tra i sequestratori più comuni, oltre al tengu, ci sono la volpe (kitsune), l’orco
demone (oni) e la strega di montagna (yamanba). Per una rielaborazione contemporanea del
kamikakushi, si veda il lungometraggio animato di Miyazaki Hayao, Sen to Chihiro no kami-
kakushi (lett. «L’occultamento divino di Sen e Chihiro», 2001) presentato in Italia come La
città incantata.
Figura 13. La divinità ibrida Izuna Gongen che cavalca una volpe bianca. Stampa votiva del tempio
Takaosan Yukuōin, prefettura di Tōkyō
Figura 14. Il tengu Tarōbō Gongen del monte Atago che cavalca un cinghiale. Opera di Kaihō
Yūtoku 海北友徳, Sairin-ji, Kyōto, XIX secolo
11 Per quanto riguarda il ruolo fondamentale degli yamabushi nella consacrazione del tengu,
e la sua penetrazione nei riti e nelle arti popolari, cfr. Gorai 2000.
altri culti quali quelli dedicati ad Akiba Gongen 秋葉権現 del monte Akiba
(prefettura di Shizuoka; fig. 21), a Dōryō Gongen 道了権現 del monte Daiyū
(prefettura di Kanagawa) e ad Atago Tarōbō 愛宕太郎坊 del monte Atago
(prefettura di Kyōto; fig. 14).12
4 Tengu e samurai
Figura 15. Il giovane Yoshitsune (al centro) addestrato dal grande tengu Sōjōbō (a destra)
e dai suoi karasu tengu sul monte Kurama. Dal Yoshitsune Kuramayama no zu 義経鞍馬山図
(Yoshitsune sul monte Kurama) di Utagawa Yoshikazu 歌川芳員, 1859
e spia (ninja 忍者). Solo rimanendo nell’ambito del culto di Izuna Gongen,
esso annovera fra i suoi devoti più illustri due grandi aristocratici guerrieri
(daimyō) protagonisti del «periodo dei Paesi in guerra» (sengoku jidai 戦
国時代, 1477-1568), quali Takeda Shingen 武田信玄 (1521-1573) e Uesugi
Kenshin 上杉謙信 (1530-1578). A questo culto viene associata anche la for-
mazione della scuola di spada dello Shintō Munenryū 神道無念流.15
È in particolar modo nel periodo Tokugawa (1603-1867) che il tengu
appare nei numerosi trattati teorici che accompagnano la moltiplicazione
delle scuole di kenjutsu 剣術, delle arti del combattimento con la spada.
Tra i trattati-manuali diventati poi dei classici delle arti marziali anche in
epoca moderna, si ricorda lo Heihō kadensho 兵法家伝書 (Insegnamenti
della strategia militare, 1632) della prestigiosa scuola Yagyū Shinkageryū
柳生新陰流, nel quale si dedica un’intera sezione delle arti «nascoste» a otto
tecniche che prendono il nome da altrettanti tengu famosi.16 Mentre nel più
filosofico Tengu geijutsuron 天狗藝術論 (Teorie sull’arte del tengu, 1729) di
Issai Chozan 佚齋樗山 (1659-1741), il tengu appare come espediente narra-
tivo in veste di maestro per rivelare al narratore-autore i principi essenziali
e reconditi della spada.17
17 Per una traduzione inglese del testo, cfr. Kammer, Fitzgerald 1978.
Nel corso del periodo Tokugawa, il tengu, grazie soprattutto alla valorizza-
zione culturale avviata in ambito dello shugendō, raggiunge l’apice della
sua popolarità. Il Tengukyō 天狗経, un incantesimo rituale recitato dagli
yamabushi per la pratica ascetica sin dal XVI secolo, allude a ben 125.500
tengu, capeggiati da 48 «grandi tengu» (daitengu), i più potenti e protet-
tori della Legge buddhista, associati ciascuno alla propria montagna.19 Su
tutto il territorio nazionale, si assiste così alla diffusione di culti popolari
della montagna a lui ispirati, in cui emerge trasversalmente sia come di-
vinità ibrida da venerare, sia come spirito guardiano dei templi dedicati
ufficialmente ad altre divinità, ma costruiti sulla sua montagna.
Anche in ambito meno religioso è interessante rilevare l’attenzione cre-
scente rivoltagli da molti pensatori canonici della storia intellettuale del
Paese.20 Il cambiamento tuttavia più importante di questo periodo è dovuto
allo sviluppo di una fiorente cultura urbana intorno alle grandi città di Edo
(odierna Tōkyō), Ōsaka e Kyōto. Esso favorisce una progressiva appro-
priazione più secolare e mondana del tengu, tanto da renderlo sempre più
antropomorfo, se non addirittura umoristico o ridicolo. In verità, il declas-
samento del tengu a mostro-zimbello ha inizio già nel XV secolo nella lette-
ratura orale (otogizōshi 御伽草子) e soprattutto nel teatro comico (kyōgen 狂
言). Esso è in parte riconducibile alle sorti storiche degli yamabushi, tra cui
l’impegno bellico a fianco del ramo imperiale perdente durante lo scisma
dinastico delle «corti del nord e del sud» (1336-1392), al quale segue un pe-
riodo di guerriglia nelle montagne di Yoshino e di delegittimazione pubblica
del movimento shugendō. A ciò va aggiunta la proliferazione incontrollata
18 Ancora oggi sono d’uso comune termini come kotengu (lett. «piccolo tengu») per indicare
un giovane minuto di statura, ma eccezionale nelle doti marziali; oppure espressioni quali
tengu tobikiri no jutsu 天狗飛切之術 (lett. «l’arte del tengu del salto e taglio») per indicare, nel
kenjutsu, la tecnica di saltare come un tengu e abbattere dall’alto l’avversario.
19 Per una riproduzione del Tengukyō, cfr. Haneda 2004.
20 Tra gli intellettuali più autorevoli che abbiano dedicato degli studi al tengu vi sono Hayashi
Razan 林羅山 (1584-1657), Arai Hakuseki 新井白石 (1657-1725), Takizawa Bakin 曲亭馬琴 (1767-
1848) e Hirata Atsutane 平田篤胤 (1776-1843). Per una presentazione di questi studi, cfr. De
Visser 1908; mentre per una monografia sul ruolo del tengu nel pensiero di Hirata Atsutane,
cfr. Hansen 2008.
Figura 17. La statua del Kurama Tengu. Stazione del monte Kurama, Kyōto
Figura 18. Collisione di due postini tengu. Dal Tengu no sekai 天狗の世界 (Il mondo dei tengu)
di Tsukioka Yoshitoshi, 1882
21 Le due maschere del teatro gigaku potrebbero avere influito nel credo popolare sia sullo
sdoppiamento iconografico del tengu (volto antropomorfo rosso con naso lungo; volto aviario
blu con becco), sia sull’identificazione più generale dello yamabushi = tengu visto che gli
yamabashi recitavano nei gigaku ricoperti dai loro tipici paramenti e mascherati da due volti
associabili al tengu (Gorai 2000).
22 Il culto di Akiba (Akiha) Gongen ha origine nel santuario Akihasan Hongū Akiha (provincia
di Shizuoka) e raggiunge l’apice del successo nel XVIII secolo, con pellegrinaggi di massa da
tutta la nazione. Ancora oggi esistono centinaia di santuari dedicati a questo culto. La divinità,
nota anche come Sanjakubō, viene identificata dalla leggenda con uno yamabushi legato al
culto dell’Izuna Gongen arrivato sul monte Akiba volando sul dorso di una volpe bianca.
23 A proposito del ruolo del tengu nella nascita dell’etnologia di Yanagita e dello yōkaigaku di
Inoue, e soprattutto dell’importanza dei discorsi sul fantastico o sul misterioso (fushigi) nella
formazione della modernità giapponese, cfr. Figal 1999 e Foster 2007.
Figure 22, 23, 24. La principessa Kurama (dal manga Urusei Yatsura うる星やつら di Takahashi
Rumiko 高橋留美子), il Dātengu (dal gioco Pokémon), il robot Tenguman (dal videogioco Megaman)
24 L’istituto nazionale Nichibunken (lnternational Research Center for Japanese Studies) ospita
da anni una vasta ricerca sulle tradizioni soprannaturali e pubblica on line un database bi-
bliografico di leggende su mostri e animali fantastici: il tengu risulta secondo per numero di
riferimenti (1316), preceduto solo da kitsune (3701); seguono il kappa (1076) e il tanuki (985).
Cfr. http://www.nichibun.ac.jp/YoukaiDB2/search.html (2012-09-08).
25 Nell’ambito dello shintō popolare si distingue fra gli aspetti selvaggi, distruttivi, pericolosi
(aramitama 荒御魂 «spirito ara») e pacifici, creativi, gentili (nigimitama 和御魂 «spirito nigi»)
presenti anche nello stesso kami. Per la contrapposizione ecoculturale ara/nigi, cfr. Raveri
2006b, pp. 20-21.
26 Per un’interpretazione del tengu come personificazione delle forze pericolose, ambivalenti
e amorali della natura, cfr. Blacker 1975, pp. 181-185.
27 È interessante notare che i primi missionari gesuiti utilizzarono a loro volta il ternine tengu
per tradurre in giapponese il diavolo cristiano.
28 Ancora oggi il termine tengu è sinonimo di presunzione, arroganza, ostentazione; per cui
tengu ni naru 天狗になる (lett. «diventare un tengu») significa diventare superbi.
