Astronucleare - Castellani

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Capitolo 1

Evidenze evolutive nellUniverso


stellare

1.1. Gli osservabili stellari


La prima antichissima evidenza di quella vasta e strutturata distribuzione spaziale di materia
cui diamo il nome di Universo risiede nel flusso luminoso che ci proviene dalle sorgenti stellari.
La consapevolezza che tali sorgenti debbano essere riguardate come corpi celesti analoghi al
vicino Sole, piu volte adombrata nel corso della storia del pensiero scientifico e certamente
gia fatta propria da Galileo, e alla base di una svolta conoscitiva nello studio dellUniverso:
dalla Astronomia, intesa come semplice analisi delle posizioni e dei movimenti apparenti
delle stelle sulla volta celeste, si apriva la strada all Astrofisica ed allo studio delle proprieta
fisiche degli oggetti stellari.
Tale studio non puo peraltro che essere basato sullanalisi della radiazione elettromag-
netica che da tali oggetti ci giunge e quindi, in termini operativi, sulla analisi dei fotoni
raccolti da telescopi e focalizzati su opportuni rivelatori. In linea generale, ci attendiamo che
una sorgente stellare sia caratterizzata dalla quantita di energia luminosa emessa nellunita
di tempo sotto forma di fotoni e dalla distribuzione dei fotoni stessi alle varie frequenze o
lunghezze donda (distribuzione spettrale o spettro della radiazione). Fortunatamente,
si trova che nella grande maggioranza dei casi tale distribuzione risulta con buona approssi-
mazione assimilabile a quella attesa da un corpo nero ( A1.1) di opportuna temperatura.
Potremo dunque parlare di una temperatura della sorgente, e caratterizzare tali temper-
ature attraverso opportune definizioni delle magnitudini stellari e dei relativi indici di
colore ( A1.2). Le osservazioni mostrano che le temperature stellari risultano tipicamente
contenute in un intervallo non molto esteso, orientativamente tra i 3.000 ed i 30.000 gradi
Kelvin (K).
La distribuzione spettrale della radiazione non dipende dalla distanza della sorgente, dis-
tanza da cui dipende peraltro il flusso di energia che raggiunge la Terra. Piu problematico
risulta quindi risalire dallenergia raccolta alla superficie della Terra allenergia emessa per
unita di tempo (luminosita intrinseca) da una sorgente di cui sovente e difficile valutare con
precisione la distanza. Metodi diretti (parallassi trigonometriche A1.3) applicati sia da
terra che da veicoli spaziali consentono oggi di conoscere con buona precisione la distanza
degli oggetti piu vicini al nostro sistema solare, che rappresentano peraltro una frazione min-
imale dellUniverso osservato. Al di la di tale campione locale, la valutazione delle distanze
riposa sulla diponibilita di opportune candele standard, cioe sullutilizzo di particolari

1
2

Fig. 1.1. Rappresentazione schematica della struttura della nostra Galassia. Le distanze sono
misurate in parsec (1 pc 3.3 anni luce A1.3)

sorgenti stellari di cui si ritiene di poter conoscere a priori la luminosita intrinseca della
struttura.
A questi due osservabili macroscopici delle proprieta radiative di una stella si ag-
giunge una ulteriore e preziosa informazione a livello microscopico. La non esatta corrispon-
denza tra gli spettri stellari e la distribuzione di corpo nero e infatti da attribuirsi in larga
misura alla presenza di righe e bande oscure variamente distribuite lungo lo spettro, causate
dallassorbimento selettivo di radiazione ( A1.4) da parte degli atomi o molecole di cui e
composta la porzione piu superficiale di una struttura stellare (atmosfera stellare). La teo-
ria delle atmosfere stellari consente oggi di risalire con buona precisione dagli assorbimenti
osservati allabbondanza delle varie specie atomiche, fornendoci la preziosa (e per lungo
tempo insperata) opportunita di acquisire informazioni sulla composizione chimica di tali
atmosfere.

1.2. Le galassie: evidenze di evoluzione dinamica


Pur limitandosi al solo osservabile temperature, lesame delle sorgenti stellari suggerisce
tutto un insieme di evidenze evolutive collegabili alla storia della materia nella nostra
Galassia e, piu in generale, ad una storia dellUniverso stesso, delle sue strutture e della
materia in esse contenute. E su tale quadro di evidenze che lAstrofisica Stellare e chiamata
ad operare, al fine di raggiungere valutazioni quantitative che consentano di sviluppare
lambizioso programma di ricostruire nei dettagli la storia dellUniverso nel suo insieme,
ricavando tale storia dallanalisi delle testimonianze stellari che sopravvivono disseminate
nello spazio.
E ben noto come la fascia luminosa che attraversa il cielo notturno, detta Via Lattea,
debba essere interpretata come evidenza che il Sole faccia parte di un sistema strutturato di
stelle detto Galassia, dal greco = Latteo, ove e sottinteso il termine circolo.
Losservazione ha portato a riconoscere nella Galassia tre componenti principali che sono
qui elencate in ordine di rilevanza osservativa (fig.1.1):

1. Un disco, di raggio '15 chiloparsec (kpc) e spessore '300 pc, popolato da stelle e nubi di
materia diffusa sotto forma di polveri e gas. Caratteristica la presenza di ammassi stellari
aperti (fig. 1.2), tipicamente formati da non piu di qualche migliaio di stelle, non legate
gravitazionalmente e senza evidenti simmetrie . Numerose evidenze indicano lesistenza
nel disco di una sottostruttura a spirale, in analogia a quanto osservato direttamente in
altre galassie (fig. 1.3).
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Fig. 1.2. Distribuzione sulla volta celeste degli ammassi stellari aperti della nostra Galassia che
marcano la collocazione del disco galattico. Sono utilizzate coordinate galattiche ove la latitudine
galattica (b) e misurata con riferimento al piano definito dalla Via Lattea e per la longitudine (l) si
assume come origine la direzione del centro galattico.

Fig. 1.3. Mappa della posizione sul piano del disco galattico di alcuni tracciatori di spirale nei
dintorni del Sole. I simboli rappresentano giovani ammassi stellari aperti (cerchi pieni) e nubi di
idrogeno ionizzato dalla radiazione di contigue stelle giganti blu (cerchi vuoti). Le concentrazioni
degli oggetti lungo fasce evidenziano porzioni locali delle braccia a spirale della nostra Galassia.

2. Un nucleo (bulge), centro di simmetria per il disco, particolarmente ricco di stelle e di


materia diffusa.

3. Un alone sferico, di raggio comparabile a quello del disco, nel quale sono presenti essen-
zialmente solo oggetti stellari, distribuiti con buona simmetria attorno al nucleo galattico.
Caratteristica la presenza di oltre cento ammassi globulari ( A1.5), formati da sino ad
un milione di stelle, gravitazionalmente legate in strutture a spiccata simmetria sferica.

Strutture di questo tipo sono riconosciute per ogni dove nellUniverso, a partire da quando
i primi grandi telescopi riuscirono a risolvere un antica controversia, mostrando come le
nebulose spiraleggianti intraviste con i cannocchiali ottocenteschi dovessero essere riguardati
come strutture dalle dimensioni e strutture analoghe a quelle della nostra Galassia poste ad
enormi distanze. Per la galassia a noi piu vicina (M31 = Andromeda) stimiamo oggi, per
esempio, una distanza di 700 kpc.
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Fig. 1.4. Schema evolutivo della Galassia. I punti rappresentano il gas, le crocette le stelle ed
ammassi di alone, i cerchi aperti le prime stelle di disco. Gli asterischi rappresentano lesplosione di
supernovae ed i cerchietti pieni stelle arricchite di elementi pesanti. R rappresenta lasse di rotazione
della Galassia. Il raggio dei cerchi e di circa 15 kpc. Nella fase b sono indicate alcune orbite della
popolazione di alone (stelle od ammassi).

Di particolare rilevanza appare la differenza di temperatura tra stelle di disco e di alone.


Nella nostra Galassia e, per quanto e possibile verificare, in tutte le galassie simili alla nostra
(galassie a spirale), si ha infatti che:

1. Tra le stelle che popolano il disco, le piu luminose appaiono tipicamente stelle ad alta
temperatura (stelle blu, T10.000 K).
2. Lalone galattico e invece dominato da stelle a temperatura nettamente inferiore (giganti
rosse, T5.000 K).

Da queste osservazioni scaturisce, sia pur a livello di ipotesi di lavoro, un quadro inter-
pretativo che collega evidenze stellari ed evoluzione galattica. Dovendosi assumere che le
stelle siano il risultato della condensazione di materia diffusa sotto linfluenza del campo
gravitazionale, e innanzitutto evidente che nellalone della Galassia, ove tale materia diffusa
e praticamente assente, il processo di formazione stellare e al presente inibito. Le stelle che
popolano lalone devono quindi essere il ricordo di una fase precedente, in cui lintero alone
era occupato da una nube di materia diffusa a simmetria tipicamente sferica (protogalassia).
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Alla formazione di una prima generazione stellare nel corpo di questa protogalassia deve
aver fatto seguito il collasso del gas residuo (fig. 1.4) a formare il disco, con tempi scala
caratteristici di 3 108 anni per un collasso in caduta libera (collasso non dissipativo).
Nel disco cos formatosi sono restati e restano attivi i processi di formazione stellare a spese
della materia diffusa ivi addensata. Se cio e vero, le popolazioni stellari di alone devono essere
le piu antiche della Galassia, e la differenza di stato fisico delle strutture stellari potrebbe
essere messa in relazione proprio alla differente eta. Cos varrebbero le relazioni:

Alone Predominio di giganti rosse strutture stellari antiche.


Disco Predominio di stelle blu strutture stellari giovani.

Pur senza entrare in casistiche dettagliate ( A1.6) ricordiamo daltronde come


nellUniverso, sia pur nel quadro di una gran varieta di forme e dimensioni, si osservino
due tipi fondamentali di agglomerazioni di materia su scala galattica:

1. Galassie a spirale, quali la nostra e M31, nelle quali e presente un disco (con spirali
regolari o barrate) immerso in un alone dominato da giganti rosse.
2. Galassie ellittiche, nelle quali e presente solo una componente sferoidale di alone.

E interessante notare come le galassie ellittiche mostrino di essere dominate da una


componente stellare a bassa temperatura, come chiaramente indicato dal loro colore. Questa
osservazione sembra integrare il quadro evolutivo precedente, suggerendo che le prime gen-
erazioni stellari siano nate, in ogni caso, da nubi protogalattiche sferoidali ed in un lontano
passato. Solo se, per motivi al momento imprecisati, tale processo di generazione stellare
lascia nella struttura del gas residuo, tale gas si condensa lungo un disco ove rimangono ef-
ficienti ulteriori processi di formazione stellare. Notiamo che da queste semplici osservazioni
emerge che lUniverso ha una storia: ce stata nel passato un era per la formazione delle
galassie, e cio contraddice quella teorie che vorrebbero lUniverso sempre eguale a se stesso
(teorie dello stato stazionario).
Il quadro evolutivo cos delineato e peraltro suscettibile di modifiche anche sostanziali
sulle quali e ancora vivo il dibattito: il collasso del protoalone potrebbe essere stato di tipo
dissipativo, e quindi su tempi scala termodinamici, o - ipotesi ancor piu radicale - nella
formazione degli aloni potrebbero aver giocato un ruolo processi di cattura e di merging
di sistemi stellari preesistenti. Le teorie di evoluzione stellare sono chiamate a precisare,
definendoli quantitativamente, tali scenari evolutivi, fornendo risposte che - come abbiamo
visto - coinvolgono non solo la storia della nostra Galassia ma anche la storia del piu generale
strutturasi in galassie dellUniverso nel suo insieme.

1.3. Diagramma HR e isocrone di ammasso.


Per integrare il quadro osservativo sul quale le teorie dellevoluzione stellare sono chiamate
ad operare, dobbiamo ora aggiungere le informazioni riguardanti le luminosita intrinseche
degli oggetti stellari. A tale scopo appare naturale organizzare in un diagramma le due
caratteristiche che definiscono le proprieta radiative di una struttura stellare: la luminosita L
(energia emessa per unita di tempo) e temperatura efficace Te ( A1.1). Un tale diagramma
prende il nome di diagramma di Hertzsprung Russel o diagramma HR dal nome dei due
ricercatori che agli inizi del novecento per primi ricorsero a tale rappresentazione . Quando al
posto delle grandezze fisiche L, Te si usano le correlate grandezze osservative magnitudine
e indice di colore tali diagrammi prendono anche il nome di diagrammi Colore Magnitudine
o diagrammi CM.
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Fig. 1.5. Magnitudini visuali assolute MV in funzione del colore B-V per stelle con distanza dal
Sole minore di 20 pc, parallassate trigonometricamente dal satellite astrometrico Hipparcos. La
freccia indica la magnitudine assoluta del Sole (MV =4.8). Luminosita e temperatura delle sorgenti
decrescono allaumentare, rispettivamente, di MV e B-V.

Organizzando in tale diagramma i dati magnitudine assoluta-colore per le stelle nei


dintorni del Sole, le cui distanze sono note grazie alle parallassi trigonometriche, osserviamo
che la maggior parte delle stelle si dispone lungo una sequenza monoparametrica che va
dalle alte luminosita e alte temperature verso valori decrescenti di ambedue questi parametri
osservativi (fig. 1.5). Non sorprendentemente, a tale sequenza viene dato il nome di Sequenza
Principale o, con terminologia inglese, Main Sequence sovente abbreviata in MS. Nello stesso
diagramma si notano alcune stelle che si distaccano sensibilmente dalla sequenza, poste
rispettivamente a alte temperature e minori luminosita o a basse temperature e maggiori
luminosita. Ricordando che la temperatura regola lemissivita del corpo nero, e immediato
dedurne che le prime devono essere sensibilmente piu piccole e le seconde piu grandi, evidenza
che giustifica i nomi di Nane Bianche (White Dwarfs = WD) per le prime e di Giganti Rosse
(Red Giants = RG) per le seconde. Da segnalare infine la presenza di alcune, rare, stelle che
si collocano al di sotto della MS, note come Subnane di campo (Subdwarfs = SD)
Informazioni analoghe sono anche ottenibili tracciando il diagramma HR per stelle ap-
partenenti ad un ammasso: e lecito infatti assumere che le mutue distanze tra le stelle
dellammasso siano molto minori della distanza dellammasso stesso dal Sole. In tale caso si
conservano i rapporti delle diverse luminosita. Ricordando che nelle magnitudini appaiono
i logaritmi delle luminosita, se ne trae che le magnitudini osservate si distribuiscono in tale
diagramma esattamente come le magnitudini assolute, differendo da esse per una costante
di scala additiva dipendente dalla distanza dell ammasso (modulo di distanza dellammasso
A1.2).
Costruendo cos diagrammi HR per ammassi contenuti nel disco o nellalone galattico
(fig. 1.6 e fig. 1.7) si osserva la costante presenza di sequenze monoparametriche, la cui
topologia varia peraltro sensibilmente al variare della collocazione galattica. Gli ammassi di
disco mostrano diagrammi HR per molti versi analoghi a quello delle stelle nella vicinanza
del Sole. Gli ammassi globulari dellalone galattico se ne discostano invece sensibilmente:
sono assenti le giganti blu (come gia avevamo indicato) ed appaiono nuove sequenze indicate
rispettivamente come Ramo delle Giganti Rosse (RGB = Red Giant Branch), Ramo
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Fig. 1.6. Diagramma HR dellammasso aperto delle Iadi, tipico di ammassi aperti del disco galat-
tico. In ordinata le magnitudini assolute (MV ) come ricavate dalle magnitudini relative e dal modulo
di distanza (DM =3.33) fornito dal satellite astrometrico Hipparcos ( A1.2). In ascissa i colori
B-V. Per opportuno confronto la freccia riporta la magnitudine assoluta del Sole.

Fig. 1.7. Magnitudini visuali V in funzione del colore B-V per le stelle dellammasso globulare
M5 di alone. La freccia riporta la magnitudine V del Sole posto alla distanza dellammasso (DM
15.07 )

Orizzontale (HB = Horizontal Branch) e Ramo Asintotico (AGB = Asymptotic Giant


Branch).
Recentemente il grande progresso osservativo portato da Telescopio Spaziale Hubble
(HST= Hubble Space Telescope) ha consentito di estendere le osservazioni degli ammassi
globulari a stelle di debole luminosita non rivelabili da Terra, integrando notevolmente le
nostre conoscenze del diagramma CM di tali oggetti. La fig. 1.8 mostra come le fasi evolutive
raggiunte da Terra siano quasi la punta di un iceberg, al di sotto della quale si estende
una lunga Sequenza Principale che raggiunge stelle con luminosita anche inferiori a 1/100
di quella solare.
Levidenza di diagrammi HR con sequenze monoparametriche conduce ad una rilevante
deduzione. In linea del tutto generale ci si attende infatti che le caratteristiche evolutive delle
stelle debbano dipendere da molti parametri e, in particolare, dalla composizione chimica
8

Fig. 1.8. Diagramma CM delle stelle nellAmmasso Globulare M92 ottenuto combinando le osser-
vazioni da Terra con le osservazioni HST

della materia da cui si sono formate, dalla massa e dalleta delle strutture, non escludendo
lintervento di altri fattori quali, ad esempio, lo stato di rotazione delle strutture medesime.
Levidenza di sequenze monoparametriche indica che nelle stelle di un ammasso solo uno
di tali parametri varia in maniera indipendente, governando la collocazione nel diagramma
HR delle varie strutture. Se le stelle di un ammasso sono nate in un comune processo di
formazione, nulla osta a che le stelle abbiano avuto in origine una comune composizione
chimica e una comune eta. Pare invece irrealistico che processi di fragmentazione del pro-
toammasso gassoso abbiano portato a valori fissi per la massa degli oggetti stellari formati,
cpsi da suggerire che la massa stellare debba essere il parametro che governa la distribuzione
nel diagramma HR.
Il diagramma HR conferma in tal modo lipotesi che le stelle di un ammasso si siano
formate da un unica nube ed in una determinata epoca, in un intervallo di tempo piccolo
rispetto alleta dellammasso. Il diagramma HR delle stelle di un ammasso deve quindi essere
interpretato come il luogo, nel piano luminosita - temperatura, di stelle aventi massa diversa
e costante eta e composizione chimica (isocrona di ammasso).
Nel quadro evolutivo che siamo andati delineando, la differenza tra i diagrammi degli
ammassi di alone e di disco dovrebbe essere, almeno in parte, attribuita a differenze di eta.
Se ne puo trovare una conferma indiretta nello studio di sistemi binari per i quali e possibile
valutare massa e luminosita delle stelle ( A1.7). Si trova infatti che in stelle di sequenza
principale la luminosita e direttamente correlata alla massa, crescendo al crescere di questa.
Di particolare rilevanza e la constatazione che la luminosita cresce secondo potenze superiori
della massa (orientativamente L M3.5 - fig. 1.9). Se ne trae infatti levidenza che la quantita
di energia emessa da una stella per unita di tempo e di massa cresce anchessa rapidamente
con la massa della stella.
Cio suggerisce che le stelle a massa maggiore debbano esaurire piu rapidamente la loro
riserva di energia, qualunque essa sia, e che, quindi, abbiano tempi evolutivi piu rapidi e vita
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Fig. 1.9. La relazione massa-luminosita per stelle di sequenza principale in sistemi binari.

totale piu breve. Non stupisce quindi lassenza di stelle luminose blu di sequenza principale
nellalone: se le stelle di alone sono sensibilmente piu antiche di quelle di disco ci si attende
appunto che le stelle piu massicce abbiano esaurito il loro tempo di vita, scomparendo dalla
sequenza principale. Resta naturalmente da identificare lorigine delle osservate sequenze di
Giganti Rosse e di stelle di Ramo Orizzontale.
Colore, luminosita e spettri delle stelle contribuiscono quindi a suggerire un quadro evo-
lutivo di notevole interesse per la storia della nostra Galassia, quadro che una opportuna
teoria delle strutture e della evoluzione stellare e chiamata a confermare e precisare.

1.4. La Galassia: evoluzione nucleare. Popolazioni stellari


Il quadro che siamo andati delineando nei punti precedenti si amplia quando si aggiungano
le informazioni provenienti dallanalisi spettroscopica. Dalle righe di assorbimento dei vari
elementi e possibile risalire con buona precisione alla abbondanza degli elementi stessi nelle
atmosfere stellari. Il quadro che se ne evince si salda direttamente alle analisi precedenti
ampliando le ipotesi ivi avanzate. La materia dellUniverso risulta per la maggior parte
(oltre il 98 % in massa) sotto forma di idrogeno ed elio. Ovunque sono peraltro presenti
gli elementi piu pesanti , ma con la caratteristica che negli ammassi dellalone galattico tali
elementi risultano di 1-2 ordini di grandezza meno abbondanti di quanto riscontrabile nelle
stelle di disco e, in particolare, nel nostro Sole (fig. 1.10).
E invalso luso in astrofisica di indicare col termine metalli linsieme di tutti gli ele-
menti con nuclei piu pesanti di quello dellelio, e quindi con numero atomico A > 4 ( A1.8),
e di indicare con Z labbondanza in massa di tali elementi, cioe la massa che in un grammo
di materia e sotto forma di metalli. Le abbondanze in massa di idrogeno e elio vengono
rispettivamente indicate come X o Y, valendo per definizione X+Y+Z =1. Utilizzando tale
notazione, nella Galassia risulta indicativamente:

Alone Zalone 104 103 .


Disco Zdisco 102 (Sole Z 2 102 ).

Assumendo lo schema di progressione temporale protogalassia alone disco, risul-


terebbe cos che gli oggetti piu antichi della nostra Galassia sono nel contempo caratterizzati
da una netta sottoabbondanza di elementi pesanti. Cio suggerisce che la composizione nucle-
are della materia nellUniverso non sia immutabile, e che al fluire del tempo si sia modificata
non solo la morfologia delle strutture ma anche la distribuzione delle specie nucleari nella
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Fig. 1.10. Labbondanza dei vari elementi nell atmosfera del Sole, graficata in funzione del numero
di massa A: La distribuzione e normalizzata ponendo labbondanza del Silicio pari a 106 . Si nota
come lidrogeno risulta almeno 1000 volte piu abbondante di tutti gli altri elementi, fatta eccezione
per lelio. Si notino le peculiari abbondanze dei nuclei di 12 C e dei successivi multipli del nucleo di
elio (O, Ne, S ...). Si notino infine i picchi nella distribuzione in corrispondenza del ferro e per i
numeri magici di neutroni N 50, 82, 126. Nelle stelle di alone si hanno distribuzioni simili ma con
minore complessiva abbondanza di elementi pesanti.

materia da cui tali strutture si sono formate, materia che nel tempo deve essersi andata ar-
ricchendo di elementi pesanti. Poiche la produzione di nuovi elementi implica lefficienza di
reazioni nucleari, e quindi di materia in condizioni altamente energetiche, pare naturale indi-
viduare nellinterno delle stelle la sede preferenziale per lefficienza di tali processi. Previsione
che mostreremo essere ampiamente confermata da dettagliate valutazioni teoriche.
Linformazione spettroscopica diviene tanto piu rilevante quando ci mostra come le stelle
che compongono un ammasso stellare, pur presentando una varieta di fasi evolutive (cioe
di luminosita e temperature superficiali), mostrino una sensibile uniformita di composizione
chimica. Cio non solo conferma lipotesi che tali aggregati di stelle si siano formati da una
originaria comune nube di materia protoammasso, ma indica anche che levoluzione delle
strutture stellari non modifica sensibilmente la composizione chimica degli strati piu super-
ficiali, che di conseguenza deve essere rimasta ancora quella della nube originaria. Poiche e
immediato riconoscere che alla superficie di una stella - a causa delle limitate temperature
- non possono mai essere state efficienti reazioni nucleari, lindicazione precedente va letta
come una evidenza che nel corso dellevoluzione di una struttura stellare non si verificano
in genere rimescolamenti profondi in grado di alterare macroscopicamente la composizione
degli strati superficiali.
In questa luce, risulta quindi che una struttura stellare, allatto della sua formazione,
congela alla sua superficie la composizione nucleare della materia interstellare dalla quale
la stella stessa si e formata. Acquisendo quindi informazioni sulleta di strutture stellari
attualmente osservabili ricaviamo nel contempo informazioni sulla storia della composizione
della materia interstellare, mappandone levoluzione non solo nello spazio ma anche nel
tempo. Le teorie di evoluzione stellare sono chiamate a confermare un tale quadro evolu-
tivo, producendo nel contempo quelle informazioni quantitative che consentano una dettagli-
ata ricostruzione conoscitiva del passato, ricollegando le evidenze osservative del presente
Universo ad una catena di avvenimenti che ci conduca alla comprensione della storia della
nostra Galassia in particolare e, piu in generale, dellUniverso nel suo insieme.
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E importante notare che la bassa metallicita degli ammassi globulari dellalone si rac-
corda con una piu generale differenza nelle caratteristiche delle strutture stellari che com-
pongono la Galassia, come portata alla luce dallo studio della dinamica degli oggetti stellari
di campo, non appartenenti cioe ad ammassi. Per discutere questo punto e da premettere
che il Sole, in quanto stella del disco, ruota attorno al centro galattico, con una velocita di
circa 220 km/sec, compiendo dunque unintera orbita in circa 200 milioni di anni. Le stelle
nei dintorni del Sole che partecipano alla rotazione del Sole attorno al centro galattico, e
che hanno quindi piccole velocita relative al Sole, hanno sempre metallicita simili a quelle
solari. Il disco e peraltro attraversato anche dalle orbite di stelle di alone che non partecipano
alla rotazione del disco e che nei pressi del Sole si manifestano come un gruppo di stelle ad
alta velocita, conseguenza del moto riflesso del Sole. Queste stelle di alone risultano sempre
di piccola massa (e quindi a lunga vita media) e tipicamente sottoabbondanti in metalli,
collocandosi nel diagramma CM al di sotto della MS, nel gruppo delle Subdwarf.
Sommando tali evidenze a quelle fornite dagli ammassi stellari si conclude che gli
oggetti stellari, indipendentemente dalla loro appartenenza ad ammassi, possono dividersi
in famiglie caratteristiche per la loro collocazione galattica, per leta, per il contenuto in
metalli e per la morfologia dei rispettivi ammassi stellari. A tali caratteristiche si associa
anche una ulteriore differenza in stelle che mostrano una regolare e periodica variazione
di luminosita (stelle variabili). Nelle stelle di alone appaiono infatti variabili di tipo RR
Lyrae, con periodo minore di un giorno, mentre nel disco si trovano solo variabili Cefeidi,
con periodo molto piu lungo, sino ad alcuni mesi.
Si giunge cos al concetto di popolazioni stellari galattiche, secondo lo schema:

1. Popolazione I disco galattico: stelle giovani (giganti blu), abbondanza solare, ammassi
aperti, variabili Cefeidi.
2. Popolazione II alone galattico: stelle anziane (giganti rosse), povere di metalli, ammassi
globulari, variabili RR Lyrae.

Tale schematizzazione non deve peraltro essere riguardata come una evidenza per una
netta bimodalita nelle popolazioni stellari della Galassia. Essa rappresenta invece i due
casi estremi ed evidenti di una piu graduale distribuzione delle proprieta stellari al variare
della collocazione galattica. Gradualita che si riflette nel definire una Popolazione estrema od
intermedia ed una Popolazione I di disco, vecchia o estrema, in ordine di crescente metallicita,
crescente appiattimento sul disco e decrescente eta. Distribuzione che e evidentemente da
collegarsi alla storia dinamico-chimica della materia nella galassia medesima.
E da notare che le popolazioni stellari cos definite descrivono le caratteristiche del
sistema alone-disco nella nostra Galassia con categorie non necessariamente estendibili a
tutti gli altri sistemi stellari. Nello stesso nucleo galattico troviamo infatti, ad esempio,
ammassi globulari antichi ma ricchi di metalli, e nelle vicine Nubi di Magellano troviamo
invece ammassi globulari giovani ma poveri di metalli, che non rientrano nelle precedente
classificazione. Il concetto di popolazione stellare puo mantenere una sua generalita quando
si svincoli dalleta collegandolo esclusivamente al contenuto in elementi pesanti, cioe alla
distanza genetica che separa la formazione di una popolazione stellare dalla materia priva di
metalli emersa dal Big-Bang ( 1.5). In questa accezione, nel nucleo galattico potremo allora
parlare di una popolazione I vecchia e nelle Nubi di Magellano di ammassi di popolazione
II giovani.

1.5. LUniverso: evoluzione dinamica ed evoluzione nucleare


Lo scenario evolutivo sin qui suggerito da un esame delle evidenze fornite dagli oggetti stellari
si salda con impressionante coerenza ad un parallelo scenario evolutivo fornito dall evidenza
12

osservativa del fenomeno di recessione delle galassie ( A1.9). Levidenza di un Universo


in espansione porta con semplici argomenti dinamici ad ipotizzare, tornando indietro nel
tempo, un Universo sempre piu denso e piu caldo, sino a giungere - circa 1010 anni or sono
- in prossimita di uno stato in cui densita e temperatura tendono a divergere. Losservata
radiazione di fondo cosmico, a circa 3 K, supporta tale ipotesi, talche oggi e pressoche
unanimemente accettato che lUniverso attuale abbia preso origine da una fase nella quale
materia e radiazione erano fortemente accoppiate, raggiungendo valori che in prossimita del
tempo zero (Big-Bang) possono essere seguite sino ad almeno T1013 K, 1015 gr/cm3 .
La storia dellUniverso nel suo insieme risulta cos la storia della progressiva espansione e
raffreddamento di materia e radiazione che componevano tale iniziale sfera di fuoco.
Per quanto inaspettato possa apparire, ne consegue che e possibile operare previsioni sulla
distribuzione delle specie nucleari emerse dalla sfera di fuoco per costituire la composizione
chimica iniziale della materia nel nostro Universo. Alle condizioni estreme di temperature
indicate, lenergia media per particella risulta infatti dellordine del GeV (109 eV), molto
maggiore delle energie di legame dei nuclei. A tali livelli di energia non potevano quindi
esistere strutture nucleari, esistendo solo un brodo di quark, leptoni e fotoni in equilibrio
termodinamico. Ne segue che in tali condizioni la materia non conserva memoria del proprio
passato e in questo senso dobbiamo concludere che la storia del presente Universo inizia dal
Big-Bang.
E possibile seguire il destino di questo gas primordiale per scoprire che la composizione
della materia uscita dal Big-Bang non poteva contenere elementi piu pesanti dellelio, lim-
itandosi anzi essenzialmente a idrogeno ed 4 He. Per mostrare cio occorre seguire il destino
dei nucleoni (protoni (p) e neutroni (n)) sino al momento in cui la temperatura scende a
valori (109 K) ai quali lenergia media di particelle e fotoni scende al di sotto dellenergia
di legame del primo nucleo complesso possibile, il deuterio (D= 2 H), cos che i nuclei di
D eventualmente formati non vengano immediatamente distrutti da processi di fotodisinte-
grazione.
A 1011 K (102 sec dalla discontinuita iniziale) vi sono a disposizione ancora circa 10 Mev
per particella, cioe unenergia sensibilmente superiore all energia del decadimento spontaneo
del neutrone.

n p + e+ + (+1.2

In tali condizioni ci si attende che il numero di neutroni sia paragonabile a quello dei
protoni ( A1.10). A 1010 K (10 sec) lenergia media delle particelle e dei fotoni diventa
paragonabile allenergia del decadimento, lequilibrio e spostato a favore dei protoni ed i
neutroni cominciano a decadere in protoni. In tutto questo arco di tempo la fusione diretta
protone-neutrone in deuterio (D)

n + p 2D +

e vanificata dalla immediata fotodisintegrazione del deuterio. A 109 K (10 sec) il D


diviene finalmente stabile, ma lequilibrio e ormai definitivamente spostato a favore dei
protoni. Il neutrone libero ha peraltro una vita media dellordine di 15 minuti, cos che a 109
K - quando il deuterio diventa stabile - sopravvive una frazione consistente di neutroni che
concorrono con i protoni alla formazione per fusione nucleare di nuclei di deuterio. Cio da
inizio ad una serie di reazioni nucleari particolarmente favorite, quale - ad esempio - quella
di D + D che ha una probabilita 1022 maggiore della protone-protone, che conducono alla
formazione dellisotopo 4 dell elio:

n+pD+
2
D + 2 D 3 He + n
13

3
He + n 3 H + p
2
D + 3 H 4 He + n

Non e peraltro possibile costruire nuclei piu pesanti dell elio 4 poiche in natura non
esistono isotopi stabili con numero di massa 5, e la possibile reazione
4
2 He + n (52 He) ) 42 He + n

e seguita da un decadimento con vita media 1021 sec, che riconduce inevitabilmente all
elio 4.
Curiosamente, le proprieta dei nuclei sembrano disegnate per precludere ogni possibilita
di superare il limite dellelio 4. Non esistono infatti nuclei stabili anche, e solo, per il numero
di massa 8. Ne consegue che per superare il muro dellelio 4 non servono nemmeno le
possibili reazioni tra i nuclei gia prodotti
3
He + 4 He 7 Be +
4
He + 4 He 8 Be +

perche la prima indirettamente e la seconda direttamente portano alla formazione di


berillio 8 che con tempi caratteristici di 1016 sec ridecade in due
8
Be 4 He + 4 He.

Furono proprio queste curiose proprieta dei nuclei a convincere a suo tempo Gamow
a desistere dal tentativo di giustificare la presenza in natura di elementi pesanti tramite
il Big-Bang. Se ne trae invece levidenza che la materia, cos come uscita dalla sfera di
fuoco, doveva essere essenzialmente composta da H ed He, con tracce di D, 3 He e pochi altri
elementi leggeri.
La valutazione delle quantita di elementi prodotti da questa nucleosintesi primordiale
dipende criticamente dai particolari dellevoluzione temporale della sfera di fuoco. La quan-
tita di elementi leggeri cos prodotti sono quindi correlate al modello di Big-Bang e, at-
traverso questo, alle caratteristiche del passato e presente Universo (fig. 1.11). Calcoli det-
tagliati basati sul modello standard del Big-Bang conducono in particolare a correlare
labbondanza dell elio (elio cosmologico) alla densita nell Universo attuale di materia bar-
ionica, secondo la relazione

YC 0.23 + 0.094 (/crit )

dove YC rappresenta labbondanza in massa dellelio cosmologico, la densita attuale


dellUniverso e crit ( 1029 gr/cm3 ) e la densita critica, cioe la densit media dellUniverso
attuale ( A1.11) al di sotto della quale lenergia cinetica del moto di espansione supera
lenergia gravitazionale e lUniverso sarebbe costretto ad espandersi indefinitamente.
Poiche la nucleosintesi di origine stellare, che aggiungera i suoi prodotti agli elementi cos-
mologici, puo solo aumentare labbondanza di elio, lelio presente nella materia dellattuale
Universo rappresenta un limite superiore per labbondanza di elio cosmologico. La cosmolo-
gia del Big-Bang prevede dunque che nellUniverso intero lidrogeno appaia sempre mescolato
con una non trascurabile quantita di elio, la cui minima abbondanza e fornita dalla relazione
precedente.
Le osservazioni confermano lesistenza per ogni dove di tale elio cosmologico, fornendo
un valore che si aggira attorno a Y 0.23. Se ne deve concludere che la densita di barioni
nellUniverso attuale e circa un fattore 100 al di sotto del valore critico crit ( 1029
gr/cm3 ), valore confortato anche dalle abbondanze cosmologiche degli altri elementi leggeri e
in buon accordo con le stime di densita ricavabili dalla distribuzione delle galassie. Dovremmo
14

Fig. 1.11. La produzione di elementi nel big bang come funzione della densita di barioni
nellUniverso attuale.

quindi concludere per un Universo e aperto, a meno che non vi sia il contributo di massa
sotto forma non barionica (materia oscura). Eventuale massa posseduta dai neutrini od
altre particelle, quali le ipotizzate WIMPS (Weak Interacting Massive Particles) potrebbe
peraltro concorrere a chiudere lUniverso.
I recenti risultati del satellite WMAP, lanciato nel 2001 dalla NASA per studiare la ra-
diazione di fondo cosmico, hanno confortato un tale scenario, portando peraltro nuove ed
importantissime informazioni. LUniverso, con uneta di 13.7 miliardi di anni, appare pi-
atto, e la densita critica viene raggiunta grazie al contributi di un 4% di materia barionica,
23% di materia oscura non barionica e un ulteriore 73% di energia oscura, un compo-
nente tuttora misteriosa cui talvolta si da anche il nome di Quintessenza. Un esempio
di come ormai astrofisica, cosmologia e fisica fondamentale debbano essere riguardate come
momenti conoscitivi strettamente correlati nel comune obiettivo di svelare la storia ed il
comportamento dellUniverso.

1.6. Gli obiettivi dellastrofisica stellare


Il quadro di ipotesi evolutive che siamo andati tratteggiando fornisce nel contempo le indi-
cazioni dei principali obiettivi che si pone la ricerca astrofisica stellare. Un primo obiettivo e
di rendere conto dellattuale presenza di elementi pesanti che devono essersi formati in fasi
successive al Big-Bang per processi di fusione nucleare a partire dallidrogeno ed elio cosmo-
logici. Si e gia indicato come sia difficile sfuggire alla conclusione che linterno delle stelle sia
la sede preferenziale per i processi in questione. Previsione che sara ampiamente confortata
dai risultati teorici, talche oggi abbiamo raggiunto la ragionata convinzione che ogni nucleo
piu pesante dellelio esiste nellUniverso solo ed in quanto e stato a suo tempo sintetizzato
allinterno di una struttura stellare. La presenza di tali nuclei nella materia interstellare,
come nel nostro stesso pianeta Terra, e evidenza di un fenomeno di riciclaggio della mate-
ria elaborata nelle strutture stellari ed espulsa dalle medesime secondo meccanismi di cui
lesplosione di una supernova puo essere solo un esempio.
Ma abbiamo nel contempo anche gia indicato come si possa riguardare alle strutture
stellari che oggi popolano gli spazi come testimoni dellevoluzione nello spazio e nel tempo
della materia dellUniverso. Ne segue che, nel suo aspetto piu generale, lastrofisica stellare
15

si pone due obiettivi sinergici, leggere nelle stelle attuali la storia evolutiva delle galassie
e ricostruire il contributo delle ormai scomparse generazioni stellari allevoluzione nucleare
della materia. Con il fine ultimo di ricavare una storia ragionata dellUniverso nel suo insieme,
che ci consenta di comprendere come e perche lUniverso di nubi di materia, di stelle e di
galassie si presenti oggi ai nostri occhi cos come e.
16

Approfondimenti

A1.1. Termalizzazione. Radiazione di corpo nero. Emissivita stellare.


Come mostrato da Plank, la radiazione elettromagnetica deve essere considerata come composta da
unita elementari (quanti di energia, o fotoni) ad ognuno dei quali risulta associata una energia E =
h, dove:

h= costante di Plank= 6.62 1027 erg


= frequenza della radiazione (cicli/sec)

Un campo di radiazione elettromagnetica (quale e la luce) puo quindi essere visto come un gas di
fotoni tra loro non interagenti. In presenza di materia a temperatura T, i fotoni interagiscono pero
con le particelle attraverso tutta una serie di processi che conducono i fotoni verso una situazione
energetica di equilibrio, retta dalla legge di distribuzione di Plank:

8h 3 1
u() = (1)
c3 [exp(h/kT ) 1]

ove u()d e la densita di energia della radiazione con frequenza tra e +d, k la costante di
Boltzmann.
Nel suo aspetto piu generale la distribuzione di Plank e una conseguenza delle necessita che
discendono dalla meccanica statistica. Un gas di particelle, se le particelle possono scambiarsi energia
tramite mutue interazioni, deve evolvere verso una situazione di equilibrio nella quale la velocita
delle particelle e retta dalla nota formula di Maxwell-Boltzmann (fig. 1.12): in queste condizioni si
puo parlare di equilibrio termico e definire una temperatura T del gas cos termalizzato.
Analogamente, una radiazione elettromagnetica che possa interagire con un sistema di particelle
termalizzato evolve verso la situazione di equilibrio descritta dalla legge di Plank. In tutti e due i casi,
il raggiungimento della termalizzazione della materia e della radiazione sara tanto piu rapido quanto
piu efficienti sono i meccanismi di interazione e scambio energetico materia-materia e materia-
radiazione.
Si puo mostrare che lenergia S irradiata in un secondo nell angolo solido 2 dalla unita di
superficie di un corpo in equilibrio termodinamico (corpo nero) risulta
c
S= u (2)
4
e quindi, indicando con S d lenergia irraggiata nellintervallo di frequenza e + d

2h 3 1
S = = B (3)
c2 [exp(h/kT ) 1]

dove B e nota come funzione di Plank.