29 Il termine aragyō 荒行 (lett. «ascesi ara») rimanda alle pratiche di austerita più severe
e pericolose alle quali si sottopongono in montagna gli yamabushi (meditazione sotto una
cascata gelida, attraversamento del fuoco, scalata di lame taglienti, appendersi a testa in giù
da un precipizio).
Figura 25. Il commodoro Matthew Perry. Dal Kurofune emaki 黒船絵巻 (Rotolo illustrativo delle
Navi Nere, 1854)
Figura 26. Tengu di Katsushika Hokusai 葛飾北斎. Dal Hokusai manga 北斎漫画, vol. 3, 1815
Figure 27, 28. Tengu che fuma (ventaglio di Ogata Gekkō 尾形月耕, ca 1880) e poster
pubblicitario delle Sigarette Tengu (Tengu tabako 天狗煙草, ca 1900)
30 L’etichetta di «tengu» sembra essere stata in origine attribuita in senso dispregiativo a due
famosi intellettuali nazionalisti del feudo Mito, Aizawa Seishisai (1782-1863) e Fujita Tōko (1806-
1855), per l’arroganza nel volere proporre delle riforme epocali contro il regime Tokugawa.
Ma in seguito sarà il daimyō stesso di Mito, simpatetico con il movimento insurrezionalista, a
chiamarlo così per le sue connotazioni positive (Figal, 1999, pp. 32-33; Koschmann 1982, p. 82).
Oltre alla sfera religiosa e marziale, la fortuna del tengu nel tempo è
dovuta alla capacità di attraversare ambiti eterogenei, da quelli della
letteratura, delle arti visive, del teatro fino all’intrattenimento ludico,
tanto da coinvolgere indistintamente diversi ceti sociali e fasce di età.
Come suggerito dall’antropologo Komatsu Kazuhiko 小松和彦 (cfr. cap. 1),
l’affermazione di ogni yōkai nella storia culturale giapponese è ricon-
ducibile soprattutto all’intersezione fra narrazione e visualizzazione:
da una parte, un fenomeno ritenuto misterioso e inquietante, ma anco-
ra amorfo e indistinto, viene definito, personificato come mostro, poi
raccontato, prima per via orale, poi per via scritta, e condiviso quindi
da sempre più persone, in luoghi sempre più lontani; dall’altra, la sua
figurazione, soprattutto visiva, ne sancise la definitiva consacrazione
e standardizzazione. Anzi, è soprattutto l’ibridazione testo-immagine
resa popolare dalla stampa in matrice di legno in periodo Tokugawa,
che contribuisce alla formazione di una prima cultura yōkai nazionale.
In epoca moderna, sono soprattutto i tradizionali racconti fantasti-
ci (mukashi banashi 昔ばなし), pubblicati come narrativa illustrata per
l’infanzia e per ragazzi, a offrire una continuità importante di questa
storia culturale, fruendo di una diffusione capillare fra la popolazione,
forse ancora più estesa rispetto al passato, grazie anche alle continue
rielaborazioni da parte di scrittori e illustratori. Takashi Yoichi たかしよ
いち (1928-) è lo scrittore che forse più di ogni altro ha segnato la propria
fortuna letteraria proprio con la rivisitazione contemporanea del ricco
repertorio mostruoso e fantastico del Giappone tradizionale. Come molti
autori moderni di yōkai, ha saputo coniugare lo studio archeologico e
storiografico di miti, leggende e credenze popolari, con una narrativa
al contempo prolifica, immediata e creativa, tanto da essere insignito
dei masssimi riconoscimenti internazionali e nazionali nell’ambito della
letteratura per l’infanzia e per ragazzi: il Premio Andersen Honour List
(1977), il Premio Sankei Libri per l’Infanzia (1977) e il Premio Letterario
Akai Tori (2008).
72 2 Il tengu, demone divino della montagna
Mostri del Giappone
31 La storia epica sul popolo dei kappa, il folletto dell’acqua, diventa l’occasione per rifor-
mularne l’immagine in chiave eco-comunitaria all’interno di una prospettiva olistica di ampio
respiro ai limiti del cosmico. Mentre il racconto più intimo del contadino fannullone che si
trasforma in un oni, il demone-orco, diventa il pretesto per suggerire una riflessione esisten-
ziale sulla doppia natura dell’uomo: un racconto paradigmatico circa l’inversione moderna
dell’alterità esterna in alterità interna, dove il mostro non è più fuori, ma dentro di noi. Cfr.
Takashi 2005; 2006.
individuale che si costituisce come una sintesi critica e aperta dei primi
due. In altre parole, un volo iniziatico del tengu al contempo ludico e co-
noscitivo, giocato sull’alternarsi di credulità e di incredulità, di finzione
e di verità; dove la posta in gioco è, come in passato, la negoziazione e il
superamento di una verità monolitica.32
32 Anche nel lungomerraggio animato La città incantata di Miyazaki (cfr. nota 10), la versio-
ne contemporanea e più spettacolare del «rapimento divino» (kamikakushi), si elabora tale
rapimento come processo conoscitivo di formazione e di maturazione, in questo caso della
protagonista Sen/Chihiro.
Il kappa 河童 (lett. «bambino, figlio dei fiumi») è una delle figure mostruose
più radicate, diffuse e attualmente più amate della storia culturale giap-
ponese. La sua onnipresenza nell’arcipelago giapponese e le sue origini
leggendarie, che si perdono nella notte dei tempi, quando divinità, mostri,
uomini e animali vivevano e morivano ancora gli uni accanto agli altri, ne
fanno una figura dalle forme e abitudini mutevoli a seconda delle epoche e
delle regioni. Esiste comunque un’immagine standard del kappa, definita
tra il XVII e XVIII secolo d.C., in grado di accomunare in linea di massima
tutto lo sterminato repertorio iconografico: un essere ibrido dalle sem-
bianze anfibie, in perenne bilico fra aspetti umani e animali, fra caratteri
divini e fantastici.
1 Un mostro anfibio
1 Per questa sommaria descrizione del kappa, cfr. «Kappa» 1987; 1994; 1998. Per studi siste-
matici sul kappa, cfr. Ikura 2010; Ishida 1950; Foster 1998; Komatsu 2000b; Nakamura 1996;
Wada 2010, e la mostra recente dedicata al kappa del Museo Nazionale di Storia e Etnologia
nel 2012 (Kokuritsu rekishi minzokugaku hakubutsukan 2014). Cfr. anche Casal 1961; Ishida
1950; Ouwehand 1964.
2 Le numerose varianti terminologiche e regionali riflettono spesso la prevalenza di un de-
terminato abbinamento divinità-animale o uomo-animale: kahaku 河伯 o mizuchi 蛟 (divinità
dei fiumi, sotto forma di drago, serpente, pesce), kame 亀 (tartaruga), enkō 猿猴 o kawazaru
川猿 (scimmia o scimmia dei fiumi), kawauso 獺 (lontra), suiko 水虎 (felino o tigre dell’acqua).
3 La nota abilità del kappa nel nuoto è ben evidenziata da un proverbio popolare: «anche un
kappa può annegare» (kappa no kawanagare 河童の川流れ), a indicare che anche il più grande
esperto di una materia può fallire nell’esecuzione di un compito di sua competenza.
77
Mostri del Giappone
lunghi, con il capo scoperto sulla cima, tanto da ricordare la tonsura dei
monaci cristiani. La sommità del capo ha spesso una rientranza concava,
una sorta di piatto (sara 皿), che raccoglie del liquido o dell’acqua, una
sostanza vitale per il kappa. Nonostante le dimensioni corporee ridotte,
la presenza di questo liquido sulla testa gli consente di esercitare una
forza inaspettata, di gran lunga superiore quella degli uomini. Il kappa
ama trascinare in acqua cavalli, buoi e uomini, o sfidare questi ultimi in
combattimenti di sumō 相撲, la lotta tradizionale giapponese. Esiste però
un modo collaudato per indebolirlo e sconfiggerlo che fa leva sul prover-
biale rispetto dell’etichetta dei kappa: di fronte a un profondo inchino,
nessun kappa può non ricambiare il gesto, il che lo costringe a rovesciare
inavvertitamente per terra il suo liquido vitale.
Il kappa è quindi un essere ibrido non solo nell’aspetto, ai limiti del
grottesco, ma ambiguo anche nei comportamenti altalenanti rispetto al
consorzio umano. Da una parte, viene descritto come un essere con un
carattere malevolo o litigioso, in grado di costituire una minaccia persino
mortale. Questo suo lato pericoloso è sottolineato in particolar modo nelle
credenze più antiche delle zone rurali, che ammoniscono i bambini a non
avvicinarsi ai corsi d’acqua, visto che gli si attribuisce la responsabilità
degli annegamenti. Il kappa non solo trascina uomini, donne e bambini in
acqua ma, attraverso il loro ano, succhia viscere, fegato, interiora e liquidi;
ovvero priva gli esseri umani o i loro animali della linfa vitale, lasciando
un corpo senza vita o destinato inevitabilmente a deperire. A volte è tanto
infido da nascondersi sotto i gabinetti tradizionali, aperti direttamente su
un corso o un pozzo d’acqua, insidiando dal profondo buio sottostante le
parti intime dell’ignaro di turno. D’altronde, in molte leggende, l’esito di
questi tentativi malevoli è un fallimento maldestro. Spesso il kappa finisce
mutilato o viene catturato. Per riavere l’arto perduto o per riacquistare la
libertà, è costretto a stringere un accordo con gli umani; un patto, sigillato
a volte da un giuramento scritto, che lo trasforma definitivamente in un es-
sere benevolo. La sua riconoscenza è espressa con rivelazioni di medicinali
segreti, soprattutto per le malattie alle ossa, con il ritrovamento di oggetti
preziosi perduti in acqua, oppure con il rifornimento quotidiano di pesci.