Poiche per la lunghezza donda e =c/ si ha d =- (c/ 2 ) d e d=-( 2 /c)d= -(c/2 )d, il
flusso energetico per unita di superficie e di lunghezza donda (emittanza) risulta (fig. 1.13)

2hc2 1
S = = B (4)
5 [exp(h/kT ) 1]

Per lenergia irraggiata per unita di superficie e di tempo da un corpo nero si ha


17

Fig. 1.12. La distribuzione


 Maxwelliana
 delle velocita U delle particelle di un gas segue la legge
3/2 mU 2
dN
N
= 4 m
2kT
exp 2kT
U 2 dU , dove dN e il numero di particelle nellintervallo di velocita
dU, m la massa delle particelle e T la temperatura del gas.

Fig. 1.13. Lemissivita di un corpo nero per varie temperature in funzione della lunghezza donda
(in 103 Angstrom). La curva a tratti riporta schematicamente landamento dello spettro solare.

R
W = 0
B d = T 4 (legge di Stefan-Boltzman)
5 2
con = 5.6710 erg/cm sec.

Annullando nella (4) la derivata dB /d si ottiene per la lunghezza donda cui corrisponde il
massimo di emissione
max T = cost = 0.2898 cm K (legge di Wien).
Lemissione delle superfici stellari approssima in generale distribuzioni (spettri) di corpo nero. In
tal senso si puo parlare di temperatura della radiazione e delle superfici stellari. La fig. 1.14 pone ad
esempio a confronto lo spettro della radiazione solare con la distribuzione di corpo nero, mostrando
come alla superficie del Sole debba essere attribuita una temperatura che si aggira attorno a T
6000 K.
Di particolare importanza per le stelle e la temperatura efficace Te , definita dalla legge di Stefan-
Boltzmann
L = 4R2 Te4
dove L e R indicano rispettivamente Luminosita e Raggio della stella. La temperatura efficace e
dunque la temperatura che avrebbe la superficie della stella se emettesse esattamente come un corpo
nero.
18

Fig. 1.14. Spettro del Sole al di fuori dellatmosfera (punti) confrontato con il corpo nero a 6000
K (tratto e punto) e con lo spettro della radiazione raccolta alla superficie della Terra. Si notino
in questo ultimo spettro, al di la di 8000 A, le bande degli assorbimenti causati da H2 O, O2 , H2 e
CO2 .

Fig. 1.15. Curve di trasmittanza dei filtri U, B e V del sistema di Johnson

A1.2. Magnitudini e indici di colore. Arrossamento


La luminosita delle sorgenti stellari, cosi come esse appaiono ad un osservatore terrestre, viene in
astrofisica misurata secondo una scala logaritmica delle magnitudini m, definita dalla relazione

m = 2.5 log W + cost (5)

ove W e lenergia raccolta e misurata dai rivelatori. Lenergia W dipendera peraltro non solo
dal flusso della radiazione ma da molti altri fattori quali le dimensioni del telescopio, il tempo di
esposizione, la sensibilita del rivelatore. Ci si libera da tutti questi fattori aggiuntivi attraverso la
costante che fissa il punto zero della scala delle magnitudini ed e definita prefissando la magnitudine
di una o piu stelle standard. Nella pratica delle osservazioni si misurano sempre differenze di
magnitudine tra gli oggetti in studio e opportune standard, talche

m = ms 2.5logW/Ws (6)

e la misura di una magnitudine si riduce alla misura di un rapporto di flussi.


Lenergia misurata dipende peraltro dalla risposta (sensibilita) del rivelatore alle varie lunghezze
donda convoluta con lo spettro (temperatura) della sorgente. In passato furono cosi definite, ad
esempio, le magnitudini fotografiche che facevano riferimento alla sensibilita delle emulsioni fo-
tografiche. Per liberarsi per quanto possibile da tale dipendenza oggi e duso misurare lenergia
corrispondente solo a prefissate porzioni (bande) dello spettro. Molto usate le bande U, B, V
(Ultravioletto, Blu, Visuale) di Johnson definite attraverso curve standard di trasmissione dei rel-
ativi filtri (fig. 1.15). Accanto a tale sistema sono in uso anche altre bande, quali le R, I, J, H,
19

Fig. 1.16. Andamento alle varia lunghezze donda del coefficiente di assorbimento A() che misura
la variazione di magnitudine causata da un arrossamento E(B-V) unitario.

K, L che coprono porzioni dello spettro a lunghezze donda ancora maggiori. Per ogni banda si
definiscono le relative magnitudini

mi = 2.5logWi + cost (7)

dove Wi e lenergia raccolta nella banda i e la costante e ancora determinata fissando la


magnitudine i di stelle standard. In corrispondenza delle tre bande indicate ogni stella e cosi
caratterizzata dalle tre magnitudini mU , mB e mV , sovente indicate semplicemente con U, B e V.
Scala e punto zero delle magnitudini visuali sono state fissate in maniera da risultare in ragionevole
corrispondenza alla antica classificazione delle stelle visibili ad occhio nudo in sei classi di grandezze
apparenti. Si ponga attenzione al fatto che al diminuire della luminosita apparente aumenta la
magnitudine.
Per familiarizzarsi con tale scala, notiamo che un aumento di 5 magnitudini corrisponde ad una
riduzione del flusso di un fattore 100. La stella piu brillante del cielo, Sirio, ha una magnitudine
visuale V=-1.6, la luna piena -12.6, il Sole -26.7. Losservazione del cielo ad occhio nudo si limita a
magnitudini inferiori a 6, ma telescopi anche modesti possono raggiungere almeno V=15. I grandi
telescopi accoppiati con i sensibili moderni rivelatori CCD giungono a V 24 e il telescopio spaziale
Hubble si spinge oltre V28. Si puo realizzare la debolezza di tali sorgenti ricordando, ad esempio,
che ad una sorgente di magnitudine 21 corrisponde alla superficie della Terra un flusso di circa 5
103 fotoni per cm2 e per secondo. Occorre cioe attendere piu di tre minuti perche su un centimetro
quadro giunga un singolo fotone. Questi numeri bastano per far chiaro come i telescopi non servano,
come talora ingenuamente si ritiene, a ingrandire le immagini celesti, ma a raccogliere da una
sorgente quanti piu fotoni possibile, il numero di fotoni crescendo col quadrato della superficie dello
specchio. E cosi facile ricavare che i fotoni raccolti da uno specchio di 5 metri di diametro, quale
quello del famoso telescopio del Monte Palomar, sono piu numerosi di circa un fattore 107 di quelli
raccolti bello stesso tempo dalla pupilla di un occhio umano.
E di grande importanza osservare come confrontando lenergia raccolta in bande diverse si
possa investigare la distribuzione energetica del flusso, e quindi la temperatura del corpo nero. La
differenza tra due di queste magnitudini prende il nome di indice di colore e misura il rapporto tra i
flussi nelle due prescelte bande. Dalle caratteristiche del corpo nero e subito visto che al crescere della
temperatura ci si attende che crescano ambo i rapporti WU /WB e WB /WV , e diminuiscano quindi
gli indici di colore U-B e B-V. La esatta relazione tra indici di colore e temperatura dipendera sia
dalla composizione chimica che dalla gravita alla superficie della stella, poiche ambedue tali fattori
modulano le righe di assorbimento negli spettri stellari e,quindi, il flusso emesso nelle varie bande.
Tali relazioni colore-temperatura possono essere ricavate sia per via empirica (sperimentale) che
attraverso modelli teorici di atmosfere stellari.
Si definisce inoltre magnitudine bolometrica mbol la magnitudine riferita all intero flusso di
energia emessa, compresa quindi anche tutta la radiazione che non giunge alla superficie della
Terra a causa di assorbimenti atmosferici e, talora, interstellari. Nota la magnitudine bolometrica
20

e la distanza di una stella si risale alla luminosita intrinseca della sorgente L. La magnitudine
bolometrica e sovente posta in relazione con quella visuale attraverso la relazione
mbol = mV + BC (8)
ove BC (correzione bolometrica) sara una funzione di temperatura gravita e composizione chim-
ica. La scala delle magnitudini bolometriche non ha peraltro, sinora, standard definiti. e quindi deve
essere utilizzata con grande precauzione.
Si definiscono infine magnitudini assolute, sia bolometriche (Mb ol) che nelle varie bande (MB ,
MV etc), le magnitudini che avrebbero le stelle se poste ad una comune prefissata distanza di 10 pc
dalla Terra. Nota la magnitudine relativa e la distanza di una stella e facile ricavarne la rispettiva
magnitudine assoluta. Infatti, lenergia che attraversa nellunita di tempo una superficie sferica ad
una qualunque distanza r dalla sorgente deve essere costante e pari alla luminosita della sorgente,
definita come energia emessa per secondo. Si ha dunque a due generiche distanze r1 e r2
r12 = 2 r22 (9)
ricordando che m=-2.5log + cost, ponendo r1 pari alla distanza della stella e assumendo r2 =
10 pc, si ottiene
m = M 5 + 5 log r (10)
dove r e misurata in parsec. La differenza m-M viene sovente indicata come DM, modulo di
distanza.
Per le magnitudini assolute bolometriche, poiche il rapporto tra i flussi di due stelle poste alla
stessa distanza e pari al rapporto delle luminosita intrinseche degli oggetti, potremo infine scrivere
per una generica stella con luminosita L
Mbol = 2.5logL/L + cost (11)
33
ove con L si indica la luminosita del Sole ( 3.9 10 erg/sec) e la costante e la magnitudine
bolometrica assegnata al Sole.
I modelli teorici di atmosfere stellari consentono di correlare le grandezze osservative sin qui
definite con la luminosita L e la temperatura efficace Te delle strutture, fornendo per ogni assunto
valore di Te e di gravita lo spettro emergente dalla superficie e, da questo, i flussi nelle varie bande,
gli indici di colore e la correzione bolometrica.
Notiamo infine che in linea di principio gli indici di colore, in quanto rapporto tra due flussi, non
dipendono dalla distanza della sorgente. In quanto sinora esposto si e peraltro sottaciuto il caso,
frequente quando si osservi lungo la direzione del disco galattico, che nel suo tragitto verso la Terra
la radiazione sia soggetta a fenomeni di assorbimento dovuti alla presenza di materia (gas e polveri)
interstellare. Leffetto di un tale assorbimento risulta in genere tanto maggiore quanto minore e la
lunghezza donda, e viene misurato in termini dell arrossamento E(B-V), definito come la variazione
dellindice di colore intrinseco (B-V)0 causato dal maggior assorbimento della radiazione nella banda
B.
Per ogni dato arrossamento si ha dunque
(B V )oss = (B V )0 + E(B V ) (12)
mi,oss = mi,0 + Ai (13)
dove, Ai e laumento di magnitudine nella banda i estinzione, proporzionale allarrossamento.
Ad esempio, per la banda V risulta AV 3.1 E(B-V) da cui V = V0 + 3.1 E(B-V).
La fig. 1.16 mostra landamento alle varie lunghezze donda della variazione di magnitudine
prodotta da un arrossamento unitario, mentre la Tabella 1 riporta le estinzioni Ai in varie bande
riferiti allassorbimento nella banda V. La precisa valutazione degli arrossamenti e uno dei capitoli
piu delicati della pratica osservativa astronomica. Lentita dellarrossamento puo essere valutata
dalla posizione della sorgente nel diagramma a due colori (U-B), (B-V). Qui notiamo che ove
si disponga di uno spettro che si estenda nella regione dellultravioletto assorbita dallatmosfera,
come ottenibile dunque solo da strumentazione nello spazio, lentita dellarrossamento e facilmente
ricavabile dalla caratteristico bump nellassorbimento a 2200 Angstrom.
21

Tab. 1. Assorbimenti relativi nelle varie bande fotometriche riferiti allassorbimento nella banda V

Filtro <> A()

U 3600 A 1.569
B 4400 A 1.337
V 5500 A 1.000
R 7000 A 0.751
I 9000 A 0.479
J 1.25 0.282
H 1.60 0.190
K 2.20 0.114
L 3.40 0.056

Fig. 1.17. Traguardando una stella a sei mesi di distanza ci si attende che la sua posizione sulla volta celeste
vari di un angolo 2 , ove e la parallasse dell oggetto, definita come langolo sotto il quale loggetto vede il
semiasse a dellorbita terrestre.

A1.3. La parallassi stellari. Seing.


Sulla superficie della Terra, per valutare la distanza di un qualunque oggetto non altrimenti rag-
giungibile e duso ricorrere a semplici metodi trigonometrici, traguardando loggetto da due diverse
opportune posizioni. Procedure simili sono possibili anche per valutare la distanza delle stelle, uti-
lizzando come base della misurazione la posizione della Terra sulla sua orbita a distanza di sei mesi
(fig. 1.17).
Per stelle che giacciono sul piano perpendicolare alla base di traguardo cosi definita si ha

r= a/tg a/

dove a e il semiasse dell orbita terrestre (unita astronomica) e langolo e misurato in radianti.
Essendo 1 rad = 57o 17 44 pari a 206.265 secondi darco

r= a (206 265/)

se e misurato in secondi darco. Poiche a=1.49598 1013 cm

r = 3.1 1018 / cm

Assumendo come unita di misura delle distanze stellari quella cui corrisponde una parallasse
annua di 1 (1 parsec (pc)= 3.1 1018 cm) si ha direttamente

r (pc)= 1/.

Poiche la velocita della luce e c3 1010 cm/sec, un parsec corrisponde a 3.26 anni luce, cioe allo
spazio percorso dalla luce in 3.26 anni (1 anno3.1 107 secondi).
22

La misura delle parallassi e argomento delicato, perche e innanzitutto da notare che ogni tele-
scopio non puo restituire immagini puntiformi, creandosi in ogni caso una figura di diffrazione, tanto
piu estesa quanto minore e il diametro del telescopio. Lottica ondulatoria ci assicura che il disco
centrale della figura, sino alla prima frangia oscura, ha un raggio angolare

= 1.22 /D

dove e espresso in radianti. Nel visibile ( 5500 A) ed esprimendo D in centimetri si ottiene

= 14/D in secondi darco.

Le maggiori limitazioni nella misura delle parallassi provengono peraltro dalla turbolenza at-
mosferica (seing) che produce variazioni temporali dellindice di rifrazione atmosferico e, quindi, del
cammino ottico dei raggi luminosi, disperdendo limmagine di una stella su un area che in condizioni
normali e dell ordine di almeno alcuni secondi darco. E per questa ragione che risulta di grande
importanza collocare gli osservatori astronomici ad alta quota, in regioni contraddistinte da limitata
turbolenza atmosferica, dove il seing puo scendere anche sotto il secondo darco. Quando si consid-
eri che la stella piu vicina al Sole, Cen (Centauri), ha una parallasse di soli 0.76 si comprende
peraltro la difficolta di precise misure di parallasse. Il metodo trigonometrico ha consentito cosi di
avere indicazioni abbastanza precise sulla distanza solo qualche centinaio di stelle nei dintorni del
Sole.
Un notevole miglioramento si e ottenuto grazie all utilizzazione di telescopi nello spazio e, in
particolare, dal satellite astrometrico Hipparcos, lanciato nel 1989 dallAgenzia Spaziale Europea,
che ha misurato la parallasse di molte migliaia di stelle con precisioni dellordine del millesimo di
secondo darco. Un telescopio spaziale risulta infatti limitato dal solo fenomeno della diffrazione
(diffraction limited), sempreche la piattaforma spaziale sia adeguatamente stabilizzata.
Si noti che limmagine di seing oltre che limitare la misura delle parallassi introduce pesanti
limitazioni anche sul limite inferiore dei segnali luminosi rivelabili. Il cielo ha infatti una luminosita
diffusa (fondo) valutabile nella banda V a circa 22 mag per secondo darco quadrato. Se limmagine
di una stella viene dispersa dal seing su una superficie analoga, ne segue che per oggetti con mag-
nitudine superiore a V=22 il rapporto segnale-rumore scende sotto lunita, rendendo sempre piu
difficoltose le misure. Allaumentare della figura di seing diminuisce quindi la magnitudine limite
raggiungibile da un telescopio, ed e questo uno tra i principali motivi per cui e vitale scegliere
per gli osservatori astronomici siti contraddistinti dal minimo possibile seing. Ed e questo ancora
il motivo per cui la tecnologia dei moderni telescopi ha sviluppato tutta una serie di procedure
informatiche (ottiche adattive e ottiche attive) volte a minimizzare le dimensioni delle immagini
stellari.

A1.4. Spettri stellari e tipi spettrali


Abbiamo indicato come lo spettro di una sorgente stellare corrisponda in genere ad una distribuzione
energetica di corpo nero solcata da righe o bande di assorbimento. La distribuzione di corpo nero
ci assicura che la radiazione proviene da strati stellari in cui le interazioni tra particelle e fotoni
sono sufficienti ad assicurare lequilibrio termodinamico tra materia e radiazione. Risulta peraltro
ovvio che prima di lasciare la stella tale radiazione debba fatalmente attraversare strati di bassa
e bassissima densita ove le interazioni radiazione particelle finiscono col diventare sporadiche e
lequilibrio termico non puo piu essere realizzato. A conferma di cio si consideri che negli ultimi strati
superficiali si e in presenza di un flusso di radiazione uscente, mentre lequilibrio termodinamico
richiederebbe una radiazione isotropa.
Una radiazione elettromagnetica che attraversi un gas subisce peraltro fenomeni di assorbimento,
secondo la regola che vuole che ogni gas sia in grado di assorbire la radiazione che sarebbe in grado
di emettere spontaneamente. A livello microscopico sappiamo che tale regola e collegata ai livelli
energetici degli elettroni legati ai nuclei: portando un elettrone su un livello eccitato esso ritorna sul
suo stato naturale emettendo un quanto di luce di frequenza che obbedisce alla relazione h = E
dove E e la differenza di energia tra i due livelli. Analogamente, un elettrone e in grado di
assorbire lo stesso quanto di energia per portarsi dal suo livello naturale al livello eccitato. Si noti
23

Fig. 1.18. Schema delle transizioni elettroniche indotte dallassorbimento di fotoni in atomi di
idrogeno. Atomi nello stato fondamentale hanno elettroni nellorbita piu interna (orbita K) ed i
possibili assorbimenti producono una serie di righe note come serie di Lyman. Al crescere della
temperatura gli elettroni si spostano a popolare livelli superiori e conseguentemente si hanno la
serie di Balmer (da elettroni sullorbita L) nel visibile e la serie di Paschen (da elettroni nellorbita
M) nellinfrarosso.

che si e in presenza di un assorbimento transitorio, perche lelettrone eccitato ritornera sul suo stato
naturale emettendo nuovamente radiazione. Tale emissione e peraltro isotropa e alla superficie di
una stella tale meccanismo implica che vengono estratti fotoni dal flusso uscente, producendo le
righe di assorbimento presenti nello spettro.
Le righe presenti in uno spettro stellare dipenderanno quindi non solo dalle specie atomiche
presenti nellatmosfera stellare ma anche, e soprattutto, dalle temperature degli strati atmosferici.
Al crescere della temperatura cresce infatti lenergia delle particelle e negli atomi aumenta il nu-
mero di elettroni che si allontana dallo stato fondamentale per collocarsi spontaneamente su livelli
eccitati o per passare in stati slegati ionizzazione. Ad ogni temperatura corrisponde quindi una
particolare distribuzione degli elettroni legati ai vari nuclei, distribuzione che si riflette sulle righe
di assorbimento presenti nello spettro stellare.
Cos alle piu basse temperature gli elettroni legati allidrogeno (fig. 1.18) saranno nello stato
fondamentale (nellorbita inferiore), e passando da questo stato a stati eccitati superiori produrranno
righe di assorbimento solo nellestremo ultravioletto (Serie di Lyman). Al crescere della temperatura
una consistente frazione degli elettroni si sposta sul primo stato eccitato (la seconda orbita) e nello
spettro appaiono le righe della serie di Balmer, nel visibile, e a temperature ancora maggiori apparira
la serie di Paschen, nellinfrarosso.
Analogamente, anche gli atomi degli altri elementi presenti nellatmosfera produrranno ad ogni
temperatura uno spettro di assorbimento caratteristico della temperatura stessa. Poiche nella ma-
teria stellare, formata essenzialmente da idrogeno ed elio, sono in ogni caso sempre presenti tutti
gli altri elementi, sia pur con diverse abbondanze, la presenza di determinate righe o bande in uno
spettro e essenzialmente governata dalla temperatura, mentre la consistenza di tali assorbimenti
sara collegata allabbondanza delle relative specie atomiche o molecolari.
Al variare della temperatura si presentano cos nello spettro righe di assorbimento caratteristiche
(fig. 1.19): sulla base delle quali vengono definiti, in ordine di temperatura decrescente, i tipi spettrali

O, B, A, F, G, K, M

ognuno suddiviso in 10 sottoclassi (B0, B1, B2...B9, A0, A1...). A basse temperature sono pre-
senti nel visibile gli assorbimenti di molecole e elementi pesanti (metalli) neutri, quali, ad esempio,
le righe del FeI = ferro non ionizzato. Le righe dellidrogeno sono assenti perche tale elemento e
24

Fig. 1.19. Intensita delle righe di assorbimento nel visibile di diversi elemento al variare del tipo
spettrale.

Tab. 2. Corrispondenza tra tipo spettrale, indice di colore, temperatura efficace e magnitudine V
assoluta per stelle di disco di Sequenza Principale.

Spettro B-V Te MV

O5 -0.35 35500 -5.7


B0 -0.30 25000 -4.1
B5 -0.16 17200 -1.1
A0 0.00 12300 +0.7
A5 +0.15 9900 +2.0
F0 +0.30 8350 +2.6
F5 +0.45 7100 +3.4
G0 +0.57 6240 +4.4
G5 +0.70 5620 +5.1
K0 +0.89 4930 +5.9
K5 +1.18 4100 +7.3
M0 +1.45 3560 +9.0
M5 +1.75 3110 +11.8

nel suo stato fondamentale e le righe della serie di Lyman cadono nellultravioletto. Aumentando
la temperatura si dissociano le molecole mentre appaiono le righe di metalli ionizzati, ad esempio
FeII= ferro ionizzato una volta. Appaiono anche le righe della serie di Balmer perche gli elettroni
dellidrogeno si sono portati a popolare il secondo livello. Aumentando ancora la temperatura scom-
paiono nuovamente le righe dellidrogeno, perche ionizzato, e appaiono le righe dellelio prima neutro
(HeI) e poi ionizzato (HeII), presenti solo ad alta temperatura perche gli assorbimenti dellelio nello
stato fondamentale cadono anchessi nellestremo ultravioletto.
Nella Tabella 4 riportiamo a titolo indicativo le relazioni tra tipo spettrale, indice di colore B-V
e temperatura efficace per stelle di sequenza principale del disco galattico (Popolazione I) , dando
per tali stelle anche la tipica magnitudine assoluta nella banda V.
Stelle con identico tipo spettrale possono mostrare ulteriori differenze nella forma delle righe,
differenze che sono risultate in relazione alla luminosita intrinseca della stella. Si comprendono tali
differenze notando come a parita di temperatura stelle intrinsecamente meno luminose debbano
avere raggi minori (L = 4R2 Te4 ) cui corrispondono densita atmosferiche maggiori, atomi piu
perturbati e righe conseguentemente allargate. Corrispondentemente, per ogni tipo spettrale si
definiscono cinque classi di luminosita, che vanno dalla classe I per le stelle piu luminose a righe
piu sottili alla classe V, che corrisponde a stelle della sequenza principale. In questa classificazione
di Morgan, Keenan e Kellman classificazione MKK il Sole e una tipica stella G2V.
25

Ad evitare equivoci, e bene precisare che una classe di luminosita NON corrisponde ad una
luminosita fissa e determinata. La classe V, ad esempio, e formata per ogni temperatura dalle
stelle meno luminose, che corrispondono a stelle di sequenza principale e la cui luminosita dipende
fortemente dalla temperatura.

A1.5. Gli Ammassi stellari.


Nella nostra come nelle altre galassie sono presenti Ammassi Stellari che trovano la loro evidente
origine in episodi collettivi di formazione stellare. Nella nostra Galassia alcuni ammassi di disco,
nelle vicinanze del Sole, sono ben visibili ad occhio nudo ed hanno ricevuto nomi propri sin dalla
piu remota antichita. Tali sono, ad esempio, le Iadi, le Pleiadi o il Presepe. Molti altri, osservati
attraverso piccoli telescopi appaiono solo come nebulosita e come tali appaiono nel catalogo pub-
blicato nel 1771 dallastronomo francese Messier per agevolare il lavoro dei cercatori di comete. Gli
ammassi presenti in tale catalogo vengono indicati dalla lettera M seguita dal numero del catalogo.
Una piu moderna e pressoche completa classificazione degli ammassi della Galassie e quella fornita
nel 1888 dal New General Catalogue di galassie, ammassi e nebulose, dove sono anche riportati
numerosi ammassi appartenenti alle due vicine galassie irregolari note come Piccola e Grande Nube
di Magellano. Per fare riferimento agli oggetti di questo catalogo si usa la sigla NGC seguita dal
numero di catalogo. A seguito di tale molteplicita di identificazioni molti oggetti celesti, e in parti-
colare molti ammassi stellari, hanno una corrispondente moltiplicita di nomi ancora variamente e
alternativamente usati nella letteratura scientifica. Cosi, ad esempio, Presepe = M44 = NGC 2632.
In particolare, ove esistente, per gli ammassi globulari e ancora molto usata la classificazione di
Messier, talch per i globulari pio luminosi nel cielo notturno si ha, ad esempio, M3 = NGC5272,
M5 = NGC5904 o M92 = NGC6341.
Abbiamo ricordato come gli ammassi stellari della Galassia mostrino caratteristiche evolutive
e strutturali che si differenziano nettamente a seconda della collocazione. Gli ammassi del disco,
detti anche ammassi aperti o ammassi galattici, sono composti da qualche centinaio ad alcune
migliaia di stelle, tra le quali predominano giganti blu ad alta temperatura superficiale. Si ha talora
evidenza per lesistenza nell ammasso di gas e polveri. Tali ammassi si dicono aperti proprio
perche risultano gravitazionalmente slegati e destinati col tempo a disperdersi; da cio si possono
ricavare limiti superiori alleta degli ammassi, talora anche inferiori al centinaio di milioni di anni. E
da assumere che tali ammassi nascano nelle spirali della Galassia. In fig. 1.3 abbiamo infatti mostrato
che gli ammassi piu giovani, selezionati in base allestensione ad alte temperature della sequenza
principale, si distribuiscono nelle vicinanze del Sole lungo direttrici che marcano la struttura a
spirale della Galassia. Fenomeni di recente formazione stellare sono anche segnalati dalle regioni
HII, nubi di idrogeno ionizzato dalla radiazione di contigue stelle giovani e massicce, e dunque
di alta temperatura superficiale. Gli ammassi di vecchio disco, quali ad es. M67 o NGC188, sono
infine una sottocategoria degli ammassi aperti che per alcuni versi approssima le caratteristiche
dei globulari. Pur se collocati in prossimita del disco galattico, con metallicita che possono essere
dellordine di quella solare, mostrano una peculiare abbondanza di stelle, una struttura sferoidale
e uneta avanzata, testimoniata dalla assenza di stelle ad alta temperatura e dalla contemporanea
presenza di sia pur esili rami di giganti rosse.
Nellalone della Galassia osserviamo invece piu di 150 Ammassi Globulari, composti anche da
oltre un milione di stelle, distribuite con netta simmetria sferica attorno al centro dellammasso,
dove si raggiungono densita stellari anche superiori a 104 stelle per parsec cubo. La buona simmetria
sferica e la regolare distribuzione radiale della densita stellare mostrano che tali ammassi risultano
non solo gravitazionalmente legati ma anche dinamicamente rilassati. Con questultimo termine
si intende indicare che le mutue interazioni gravitazionali hanno portato verso una equipartizione
dellenergia, talche la distribuzione di densita approssima quella di un gas di stelle autogravitante
isotermo (sfera isoterma) mentre la distribuzione di velocita delle stelle approssima la distribuzione
di Maxwell-Boltzmann. I tempi caratteristici per tale processo (tempi di rilassamento) dipendono
dal numero e dalla densita delle stelle, risultando in ogni caso non minori del miliardo di anni, il
che da solo testimonia dellantichita di tali oggetti, in accordo con le citate ipotesi di evoluzione
galattica.
26

Fig. 1.20. Landamento della luminosita superficiale nellammasso globulare M3 (punti) con-
frontato con le previsioni teoriche da un perfezionamento del modello semplice isotermo.

Pur senza entrare nei dettagli dellaffascinante e complesso argomento dellevoluzione dinamica
di tali sistemi, conviene qui accennarne alcuni punti fondamentali. Notiamo innanzitutto che la
tendenza ad una distribuzione Maxwelliana implica che una frazione delle stelle viene spinta a
velocita maggiori della velocita di fuga dallammasso. Da un altro punto di vista, cio corrisponde
al fatto che teoricamente una sfera isoterma non ha contorno, estendendosi sino allinfinito. Un
modello realistico (fig. 1.20) deve quindi, ad esempio, prevedere che lammasso perda tutte quelle
stelle che si spingono oltre il suo raggio mareale, definito come la distanza dal centro dellammasso
a cui inizia a prevalere il campo gravitazionale della Galassia.
Il sistema Ammasso Globulare quindi non puo essere dinamicamente stabile ed e destinato
a perdere, sia pur lentamente, non solo stelle ma anche energia. Cio conduce infine ad una catas-
trofe gravotermica, ancora oggetto di intensi studi, nella quale il nucleo del cluster subirebbe una
serie di improvvisi collassi oscillazioni gravotermiche che porterebbero la densita centrale sino a
valori dellordine di 108 M /pc3 . Notiamo anche che lequipartizione dell energia implica che le
stelle con massa minore abbiano maggiori velocita, quindi con distribuzione spaziale piu espansa e
preferenzialmente candidate a fenomeni di evaporazione dallammasso.
A fianco di tali meccanismi occorre anche tener conto di ulteriori meccanismi che collaborano
alla distruzione degli ammassi, quali gli incontri stretti con altri ammassi e gli effetti di disk shocking
e bulge shocking che si manifestano ogni qualvolta un ammasso nella sua orbita di alone attraversa
il disco galattico o si avvicina al bulge. Se ne deve concludere che gli ammassi globulari che oggi
popolano lalone della Galassia non sono necessariamente quelli che vi si sono a suo tempo formati,
ma solo quelli che per le loro caratteristiche strutturali sono riusciti a sopravvivere fino ad oggi
nellalone galattico.
E da notare che gli ammassi globulari, oltre a caratterizzare lalone di molte galassie a spirale,
quali la nostra e Andromeda, paiono peculiarmente abbondanti nelle galassie ellittiche, mostrando
di essere un costituente generale dellUniverso collegato alle prime fasi di formazione delle galassie.
In questo contesto spicca leccezione della galassia irregolare del gruppo locale Grande Nube di
Magellano. Accanto ad ammassi globulari antichi (rossi) esistono ammassi morfologicamente glob-
ulari che mostrano stelle in fase evolutiva anche estremamente giovanile, alle quali si possono as-
segnare eta anche inferiori ai cento milioni di anni.
Per spiegare tale peculiarita e, con essa, lassenza di ammassi globulari nel disco della Galassia si
puo avanzare il suggerimento che la distribuzione del gas in un disco con rotazione differenziale (kep-
leriana) abbia nella Galassia inibito lulteriore formazione dei grandi ammassi globulari, formazione
che e invece rimasta efficiente nelle regioni di gas non strutturato o solo parzialmente strutturato,
come era il primitivo alone, e come sono ancor oggi le Nubi di Magellano.
27

Fig. 1.21. Schema della classificazione morfologica delle galassie.

A1.6. Galassie. Ammassi di Galassie. Quasar


Losservazione mostra che le stelle del nostro Universo sono raggruppate in enormi sistemi stellari
cui diamo il nome di galassie. Per tali sistemi viene adottata una classificazione morfologica che
distingue:

1. Galassie ellittiche: mostrano una distribuzione di luminosita quale ci si attende da ellissoidi di


rotazione. Vengono classificate con la lettera E seguita dal numero intero che piu approssima
losservata ellitticita, definita come 10 (1-b/a), dove b/a rappresenta il rapporto tra semiassi
maggiore e minore della figura osservata. Si noti che tale valore non e necessariamente una carat-
teristica intrinseca degli oggetti, dipendendo il valore osservato dallorientazione delle galassie
rispetto allosservatore. Analisi approfondite hanno al riguardo dimostrato lesistenza anche di
distribuzioni secondo ellissoidi triassiali.
2. Galassie a spirale: mostrano un disco nel quale si avvolgono braccia di spirale. Vengono clas-
sificate con la lettera S, seguita dalle sottoclassi a, b, c che segnalano la crescente apertura dei
bracci di spirale. In alcuni casi le spirali si raccordano al nucleo tramite una barra rettilinea (spi-
rali barrate): in analogia al caso generale vengono indicate come SB. Vengono infine classificate
come S0 galassie a disco, ma prive di una evidente struttura a spirale (galassie lenticolari).
3. Galassie irregolari: classe che contiene tutti gli oggetti che sfuggono alle precedenti classificazioni.

Orientativamente, si puo indicare che circa il 50% delle galassie osservate appartiene alla classe
S, il 40% alla classe E, ed il restante 10% alle irregolari. Le masse di questi oggetti, cosi come
ricavabili dalle proprieta fotometriche o dinamiche delle strutture, possono variare di molti ordini
di grandezza. Lintervallo piu esteso e coperto dalle ellittiche, che dalle ellittiche giganti cui sono
attribuibili masse dellordine di 1013 masse solari (M ) passa a circa 1010 M nelle ellittiche nane,
quale il compagno di Andromeda M32, per scendere sino a 108 M nel caso delle nane sferoidali
(Dwarf Spheroidals) che circondano la nostra Galassia. Tali masse vanno confrontate con le circa
1011 M tipiche di galassie a spirale quale la nostra. Le irregolari sono in genere oggetti poco
massicci; nel Gruppo Locale di galassie, per la Grande Nube di Magellano (che mostra peraltro
evidenze di una barra) si puo stimare una massa M5 109 M .
Accanto a questa classificazione generale, esistono parallele classificazioni dettate da particolari
evidenze osservative. Ricordiamo ad esempio la classe delle galassie di Seyfert caratterizzate da
nuclei particolarmente compatti e brillanti. Oggi si ritiene anche che i Quasar, oggetti di apparenza
stellare (di cui cioe non si giunge a rivelare lestensione) in alcuni casi radioemittenti e caratterizzati
sempre da un forte effetto Doppler in allontanamento (redshift) siano anchessi nuclei attivi di
galassie estremamente lontane nello spazio e - tenuto conto del tempo di percorrenza della luce -
nel tempo. Oggi si ritiene che tali AGN (Active Galactic Nuclei) trovino la loro origine in fenomeni
di accrescimento di materia su Buchi Neri massicci, con masse che possono raggiungere e superare
le 108 M , posti al centro delle rispettive galassie.
28

Ricordiamo infine come talora le galassie siano a loro volta raggruppate in sistemi di ordine supe-
riore che prendono il nome di ammassi di galassie. Tipico il vicino ammasso nella costellazione della
Vergine, a circa 4 Mpc da noi, che entro dimensioni paragonabile a quelle che separano la Galassia
dalla piu vicina compagna di dimensioni paragonabili, Andromeda, annovera invece migliaia di
galassie. La dinamica della materia nelle galassie e negli ammassi di galassie e un importante capi-
tolo dellastrofisica, collegato al piu generale problema dellorigine e dellevoluzione dellUniverso,
che purtroppo esula dai limiti della presente trattazione.

A1.7. I sistemi binari e le masse stellari.


Losservazione mostra come gran parte delle stelle del disco galattico faccia parte di sistemi binari
o multipli, in stati gravitazionalmente legati. I sistemi binari, in particolare, offrono la preziosa
possibilita di una stima delle masse delle due stelle componenti. Ricordiamo che la meccanica classica
ci insegna problema dei due corpi che le due stelle compiranno orbite ellittiche attorno al baricentro
del sistema, con semiassi maggiori inversamente proporzionali alla massa delle singole stelle. In un
sistema con lorigine in una delle due componenti, si trova che laltra componente descrive ancora
un ellisse il cui semiasse maggiore a e dato dalla somma dei due semiassi maggiori delle singole
ellissi reali.
Notiamo subito che, in linea di principio, non stupisce che i sistemi binari offrano la possibilita
di una determinazione delle masse. Leffetto delle masse e la creazione di un campo gravitazionale,
ed ogni volta che un fenomeno risulta condizionato dall lintervento del campo gravitazionale, esso
deve contenere informazioni sulle masse sorgenti di quel campo. Cio e banalmente vero nel caso
delle orbite di componenti di sistemi binari, ma restera vero anche in fenomeni piu complessi, quale
il caso delle masse stellari determinate dal rapporto dei periodi nei doppi pulsatori RR Lyrae di cui
tratteremo nel seguito.
Per discutere il problema delle orbite delle binarie conviene preliminarmente individuare il tipo
di informazioni che su questi oggetti possiamo raccogliere, tipi di informazioni cui corrispondono
diverse classi di binarie. Scartato il caso delle false binarie, cioe di immagini stellari contigue dovute
solo ad effetti prospettici, le caratteristiche osservative portano a definire tre classi di binarie

1. Binarie visuali: la distanza angolare tra le due componenti e tale da consentirne la separazione
nellosservazione telescopica.
2. Binarie spettroscopiche: il moto orbitale viene rivelato dallo spettro del sistema, grazie al peri-
odico spostamento Doppler delle righe di assorbimento di una o di tutte e due le componenti.
3. Binarie fotometriche: la natura binaria viene rivelata da periodiche variazioni di luminosita
causate dalle mutue eclissi delle due componenti.

Qui di seguito riassumiamo brevemente le informazioni sulle masse ottenibili nei tre diversi casi,
rimandando ad un qualunque testo di astronomia classica per il trattamento dei diversi argomenti.

1. Binarie visuali. Le osservazioni forniscono lorbita apparente di una stella attorno alla sua pri-
maria, definita come la stella piu luminosa della coppia. Con procedure geometriche e possibile
da cio risalire allorbita reale, determinando in particolare il valore del periodo e del semiasse
maggiore (in secondi darco). Dalla 3a legge di Keplero abbiamo

m1 + m2 = a3 /P2

dove a rappresenta il semiasse maggiore in unita astronomiche (distanza Terra-Sole), P il


periodo orbitale in anni e le masse m1 e M2 sono misurate in masse solari. Se del sistema e
anche nota la distanza d (in parsec), ad esempio attraverso misure di parallasse,

a = d
a
e la 3 legge di Keplero fornisce la somma delle masse delle due componenti. Se oltre al moto
relativo si riesce ad identificare il baricentro del sistema, si ha che in ogni istante il rapporto
delle masse e pari allinverso del rapporto delle distanze dal baricentro e si ricavano le singole
masse.
29

2. Binarie spettroscopiche. Le osservazioni forniscono istante per istante la velocita radiale (in
km/sec) di una o ambo le componenti (curve di velocita radiale). Da cio si ricava il periodo,
la velocita del baricentro e il prodotto ak sin i, dove ak e il semiasse maggiore dellorbita reale
della componente k (k=1,2) e i e langolo tra la direzione della visuale e la normale al piano
dellorbita. Se sono osservati tutti e due gli spettri si conoscono a1 sin i, a2 sin i e quindi anche a
sin i dove a = a1 + a2 e ora il semiasse dellorbita relativa. Si ricava cos

a1 sin i/a2 sin i = a1 /a2 = m2 /m1

e dalla 3a legge di Keplero

(m1 + m2 )sin3 i = a3 sin3 i/P2 .

3. Binarie fotometriche: La luminosita in funzione del tempo curva di luce fornisce rilevanti in-
formazioni sulla luminosita e sulla geometria degli oggetti che si eclissano. Per quel che qui
interessa notiamo che, al di la di possibili valutazioni piu dettagliate, loccorrenza delle eclissi
ci indica che i90, sin i1. Nel caso di binarie ad eclisse di cui si conoscano anche gli spettri
(binarie spettrofotometriche) le relazioni discusse nel punto precedente conducono facilmente ad
una stima delle masse delle due componenti.

A1.8. I nuclei atomici. Decadimenti radioattivi.


I nuclei degli atomi che compongono i vari elementi chimici che formano la materia sono costituiti
da un assiemaggio di protoni e neutroni. Detto, per ogni nucleo, Z il numero di protoni p e
N il numero di neutroni n, Z determina la carica elettrica totale del nucleo (= +Ze), mentre
N+Z=A numero atomico rappresenta il numero totale di nucleoni (p o n) presenti nel nucleo,
determinandone la massa.
E noto che dalla carica elettrica del nucleo dipendono le proprieta degli elettroni orbitanti
attorno al nucleo stesso e, in definitiva, le proprieta chimiche dei vari elementi. Ad ogni Z corrisponde
dunque un ben determinato elemento classificato secondo la usuale nomenclatura chimico-fisica
(idrogeno, elio, etc.), cui possono corrispondere nuclei con diverso A (isotopi). In fig. 1.22 e riportata
una tabulazione dei nuclei stabili con numero atomico A70.
Attraverso reazioni di impatto tra nucleoni e/o nuclei e possibile produrre nuovi nuclei con un
rapporto protoni/neutroni che rende i nuclei instabili. Tali nuclei tendono in generale a decadere
per riportarsi al rapporto che caratterizza il nucleo stabile. Nel caso di un eccesso di neutroni questi
vengono trasformai in protoni grazie al decadimento

np+e +

nel quale vengono emessi un elettrone col suo antineutrino. In caso di eccesso di protoni si ha il
corrispondente decadimento +

pn+e+ +

con emissione di un positrone e di un neutrino. Simili reazioni sono caratterizzate da una prob-
abilita di decadimento che dipende solo dal processo considerato, e non dalle condizioni chimiche o
fisiche della materia.
Poiche la probabilita e pari alla frequenza degli eventi, dati N nuclei suscettibili di un particolare
decadimento radioattivo, in un tempo dt ne decadranno

dN/N = p dt

essendo dN/N la frequenza degli eventi e p la probabilita di decadimento per unita di tempo.
Ponendo p=1/ si ha

dN/N =dt/

e, integrando su un tempo finito


30

Fig. 1.22. Mappatura nel piano Z (numero di protoni) N (numero di neutroni) dei primi trenta
elementi chimici del sistema periodico. Per ogni elemento (per ogni Z) e riportato il simbolo chimico
e, nelle corrispondenti caselle, il numero di massa A (=Z+N) dei vari isotopi. In alto a sinistra sono
riportate le traiettorie corrispondenti ai piu comuni processi di decadimento o cattura. Lassenza di
isobari contigui testimoni lefficienza dei processi nel portare i nuclei nelle configurazioni nucleari
a maggior energia di legame. Sono anche indicati i numeri magici di neutroni o protoni in corrispon-
denza dei quali i nuclei mostrano una peculiare stabilita. Le spezzate a tratti e punti mostrano le
traiettorie corrispondenti ad una serie successiva di catture di protoni o neutroni. Nel riquadro una
mappatura nel piano A,Z evidenzia lassenza di nuclei con A=5 e 8.

N(t)= N0 exp(t/ )

dove N e il numero di nuclei sopravvissuti al tempo t, N0 il numero di quelli presenti allistante


iniziale, e linverso della probabilita di decadimento per unita di tempo e prende il nome di
vita media del nuclide radioattivo in esame. Analoghe relazioni valgono in generale anche per i
decadimenti attraverso altri canali che caratterizzano linstabilita di taluni nuclei e, in particolare,
per il decadimento con emissione di particelle che caratterizza linstabilita degli elementi a piu
alto numero atomico (famiglie radioattive dellUranio-Torio).

A1.9. La legge di Hubble ed il Big-Bang


Nel 1929 Edwin Hubble analizzando lo spettro della radiazione luminosa proveniente dalle galassie
trovo che le righe di assorbimento presenti in tali spettri risultavano tanto piu spostate verso il
rosso quanto piu deboli apparivano le galassie medesime. Interpretando tale spostamento come
(effetto Doppler) lo spostamento delle righe si correla con la velocita V di allontanamento dal
Sole, risultando

/ = V/c

dove / viene in genere indicato con z e prende il nome di redshift delloggetto osservato.
Assumendo inoltre che la luminosita apparente delle galassie sia governata dalla distanza delle
stesse si conclude che il redshift appare correlato alla distanza, crescendo con essa (recessione delle
31

Fig. 1.23. La relazione tra redshift e magnitudine ricavata da A. Sandage per un campione di
galassie ellittiche giganti.

galassie). Hubble preciso questa osservazione in una legge di diretta proporzionalita tra la velocita
di allontanamento (V) e la distanza (d) secondo la relazione

V = H0 d (14)

dove H0 prende il nome di costante di Hubble.


Per galassie non troppo distanti, per le quali si possa assumere una metrica dello spazio euclidea
e velocita non relativistiche, dalla relazione che lega le magnitudini apparenti a quelle assolute (
A1.2), introducendo la legge di Hubble e la relazione tra velocita e redshift si ricava:

m = M-5+5logd = M-5+5logV-5logH0 = M-5+5log(/)-5logc-5logH0 .

cioe per ogni assunta magnitudine assoluta M di una classe di galassie

logz= log(/)= 0.2 m + cost.

Noto M, una misura sperimentale della costante darebbe il valore di H0 . In figura 1.23 e riportata
la relazione tra magnitudine e redshift ricavata da A. Sandage per un campione di galassie ellittiche
giganti. Si noti come la relazione lineare risulti estremamente ben verificata, confortando la legge di
Hubble, mentre lincertezza sullesatto valore delle magnitudini assolute non consente di utilizzare
tale evidenza per una precisa valutazione del valore di H0 .
La determinazione di tale valore e stato sino a tempi recenti uno dei piu importanti problemi
dellastrofisica. Una precisa valutazione del valore della costante di Hubble richiede valutazioni al-
trettanto precise della effettiva distanza delle galassie. Essendo impraticabili i metodi trigonometrici,
e necessario ricorrere allutilizzo di opportune candele campione, cioe di oggetti di cui si ritenga di
conoscere a priori la luminosita intrinseca e le cui luminosita apparenti variano quindi solo con il
quadrato delle distanze. Per le galassie piu vicine si utilizzano a tale scopo vari oggetti, quali le
stelle variabili Cefeidi, le Novae, le regioni HII e gli ammassi globulari. Per le galassie piu distanti
si possono infine utilizzare eventuali Supernovae. In tali direzioni si e una lunga serie di indagini
che hanno progressivamente e drasticamente abbassato la stima originale di Hubble che valutava
attorno a H0 500 km/sec Mpc. Questi risultati sono recentemente stati confermati e perfezionati
con approccio alternativo dal satellite WMAP della NASA che investigando la radiazione cosmica
di fondo ha ricavato H0 70 km/sec Mpc.
32

Fig. 1.24. I valori sperimentali della distribuzione energetica della radiazione di fondo (punti)
confrontati con le previsioni teoriche per un corpo nero per T=2.7 K.

Si noti che linverso di H0 ha le dimensioni di un tempo, e rappresenta il tempo trascorso


dallinizio dell espansione se le velocita fossero rimaste costanti. La presenza del campo gravi-
tazionale ha peraltro leffetto di far diminuire nel tempo le velocita, e 1/H0 rappresenta dunque un
limite superiore per leta dellUniverso.
George Gamow per primo osservo come da questo quadro discenda che nelle sue fasi iniziali
la materia doveva essere estremamente densa ed estremamente energetica (Big-Bang caldo) e che
quindi dovesse esistere una radiazione elettromagnetica in equilibrio con la materia ad altissime
temperature. Al diminuire della densita della materia diminuiscono le interazioni fotone-particelle
e la radiazione finisce col disaccoppiarsi dalla materia. Da questo momento materia e radiazione
evolveranno con diverse modalita: se R e un parametro caratterizzante lo stato di espansione, la
densita di materia decresce come 1/R3 mentre lenergia della radiazione decresce come 1/R4 , come
richiesto dallespansione adiabatica del gas di fotoni. Si noti come tale ultima dipendenza risulti
dalla combinazione della conservazione del numero di fotoni (1/R3 ) col degrado dellenergia dovuto
al redshift (1/R). Se ne trae la conseguenza che la cosmologia del Big-Bang prevede che lUniverso
sia ancor oggi omogeneamente riempito da una radiazione isotropa di corpo nero, degradata ormai
a pochi gradi Kelvin. La scoperta della radiazione di fondo (fig. 1.24), verificando puntualmente tale
previsione, e tra le piu importanti conferme dello scenario del Big-Bang. Si noti come lesistenza
di tale radiazione di fondo (CBR = Cosmic Background Radiation) stabilisca tra tutti i sistemi
inerziali lesistenza di un unico sistema in quiete rispetto allUniverso, il moto di ogni altro sistema
essendo rivelato da una anisotropia di dipolo nella radiazione.
Il valore di H0 , la temperatura della radiazione di fondo e la densita nel presente Universo
forniscono le condizioni al contorno che consentono di definire un modello di Universo e di seguirne
levoluzione nel tempo, valutando - in particolare - gli effetti delle reazioni nucleari nelle primissime
fasi di tale evoluzione.
Per completezza notiamo che la forma della legge di Hubble sin qui discussa vale solo sino a
quando non si raggiungono velocita relativistiche. Nel caso generale dovremo porre

(1 + )
z= = 1 (15)
(1 )

da applicarsi ogniqualvolta z0.2. La tabella 3 riporta la relazione tra il redshift z e = v/c.


Nella stessa tabella e riportato il fattore relativistico di dilatazione dei tempi atteso per i vari valori
di z, dalla relazione

t0
t = t = (16)
(1 )2
33

dilatazione dei tempi puntualmente osservata nella curva di luce di Supernovae a distanza cos-
mologica. Si puo notare come z = 4 corrisponda ormai ad una velocita pari al 92 % della velocita
della luce.

Tab. 3. Velocita di espansione e fattore di dilatazione dei tempi per selezionati valori di redshift z

1 3/5 1.25
2 5/8 1.28
3 15/17 2.12
4 24/26 3.60

A1.10. Particelle elementari. La storia delle particelle nel Big-Bang


E noto come la ricerca fisica abbia riconosciuto che nel divenire della materia siano allopera
quattro interazioni fondamentali: gravitazionale, elettromagnetica, forte e debole. Le prime due tra
queste interazioni sono ben note gia nella fisica classica, le ultime due si evidenziano rispettivamente
nelle forze di aggregazione nucleare e nei processi di decadimento . Interazione gravitazionale ed
elettromagnetica sono forze che vanno come 1/R2 , con un raggio di azione che si estende dunque
sino allinfinito. Al contrario, interazione forte ed interazione debole risultano forze a corto range,
con raggi di azione di 1013 e 1016 cm, rispettivamente.
La descrizione moderna di tali interazioni riposa sullintervento quali vettori dell interazione
di quanti associati alle interazioni stesse, che vengono creati e si propagano allinterno delle
restrizioni imposte dal principio di indeterminazione di Heisenberg

E t h/2

In tale scenario, linterazione elettromagnetica si spinge sino allinfinito perche il suo vettore, il
fotone, ha massa nulla e puo quindi avere energia piccola a piacere. Analoghe considerazioni valgono
per la postulata esistenza dei quanti del campo gravitazionale, i gravitoni. La forza debole ha invece
vettori massivi, i bosoni intermedi W e Z0 , la cui produzione impegna unenergia non minore di
E=mc2 , ponendo una severa limitazione al tempo di esistenza delle particelle virtuali ed al tragitto
ct raggiungibile da tali particelle. Il caso dellinterazione forte e peraltro estremamente piu com-
plesso, riposando sul comportamento di quark e gluoni descritto dalla cromodinamica quantistica.
Qui ci limiteremo a riaffermare che anche linterazione forte si manifesta solo a corto range.
E duso classificare le particelle elementari, siano esse stabili o instabili, a seconda del tipo di
interazioni cui sono soggette. Le particelle si distinguono cos in due grandi classi

1. Leptoni: soggetti, oltre che alla interazione elettromagnetica se carichi, anche allinterazione
debole. Tali sono lelettrone (e) e i tre tipi di neutrino (e ) con le loro antiparticelle. Tra le
particelle instabili ricordiamo ad esempio il muone ().
2. Adroni: soggetti, oltre che alle citate interazioni, anche alle interazioni forti. Tali sono il protone
ed il neutrone, anchessi con le loro antiparticelle, ed una gran quantita di particelle instabili.
Particelle instabili con massa minore del protone sono dette mesoni, tutte le altre barioni. Tutti
gli adroni sono in realta formati da particelle piu propriamente elementari dette quark, che
peraltro non sono osservabili isolate (confinamento dei quark).

Particelle, stabili e instabili, possono essere liberamente prodotte quando sia disponibile lenergia
corrispondente alle masse prodotte, ferme restando le varie leggi di conservazione per le quali, ad
esempio, la produzione di un protone richiede la produzione contemporanea di un antiprotone per la
conservazione del numero barionico. Si noti che per la conservazione della quantita di moto un fotone
34

Fig. 1.25. Landamento di temperatura e densita nellUniverso del Big-Bang

puo produrre solo (almeno) coppie di particelle e, di converso, lannichilazione di due particelle deve
produrre (almeno) due fotoni.
E ben noto come nel presente Universo sopravvivano solo le particelle stabili: fotoni, neutrini,
protoni e un numero di elettroni tale da compensare la carica dei protoni. Sopravvivono anche i
neutroni quando inglobati nella struttura di un nucleo. Ma in un Universo in cui lenergia media per
particella (kT) risultava superiore quella necessaria per produrre particelle instabili, ci si attende
che tali particelle siano in continuazione prodotte, e che risultino presenti in equilibrio statistico
con le altre particelle.
Nelle primissime fasi del Big-Bang, lenergia dei fotoni era sufficiente per creare coppie di ogni
tipo di particella e lUniverso dovette essere popolato da un brodo di adroni e leptoni con le loro
antiparticelle, in equilibrio termodinamico tra loro e con il gas di fotoni (Era degli adroni). A 1012
K si e ormai scesi sotto la soglia di produzione degli adroni e quelli in precedenza esistenti si sono
vicendevolmente annichilati con le loro antiparticelle

n+n +
p+p +

Al termine delle annichilazioni restano i barioni oggi presenti nellUniverso, che in precedenza
rappresentavano solo una piccola differenza percentuale (dellordine di 107 %) nel bilancio della
popolazione di particelle ed antiparticelle in equilibrio con la radiazione.

Tab. 4. Le principali tappe nella storia dellUniverso.

Fase Tempo Densita Temperatura Energia per particella

Termine era degli adroni 104 sec 1012 K 1Gev


4 3
Termine era dei leptoni 1 sec 10 g cm 1010 K 1 MeV
Termine Era della radiazione 106 anni 1021 g cm3 3103 K 0.3 eV

Al successivo decrescere della temperatura e sinche kTme c2 ( T 1010 K ) gli elettroni


sono continuamente formati da creazione di coppie e+ +e (Era dei leptoni) mentre i neutrini sono
inizialmente accoppiati agli elettroni da interazioni
35

e+ + e e + e

e con i nucleoni da interazioni

p + e n + e+ -1.80 MeV
p + e n + e -0.78 MeV
n p + e + e +0.78 MeV

dove lenergetica delle reazioni e immediatamente ricavabile dalle masse delle particelle coin-
volte: Mn = 939.5656 MeV, Mp = 938.2723 MeV, Me = 0.5109999 MeV. A causa della lunga
vita del neutrone ( 14.76 minuti) le prime due reazioni (endotermiche) restano dominanti sino a
che lenergia media e superiore alle rispettive soglie. Durante lEra dei leptoni i neutrini finiscono
pero col disaccoppiarsi, mentre labbondanza di protoni e neutroni, in equilibrio termico tra loro,
obbedisce alla relazione di Maxwell

np (mn mp )c2
= exp [ ] (17)
nn kT

A 1011 K np /nn 1.2, salendo a circa 4 a A 1010 K, quando termina lera dei leptoni e inizia
lera della radiazione . Al di sotto di questa temperatura le coppie elettrone positrone si annichilano
producendo fotoni

e + + e +

e lUniverso, dopo la nucleosintesi cosmologica (che termina a circa 4 minuti), restera infine
popolato solo da idrogeno, elio ed elettroni, con tracce di elementi leggeri. A circa 106 anni gli
elettroni si ricombinano con i protoni e la radiazione di fondo si disaccoppia dalla materia, la
densita della radiazioni scende sotto quella della materia e inizia lattuale Era della Materia.
La Tabella 4) riassume la sequenza di eventi che caratterizza levoluzione del Big-Bang mentre
la fig. 1.25 riporta levoluzione di temperatura e densita.

A1.11. Il problema della massa oscura.


Si e indicato come la stima della densita attuale dellUniverso sia un parametro cruciale per model-
lare levoluzione cosmologica dellUniverso medesimo e, in particolare, per stabilire se esso e aperto
o chiuso. e infatti di per se evidente che, fissato il campo di velocita della legge di Hubble, al crescere
della densita cresce il campo gravitazionale che contrasta lespansione, e dalla stima di tale densita
discende quindi il valutare se lUniverso superi o meno la velocita di fuga.
Piu in generale, ricordiamo che dallassunzione che lUniverso sia su grande scala omogeneo e
isotropo si ricava per lespansione lequazione di Friedmann

R 2 8GM kc2 c2
H2 = ( ) = 2 + (18)
R 3 R 3

dove R= R(t)e il fattore di scala, H =R / R misura la velocita di espansione (H0 , costante di


Hubble, rappresenta lespansione al tempo presente), M densita di massa, k parametro di curvatura
e la costante cosmologica di Einstein, che rappresenta una densita di energia del vuoto.
Esprimendo le densita di materia ed energia attraverso i parametri al tempo presente

8GM c2
M = ; = (19)
3H02 3H02

lequazione di Friedmann fornisce

kc2
= H02 (M + 1) (20)
R02
36

Fig. 1.26. Curva di rotazione della galassia NGC3198. In funzione della distanza R dal centro della
galassia e riportata la velocita di rotazione osservata per stelle e nubi di gas. Il tratto orizzontale
indica, orientativamente, le dimensioni dellimmagine ottica della galassia.

e per avere un Universo piatto e con metrica euclidea, come rivelato ad esempio dal satellite
WMAP, si richiede k=0 e quindi
M + = 1
Una stima della densita di materia normale (barioni) si ottiene dalla stima della densita di
galassie unita a valutazioni della massa delle medesime. Con tale procedura si giunge ad una den-
sita dellattuale Universo dellordine di 1031 gr/cm3 , cioe inferiore di circa un fattore 100 della
densita critica necessaria per chiudere lUniverso. Se ne dovrebbe concludere che lUniverso e aperto,
destinato ad una indefinita espansione. E stato peraltro fatto notare che la procedura teste descritta
conduce ad una stima della massa contenuta in oggetti emettenti luce, e che non si puo escludere la
presenza di massa oscura, dalla quale non proviene radiazione elettromagnetica. Massa che potrebbe
essere contenuta in oggetti oscuri (stelle di bassissima luminosita od oggetti planetari) ma anche in
particelle elementari massive e scarsamente interagenti diffuse nellUniverso.
Esistono infatti molteplici evidenze per lesistenza di un tale ulteriore contributo. La stabilita del
disco della nostra Galassie richiede ad esempio molta piu massa di quella visibile. Unaltra evidenza
sperimentale per lesistenza di massa oscura e fornita dalla curva di rotazione delle galassie spirali.
Se la massa delle galassie e collegata sostanzialmente allosservato corpo luminoso, ci si attende
che allontanandosi da questo gli oggetti che vi ruotano attorno (stelle e/o gas) mostrino velocita
decrescenti, come atteso da moti kepleriani. Losservazione mostra che cio non e vero, e la velocita
di rotazione si mantiene pressoche costante sino a grandi distanze dal corpo centrale della galassia
ed allesterno della stesa immagine ottica della galassia (fig. 1.25). Se si vuole conservare la legge di
gravita di Newton, cio implica che nella Galassia e attorno ad essa esista una distribuzione di massa
non accessibile allosservazione diretta. Altre evidenze per la presenza di massa oscura si ottengono
dalla dinamica degli ammassi di galassie.
Si e cosi stimato che in alcuni casi la massa oscura sia almeno quattro volte quella osservata,
un valore rilevante ma ancora troppo piccolo per rendere piatto lUniverso. In tale contesto molte
indagini sono state dedicate al tentativo di determinare se e quanta di tale massa oscura potesse
essere sotto forma di barioni. Tali ad esempio gli esperimenti MACHO ed EROS volti a rivelare gli
effetti di lente gravitazionale prodotti da corpi oscuri di piccola massa transitanti davanti a stelle
normali. Il progresso delle indagini sulla radiazione di fondo cosmico, e in particolare i risultati del
gia citato satellite WMAP, sembrano ormai aver risolto tale problema, mostrando che la materia
oscura e essenzialmente non barionica, ma che lUniverso e piatto solo grazie al sostanziale contributo
di una per molti versi ancora misteriosa energia del vuoto.
37

Origine delle Figure

Fig.1.1 Rose W.K. 1973, Astrophysics, Holt, Rinehart & Winston


Fig.1.2 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.1.3 Mavridis L.N. 1971, in Structure and evolution of the Galaxy, Reidel
Fig.1.4 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.1.6 Castellani V., DeglInnocenti S., Prada Moroni P.G, 2001, MNRAS 320,66
Fig.1.7 Cassisi S., Castellani V., DeglInnocenti S., Salaris M., Weiss A. 1999, A&A 134,103
Fig.1.8 Rosenberg A., Piotto G., Saviane I., Apparicio A. 2000, A&AS 144,5
Fig.1.10 Cameron A.G.W. 1982, in Essays in Nuclear Astrophysics, Cambridge Univ. Press
Fig.1.16 Nandy, K., Morgan, D. H., Willis, A. J., Wilson, R., Gondhalekar, P. M. 1981, MNRAS 196, 955
Fig.1.19 Clayton D.D. 1983, Principles of sStella Evolution and Nucleosynthesis, McGraw-Hill
Fig.1.20 Da Costa G.S., Freeman K.C. 1976, ApJ 206, 132
Fig.1.22 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.1.25 Karttunen H., Kroeger P., Oja H. et al 1996, Fundamental Astronomy, Springer
Fig.1.26 van Albada T. S., Bahcall J. N., Begeman K., Sancisi R. 1985, ApJ 295 30
Capitolo 2

Natura e struttura delle stelle

2.1. Lequilibrio delle strutture stellari


La diffusa evidenza del fenomeno stella testimonia che la formazione di stelle costituisce
una processo spontaneo e naturale nellevoluzione della materia nellUniverso. Ed in effetti il
Sole, come tutte le altre stelle, indubbiamente altro non e che il prodotto di una aggregazione
spontanea di materia diffusa sotto linfluenza della gravitazione. La storia dellevoluzione di
una stella sara dunque la storia della contrazione di una massa di gas sotto linfluenza del
proprio campo gravitazionale (struttura autogravitante). Per affrontare un tale argomento
conviene esaminare con qualche dettaglio la struttura di tali oggetti, al fine di compren-
derne e di prevederne le principali caratteristiche. Cio puo essere fatto investigando in forma
quantitativa le problematiche che vengono suggerite da pur semplici evidenze osservative.
La prima di queste evidenze e che il Sole mantiene ed ha mantenuto per un lunghissimo
tempo le sue dimensioni. La materia che costituisce il Sole, pur soggetta ad una intensa forza
gravitazionale, non mostra di muoversi verso il centro di gravita con tempi scala meccanici,
cioe con i tempi tipici dei moti che si sviluppano sotto lazione della forza gravitazionale. Per
fissare le idee, possiamo valutare che alla superficie del nostro Sole, essendo massa e raggio
del Sole M = 1.989 1033 gr R = 6.960 1010 cm, si ha una accelerazione di gravita

g = GM/R2 6.67 108 1.99 1033 / 4.84 1021 2.74 104 cm/sec2

circa 30 volte superiore che alla superficie della Terra. Poiche in un moto uniformemente
accelerato S=gt2 /2, un corpo alla superficie del Sole sul quale agisse liberamente la gravita
percorrerebbe uno spazio pari al raggio del Sole in un tempo

t = (2R/g)1/2 2 103 sec 30 minuti.

Si ricava cosi un ordine di grandezza dei tempi caratteristici sui quali opererebbe la
gravita su scala solare. I 2 103 secondi ricavati assicurano che se sul Sole la forza di gravita
fosse libera di operare, il Sole dovrebbe rapidamente modificarsi sotto i nostri occhi. Poiche
cio non avviene, dobbiamo concludere che la forza di gravita e contrastata ed annullata
dalle forze di pressione generate nel gas, producendo una struttura che definiremo quasi
stazionaria, perche - come constateremo - pur se le forze di pressione annullano le forze di
gravita la struttura e costretta sia pur lentamente ad evolvere.
E facile tradurre le precedenti considerazioni in una relazione quantitativa. Assumendo
la simmetria sferica della struttura solare - come suggerito dallevidenza osservativa - il

1
2

Fig. 2.1. Il bilancio della forza di gravita Fg e delle forze di pressione Fp per un generico elemento
di materia di volume dV = dS dr.

bilancio tra le forze di pressione e quelle gravitazionali (fig. 2.1) per un generico elemento di
massa dm = dV = dSdr fornisce la relazione dellequilibrio idrostatico

dP (r) Mr (r)(r)
= G dr (1)
dr r2
dove P rappresenta la pressione totale operante nellambiente (quindi non la sola pres-
sione del gas A2.1 ), la densita locale ed Mr la massa contenuta allinterno del generico
raggio r.
Questa equazione fornisce una prima relazione tra le tre grandezze incognite P, ed Mr ,
assicurando che la pressione deve crescere con continuita muovendosi verso linterno della
stella. In realta una delle incognite e solo formale, perche dalla definizione di Mr si ricava
subito lequazione di continuita

dMr = 4r2 dr (2)

Aggiunta alla precedente, lequazione di continuita forma un sistema di due equazioni


differenziali nelle tre indicate incognite. Dalla sola condizione di equilibrio non e dunque
possibile definire landamento delle variabili fisiche lungo la struttura, e cio non sorprende
perche la struttura medesima dipendera da come e P sono tra loro collegate, cioe dall
equazione di stato che per ogni assegnata composizione della materia consistera in una
relazione del tipo

P = P (, T ) (3)

E subito visto che lintroduzione dellequazione di stato, se aumenta il numero delle


equazioni aumenta anche il numero delle incognite, introducendo la nuova incognita tem-
peratura ( T(r) ). Come peraltro prevedibile, la distribuzione delle temperature e quindi
un ingrediente essenziale nel determinare lo stato della struttura. Sara di conseguenza nec-
essario, in linea del tutto generale, ricorrere ad opportune valutazioni delle leggi fisiche che
regolano la distribuzione delle temperature nella materia stellare, determinando landamento
del gradiente di temperatura dT/dr.
Notiamo che la presenza di un gradiente di temperatura implica la conseguente presenza
di un flusso di energia che tende a riequilibrare lo stato energetico dei diversi strati di
materia. Le interazioni particella-particella e fotone-particella tendono inevitabilmente a
ridistribuire lenergia, producendo un trasporto di calore verso le zone a minor temperatura.
E peraltro noto come i possibili meccanismi per tale trasporto siano conduzione, convezione
3

ed irraggiamento. Escludendo per il momento il caso della convezione, negli altri due casi si
ha - come regola generale - che il flusso di calore e proporzionale al gradiente
dT
= cost (4)
dr
relazione che puo essere letta come una delle tanti leggi di proporzionalita tra causa
(dT/dr) ed effetto (il flusso ), una sorta di legge di Ohm dove la costante rappresenta
la resistenza al trasporto. La materia allinterno di una stella si trova in generale nello
stato gassoso, cui corrisponde (ma con importanti eccezioni) una trascurabile efficienza dei
meccanismo conduttivi. In tal caso si puo dimostrare ( A2.2) che tra il flusso trasportato
per radiazione (dai fotoni) ed il gradiente di temperatura intercorre la relazione
dT 3
= (5)
dr 4ac T 3
dove a= costante del corpo nero = 7.6 1015 cm, c= velocita della luce e opacita per
grammo di materia e definita dalla relazione

=1/,

con cammino libero medio dei fotoni: minore il cammino libero medio maggiore
lopacita.
Da tale del trasporto radiativo si ricava non solo che un gradiente di temperatura gen-
era un flusso, ma anche che la presenza di un flusso implica un gradiente di temperatura.
Lemergere di un flusso luminoso dalle strutture stellari e quindi indicazione che la temper-
atura cresce dalla superficie verso linterno, e che tale aumento deve continuare sinche la
struttura e percorsa da un flusso di energia uscente. Se ne trae anche la conseguenza che se
nelle zone centrali di una struttura stellare non vi sono sorgenti (positive o negative) di ener-
gia, allora tali zone devono tendere ad una situazione isoterma. Un gradiente di temperatura
produrrebbe infatti un flusso volto a riequilibrare le differenze di temperatura.
Nellequazione del trasporto il flusso locale puo utilmente essere espresso, per ogni r,
in termini della flusso energetico totale attraverso la superficie sferica di raggio r (Lr (r)=
luminosita)

Lr = 4r2

talche lequazione del trasporto diventa, nel caso di trasporto radiativo


dT 3 Lr
= (6)
dr 4ac T 3 4r2
Abbiamo cosi una quarta relazione, che introduce lulteriore incognita Lr , cosi che in
totale si hanno quattro equazioni che contengono le sei variabili r, Lr , P, T, Mr , . La
condizione su Lr e peraltro subito fornita dalla conservazione dellenergia
dLr
= 4r2 (7)
dr
dove rappresenta la produzione di energia per grammo di materia e per secondo. La
relazione precedente rappresenta il bilancio energetico, stabilendo che se lenergia totale
che fluisce attraverso la struttura subisce una variazione tra r e r+dr cio e dovuto alla
produzione o assorbimento di energia nella corrispondente massa dm = 4r2 dr. E proprio
questa diretta collegabilita al bilancio energetico che fa preferire luso della variabile Lr
nellequazione del trasporto.
Con questa ultima relazione si raggiunge un sistema di cinque equazioni (di cui quattro
differenziali) che legano i sei parametri r, Lr . P, T, Mr ,
4

1. dP/dr equilibrio idrostatico


2. dMr /dr equazione di continuita
3. dT/dr equazione del trasporto
4. dLr /dr conservazione dellenergia
5. P = P(, T) equazione di stato

sistema che, con le opportune condizioni al contorno, puo essere risolto, ricavando
landamento di cinque delle precedenti variabili in funzione dellandamento della sesta vari-
abile assunta come variabile indipendente.
Ripercorrendo le assunzioni operate concludiamo che il sistema di equazioni governa
ogni sistema a simmetria sferica, autogravitante, in equilibrio idrostatico e sinche si resti
nel campo di applicabilita della meccanica non relativistica ( A2.3). Al variare della com-
posizione chimica della materia stellare, le soluzioni si differenzieranno non per lalgoritmo
delle equazioni fisico matematiche sin qui descritte, ma per il diverso comportamento fisico
della materia depositato in tali equazioni dalle tre relazioni

1. P (, T ) equazione di stato
2. (, T ) opacita della materia stellare
3. (, T ) produzione di energia

ove si e esplicitamente indicato come ci si attenda che non solo la pressione ma anche
lopacita e la produzione di energia dipendano dalle condizioni termodinamiche della materia
oltre che dalla non esplicitata composizione chimica della materia medesima.

2.2. La convezione ed il criterio di Schwarzschild. Overshooting.


Le equazioni dellequilibrio di una struttura stellare discusse nel punto precedente sono state
ricavate sotto la condizione di assenza di trasporto convettivo. Levidenza osservativa mostra
peraltro che moti convettivi sono presenti alla superficie di molte stelle e, in particolare, alla
superficie del Sole. La trattazione dovra quindi essere estesa per tener conto anche di una
tale evenienza. Conviene trattare tale problema in due passi successivi: questa sezione sara
dedicata alla identificazione delle regioni di una struttura stellare che risultano instabili per
moti convettivi. Nella prossima sezione discuteremo il problema del trasporto convettivo al
fine di ricavare le condizioni sul gradiente di temperatura richieste dalle le equazioni di
equilibrio.
Lidentificazioni delle regioni convettive riposa sul Criterio di Schwarzschild, che in
sostanza risulta una applicazione dellantico principio di Archimede per il quale un corpo
immerso in un fluido riceve una spinta verso lalto pari al peso del fluido spostato. Per
giungere alla formulazione di tale principio ricordiamo innanzitutto che in assenza di moti
convettivi il gradiente di temperatura resta determinato dal gia discusso gradiente radia-
tivo (dT/dr)rad . Alla formulazione di tale gradiente sin qui adottata preferiremo nel seguito
la parallela definizione (dT/dP)rad , subito ricavabile coniugando la prima con lequazione
dellequilibrio idrostatico (dT/dP= dT/dr dr/dP). La ragione di tale preferenza e duplice.
Innanzitutto dT/dP e una relazione tra grandezze termodinamiche, utilmente confrontabile
con le grandezze termodinamiche proprie del gas stellare. Lassunzione di dT/dP libera in-
oltre la discussione dalla fastidiosa occorrenza di un dT/dR per definizione negativo (la
temperatura cresce verso linterno) che complicherebbe formalmente la discussione.
Partendo dunque dallevidenza che in assenza di convenzione il gradiente di temperatura
locale deve essere pari a quello radiativo, possiamo domandarci se in tali condizioni la zona
risulta o meno stabile rispetto alla convezione. A tale scopo dobbiamo domandarci se piccole
fluttuazioni R nella posizione di un elemento di materia inneschino o meno un moto
convettivo. A seguito dello spostamento lelemento variera la propria pressione adeguandola
5

Fig. 2.2. In un ambiente a gradiente radiativo, se tale gradiente risulta maggiore di quello adia-
batico (1) un elemento di materia che si sposti adiabaticamente dalla posizione iniziale si trova piu
caldo dellambiente a minori pressioni (spostamento verso lalto) o piu freddo a pressioni maggiori
(spostamento verso linterno). In tutti e due i casi lelemento e stimolato a proseguire il moto in-
nescando una instabilita convettiva. Nel caso in cui il gradiente radiativo risulti minore di quello
adiabatico (2) si manifesta invece una forza di richiamo che rende lambiente stabile.

a quella dellambiente con tempi scala meccanici. Gli scambi di calore avvengono invece
sui piu lunghi tempi scala termodinamici, talche potremo assumere che lespansione (se
assumiamo uno spostamento verso lalto, a pressione minore) o la compressione risultino
adiabatiche.
Dalla figura 2.2 si ricava immediatamente che se il gradiente locale (assunto come radia-
tivo) e minore del gradiente adiabatico dT/dP, per uno spostamento verso lalto lelemento
risulta piu freddo dellambiente, quindi piu denso e soggetto ad una forza di richiamo verso
la posizione originale. Analoghe considerazioni valgono per uno spostamento verso il basso.
Se ne conclude che in tali condizioni la zona e stabile. Ripetendo il ragionamento nel caso di
un gradiente radiativo maggiore di quello adiabatico si giunge invece alla conclusione che in
tal caso la zona e instabile, talche si giunge alla formulazione del Criterio di Schwarzschild
che stabilisce che in una struttura stellare sono instabili per convezione tutti quegli strati
per i quali risulta

dT dT
( )rad > ( )ad (8)
dP dP
A tale formulazione viene talora preferita la forma logaritmica

rad > ad (9)

dove = P/T dT/dP = dlogT/dlogP e ad = 0.4 per un gas perfetto monoatomico


( A2.4).
Si deve peraltro notare che, a rigor di termini, il criterio di Schwarzschild identifica
le zone in cui linstabilta convettiva e stimolata ed allinterno delle quali sono attivi moti
convettivi con velocita che saranno determinate da complessi meccanismi legati anche agli
scambi termici ed alla viscosita del mezzo. E cosi evidente che il frenamento di tali moti
deve avvenire nella zona formalmente stabile per convezione, laddove si manifesta una forza
di richiamo. Ne segue che oltre i limiti definiti dal criterio di Schwarzschild deve esistere una
zona di penetrazione degli elementi convettivi, indicata come zona di overshooting (fig. 2.3).
6

Fig. 2.3. Nella regione in cui e violato il criterio di stabilita di Schwarzschild un elemento di
convezione e soggetto a forze che ne favoriscono il moto. Il frenamento di tali elementi dovra quindi
avvenire nelle zone di stabilita al bordo della zona precedente, producendo un rimescolamento di
materia che si estende al di la dei limiti formali di stabilita (overshooting).

Le dimensioni di tale zona sono un problema astrofisico ancora aperto. Lapproccio


canonico assume come trascurabili tali dimensioni, ma sullargomento esiste un ampio
dibattito e alcune valutazioni evolutive assumono tali dimensioni come un parametro libero
da determinare attraverso il confronto con le osservazioni.
Notiamo infine che la formulazione del gradiente radiativo, unita al criterio di
Schwarzschild, consente di operare alcune previsioni generali sullo sviluppo della con-
vezione nelle strutture stellari. Il valore del gradiente radiativo risulta infatti proporzionale
allopacita ed al flusso di energia e se ne puo dedurre che alti valori di uno di questi due
parametri possano condurre il gradiente radiativo a superare quello adiabatico. Lopacita
sale a valori estremamente elevati negli strati in cui lidrogeno e in stato di ionizzazione
parziale, per il semplice motivo che i fotoni vengono facilmente catturati, ad esempio, per
effetto fotoelettrico da elettroni che sono gia in gran parte su stati eccitati ( 3.3). Ne
segue linteressante previsione secondo la quale tutte le stelle con temperatura superficiale
sufficientemente minore della temperatura di ionizzazione dellidrogeno debbano necessaria-
mente sviluppare regioni convettive nelle zone piu esterne (inviluppi convettivi), che devono
contemporaneamente essere assenti nelle stella a piu alta temperatura superficiale. La tran-
sizione si pone attorno a temperature effettive Te 10 000 K.
A fianco di tale convezione da opacita si potra avere una convezione da flusso che
dipendera da quanto i meccanismi di produzione di energia dipendono dalla temperatura.
E infatti subito visto che al crescere di tale dipendenza la produzione di energia si concen-
tra sempre piu verso il centro della struttura, facendo crescere i flussi. Nel caso quindi di
combustioni nucleari con forte dipendenza dalla temperatura ci attendiamo la presenza di
nuclei convettivi. Anticipiamo qui che ad esclusione della catena pp ( T 4 ) tutte le altre
combustioni nucleari hanno dipendenze estremamente elevate (CNO T 14 ; 3 T 22 con
conseguente presenza di nuclei convettivi.