La natura ambivalente del kappa è testimoniata anche dai suoi rapporti
con la coltivazione del riso, un tempo fonte strategica di sostentamento
delle popolazioni dell’arcipelago giapponese. Anche in questo caso, molte
leggende lo descrivono come un vandalo dei campi, violento e dispettoso,
una minaccia costante ai raccolti, ma che, occasionalmente, può diventare
anche un prezioso aiutante nell’opera d’irrigazione delle risaie o di tra-
pianto delle sementi. In altre parole, condivide in questo senso la stessa
ambivalenza dei kami 神, le divinità autoctone delle credenze popolari
shintō 神道 (lett. «la Via degli dèi»). Anche i kami, come gli dèi dell’anti-
co pantheon greco-romano, non sono soggetti alla morale umana. Il loro
potere sovrannaturale è, a seconda dei casi, generativo, conservativo o di-
78 3 Il kappa, il mostro-folletto dell’acqua
Mostri del Giappone
Figura 30. Suiko juønihin no zu 水虎十弐品之圖 (Guida illustrata a 12 tipi di kappa) a cura di Sakamoto
Kōsetsu 坂本浩雪, ca 1850
2 Le origini
4 Ancora oggi in alcune zone del Giappone centrale (Ishigawa, Shiga) i termini mizuchi,
mizushi o medochi メドチ (lett. «spirito acquatico») sono sinonimi di kappa. Per l’episodio
mitologico, cfr. Aston 1956, pp. 298-299.
5 A prescindere dalle origini cinesi o coreane del kappa, sono evidenti già a prima vista gli
influssi del repertorio fantastico e mostruoso cinese. Tra questi ricordiamo la figura dello shuǐhǔ
水虎 «tigre, felino dell’acqua», una creatura piccola, con il corpo ricoperto di scaglie e dotato
di artigli, che vive nei corsi d’acqua e morde i bambini. Lo ritroviamo tale e quale, con il nome
di suiko スイコ nell’iconografia giapponese del periodo Tokugawa (Ishida 1950, pp. 119-120).
6 In questa leggenda, il demone dell’acqua o spirito dei fiumi Sha Wujing prima di essere re-
clutato dal monaco buddhista, era un generale imperiale, cacciato dal Cielo per avere rotto un
prezioso vaso di giada della Madre Imperatrice. Esiliato in terra è condannato a infestare un corso
d’acqua sabbioso, divorando gli uomini che osavano avvicinarsi. Il re scimmia Sun Wukong (in
giapponese Songokū), il più potente dei tre compagni, è particolarmente popolare in Giappone,
dove ha ispirato molti adattamenti letterari, cinematografici, manga e anime come il protagonista
Gokū di Dragonball, la fortunatissima serie (1984-1995) di Toriyama Akira 鳥山明.
7 Per le prime documentazioni scritte della leggenda di Kusenbō, cfr. Tanigawa 谷川 [1787-
1887] (1968).
8 Nelle sue molteplici varianti questa leggenda incorpora molte altre tradizioni di diverse
regioni, riconducendole a quella dell’antenato originario Kusenbō dal quale sarebbero discesi
i differenti rami locali. Un’operazione narrativa, che ricorda quella del Kojiki 古事記 (Cronaca
di antichi avvenimenti, 712 d.C.) e del Nihonshoki intesa a legittimare il ramo principale dei
kami della famiglia imperiale. In una delle sue varianti, questa leggenda comprende anche il
L’altro filone sulle origini del kappa prevale invece nelle regioni centro-
orientali del Giappone, e individua la sua derivazione da una bambola
di paglia, di legno o di carta, creata e animata dall’azione magica di un
personaggio umano, più o meno leggendario. Le più diffuse riguardano
carpentieri, falegnami, architetti che nella costruzione di qualche opera
edilizia – una casa, un ponte, un tempio, o un castello – in mancanza di
manodopera umana, ricorrono al servizio di magici operai per completare
i lavori. Tra le più note vi è quella del semileggendario architetto-scultore
Hidari Jingorō 左甚五郎, vissuto forse agli inizi del XVII secolo nella regione
di Amakusa, il quale per finire in tempo la costruzione di un castello, con-
fezionò un gran numero di bambole di paglia e donò loro il soffio della vita.
Tuttavia, una volta completato il castello, non sapendo più cosa farsene,
decise di gettare le bambole animate in un fiume. Interpellato dai futuri
kappa su quello che avrebbero d’ora in poi dovuto mangiare, ordinò loro
di cibarsi dei sederi o degli shirikodama degli umani.9 Un’altra variante
dell’origine magica dei kappa, associa invece la loro nascita alla figura di
grandi maestri storici delle pratiche taoiste, come Abe no Seimei 安倍晴明
(921-1005), in funzione di servitore magico, di genio in grado di compiere
infinite trasformazioni, ma che una volta gettato in fiume avrebbe avuto
dei rapporti sessuali con degli esseri umani, generando il primo dei non-
uomini o fuori-casta (eta えた).
Questo riferimento a uno dei gruppi sociali più discriminati nella storia
giapponese, per l’associazione a dei mestieri considerati impuri, è uno
degli spunti per una delle teorie più recenti sui kappa. Essa sottolinea lo
stretto legame e la sovrapposizione dei tratti immaginari del kappa in quan-
to altro mostruoso con gli attributi del suo disprezzato equivalente sociale:
i kawaramono 河原者 (lett. «quelli del fiume»), uno dei gruppi di fuori-casta
che lungo i fiumi vivevano di attività ambulanti non agricole (intrattenitori,
guaritori, venditori, conciatori, mendicanti ecc.); essi erano etichettati in
senso dispregiativo come «bambini» (dōji 童子) per via dell’acconciatura
infantile dei capelli (Komatsu 1985, 1987).
L’elenco delle teorie sulle possibili origini del kappa potrebbe protrarsi
ancora a lungo. Tra le più curiose vale la pena ricordare quella che lo as-
socia ai missionari cristiani europei arrivati dal mare in Giappone nel XVI
secolo, data l’analogia della parola portoghese «capa» (a indicare il manto
dei missionari), e la tonsura del capo; e quelle più recenti che ne fanno un
citato Viaggio in Occidente, per cui il capo kappa di un ramo collaterale, Jōkaibon, è identifi-
cato con il demone dell’acqua, Sagojō, al quale, per i meriti accumulati durante il suo viaggio
alla ricerca del paradiso occidentale, si attribuisce il raggiungimento della buddhità.
9 Sono in particolar modo queste leggende che vengono messe in relazione con la funzione
apotropaica assegnata ai kappa in alcuni riti rurali di esorcismo (mushiokuri 虫送り); ovvero
quella di capro espiatorio quale bambola sacrificale (katashiro 形代) da gettare in acqua per
esorcizzare e purificare la comunità da carestie, malattie, maledizioni di spiriti vendicativi.
I tratti distintivi, invece, della sua versione definitiva, a partire dal periodo
Tokugawa tendono a essere meno trascendenti e più secolari, per cui con il
passare dei secoli e il prevalere di un immaginario più laico e urbano, an-
che le tracce di una possibile origine divina o di un qualche potere magico
si diluiscono fino a estinguersi, lasciando piuttosto spazio all’immagine di
un pericoloso yōkai, essere mostruoso o grottesco, una sorta di ‘scherzo
della natura’.
a stampa, sia scritta che illustrata, garantì l’esistenza del kappa nel tempo,
uniformandone pian piano le infinite versioni locali e regionali secondo
un’immagine sempre più nazionale e convenzionale. Dall’altra parte, si
tratta anche di una immissione del kappa in un nuovo contesto sociocul-
turale come quello urbano che, come tale, lo piega a esigenze diverse più
laiche (informative, commerciali, artistiche) le quali, con il passare dei
secoli, tendono a svuotare il kappa delle sue connotazioni sacre, magiche
o terrifiche. Tendono cioè a privarlo della sua originaria pericolosità ra-
dicale e simbolica, fino a farne una sorta di curioso scherzo della natura,
un fenomeno da baraccone (misemono 見世物) dato in pasto alla curiosità
del pubblico cittadino, e che come tale, in concomitanza con gli imperativi
alla modernizzazione del Paese a fine Ottocento, finisce pian piano nel di-
menticatoio dell’immaginario pubblico, assieme a tutto il retaggio rurale,
diventati entrambi sinonimi di arretratezza e di superstizione.
È in questo contesto di accelerata urbanizzazione e industrializzazione
che si assiste invece a un primo recupero del kappa, grazie soprattutto alle
ricerche di Yanagita Kunio, considerato il padre dell’etnologia giapponese.
La sua pubblicazione nel 1910 di Tōno monogatari 遠野物語 (Storie di Tōno)
è una dettagliata ricostruzione delle tradizioni orali e dei costumi di una
località rurale nel nord del Giappone (prefettura di Iwate), che annovera
anche il kappa fra i molti esseri divini, fantastici e mostruosi della regione
(Yanagita [1910] 2008). I kappa del folclore di Tōno sono delle creature
alquanto minacciose e sinistre, anche se non sempre ben definite, data
la natura orale delle fonti. Di solito hanno modeste dimensioni e la faccia
rossa, infestano in gran numero i fiumi della zona, dai quali cercano di
trascinare in acqua i cavalli. Ogni tanto escono dall’acqua e insidiano le
donne, facendo nascere dei mostri grotteschi, dalla bocca enorme e con le
dita palmate, i quali sono spesso tagliati a pezzi e bruciati dalla comunità.
In seguito, grazie anche a successivi saggi sull’argomento, Yanagita riusci-
rà a convogliare l’interesse di parte dell’opinione pubblica, soprattutto la
nascente comunità accademica, su questa curiosa e minacciosa creatura
acquatica (Figal 1999, pp.105-196; Foster 2009, pp. 77-114).
Il salto di qualità tuttavia, che impone la figura del kappa all’attenzio-
ne più generale dell’intera nazione, si ha nel 1927 con il breve romanzo
satirico dello scrittore Akutagawa Ryūnosuke 芥川龍之介 (1892-1927) in-
titolato proprio Kappa 河童 (Akutagawa [1927] 1992, 1988). Si tratta del
resoconto di un giovane ricoverato in una clinica mentale, che racconta il
suo soggiorno nel paese dei kappa: un mondo bizzarro che ricorda este-
riormente la società urbana dell’epoca, con strade, fabbriche, automobili;
i cui abitanti, nonostante il curioso aspetto anfibio, hanno le stesse abitu-
dini degli umani, anche se trasfigurate ed esasperate, tanto da farne una
parodia corrosiva della società giapponese d’inizio Novecento. Pochi mesi
dopo la pubblicazione l’autore, appena trentacinquenne e all’epoca già
uno degli scrittori più noti del Giappone, si suicidò. Un evento drammatico
3 Il kappa, il mostro-folletto dell’acqua 89
Mostri del Giappone
10 Si veda Foster (1999) per una esaustiva analisi della trasformazione del kappa, da creatura
tradizionale del folclore a figura moderna del folklorism, inteso come appropriazione urbana
del repertorio rurale.
Figura 35. I kappa dolci e sensuali in versione Figura 36. I kappa di Mizuki Shigeru (da Kappa no
manga di Kojima Kō Sanpei, 1961-69)
ma vengono uccisi con dei gas tossici, per poi essere macellati e mangiati
dai loro simili; il governo impone delle campagne per il miglioramento della
razza kappa, facendo sposare gli individui malsani con quelli più sani; lo
stesso governo conduce delle guerre di annientamento totale con il popolo
vicino delle lontre.
Tra le immagini forse più ironiche e tragiche vi è quella di un feto kappa
che, interpellato dal padre durante il parto, dichiara di non voler venire al
mondo; oppure quella del poeta kappa che si suicida per depressione, ma
che riappare durante una seduta spiritica ansioso di avere notizie dai vivi
sulla sua possibile celebrità postuma. Come in passato, la figura del kappa
rimane quella di un essere ibrido, un mostro in grado di catalizzare le ansie
e le paure più radicali. Il kappa di Akutagawa mantiene intatta la sua poten-
zialità mediatrice fra dimensioni diverse, sfuma alcune ambivalenze, come
quella fra acqua e terra, bambini e adulti, ma ne aggiunge di inedite, quali
quelle fra individuo e società, normalità e follia, tradizione e modernità.
La carica critica investita da Akutagawa sul kappa risulta particolar-
mente destabilizzante in primo luogo per l’allusione a molte questioni pro-
blematiche del Giappone a lui contemporaneo: depressione e nichilismo,
rinegoziazione dei ruoli fra uomo e donna, narcisismo artistico, eugenetica,
capitalismo avido, imperialismo militare; tutti tratti ricorrenti delle società
moderne tout court, tanto da fare del suo romanzo la prima e vera opera
distopica della letteratura giapponese; in secondo luogo, perché il prota-
gonista umano – che è il narratore in prima persona del romanzo e fornisce
quindi al lettore la prospettiva con cui guardare alle vicende – simpatizza
per i kappa e, dopo essere in un primo momento scampato agli orrori vi-
stosi della loro società, sogna invece, alla fine del racconto, di fuggire dal
suo mondo umano e ritornare definitivamente nel loro Paese, ribaltando
quindi la prima impressione.
Sul registro dell’ambiguità irrisolta si muove anche il percorso del pro-
tagonista in relazione al passato e alle tradizioni giapponesi. Il suo primo
incontro con un kappa avviene significativamente durante un’escursione
solitaria in mezzo alle montagne di Nagano, lontano dalla vita frenetica del-
la capitale, proprio vicino a un corso d’acqua immerso fra la vegetazione.
Il kappa si presenta a prima vista identico alle secolari rappresentazioni
convenzionali, sia nelle fattezze esteriori, sia nella sua collocazione natu-
rale, tanto da poter sembrare agli occhi di un cittadino della metropoli, il
miraggio di un passato bucolico ormai perduto, delle sue tradizioni agrico-
le, di una natura ancora intatta. Il protagonista non a caso rincorre questa
creatura sfuggente e finisce durante l’inseguimento per cadere in un buco
risvegliandosi nel Paese sotterraneo dei kappa. Un mondo che si rivela
moderno, industrializzato e con tecnologie d’avanguardia.
Il kappa di Akutagawa è investito in questo modo di un nuovo ruolo
mediatore: allude a una nostalgica tensione verso un passato agricolo, ma
incarna al contempo gli aspetti estremizzati della modernità, proiettata
94 3 Il kappa, il mostro-folletto dell’acqua
Mostri del Giappone
12 Per un’esauriente trattazione delle rappresentazioni distopiche e del passaggio dall’altro
esterno (mostro o alieno) a un altro interno in tutta la letteratura giapponese moderna, cfr.
Napier 1996.
13 È interessante notare come i nuovi mostri dell’immaginario giapponese contemporaneo,
in grado di esprimere una radicale carica ambivalente, siano accomunati dallo stesso duplice
processo di enfasi degli aspetti umani e di interiorizzazione dell’alterità. In ambito fantascien-
tifico, si assiste negli anni Ottanta alla trasformazione delle macchine robotiche in cyborg,
ibridi di materia sintetico-metallica e carne umana, con storie in cui il nemico da combattere
non è più un alieno venuto da fuori, dallo spazio cosmico, ma si annida nella stessa coscienza,
come evidente nella produzione cinematografica animata e non (Tetsuo 鉄男 di Tsukamoto
Shin’ya 塚本晋也, 1988; Akira アキラ di Ōtomo Katsuhiro 大友克洋, 1988; Shinseiki Evangelion
新世紀エヴァンゲリオンdi Anno Hideaki 庵野秀明, 1995); oppure in ambito horror, scompaiono i
mostri esterni di una volta, grotteschi e spettacolari nelle loro fattezze (Godzilla), a favore di
un orrore più psicologico, con protagonisti devastati interiormente da una maledizione invi-
sibile o da un parassita malefico (cfr. i lungometraggi Parasite Eve パラサイト・イヴ di Ochiai
Masayuki 落合正幸, 1997; Cure キュア di Kurosawa Kiyoshi 黒沢清, 1997; Ring リングdi Nakata
Hideo 中田秀夫, 1998). D’altronde è significativo che la strage nelle metropolitane di Tōkyō
del 1995 attuata con il sarin dal gruppo tantrico Aum Shinrikyō オウム真理教, forse il più grave
attentato terroristico del dopoguerra, non avviene per mano di un’organizzazione straniera,
ma da parte di giovani giapponesi, laureati nelle migliori università del Paese e affascinati
dall’apocalisse proclamata dal loro leader, Asahara Shōkō 麻原彰晃.
14 «Kappa» è la denominazione proveniente dalla regione della capitale Tōkyō ed è quindi
diventato il termine standard per indicare questo yōkai. «Gawappa», il termine usato da Ta-
kashi, ha lo stesso significato, ma è una variante locale del Kyūshū (Nagasaki e Kumamoto),
nel Giappone occidentale, zona da cui proviene l’autore.
te e sinistra del primo, né quella frivola e volgare del secondo. Il suo kappa
vorrebbe essere esonerato da qualsiasi tipo di riduzione, imposta sia dalle
versioni tradizionali che da quelle a lui contemporanee, in modo da poter
evocare idealmente una creatura «che vive nel vago e misterioso mondo
d’oriente, non sottomesso a nulla, perché essere dell’immenso spazio che
viaggia per tutto il cosmo» (Takashi 2006, p. 39).