2.3. Trasporto radiativo e trasporto convettivo


Stabilito sotto quali condizioni ci si attende la presenza di moti convettivi, resta da stabilirne
lefficienza e, in particolare, il gradiente di temperatura che si realizza nelle regioni sedi di
tali moti. E innanzitutto da rilevare come la convezione trasporti energia tramite il moto
ciclico di materia che assorbe energia nelle zone inferiori, piu calde, per ricederla nelle zone
superiori. Per ricavare un utile quadro di riferimento, possiamo semplificare il fenomeno
assumendo che un elemento di convezione inizialmente in equilibrio con lambiente alla base
7

Fig. 2.4. Un elemento di convezione che si innalzi adiabaticamente nellambiente per un tragitto l
al termine del tragitto si portera ad una temperatura T1 = T0 + (dT /dP )ad P , circondato da un
ambiente a temperatura T2 = T0 + (dT /dP )amb P .

della zona convettiva si innalzi adiabaticamente per un tragitto l cedendo qui il calore in
eccesso. Come ordine di grandezza di l possiamo assumere laltezza di scala di pressione

1 dP
HP = (10)
P dr
definita come il tragitto che vede diminuire la pressione di un fattore 1/e, assunto come
il tipico tragitto lungo il quale un elemento di convezione (in necessaria espansione) possa
mantenere una propria individualita.
E subito visto che, pur nellipotesi adiabatica che e la piu favorevole al trasporto, la
convezione puo trasportare calore solo se il gradiente ambientale sia maggiore di quello
adiabatico (superadiabatico). Solo in tal caso al termine del tragitto lelemento risultera
piu caldo dellambiente circostante, in grado di cedere calore e di contribuire al trasporto
dellenergia. Tali semplici considerazioni mostrano che in una zona convettiva, dove - per
definizione - il gradiente radiativo e maggiore di quello adiabatico, il gradiente effettivo
e limitato dallessere necessariamente maggiore del gradente adiabatico ma anche minore
del gradiente radiativo perche, per definizione di gradiente radiativo, lesistenza di un tale
gradiente implica il trasporto radiativo dellintero flusso energetico.
Il problema e pertanto quello di valutare il grado di superadiabaticita del gradiente locale.
Per far cio ricorriamo ancora al precedente modello di convezione per notare che lenergia
ceduta da un elemento di convezione sara pari a

Q = CT (11)

ove C rappresenta la capacita termica dellelemento e T la differenza di temperatura


tra lelemento e lambiente a fine tragitto. Questultima grandezza e subito ricavabile come
Z
dT dT
T = [( )ad ( )amb ]dP (12)
l dP dP

ove lintegrando e appunto il valore della superadiabaticita del gradiente ambientale.


La capacita termica del gas allinterno di una stella e peraltro cosi elevata che, ove si
assuma che una sostanziale frazione della materia concorra al trasporto, per trasportare i
flussi stellari si richiede di fatto una superadiabaticita microscopica ( 105 ), talche a tutti
8

gli effetti pratici e in genere lecito assumere direttamente un gradiente ambientale pari a
quello adiabatico.
Cio non e piu vero solo nelle zone piu esterne della struttura ove la marcata diminuzione
della capacita termica, conseguente alla diminuita densita della materia, genera un non
piu trascurabile fabbisogno di superadiabaticita. In tal caso (convezione subatmosferica)
manchiamo ancora di una teoria soddisfacente della convezione, ed e duso ricorrere ad un
algoritmo approssimato noto come (Teoria della Mixing Length A2.5).
E da notare che se il trasporto radiativo puo o meno essere attivo, il trasporto radiativo
- in accordo alla (6) - in presenza di un gradiente di temperatura e sempre efficiente. La
convezione puo quindi essere intesa come un meccanismo di troppo pieno che scatta quando le
richieste di gradiente per il trasporto radiativo superano la soglia del gradiente adiabatico,
attivando un ulteriore canale di trasporto. E, in tale visione, il criterio di Schwarzschild
stabilisce che in presenza di meccanismi di trasporto concorrenti si stabilisce il processo che
minimizza le richieste di gradiente.
In caso di convezione, lefficienza relativa dei due canali di trasporto resta collegata al
rapporto tra i gradienti. In particolare si ricava banalmente che:

rad >> amb ad la zona e instabile per convezione ed il trasporto e essenzial-


mente convettivo.

rad amb > ad la zona e instabile per convezione ma il trasporto e essenzialmente


radiativo.

2.4. Le atmosfere stellari e la trattazione degli strati atmosferici


Si e gia indicato come lanalisi spettroscopica delle sorgenti stellari riveli nella grande mag-
gioranza dei casi una distribuzione energetica largamente assimilabile ad uno spettro di corpo
nero deformato dalla presenza di righe o bande di assorbimento.Cio mostra come nellinterno
di una struttura stellare i meccanismi di interazione particella-particella e particella-fotone
siano cosi efficienti da mantenere lequilibrio termodinamico, cosi che si possa definire una
comune temperatura per particelle e radiazione. Ovviamente cio implica che le particelle
seguano una distribuzione di Maxwell-Boltzmann e i fotoni quella di corpo nero, assun-
zione questultima sulla quale riposa la formulazione del gradiente radiativo discussa nelle
precedenti sezioni.
Caratteristica necessaria della radiazione di corpo nero e di essere isotropa. Lesistenza in
una stella di un flusso uscente contraddice solo apparentemente tale condizione: lanisotropia
necessaria per rendere conto del flusso uscente risulta essere solo una trascurabile frazione
dellenergia contenuta sotto forma di fotoni, talche lequilibrio termodinamico puo consider-
arsi pienamente realizzato. E evidente pero che tale condizione viene a cadere negli strati
piu esterni della struttura, dove per la bassa densita della materia diminuiscono le interazioni
e il flusso e di fatto un flusso netto uscente. Dunque lequazione del trasporto radiativo non
puo essere utilizzata e cio limita la validita dellintero sistema di equazioni ai soli strati
interni di una struttura, di cui gli strati piu esterni rappresentano una sorta di condizione
al contorno.
Per definire piu propriamente il ruolo di tali inviluppi stellari introduciamo la grandezza
= prof ondita0 ottica, definita come la probabilita che ha un fotone di subire uninterazione
prima di lasciare la stella. E subito compreso che e in linea di principio correlabile
alla profondita geometrica dei vari strati dellinviluppo stellare, risultando = 0 al lim-
ite esterno della struttura, crescendo poi al crescere della profondita degli strati. Possiamo
definire atmosfera di una stella la zona di inviluppo per la quale 1. Con tale definizione
latmosfera di una stella e quella zona oltre la quale non possiamo vedere, ovvero - con
9

espressione piu corretta - oltre la quale non e possibile che ci giungano informazioni di-
rette trasportate dai fotoni che, per definizione, subiranno almeno una interazione prima di
emergere dalla struttura.
La nozione di atmosfera e quindi collegata a meccanismi di opacita, e si puo definire
attraverso la relazione

dr
d = = dr (13)

ove, per la gia data definizione di , rappresenta linverso del cammino libero medio
del fotone e dunque la probabilitadi interazione per unita di percorso.
Le caratteristiche spettrali della radiazione osservata mostrano che una radiazione di
corpo nero proveniente dalla base dellatmosfera ( = 1), viene filtrata nel passaggio at-
traverso latmosfera, ove meccanismi selettivi di assorbimento o diffusione da parte degli
atomi dellatmosfera stessa estraggono fotoni dal fascio uscente, isotropizzandoli, in cor-
rispondenza delle frequenze proprie delle possibili transizioni elettroniche. La valutazione
delle strutture atmosferiche e operazione estremamente complessa, per la quale e necessario
valutare nel dettaglio il trasporto radiativo nelle locali condizioni di anisotropia, tenendo
conto della presenza di milioni di righe di assorbimento. Nella pratica dei calcoli di strutture
stellari si preferisce ricavare da tali calcoli dettagliati la relazione funzionale

T = T (, Te ) (14)

che con buona approssimazione risulta una funzione della sola temperatura efficace Te .
Adottando tale funzione e possibile chiudere semplicemente il sistema di equazioni della
struttura atmosferica. Poiche dalla definizione di si trae dr = - d / , la relazione
dellequilibrio idrostatico puo essere portata nella forma

M g
dP = G dr = d (15)
r2

dove = (, T) oltre che della composizione chimica dellatmosfera e g=GM/R2


rappresenta laccelerazione di gravita alla superficie della stella. Poiche massa e dimensioni
dellatmosfera sono in ogni caso trascurabili rispetto a massa (M) e raggio (R) della stella e
lecito assumere Mr =M e r=R.
Gli strati atmosferici sono quindi descritti dalle tre relazioni

dP g
= (16)
d (, T )

T = T (, Te ) (17)

P = P (, T ) (18)

che regolano la distribuzione di P, , T nellatmosfera stellare al variare di ( A2.4).


Lintegrazione di tali relazioni da = 0 sino alla base dellatmosfera = 1 fornisce il valore
di P in tale punto, T e dato dalla (17), dallequazione di stato e R, M, L sono i valori di
raggio, massa e luminosita della stella, costanti lungo tutta latmosfera.
10

2.5. Le variabili naturali del sistema


A partire dalla base dellatmosfera inizia il dominio di validita del sistema delle 5 equazioni
che descrivono il comportamento fisico di una struttura stellare e che collegano tra loro le 6
grandezze r, Lr , P, T, Mr , . Notiamo peraltro che lequazione di stato fornisce una relazione
diretta tra P, T, , diminuendo di uno i gradi di liberta del sistema. Il nucleo del sistema
e cosi costituito dalle 4 equazioni differenziali dove considereremo come incognite P e T,
restando noto dallequazione di stato non appena note P e T. Il sistema di 4 equazioni
e quindi in grado, con le opportune condizioni al contorno, di fornire quattro di queste
grandezze in funzione della quinta assunta come variabile indipendente.
Nella formulazione sin qui adottata abbiamo assunto la variabile indipendente r. Tale
assunzioni, che ha radici antropocentriche non e fisicamente tra le piu felici. Avviene
infatti che talora r non si presenti come una variabile naturale del sistema, nel senso che
le grandezze fisiche in gioco hanno campi di escursione non significativamente collegati alla
corrispondente escursione della coordinata radiale.
Al di la di questo, la coordinata radiale non e lagrangiana, nel senso che - al modificarsi
della struttura - un fissato valore della coordinata radiale non corrisponde ad un determi-
nato elemento di materia. Cio non avviene ove si scelga per variabile indipendente Mr che
risulta lagrangiana proprio nel senso che risulta collegata a determinati elementi di materia,
indipendentemente da variazioni (espansioni o contrazioni) nella geometria della struttura,
almeno sinche non siano presenti movimenti di materia (quali la convezione) allinterno della
struttura stessa. Per tale motivo allinterno della struttura e duso utilizzare come variabile
indipendente Mr .
E peraltro da notare che, causa la bassa densita delle regioni piu esterne, nelle zone
immediatamente al di sotto dellatmosfera la variabile Mr tende a saturare, raggiungendo
asintoticamente il suo valore M = massa totale della struttura. Grandi variazioni della pres-
sione restano percio contenute in variazioni percentualmente minime di Mr , che potrebbero
diventare confrontabili con gli errori di arrotondamento delle cifre introdotti dai calcolatori.
La grande precisione dei moderni calcolatori consente in genere di superare tale difficolta.
Tuttavia alcuni programmi evolutivi preferiscono ancora prevenire tale pericolo adottando
per una breve regione al di sotto dellatmosfera (ad esempio sino a Mr /M =0.97) la variabile
indipendente P.
Riassumendo, lintera struttura stellare risulta cosi matematicamente divisa in tre regioni
di integrazione

1. Le zone atmosferiche (0 1 : r = R, Mr = M, Lr = L): sistema di tre equazioni con


variabile indipendente .
2. Eventuali zone subatmosferiche (1 Mr /M 0.97): sistema completo delle 5 equazioni,
variabile indipendente P.
3. Le zone interne (0.97 Mr /m 0): sistema completo delle 5 equazioni, variabile in-
dipendente Mr .

2.6. Metodi di calcolo


Landamento delle variabili fisiche allinterno di una struttura stellare e dunque retto da
un sistema di quattro equazioni differenziali che, integrato con lequazione di stato, con-
sente di ricavare landamento di cinque delle variabili in funzione di una sesta assunta come
variabile indipendente per ogni prefissato valore della massa M della struttura e per ogni pre-
fissata distribuzione della composizione della materia all interno della struttura medesima.
Notiamo subito che lesistenza di quattro equazioni differenziali del primo ordine richiedera
lindividuazione di quattro opportune condizioni al contorno. Stante la complessita del sis-
tema non esistono in generale soluzioni analitiche e la soluzione e ottenuta sulla base di
11

tecniche di calcolo numeriche basate su metodi a differenze finite, ove cioe i differenziali
sono approssimati con incrementi piccoli ma finiti, cosi che le relazioni differenziali vengono
trasformate in equazioni algebriche.
Prima di illustrare i due diversi metodi in uso per la soluzione di tali equazioni dis-
cuteremo lintegrazione degli strati atmosferici, in quanto ingrediente di base che entra
nellarchitettura di tutti e due i metodi cui abbiamo fatto riferimento.
2.6.1 Integrazione degli strati atmosferici
Ricordiamo che per gli strati atmosferici abbiamo stabilito la relazione differenziale (2.13)
che, in termini di differenze finite puo essere scritta come
g
Pj+1 Pj = (j+1 j ) (19)

ove, in accordo con il metodo delle differenze finite, lintervallo di integrazione 0 1
e stato opportunamente suddiviso prefissando N valori j della variabile indipendente (N
mesh) per j che va da 1 a N. Pj e il valore, da determinare, della variabile nel generico punto
j. Accanto a questa relazione differenziale abbiamo le due ulteriori relazioni, qui ripetute
per comodita

T = T ( , Te )
P = P ( , T )

Tali relazioni consentono di ricavare landamento delle variabili P, , T in un atmosfera


stellare per ogni prefissato valore della massa stellare M, quando siano assegnati due tra
i tre parametri R, L e Te il terzo restando determinato dalla relazione L = 4 R2 T4e .
Assegnando ad esempio, come duso, M, L e Te restano fissati g = G M/R2 e Te . Sotto tali
condizioni, note le grandezze nel generico punto j la (19) fornisce il valore della pressione
nel punto j+1
g
Pj+1 = Pj + (j+1 j ) (20)

la temperatura nello stesso punto j+1 e fornita dalla T( ,Te ), dallequazione di stato si
ricava allora la densita e, con essa, il valore di (, T). Basta quindi fornire i valori per =
0 (N = 1) ( A2.6) per ricavare per ricorrenza landamento di P, , T su tutto lintervallo
considerato.
Tale integrazione per tangenti (cfr. fig.2.5) risultera tanto piu accurata quanto piu piccoli
gli intervalli (passi ) della variabile indipendente. Nella pratica, tali passi possono essere
collegati alla condizione che la variabile dipendente lungo un passo non vari piu di una
prefissata percentuale, e la bonta dellintegrazione puo essere controllata verificando, ad
esempio, che un ulteriore dimezzamento dei passi non vari il risultato entro la richiesta
precisione. Sulla base di tale schema sono costruiti algoritmi di calcolo numerico (ad es. il
metodo di Runge-Kutta) che, con lintroduzione di opportuni coefficienti di correzione basati
sullandamento della funzione gia integrata consentono di minimizzare il numero di passi per
ogni prefissata precisione.
2.6.2 Il metodo del fitting
Per ogni prefissato valore della massa totale M e per ogni scelta dei due parametri L e
Te si possono quindi ricavare i valori di P e T (e quindi ) alla base dellatmosfera, ove sono
quindi disponibili i valori di tutte e sei le variabili

r=R, Lr =L, P, T, , Mr =M
12

Fig. 2.5. Nellintegrazione per tangenti, noto il valore della derivata della generica variabile Y(X)
nel mesh Xj si pone Yj+1 = (dY/dX)j (Xj+1 - Xj ), valutando cosi la variazione lungo la tangente
definita dalla derivata in Xj , con un errore che diminuisce al diminuire dellassunto X.

che compaiono nel sistema di equazioni per lequilibrio stellare. Supponendo di utilizzare
subito come variabile indipendente Mr , possiamo riscrivere le equazioni di equilibrio in
funzioni della variazioni di tale variabile. Ponendo dr =dMr /4 r2 e passando nuovamente
allo schema di differenze finite si ottiene
Mr,j
Pj+1 Pj = G (Mr,j+1 Mr,j ) (21)
4rj4

Mr,j+1 Mr,j
rj+1 rj = (22)
4rj2

3Lr,j 1
Tj+1 Tj = (Mr,j+1 Mr,j ) (23)
64ac 2 r4 T 3
se (dT/dP)rad (dT/dP)ad , altrimenti

Mr,j dT
Tj+1 Tj = G ( )ad (Mr,j+1 Mr,j ) (24)
4r4 dP
Lr,j+1 Lr,j = (25)

Analogamente a quanto gia discusso per lintegrazione atmosferica, se nel mesh Mr,j sono
noti i valori delle variabili r, Lr , P, T, (dallequazione di stato), (, T ) e (, T ) sono noti
i valori di tutti i coefficienti a secondo membro delle relazioni precedenti, e per ogni assunto
Mr = Mr,j+1 Mr,j le relazioni forniscono il valore delle variabili nel mesh j+1. Partendo
dal primo mesh, alla base dellatmosfera, literazione di tale procedura consente di spingere
lintegrazione lungo tutta la struttura.
Perche il risultato possa rappresentare una stella occorre e basta che per Mr = 0 (centro
della struttura) risulti r = 0 e Lr = 0. In linea di principio si potrebbe pensare di identificare
la soluzione variando opportunamente i valori di L e Te di partenza, sino a soddisfare le
citate condizioni centrali. Nella pratica cio non e consentito dalla eccessiva sensibilita delle
soluzioni a Mr = 0 dalle condizioni superficiali. Il metodo del fitting (cioe del raccordo)
supera questa difficolta procedendo ad una integrazione dall esterno a partire una coppia
di valori di prova L e Te , spingendo lintegrazione sino ad un prefissato valore della massa
Mr = MF ( massa di fitting) ottenendo in tale punto una quadrupletta di valori re , Ler , Pe ,
Te , ove lindice e sta ad indicare che tali valori sono il risultato dellintegrazione esterna.
13

L, Te re (L, Te ), Le (L, Te ), Pe (L, Te ), Te (L, Te )

ove si e evidenziata la ovvia dipendenza dei valori della quadrupletta dai due assunti
valori di prova L e Te . Si procede poi ad una integrazione dal centro imponendo in tale
punto r = Lr = 0 e assumendo due valori di prova Pc e Tc ricavando nello stesso punto di
fitting unaltra quadrupletta di valori ri , Lir , Pi , Ti ,

Pc , Tc ri (Pc , Tc ), Lir (Pc , Tc ), Pi (Pc , Tc ), Ti (Pc , Tc )

e lintegrazione sara corretta solo quando le due quadruplette vengano a coincidere.


In generale, le integrazioni basate sui parametri di prova forniranno al fitting valori non
concordanti, e porremo per tali discrepanze

r e r i = r

Ler Lir = L

P e P i = P

T e T i = T

Tenuto presente che i valori delle due quadruplette dipenderanno dai valori di prova
assunti, rispettivamente, per L, Te e Pc , Tc , il metodo del fitting consiste nel valutare
quali le variazioni da apportare ai 4 valori di prova per annullare le discrepanze tra le due
quadruplette, o - nella pratica - perche le discrepanze (Pi - Pe )/Pi e simili scendano al di
sotto di una soglia di precisione tipicamente non maggiore di 104 .
In approssimazione lineare, la variazione dei valori delle quadruplette puo essere espressa
in funzione delle derivate parziali dei valori medesimi rispetto ai relativi valori di prova. Cosi,
ad esempio

P e = (P e /L)T e=cost L + (P e /Te )L=cost Te

e, corrispondentemente,

P i = (P i /Pc )T c=cost Pc + (P i /Tc )Pc =cost Tc

Sulla base di simili relazioni, per la variazione delle discrepanze si ottiene

re re ri ri
(re ri ) = ( )T e L + ( )L Te + ( )T c Pc + ( )P Tc (26)
L Te Pc Tc c

Ler Le Li Li
(Ler Lir ) = ( )T e L + ( r )L Te + ( r )T c Pc + ( r )Pc Tc (27)
L Te Pc Tc

P e P e P i P i
(P e P i ) = ( )T e L + ( )L Te + ( )T c Pc + ( )P Tc (28)
L Te Pc Tc c

T e T e T i T i
(T e T i ) = ( )T e L + ( )L Te + ( )T c Pc + ( )P Tc (29)
L Te Pc Tc c
Imponendo che tali variazioni siano eguali ma di segno contrario alle discrepanze i (i =
1, 4), cosi da annullare le differenze delle due quadruplette al fitting, ove siano noti i valori
delle derivate si ottiene un sistema lineare di quattro equazioni nelle quattro incognite L,
Te . Pc . Tc e con termini noti -i (i=1,4).
14

I valori delle derivate parziali sono ricavati eseguendo quattro integrazioni, due dall
esterno e due dallinterno, a partire dai valori al contorno

L + L, Te
L, Te + Te
Pc , Tc + Tc
Pc + Pc , Tc

e ponendo per la generica variabile Xij (j=1, 4), Xej (j=1,4)

Xje Xje (L + L, Te ) Xje (L, Te )


(30)
L L
e simili per le derivate rispetto alle altre tre condizioni al contorno. La soluzione del
sistema di quattro equazioni lineari fornisce le quattro correzioni alle condizioni al contorno
sulla base delle quali operare una nuova coppia di integrazione esterno-interno. Poiche la
linearita del sistema delle correzioni e solo una approssimazione al primo ordine, la soluzione
viene in genere raggiunta attraverso una serie di iterazioni, sempre che le iniziali condizioni
al contorno non siano troppo distanti da quelle finali, risultando allinterno di quella che
viene definita larea di convergenza.
2.6.3 Il metodo di Henyey
Un approccio alternativo alla soluzione del problema consiste nel adottare una soluzione
di prova, cioe assegnare in ogni punto un valore delle funzioni r(Mr ), Lr (Mr ), P(Mr ), T(Mr ),
ed applicare un metodo che consente di correggere tali valori.
Possiamo riscrivere le equazioni dellequilibrio sotto forma di differenze finite e portando
tutti i termini a primo membro, ottenendo -ponendoci ad esempio nel caso di equilibrio
radiativo, le quattro relazioni algebriche

(Pj+1 Pj )/(rj+1 rj ) GMr,j j /rj2 = 0


(Mr,j+1 Mr,j )/(rj+1 rj ) 4rj2 = 0
(Tj+1 Tj )/(rj+1 rj ) (3/4ac)(j /Tj3 )Lr,j /4rj2 = 0
(Lr,j+1 Lr,j )/(rj+1 rj ) 4rj2 = 0

Poiche la soluzione di prova non soddisfa le equazioni di equilibrio, le quattro eguaglianze


a zero non saranno verificate, ed ognuna delle quattro relazioni dara, per ogni coppia degli
N mesh, una discrepanze

i,j i = 1, 4; j = 1, N 1

Occorre dunque operare sui valori di prova assegnati negli N singoli mesh in cui e stata
divisa la struttura al fine di azzerare i 4N-4 i,j cosi che le relazioni di equilibrio risultino
soddisfatte lungo tutta la struttura.
Notiamo al proposito che, avendo scelto come variabile indipendente Mr ed avendo
dunque prefissato il valore di Mr in opportuni mesh spaziati lungo la struttura, il gener-
ico i,j resta una funzione algebrica dei valori delle quattro variabili nei mesh j e j+1

i,j = f (rj , Lr,j , Pj , Tj , rj+1 , Lr,j+1 , Pj+1 , Tj+1 )

di cui e possibile ricavare algebricamente i valori delle derivate parziali rispetto alle otto
variabili.
Per la dipendenza del generico i,j dalle funzioni di prova potremo dunque scrivere per
ogni coppia di mesh e per ognuna delle 4 equazioni dellequilibrio una relazione che lega le
discrepanze al valore variabili
15
i,j i,j i,j i,j i,j i,j
i,j = rj rj + Lr,j Lr,j + Pj Pj +
Tj Tj + rj+1 rj+1 + Lr,j+1 Lr,j+1 +
i,j i,j
Pj+1 Pj+1 + rj+1 Tj+1

imponendo che per ogni coppia e per ogni equazione i, j subisca una variazione eguale
e di segno contrario alla discrepanza trovata, si ottiene in definitiva un sistema di 4N-4
equazioni nelle 4N incognite
rj , Lr, j, Pj , Tj (j=1,N)
Il bilancio tra numero di incognite e numero di equazioni mostra - come dovevamo at-
tenderci - che la soluzione richiede lintervento di quattro condizioni al contorno. Due di
queste si ricavano immediatamente osservando che al centro della struttura deve risultare e
rimanere r = Lr = 0, e quindi

r1 = 0, Lr,1 = 0

Restano dunque 4n-2 incognite. Le altre due condizioni risultano dallimporre che lultimo
mesh (N) debba essere alla base dell atmosfera. Sappiamo infatti che le variabili fisiche alla
base dellatmosfera sono note non appena sia assegnata una coppia di valori L e Te . Per
lultimo mesh devono valere dunque le ulteriori condizioni

rN = f1 (L, Te )

Lr,N = f2 (L, Te )

PN = f3 (L, Te )

TN = f4 (L, Te )

che aggiungono alle precedenti 4 nuove equazioni e due incognite (L e Te ). In totale


abbiamo dunque un sistema di 4N equazioni in 4N incognite, che viene in genere risolto
per sostituzioni successive ( A2.8), fornendo i valori delle correzioni da apportare in ogni
mesh alle funzioni di prova per verificare le equazioni dellequilibrio. Avendo nuovamente
linearizzato il problema, la soluzione sara in genere raggiunta tramite una serie di iterazioni,
sempre che le funzioni di prova siano assegnate allinterno di unarea di convergenza.
16

Approfondimenti

A2.1. Energia interna, pressione della radiazione e pressione del gas perfetto.
Si e gia indicato ( A1.1) come allinterno di una struttura stellare materia e radiazione siano
ambedue da considerarsi termalizzate alla temperatura locale T In tali condizioni la densita e la
distribuzione in frequenza dei fotoni restano regolate dalle leggi del corpo nero, la densita di energia
risultando in particolare pari a U = aT 4 . In tali condizioni e anche facile ricavare il valore della
pressione di radiazione, collegata -come nel caso delle particelle- al momento trasportato dai fotoni.
Se immaginiamo la radiazione intrappolata allinterno di un cubetto di volume unitario a su-
perfici interne perfettamente riflettenti. Un generico fotone di energia E = h e momento p = h/c
avra una direzione di moto definita dai tre coseni direttori
cx cy cz
, ,
c c c
degli angoli formati dal vettore velocita c con i tre assi delle coordinate. Nellunita di tempo si
avranno cx urti contro le due pareti perpendicolari allasse x (Figura 2.6) ed in ogni urto verra
scambiata una quantita di moto pari in modulo a 2(h/c)cx /c. La somma (in modulo) dei momenti
scambiati dal fotone con le 6 pareti del cubetto nellunita di tempo risulta

h cx h cy h cz h
2 +2 +2 = 2 2 (c2x + c2y + c2z ) = 2h = 2E
c c c c c c c
Se ne conclude che il gas di fotoni isotropi scambia nellunita di tempo con ognuna delle pareti del
cubetto una quantita di moto pari a

p = E/3
dove E e la somma delle energie dei singoli fotoni. Poiche p = F t si ricava che il gas di fotoni
opera sulla superficie unitaria una forza (la pressione) pari a

Pr = E/3
Per una distribuzione di corpo nero si ricava cosi il valore della pressione di radiazione
1 a
Pr = U = T4
3 3
Con considerazioni del tutto analoghe si ricava per un gas perfetto non relativistico
1 2
Pg = mi vi2 = W
3 3
dove W = 21 mi vi2 rappresenta la densita di energia cinetica. Poiche lenergia cinetica media per
molecola e pari a 23 kT, 12 mi vi2 = nkT dove n rappresenta il numero di particelle per unita di
volume. Si ritrova cosi lequazione di stato del gas perfetto

Pg = nkT
Per un gas perfetto monoatomico W=U=3/2 kT. Nel caso piu generale U=N/2 kT, dove N e il
numero di gradi di liberta delle particelle, e si ricava facilmente
2
Pg = U
N
che, in analogia di quanto gia visto per la radiazione, pone in relazione la pressione con lenergia
interna per unita di volume.
17

Fig. 2.6. Nellurto elastico contro la parete un fotone di impulso h/c inverte la componente x
cx
cedendo un impulso pari a 2 h
c
cos = 2 h
c c
.

A2.2. Gradiente di temperatura e gradiente radiativo. Conduzione elettronica.


Se nel plasma stellare esiste un gradiente di temperatura (Fig. 2.7) la densita di fotoni cresce con la
temperatura e si produrra un flusso netto di fotoni dalle maggiori verso le minori temperature. E
possibile porre in relazione il gradiente di temperatura con tale flusso, osservando che le interazioni
con la materia tendono ad isotropizzare i fotoni del flusso, estraendoli dal fascio direzionale e che,
in tal modo, i fotoni devono cedere momento alla materia.
Il numero di interazioni subite da uno di questi fotoni in un tragitto dr e dato da dr/, dove
rappresenta il libero cammino medio del fotone. Se N e il numero di fotoni che attraversano nellunita
di tempo lunita di superficie, il momento trasferito nellunita di tempo dai fotoni alle particelle
sara

dr h
dp = N = dr
c c
Poiche la pressione di radiazione altro non e che il momento trasportato per unita di superficie e di
tempo, dp = dPr , e quindi


dr = dPr
c
Ove, come nel caso degli interni stellari, si possa assumere lequilibrio termodinamico locale, Pr =
a/3T 4 e si ottiene cosi

dPr 4a dT
= c = c T 3
dr 3 dr
Poiche il cammino libero medio dei fotoni dipende dalla frequenza, ponendo = 1/, dove
rappresenta una opportuna media (media di Rosseland) sulla distribuzione energetica dei fotoni:
1/ rappresenta la probabilita media di interazione per unita di percorso e prende il nome di
opacita per grammo di materia. Si ha cosinfine

4acT 3 dT
=
3 dr
che mostra come in condizioni di equilibrio termodinamico sussiste una necessaria proporzionalita
tra gradiente di temperatura e flusso di energia trasportato dai fotoni.
In assenza di convezione, poiche in un gas il trasporto per conduzione e in genere molto poco
efficiente, la precedente relazione si trasforma in una relazione tra gradiente di temperatura e flusso
totale di energia. Cio pero non e piu vero nel caso di degenerazione elettronica, allorquando per
motivi quantistici gli elettroni manifestano un comportamento collettivo ( A3.2). In tal caso,
18

Fig. 2.7. I fotoni che compongono il flusso di energia fluente tra due temperature T1 e T2 (T1 >
T2 ) subiscono interazioni che li isotropizzano cedendo qunatita di moto alla materia

come avviene nei metalli, un gas di elettroni mal sopporta gradienti energetici, e la conduzione
elettronica diviene un meccanismo di grande efficienza.
Per il flusso di energia c trasportato dalla conduzione si puo ancora porre

dT
c = C
dr
dove il valore di C resta definito per le varie condizioni fisiche del mezzo dalla teoria di un gas
elettronicamente degenere. In presenza di conduzione elettronica e duso generalizzare, con semplice
artificio, la precedente formula del gradiente radiativo. Basta infatti definire una opacita conduttiva
c attraverso la relazione

4acT 3
C=
3c
per ottenere

4acT 3 1 1 dT
r + c = ( + )
3 r c dr
Definendo come opacita totale 1/T = 1/r + 1/c si ottiene la forma generalizzata

4acT 3 dT
=
3T dr
che collega la totalita del flusso non convettivo al gradiente locale di temperatura.

A2.3. Lequazione di Oppenheimer-Volkoff. Il raggio di Schwarzschild.


La formulazione newtoniana della gravitazione, cos come inserita nella relazione dellequilibrio idro-
statico, non puo essere mantenuta per campi gravitazionali estremi, quando lenergia gravitazionale
delle particelle diventa non trascurabile a confronto dellenergia di massa E = mc2 . Occorre in tal
caso ricorrere al formalismo della relativita generale. Adottando la metrica di Schwarzschild, che
governa il campo gravitazionale a simmetria sferica generato da una massa m
rg 1
ds2 = (1 ) d(ct)2 + dr2 + r2 (d2 + sin2 d2 )
r 1 rg /r
dove

2Gm
rg =
c2
si giunge a riscrivere lequazione dellequilibrio idrostatico e quella della conservazione della massa
nella forma generalizzata relativistica

dP GMr P 4r3 P 2GMr 1


= 2 (1 + 2 ) (1 + ) (1 )
dr r c Mr c2 rc2
19

Fig. 2.8. La relazione massa densita centrale per le strutture di stelle di neutroni, La curva A
indica la soluzione per un gas di neutroni liberi mentre le altre curve portano esempi di equazioni
di stato piu elaborate.

dMr
= 4r2
dr
dove Mr , massa contenuta allinterno del raggio r. contiene il contributo non solo della massa a
riposo delle particelle ma anche quello della loro energia.
Le strutture in cui si rende necessaria lapplicazione di un tale formalismo si collocano in qualche
maniera ai due estremi delle normali strutture stellari: stelle supermassive e stelle di neutroni.
Per cio che riguarda gli oggetti supermassivi (M 105 108 M ) e da notare che per i normali
oggetti stellari esiste un limite superiore, a poco piu di 100 M , per la formazione di strutture
stabili. Cio perche al crescere della massa il crescente contributo della pressione di radiazione finisce
col destabilizzare la stella. Al livello di supermassivita indicato intervengono pero due nuovi fattori
che consentono, almeno in linea di principio, strutture gravitazionalmente legate. Infatti il campo
gravitazionale efficace e enormemente accresciuto dallequivalente in massa dellenergia e, nel con-
tempo, i fotoni perdono energia nel propagarsi contro il campo gravitazionale, riducendo di molto
gli effetti della pressione di radiazione.
Oggetti supermassivi sono stati nel passato invocati per giustificare lemissione luminosa da
nuclei galattici, radiosorgenti e quasars. Per quanto tale ipotesi sia stata ormai abbandonata, e da
notare che da una struttura di 105 M nelle fasi iniziali di combustione di idrogeno si attendono
1043 erg/sec, con temperature efficaci ( 1.7.1)Te 6 104 K. Il confronto con la luminosita del
Sole ( 1033 erg/sec) rivela come in tali oggetti supermassivi il rapporto luminosita/massa risulti
dellordine di 105 volte di quello solare.
A causa delle elevatissime densita, anche stelle di neutroni che eventualmente si producano
nellesplosione di Supernovae sono caratterizzate da campi gravitazionali estremamente intensi, e
necessitano quindi di un trattamento relativistico. Se si assume che i neutroni si comportino come
un gas di fermioni liberi ( A3.2) per essi vale un equazione di stato del tipo

P = P () 41019 5/3
che, unita alle due precedenti relazioni, consente di definire la
struttura delloggetto (caso politropico A5.1). Se ne ottiene una relazione massa-densita cen-
trale che raggiunge un massimo per M = 0.7M (Fig.2.8). E subito visto che strutture al di
sopra di tale limite non sono stabili: una fluttuazione della densita centrale porterebbe la stella
fuori dallequilibrio, innescando una contrazione e,di qui, un processo di collasso reazionato positi-
vamente.
20

Lapprossimazione di un gas di fermioni appare peraltro inadeguata, perche a densita che rag-
giungono e superano quelle nucleari interverranno certamente interazioni a molti corpi tra le par-
ticelle. Equazioni di stato piu realistiche appaiono spostare il precedente limite sino a 2-3 M (
Fig. 2.8. Al di sopra di queste masse non si trovano meccanismi in grado di fermare il collasso della
struttura, che dovrebbe quindi procedere indefinitamente.
Al riguardo e facile verificare come lequazione dellequilibrio presenti una singolarita per
2GM
r=
c2
E questo il cosiddetto raggio di Schwarzschild. Anche nellapprossimazione non relativistica si ver-
ifica facilmente che, per ogni massa, a tale raggio corrisponde una velocita di fuga pari alla velocita
della luce. In generale si trova quando il collasso raggiunge il raggio di Schwarzschild i fotoni non
sono ulteriormente in grado di sfuggire dalloggetto collassante, che quindi cessa di avere un tale
canale di comunicazione elettromagnetica con il resto dellUniverso (diventando una buca nera).

A2.4. Termodinamica della materia in condizioni stellari. Il gradiente adiabatico


ed il criterio di stabilita
Dalla usuale formulazione del primo principio della termodinamica, indicando con Q il calore
fornito ad un generico sistema termodinamico, si ha

Q = dU + pdV

ove appare la variabile estensiva V = volume occupato dal sistema. Osservando che il volume
occupato da 1 grammo di materia e pari a 1/, si risale immediatamente ad una piu appropriata
formulazione riguardante il bilancio termico per grammo di materia
1 P
Q = dU + pd( ) = dU 2 d

ove lenergia interna U e ora da intendersi come riferita al grammo di materia e immediatamente
ricavabile dividendo per le gia citate espressioni riguardanti lenergia interna per unita di vol-
ume. Lo stato termodinamico resta cosi definito dalle tre variabili intensive T, P e , fornendo una
rappresentazione adeguata anche ad un generico fluido termodinamico non soggetto ad artificiali
delimitazioni. Si noti che in tutte le precedenti relazioni la pressione P va intesa come pressione
totale, somma dunque delle pressioni parziali di gas e radiazione.
La termodinamica ci assicura anche che per trasformazioni reversibili, cioe per trasformazioni
che si sviluppano lungo stati di equilibrio e nelle quali restano quindi definite istante per istante le
variabili di stato, il calore assorbito o ceduto resta collegato alla funzione di stato S (entropia) dalla
relazione Q = T S. Poiche questo e ovviamente il caso per le trasformazioni subite dal plasma
stellare nel corso dellevoluzione di strutture stellari in equilibrio, potremo in generale porre il primo
principio della termodinamica nella forma

P
Q = T S = dU d
2
Poiche S e funzione di stato, assumendo P e T come variabili indipendenti, il bilancio energetico
deve potersi portare nella forma
S S
T ds = T [( )P + ( )T ] = CP dT ET dP
T P
con
CP = T (dS/dT )P = (Q/dT )P = calore specifico a pressione costante
ET = T (dS/dP )T = (Q/dT )P = calore specifico scambiato in una compressione isoterma.