Questa dichiarazione, volta a creare un nuovo kappa, si colloca crono-
logicamente negli anni Settanta; è il periodo dell’ultimo revival di questa
figura, durante il quale la sua versione urbana torna nei luoghi d’origine e
ha quindi luogo l’incontro tra il kappa moderno e nazionale e le sue innu-
merevoli versioni tradizionali e locali. Gawappa di Takashi costituisce una
sintesi rappresentativa e originale di questo confronto. Già la scelta del
titolo, che utilizza la denominazione regionale del kappa, quella di Kuma-
moto nel Kyūshū da cui proviene l’autore, mostra chiaramente l’intenzione
di volersi ispirare alle proprie origini; il che è ancora più evidente nel nome
del protagonista, Kyūsenbō, del quale riprende, seppur liberamente, alcuni
tratti della storia leggendaria regionale. Il racconto sulle origini continen-
tali del fondatore dei kappa e della sua discendenza, il loro lungo viaggio
secolare per approdare sulle coste nipponiche del Kyūshū, lo scontro con
il signore locale, e infine il prosieguo della migrazione sulla terraferma,
sono tutti rievocati. Esistono però delle divergenze significative, prima fra
tutte il Kyūsenbō di Takashi non annega un ragazzino succhiandogli le vi-
scere dal sedere e, inoltre, sconfigge il signore locale. Il suo kappa è infatti
un eroe positivo a tutto tondo, depurato da ogni connotazione vandalica,
vampiresca o omicida, tanto da ergersi come salvatore delle popolazioni
contadine soggiogate dalla crudele tirannia del signore locale.
Su questo doppio registro della idealizzazione e dei richiami alle tra-
dizioni si muove l’intero racconto, intessuto da una fitta rete di rimandi
più o meno espliciti a credenze e pratiche del passato, tutte rievocate
visivamente dal pittore Saitō Hiroyuki 斎藤博之 (1919-1987), insignito con
il Premio Shogakukan proprio per le illustrazioni che accompagnano il
racconto. La ‘nascita’ di Kyūsenbō da un qualcosa che ricorda il bocciolo
del fiore di loto e la sua posizione con le gambe incrociate sono allusioni
all’iconografia delle divinità buddhiste,15 le quali, come i kappa, sono
giunte nell’arcipelago giapponese dal continente asiatico, e sono imma-
gini che trovano riscontro nelle varianti della leggenda regionale, che
presentano dei discendenti di Kyūsenbō in veste di aiutanti della legge
buddhista. Anche lo stesso processo così naturale di generazione, molti-
plicazione, estinzione, e di nuovo rigenerazione dei kappa, può ricordare
15 Il fiore di loto è uno dei simboli utilizzati per rappresentare la natura del Buddha. Come
il fiore di loto, che si schiude puro e candido dal fango, l’illuminazione del Buddha emerge
dall’ignoranza di questo mondo. Il Buddha in meditazione, seduto con le gambe incrociate
sopra questo fiore è uno dei motivi ricorrenti nell’iconografia buddhista.
la nozione buddhista del samsara, il ciclo infinito delle rinascite a cui sono
sottoposti tutti gli esseri viventi.
Inoltre, il capo Kyūsenbō è del tutto esente da desideri e avidità ma-
teriali, tanto da sembrare a prima vista un essere freddo e distaccato,
spinto solo dal suo istintivo compito di raggiungere la cima della monta-
gna. Tuttavia, si distingue nel corso del racconto per grande sensibilità e
compassione nei confronti delle sofferenze degli umani, virtù fondamentali
attribuite dal credo popolare proprio alle divinità e ai santi buddhisti. I
kappa di Takashi non sono tuttavia creature connotate unilateralmente in
senso buddhista. La storia della loro migrazione dal mare alla montagna
si ispira alle credenze secondo le quali in primavera ed estate essi si pre-
sentano come dei «bambini dei fiumi» (kawatarō), mentre in autunno si
spostano verso le montagne, diventando per tutto l’inverno dei «bambini
dei monti» (yamatarō), per poi scendere in primavera di nuovo nei campi
e nei fiumi; credenza questa legata ai cicli stagionali dei raccolti del riso
98 3 Il kappa, il mostro-folletto dell’acqua
Mostri del Giappone
ratterizzato. Egli continua a essere una creatura sospesa tra due mondi:
il mondo acquatico e quello terrestre. Un essere che può mediare, come
nelle epoche più remote, fra i fenomeni naturali e gli esseri umani, e anche
ricollegare il presente moderno con il suo passato tradizionale. Tuttavia,
questa mediazione simbolica avviene adesso secondo un disegno concilia-
torio e olistico, in antitesi con il quadro distopico di Akutagawa, per cui
tutti i singoli elementi della narrazione di Takashi tendono a ricomporsi alla
fine in un tutt’uno perfetto. Il suo kappa assurge quindi a garante di una
più ampia armonia, declinata secondo i modelli di una sorta di democrazia
comunitaria in ambito sociale e di un ecologismo cosmico nei rapporti con
l’ambiente. Un’armonia ideale anche nella sua scansione temporale, che si
oppone all’artificio di un tempo statico simboleggiato dal sole immobile, a
favore invece della naturalità di un tempo dinamico e ciclico, in cui il sole
sorge e tramonta, e in cui gli esseri viventi, come il kappa, nascono, cresco-
no, si moltiplicano, per poi estinguersi e rinascere di nuovo: un processo
circolare della vita, senza inizio e senza fine.
Sommario 1. Oriente + Occidente = mostro? – 2. L’estetica del mostruoso nel cinema di Miya-
zaki Hayao. – 3. (S)confinamenti mostruosi: tradizione, anime e J-culture nell’era della globaliz-
zazione.
1 Per una critica filosofica di questo dilemma in epoca moderna, cfr. Sakai 1997; mentre per
una sua analisi sociologica nel contesto della globalizzazione, cfr. Iwabuchi 2002.
101
Mostri del Giappone
potrà mai essere del tutto ‘occidentale’, anche qui non tanto per una libera
preferenza a favore dell’‘Oriente’ o di una nipponicità incontaminata, ma
perché è la stessa egemonia euro-americana che dopo averne imposto
l’occidentalizzazione, ne decreta anche l’orientalizzazione (o al massimo
lo statuto di brutta copia dell’originale euro-americano).
2 Tutte le informazioni biografiche degli anni formativi sono tratte dalla raccolta di interviste
a Miyazaki (2002) .
Così, uno dei tratti a prima vista evidenti della sua opera sono il continuo
alternarsi di ambientazioni ‘tipicamente’ europee con altre periferiche del
contesto giapponese, con l’esclusione degli Stati Uniti o dei simboli con-
venzionali dell’identità nazionale (aristocrazia di corte, samurai, contadini,
buddhismo zen, città futuristiche ecc.). A parte le ambientazioni autentiche
relative al Mar Adriatico (Italia, Croazia) degli anni Venti in Kurenai no bu-
ta 紅の豚 (Porco rosso, 1992) e a Tokorozawa (Saitama) degli anni Cinquanta
in Tonari no Totoro となりのトトロ (Il mio vicino Totoro, 1988), prevalgono
scenari più ibridi e fantasiosi, meno rigorosi in termini spaziotemporali,
con riferimenti geografici solo vagamente riconoscibili: Yakushima (Kyūshū
meridionale), le steppe desertiche dell’Asia Centrale e la Crimea in Kaze
no tani no Naushika 風の谷のナウシカ (Nausicaa della Valle del vento, 1984);
il Galles in Tenkū no shiro Rapyuta 天空の城ラピュタ (Laputa - castello nel
cielo, 1986); Stoccolma, Visby e il Mar Baltico in Majo no takkyūbin 魔女
の宅急便 (Kiki - Consegne a domicilio, 1989); ancora Yakushima e i monti
dello Shirakamisanchi (Tōhoku nordorientale) in Mononoke hime ものの
け姫 (Principessa Mononoke, 1997); l’Alsazia e l’Asia Centrale in Hauru
no ugoku shiro ハウルの動く城 (Il castello errante di Howl, 2004); la città
portuale di Tomonoura (prefettura di Hiroshima) in Gake no ue no Ponyo
崖の上のポニョ (Ponyo sulla scogliera, 2008).3
È in particolar modo nel passato remoto e recente europeo o giappo-
nese, che vengono messi in scena mondi marginali e alternativi a una
modernità contemporanea, avversata per il capitalismo materialistico, l’in-
dustrializzazione inquinante e il militarismo nazionalista. Si tratta di un
mondo necessariamente fantastico, non solo per la sospensione delle leggi
fisico-naturali e la presenza di creature mostruose, ma anche per l’allusio-
ne utopica a una possibile convivenza armoniosa fra popoli, uomini, anima-
li, esseri soprannaturali e ambiente naturale. Con l’attenuarsi dell’utopia
socialista degli anni giovanili, cresce l’insoddisfazione per qualsiasi credo
dalle pretese trascendentali o assolutiste (cristianesimo, islam, confucia-
nesimo, buddhismo, shintō di Stato), fino al consolidamento di un marchio
distintivo delle storie di Miyazaki: una visione del mondo sempre più com-
plessa, dalle forti connotazioni ecologiste e umanistiche, senza veri buoni
e cattivi, vincitori e vinti, dove la posta in gioco è sempre la sopravvivenza
della vita, sia essa privata, collettiva o planetaria.
Il setting di questa possibile solidarietà organica e inclusivista è scan-
dito dall’alternarsi regolare di lungometraggio in lungometraggio fra un
‘Occidente’ periferico e un Giappone altrettanto marginale. Nel primo
caso si tratta di un’Europa protoindustriale dalle tinte esotiche, in cui
il rapporto fra uomini, macchine e ambiente è ancora di tipo artigiana-
3 Per una ricostruzione più dettagliata di ambientazioni, personaggi, storie, cfr. il sito uffi-
ciale dello Studio Ghibli: http:// www.ghibli.jp/ e soprattutto Kanō 2006.
4 Gli incassi di Mononoke hime nel 1997 hanno segnato il record assoluto (compresi film
stranieri) nella cinematografia in Giappone (19 miliardi di yen, 14 milioni di biglietti), superato
poi nel 2001 da Sen to Chihiro no kamikakushi (30 miliardi di yen, 23 milioni di biglietti). Sono
di Miyazaki i primi 3 film nella classifica nazionale dei film giapponesi di maggiore successo
di tutti i tempi: 1. Sen to Chihiro; 2. Hauru no ugoku shiro; 3. Mononoke hime. Cfr. http://
movie.goo.ne.jp/ranking/boxoffice/20080902.html (2013-10-04).
5 Per un’analisi dettagliata delle tecniche dell’animazione di Miyazaki, cfr. Kanō 2007, pp. 90-
104; Lamarre 2006; mentre per una monografia più generale su Miyazaki, cfr. Kanō 2006 e
McCarthy 2002.
6 Si intende qui per ‘mostro’ qualsiasi essere immaginario costituito da elementi incongrui,
eccessivi e ambivalenti rispetto alle tassonomie convenzionali, in grado di suscitare sentimenti
antitetici che vanno dall’ammirazione alla paura. In questo senso allargato si ritrovano dei
mostri come (co)protagonisti in tutti i dieci lungometraggi diretti da Miyazaki, ad eccezione
di Rupan Sansei: Kariosutoro no shiro ルパン三世 カリオストロの城 (1979), Majo no takkyūbin
魔女の宅急便 (1989) e Kaze tachinu 風立ちぬ (2013).
7 Oltre a questa versione adulta di Totoro di colore grigio, compaiono nel film anche delle
versioni medie di colore blu (chūtotoro 中トトロ) e più piccole bianche (kototoro 小トトロ).
Figure 38, 39. Tonari no Totoro (Il mio vicino Totoro, 1988)
8 Per un’analisi di Sen to Chihiro (La città incantata) in termini di liminalità e viaggio ini-
ziatico ispirati all’antropologia simbolica di Victor Turner, cfr. Napier 2006; mentre per una
critica di questo approccio, cfr. Antonini 2005, pp. 41-48.
Figure 40, 41. I bruchi-vermi di Kaze no tani no Naushika (Nausicaa della Valle del vento, 1984)
Figure 42, 43. I robot eco-guerrieri di Tenku� no shiro Rapyuta (Laputa - castello nel cielo, 1986)
Figure 44, 45. Lo Shishigami-Didarabotchi in Mononoke hime (Principessa Mononoke, 1997)
Figura 46. Il mago Howl in Hauru no ugoku shiro (Il castello errante di Howl, 2004)
Figura 47. La sirenetta Ponyo in Gake no ue no Ponyo (Ponyo sulla scogliera, 2008)
9 Prima di Mononoke hime, il tema della metamorfosi mostruosa dei protagonisti trova un
precedente sui generis solo in Kurenai no buta che, eccetto questo aspetto, è il più realistico
dei lungometraggi di Miyazaki. La trasformazione in sembianze suine del protagonist aviatore,
avviene in seguito alla perdita del suo amico più caro, evento che inaugura un percorso di
iniziazione-espiazione-maturazione, e ritrovamento della propria umanità.
necessarie per la soluzione dei suoi problemi nel mondo altro e per il ritor-
no nel mondo reale.10
Nel realismo magico di Miyazaki il riproporsi della coppia paradigma-
tica shōjo 少女 (ragazza, adolescente) e mostro rimanda ad una scansione
narrativa ricorrente – defamiliarizzazione del reale e familiarizzazione
dell’irreale – il cui esito rassicurante denota tutta la sua fiducia umanistica
e vitalistica. 11 All’ immediatezza e apertura emotiva della shōjo è affidato
quindi sia il compito di rendere possibile l’incontro con la potenzialità
sconfinante del mondo fantastico, sia quello di stabilizzarne l’ambiguità in-
trinseca e confinarla nei limiti rassicuranti di una versione confacente alla
propria rinascita interiore e al proprio percorso formativo. Al polimorfismo
del mostro è affidato invece il compito di incarnare le attribuzioni eteroge-
nee di cui di volta in volta è investita l’ alterità meravigliosa che è chiamato
a personificare e a mediare: le pulsioni interiori più recondite, le forze
ambivalenti della natura, un passato o un futuro comunitario alternativi.
10 Lo stesso kamikakushi (lett. «occultamento divino») riportato nel titolo originale allude
alle credenze folcloriche circa la scomparsa improvvisa e misteriosa di bambini e giovani ad
opera di mostri o divinità. A volte i sequestrati venivano ritrovati in uno stato di follia, oppure
erano in grado di rivelare tesori nascosti.
11 Secondo una lettura psicologica di Yokota Masao, i mostri rappresenterebbero una sorta di
alter ego di Miyazaki, la parte più profonda e oscura della propria psiche. Il loro potenziale di
metamorfosi consentirebbe all’autore di relazionarsi metaforicamente con la propria immagine
idealizzata della shōjo. Cfr. intervista a Yokota nel documentario Ghibli: the Miyazaki Temple
di Yves Montmayeur (Arte France, 2004).
Figure 48, 49. Il Kaonashi (Senza Volto) in Sen to Chihiro no kamikakushi (La citt incantata, 2001)
Non sorprende quindi che l’opera di Miyazaki venga anche in questo caso
investita di attribuzioni riguardanti la nipponicità dell’ anime in genera-
le, da quelle tradizionaliste di Yōrō Takeshi 養老孟司 (1937-), che vede in
Miyazaki un campione culturale dell’«iconicità giapponese» del visivo
contrapposta al «fonismo occidentale» del verbale (Yōrō 2007), fino a
quelle più postmoderne di Thomas Lamarre, quale quintessenza estetica
dell’animazione tout court, con potenzialità tecno-politiche ancora tutte da
esplorare (Lamarre 2006). In altre parole, l’esposizione crescente del cine-
ma di Miyazaki sullo scenario globalizzato, sembra rievocare l’immagine
del ‘Giappone’ configurata in epoca moderna sul doppio (auto)orientalismo
di iper-tradizione e di iper-moderno; una geografia immaginaria dell’estre-
mo ‘Oriente’/altro tale da riproporre lo stereotipo del Paese dei contrasti
così familiare al contesto euro-americano; una sorta di ossimoro o mostro
culturale che rende plausibile anche la conversione curiosa espressa dalla
giuria di Berlino dell’«essenzialmente giapponese» in qualcosa di «univer-
sale» proprio per il suo essere «così specificamente locale».
L’ibridità estetica del mostruoso nel cinema di Miyazaki si gioca quindi
sull’intersezione di più livelli. Su un piano intratestuale riguarda la pre-
senza letterale di un ricco repertorio mostruoso, tratto dalla letteratura
mondiale e giapponese, chiamato a personificare e a mediare le complesse
dinamiche di identità e di alterità messe in scena dalle sue storie. Coinvolge
per estensione il carattere intrinsecamente ibrido dell’ anime: animazione
sì giapponese, ma di derivazione statunitense, costituito dalla combinazio-
ne di diversi media (illustrazione, fumetto, cinema), e che solo di recente
sta emergendo dalla sua condizione di subalternità espressiva. E infine su
un piano biografico e geopolitico, riguarda l’ibridità culturale dell’autore
stesso, condizionata dall’egemonia storico-culturale, prima europea e poi
statunitense; uno smisurato specchio ‘occidentale’ che ha reso così proble-
matica in Giappone l’identificazione di una fisionomia nazionale distintiva
e autonoma; un mondo euro-americano che in epoca contemporanea si
ripropone dall’esterno di riappropriarsi della ‘nipponicità’ secondo le mo-
dalità più consone alla propria geografia immaginaria.
In altre parole, la mostruosità dell’estetica di Miyazaki si alimenta di
un intreccio complessivo, in cui alla dialettica iniziale fra auto- ed etero-
rappresentazioni in Giappone, si vengono a sovrapporre le etero-rappre-
sentazioni del Giappone da parte euro-americana. In questo scenario glo-
balizzato, l’interrogativo ancora tutto aperto riguarda gli effetti dis-locanti
o meno sulla nuova ‘nipponicità’ del XXI secolo messi in essere dall’ibridità
mostruosa del suo cinema fantastico.
Sommario 1. Mostri, culture pop e identità nazionale. – 2. Doppio orientalismo mostruoso del
Giappone. – 3. Mostri e auto-orientalismo.
The ‘media mix’ is a popular and industry term [in Japan] that refers
to the practice of releasing interconnected products for a wide range
of media ‘platforms’ (animation, comics, video games, theatrical films,
soundtracks) and commodity types (cell phone straps, T-shirts, bags,
figurines, and so on). It is a state of what we might call the ‘serial in-
118 5 Giappone, paese dei mostri o paese mostruoso?
Mostri del Giappone
Figura 50. Manifesto della mostra Little Boy: The Arts of Japan’s Exploding Subculture di
Murakami Takashi, 2005
1 « We are deformed monsters. We were discriminated against as ‘less than humans’ in the eyes
of the ‘humans’ of the West. […] the Superflat project is our ‘Monster Manifesto’, and now more
than ever, we must pride ourselves on our art, the work of monsters.» (Murakami 2005, p. 161).