Nel caso generale la valutazione di questi due coefficienti riposa su opportune e complesse
valutazioni sullo stato energetico del sistema, che tengano nel dovuto conto non solo il grado di
ionizzazione, ma anche la distribuzione degli elettroni nei vari livelli eccitati, la presenza di eventuali
21

legami molecolari etc. Stante la complessita dei relativi calcoli, questi dati vengono in genere forniti
al programma assieme allequazione di stato ( A3.2) ed ai coefficienti di opacita ( A3.3) sotto
forma tabulare, per ogni assunta composizione della materia stellare e per una opportuna griglia di
valori delle variabili di stato e T .
Nel caso di una miscela di gas perfetto e radiazione, basta peraltro esplicitare la dipendenza
dellenergia interna U dai parametri di stato e fare uso dellequazione di stato per ricavare analiti-
camente i valori di CP e ET . Scegliendo come parametri di stato P e T , il primo principio della
termodinamica fornisce

U U P
T dS = ( )T dP + ( )P dT 2 [( )T dP + [( )P dT ]
P T P T
e quindi

U P
CP = ( )P + 2 [( )P ]
T T
U P
EP = ( )T + 2 [( )T ]
P P
Poiche ( 3.2)

k a
P = Pg + P r = T + T 4
H 3
1 N
U = Ug + Ur = ( Pg + 3Pr )
2
si ottiene, ad esempio, per ET

N 1 1 N P
ET = ( Pg + 3Pr ) 2 ( )T [ ( Pg + 3Pr )T ] + 2 ( )T
2 P P 2 P
Osservando che per T = cost, dPr = 0 e dP = dPg si ha

H
( )T = ( )T = =
P Pg kT Pg

si ottiene infine

1 N Pr N P 1 Pr
ET = ( +3 + ) = (4 + 1)
2 Pg 2 Pg Pg
Analogamente si ricava

1 N +2 P2
CP = ( Pg + 20Pr + 16 r )
T 2 Pg
Si noti che T dS = 0 definisce una trasformazione adiabatica. Ne segue che per una tale trasfor-
mazione

dT ET dlogT P ET
( )ad = o anche ad = =
dP CP dlogP T CP
Se Pr << Pg , ad = 2/(N + 2), pari quindi a 0.4 nel caso di un gas perfetto monoatomico
(N=3) e a 0.3 nel caso di molecole biatomica (N=5). Piu in generale, e facile comprendere che un
gas perfetto monoatomico realizza il massimo possibile gradiente adiabatico. In tal caso infatti, e
solo in tal caso, tutto il lavoro assorbito in una compressione adiabatica va in energia cinetica delle
particelle e nel corrispondente innalzamento della temperatura. Ove esistano gradi di liberta interni
(quali molecole, ionizzazioni, eccitazioni elettroniche) parte del lavoro sara ripartito tra questi, con
conseguente minor innalzamento della temperatura.
Si noti infine che per Pr >> Pg , come tende ad avvenire in strutture stellari di massa molto
grande, ad 0.25. La radiazione tende quindi a diminuire il gradiente adiabatico, favorendo la
convezione. La radiazione dunque si comporta come un gas con 6 gradi di liberta, ed in effetti tale
22

Fig. 2.9. Andamento dei gradienti (scala di destra) e del peso molecolare (scala di sinistra) in
funzione della pressione P negli strati esterni di una stella di Popolazione II, 1.5 M in Sequenza
Principale, log Te = 3.91. Il gradiente radiativo raggiunge il valore massimo 45. In superficie il peso
molecolare segnala la presenza di molecole di idrogeno.

comportamento corrisponde alle due direzioni di polarizzazione per ognuna delle tre direzioni di
propagazione del fotone. Da questa osservazione e facile giungere ad un criterio termodinamico per
la stabilita di una struttura stellare. Per il teorema del viriale ( 4.1) tale stabilita richiede

2T + = 0

dove T e lenergia cinetica totale posseduta dalle particelle che compongono la struttura e e
lenergia di legame.
La stabilita richiede quindi che meta dellenergia guadagnata in una contrazione sia trasferita
all energia cinetica delle particelle : dT = d/2. In un gas monoatomico, quindi con 3 gradi di
liberta, tutta lenergia guadagnata dal gas va in energia cinetica, e resta quindi altrettanta energia
(d/2) per sopperire alle perdite per radiazione. In un gas con 6 gradi di liberta se meta dellenergia
va in energia cinetica, altrettanta energia deve andare negli altri gradi di liberta del sistema. Non
resterebbe quindi energia disponibile per sopperire alle perdite per radiazione, e questo e chiaramente
incompatibile con la stabilita della struttura. Il predominare della pressione di radiazione porta
quindi la struttura verso linstabilita.
Tale criterio e sovente espresso in letteratura tramite = CP /CV = d(logP/dlog)ad = 1/(1
ad ) = 1 + 2/N , con N gradi di liberta delle particelle. Per un gas perfetto monoatomico risulta
= 5/3, per la radiazione = 4/3 e la stabilita richiede > 4/3.

A2.5. La teoria della mixing-length


Assumiamo che la convezione sia descrivibile come lo spostamento di elementi di convezione
(bolle) che, iniziando il loro moto in equilibrio con lambiente, percorrano adiabaticamente un
tragitto l per cedere infine leccesso di energia termica allambiente circostante. Il tragitto l
prende il nome di lunghezza di rimescolamento o mixing length. Se dT /dR e il gradiente dellambiente
in cui si muove la bolla, la differenza di temperatura tra bolla ed ambiente sara a fine tragitto

T = [(dT /dr)ad (dT /dr)]l = [(dT /dP )ad (dT /dP )](dP/dr)l
.
Poiche dP/dr e negativo, si riconosce immediatamente che vi sara trasporto di energia (la bolla
sara picalda) solo quando la zona e instabile per convezione, cioe dT /dP > (dT /dP )ad (Criterio di
Schwarzschild 2.2)
23

Fig. 2.10. Come in figura 2.9, ma per una stella di 1.25 M , log Te = 3.83. Al diminuire della
temperatura efficace affonda la zona convettiva e nelle regioni piu interne ( piu dense) il gradiente
locale tende al gradiente adiabatico.

Poiche lo scambio di calore avviene a pressione costante, il calore scambiato al termine del
tragitto sara M CP T , ove M e la massa della materia a maggior temperatura. Ponendo che meta
della materia partecipi al moto ascendente, si ricava per il flusso trasportato dalla convezione

1 dT dT
CP v[(
Fc = )ad ( )]l
2 dr dr
Lesistenza di un gradiente di temperatura implica peraltro anche un trasporto radiativo (
A2.2)

T 3 4ac dT
Fr =
rho 3 dr
cos che per il flusso totale in regime di convezione si ricava

1 dT 1 T 3 4ac dT
F = Fc + Fr = CP v( )ad ( CP v )( )
2 dr 2 rho 3 dr
da cui

dT F 12 CP v( dT )
dr ad
= T 3 4ac
dr 1
CP v
3 2

Si riconosce facilmente che per convezione inefficiente (CP v 0) dT /dr (dT /dr)rad mentre
per convezione dominante (CP v )) dT /dr (dT /dr)ad .
Per valutare le velocita degli elementi di convezione possiamo osservare che per il principio di
Archimede la forza agente sullelemento sara

F = gV
dove g e la gravita locale, V il volume delle elemento e e la differenza di densita tra lambiente
e la bolla di convezione. Assumendo un gas perfetto (trascurando quindi variazioni del grado di
ionizzazione) / = T /T , dove per ogni tragitto parziale x (0 x l)T = [(dT /dr)ad
(dT /dr)amb ]x. Applicando il teorema delle forze vive (lavoro = variazione di energia cinetica) si
ottiene cosi al termine del tragitto
Z l Z l
1 /T
mv 2 = gV dx = gV xdx
2 0 0
T
da cui
24

Fig. 2.11. Andamento della temperatura in funzione della pressione per il modello di figura 2.10
per due diverse assunzioni sulla lunghezza di rimescolamento. Allaumentare di l aumenta lefficienza
della convezione e diminuisce il gradiente di temperatura. In ogni caso le diverse soluzioni convergono
verso una comune soluzione interna.

l
v(l)2 l2
Z
1 dT dT g dT dT
' g [( )ad ( )amb ] xdx = [( )ad ( )amb ]
2 T dr dr 0
T dr dr 2
Introducendo come valori medi lungo la traiettoria v = v(l)/2 e T (l) = T /2, osservando che
per lequilibrio idrostatico si ha che

dT dT dP dT
= = g
dr dP dr dP
si ricava infine

H
v = gl[ ( ad )]1/2
8kT
che unita alla precedente relazione per il gradiente ambientale fornisce un sistema di equazioni
che, per ogni assunto valore della mixing length consentono la determinazione di v e amb .
Questultimo, in particolare, fornisce il valore del gradiente di temperatura locale in presenza di
convezione e, in quanto tale, viene sovente indicato come conv
Non puo sfuggire lestrema semplificazione del modello adottato, ove -ad esempio - viene trascu-
rata la viscosita del mezzo e vengono trascurati gli scambi di energia lungo il tragitto degli elementi
di convezione. Ancor piu pesante e lassunzione di una convezione per bolle a fronte dellevidenza
osservativa (nel Sole) di una convezione per colonne, e quindi non locale. La teoria della mixing
length e nondimeno utilizzata come un formalismo che conduce ad una ragionevole correlazione
tra le varie quantita fisiche in gioco, fornendo relazioni che finiscono col dipendere dal parametro
l che, di fatto, viene a regolare lefficienza del trasporto convettivo. In tal senso l viene riguardato
come un parametro libero il cui valore va determinato non tanto con ulteriori valutazioni teoriche,
quanto sulla base di un riscontro dei risultati ai risultati osservativo sperimentali. In questo quadro
la versione semplificata della teoria, qui presentata come proposta da Demarque e Geisler, e non
meno valida della piu sofisticata versione originalmente proposta da Erika Bohm-Vitense, nella quale
veniva ulteriormente elaborato il problema del tragitto non-adiabatico dellelemento di convezione.
Nella pratica dei calcoli evolutivi e invalso luso di assumere una mixing length proporzionale
allaltezza di scala di pressione, HP

l = HP
dove HP = dlogP/dr = (1/P )dP/dr e e scelto tra 0.5 e 2 in base alla considerazione che
difficilmente un elemento di convezione puo conservare la propria individualita per tragitti molto
25

superiori a quello per cui la pressione si riduce di un e-mo. In analogia con la precedente formu-
lazione, la mixing length puo essere anche riferita a laltezza di scala di temperatura o a quella di
densita. Questultima in particolare ha in passato goduto di una certa popolarita, perche elimina le
inversioni di pressione che talora si manifestano con luso HP .
Le Figure 2.9 e 2.10 riportano a titolo di esempio landamento dei vari gradienti nelle zone
subatmosferiche di stelle di sequenza principale di varia massa. Al diminuire della massa stellare
aumenta la densita degli strati subatmosferici, aumenta quindi la capacita termica della materie e,
come mostrato nelle figure, il gradiente convettivo tende sempre piu verso il gradiente adiabatico.
E importante notare come lincertezza sullefficienza della convezione superadiabatica si
trasferisca in genere in un incertezza sui raggi stellari, ma non sulle rispettive luminosita. In partico-
lare si puo mostrare che per inviluppi convettivi non troppo profondi le soluzioni per diversi valori di
l finiscono per convergere ad un unica soluzione interna (Fig. 2.11), Si puo calibrare richiedendo,
ad esempio, che un modello solare riproduca il raggio (e la temperatura efficace) osservato. Si ricava
cosi l ' 1.8. Nulla assicura peraltro che una tale calibrazione possa essere estesa a stelle con diversa
massa e/o diversa composizione chimica. Ed in effetti giganti rosse di Pop.II richiedono diversi .
Notiamo infine come la teoria della mixing length, nei limiti in cui si accettino le predizioni
sulla velocita, possa fornire anche indicazioni sulla consistenza dellovershooting. Il tragitto degli
elementi nella zona radiativa e infatti ricavabile dallapplicazione del teorema delle forze vive alle
forze di frenamento che in tale zona si vengono a creare.

A2.6. Integrazione degli strati atmosferici


Si e gia indicato come lintegrazione degli strati atmosferici riposi sullequazione dellequilibrio idro-
statico e sulla diponibilta di una relazione che fornisca landamento della temperatura al variare
della profondita ottica . Tale relazione, nel caso piu generale, si ottiene come risultato di complessi
modelli di atmosfera, basati sullintegrazione dellequazione del trasporto che collega, per ogni asseg-
nata direzione lintensita della radiazione allopacita ed alla emissivita della materia, giungendo cosi
a fornire predizioni sulla struttura dellatmosfera e sulle caratteristiche dello spettro della radiazione
emergente.
Per cio che riguarda la temperatura, si ottiene una soluzione semplice nellapprossimazione di
atmosfera grigia, ove si assume che lopacita sia indipendente dalla frequenza della radiazione. In
tal caso si ricava:
1 4 3
T4 = Te (1 + )
2 2
quindi una T (, Te ) che per = 32 fornisce T = Te . In generale le relazioni esatte non si discostano
sensibilmente dalla relazione di atmosfera grigia, che fornisce cosi un utile punto di riferimento. Nella
pratica dei calcoli evolutivi vengono di frequente usate correzioni semiempiriche alla distribuzione
di temperature dellatmosfera grigia. Tale, ad esempio, la relazione di Krishna-Swami.
E peraltro da notare che una tale trattazione (approssimazione di Eddington) assume implici-
tamente una atmosfera in equilibrio radiativo. Cio e in genere ben verificato perche nellatmosfera
0 e, con tende a zero il gradiente radiativo. Solo in strutture di piccolissima massa (pochi
decimi di massa solare) le atmosfere risultano sede di estesi moti convettivi e, in tal caso, la relazione
T ( ) deve essere solo ricavata da acconci modelli di atmosfera.
E anche da notare che lequazione dellequilibrio idrostatico

dP g
=
d
regola landamento della pressione totale P = Pg + Pr . Si ha dunque
dPg g dPr
=
d d
Ma ( A2.2)

dPr Te4
= =
d c c
26

e ponendo gr = (Te4 )/c, si puo scrivere

dPg 1
= (g gr ) = gef f /
d
dove gef f = g gr assume il ruolo di gravita efficace.
Nella pratica dei calcoli, lintegrazione non puo partire da = 0, ove lequazione presenta
una singolarita, implicando Pg = 0 e = 0. Per ogni assunto Te le condizioni iniziali vengono
imposte tramite uniterazione che conduce ad una tripletta di valori Pg , T e tra loro compatibili.
Assumendo un valore piccolo ma finito di Pg , si adotta inizialmente T = T ( = 0) e, ricavando
dalla coppia Pg e T un valore di , si ricava quindi da
P/ = gef f /(, T )
Adottando tale si ottiene una nuova temperatura e quindi un nuovo , un nuovo e, infine,
un nuovo . Il processo viene iterato sino ad ottenere la convergenza.

A2.7. Algoritmi risolutivi del metodo di Henyey


Si e gia mostrato come il metodo di integrazione di modelli stellari noto come metodo di Henyey
conduca ad un sistema di 4N equazioni in 4N incognite, essendo N il numero di mesh in cui e stata
suddivisa la struttura interna della stella. Ricordiamo qui alcuni tra i vari accorgimenti di calcolo
in genere adottati nel raggiungere la soluzione.
E duso innanzitutto raffinare il sistema di equazioni definendo le variabili fisiche nel generico
intermesh j+1/2 ponendo Pj+1/2 = (Pj+1 Pj )/2 e simili, e scrivendo le equazioni di equilibrio
nella forma

Pj+1 Pj Mj+1/2 j+1/2


=G 2
rj+1 rj rj+1/2
Si noti come in tale forma venga automaticamente eliminata lapparente singolarita centrale. E
inoltre duso portare le equazioni in forma logaritmica, cosi da rendere piu maneggevole il calcolo
delle derivate.
Lo soluzione del sistema di equazioni puo essere agevolmente raggiunta attraverso un metodo
di sostituzioni ricorrenti. Si consideri, ad esempio, la prima quadrupletta di equazioni che fanno
riferimento al mesh centrale (j=1) ed a quello adiacente (j=2). Si e gia notato trattarsi di 4 equazioni
in 6 incognite, dovendo risultare per due delle correzioni L1 = r1 = 0. E dunque possibile
risolvere per sostituzione il sistema ricavando r2 , L2 , P2 e T2 in funzione di P1 e T1 .
Riportando questi 4 valori delle correzioni nella seconda quadrupletta e ora possibile ricavare le 4
correzioni nel mesh 3 sempre in funzione di P1 e T1 , e cos di seguito sino a ricavare tutte le
correzioni in funzione delle due incognite correzioni centrali. Tali due gradi di liberta del problema
si eliminano imponendo che r, L, P e T nellultimo mesh N (= base della subatmosfera) debbano
corrispondere a soluzioni dellintegrazione compiuta dallesterno al variare delle condizioni iniziali
L e Te .
Per far cio, si esegue una preventiva serie di integrazioni dallesterno variando opportunamente
le condizioni iniziali L e Te , cosi da ricavare rN , LN , PN e TN come funzioni lineari di L e Te .
Imponendo la coincidenza dei valori esterni ed interni nel mesh N si ottengono infine 4 equazioni
nelle 4 incognite P1 , T1 , L e Te e, da P1 e T1 le correzioni da apportare alle variabili fisiche
in tutti gli altri mesh. Poiche ci siamo mossi nellambito di un trattamento linearizzato al primo
ordine, la soluzione finale sara raggiunta dopo un certo numero di iterazioni, sempre che la soluzione
di prova sia fornita allinterno della relativa area di convergenza.
Il vantaggio essenziale del metodo del fitting e di richiedere solo le 4 condizioni al contorno,
senza il bisogno di fornire valutazioni preventive dellandamento delle variabili fisiche lungo tutta la
struttura. Il metodo di Henyey si fa peraltro preferire perche il trattamento locale della soluzione
consente di affrontare strutture complesse, con discontinuitfisiche o chimiche quali si incontrano nelle
fasi avanzate dellevoluzione stellare. Vedremo nel seguito come il metodo del fitting sia utilizzato
come innesco del metodo di Henyey nella valutazione delle sequenze evolutive.
Ricordiamo ancora una volta come il risultato del metodo di Henyey NON dipenda dalla
bontdelle derivate delle discrepanze. Cio nella pratica consente alcune semplificazioni delle proce-
dure di calcolo evitando la valutazione di derivate troppo numericamente onerose. Piu in generale,
27

se ne conclude anche che, in assenza di errori formali nella stesura delle equazioni dellequilibrio,
i risultati dellintegrazione di un modello non dipendono dal particolare codice utilizzato ma solo
dalla bonta delle relazioni e/o assunzioni fisiche dal modello stesso utilizzate.
28

Origine delle Figure

Fig.2.1 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli


Fig.2.2 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.2.3 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.2.4 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.2.5 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.2.6 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.2.7 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.2.8 Gratton L. 1978, Introduzione allAstrofisica, Zanichelli
Fig.2.9 Castellani V., Renzini A. 1969, Astr.Space Sci. 3, 283
Fig.2.10 Castellani V., Renzini A. 1969, Astr.Space Sci. 3, 283
Fig.2.11 Castellani V., Renzini A. 1969, Astr.Space Sci. 3, 283
Capitolo 3

Materia e radiazione in condizioni


stellari
3.1. Il quadro fisico
Per procedere allintegrazione numerica delle equazioni dellequilibrio stellare e necessario
disporre di opportune valutazioni quantitative sul comportamento fisico della materia stel-
lare, comportamento che nelle equazioni appare attraverso le tre relazioni

P = P (, T )
= (, T )
= (, T )

In tutti e tre i casi e altresi da assumersi, anche se non esplicitata, la dipendenza dalla
composizione chimica della materia. Le tre funzioni dovranno evidentemente coprire tutto il
campo di valori di e T che ci attendiamo nelle strutture stellari. Stante la complessita delle
relative valutazioni, equazione di stato e opacita vengono in genere fornite al programma
evolutivo sotto forma di acconce tabulazioni che riassuono i risultati dei calcoli. In questo
capitolo esamineremo nellordine le tre relazioni, al fine di identificare lintervento dei vari
possibili meccanismi fisici, delineando le generali vie di approccio a tale problematica.

3.2. Equazione di stato


I contributi alla pressione provengono dai tre componenti del plasma stellare: ioni, elettroni
e radiazione elettromagnetica. La pressione totale sara la somma dei contributi dovuti a tali
componenti

P = Pi + Pe + Pr

con ovvio significato dei simboli. Si assume in cio trascurabile il contributo di moti
collettivi (convezione, turbolenza), la cui quantita di moto puo peraltro giocare un ruolo
non trascurabile nel caso delle atmosfere stellari.
3.2.1 Il gas perfetto
Per cio che riguarda la componente particellare (ioni ed elettroni), in molti casi la materia
stellare si comporta con buona od ottima approssimazione come un gas perfetto. Ricordiamo
che per un gas perfetto di particelle libere e tra loro non interagenti, vale lequazione di stato

1
2

P = nkT

ove n e il numero di particelle per unita di volume e k la costante di Boltzman. Per la


nostra miscela di ioni ed elettroni varra quindi

P = Pi + Pe = (ni + ne )kT

Tale relazione puo essere facilmente portata nelle due variabili , T (proprie delle
equazioni di equilibrio), osservando che per un gas composto da particelle di massa m
si ha n = /m. Poiche nel gas stellare la massa e essenzialmente quella degli ioni, potremo
coa porre
k
Pi = i H T

dove i e il peso molecolare degli ioni e H la massa dellatomo di idrogeno. Il contributo


degli elettroni viene introdotto attraverso lartificio di definire un peso molecolare medio per
elettrone e = ni /ne (= ni /Z in caso di ionizzazione completa). Si ha cosi
k
Pe = e H T

e, in totale
k k k
Pgas = i H T + e H T = H T

avendo posto 1/ = 1/i + 1/e .


Si noti come la valutazione della pressione degli elettroni richieda una valutazione dello
stato di ionizzazione delle specie atomiche presenti ( A3.1). Negli interni stellari e peraltro
in generale lecito assumere la completa ionizzazione almeno delle due specie atomiche atom-
iche piu abbondanti H e He. Troveremo infatti che stelle di sequenza principale hanno tipiche
temperature centrali dellordine di 10 30 106 K, cui corrisponde una radiazione largamente
composta da fotoni di energia media kT 1keV (raggi X duri). Poiche lenergia di ioniz-
zazione dellidrogeno e di soli 13.6 eV tale elemento sara completamente ionizzato. Cosi e
pure per lHe, i cui potenziali di prima e seconda ionizzazione risultano pari rispettivamente
a 24.49 eV e 52.17 eV.
H e He saranno quindi completamente ionizzati nella maggior parte della materia stel-
lare, ecettuate solo le parti piu esterne ove la temperature scendono a valori di 103 104
K. Ioni di atomi piu pesanti sono invece in grado di conservare gli elettroni piu interni an-
che a temperature elevate. Lenergia di ionizzazione di un atomo idrogenoide (che ha cioe
conservato un solo elettrone) risulta infatti pari a W = Z 2 m4e /2h2 . Per il Ferro si ha cosi
W 9keV , ed i nuclei di Fe saranno in grado di conservare in parte i loro elettroni piu
interni anche a temperature dellordine della diecina di milioni di gradi.
Nel caso di ionizzazione completa e talora utile ricavare il numero di particelle per unita
di volume dalle abbondanze in massa di idrogeno, elio ed elementi pesanti X, Y e Z. Per
queste tre componenti il numero di nuclei ed il numero di elettroni si ottiene facilmente dalle
relazioni
nH = X/H ne = X/H
nHe = Y /4H ne = Y /2H
nZi = Xi /Ai H ne = Xi Zi /Ai H
dove con Xi indichiamo labbondanza in massa dell i-mo elemento pesante di numero
atomico Ai e carica Zi . In totale si avra dunque
3Y Xi Xi Zi
n = (2X + + + )
4 Ai Ai H
3

Trascurando Xi /Ai (Xi << 1, Ai 12) ed osservando che Zi /Ai 1/2 (cio e esatto
per C, N, O, Ne che sono tra i maggiori contributori a Z) si ottiene infine

3Y Z
n ' (2X + + )
4 2 H
da cui per il peso molecolare medio (/H = n)

1
= 3Y Z
(2X + 4 + 2)

Da queste relazioni si riconosce come, in prima approssimazione, il peso molecolare medio


sia essenzialmente governato dalla ionizzazione di H e He, con un contributo solo marginale
dei metalli (Z 102 ).
3.2.2 Interazioni coulombiane e degenerazione elettronica
Per la componente particellare (ioni, elettroni) si puo agevolemente verificare entro quali
limiti lenergia cinetica predomina sulle interazioni coulombiane, condizione necessaria per
poter assimilare il sistema ad un gas di particelle libere approssimanti un gas perfetto.
Indicando con d la distanza media tra le particelle, per un gas di ioni con carica Ze la
condizione si traduce ad esempio nella relazione

kT >> Z 2 e2 /d = ECoul

Se Ni e il numero di ioni per unita di volume, si ha anche

Ni (= /H) 1/d3

dove e il peso molecolare degli ioni e H la massa dellatomo di idrogeno. Se ne ricava

d 1/N 1/3 (H/)1/3

e la condizione si traduce nella relazione

Z 2 e2 1
T /1/3 >>
k (H)1/3
da cui

<< 4 1014 T 3 Z 6 gr/cm3

condizione in genere ben verificata nelle strutture stellari. Per temperature T 107 K
(combustione dellidrogeno, Z=1) si ottiene << 4.107 gr/cm3 , per T 108 (combustione
dellelio, Z=2) << 109 gr/cm3 , cioe valori di densita che superano ampiamente quanto
avremo occasione di verificare nella larga generalita delle strutture stellari. Le condizioni
per un sensibile intervento di correzioni coulombiane (alte densita, basse temperature) ap-
pariranno solamente nel caso di stelle di piccola massa o di nane bianche, per le quali sara
necessario introdurre nellequazione di stato opportuni termini di correzione coulombiana.
Quando ECoul kT il gas inizia a solidificare e per ECoul > kT gli ioni sono forzati in una
struttura solida sino a cristallizzare (Fig. 3.1).
E facile infine riconoscere che se sono trascurabili le interazioni ione-ione, lo sono an-
che quelle ione-elettrone ed elettrone-elettrone. Cio e immediato per Z=1, mentre per Z
maggiori la diminuzione del prodotto delle cariche interagenti prevale sulla contemporanea
diminuzione delle mutue distanze.
4

Fig. 3.1. Mappatura schematica delle condizioni del plasma stellare al variare dei parametri
temperatura-densita con schema delle traiettorie evolutive delle condizioni centrali di strutture
stellari .

Analoghe considerazioni consentono di investigare entro quali limiti il gas di particelle


si puo considerare libero da effetti quantistici, imponendo in questo caso che la distanza
media tra le particelle risulti molto maggiore della lunghezza donda associata alle particelle
medesime = h/p, dove p=mv rappresenta il momento delle singole particelle.
Per ioni ed elettroni, dallequipartizione dellenergia si ha

mi vi2 = me ve2

da cui si ricava immediatamente


mi vi ve
=
me ve vi
che mostra come la quantita di moto degli ioni sia sempre molto maggiore di quella
degli elettroni e, conseguentemente, che saranno in ogni caso gli elettroni ad entrare per
primi in regime quantistico. Con considerazione del tutto analoghe a quelle gia svolte per le
interazioni coulombiane, dalla condizione

= h/p << d

osservando che kT me ve2 e, quindi, p2 me kT , si ricava facilmente

H 1/3 (me kT )1/2


1/3 << ( )
Z h
<< 1010 T 1/2 gr/cm3

Ove cio non si verifichi, si manifestano effetti quantistici ed il gas di elettroni viene
definito quantisticamente degenere. E immediato riconoscere come queste condizioni sulla
densita siano piu stringenti di quelle per le interazioni coulombiane.In effetti la degenerazione
elettronica giochera un ruolo determinante in molte strutture stellari.
3.2.3 Equazione di stato del plasma stellare
Se alla pressione del gas aggiungiamo il contributo portato dalla radiazione, ove non
intervengano fenomeni di degenerazione elettronica e risultino trascurabili le interazioni
coulombiane, otteniamo lequazione di stato per il plasma stellare
5

Fig. 3.2. La linea del piano log T, log lungo la quale la pressione di degenerazione eguaglia
quella degli elettroni liberi. La linea a tratti segnala linstaurarsi di degenerazione relativistica.

k 1 1 a
P = T ( + ) + T 4
H i e 3
Gli effetti della degenerazione elettronica sono di rendere il gas di elettroni piu incom-
primibile di un gas perfetto. Gli elettroni sono infatti fermioni (cioe particelle a spin sem-
intero) per i quali vale il Principio di esclusione di Pauli per il quale non piu di due elettroni
possono occupare un identico stato energetico. Ne segue, ad esempio, che nel limite T 0 un
gas di elettroni possiede energia e quantita di moto, questultima implicando una pressione
non prevista dalla trattazione classica.
Si puo porre

Pe = Pe + Pe,d
ove con Pe ePe,d si indicano rispettivamente la pressione di un gas perfetto di elettroni e il
contributo della digenerazione. Pe,d puo essere calcolato sulla base del comportamento quan-
tistico di un gas di Fermi ( A3.2). La Figura 3.2 mostra lintervento della degenerazione
nel piano , T , riportando in particolare la linea di transizione lungo la quale Pe,d = Pe ,
come definita dalla relazione

/e = ne = 2.4 108 T 3/2 cm3


In caso di completa degenerazione (Pe,d >> Pe ) la pressione del gas e data dai soli
elettroni degeneri (Pe > Pi ), dipendendo in tal caso solo dalla densita secondo la relazione
(c.g.s.)

Pg = Pe = 10.00 1012 (/e )/3


Per altissime densita ( 107 ) la degenerazione spinge gli elettroni in livelli energetici
cosi alti che lenergia non e piu trascurabile rispetto allenergia della massa a riposo (me c2 )
rendendo necessaria una trattazione relativistica. In tal caso per la quantita di moto si avra
pe = me v/(1 v 2 /c2 )1/2 ( me v se v << c), e per la pressione si ha

Pg = Pe = 6.58 101 4(/e )4/3


6

Fig. 3.3. Assorbimento della radiazione al variare della lunghezza donda da parte di un atomo neu-
tro di Pb. Le varie discontinuita corrispondono allenergia di ionizzazione dellelettrone sullorbita
piu interna (K) e degli elettroni nella successiva shell L.

3.3. Lopacita ed i meccanismi di interazione radiazione materia


Dalla definizione di opacita usata nellequazione del trasporto discende che i contributi
allopacita proverranno da tutti quei meccanismi di interazione tra radiazione e materia in
grado di estrarre fotoni dal flusso di radiazione uscente dalla stella, isotropizzandoli. Accanto
ai meccanismi di assorbimento (con riemissione isotropa), quali ad es. leffetto fotoelettrico,
dovranno quindi essere considerati anche il contributo degli scattering elastici o anelastici.
Ricordiamo che lopacita e definita come linverso del cammino libero medio del fotone,
rappresentando quindi la probabilita di interazione per unita di percorso. Ne segue che, in
generale, in presenza di diversi meccanismi di interazione la probabilita totale di interazione
sara direttamente ricavabile come somma delle probabilita relative di ciascun processo

= i
I possibili meccanismi di interazione radiazione-materia sono riassumibli in quattro cat-
egorie:
Scattering eletronico: diffusione di fotoni da parte degli elettroni liberi presenti nel
plasma stellare. Alle energie stellari e in genere valida lapprossimazione di scattering
isotropo non relativistico (Scattering Thomson). Alle alte energie intervengono fenomeni
quantistico-relativistici (Scattering Compton).
Processi bound-bound (bb): assorbimento del fotone da parte di un elettrone legato
(bound) ad un nucleo con passaggio dellelettrone ad orbite ad energia superiore. Si tratta
dunque di processi di eccitazione.
Processi bound-free(bf): assorbimento del fotone da parte di un elettrone legato che
viene liberato (free=libero) e portato nel continuo, secondo un processo altrimenti noto come
Effetto Fotoelettrico o Fotoionizzazione.
Processi free-free (ff): assorbimento di un fotone libero ma nel campo di un nucleo.
Si puo facilmente verificare che lassorbimento di un fotone da parte di un elettrone libero
ed isolato resta proibito dalle leggi di conservazione di energia e quantita di moto. Il pro-
cesso diventa possibile in presenza di un terzo corpo (il nucleo) che partecipi al bilancio di
conservazione.
Gli ultimi tre processi implicano un assorbimento solo come atto iniziale: gli elettroni
assorbiti ritorneranno in equilibrio termico riemettendo energia sotto forma di radiazione
7

Fig. 3.4. Mappatura nel piano T, dellefficienza relativa dei vari meccanismi di opacita.

isotropa, ed il risultato netto di tali interazioni sara quindi di estrarre fotoni dal flusso di
radiazione uscente.
La valutazione dettagliata delle probabilita di interazione per gli eventi bb e bf e cer-
tamente tra le piu onerose procedure affrontate dal calcolo astrofisico. Tale calcolo richiede
preventivamente una dettagliata conoscenza non solo del grado di ionizzazione ma anche
della distribuzione degli elettroni nei vari livelli (gradi di eccittazione), la valutazione delle
probabilita di interazione per le varie frequenze della radiazione e infine lesecuzione di
unopporuna media (media di Rosseland A3.4) sullo spettro della radiazione. Cio implica
in generale la considerazione di milioni di righe di assorbimento dovute agli atomi nei vari
stati di ionizzazione. Il calcolo diventa ancor piu oneroso alle basse temperatura a causa del
contributo degli spettri rotazionali delle molecole presenti.
Nel secondo dopoguerra un vasto programma di ricerca sullopacita fu iniziato per motivi
strategici dai laboratori di Los Alamos. Sulla base di tale lavoro, ripreso e perfezionato
in altre istituzioni, oggi sono disponibli tabulazioni di opacita radiativa per varie miscele
di elementi in funzione dei parametri di stato e T . Nel calcolo di strutture stellari tali
tabulazioni sono ormai duso generale, sostituendo antiche approssimazioni analitiche. E
peraltro opportuno discutere con qualche dettaglio lefficienza dei vari meccanismi di opacita
al fine di ricavare indicazioni generali sul loro intervento nel calcolo delle strutture stellari.
Per cio che riguarda lo scattering Thomson, anche classicamente ( A3.3) si trova che
la probabilta di interazione tra la radiazione e una particella di carica e e massa m e data
da

8 e2 2 8 2
T = ( ) = r
3 mc2 3 0
dove r0 = 2.82 1013 cm e il raggio classico della particella, cioe il raggio attribuibile
alla particella se tutta la sua massa fosse di origine elettromagnetica. Poiche tale probabilita
va come 1/m2 e subito visto che i nuclei danno un contributo allo scattering trascurabile
rispetto a quello degli elettroni.
Ricordando che lopacita corrisponde alla probabilta di interazione per unita di superficie
e per unita di percorso risulta quindi
ne
T = T

8

Fig. 3.5. Andamento dellopacita radiativa al variare della temperatura per assunti valori della
densita.

Fig. 3.6. Lintervento della degenerazione elettronica induce un crollo dellopacita totale T alle
alte densita.

Poiche T = 0.66 1024 , ne = (X + Y /2 + Z/2)/H = (1/2 + X/2)/H e H =


1.66 1024 gr, si ricava infine

T 0.2(1 + X)

che mostra come lopacita per scattering Thomson non dipenda dalla densita ma solo
dallabbondanza in massa di idrogeno. Notiamo infine che in presenza di degenerazione
elettronica la probabilita dinterazione tendera a diminuire, per divenire proibiti tutti quegli
scattering che porterebbero gli elettroni in stati gia occupati. Ad alte energie, in regime di
scattering Compton (h me c2 ), occorrera inoltre tener conto che lo scattering non e piu
isotropo ed i fotoni tendono ad essere preferenzialmente scatterati in avanti.
Ove siano presenti elettroni legati (materia non completamente ionizzata) i processi bb e
bf dominano sullo scattering Thomson. Di qui la grande importanza degli elementi pesanti
nel determinare lopacita della materia stellare, nonostante la loro relativamente scarsa ab-
bondanza, con contributi determinanti in regioni dove ormai H e He sono completamente
ionizzati. Per i processi bf (effetto fotoelettrico) notiamo in particolare che ad ogni stato
legato dellelettrone corrisponde una ben precisa energia di estrazione (ionizzazione)Wi . Per
ogni possibile ionizzazione esiste quindi per i fotoni una energia di soglia h = Wi al di sotto
della quale il processo e proibito. Come conseguenza lopacita presenta un caratteristico
andamento con picchi corrispondenti alle varie ionizzazioni (Fig. 3.3).
9

Linterazione free-free puo infine essere riguardata come il processo inverso della ben nota
radiazione di frenamento (Braemstrahlung) dove un elettrone emette un fotone nel campo
di un nucleo. Il principo del bilancio dettagliato assicura che in condizioni di equilibrio
termodinamico le velocita di reazione diretta ed inversa devono essere eguali. Si trova cosi

Z 3 7/2
f f Z 2 ne ni T 7/2 T
A2
che con il termine Z 3 mostra ancora una critica dipendenza dalla presenza di elementi
pesanti.
A fianco dei meccanismi bb, bf e ff occorre anche tener conto dei fenomeni di emissione
stimolata che, aggiungendo fotoni al flusso, diminuiscono in pratica le singole opacita di un
fattore 1 eh/kT (Coefficienti di Einstein). In totale per ogni frequenza si avra

() = T + (bb + bf + f f )(1 eh/kT )


che verra mediata sulla distribuzione di fotoni tipica di ogni temperatura per fornire
lopacita (, T ) tabulata per le varie assunte miscele.
La Figura 3.4 riporta una mappatura nel piano (, T ) delle regioni in cui dominano i vari
meccanismi di opacita, mentre la Fig. 3.5 riporta esempi dellandamento dellopacita, evi-
denziando le ingenti variazioni collegate allefficienza dei vari meccanismi.Ricordiamo infine
che in caso di degenerazione elettronica diviene efficiente il trasporto elettronico. In piena
degenerazione c << r e il trasporto e dominato dalla conduzione ( ' c ) (Fig. 3.6).

3.4. Generazione di energia


Nelle equazioni dellequilibrio la condizione di conservazione dellenergia interviene at-
traverso il coefficiente , inteso come bilancio energetico per grammo di materia e per
secondo. I meccanismi che possono contribuire a tale bilancio sono tre, cui e duso far cor-
rispondere i tre distinti coefficienti:
g : Trasformazioni termodinamiche della materia,
N : Produzione di energia per reazioni di fusione nucleare,
: Perdita di energia per produzione di neutrini.
Il coefficiente di produzione di energia risulta ovviamente definito come somma dei reltivi
contributi:

= g + N
.
3.4.1 Il bilancio termico della materia
Al primo meccanismo corrisponde il calore assorbito o prodotto a causa delle trasfor-
mazioni termodinamiche subite dalla materia stellare. Di norma indicato, ma impropria-
mente, come produzione di energia gravitazionale, in esso deve essere compreso non solo il
lavoro delle forze di pressione ma anche le variazioni di energia interna del plasma stellare. Il
bilancio termico per grammo di materia e immediatamente fornito dal primo principio della
termodinamica che con formulazione intensiva puo essere scritto

dQ = dU + pd(1/)
dove U rappresenta lenergia interna per grammo di materia e 1/ e il volume corrispon-
dente. Introducendo lentropia per grammo di materia S si ricava
10

Fig. 3.7. Lenergia di massa per nucleone al variare del numero di nucleoni (numero atomico) in
nuclidi stabili.

dQ dS dS dP dS dT
g = = T = T [( )T + ( )P ] = EP P CP T
dt dt dP dt dT dt
I coefficienti EP e CP delle derivate temporali sono facilmente ricavabili nel caso di
una miscela di gas perfetto e radiazione ( A2.4). Nel caso generale essi vengono calcolati
assieme allequazione di stato e forniti anchessi sotto forma tabulare. Si noti come la presenza
delle derivate temporali implichi che laddove g non sia nullo lintegrazione di una struttura
stellare richiede precise informazioni sulla passata storia temporale di P e T lungo tutta la
struttura della stella.