2 Per una breve ma ottima storia di questi stereotipi, cfr. Wilikinson 1982, pp. 21-72.
religione, arte scienza invenzioni high‐tech
(zen shintō, ikebana,
(zen, shintō ikebana ukiyoe)
ukiyoe) (robot cyborg accessori digital elettronici)
(robot, cyborg, accessori digital‐elettronici)
ritualità estetico‐emotiva ragione formalismo, infantilismo, perversione
((cerimonia del tè, arti marziali, seppuku)
i i d l è i i li k ) (i hi i k ii
(inchini, kawaii, sesso estremo))
geisha, samurai individuo sararīman, hikikomori, otaku
imperatore, clan, comunità, famiglia società stato, azienda, gruppo
onore, fedeltà, destino diritti umani autoritarismo, sessismo, razzismo
miti ancestrali storia‐progresso alienazione, apocalisse nucleare
⬇ ⬇ ⬇
? modello universale di umanità ?
Figura 51. Doppio orientalismo euro-americano nei confronti del Giappone: orientalismo classico
+ tecno-orientalismo
3 Mostri e auto-orientalismo
4 Per i risvolti razzisti durante il conflitto bellico fra Giappone e Stati Uniti nella Guerra del
Pacifico, cfr. Dower 1986; mentre per gli effetti disumanizzanti dell’orientalismo giapponese
nei confronti dei Paesi asiatici colonizzati, cfr. Kang 1996. Infine, cfr. Iwabuchi 2002 per la
struttura triadica dell’auto-orientalismo giapponese.
5 Per la teoria dello «schema co-figurativo» e la sua struttura binaria che rende l’idea es-
senzializzata e moderna dell’‘Occidente’ così indispensabile all’idea di ‘Giappone’, cfr. Sakai
1997; mentre per gli effetti unificanti sul piano sociale dell’auto-orientalismo giapponese, cfr.
Iwabuchi 1994.
‘Giappone’ ☞ vs ‘Occidente’
‘Nihon/Nippon 日本’ ‘seiyō 西洋, ōbei 欧米’
(noi/identità nazionale) (loro/alterità euro-americana)
criterio
geo-‐clima-co:
insularità,
clima
monsonico,
natura
ricca
con-nentalità,
clima
regolare,
natura
povera
criterio
etnico:
omogeneità,
purezza,
unicità
mescolanza
criterio
produ8vo-‐diete-co:
agricoltura,
comunità,
riso
nomadico-‐pastorale,
schiavismo,
carnivori
criterio
sociale:
gruppo,
gerarchia,
vergogna
società,
individualismo,
colpa
criterio
intelle:uale:
ambiguità,
emo-vità,
sogge8vità,
silenzio
logica,
ragione,
ogge8vità,
prolissità
criterio
generale:
par-colarismo,
armonia,
spontaneità
universalismo,
ro:ura,
ar-ficio
Figura
53. Il nihonjinron come auto-orientalismo (schema liberamente adattato da Dale 1988,
pp.
38-55)
razionalistiche e materialistiche. L’enfasi sull’unicità della cultura giappo-
nese in termini particolaristici è in modo analogo il risultato della dinamica
contrastiva rispetto al presupposto universalismo dell’‘Occidente’, il quale
diventa il termine di riferimento imprescindibile di qualsiasi buon autore
di nihonjinron. L’insistenza sulla intrinseca natura intuitiva o emotiva della
cultura giapponese e dei giapponesi, evocata da nozioni più o meno ani-
mistiche quali «spirito yamato » (yamato damashii 大和魂) o «spirito delle
parole» (kotodama 言霊), diventa una strategia difensiva per porre fuori
portata il suo presunto nocciolo più intimo dallo sguardo così invasivo della
ragione ‘occidentale’. 8 Anzi, è proprio l’enfasi sugli aspetti più irrazionali
e configurati da un’intersezione estetico-religiosa, al limite del mistico ed
esoterico, a garantire l’effetto congiunto di tipo sia distintivo sia nobilitan-
te rispetto allo sguardo euro-americano e alle sue implicazioni reificanti.
Tradizione quindi non più come possibile sintomo di arretratezza rispetto
8 Per uno studio sistematico della mistificazione spirituale della lingua giapponese in epoca
moderna, cfr. Miller 1982.
10 L’idea di nuovo japonisme è stata diffusa da Sugiura Tsutomu, direttore del Marubeni
Research Institute, con una serie di diciassette articoli pubblicati sul quotidiano Nikkei
Shinbun (settembre-ottobre 2003). La traduzione inglese («Cultural Power and Corporate
Strategy») è consultabile online: http://Marubeni.com/dbps_data/_material_/maruco_en/
data/research/pdf/0404_a.pdf (2013-11-05).
11 Il ricorso di McGray alla nozione di soft power è desunto dal politologo Joseph Nye. L’e-
spressione è stata coniata per indicare nelle relazioni internazionali la capacità di uno Stato di
influenzare altri Stati attraverso la persuasione e l’attrazione, piuttosto che con la coercizione
politico-militare e la ricchezza economica dell’ hard power (Nye 2004).
12 Per l’espressione accademica più influente di questo neo-orientalismo, cfr. Huntington
1996 e Ferguson 2011.
Figura 54: Il Giappone come alieno (Syusy Blady e Patrizio Roversi, Turisti per caso, 1997)
più moderni del Giappone, mentre alla Blady gli aspetti più tradizionali
e religiosi. Ma ancora più significativa è la sigla d’apertura della prima
puntata («Tokyo e Tamagotchi»), ovviamente in stile cartone animato, in
cui i due si preparano per la partenza vestiti da astronauti e Syusy Blady
afferma: «Ho sempre pensato che un viaggio su Marte sarebbe eccitante,
ma visto che su Marte non ci si può ancora andare, invece dei marziani
mi accontenterò dei giapponesi… che nel mio immaginario sono la stessa
cosa». Un Giappone che, per quanto divertente e curioso, rimane confinato
nello statuto dell’alieno (fig. 54).
Il secondo esempio è il catalogo Bambole kokeshi della United Colors
of Benetton, per la promozione internazionale della collezione primavera/
estate 1999, stampato in più di due milioni di copie e distribuito in tutto
il mondo. La direzione creativa è affidata a Oliviero Toscani e si presenta
al suo interno come un reportage fotografico che «documenta lo stile dei
giovani giapponesi nel quartiere Omote Sando», la mecca delle mode gio-
vanili più alternative e sofisticate della capitale. Oltre alle grandi foto a
tutta pagina (34 × 24 cm, pp. 48), il catalogo è corredato da un’introduzio-
ne della scrittrice Yoshimoto Banana e da numerose didascalie sui singoli
132 5 Giappone, paese dei mostri o paese mostruoso?
Mostri del Giappone
Figura 55. Il Giappone come bambola (United Colors of Benetton, Bambole kokeshi, 1999)
giovani ritratti, sulla loro età, professione, kanji dei nomi, e i capi Benetton
indossati; il tutto volto a garantire il livello di autenticità giapponese del
reportage. Le foto sono nel loro insieme un caleidoscopio coloratissimo,
che mette in scena gli esempi più bizzarri e fantasiosi delle mode giovanili
di strada: molti piercing combinati a geta 下駄 (zoccoli di legno), capiglia-
ture colorate neo-punk accostate a kimono 着物, un vasto assortimento
di parafernali come catene-borchie-spillette, accessori iperplastificati o
iperartificiali, alternati a oggetti naturali come ventagli, bastoncini, san-
dali di paglia, pennelli. Insomma, ogni tipo di combinazione contrastiva
o incongrua, foriera di una versione spettacolarizzata e patinata dei gio-
vani giapponesi in veste di creature eccentriche; giovani che, nonostante
l’evidente vitalità gioiosa e ludica, risultano tanto stilizzati e travestiti da
risultare difficilmente definibili come del tutto normali o umani. Anzi, come
indica in modo significativo il titolo, sono delle bambole, dei manichini a
5 Giappone, paese dei mostri o paese mostruoso?133
Mostri del Giappone
Mostre analoghe sono state organizzate negli stessi anni anche all’estero,
soprattutto su iniziativa della Japan Foundation, l’istituzione più importante
per la diffusione della cultura giapponese nel mondo. Esposizioni dedicate ai
mostri tradizionali, come «Yôkaï – Bestiaire du fantastique japonais» (otto-
bre 2005-gennaio 2006) presso l’Istituto di Cultura Giapponese a Parigi, con
un repertorio iconografico di xilografie ukiyoe del periodo Tokugawa (1603-
1867) (fig. 57); e anche mostre dedicate ai mostri moderni, come «Monstrous
Visions: Horror and Destruction in Japanese Films» (agosto-ottobre 2005)
alla Japan Foundation di Toronto, basata sull’esibizione di quaranta poster
cinematografici (da Gojira ゴジラ ad Akira アキラ e Ringu リング).
Tuttavia, oltre all’ambito più istituzionalizzato delle politiche culturali
su scala nazionale o internazionale, è altrettanto interessante notare la
galassia composita del re-incantamento ‘dal basso’: un contesto sempre
più affine alle logiche comunicativo-economiche della globalizzazione, in
cui si intrecciano gli imperativi dell’industria culturale con quelli identitari,
13 Cfr. il sito web del Museo Nazionale della Scienza di Ueno dedicato alla mostra: http://
Kahaku.go.jp/event/2006/10ba-kemono/tenji.html (2008-09-05).