3.4.2 Energia Nucleare


Ad alte temperature due o piu nuclei leggeri possono arrivare in contatto, fondendosi per
formare un nucleo piu massiccio con un rilascio di energia (Q della reazione) dato dalla
differenza tra le masse iniziali e quelle dei prodotti di reazione secondo la nota relazione
E = mc2 . E subito da notare al proposito che in natura la massa media per nucleone
decresce al crescere del numero atomico A dallidrogeno sino al nucleo del ferro, per risalire
progressivamente per A ancora maggiori. Se ne ricava che per il Fe e massima lenergia di
legame per nucleone (Fig. 3.7), cioe lenergia che occorre fornire ai nucleoni per portarli
allo stato libero e, quindi, alle masse caratteristiche dei nucleoni liberi. Ne segue anche che
reazioni di fusione nucleare sono esoenergetiche sino alla formazione di Fe. La fusione di due
nuclei di Fe, ad es., richiederebbe invece lassorbimento dellenergia necessaria per portare i
nucleoni alla maggiore massa. Si comprende cos come per elementi pesanti, quale lUranio,
risultino esoenergetiche non le reazioni di fusione ma quelle di fissione, cioe di rottura del
nucleo in due o piu frammenti.
Lenergia ceduta da una reazione si presenta sotto forma di energia dei prodotti di
reazione. Se osserviamo una tipica reazione di fusione di interesse stellare (fusione di due
protoni (p) in un nucleo di deuterio (D))

p + p D + e+ + e
troviamo lenergia rilasciata sotto forma di energia cinetica dei prodotti di reazione e
nella produzione dellelettrone positivo. Questultima particella e destinata ad annichilarsi
con un elettrone negativo

e+ + e 2
11

cosi che la produzione del positrone corrisponde, come bilancio netto energetico, alla
produzione di due di energia complessiva pari allenergia delle masse a riposo degli elettroni
annichilati (2me c2 ) piu lenergia cinetica delle due particelle.
Il ed il deutone D vengono rapidamente termalizzati, cedendo cos la loro energia alla
struttura. Questo non avviene per il neutrino elettronico e , particella debole il cui cammino
libero medio e ben superiore alle dimensioni stellari. Lenergia Q acquisita dalla struttura
e quindi fornita dal Q della reazione meno lenergia (media) portata dal neutrino. Ove sia
noto il numero N di reazioni nucleari che avvengono per unita di tempo e di volume, il
coefficiente di energia nucleare sara fornito, per ogni prefissata reazione, dalla relazione
N
N = Q erg gr1 sec1

3.4.3 Termoneutrini
Ad alte temperature e densita, a fianco della produzione di neutrini nelle reazioni nucleari
divengono efficienti meccanismi di produzione di neutrini direttamente a spese del contenuto
termico del plasma stellare, cui nel seguito daremo il nome di termoneutrini. La teoria delle
interazioni deboli fornisce il quadro di tali interazioni quali provengono anche dalla provata
esistenza di correnti neutre:

e + (Z, A) e + (Z, A) + e + e (bramstrahlung)



+ e e + e + e (f otoproduzione)
+
e + e e + e (da coppie)
dove tra i processi di bramstrahlung e da comprendere anche linterazione elettrone-elettrone.
E facile riconoscere come tali processi rappresentino lanalogo di noti processi che coin-
volgono elettroni e fotoni, ove si ammetta in uscita una coppia neutrino-antineutrino al posto
di fotoni.

e + (Z, A) e + (Z, A) + (bramstrahlung)


+ e e + (scattering)
e+ + e + (creazione e annichilazione di coppie)
A densita elevate diviene inoltre efficiente un altro e piu complesso canale di produzione di
termoneutrini: i neutrini da oscillazione di plasma. Per delinearne il meccanismo, ricordiamo
come un fotone non possa decadere direttamente in una coppia di neutrini non potendosi
conservare energia e quantita di moto. Da qui lintervento nei processi di braemstrahlung
e di fotoproduzione di un ulteriore particella. Fotoni in un gas ionizzato, quale e linterno
stellare, possono interagire anche con i modi di oscillazione del plasma (la cui quantizzazione
conduce al concetto di plasmoni) scambiando quantita di moto e divenendo in grado di
produrre coppie di neutrini.
La teoria delle interazioni deboli consente di valutare lefficienza dei vari processi, giun-
gendo cos a valutare lenergia depositata in questi neutrini. Si noti come in questi fenomeni,
che definiremo di termoproduzione, i neutrini giocano un ruolo differente da quanto gia esam-
inato nel caso dei neutrini da reazioni di fusione nucleari. Nella fusione infatti i neutrini
semplicemente taglieggiano lenergia prodotta nella fusione, diminuendone lefficienza che
resta peraltro positiva. Nella termoproduzione il neutrino sottrae invece energia direttamente
dalla struttura stellare, realizzando un meccanismo di raffredamento che ha fondamentali
ripercusisioni nella storia evolutiva di molte strutture stellari.
La figura 3.8 riporta una mappatura nel piano , T dellefficienza relativa dei vari pocessi
di produzione.
12

Fig. 3.8. Regioni del piano , T di predominio dei diversi processi di produzione di termoneutrini.
E mostrata, a tratti, la linea lungo la quale lEnergia di Fermi (Ef ) eguaglia lenergia termica, che
delimita la regione di degenerazione elettronica.

3.5. Reazioni nucleari


Le reazioni nucleari ricoprono un ruolo fondamentale nellevoluzione delle strutture stellari,
non solo per costituire un importante componente della generazione di energia ma anche
determinando levoluzione della composizione chimica della materia stellare. Conviene quindi
esaminare in qualche maggior dettaglio lo scenario in cui si colloca tale meccanismo fisico.
Allinizio del XX secolo Rutherford, studiando la deflessione di un fascio di particelle
cariche da parte di una sottile lamina metallica, concluse che in un atomo le cariche positive
sono raggruppate in una microscopica regione centrale, il nucleo, di raggio dellordine di
1013 1012 cm, circondato da una nuvola di elettroni negativi con dimensioni dellordine
di 108 cm. Se lattrazione coulombiana rende ragione della collocazione degli elettroni, fu
chiaro che sui nucleoni (protoni e neutroni) doveva agire una forza che dominando sulla repul-
sione coulombiana riusciva a mantenere le particelle del nucleo in una configurazione stabile.
Forze che fu conseguentemente indicata come interazione forte. Operativamente indicheremo
come raggio di un nucleo proprio la distanza cui comincia a manifestarsi la interazione forte
come deviazione dal comportamento coulombiano nelle esperienze di scattering di particelle
cariche su un nucleo.
Un nucleo e quindi un insieme isolato di nucleoni sotto il controllo della forza forte.
Insieme isolato sia per il caratteristico comportamento dellinterazione forte che si annulla
al di la di un caratteristico range di azione, sia per la repulsione coulombiana che in
condizioni normali impedisce che due nuclei possano avvicinarsi sino al raggio di azione
delle forze forti. Particelle sufficientemente energetiche possono peraltro giungere a superare
tale repulsione coulombiana. Se e quando cio avviene, i nucleoni di due nuclei venuti in
contatto forte formano per definizione un nucleo composto, cioe un insieme di nucleoni
sotto il comune controllo delle forze forti.
Non necessariamente il nucleo composto ammettera configurazioni stabili. Ove cio si
verifichi, il nucleo composto (creato in uno stato eccitato) potra decadere nel suo stato fon-
damentale, emettendo sotto forma di un quanto lenergia in eccesso, come data dallenergia
cinetica delle particelle interagenti e dalla variazione dellenergia di legame dei nucleoni prima
e dopo linterazione. Piu in generale il nucleo composto tendera a decadere in una serie di
diversi possibili canali di decadimento, con probabilita che dipendono dal particolare insieme
di nucleoni e dallenergia da essi posseduta. Sara cos possibile che il nucleo composto si sud-
divida in due o piu frammenti, che emetta un nucleone singolo, una particella , ecc. . Potra
in particolare ridecadere nei componenti iniziali, realizzando cos uno scattering nucleare,
13

simile come risultato ma sostanzialmente diverso dallo scattering coulombiano nel quale non
sussite interazione nucleare e formazione del nucleo composto. Si noti che i possibili canali
di decadimento del nucleo composto possono dipendere anchessi dallenergia: ad esempio
solo fornendo al nucleo composto energie superiori allenergia di legame dei nucleoni sara
possibile che il nucleo si frammenti nei suoi singoli componenti (evaporazione del nucleo).
In un generico processo di collisione nucleari tra due particelle i e j, il numero np di eventi
che, per unita di volume e per unita di tempo, conducono ad un prodotto finale p viene
correlato alla densita delle particelle interagenti ed alla loro mutua velocita V attraverso una
relazione che e definizione della sezione durto p

np = Ni Nj p (V )V
dove Ni e Nj indicano rispettivamente il numero di particelle interagenti per unita di
volume. E facile verificare come tale relazione rappresenta lestensione formale di quanto
banalmente ricavabile nel caso di particelle assimilabili a sferette. Essendo Ni Nj il numero
di possibili coppie di particelle per unita di volume, p (V )V si configura come la probabilita
per coppia di particella che avvenga il processo p.
Nel caso di particelle di varia velocita e immediata lestensione della relazione precedente
alla piu generale relazione

dnp = Ni Nj (V )p (V )V dV
dove Ni Nj (V )dV rappresenta il numero di coppie di particelle che hanno tra loro mutua
velocita tra V e V+dV, e dnp e il contributo di tali particelle al processo in esame.
Nel caso di reazione di fusione particelle cariche, che e quello che piu direttamente ci
interessa, la probabilita di reazione puo essere ulteriormente esplicitata entrando nel merito
dei meccanismi fisici ad esso inerenti. Ricordando che si ha formazione di nucleo composto
quando le particelle giungono alle distanze dellinterazione forte, una reazione nucleare puo
essere pensata procedere in due successivi e distinti passi
1) Le particelle giungono a interagire forte, superando la repulsione coulombiana,
2) Il nucleo composto cos formatosi decade nel canale prescelto.
Essendo questi due accadimenti tra loro indipendenti, la probabilita P di reazione sara
data dal prodotto delle due rispettive probabilita

P = (V )V = PC PN
ove con PC e PN indichiamo rispettivamente la probabilita (coulombiana) di formazione
del nucleo composto e la probabilita (nucleare) di decadimento del nucleo composto nel
canale prescelto.
In tale scenario, le regole della fisica ci consentono di valutare PC . Al proposito e da con-
siderare che alle temperature tipiche degli interni stellari lenergia delle particelle interagenti
e in ogni caso inferiore allaltezza della barriera coulombiana ( 3.9). In altre parole le reazioni
nucleari sono classicamente proibite. In simili condizioni e peraltro noto che la meccanica
ondulatoria predice che la barriera di potenziale non rappresenta un confine rigido per la
presenza di particelle: la funzione donda si attenua allinterno della barriera, ma esiste un
probabilita, piccola ma finita, che una particella superi la zona classicamente proibita per
giungere ad interagire nuclearmente (effetto tunnel).
Tale probabilita risulta in particolare proporzionale al fattore di penetrazione di Gamow

1 2Zi Zj e2
PC 1/2
exp( )
E hV
14

Fig. 3.9. Una particella che a grande distanza da un nucleo bersaglio possegga una energia cinetica
E non puo classicamente oltrepassare la distanza Rc , alla quale tutta lenergia cinetica iniziale si
e trasformata in energia potenziale nel campo elettrico. Grazie alleffetto tunnel quantistico una
frazione di particelle riesce invece a raggiungere la distanza rn alla quale intervengono le interazioni
nucleari

Ne segue che la barriera coulombiana gioca un ruolo determinante, abbassando di un


fattore exp (Zi Zj ) la probabilita di reazione al crescere del numero atomico delle particelle
interagenti. Tale andamento esponenziale risulta dominante su tutti gli altri fattori, ed in
esso risiede il motivo per cui lenergia di soglia delle reazioni nucleari cresce al crescere di Z.
Il caso della materia stellare, nella quale le particelle interagenti sono ambedue termaliz-
zate, puo essere ricondotto allanalisi precedente. Si puo infatti mostrare che se le particelle
i e j hanno ambedue una distribuzione di velocita di Maxwell Boltzmannm, anche la dis-
tribuzione delle mutue velocita e una maxwelliana, e per il numero di coppie N(V)dV con
velocita mutua V = |Vi Vj | tra V e V+dV si ha

2 V 2 3/2 V 2
N (V ) = Ni Nj ( )1/2 e 2kT = Ni Nj n(V )
kT 3/2
dove = Ai Aj /(Ai + Aj ) e la massa ridotta tipica dei problemi dei due corpi.
Il numero di reazioni per unita di volume ed unita di tempo sara in definitiva fornito da
Z Z
n= N (V )PC PN dV = Ni Nj n(V )PC PN dV
0 0

Trascurando il contributo di PN , da ricavarsi da opportune esperienze di laboratorio


e che fuori da eventuali risonanze e funzione lentamente variabile, e istruttivo esaminare
landamento della funzione integranda n(V )PC nelle tipiche situazioni stellari.
Assumendo, come verificheremo nel seguito, che il Sole sia sorretto dalla combustione di
idrogeno, levidenza geologica che assegna al Sole un eta superiore ai 4 miliardi di anni, si
traduce nellevidenza di una lunga vita media dei protoni a fronte delle reazioni di combus-
tione e, di converso, di una probabilita di reazione fortemente ridotta. La grande quantita
di energia emessa dal Sole e quindi figlia non tanto della velocita delle reazioni ma del
grandissimo numero di particelle coinvolte.
Come illustrato in figura 3.10, cio corrisponde ad una situazione in cui la citata fun-
zione integranda e non nulla solo in un ristretto intervallo di energie nel quale la coda ad
alte energie della maxwelliana interseca il limite inferiore della probabilita di penetrazione
coulombiana. Landamento dellintegrando in tale regione prende il nome di picco di Gamow
15

Fig. 3.10. Andamento schematico delle due funzioni, lintegrale del cui prodotto regola la velocita
delle reazioni nucleari. La curva a tratti mostra landamento del prodotto, che raggiunge un massimo
allenergia di Gamow EG

e lenergia del suo massimo viene indicato come energia di Gamow. Si noti come al crescere
di Zi Zj la probabilita coulombiana si sposti a maggiori energie: al fine di fornire un anal-
ogo contributo energetico la maxwelliana si dovra anchessa spostare verso maggiori energie,
richiedendo cioe maggiori temperature.
Nella usuale notazione astrofisica si usa porre
Ni Nj
n= < V >
1 + ij
ove < V > rappresenta lintegrale sulle velocita ed il fattore 1+ij (ij =0 per i=j, =1 per
i=j) viene introdotto per generalizzare la formula al caso di particelle identiche per il quale
il numero di coppie risulta Ni2 /2. Il valore di < V > viene fornito, per ogni reazione, come
funzione della temperatura in base a valutazioni teoriche e sperimentali sullandamento delle
sezioni durto nucleari. La sperimentazione e alle energie di interesse astrofisico e peraltro
resa difficoltosa dalla bassa efficienza delle reazioni e quindi dal basso numero di eventi attesi
dai limitati campioni di materia gestibili in un laboratorio. Tali esperienze vengono quindi
realizzate tipicamente in laboratori sotterranei, quali i Laboratori Nazionali del Gran Sasso
dellINFN, per quanto possibile schermati dal fondo di segnali prodotto dalla radiazione
cosmica.
Aggiungiamo che nelle valutazioni complessive occorrera infine tener anche conto della
presenza nel plasma stellare di elettroni liberi la cui carica elettrica negativa tende a scher-
mare i campi elettromagnetici dei nuclei, favorendo le reazioni nucleari (electron screening).
16

Approfondimenti

A3.1. Eccitazione e ionizzazione: formule di Boltzmann e di Saha. Ionizzazione


per pressione.
In accordo con i risultati della meccanica statistica allequilibrio termodinamico la popolazione
relativa di due stati separati da unenergia E resta regolata dalla nota formula di Boltzmann
n1 g1 E/kT
= e
n0 g0
dove g0,1 rappresentano la degenerazione dei rispettivi stati, cioe il numero di stati quantici
sovrapposti nel medesimo livello energetico. Nel caso di un generico atomo, r-volte ionizzato, la
formula di Boltzman regola la popolazione dei diversi stati eccitati, ricordando che in assenza
di campi magnetici ( trascurabilita delleffetto Zeeman) ad ogni stato con momento angolare Ji
corrispone una degenerazione data da gi = 2Ji + 1. Se quindi indichiamo con Ei lenergia di
eccitazione del livello i, cioe lenergia che occorre fornire per portarvi un elettrone dallo stato
fondamentale, il popolamento relativo di due qualunque stati eccitati j e k dello ione sara fornito
dalla
nj gj (Ej Ek )/kT
= e
nk gk
Sommando su tutti i possibili stati j si ricava che la frazione di ioni nello stato eccitato k e data
dalla relazione

gk eEk /kT
nk =
G
dove
G = g0 + g1 eE1 /kT + g2 eE2 /kT + .....
prende il nome di funzione di partizione dello ione. Formule analoghe varranno per ogni specie
atomica e per ogni grado di ionizzazione.
Un qualunque ione isolato ha peraltro infiniti livelli eccitati, e la funzione di partizione diverge.
Nel caso reale gli elettroni liberi si trovano nel campo di ioni ed elettroni. Lenergia di elettrone
libero nel plasma stellare diminuisce allora di un fattore e2 /RD ove RD e il cosiddetto raggio di
Debyee con esso diminuisce lenergia di ionizzazione. A causa di tale abbassamento del continuo il
numero di livelli diventa finito e viene evitata la divergenza delle funzioni di partizione.
Analoghe considerazioni possono essere applicate ai processi di ionizzazione. Dal bilancio ener-
getico del prodesso di ionizzazione di uno ione Ar r volte ionizzato

Ar Ar+1 + e
si puo ricavare (equazione di Saha)

nr+1 ne Gr+1 2 2me kT 3/2 r /kT


= ( ) e
nr Gr h2
dove r rappresenta lenergia necessaria per estrarre un altro elettrone dallatomo r-volte ioniz-
zato.
Al crescere della densita il raggio di Debye diminuisce e cresce labbassamento del continuo.
Calcoli dettagliati mostrano che a densita dellordine di 103 gr/cm3 gli atomi di idrogeno finiscono
lessere totalmente ionizzati: tale fenomeno prende il nome di ionizzazione per pressione.
17

Fig. 3.11. Schema del meccanismo di ionizzazione per pressione. Atomi sufficientemente distanti
si comportano come buche di potenziale isolate (1) che ammettono tutta una serie di livelli legati
per gli elettroni. Avvicinandosi gli atomi (2) le buche di potenziale tendono a fondersi, abbassando
il livello del continuo e distruggendo gli stati legati a energia superiore.

A3.2. Degenerazione elettronica. Equazione di stato di un gas di Fermi


La teoria cinetica dei gas, coscome sviluppata nella meccanica statistica, mostra come il concetto di
temperatura sia indissolubilmente connesso col concetto di equilibrio termico.Il principio fondamen-
tale e che per ogni prefissato insieme di N particelle contenute in un volume V e di assgnata energia
totale E tutte le possibili configurazioni microscopiche compatibili con le assegnate condizioni sono
equiprobabili. Ne segue che il macrostato che finisce con il realizzarsi e quello cui corrisponde la
massima probabilita, cioe il maggior numero di microstati. E questo quello che noi chiamiamo
equilibrio termico. Lobiettivo primario della meccanica statistica e dunque quello di valutare tutti
i diversi possibili stati microscopici corrispondenti ad una assegnata energia totale E delle particelle
del sistema. E noto come su questa base si giunga alla nota distribuzione di Maxwell-Boltzmann
per la velocita delle particelle a prefissata temperatura T.
La considerazione della natura quantistica delle particelle introduce, salvando il principio,
notevoli modifiche al calcolo classico delle configurazioni microscopiche. Dal principio di indeter-
minazione di Heisenberg (px x = h) si ricava che il numero di stati permessi per una particella
contenuta in un volume V e con quantita di moto p compresa tra p e p + dp e dato da

1
N = 4p2 dpV = g(p)dpV
h3
dove g(p) rappresenta la densita degli stati. La distribuzione delle particelle in tali possibili
stati deve essere valutata con lulteriore avvertenza che la meccanica quantistica opera su particelle
indistinguibili, il che implica che non si devono considerare distinti due stati se due particelle si sono
solo scambiate di posto. Tale distribuzione dipende infine da proprieta globali delle particelle che,
in natura, appartengono ad una delle due classi:
Fermioni: particelle a spin (momento angolare intrinseco) semiintero, quali elettroni, protoni e
neutroni,
Bosoni: particelle a spin intero o nullo, quali fotoni, mesoni, nuclei di He3 .
Per le particelle a spin semiintero sussiste lulteriore condizione (principio di esclusione di Pauli)
secondo la quale uno stato non puo essere occupato da piu di una particella, da cui discende che non
piu di due elettroni (con spin opposto) possono occupare uno stato di moto, talche g(P ) = 8p2 /h3 .
Se ne trae la statistica di Fermi-Dirac, secondo la quale, detta n(p)dp la densita di elettroni tra p e
p + dp,

2
n(p)dp = 4p2 dpP (E)
h3
18

Fig. 3.12. Il valore del parametro al variare di T 3/2 /e

Fig. 3.13. Mappatura nel piano /e , T del valore del parametro di degenerazione = -

dove lindice di occupazione P (E) di uno stato e dato da

P (E) = 1/(e+E/kT + 1)
e dove, per ogni assunto valore della densita di elettroni ne e e della temperatura T , il valore di
resta determinato della condizione
Z
n(p)dp = ne

Poiche = ne e H, il valore di resta fissato per ogni coppia di valori T, /e (Fig. 3.12, 3.13).
Si noti come in ogni caso P (E) 1 come vuole il principio di esclusione di Pauli. Al crescere di
ne decresce , che da valori grandi e positivi (gas classico) raggiunge grandi valori negativi (gas
degenere). Nel caso di gas classico P (E) << 1 per tutte le energie. Nel caso completamente degenere
<< 0 e

P (E) = 1 per E/kT < ||

P (E) = 0 per E/kT > ||

cioe tutti gli stati sono occupati sino allenergia E = |kT |, che prende il nome di energia di
Fermi. In tale caso
Z
8 3
ne = n(p)dp = pmax
3h3
19

Fig. 3.14. Il rapporto 2/3 F3/2 /F3/2 , che rappresenta la correzione di degenerazione alla pressione
di gas perfetto, in funzione del parametro .

che mostra come al crescere di ne cresce lenergia massima raggiunta dagli elettroni. Tale ac-
cadimento e subito compreso osservando che in degenerazione completa tutti gli stati ad energia
minore sono occupati, e ove si spingano altri elettroni nellunita di volume essi devono andare ad
occupare stati ad alta energia. Si comprende anche come al crescere di ne si giunga infine a spingere
gli elettroni ad energie relativistiche anche a basse temperature.
Nel caso generale, ed in approssimazione non relativistica, si ha E = p2 /2me da cui

p2 dp
Z Z
8
ne = n(p)dp =
h3 0 e+p2 /2me kT +1
2
con la sostituzione x = p /2me kT si ottiene

x1/2 dx 8(2me kT )3/2
Z
4
ne = 3 (2me kT )3/2 +x
= F1/2 ()
h 0
e +1 h3
dove F1/2 (), come definito dalle precedenti relazioni, prende il nome di funzione 1/2 di
Fermi. Come gia ricavato per il caso del gas perfetto ( A2.1), la pressione elettronica discende dal
momento trasportato, da cui

8(2me kT )3/2
Z
1
Pe = pve n(p)dp = kT F3/2 ()
3 0
3h3
con analoga definizione della funzione di Fermi F3/2 . Per la pressione del gas si puo quindi porre

k 8(2me kT )3/2
P = Pi + Pe = T + kT F3/2 ()
H 3h3
Ricordando che ne = /e H si ottiene infine

k
P = Pi + Pe = T [1 + ()]
H e
dove () = 2/3(F3/2 /F1/2 . Per ogni coppia di valori , T e possibile ricavare il valore di e
per ogni ottenere P dalle correnti tabulazioni di F1/2 e F3/2 (Fig.3.14).
In letteratura e frequentemente utilizzato il parametro di degenerazione = . Si puo
mostrare che kT fornisce il potenziale termodinamico di Gibbs per elettrone. Per < 4 il
gas di elettroni ha un comportamento classico, 4 < < 4 rappresenta la zona di degenerazione
parziale, mentre per > 4 nel gas domina la pressione di degenerazione.
Notiamo infine che la presenza di degenerazione elettronica modifica anche il comportamento
termodinamico che abbiamo studiato nel caso di una miscela di gas perfetto e radiazione ( A2.1).
Utilizzando la stessa linea di ragionamento adottata in quella occasione, dovremo portare
20

P
T ds = dU d
2
nella forma

T dS = CP dT EP dP
ricordando pero che ora

= (, T )
P = Pe (, T ) + Pi (, T ) + Pr (T ) = P (, T )
Con una lunga serie di passaggi e sostituzioni e possibile ottenere d in funzione di
P, T, , , dP, dT , e utilizzando la formula di ricorrenza per le funzioni di Fermi

dFn ()
= nFn1 ()
d
si ottiene infine

P HP (4 3/2)2 15
CP = ( )
T kT L() 4

1 HP (4 3/2) 3
EP = ( )
kT L() 2
dove

1 2 F1/2 ()
L() = +
i e F1/2 (
e = PG /P = (Pi + Pe )/P essendo P, come di consueto, la pressione totale. Al limite di non
degenerazione ( ) L() tende a 1/i + 1/e e le relazioni precedenti si riconducono alle
corrispondenti formule per un gas non degenere.
Nel caso di completa degenerazione e facile ricavare direttamente le relazioni tra pressione e
densita. Nel caso non relativistico per la quantita di moto si ha p = me ve , da cui
pmax pmax
p2 8p2 8 p5max
Z Z
Pe = pve n(p)dp = 3
dp =
0 0
me h 15 me h3
e poiche

8 pm ax3
ne =
3 h3
ricordando che ne = /e H si ricava infine

3 2/3 h2
Pe = ( ) ( )5/3
8 5me H 5/3 e
.
Nel caso relativistico

me ve pc
p= da cui ve =
(1 ve2 /c2 )1/2 [(me c)2 + p2 ]1/2
dalla quale, con percorso analogo al caso precedente non relativistico

1 3 1/3 hc
Pe = ( ) ( )4/3
8 H 4/3 e
21

A3.3. Interazione radiazione elettrone libero: lo Scattering Thomson


Le leggi di conservazione proibiscono che un fotone venga assorbito da un elettrone libero.
Nellipptesi di elettrone a riposo ed energie non relativistiche si dovrebbe ad esempio richiedere:

1 h
h = me v 2 = me V
2 c
che ammette solo la non-soluzione v = 2c. Un fotone pero puo essere deflesso scatterato e, nel
caso piu generale Effetto Compton, le leggi di conservazione:

h + me c2 = h0 + mc2
h/c = mv + h 0 /c
forniscono latteso valore di 0 per ogni angolo di deflessione. Al limite non relativistico di basse
energie leffetto Compton si riduce allo scattering Thomson, la cui efficienza puo essere calcolata
anche classicamente.
La forza agente su un elettrone a riposo in un campo di radiazione elettromagentica in cui il
campo elettrico e descritto dalla relazione

E = E0 sint
si avra F = eE = me a. Laccelerazione dellelettrone risulta quindi pari, istante per istante, a

a = F/me = eE0 sint/me

Dalle leggi classiche dellelettromagnetismo e noto che una carica accelerata irradia una potenza

2 e2 a2 2 e4 E02 sin2 t
P = =
3 c 3 3 c3 m2e
Nel contempo, la potenza trasportata per unita di area dallonda incidente e data dal modulo
del vettore di Pynting
c c 2
S = | E H| = E0 sin2 t
4 4
Un elettrone diffonde quindi una frazione della potenza incidente

8 e2 2
T = P/S = ( )
3 me c2
In termini di fotoni T rappresenta quindi la probabilita che un fotone sia diffuso da un elettrone,
e ne T sara la probabilita che un fotone sia diffuso da ne elettroni nellunita di volume.

A3.4. La media di Rosseland


Lequazione del gradiente radiativo e stata in precedenza ricavata sotto lassunzione di un cammino
libero medio comune per tutti i fotoni o, in altra parole, di una opacita indipendente dalla frequenza
della radiazione caso grigio. Discutendo i meccanismi di opacita si e peraltro gia indicato come tale
assunzione sia in generale lungi dallessere verificata. Per ogni prefissata frequenza della radiazione
potremo definire () come il cammino libero medio dei fotoni con frequenza compresa tra e +d,
una corrispondente opacita () = 1/(), restando valida per ogni frequenza la relazione

dP ()
= ()c()
dr
dove P ()d e ()d rappresentano il contributo alla pressione ed al flusso della radiazione
portato dai fotoni con frequenza compresa tra e + d. Indicando inoltre con E() la densita di
energia radiativa nello stesso intervallo di frequenza, si avra

E()
P () =
3
e sara possibile porre in relazione il flusso totale con la densita di energia tramite la relazione
22

Z Z
c 1 dE()
= ()d = d
0
3 0
() dr
Per il noto teorema della media potremo definire attraverso la relazione
Z Z
1 dE() 1 dE()
d = d
0
() dr 0
dr
dove prende il nome di media di Rosseland dellopacita, ricavando infine

c 1 dE
=
3 dr
in completa analogia a quanto ricavato nel caso grigio. Poiche in equilibrio termodinamico la
E() = B(, T ) per la media di Rosseland si avra

R 1 dE()
R 1 dB(,T )
R 1 dB(,T ) dT
R 1 dB(,T )
1 0 () dr
d 0 () dr
d 0 () dT dr
d 0 () dT
d
= R dE() = R dB(,T ) = R dB(,T ) dT = R dB(,T )
d d d d
0 dr 0 dr 0 dT dr 0 dT
23

Origine delle Figure

Fig.3.1 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli


Fig.3.2 Clayton D.D. 1983, Principles of Stellar Evolution and Nucleosynthesis, McGraw-Hill
Fig.3.3 Clayton D.D. 1983, Principles of Stellar Evolution and Nucleosynthesis, McGraw-Hill
Fig.3.4 Hayashi C., Hoshi R., Sugimoto D. 1962, Progr. Theor. Physics, Suppl 22.
Fig.3.5 Ezer D., Cameron A.G.W. 1963, Icarus 1, 422.
Fig.3.6 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.3.12 Clayton D.D. 1983, Principles of Stellar Evolution and Nucleosynthesis, McGraw-Hill
Fig.3.14 Clayton D.D. 1983, Principles of Stellar Evolution and Nucleosynthesis, McGraw-Hill
Capitolo 4

Le basi fisiche dellevoluzione stellare

4.1. La formazione di strutture autogravitanti


Le considerazioni svolte nel precedente capitolo forniscono un quadro generale dei
meccanismi fisici che riteniamo operare nelle strutture stellari determinandone le pro-
prieta. Inserendo adeguate valutazioni dellefficienza di tali meccanismi nelle equazioni
dellequilibrio stellare discusse nel secondo capitolo e utilizzando i sistemi di calcolo nu-
merico ivi presentati sara possibile operare previsioni teoriche sul comportamento nel tempo
di tali strutture, per ogni assunto e prefissato valore della massa e della composizione chim-
ica. Diviene cosi possibile investigare quantitativamente il destino evolutivo degli oggetti
stellari al duplice fine di interpretare le strutture stellari oggi osservate in termini dei loro
parametri evolutivi e, nel contempo, di comprendere il ruolo che le stelle hanno svolto e
stanno svolgendo nellevoluzione nucleare della materia dellUniverso.
Prima di entrare in tali dettagliate valutazioni, dedicheremo peraltro questo capitolo a
precisare il quadro entro il quale tali risultati evolutivi devono muoversi in base a consider-
azioni generali sulla natura e il funzionamento della macchina stella. Per cio che riguarda
in particolare lorigine di tali strutture, si e piu volte indicato come una stella sia il risultato
della contrazione di una massa di gas interstellare nel quale il campo gravitazionale abbia
finito col prevelere sullenergia termica delle particelle. Si puo ottenere una stima dei rap-
porti tra le grandezze in gioco in tale processo imponendo semplicemente che alla periferia
di una nube di massa M e raggio R lenergia gravitazionale di un atomo di idrogeno risulti
non minore della sua energia di agitazione termica

MH
G kT
R
4 3
Collegando la massa alla densita media della nube, M = 3 R , si ottiene una utile
relazione tra M, T e

M 2 3 k 3
3
( )
T 4 GH
che mostra come per ogni prefissata coppia di valori e T della nube protostellare esista
una massa minima in grado di contrarre (Massa di Jeans). Se per una tipica nube interstellare
assumiamo una temperatura T 100K ed una densita di 20 atomi cm3 si trova una
massa minima di circa un migliaio di masse solari, dellordine quindi di quella osservata per
gli ammassi stellari di disco.

1
2

Cio suggerisce un semplice schema che giustifica, sia pur qualitativamente, la formazione
di tali ammassi e, piu in generale, lesistenza di ammassi stellari. Una nube che abbia rag-
giunto la massa critica, o per fluttuazioni di densita o per raffreddamento, inizia infatti a
collassare perche la forza gravitazionale prevale sullagitazione termica. A bassa temperatura
il gas e non ionizzato e trasparente alla radiazione, lenergia acquistata nella contrazione
viene irradiata nello spazio ed il collasso procede quasi isotermicamente. Aumenta peraltro
la densita e diminuisce quindi la massa critica di Jeans, rendendo possibile ulteriori frag-
mentazioni in scala gerarchica. Tali fragmentazioni terminano quando, al procedere della
contrazione, la radiazione tende sempre piu a restare intrappolata nel gas e la temperatura
del gas stesso inizia ad aumentare. Dallultima generazione di fragmentazioni nasceranno le
stelle dellammasso.
La formazione delle strutture stellari e peraltro processo estremamente complesso che
coinvolge il trattamento idrodinamico del gas in contrazione, non escluso lintervento di
campi magnetici, e che esula dai limiti della presente trattazione. E nondimeno istruttivo
utilizzare ancora la relazione precedente per valutare la densita minima corrispondente a
masse di Jeans dellordine delle comuni strutture stellari. Si ricava infatti facilmente che per
linstabilita gravitazionale deve essere

4 1044 T 3 /M 2
Ponendo come limite inferiore delle possibili temperature il valore della radiazione di
fondo (T 3K), per M = 1M si ottiene cos ad esempio 1018 grcm3 , corrispondente
a circa 106 atomi di idrogeno per centimetro cubo.

4.2. Strutture di equilibro e teorema del viriale


Con semplici procedure basate sulla terza legge di Newton si puo agevolmente mostrare
( A4.2) che per un qualsiasi sistema isolato di particelle autogravitanti vale il Teorema del
Viriale nella forma

d2 I
2T + =
dt2
dove T =energia cinetica totale = i 21 mi vi2 estesa a tutte le particelle del sistema, =
energia (negativa) di legame gravitazionale ( = 0 per r ) e I e il momento di inerzia
del sistema.
Le fasi iniziali del processo di formazione stellare sono sotto il controllo dei tempi scala
meccanici del collasso gravitazionale ed il sistema e ben lontano dalle condizioni di quasi
stazionarieta ( quasi equilibrio che abbiamo definito essere caratteristiche di una struttura
stellare. Al progredire della contrazione linnalzamento della temperatura finisce con il fa-
vorire fenomeni di ionizzazione, cresce lopacita radiativa, lenergia guadagnata nella con-
trazione viene ceduta al gas, innalzandone temperatura e pressione, ed i tempi scala passano
da tempi scala meccanici a tempi scala termodinamici. Le strutture raggiungono cos con-
dizioni di quasi equilibrio, d2 I/dt2 0 e le strutture stesse restano sotto il controllo del
viriale nella forma

2T + = 0
Da questo momento potremo dire di essere in presenza di una struttura stellare, struttura
che rimarra sotto il controllo del viriale sinche non si giunga ad una eventuale fase finale
esplosiva. Si noti che lalta opacita della materia nelle fasi iniziali, inibendo il trasporto
radiativo, tende a indurre estesi moti convettivi, talche si ritiene in genere lecito assumere
strutture iniziali totalmente convettive e, di conseguenza, chimicamente omogenee.
3

E utile notare che la precedente espressione del viriale non rappresenta qualcosa di mis-
terioso o magico ma, al contrario, fornisce in forma quantitativa una ovvia condizione di
equilibrio per le strutture. Lequilibrio tra le forze di gravita e quelle di pressione richiede
infatti che allaumentare della gravita (al decrescere di ) aumenti la temperatura per au-
mentare la pressione. E facile ricavare dal viriale anche le linee generali di evoluzione di
un sistema autogravitante. A causa dellirraggamento dalla superficie (e talora anche per
emissione di neutrini) il sistema perde infatti continuamente energia. Se tale perdita non e
bilanciata da una qualche sorgente interna di energia (quali le razioni nucleari) temperatura
tenderebbe a decrescere. Se la pressione e controllata dalla temperatura, la stella deve al-
lora contrarre su tempi scala termodinamici (o di Kelvin-Helmotz. Il viriale ci dice che per
rimanere in equilibrio deve risultare

dT = d/2
cioe meta dellenergia guadagnata nella contrazione deve andare ad innalzare il contenuto
termico della struttura, mentre laltra meta supplisce alle perdite per radiazione. La perdita
di energia quindi finisce col produrre un innalzamento della temperatura e, in questi senso,
una struttura autogravitante puo essere riguardata come un sistema termodinamico a calore
specifico negativo.
Ma quello che qu piu interessa e che tale relazione mostra come la storia di una stella
sia la storia di una progressiva contrazione di una sfera di gas autogravitante e del con-
temporaneo continuo innalzamento del contenuto termico della struttura. In tal senso una
qualunque stella altro non e che una macchina naturale per innalzare la temperatura di un
agglomerato di particelle. Se le particelle che compongono il gas stellare fossero puntiformi
e non interagenti, la contrazione non avrebbe termine, ne avrebbe termine il continuo in-
nalzamento delle pressioni e delle temperature. Ma le particelle sono atomi, composti da
un nucleo centrale circondato dagli elettroni periferici, e nel corso della contrazione possono
intervenire due possibili tipi di fenomeni, a seconda dei valori di temperatura-densita che
vengono raggiunti:

i) gli elettroni degenerano, cos che la pressione non dipende piu dalla temperatura. La
contrazione e arrestata dalla pressione degli elettroni degeneri,

ii) vengono raggiunte temperature alle quali diventano efficienti le reazioni nucleari.

Minore e la massa di una stella, maggiore e in genere la densita e minore la temperatura


delle zone centrali. Stelle di massa sufficientemente piccola (M 0.1M ) degenerano ancor
prima di raggiungere le temperature di fusione dellidrogeno. Stelle di massa leggermente
superiore (0.1M M 0.5M ) innescano lidrogeno ma degenerano prima di innalzare le
temperature sino a innescare la combustione dellelio. Stelle piu massicce degenerano prima
di innescare la combustione del carbonio. In stelle ancora piu massicce la contrazione e
destinata a proseguire, innescando tutte le combustioni esotermiche, sino a raggiungere le
ultime fasi esplosive.
Se e quando nelle regioni centrali di una struttura inizia a divenire efficiente una sor-
gente nucleare di energia, lenergia cos prodotta va a supplire alle perdite per radiazione,
rallentando la contrazione. La contrazione deve in ogni modo continuare (innalzando la tem-
peratura) sino a quando lenergia nucleare prodotta giunge a bilanciare esattamente quella
persa dalla struttura. In tali condizioni la contrazione guidata dalle perdite di energia si
arresta e, se si trascurassero le variazioni di composizione chimica indotte dalle reazioni
nucleari, la struttura risulterebbe indefinitamente stabile.
In realta le reazioni di fusione nucleare, agglutinando due o piu nuclei in un unico prodotto
di reazione, diminuiscono il numero di particelle. Diminuisce quindi la pressione, rompendo
4

lequilibrio idrostatico, e la stella deve quindi contrarre, ora pero su tempi scala nucle-
ari. Laumento di temperatura guidato da tale contrazione dovra anche essere in grado di
mantenere la produzione di energia ai livelli necessari a fronte del progressivo consumo del
combustibile nucleare disponibile. Si noti che da quanto sinora indicato si ricava che lenergia
irraggiata da una stella NON e determinata dallefficienza delle reazioni nucleari, essendo
invece vero il viceversa: lefficienza delle reazioni e regolata dalla necessita di bilanciare il
preesistente fabbisogno energetico della struttura. E questa una evidenza che sara necessario
tener presente nel seguito per comprendere alcune caratteristiche dellevoluzione stellare.
La storia di una stella e quindi la storia di una continua contrazione, di volta in volta
rallentata dallinnesco di reazioni nucleari, con una continua alternanza di tempi scala ter-
modinamici e nucleari. Ricordando come la temperatura di efficienza delle reazioni nucleari
sia regolata dalla repulsione coulombiana, e facile prevedere che, al passare del tempo ed
allaumentare della temperatura, nelle regioni centrali di una stella iniziera prima la com-
bustione dellidrogeno, seguita -in successione a partire dallelio- dalla combustione degli
elementi piu pesanti prodotti delle precedenti combustioni. Tale alternanza si interrompe
definitivamente se la degenerazione elettronica interviene a bloccare la contrazione. Ove cio
non avvenga (stelle massive) dobbiamo prevedere che una struttura stellare quasi statica
giunga fatalmente al suo termine quando nelle zone centrali si sia formato un nucleo di ferro
giunto al limite della fusione nucleare ( 5 109 K). Come piu volte indicato tale fusione e en-
dotermica, e ne consegue un processo di contrazione reazionato positivamente che riportera
la struttura su tempi scala meccanici, ponendo fine allevoluzione stellare con la possibile
distruzione e dispersione di parte della struttura.
Linnesco della reazione endotermica induce infatti un assorbimento di energia che ac-
celera la contrazione, che a sua volta incrementa la temperatura centrale e lefficienza della
reazione stessa. Ci si attende come risultato un collasso della struttura. Pur senza entrare qui
nel merito dei meccanismi fisici che regolano e controllano tale collasso, ricordiamo che ci si
attende nel nucleo stellare una intensa produzione di neutroni e neutrini e, contemporanea-
mente, un subitaneo innalzamento della temperatura che riattiva reazioni nucleari in gran
parte della struttura (nucleosintesi esplosiva). E in questa fase che puo venire eiettata nello
spazio una consistente frazione della struttura medesima, iniettando nel gas interstellare gli
elementi sintetizzati nellintero corso dellevoluzione nucleare della struttura.

4.3. Combustioni termonucleari: la catena protone-protone


Per precisare ulteriormente il quadro evolutivo emerso dal teorema del viriale conviene esam-
inare piu in dettaglio la serie di reazioni nucleari che ci attendiamo divengano efficienti nel
gas stellare al progressivo aumentare della temperatura. Tra le moltissime reazioni nucleari
in linea di principio efficienti soffermeremo la nostra attenzione solo su quelle che definiamo
come significative, e che appartengono a due distinte categorie:

i) Reazioni che per labbondanza del combustibie ed il valore della sezione durto pre-
dominano nettamente e dalle sole quali dipende la produzione di energia

ii) Reazioni che pur non contribuendo apprezzabilmente alla produzione di energia
possono lentamente sintetizzare prodotti di reazione di particolare rilevanza nel quadro
dellevoluzione della composizione nucleare della materia stellare.
Sulla base delle considerazioni sin qui svolte appare evidente che al progressivo crescere
della temperatura debbano per prime divenire efficienti le reazioni nucleari cui corrisponde
la minor repulsione coulombiana, cioe quelle tra due protoni. Cio, in linea di principio, e
certamente vero, ma e anche vero che i protoni, giunti a reagire nuclearmente decadono con
5

Fig. 4.1. Le reazioni della catena protone-protone, con sottolibeate le reazioni primarie.

grandissima probabilita nuovamente in due protoni (scattering nucleare) e solo una piccol-
issima frazione dei nuclei composti decade lungo il canale di fusione, in grado di produrre
energia

p + p D + e+ +
fortemente inibito dal necessario intervento delle interazioni deboli. Per tale motivo, attorno
ai 106 K le prime fusioni a diventare efficienti sono le combustioni degli elementi leggeri D, Li,
Be e B con protoni. Ci si attende peraltro che labbondanza di tali elementi nel gas stellare
sia molto piccola, e corrispondentemente piccolo e il contributo delle fusioni allenergetica
della struttura. Leffetto principale, oltre alla distruzione degli elementi stessi, consistera
in un momentaneo rallentamento della contrazione gravitazionale ed in una trascurabile
produzione di 3 He e 4 He, secondo canali di combustione che ritroveremo discutendo qui di
seguito la combustione dellidrogeno.
Solo quando la temperatura raggiunge, orientativamente, i 5 6 106 K il numero di
reazioni nucleari pp e aumentato al punto da rendere efficiente anche il canale di fusione di
due protoni in un nucleo di deuterio D, secondo la reazione gia in precedenza indicata. Il
deuterio prodotto e peraltro in grado di reagire nuclearmente con un altro protone,

D + p 3 He +
cui segue tutta una catena di reazioni impostata sui vari prodotti di combustione che converra
esaminare in qualche dettaglio. Alle minori temperature l3 He prodotto tende ad accumularsi
come prodotto di reazione. Solo attorno a 8106 K diviene efficiente la reazione di combustione

3
He +3 He 4 He + 2p
mentre attorno ai 15 milioni di gradi diviene efficiente anche la reazione concorrente

3
He +4 He 7 Be +
di fusione di 3 He con i nuclei di 4 He certamente presenti nel gas stellare almeno come
conseguenza della nucleosintesi cosmologica. Si noti come le due ultime reazioni esaminate
6

Fig. 4.2. Efficienza relativa delle catene di combustione pp al variare della tempeatura (in milioni
di gradi).

contemplino di fatto la fusione di due nuclei di elio, mentre resta peraltro inibita la reazione
debole 3 He + p 4 He + e+ + .
Esperienze di laboratorio indicano che il 7 Be e nucleo instabile per cattura K, cioe per
cattura di un elettrone dellorbita piu interna, con tempo di dimezzamento di 57 giorni.
Tale processo non puo peraltro essere efficiente nelle stelle, perche alle temperature in esame
ci si attende che il 7 Be sia completamente ionizzato. In tali condizioni il nucleo puo pero
catturare un elettrone del plasma stellare, iniziando una catena di reazioni che conduce infine
alla formazione di due nuclei di 4 He. Si noti come tale reazione non risulti governata dalla
repulsione coulombiana.
E invece regolata dalla repulsione coulombiana lalternativa cattura di un protone per
formare 8 B e, attraverso una serie di decadimenti, 8 Be e infine 24 He. Lefficienza di questa
reazione aumenta quindi al crescere della temperatura, e a circa 2 107 K essa finisce col
prevalere sulla concorrente cattura elettronica. Di particolare rilevanza in questa catena di
reazioni i neutrini prodotti nel decadimento del 8 B, che a causa della grande energia furono
i primi ad essere rilevati nelle esperienze di rilevazione dei neutrini solari ( A5.5)
La Figura 4.1 riporta uno schema riassuntivo della catena di reazioni originate dalla
fusione di due protoni, nota come catena pp. Come indicato nella figura, al variare della
temperatura sono possibili tre diverse sequenze di reazioni (ppI. ppII e ppIII) che conducono
in ogni caso al comune risultato di fondere 4 protoni in un nucleo di 4 He. La Figura 4.2
mostra lefficienza relativa di questi diversi canali al variare della temperatura. Ad evitare
equivoci ricordiamo che allaumentare della temperatura aumenta lefficienza di tutte le
reazioni e quindi di tutte e tre le catene pp: la figura 4.2 riporta il contributo relativo delle
tre catene alla produzione totale di energia.

4.4. Elementi primari ed elementi secondari


Chi avesse dimestichezza con le famiglie di elementi radioattivi naturali riconoscerebbe nella
catena pp tutta una serie di elementi secondari, i cui nuclei sono contemporaneamente
prodotti e distrutti nella sequenza di reazioni. In tale condizione le abbondanze di questi
elementi tendono verso condizioni di equilibrio, ed i nuclei non intervengono piu nel deter-
minare la velocita delle reazioni se non in maniera indiretta. Illustreremo tale caratteristica
nel caso del deuterio.
Per il deuterio si ha infatti una reazione di produzione (p + p ) ed una di distruzione
(D + p ). Poiche per ogni reazione viene creato o distrutto un nucleo di deuterio, il numero
di nuclei creati o distrutti nellunita di volume e nellunita di tempo sara dato dalle relazioni

dN2 N2
Processi di creazione = n1,2 = 1 < 11 v >
dt 2
7

Fig. 4.3. Il rapporto di equilibrio D/H al variare della temperatura T in milioni di gradi.

dN2
Processi di distruzione = n12 = N1 N2 < 12 v >
dt

dove 1 e 2 fanno riferimento rispettivamente a protoni e deutoni. Ne segue che che il


numero di deutoni nellunita di volume varia col tempo secondo la relazione
dN2
= n11 n12
dt
Qualunque sia labbondanza iniziale del deuterio (ma in realta ce ne attendiamo molto
poco) si ricava che labbondanza di tale elemento deve evolvere verso la condizione di equi-
librio

n11 = n12
da cui si trae per le abbondanze di equilibrio

N2 1 < 11 v >
( )eq =
N1 2 < 12 v >
E subito visto infatti che se N2 > N1 allora 12 > 11 , e viceversa, cos che le abbondanze
evolvono necessariamente verso lequilibrio. Ricordando che le abbondanze in numero sono
legate a quelle in massa dalla relazione Xi = Ni Ai H/ per le abbondanze in massa di
equilibrio potremo scrivere (X2 /X1 )eq =< 11 v > / < 12 v >.
Si puo ottenere una scala dei tempi per il raggiungimento dellequilibrio osservando che,
per esempio, se N2  (N2 )eq prevale la reazione di distruzione, per la quale

1 dN2 d
= lnN2 = N1 < 12 v >
N2 dt dt
da cui N2 = N20 et/ con = 1/(N1 < 11 v >). Per una miscela ricca di idrogeno e per
temperature in cui la fusione pp e efficiente si trova cos (X2 )eq 1018 , 1 secondo. Le
condizioni di equilibrio sono cioe raggiunte in tempi rapidissimi e senza una apprezzabile
variazione della composizione chimica della materia (Figura 4.3)
Allequilibrio ogni reazione p+p e necessariamente seguita da una reazione D+p, talche
si puo direttamente assumere che ogni reazione p+p abbia per risultato la scomparsa di
tre protoni e la sintesi di un nucleo di 3 He, la velocita di produzione restando regolata
solo dal valore di n11 . In questo senso il deuterio e elemento secondario, come lo sono
anche 7 Be,7 Li,8 Be,8 B la cui dettagliata valutazione risulta inessenziale sia ai fini della
evoluzione chimica che a quelli della produzione di energa della catena pp, fermo restando
8

Fig. 4.4. La concentrazione allequilibrio di 3 He (a sinistra) e il tempo (in anni) per raggiungere
lequilibrio stesso (a destra) in funzione della temperatura in milioni di gradi .

che alle restanti reazioni primarie occorrera associare i prodotti in particelle ed i contributi
energetici provenienti dalle reazioni secondarie che le seguono.
Cos gli effetti delle due prime reazioni della catena
p + p D + e+ + (+Q11 )
D + p 3 He + (+Q12 )
ove con Qii indichiamo lenergia rilasciata nella singola reazione eventualmente decurtata
della enrgia sotto forma di neutrini,restano compiutamente descritti dalle relazioni

dN1 dN3
= 3n11 = n11
dt dt
dQ
= n11 (Q11 + Q12 )
dt
ove le prime due regolano, con ovvio significato dei simboli, la variazione col tempo del
numero di particelle per unita di volume e la terza fornisce lenergia prodotta per unitaa di
tempo sempre nellunita di volume. Da questultima si ricava immediatamente la produzione
di energia per grammo e per secondo della ppI:

1 dQ
=
dt
Resta da notare che alcuni elementi, come nel nostro caso l3 He, possono comportarsi da
primari o secondari a seconda della temperatura che regola il valore della sezione durto di
distruzione. A basse temperature la sezione durto 3 He +3 He e molto piccola e la compo-
sizione dequilibrio -sempre esistente- e corrispondentemente non solo molto alta ma anche
raggiunta in tempi lunghi. Levoluzione dell abbondanza di 3 He deve quindi essere seguita
in dettaglio e l3 He si comporta come elemento pseudoprimario. Al crescere della temper-
atura aumenta la sezione durto di distruzione e l3 He diviene a tutto rigore un secondario
(Fig. 4.4)

4.5. Traiettorie evolutive per fusione di particelle cariche


Esaminando in generale le proprieta dei nuclei e possibile porre in luce quanto di non oc-
casionale vi e nel tipo di reazioni nucleari che abbiamo incontrato discutendo la catena
pp e che incontreremo illustrando le altre combustioni. Come gia richiamato nel I capitolo
9

Fig. 4.5. La sequenza dei nuclei stabili e contornata da nuclei instabili che con decadimenti + o
si portano nella configurazione di equilibrio, cui corrisponde un massimo dellenergia di legame.

( A1.8), un generico nucleo resta caratterizzato dal numero Z di protoni e N di neutroni


che lo compongono, ed e possibile mappare nel piano Z,N la sequenza di nuclei stabili es-
istenti in natura (Fig. 4.5). In tale piano, per i nuclei piu semplici, sino a circa Z=20, i
nuclei stabili appaiono caratterizzati da un numero simile di protoni e neutroni (Z N )
mentre a Z maggiori si manifesta un progressivo eccesso di neutroni (Fig. 1. 22). Le regioni
esterne alla sequenza di stabilita sono occupate da nuclei instabili che decadono verso la loro
configurazione stabile trasformando protoni in neutroni, o viceversa, attraverso decadimenti
+ o , rispettivamente.
Come mostrato in Figura 4.6, non sorprende trovare che per ogni prefissato numero di
nucleoni A=Z+N la configurazione stabile mostra la maggiore energia di legame (la minore
massa) tra tutti gli altri possibili isobari. Si comprende cos come i decadimenti rapp-
resentino il canale di trasformazione che consente ai nuclei di portarsi nel loro minimo di
energia con lemissione di elettroni negativi o positivi. Risulta anche comprensibile levidenza
sperimentale secondo la quale linstabilita appare tanto maggiore (i tempi di decadimento
tanto minori) quanto piu i nuclei si allontanano da quella che viene talora definita la loro
valle di stabilita.
In tale scenario, si comprende come nella catena pp, agglutinando successivamente pro-
toni si producano nuclei con eccesso di tali particelle, instabili dunque per decadimento + .
Piu in generale, quando la fusione di particelle leggere porta a configurazioni della valle di
stabilita, il nucleo composto prodotto nella reazione decadra nel suo stato fondamentale con
lemissione di un quanto di energia. Se il configurazione del nucleo composto e allesterno
della valle, cio avverra inevitabilmente per un eccesso di protoni e un decadimento + si
incaricheradi riportare il nucleo nella sua configurazione stabile.
E cos possibile leggere la maggior parte delle reazioni che abbiamo incontrato nella
catena pp e che incontreremo nel seguito in tale semplice chiave topologica, chiarendo
lalternanza di processi e + che in genere contraddistinguono le varie catene di com-
bustione tra particelle cariche.
10

Fig. 4.6. Andamento schematico della massa di nuclei con eguale numero di nucleoni (numero
atomico A=Z+N) al variare del numero di protoni Z e neutroni N. Il nucleo stabile realizza la
massima energia di legame (massa minima). I nuclei instabili si portano nello stato di massimo
legame tramite decadimenti [(Z,N] (Z+1, N-1) + e + ] o + [(Z,N] (Z-1, N+1) + e+ +
] liberandosi cosrispettivamente delleccesso di neutroni o di protoni.

4.6. Il biciclo CN-NO


Se, e solo se, nel gas stellare e presente anche una minima quantita di nuclei di carbonio, di
azoto e/o di ossigeno, a temperature leggermente superiori a quelle necessarie per lefficienza
della catena pp si apre un ulteriore canale di reazioni per la combustione dellidrogeno in
elio. Se, per esempio, assumiamo la presenza di soli nuclei di carbonio, a circa 15 106 K
diventano efficienti processi di cattura protonica che innescano una serie di reazioni
12
C + p 13 N +
13
N 13 C + e+ + ( = 870sec)
13
C + p 14 N +
14
C + p 15 O +
15
O 15 N + e+ + ( = 178sec)
15
N + p ( O) ( 99%) 12 C +
16

( 1%) 16 O +
Si vede come il nucleo di 12 C aggreghi successivamente 4 protoni giungendo con lultima
reazione alla produzione di un nucleo di 16 O in uno stato eccitato. Questultimo decade pref-
erenzialmente restituendo un nucleo di 12 C ed una particella ( nucleo di 42 He). Trascurando
per il momento lulteriore canale di decadimento in 16 O, siamo dunque in presenza di un ciclo,
in cui il carbonio funge da catalizzatore della fusione di 4 protoni in un nucleo di elio, rima-
nendo disponibile per una serie indeterminata di reazioni. Naturalmente il ciclo puo prendere
inizio quando sia presente almeno uno qualsiasi dei suoi componenti (12 C,13 C,14 N,15 N ),
essendosi in precedenza assunto il 12 C solo a titolo di esempio. Tale ciclo viene in genere in-
dicato come ciclo CN ad indicare come esso sia basato sulla continua mutua trasformazione
di questi due elementi.
Trattandosi di un ciclo, tutti i nuclei C e N sono contemporaneamente creati e distrutti,
e assumono quindi la veste di elementi secondari, evolventi quindi verso una loro condizione
di equilibrio. Allequilibrio n1j = cost (j = 12, 13, 14, 15) e per le abbondanze di equilibrio
si ricava

N (12 C) < 1,12 v >= N (13 C) < 1,13 v >= N (14 N ) < 1,14 v >= ....
11

Fig. 4.7. Variazione col tempo dellabbondanza dei vari elementi del ciclo CNO in una miscela
con composizione iniziale solare, mantenuta a T= 30 106 K, = 1 gr/cm3 . La linea a tratti mostra
levoluzione temporale del coefficiente di generazione di energia. Il tempo t e in anni.

Come atteso, labbondanza di equilibrio dei vari nuclei risulta quindi inversamente pro-
porzionale alla sezione durto per i rispettivi processi di distruzione. La sezione durto di
gran lunga minore e quella per processi di cattura protonica su 14 N , seguita nellordine da
quelle per gli analoghi processi su 12 C,13 C e 15 N . Corrispondentemente ci si attende che
allequilibrio oltre il 95% dei nuclei sia sotto forma di 14 N ed il resto largamente sotto forma
di 12 C.
Abbiamo peraltro gia indicato come il ciclo CN non sia perfetto, perdendo una piccola
parte dei nuclei a formare 16 O. Tale perdita e peraltro effimera, perche tale elemento viene
a sua volta processato per restituire nuclei di 14 N . Si ha infatti
16
O + p 17 F +
17
F 17 O + e+ +
17
O + p (18 F ) 14 N +
ove appare ora lecito trascurare la piccola quantita di 18 F che decade nel suo stato
fondamentale. Si vede come le precedenti reazioni realizzino un nuovo ciclo NO: un nucleo
di azoto puo aggregare successivamente 4 protoni per restituire infine ancora un nucleo di
azoto piu una particella . Siamo dunque in presenza di due cicli mutuamente accoppiati che
realizzano il cosiddetto biciclo CN-NO nel quale tutti i nuclei pesanti coinvolti si presentano
come elementi secondari. Si noti che, poiche i nuclei non sono in realta ne creati ne distrutti
ma solo trasformati luno nellaltro, in ogni caso ed in ogni momento il numero originale N0
di nuclei pesanti deve conservarsi, risultando

Ni = N0
Alle minori temperature la cattura 16 O + p e largamente innefficiente e la combustione
riposa essenzialmente sul solo ciclo CN. Attorno ai 20 106 K ambo i cicli sono in piena
efficienza e sia 12 C che 16 O vengono ridotti a pochi percento di 14 N . Anche in questo caso
12

Fig. 4.8. Abbondanze relative di equilibrio al variare della temperatura (in milioni di gradi) per
gli elementi principali del ciclo CNO. Si e posto Ni = 1

Fig. 4.9. La produzione di energia dalla catena pp e dal ciclo CNO al variare della temperatura
in milioni di gradi. Si e assunta una composizione chimica solare.

la grande maggioranza dei nuclei di 14 N finiscono necessariamente con levolvere lungo il


ciclo CN che fornisce quindi in ogni caso il maggior contributo alla generazione di energia.
Limportanza del ciclo NO discende dallevidenza che il gas interstellare da cui originano
le stelle risulta in genere relativamente ricco di elementi multipli di , quali 12 C e 16 O, a
fronte di una relativa sottoabbondanza di 14 N . Lefficienza del ciclo NO ha dunque leffetto
di rendere disponibili per il ciclo CN gli originali nuclei di 16 O presenti nella materia.
Quanto sinora esposto ha come importante conseguenza lefficienza di una combustione
CNO viene dunque memorizzata nella abbondanza relativa di quei tre elementi, secondo lo
schema:
12 14 16
Gas non processato C N O
12 14 16
Gas processato CN C N O
12 14 16
Gas processato CNO C N O

La Figura 4.7 riporta landamento col tempo delle abbondanze dei nuclei nel caso di
combustione CNO in una miscela con abbondanze originali solari alle condizioni indicate.
Si nota come prima 12 C e poi 16 O vengano trasformati in 14 N , mentre 13 C e 15 N vengono
prodotti e mantenuti allequilibrio con i loro capostipiti 12 C e 14 N . I tre elementi piu abbon-
danti del ciclo CNO risultano in ogni caso 12 C, 14 N e 16 O, cui corrispondono le piu piccole
sezioni durto per le reazioni di distruzione e, conseguentemente, i tempi piu lunghi per
il raggiungimento dellequilibrio. Per seguire nel dattaglio levoluzione di una combustione
CNO sara quindi sufficiente valutare istante per istante lefficienza delle tre reazioni
12 13
C+p N+
13

Fig. 4.10. Schema delle reazioni che compongono il biciclo CN-NO. Sono indicate anche le reazioni
che prendono origine dai rari nuclei di 18 F che decadono nel loro stato fondamentale.

14 15
N+p O+
16 17
O+p F+
e, eventualmente, se interessati ai dettagli temporali,
13 14
C+p N+
che sono le quattro reazioni pseudoprimarie. Tutti gli altri elementi possono essere riguar-
dati come strettamente secondari, raggiungendo in tempi trascurabili composizioni minime
di equilibrio. La Figura 4.8 mostra la dipendenza dalla temperatura delle abbondanze di
equilibrio dei quattro elementi pseudoprimari.
Lefficienza della combustione CNO dipende per ogni temperatura dalla abbondanza di
tali elementi nel gas stellare. Nel caso di gas con composizione solare (Z 0.02) circa il
50% della massa degli elementi pesanti e attribuibile a C,N ed O e attorno ai 17 106 K la
combustione CNO inizia a predominare sulla pp (Fig. 4.9). Tale soglia non dipende peraltro
criticamente dallabbondanza di CNO. La dipendenza dalla temperatura della generazione
di energia va infatti nei due casi come

pp T 4 CN O T 15
e modeste variazioni di temperatura sono quindi sufficienti per bilanciare variazioni anche
notevoli nellabbondanza di nuclei CNO.
La Figura 4.10 riporta uno schema delle reazioni che compongono il biciclo CN-NO,
con anche indicate le reazioni che prendono origine dai rari nuclei di 18 F che decadono
nello stato fondamentale anziche restituire un nucleo di 14 N ed una particella . In linea
di principio potrebbe preoccupare lesistenza al termine di queste ultime reazioni del nucleo
stabile 20 Ne: ogni nucleo di 20 Ne formato viene infatti sottratto al ciclo, diminuendone
lefficienza. E peraltro facile verificare che il numero di nuclei di 20 Ne cos prodotti risulta
del tutto trascurabile. Dal rapporto delle rispettive sezioni durto p, e p, si ricava infatti
la probabilita dei nuclei eccitati (= la frazione) di decadere nel loro stato fondamentale per
proseguire la catena di reazioni. Risulta cos
14

(18 F) 18 F 0.3; (19 F) 19 F 0.0008; (20 Ne) 20 Ne 0.0002;

ricordando che circa solo l 1% dei nuclei transita per il ciclo NO si ricava che la prob-
abilita di formare un nucleo di 20 Ne e minore di 109 . Questa probabilita va confrontata
con il numero di cicli che compie un nucleo prima che sia esaurito lidrogeno. Nel caso di
materia di tipo solare, Z=0.02, abbiamo indicato come vi sia allincirca 1 nucleo di CNO per
ogni 1000 nuclei di idrogeno, e questo e quindi il numero di cicli compiuto da ogni nucleo di
CNO. E subito visto che non solo nel caso del Sole, ma anche per materia molto piu povera
di metalli, la probabilita di formare 20 Ne risulta microscopica.
Per completare il quadro resta da indicare come il quadro di reazioni sin qui descritto
riposi sullimplicita assunzione che il tempo tra due successive catture protoniche sia lungo
rispetto ai decadimenti . Cio e sempre vero nelle fasi di normale evoluzione delle strutture
stellari, nelle quali la temperatura e governata dallequilibrio idrostatico e le fusioni nucleari -
come abbiamo indicato - sono eventi rari. Non e piu vero durante le ultime fasi di implosione-
esplosione, durante le quali la temperatura puo aumentare improvvisamente di ordini di
grandezza. In tal caso cresce la sezione durto per cattura protonica e diventa probabile che
gli elementi del ciclo instabili + catturino un protone prima di decadere. In tal caso si
aprono ulteriori canali di combustione indicati con il termine CNO veloce ( A4.3).

4.7. Combustione dellHe. Catena del 14 N

Al termine della combustione dellidrogeno, esaurito tale combustibile la materia risultera


composta da elio e dagli elementi piu pesanti originariamente preesistenti. Se il ciclo CNO
e stato efficiente ci si attende che tra tali elementi pesanti C e O si siano in gran parte
trasformati in 14 N.
La catena pp, ove sono presenti due rami di combustione He+He, ci indica come a qualche
diecina di milioni di gradi debba certamente risultare coulombianamente efficiente anche
la reazione
4
2 He +42 He 84 Be
Con tale reazione non si realizza pero una reale combustione perche il 8 Be cos prodotto
ridecade in due particelle in circa 1016 secondi. La combustione si realizzera solo se e
quando il Be prima di decadere catturi una ulteriore particella giungendo a produrre un
nucleo stabile di 12 C
8
Be +4 He 12 C
Per comprendere il meccanismo che porta ad una efficiente produzione di carbonio e
da notare che il 8 Be si comporta come un elemento secondario, creato dalla reazione di
produzione 4 He +4 He e distrutto dal successivo decadimento, con una concenrazione di
equilibrio che dipende dal rapporto tra lefficienza delle reazioni di produzione (fusione di
due nuclei di elio) e di distruzione (decadimento spontaneo). Aumentando la temperatura
si producono due effetti, tutti e due tesi a rendere piu probabile la combustione del berillio
in carbonio:

1. Aumenta la velocita di reazione + e aumenta quindi, a fronte del costante tempo di


decadimento , la concentrazione di equilibrio di 8 Be
2. Si attenuano gli effetti della repulsione coulombiana e aumenta quindi la sezione durto
del berillio per cattura

La combinazione di questi due effetti fa si che a circa 108 K divenga efficiente il processo
a tre corpi di fusione di He in C. A tali temperature, ben superiori a quelle richieste dal
15

semplice attraversamento della barriera coulombiana, risultano peraltro efficienti anche suc-
cessive catture , cosi che nelle strutture stellari ci si attende che siano contemporaneamente
efficienti

3 12 C +

12
C + 16 O +
seguite, ma con minore e talora trascurabile efficienza, da
16
O + 20 N e +

20
N e + 24 M g +
Al termine della combustione di elio ci si attende essenzialmente una miscela di 12 C e
16
O con tracce piu o meno consistenti di Ne. Le stelle, consentendo di mantenere la materia
attorno ai 108 K per milioni di anni, riescono cosa superare tramite la reazione 3 il limite
imposto alla veloce nucleosintesi cosmologica dalla mancanza di nuclei stabili con A=5, 8.
Le reazioni di combustione di elio sin qui discusse sono le uniche rilevanti per quel che
riguarda il contributo al fabbisogno energetico di una struttura stellare. E peraltro da notare
come alle temperature di combustione dellelio l 14 N presente (anche come prodotto di una
precedente combustione CNO) sia in grado anchesso di catturare particelle
14
N + 18 F +
seguita dal decadimento
18
F 18 O + e+ +
innescando una catena di reazioni che qui di seguito riportiamo in una notazione alternativa
di immediata interpretazione
14
N (, )18 F (e+ )18 O(, )20 N e(, n)25 M g
Ricordiamo che in una stella ricca di metalli quale il Sole, con abbondanza in massa di
elementi pesanti dellordine di Z 0.02, labbondanza in numero di elementi CNO (supra)
e dellordine di 103 , confortando la scarsa rilevanza energetica di tale reazione a fronte della
combustione 3. E peraltro da notare che il completamento della catena implica che per
ogni nucleo CNO originalmente presente nel gas stellare venga liberato un neutrone, il che
-nella assunzione Z 0.02- corrisponde a 1021 neutroni liberati per grammo di materia.
Poiche i neutroni non risentono della repulsione coulombiana, essi tendono ad essere
catturati dai nuclei circostanti, che vengono cosa fungere da nuclei seme per la costruzione
di elementi a numero atomico sempre piu alto. Proprio un simile processo contribuisce alla
formazione degli elementi piu pesanti del Fe che, come gia sappiamo, non ci attendiamo
possano essere prodotti in combustioni termonucleari quiescenti.

4.8. Le combustioni avanzate


Considerando ancora una volta gli effetti della repulsione coulombiana, si trova che in-
nalzando la temperatura a 7 8 108 K diviene efficiente la combustione del carbonio
12
C +12 C 20 N e + 50% Q = 4.6M eV
23 N a + p 50% Q = 2.2M eV
16

23 M g + n rara Q = 2.6M eV
24 M g + molto rara Q = 13.9M eV
16 O + 2 sporadica Q = 0.1M eV

Si noti come allaumentare della complessita del nucleo composto diventino sempre piu
probabili canali di fragmentazione con emissione di protoni, neutroni o particelle a con-
fronto del decadimento nello stato fondamentale.
Poiche siamo a temperature molto piu alte di quelle tipiche per la combustione
dellidrogeno o dellelio, i protoni e le particelle prodotte reagiscono immediatamente
con molti dei nuclei circostanti. Tra le molte reazioni possibili, e di cui sara necessario tenere
dovuto conto, segnaliamo ad esempio una catena di reazioni che puo portare un ulteriore
contributo alla produzione di neutroni

12
C(p, )13 N (e+ )13 C(, n)16 O
Innalzando ancora la temperatura, a T 1.5 109 K i fotoni sono cos energetici che
la successiva combustione del Neon viene in realta innescata da un processo di fotodisinte-
grazione
20
N e + 16 O +
23
e le particelle cos prodotte reagiscono con lo stesso Neon o con il N a prodotto della
precedente combustione del carbonio
20
N e + 24 M g +
23
N a + 26 M g + p

dando di nuovo inizio a tutta una serie di reazioni che possono portare alla formazione
di alluminio, silicio, fosforo.
A T 2 109 K diviene possibile la fusione diretta di due atomi di ossigeno
16
O +16 O 28 Si + 45% Q = 9.6M eV
31 P + p 45% Q = 7.7M eV
31 P + n 10% Q = 1.5M eV
32 S + molto rara Q = 16.5M eV
24 M g + 2 sporadica Q = 0.4M eV

i cui prodotti danno di nuovo origine a tutta una serie di reazioni che possono giungere sino
al 46 T i.
Allulteriore aumentare della temperatura iniziano a dominare i processi di fotodisinte-
grazione e di ricattura delle particelle prodotte che conducono ad un equilibrio dinamico in
cui labbondanza dei vari nuclei e regolata dalle rispettive energie di legame. Da tali pro-
cessi di equilibrio emerge come specie dominante il nucleo piu legato, il Ferro, termine delle
possibili reazioni esoenergetiche di cui qui ci siamo interessati.

4.9. Evoluzione stellare e fusioni nucleari


La conoscenza del quadro delle reazioni termonucleari consente ora di precisare le aspetta-
tive evolutive delineate allinizio di questo capitolo come conseguenza del teorema del viriale.
Come schematizzato in Fig. 4.11 , ci si attende che la storia di una stella sufficientemente
massiccia consista in una progressiva contrazione intervallata da stop nucleari ogniqual-
volta linnalzamento della temperatura nelle zone centrali raggiunga la soglia di una delle
combustioni termonucleari chiamate progressivamente a trasformare prima H in He, poi He
17

Fig. 4.11. Schema dellandamento temporale delle temperature centrali T in uns stella sufficien-
temente massiccia: fasi di contrazione gravitazionale (g) portano in successione alle combustioni di
H, He, C.. sino alla finale fotodisintegrazione del Ferro.

in C e O, sintetizzando infine Mg, Si sino alla costituzione del nucleo finale di Fe la cui
fotodisintegrazione dara inizio al collasso finale di Supernova .
Piu in dettaglio, troveremo che ogni reazione, esaurito il proprio combustibile nelle regioni
centrali, si sposta in uno strato che circonda il nucleo composto dai prodotti di reazione
che allaumentare della temperatura fungeranno da combustibile alla successiva reazione.
Come schematizzato in Fig. ?? literazione di tale processo conduce infine nelle fasi finali
di pre-Supernova alla tipica struttura a cipolla, in cui un nucleo di Ferro e contornato
in successione dai prodotti delle varie reazioni che sono state efficienti lungo tutta la storia
della stella.
La durata temporale delle fasi di combustione nucleare resta determinata dalla condizione
che lenergia prodotta supplisca al fabbisogno energetico della struttura, restando quindi
collegata alla capacita di produrre energia delle varie fusioni. E subito visto che a parita
di nucleoni coinvolti la fusione di gran lunga piu energetica e quella dellidrogeno, dalla
quale ci attendiamo un emissione di energia di almeno 20 MeV per nucleo di He prodotto,
quindi almeno 5 MeV per nucleone coinvolto. Segue nellordine la 3 12 C che fornisce
7.275 MeV per nucleo prodotto di carbonio, e altri 7.162 MeV per la combustione di 12 C
in 16 OO. Si hanno dunque circa 0.6 MeV per nucleone dalla combustione in C, che salgono
a circa 0.9 MeV se la combustione si completa a formare 16 O. Se ne conclude che se una
stella rimanesse a luminosita costante la combustione dellelio sarebbe in grado di durare
non piu di un quinto di quanto duri quella dellidrogeno. Poiche in realta una struttura
aumenta di ordini di grandezza la sua luminosita, la durata combustione di He risultera
corrispondentemente minore, riducendosi talora anche a meno di 1%.
Le combustioni di elementi piu pesanti risultano ancor meno energetiche e, per di piu,
labbondante produzione di termoneutrini che contraddistingue le fasi evolutive piu avanzate
aumentano di molto il fabbisogno energetico, riducendo di conseguenza i tempi caratteristici
della combustione, sino a farli svanire in una continua finale contrazione. La Tabella 1 riporta
una valutazione indicativa della storia energetica di una struttura, dalla sua formazione sino
alla struttura finale di pre-Supernova.
Se leta delle stelle e distribuita a caso, ci si attende di trovare la grande maggioranza
delle stelle in fase di combustione di idrogeno, e cio e da collegarsi alla gia citata evidenza
osservativa della Sequenza Principale. Ci si attende anche una non trascurabile presenza
di stelle in fase di combustione di He, ma una scarsa o nulla evidenza di stelle in fasi di
combustione ancor piu avanzate. Fasi quindi di difficile identificazione osservativa, ma che
18

Fig. 4.12. A destra: landamento temporale della struttura di una stella. In ordinata la variabile
Mr /M che descrive la struttura dal centro ( Mr /M=0) alla superficie ( Mr /M=1). Le aree trat-
teggiate rappresentano le zone ove sono efficienti le indicate combustioni nicleari. A sinistra: schema
della struttura finale a cipolla in fase di pre-Supernova.

Tab. 1. Schema orientativo dellevoluzione di una struttura stellare massiva attraverso le diverse
fasi di combustione al crescere della temperatura centrale T6 in milioni di gradi. Per ogni fase viene
riportata lenergia totale (gravitazionale o nucleare)rilasciata dallinizio dellevoluzione e la frazione
di energia emessa per fotoni o neutrini.

T6 Fase Egrav Enucl Fotoni Neutrini

0-10 Gravit. 1 KeV/n 100%


10-30 H He 6.7 MeV/n 95% 5%
30-100 Gravit. 10 KeV/n 100%
100-300 He C, O 7.4 MeV/n 100%
300-800 Gravit. 100 KeV/n 50% 50%
12
800-1100 C +12 C 7.7 MeV/n 100%
1100-1400 150 KeV/n 100%
16
1400-2000 O +16 O 8.0 MeV/n 100%
2000-5000 Fe 400 KeV/n 8.4 MeV/n 100%

risultano peraltro di grande importanza quando si affrronti il problema della formazione


degli elementi e della evoluzione nucleare della materia nellUniverso.
19

Approfondimenti

A4.1. La formazione stellare. Funzione Iniziale di Massa (IMF)


La formazione stellare origina dal prevalere della gravita sulla agitazione termica del gas interstellare.
La dinamica dei processi di formazione e peraltro ancora aperta a indagini ed ipotesi. Per quel che
riguarda lidentificazione del meccanismo che conduce nubi interstellari a superare la massa critica,
iniziando la contrazione, sono possibili due scenari:

1. La massa critica viene superata per fluttuazioni spontanee nella densita e/o per rafreddamento
del gas,
2. La massa critica viene superata a causa della compressione prodotta dalla propagazione nel
mezzo di onde durto prodotte da una vicina supernova.

Tali due meccanismi, anziche essere alternativi, possono rappresentare due meccanismi concor-
renziali che, con efficienza da determinare, hanno contribuito alla formazione stellare lungo larco
della storia della nostra Galassia. In tale contesto, le piu volte citate differenze tra ammassi stellari
di disco e di alone (numero di stelle e stato dinamico) sono indice di una sostanziale differenza nello
stato fisico del gas nel quale si formarono i protoammassi e/o nei meccanismi di formazione.
Nel primo caso (fluttuazioni spontanee) la produzione di stelle resta indipendente dalla presenza
in loco di altre stelle,o tuttal piu inibita da tali stelle se esse, riscaldando il gas, elevano il valore della
massa di Jeans. In tal caso ci si attendono processi di formazione stellari piu o meno casualmente
scaglionati nel tempo. La formazione di stelle indotta da eventi di Supernova suggerisce al contrario
che la nascita di sistemi stellari sia un evento autopropagantesi: la formazione di un sistema stellare
implica la presenza di stelle massicce che, esplodendo come Supernove, inducono in sequenza la
formazione di ulteriori sistemi stellari nelle regioni circostanti, e cosdi seguito. Un processo iterativo
di cui si trova forse evidenza osservativa nella sequenza temporale di alcuni gruppi di ammassi aperti
della Galassia.
La distribuzione di masse stellari risultante al termine della gerarchia di fragmentazioni di un
protoammasso e un problema fondamentale tuttora aperto. Dallosservazione delle stelle attorno
al Sole e stata a suo tempo ricavata per tale distribuzione una legge di potenza, nota come IMF
(Initial Mass Function) di Salpeter, fornita in letteratura nelle due forme alternative:

dN dN
=M = M = M 1.35
dlnM dM

dN
= M (+1) = M 2.35
dM

E subito visto come tale distribuzione diverga per M 0: essa era infatti intesa a descrivere la
distribuzione della IMF per masse superiori o dellordine di 1 M . Le piu recenti evidenze osservative
mostrano che la distribuzione di Salpeter puo al piu essere mantenuta sino a masse dellordine di
0.6 M ; per masse minori sono state proposte varie alternative, tutte in accordo nellabbassare
drasticamente il numero di stelle previsto in tale intervallo di masse. Miller e Scalo hanno ad
esempio proposto di interpretare i dati osservativi in termini di una distribuzione log-normale, del
tipo

dN
exp[C1 (logM C2 )2 ]
dlnM
20

Fig. 4.13. Istogramma della distribuzione in massa dei frammenti risultanti da un processo proba-
bilistico confrontato con una distribuzione log-normale. Le masse sono in frazioni della massa della
nube iniziale.

con cui coprire lintero intervallo di masse. Non e peraltro ancora chiaro il ruolo dei fenomeni fisici
alla base di una tale distribuzione, ne - in particolare - quanto tale legge sia di validita generale
o rappresenti - al contrario - una distribuzione caratteristica delle sole stelle di Popolazione I.
Lipotesi che la IMF dipenda anche sensibilmente dal contenuto di metalli e stata infatti avanzata
piu volte, sulla base dellosservazione che il contenuto di metalli condiziona lopacita della materia
ed i meccanismi di raffreddamento della medesima, processi che dovrebbero giuocare un ruolo non
trascurabile nella dinamica della contrazione e della fragmentazione.
E interessante peraltro notare come sia stato mostrato che una distribuzione log-normale sia
spontaneamente raggiunta quando si supponga che il processo di successive fragmentazioni sia retto
da leggi probabilistiche per quel che riguarda il numero di frammenti per evento, le masse di tali
frammenti e il numero di frammentazioni (Fig. 4.13).