Figure 56, 57. La tradizione mostruosa in mostra in Giappone («Archivio culturale dei mostri»,
Museo Nazionale della Scienza di Ueno, 2006) e all’estero («Yôkaï - Bestiaire du fantastique
japonais», Istituto di Cultura Giapponese a Parigi, 2005)
Figure 58, 59. Il ‘Gross National Cool’ dei Pokémon: il Pokemon Jet della All Nippon Airways,
(1999) e la copertina del Time (22 novembre 1999)
Figure 60, 61, 62. Monster branding folclorico (la Repubblica Federale dei kappa); aziendale (Dōmo-
kun, la mascotte del canale satellitare B2 della NHK); e locale (Sento-kun, la mascotte di Nara)
per promuovere prodotti o eventi locali, ognuno con una specifica fisiono-
mia e personalità, messe poi in scena da attori in costume durante le feste
locali (Occhi 2014). Buona parte del loro aspetto accattivante e carino
(kawaii) è affidato alle tecniche collaudate del character design nipponico
che caratterizza, oltre all’ambito di videogiochi, manga e anime, anche
quello ancora più pervasivo della gadgettistica. A questo proposito è inte-
ressante notare come Miura Jun みうらじゅん, divulgatore del neologismo
yurukyara, spieghi – o legittimi – la vitalità di queste icone locali come un
proseguimento delle credenze di derivazione shintō sulla natura animata
di oggetti naturali e non, in grado di trasferirsi in epoca contemporanea
alla creazione di icone altrettanto animate e ubique, come per esempio la
gattina Hello Kitty della Sanrio (Miura 2004).
Figure 63, 64. Doraemon, nominato primo «Ambasciatore Culturale degli anime» (Ministero degli
Affari Esteri, 2008); Pikachu e Astroboy mobilitati per promuovere la candidatura di Tōkyō alle
Olimpiadi del 2016 (Tokyo International Anime Fair, 2008)
149
Indice analitico
Akiba Gongen 秋葉権現 47n, 55, egemonia 14, 28, 32-37, 41, 102, 116-
62 fig. 120, 125-126, 129
Akihabara 秋葉原 62 Ema Tsutomu 江馬務 18-19
Akutagawa Ryūnosuke 芥川龍之介 emakimono 絵巻物 (rotoli illustra-
37, 89-90, 93-96, 100 tivi, narrativi) 22, 25 fig., 50 fig.,
ara 荒 (aspetti selvaggi, violenti, 69 fig.
caotici) 67-68 enkō 猿猴 (scimmia, scimmia dei
Bakemono no bunkashi 化け物の文化 fiumi) 77n, 81
誌 (Archivio culturale dei mostri) essenzialismo 20, 30, 33, 35n, 36,
134, 135 fig. 117, 124-131, 138
Atago Tarōbō 愛宕太郎坊 49n, eterorappresentazione 13-14, 31, 43,
54 fig., 55 116-117, 138
auto-orientalismo 31-37, 43, 116, Figal, Gerald 13n, 18, 26-28, 63n,
117, 125-130, 128 fig., 138 65, 71n, 89
bakemono 化け物 (mostri mutafor- Foster, Michael Dylan 13n, 23-25,
ma) 11, 17, 25 fig. 37, 40, 63n, 64, 77n, 89, 90n, 91
Bambole kokeshi (catalogo Benetton Fudō Myōō 不動明王 53, 54, 56n
1999) 132-134, 133 fig. furusato 古里 (paese natio) 20, 29
Befu, Harumi 20, 127n fushigi 不思議 (mistero) 12, 17, 63n
Benedict, Ruth 124n, 127 fūzokushi 風俗史 (storia dei costumi
boshishin shinkō 母子神信仰 (creden- sociali) 18
ze sulla divinità madre-bambino) Gake no ue no Ponyo 崖の上のポニョ
80 (Ponyo sulla scogliera) 103, 111,
chidō 治道, maschera 60, 61 fig. 111 fig.
capitalismo 12, 24, 32, 35, 43, 94, Gawappa がわっぱ (Storia di un kap-
98, 103, 105, 119 pa) 96-100, 98 fig.
Cina/cinese 16, 17 fig., 18, 46, 47, Gazu hyakkiyagyō 画図百鬼夜行 (Il-
50n, 64, 66, 82, 83, 131 lustrazioni della parata dei cento
Cohen, Jeffrey Jerome 13, 14, 15, 39 mostri) 23-24, 46 fig.
Cool Japan 11, 117, 130-137 Genji monogatari 源氏物語 (Storia di
Coronil, Fernando 35 Genji) 17n, 21, 48n
daitengu/ōtengu大天狗 (grande ten- genshō yōkai 現象—妖怪 (yōkai come
gu) 46, 49n, 56 fig., 58, 60 ‘fenomeno’) 21, 41, 72
Didarabotchi ディダラボッチ 110, Godzilla/Gojira 11, 12 fig., 17, 28,
110 fig. 29n, 96n, 113, 117
Dōmo-kun どーもくん 135, 136 fig. gongen 権現 (manifestazione provvi-
doppio orientalismo del Giappone soria del Buddha) 47n, 53-55, 56,
46, 116, 120-125, 123 fig., 124 fig. 57 fig., 62 fig., 62n
Doraemon ドラえもん 137, 137 fig. Gramsci, Antonio 33-34
Dōryō Gongen 道了権現 47n, 55 Hauru no ugoku shiro ハウルの動く
151
Mostri del Giappone
buddhisti) 23, 47n, 48, 50n, 51-52 Tonari no Totoro となりのトトロ (Il
Shasekishū 沙石集 (Collezione di mio vicino Totoro) 12 fig., 103,
sabbia e sassi) 51-52 106-108, 107 fig., 113
Shimizu Kon 清水崑 91, 96 Tonegawa zushi 利根川図志 (Rac-
shintō神道 (culti autoctoni legati ai colta illustrata del fiume Tone)
kami) 31, 60, 63, 67n, 70, 78, 80, 85 fig., 88
85, 99, 103, 136 Tōno monogatari 遠野物語 (Storie di
Shishigami シシ神 110, 110 fig. Tōno) 19, 21 fig., 89
shōyōjurinbunka 照葉樹林文化 (cul- Toriyama Sekien 鳥山石燕 23-24,
tura delle foreste a foglie lucenti) 46 fig.
104 tsukumogami つくも神 (mostro-stru-
soft power 11, 130-131, 137 mento) 17, 22-23, 25 fig.
Sōjōbō 僧正坊 (Kurama Tengu 鞍馬天 Turisti per caso 131-132, 132 fig.
狗) 55, 56 fig., 57, 59 fig. Utagawa Kuniyoshi 歌川国芳 25 fig.
sokushin jōbutsu 即身成仏 (lett. Utagawa Yoshikazu 歌川芳員 56 fig.
«diventare Buddha con questo Utsubo monogatari 宇津保物語 (Sto-
corpo») 52 ria di un albero cavo) 48
sonzai yōkai 存在—妖怪 (yōkai come Wakan sansai zue 和漢三才図会 (Rac-
‘entità’) 21, 41 colta sino-giapponese di illustrazi-
Suiko jūnihin no zu 水虎十弐品之圖 oni dei Tre Mondi) 23-24, 88
(Guida illustrata a 12 tipi di kap- Xiyou ji 西遊記 (Il Viaggio in Occi-
pa) 79 fig. dente) 82
Suiko kōryaku 水虎考略 (Compendio yamanba 山姥 (vecchia, strega di
sui kappa) 81 fig., 88, 93 montagna) 30, 40, 53n
superflat (estetica del) 11, 12 fig., 31, Yanagita Kunio 柳田國男 14, 18-19,
33 fig., 101, 117, 118, 119 fig., 120n 21 fig., 26, 27, 30, 63, 64-65, 80,
Taiheiki 太平記 (Cronaca della 82, 89, 93
grande pace) 49n yōkai 妖怪 (mostro autoctono giap-
Takashi Yoichi たかしよいち 41-42, ponese) 11, 13-31, 40-43, 42-98,
72-76, 74 fig., 96-100, 98 fig. 112, 113, 117, 129, 134, 135 fig.
Tasogare no aji たそがれの味 (Il gusto Yōkaigaku kōgi 妖怪学講義 (Seminari
del crepuscolo) 37-38 sullo yōkaigaku) 18, 21 fig.
Tengu geijutsuron 天狗藝術論 (Teorie yōkaigaku 妖怪学 (studi, scienza dei
sull’arte del tengu) 56 mostri autoctoni) 13-31, 43, 63,
Tenguzōshi emaki天狗草子絵巻 (Ro- 129, 134
tolo illustrativo e narrativo dei yūrei 幽霊 11, 17, 18, 30
tengu) 50 fig., 51 yurukyara ゆるキャラ (lett. «per-
tengu 天狗 (mostro demone della sonaggi tranquilli, indulgenti»)
montagna) 11, 17, 22, 41-42, 45-76 136-137, 137 fig.
Tenkū no shiro Rapyuta 天空の城ラ Zegaibō emaki 是害房絵巻 (Rotolo
ピュタ (Laputa - castello nel cielo) illustrativo di Zegaibō) 50 fig.
103, 108, 110 fig. zōkei yōkai 造形—妖怪 (yōkai come
Tezuka Osamu 手塚治虫 91, 115, 119 ‘figurazione’) 21-26, 41, 72
Università
Ca’Foscari
Venezia
ISBN 978-88-97735-67-0
9 788897 735670