A4.2. Il teorema del viriale


Si abbia un gas autogravitante, composto cioe da un insieme di N particelle di massa mi , mutamente
interagenti attraverso il loro campo gravitazionale. Per esso si definisce il momento di inerzia
m1 (x2i + yi2 + zi2 )
P
I= i
i = 1, N

con ovvio significato dei simboli. Operandone la derivata seconda rispetto al tempo ne risulta

1 d2 I X d X 2
2
= mi (xi vxi + yi vyi + zi vzi ) = mi vxi + ... + m1 xi axi + .......
2 dt dt
i i

dove per brevita sono stati omessi gli analoghi contributi delle componenti y e z.
E subito visto che la somma
X 2 2 2
X
mi vxi + mi vyi + mi vzi = mi vi2 = 2T
i i

avendo indicato con T lenergia cinetica totale del sistema, somma delle energie cinetiche delle
singole particelle.
Notiamo ora che mi axi per la legge di Newton (F = ma) e la componente x della forza agente
sulla i-ma particella. Potremo dunque scrivere
X mi mj xj xi
xi mi axi = xi Fxi = xi G 2
rij rij
j6=i
21

Eseguendo le somme, ad ogni termine del tipo

mi mj xj xi
xi G 2
(componente x della forza operata dalla particella j su quella i)
rij rij

corrisponde un termine

mi mj xi xj
xj G 2
(componente x della forza operata dalla particella i su quella j)
rij rij

la cui somma fornisce


mi mj xj xi mi mj (xj xi )2
(xi xj )G 2
= G 2
rij rij rij rij

Sommando le corrispondenti componenti y e z si ha

mi mj (xj xi )2 + (yj yi )2 + (zj zi )2 mi mj


G 2
= G
rij rij rij
e sommando su tutte le particelle
X mi mj
G = = energia di legame gravitazionale
rij
ij

Riassumendo, si conclude che

1 d2 I
= 2T +
2 dt2
come si voleva dimostrare.

A4.3. Condizioni generali sulle strutture stellari


Sulla base delle varie relazioni teoriche che governano lequilibrio delle strutture stellari e possibile
ricavare interessanti predizioni sul comportamento generale di tali strutture.
Dallequazione dellequilibrio idrostatico nella forma dP/dM=GM/4r4 , integrando lungo
lintera struttura con un unico passo si ottiene as esempio

M2 M
P e poiche P T T
R4 R3
si ha infine

M
T
R
Alla stessa relazione si giunge dal teorema del viriale. Da 2W + = 0 si ha infatti W ,
dove ad evitare confusioni con la temperatura T abbiamo ora indicato con W lenergia cinetica
totale del sistema. Per la temperatura si ha T W/M e, dal viriale, anche /M. Poiche
M2 /R si ha infine ancora T M/R.
Utilizzando tale relazione possiamo anche ricavare indicazioni sulla relazione massa-luminosita
per strutture supposte almeno in larga parte in equilibrio radiativo. In tal caso si ha infatti

dT 3 L T4 L
= da cui 4
dM 4ac 16 2 r4 T 3 M R
Da T M/R si ricava infine

L M3
22

Fig. 4.14. Mappa degli elementi coinvolti nella combustione CNO veloce. Le linee a tratti indicano
i decadimenti .

che mostra come la luminosita debba crescere con una potenza superiore della massa. Si
noti come nella derivazione non si siano fatte ipotesi sulla generazione di energia, a ulteriore di-
mostrazione che la luminosita di una struttura e governata dalla massa attraverso lequilibrio idro-
statico. Introducendo lipotesi che la luminosita sia il prodotto di un meccanismo di combustione
nucleare, poiche lefficienza delle combustioni cresce con la temperatura, la relazione precedente ci
garantisce anche che la temperatura centrale deve crescere con la massa.
Dalla equazione della conservazione di energia si ha inoltre

dL L
= 4r2 da cui
dR R3

e utilizzando ancora T M/R, unita alla L M3 si ha

LT 3
T 3
M3
.

che mostra come il rapporto tra temperatura e densita dipenda dal coefficiente di generazione
di energia. Per questultimo si avra una dipendenza da temperatura e densita del tipo

m T n
risultando m=1, n=4 per la combustione dellidrogeno, catena pp, m=1, n=14 per il ciclo CNO,
e m=2, n=22 per la combustione dellelio.
Per strutture sorrette dalla catena pp si avra cos, ad esempio

T 2 cost
e simile per il CNO, che mostra come se allaumentare della massa deve crescere la temperatura,
come abbiamo gia trovato, nel contempo deve diminuire anche la densita centrale. Diminuendo
le masse si avranno dunque minori temperature e maggiori densita, predisponendo tali masse
allinsorgere della degenerazione elettronica, come gia indicato.

A4.4. Il ciclo CNO veloce


I meccanismi di combustione dellidrogeno tramite la catena pp o il ciclo CNO sono in genere valutati
sotto limplicita assunzione che la materia stellare sia a temperature tipiche delle fasi quiescenti di
23

Fig. 4.15. Diagrammi di flusso per le reazioni del ciclo CNO veloce a varie temperature in miliardi
di gradi (T9 ).

combustione, e quindi al piu a poche diecine di milioni di gradi. Sono queste infatti le temperature
che consentono di norma di estrarre dalla fusione dellidrogeno lenergia necessaria per sostenere
una struttura stellare. E da presumere pero che in peculiari condizioni evolutive materia ancora
ricca di idrogeno possa raggiungere temperature anche molto piu alte. Tale e il caso, ad esempio,
di stelle supermassicce o prive di metalli o ancora, con riguardo a fasi non quiescenti, di materia
coinvolta nellesplosione di una nova o di una supernova (nucleosintesi esplosiva.)
Ad alte temperature (T 108 K)il quadro di reazioni di combustione dellidrogeno puo risultare
anche drasticamente modificato da due distinti ordini di accadimenti;

1. Nella normale trattazione delle reazioni pp o CNO si e assunto che ove vengano prodotti nuclei
instabili, questi abbiano il tempo di decadere spontaneamente prima di catturare un altro
protone. Cio puo non essere piu vero ad alte temperature, quando la velocita delle reazioni di
cattura e grandemente accresciuta.
24

2. Alle alte temperature considerate e contemporaneamente presente la cattura che puo entrare
in concorrenza con reazioni di cattura protonica.

Le modifiche attese nella catena pp risultano marginali. Piu rilevanti le modifiche attese nel ciclo
CNO, dove la cattura 13 N(p,)14 O puo diventare concorrenziale al decadimento 13 N(e+ )13 C, e dove
reazioni quali 14 O(,p)17 F(p,)18 Ne o 15 N(, )19 F a T 5 108 K giocano un ruolo determinante.
Il calcolo dettagliato dellefficienza dei vari processi concorrenti puo essere eseguito sulla base
della conoscenza delle relative sezioni durto. La figura 4.14 riporta uno schema delle varie reazioni
in grado di contribuire alla combustione veloce, mentre la figura 4.15 mostra i canali efficienti alle
tre diverse temperature 108 , 5 108 e 109 K.
A 108 K e ancora essenzialmente operante un ciclo CNO attraverso la serie di reazioni
12
C(p, )13 N (p, )14 O(e+ )14 N (p, )15 O(e+ )15 N (p, )12 C
mentre 20 Ne viene trasformato in 22
Ne. A 5 108 K il ciclo CNO si espande mentre diviene
operante anche il ciclo
20
N e(p, )21 N a(e+ )21 N e(p, )22 N a(p, )23 M g(e+ )23 N (p, )20 N e
A 109 K le reazioni sono infine dominate da catture che operano sugli elementi leggeri sino a
trasformarli in Mg24 .
25

Origine delle Figure

Fig.4.2 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli


Fig.4.3 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.4.4 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.4.5 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.4.6 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.4.7 Castellani V., Sacchetti M. 1978, Astrophys. Space Sci. 53, 217
Fig.4.8 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.4.9 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.4.13 Elmegreen B.G.Mthieu R.D. 1983, MNRAS 203, 305
Fig.4.14 Prialmk D., Shara M.M., Shaviv G. 1978, A&A 62, 339
Fig.4.15 Audouze J., Truran J.W., Zimmerman B.A, 1973, ApJ 184, 493.
Capitolo 5

La combustione centrale dellIdrogeno

5.1. Modelli di presequenza. Politropi


Fine ultimo delle considerazioni fisico-matematiche che siamo andati presentando nei capitoli
precedenti e quello di porci in grado di procedere a valutazioni quantitative delle variazioni
strutturali, e con esse dei parametri osservativi, che ci attendiamo debano caratterizzare
larco di esistenza di una struttura stellare. Per entrare nel dettaglio dei risultati evolu-
tivi restano da illustrare brevemente le tecniche di calcolo che consentono di valutare una
sequenza evolutiva di modelli stellari al fine di predire le variazioni temporali di ogni prede-
terminata struttura.
Possiamo ricapitolare quanto sinora esposto, concludendo che il sistema di equazioni
dellequilibrio, integrato con le relative valutazioni fisiche, consente di determinare
landamento delle variabili fisiche lungo tutta una struttura stellare una volta che si conosca
in ogni punto la composizione chimica degli strati stellari e qualora si possa trascurare il
contributo dellenergia gravitazionale. La prima condizione e esplicitamente inserita nelle
equazioni dellequilibrio, mentre la seconda discende dallevidenza che il coefficiente di ener-
gia gravitazionale g richiede la valutazione punto per punto delle derivate rispetto al tempo
di pressione e temperatura, valutabili solo conoscendo levoluzione temporale del modello.
La composizione chimica allinterno di una struttura stellare e peraltro figlia della storia
nucleare della struttura medesima, e non e pertanto valutabile a priori. Le uniche strutture
che saranno accessibili ad un calcolo diretto saranno quindi e solo quelle di recentissima for-
mazione, nella prima fase di contrazione gravitazionale e prima che linnesco delle reazioni
nucleari inizi a modificare la composizione chimica. Ricordiamo ora che nel processo di for-
mazione una struttura raggiunge una configurazione di equilibrio quando laumento della
temperatura, stimolando la ionizzazione, aumenta lopacita della materia intrappolando la
radiazione. A seguito dell alta opacita ci attendiamo che tali strutture primitive siano to-
talmente convettive e da tale accadimento discende la possibilita di calcolarne la struttura.
Per cio che riguarda la prima condizione notiamo infatti che strutture completamente
convettive sono completamente e continuamente rimescolate. Se dunque lassenza di reazioni
effetti di selettive sedimentazioni gravitazionali dei diversi elementi. Potremo sunque as-
sumere strutture chimicamente omogenee con composizione chimica pari a quella assunta
per la nube originaria.
Un modello convettivo risulta peraltro anche indipendente da g . Per comprenderne
le ragioni assumiamo inizialmente, come prima approssimazione, che lungo lintera strut-

1
2

tura il gradiente sia pari al gradiente adiabatico di un gas perfetto monoatomico ad =


(dlogT/dlogP)ad =0.4. In tal caso

da dlogT = 0.4dlogP si ricava T = C1 P 0.4


sostituendo nellequazione di stato
k k
P = T P = C1 P 0.4 da cui P = C2 con = 5/3
H H
E questo un caso particolare di una regola generale: non appena si aggiunga allequazione
di stato unulteriore relazione che colleghi tra loro le variabili termodinamiche (nel nostro
caso la relazione del gradiente adiabatico) il sistema termodinamico perde un grado di liberta
e ognuna delle variabili di stato (P, T, ) puo essere espressa in funzione di solo unaltra
variabile. Varra sempre, in particolare, una relazione del tipo

P = K
con dipendente dalla assunta relazione tra le variabili. Tutte le volte che lequazione di
stato e esprimibile nella forma precedente prende il nome di equazione di stato politropica.
Si noti che se la relazione riguarda un gradiente (come nel caso adiabatico) lequazione di
stato politropica contiene necessariamente una costante arbitraria (condizione al contorno).
Fissando le derivate si fissa infatti landamento delle variabili ma non il loro punto zero.
Questo resta fissato non appena si fissi il rapporto P/ ( e quindi la temperatura) in un
qualsiasi punto.
Per cio che riguarda il modello stellare omogeneo e totalmente convettivo, se per esso
riscriviamo le equazioni dellequilibrio si trova che nel caso di strutture politropiche

dP (r) Mr (r)(r)
= G dr (1)
dr r2
dMr = 4r2 dr (2)

P = K (3)

che formano un sistema di tre equazioni nelle tre variabili incognite P, , Mr , la cui
risoluzione richiedera ora la presenza di tre opportune condizioni al contorno. Quel che qui
ci interessa, e che la struttura prescinde da ogni valutazione sulla generazione di energia, con-
sentendo quindi lintegrazione del modello stellare. Per tale integrazione si usera un metodo
del fitting, mancando delle soluzioni di prova richieste dal metodo di Henyey. In genere, per
ogni prefissato valore della massa e della composizione chimica, si usa determinare le tre
condizioni al contorno Pc (pressione centrale), Te (temperatura efficace) e L (luminosita)
per un prefissato valore della temperatura centrale Tc , assunta a valori sufficientemente bassi
per escludere il passato intervento di reazioni nucleari.
Si noti come alla costante arbitraria nellequazione di stato politropico-adiabatica cor-
rispondono infinite soluzioni del modello, descritte dal calcolo al variare delle assunzioni su
Tc . Questo ci dice che finche la struttura resta totalmente convettiva dovra necessariamente
seguire il tracciato decritto dai modelli politropici al progressivo innalzarsi di Tc .
La stessa procedura puo essere applicata nel caso generale, ove si lasci cadere lassunzione
ad = 0.4 (ionizzazione completa) in tutta la struttura e si voglia valutare il gradiente
superadiabatico nelle zone esterne. La presenza della relazione di gradiente adiabatico o
convettivo abbassa sempre di un grado di liberta il sistema, e anche se il gradiente convettivo
dipende da L, per esso nelle zone esterne resta lecito assumere L=cost, prescindendo dalla
valutazione di g .
3

5.2. Sequenze di modelli evolutivi


Avendo prodotto un primo modello di struttura stellare, e possibile seguirne levoluzione
temporale attraverso lintegrazione di una serie di modelli intervallati da opportuni passi
temporali ti . Conoscendo la distribuzione delle variabili fisiche e della composizione chimica
lungo tutta una struttura e infatti possibile predisporre le condizioni per integrare un nuovo
modello che realizza le condizioni della struttura dopo un prefissato intervallo temporale t.
Nel caso generale cio corrisponde a valutare innanzitutto la nuova distribuzione della specie
chimiche dopo il passo temporale. Questa nuova struttura potra essere integrata, assumendo
in ogni punto i per le derivate rispetto al tempo che appaiono nel coefficiente di energia
gravitazionale

dPi P 00 Pi0 dTi T 00 Ti0


= i e = i (4)
dt t dt t

dove P 0 , T 0 e P 00 , T 00 rappresentano i valori delle rispettive variabili nel modello che precede
o segue il passo temporale.
Le variazioni della composizione chimica sono collegate allefficienza delle reazioni di
fusione e, eventualmente, al rimescolamento prodotto da fenomeni di convezione. Le vari-
azioni di composizione indotte dalle reazioni nucleari sono subito ricavabili dal numero nij di
reazioni per grammo e per secondo necessario per valutare nel modello di partenza il valore
del coefficiente di produzione di energia nuclear n . Facendo ad esempio il caso della catena
PPI, dalla valutazione delle reazioni primarie ( 4.4) si trae il numero di nuclei di idrogeno
scomparsi nellunita di tempo

dNH = 3n11 + 2n33

e di conseguenza il numero di nuclei di 4 He formatisi

dNHe = dNH /4

da cui le variazioni delle abbondanze in massa dopo un imtervallo di tempo t, come


fornite in ogni punto da

Xi = (dNi i H)t

Ove siano presenti regioni convettivamente instabili, si terra successivamente conto del
processo di omogeneizzazione indotto dal rimescolamento convettivo ponendo in tutta la
zona convettiva
Z
1 1 X
hXi i = Xi dM = Xi dM
Mc Mc

dove lintegrale (sommatoria) e esteso a tutta la zona convettiva di massa totale Mc .


Literazione di tali procedure consente di seguire levoluzione di una struttura stellare
a partire dalle primissime fasi di contrazione gravitazionale attraverso tutte le fasi di com-
bustione nucleare sino al suo destino finale. Attraverso queste Sequenze Evolutive si realizza
il compito dellastrofisica stellare, consentendo di predire nei dettagli le strutture fisiche
e le grandezze osservabili per ogni assunto valore della massa, della composizione chimica
originaria e delleta di una stella.
4

Fig. 5.1. Tracce teoriche per levoluzione presequenza di stelle di varie masse e composizione
chimica solare. Nel diagramma sono anche indicate le linee di raggio costante come ricavabili dalla
relazione di corpo nero L=4R2 T4e . I cerchietti aperti indicano le fasi iniziali di contrazione grav-
itazionale. Il primo punto sulla traccia segnala lultimo modello totalmente convettivo, il penultimo
punto il primo modello sorretto nuclearmente e lultimo il modello di Sequenza Principale di Eta
Zero. I tempi lungo le tracce sono in anni.

5.3. La presequenza
Alcune semplici considerazioni permettono di predire come debba presentarsi una struttura
stellare nelle prime fasi che seguono la sua formazione. Essa sara ovviamente espansa, essendo
giusto allinizio della sua lunga storia di contrazione, ma anche relativamente fredda, perche
la stabilizzazione della struttura segue, come abbiamo gia ricordato, linizio della ionizzazione
parziale dellidrogeno. Poiche dalla relazione di corpo nero segue che grandi raggi implicano
anche grandi luminosita, si giunge alla conclusione che al momento della sua formazione una
struttura deve presentarsi relativamente fredda ma molto luminosa: in termini astronomici
deve presentarsi come una Gigante Rossa.
Tale previsione e puntualmente verificata dai risultati del calcolo. La Fig. 5.1 mostra
la posizione nel diagramma HR teorico (logL, logTe ) di modelli stellari con composizione
chimica solare nelle primissime fasi di contrazione gravitazionale. Come atteso, tutti i mod-
elli sono completamente convettivi, e tali rimangono per il primo tratto di evoluzione che si
svolge con una decrescita della luminosita a temperatura pressoche costante, e quindi con
una sensibile diminuzione del raggio. Allaumentare della temperatura centrale diminuisce
lopacita e al punto indicato in figura incominciano a formarsi dei nuclei in equilibrio radia-
tivo. Al crescere di tale nucleo la traccia evolutiva abbandona infine il precedente andamento
per spostarsi verso alte temperature con un contenuto aumento di luminosita. Mostreremo
nel seguito come sia proprio la presenza di un nucleo radiativo a spostare la stella verso alte
5

Fig. 5.2. Evoluzione di presequenza per una stella di 1 M e composizione chimica solare. A=
modello iniziale; B= ultimo modello completamente convettivo; C= primo modello sorretto nucle-
armente; D= Sequenza principale di Eta Zero (ZAMS). Lungo la traccia sono riportati i tempi di
evoluzione ed i modelli in cui si raggiungono le temperature centrali per la combustione del deuterio.

temperature efficaci, abbandonando quella che viene indicata in letteratura come la Traccia
di Hayashi.
Mentre la stella si sposta verso alte temperature cominciano a diventare efficienti
le reazioni nucleari sinche (penultimo punto in Fig. 5.1) lenergia nucleare arriva a co-
prire lintero fabbisogno energetico della struttura, svanisce il contributo dellenergia grav-
itazionale e ha termine la fase di contrazione su tempi scala termodinamici. In linea del
tutto generale e da notare come tutte le stelle si stabilizzino attorno a quella che sara la loro
luminosita nella fase di combustione nucleare ben prima che le reazioni stesse comincino
a diventare efficienti, a ulteriore riprova che non sono le reazioni a determinare la lumi-
nosita di un oggetto stellare. E vero il contrario: la luminosita, governata dalle condizioni
di equilibrio, determina la richiesta di energia e quindi lefficienza delle reazioni nucleari.
La Fig. 5.2 riporta con qualche ulteriore dettaglio la traccia di presequenza per una stella
di 1 M . Levidenza che levoluzione rallenti al diminuire della luminosita non dovrebbe
sorprendere: la luminosita altro non e che lenergia persa dalla struttura per unita di tempo,
e in fase di contrazione gravitazionale levoluzione sara tanto piu veloce quanto piu veloce
la perdita di energia. Nella stessa figura sono indicati i modelli in cui per la prima volta si
raggiungono le temperature per la combustione del deuterio. La scarsa abbondanza naturale
di questo elemento rende pressoche trascurabile il contributo di tali combustioni, causando
al piu un transitorio rallentamento dellevoluzione.
In base a semplici considerazioni sui tempi scala nucleari noi abbiamo gia identificato la
Sequenza Principale osservata, ad esempio, nelle stelle nei dintorni del Sole, come formata
da strutture in fase di combustione di idrogeno. Possiamo perfezionare tale identificazione
precisando che definiremo stelle di Sequenza Principale tutte quelle stelle che evolvono con
i tempi scala della combustione dellidrogeno. Sulla base di tale definizione si deve conclud-
ere che il primo modello sorretto nuclearmente al termine della fase di contrazione NON
rappresenta ancora una struttura di Sequenza Principale. Nei meccanismi di combustione
6

Fig. 5.3. Andamento col tempo di temperatura centrale, densita centrale e energia gravitazionale
in una stella di 1 M durante la fase di contrazione e nellapproccio alla Sequenza Principale.

dellidrogeno, siano essi la catena pp o il ciclo CNO, vi sono infatti specie nucleari che
devono portarsi allequilibrio prima che la combustione dellidrogeno raggiunga una situ-
azione di regime e che evolveranno - e con essi la struttura - con tempi scala intermedi tra
quelli gravitazionale e quelli della combustione dellidrogeno. Conseguentemente dovremo
definire come primo modello di Sequenza Principale (o modello di ZAMS = Zero Age Main
Sequence) il primo modello sorretto nuclearmente in cui gli elementi secondari abbiano rag-
giunto lequilibrio.
Nel caso di una stella di 1 M , quale quello illustrato in Fig. 5.2, la struttura arriva
ad essere sorretta dalle combustioni nucleari con temperature centrali dellordine dei 15
106 K, alle quali domina ancora la catena ppI. Per arrivare al modello di ZAMS dovremo
quindi attendere che l 3 He, pressoche ancora nullo nel primo modello sorretto nuclearmente,
raggiunga la sua composizione di equilibrio. E istruttivo riconoscere in Fig. 5.3 il comporta-
mento della struttura in questa fase di approccio alla sequenza principale. Durante tutta la
fase di contrazione gravitazionale temperatura e densita centrale aumentano con continuita
sino a quando intervengono le reazioni nucleari e lenergia prodotta dalla gravitazione crolla
rapidamente a zero, sostituita da quella nucleare.
Per mancanza di 3 He le reazione 3 He+3 He 4 He + 2p non puo essere efficiente, e la
combustione si deve limitare alla produzione di 3 He, con lemissione di energia corrispon-
dente alla sola produzione di tale elemento,. Mano a mano che aumenta labbondanza di
3
He, la 3 He+3 He 4 He + 2p comincia a diventare efficiente, il PPI si completa e aumenta
lenergia prodotta per ogni fusione di coppia di protoni, aggiungendovisi lenergia guadag-
nata nella produzione dell4 He. La stella, che si era portata a temperature tali da soddisfare
al suo fabbisogno energetico con il solo ppI incompleto, reagisce alleccesso di energia dimin-
uendo temperatura e densita per abbassare la velocita delle reazioni e mantenere costante la
produzione di energia nucleare. Ne segue anche una espansione con il limitato assorbimento
di energia gravitazionale segnalato dai valori negativi in figura. E temporaneamente pre-
sente un piccolo nucleo convettivo, destinato ad una rapida sparizione e privo di conseguenze
evolutive ( A5.4)
La decrescita della temperatura prosegue sinche l3 He nelle zone di combustione si sta-
bilizza alla sua composizione di equilibrio: da questo momento la stella cessa di evolvere con
i tempi scala dellequilibrio dell3 He e inizia ad evolvere con i tempi scala della combustione
dellidrogeno (modello di ZAMS). Durante la fase di riaggiustamento nucleare che intercorre
tra il primo modello sorretto nuclearmente e il modello di ZAMS le condizioni centrali tor-
nano verso valori precedenti e, corrispondentemente, come mostrato nelle figure 5.1 e 5.2 si
inverte la direzione della traccia nel diagramma HR.
7

Fig. 5.4. Andamento col tempo di temperatura centrale, densita centrale e energia gravitazionale
in una stella di 1.5 M durante la fase di contrazione e nellapproccio alla Sequenza Principale. Qcc
riporta lestensione del nucleo convettivo in frazioni di massa stellare. Estremi delle ordinate: 0.80
logTc 1.39; 0.75 logc 2.00

Al diminuire della massa diminuisce la temperatura centrale dei modelli sorretti nu-
clearmente causa la drastica diminuzione della luminosita intrinseca delle strutture. Le
reazioni nucleari continuano dunque ad essere dominate dalla catena ppI e le fasi di prese-
quenza hanno andamenti sostanzialmente analoghi, almeno sinche non si giunga (M 0.4
M ) a temperature centrali cos basse e, conseguentemente, a tempi di equilibrio dell3 He
cos grandi da configurare per tale elemento il ruolo di elemento primario. In tal caso svanisce
la fase di rilassamento nucleare e il primo modello sorretto nuclearmente deve essere consid-
erato modello di ZAMS.
Ancora analogo, ma per alcuni versi speculare, lavvicinamento alla Sequenza Principale
di modelli invece piu massicci, nei quali la maggior richiesta di energia conduce a mag-
giori temperature centrali, portando alla dominanza del ciclo CNO. Lequilibrio del ciclo
viene raggiunto quando il 12 C viene trasformato in 14 N, diminuendo la velocita del ciclo e
lenergia emessa nellunita di tempo. La Fig. 5.4 mostra che in tal caso al primo modello sor-
retto nuclearmente segue un nuovo episodio di limitata contrazione e un ulteriore aumento
di temperatura che infine consente al ciclo allequilibrio di fornire la richiesta energia. Nel
diagramma HR il modello prosegue ora la sua traccia, innalzando ulteriormente la temper-
atura efficace. Notiamo infine che, come previsto ( Cap. 2), a causa della alta dipendenza
dalla temperatura la combustione CNO produce ora nuclei convettivi, che si manterranno
per tutta la fase di sequenza principale.
La diversa risposta delle combustioni pp e CNO nellapproccio allequilibrio si riflette
quindi nella diversa collocazione nel diagramma HR dei modelli di ZAMS rispetto ai modelli
omogenei sorretti nuclearmente. Come mostrato in Fig. 5.5, modelli di ZAMS sorretti dalla
catena pp si collocano a temperature efficaci leggermente inferiori dei rispettivi modelli
omogenei, mentre il contrario avviene per i modelli sorretti dal CNO, che continuano la
contrazione per portarsi a temperature efficaci piu alte. Tale diversa risposta rende anche
ragione del fatto che alla transizione tra le due combustioni esiste un intervallo di masse
in cui i modelli omogeni sono sorretti dal CNO e i modelli di ZAMS dal pp. La massa
di transizione dipende naturalmente dalla assunta composizione chimica: innalzando lelio
originario si ottengono, ad esempio, modelli piu caldi e la massa di transizione diminuisce.
Resta infine da osservare come, sulla base delle considerazioni svolte, si possa concludere
che la struttura di un modello di ZAMS possa n genere essere identificata anche senza
8

Fig. 5.5. Una sequenza di modelli omogenei supermetallici (linea a tratti) confrontata con la
collocazione dei modelli di ZAMS.

procedere al calcolo dettagliato delle fasi di presequenza. Sinche, come avviene per masse non
troppo piccole, i tempi scala gravitazionale, nucleare dei secondari e nucleare delidrogeno
restano ben distinti, sara lecito integrare direttamente un primo modello omogeneo sorretto
nuclearmente imponendo =0, e lasciando evolvere la struttura sino a raggiungere lequilibrio
dei secondari (pseudoevoluzione).

5.4. La traccia di Hayashi


Si e visto come tutti i modelli stellari nella loro iniziale fase convettiva seguano ben definite e
tra loro analoghe sequenze confinate alle basse temperature efficaci. Tale comportamento va
inquadrato in una regola generale secondo la quale per ogni prefissata massa e composizione
chimica esiste nel diagramma HR un limite destro invalicabile definito appunto da strutture
totalmente convettive, che prende il nome di traccia di Hayashi. Tale regola, enunciata
dallastrifisico giapponese Kushiro Hayashi sulla base di modelli stellari semianalitici, puo
essere convenientemente illustrata in base ad esperimenti numerici.
Si riprendano infatti le equazioni di equilibrio e si consideri il gradiente dT/dp come un
parametro libero G costante lungo la struttura. Se ne ricava il sistema politropico

dP/dr = ....
dMr /dr = ...
dT/dp = G

che per ogni valore di G e per ogni assunto valore della luminosita L ammette una
soluzione. Non sorprendentemente, si trova che per ogni L, al crescere di G il modello (non
realistico) si sposta a temperature efficaci minori. Il criterio di Schwarzschild detta peraltro
un limite superiore per i valori del gradiente medio G, dovendo risultare

dT dT
( )ad
dP dP
9

Fig. 5.6. Linee isoconvettive HR per una struttura di 1 M dalla indicata composizione chimica.
Le singole linee indicano il luogo nel diagramma HR ove la base dellinviluppo convettivo raggiunge
un prefissato valore della frazione di massa Mc e. La linea a tratti riporta la traccia di Hayashi
(strutture roralmente convettive)

ove, trascurando gli effetti superficiali di superadiabaticita, leguaglianza implica strut-


ture completamente convettive. Ne segue che la linea formata al variare di L da tali strutture
convettive rappresenta nel diagramma HR un limite destro per strutture in quasi equilibrio.
E utile inserire il concetto di traccia di Hayashi nel contesto piu vasto di un indagine
topologica della convezione negli strati esterni delle strutture stellari. Si e gia indicato
come al diminuire della temperatura efficace ci si attenda che nascano e progressivamente
si sviluppino in profondita strati convettivi superficiali collegati alla ionizzazione parziale
dellidrogeno. Tale previsione qualitativa puo essere perfezionata osservando che il metodo
del fitting ci assicura che per ogni prefissata massa stellare, ogni posizione del diagramma
HR (ogni coppia di valori L e Te ) identifica senza ambiguita le condizioni superficiali. E
lecito quindi integrare le equazioni di equilibrio verso linterno, identificando le catatter-
istiche che avrebbe la struttura e, in particolare, la profondita degli strati convettivi, se
presenti. Si noti che in tale modo non si esegue la valutazioe di un reale modello stellare:
si opera solamente la previsione che se una stella di data massa si venisse a trovare in quel
punto del diagramma HR, allora dovrebbe avere la struttura esterna cos calcolata.
Tali informazioni possono essere accorpate per produrre la topologia degli inviluppi con-
vettivi mostrata in Fig.5.6, ove le varie linee isoconvettive rappresentano il luogo dei punti
ove la convezione superficiale affonda sino ad un predeterminato valore della massa stellare.
Come caso limite, si ottiene cos anche una valutazione della traccia di Hayashi ove sono
tenuti in debito conto gli effetti della superadiabaticita.
Poiche i modelli di presequenza percorrono per definizione le rispettive tracce di Hayashi,
la precedente Fig, 5.1 mostra chiaramente come al diminuire della massa stellare la traccia
di Hayashi si sposti verso temperature efficaci minori. La Fig, 5.7 mostra come la traccia si
sposti verso minori temperature efficaci anche allaumentare della metallicita. La sensibilita
al contenuto originario di elio e molto minore, almeno nel campo delle variazioni attese
per questo parametro evolutivo ( Y 0.1), con la traccia che si sposta leggermente a
temperature inferiori al diminuire di Y. La particolare sensibilita al contenuto metallico
discende dal forte contributo dato dai metalli (a differenza dellelio) allopacita della materia.
10

Fig. 5.7. Tracce di Hayashi per una struttura di 1 M al variare del contenuto metallico.

E infine di particolare rilevanza osservare che per ogni fissata massa e composizione
chimica originaria la traccia di Hayashi dipende anche, e sensibilmente, dalla lunghezza
di rimescolamento adottata nel trattamento della convezione superadiabatica. Minore la
lunghezza di rimescolamento, meno efficiente e il trasporto convettivo e piu alto il valore della
superadibaticita. Si noti al riguardo come al limite l 0 debba risultare anche con rad .
Maggiore superadiabaticita significa infine maggiori gradienti allinterno della struttura e
di conseguenza temperature piu basse in atmosfera. Se ne conclude che al diminuire di
l la traccia di Hayashi si sposta, come avviene, verso temperature piu basse. Se ne deve
concludere che in assenza di indicazioni precise sul valore di l ( A5. ..) la collocazione
della traccia e soggetta a pesanti incertezze, che si riflettono non solo sulla temperatura
delle tracce di presequenza, ma anche, come vedremo, sulla collocazione nel diagramma HR
delle Giganti Rosse.

5.5. La Sequenza Principale di Eta Zero (ZAMS)


In base alle considerazioni evolutive sin qui svolte e possibile produrre valutazioni teoriche
sulle strutture di Sequenza Principale per ogni assunta composizione chimica iniziale. La
Fig. 5.8 riporta, nel riquadro a sinistra, landamento nel diagramma HR di tali sequenze per
tre scelte di composizione chimica che coprono le composizioni delle strutture galattiche. Il
riquadro a destra nella stessa figura riporta landamento delle temperature centrali per gli
stessi modelli.
Luminosita e temperatura centrale crescono in ogni caso al crescere della massa, come
richiesto dal crescente contenuto energetico e conseguente fabbisogno delle strutture di equi-
librio. Al crecere della massa stellare segue linevitabile passaggio delle combustioni nucleari
sotto il controllo del ciclo CNO. La transizione tra catena pp e ciclo CNO avviene attorno alle
1-2 M , in dipendenza anche dalla composizione chimica. Tale transizione e segnalata dalla
diversa pendenza della relazione massa - temperatura centrale: per sostenere laumento di lu-
minosita con la crescita della massa, stelle sorrette dalla catena pp ( T 4 ) devono aumentare
la temperatura centrale molto piu rapidamente di quanto richiesto dalle stelle sorretta dal
ciclo CNO, dalla molto maggiore dipendenza dalla temperatura ( T 14 ).
Le masse minori, sorrette dalla catena pp, come conseguenza della bassa dipendenza
di tale catena dalla temperatura hanno nuclei in equilibrio radiativo, con loccasionale e
11

Fig. 5.8. A sinistra: distribuzione nel diagramma HR di strutture di sequenza principale per le
indicate composizioni chimiche. Il punto lungo le sequenze segnala la collocazione dei modelli di 1
M . E indicata una retta R= cost (logL 4logTe ). A destra: andamento delle temperature centrali
(in milioni di gradi) al variare della massa negli stessi modelli.

transitoria presenza di una limitata convezione da 3 He ( A5.3). La alta dipendenza dalla


temperatura del ciclo CNO genera invece nuclei convettivi che aumentano allaumentare della
massa e, quindi, della temperatura centrale. Contemporaneamente, stelle a massa minore si
collocano a temperature effettive corrispondentemente minori, ove abbiamo visto debbano
svilupparsi inviluppi convettivi che devono scomparire alle alte temperature efficaci. Ne segue
che -come indicato in figura- stelle della Sequenza Principale Inferiore (SPI) o Superiore
(SPS) hanno strutture caratteristicamente speculari: nuclei radiativi ed inviluppi convettivi
le prime, nuclei convettivi e inviluppi radiativi le seconde. Differenze che si rifletteranno
nelle successive fasi evolutive. La convezione superficiale, presente a partire da logTe
4.0, a logTe 3.8 comincia ad interessare consistenti frazioni di massa stellare, affondando
sempre di piu al diminuire della massa (e della temperatura efficace) sino a produrre per
masse M 0.3 M strutture totalmente convettive.
La Tabella 2 riporta alcune grandezze caratterizzanti strutture di sequenza principale
con composizione originale solare, Z=0.02, Y=0.27. Si nota come, in generale, al crescere
della massa decresca sensibilmente la densita centrale. Si puo comprendere il significato di
tale comportamento ricorrendo alla condizione di equilibrio imposta dal viriale. Supponiamo
infatti di avere una fissata struttura stellare e di aumentarne (con un gedanken experiment) la
massa. La struttura ha due vie per ritrovare lequilibrio: aumentare lenergia cinetica totale
(aumentare la temperatura) o diminuire lenergia gravitazionale (espandere e diminuire la
densita). I dati in tabella mostrano che le strutture stellari sfruttano contemporaneamente
ambedue i canali. La leggera deviazione da tale comportamento generale attorno 1 M e,
forse, da porsi in connessione con la transizione tra i due tipi di combustione e la nascita
dei nuclei convettivi. Se, aumentando la massa, aumenta la temperatura e diminuisce la
densita dobbiamo infine concluderne che allaumentare della massa le strutture si allontanano
sempre piu dal rischio di degenerazione elettronica, accadimento che e la chiave di volta dalla
quale dipenderanno le caratteristiche dellevoluzione delle strutture nelle fasi successive alla
Sequenza Principale.
12

Fig. 5.9. La collocazione nel diagramma HR di Sequenze Principali con Z=0.001 e varie assunzioni
sullabbondanza di idrogeno X. La linea a punti mostra il luogo di modelli di 1M al variare di X.

Tab. 1. Grandezze caratteristiche di alcune strutture di ZAMS per composizione chimica solare.
Vengono riportati nellordine: la massa M in masse solari, luminosita e temperatura effettiva, raggio
in raggi solari, temperatura Tc e densita centrale c , la massa del nucleo convettivo Mcc in masse
solari, la frazione di massa del bordo inferiore della convezione esterna Mce e la frazione di energia
prodotta tramite la catena pp o il ciclo CNO. Lultima colonna riporta infine il tempo, in anni, che
le strutture trascorreranno nella fase di combustione centrale di H

M logL logTe R Tc c Mcc Mce Lpp LCN O tH


0.1 -3.06 3.450 0.12 4.69 402.5 compl. conv. 1.000 0.000 1000 109
0.3 -1.98 3.534 0.29 7.69 100.7 compl. conv. 1.000 0.000 500 109
0.6 -1.09 3.620 9.55 10.0 84.7 0.04 0.510 0.996 0.004 73 109
0.8 -0.59 3.694 0.70 11.7 79.2 0.06 0.741 0.980 0.020 23 109
1.0 -0.17 3.751 0.87 13.7 77.4 0.07 0.969 0.898 0.136 10 109
1.5 0.69 3.849 1.49 18.1 79.4 0.07 0.981 0.803 0.168 2.2 109
2.5 1.59 4.028 1.84 22.7 48.9 0.44 0.277 0.724 497 106
5.0 2.74 4.230 2.73 26.9 20.3 0.94 0.033 0.967 83 106
7.0 3.25 4.318 3.27 29.1 13.5 1.60 0.013 0.987 38 106

Per quel che riguarda le strutture di MS, la degenerazione elettronica comincia ad influire
solo nelle stelle al di sotto di 1 M , crescendo al diminuire della massa, sinche attorno a
0.1 M giunge a bloccare la contrazione di presequenza e ad impedire cos linnesco della
combustione dellidrogeno. Strutture al di sotto di tale limite continueranno a raffreddare
sotto forma di oggetti compatti sorretti dalla pressione di degenerazione, dissipando il calore
prodotto nella fase gravitativa. Se non troppo al di sotto della massa limite, a queste stelle
mancate si da il nome di Nane Brune (Brown Dwarfs) ad indicare lesistenza di sia pur
limitate capacita radiative. Con masse ancora minori si entra nel campo dei pianeti gassosi,
con analoga storia evolutiva. In tale contesto e da notare come nel nostro sistema planetario
Giove, MJ 103 M , emetta una quantita di energia maggiore di quella ricevuta dal Sole,
una evidenza da porsi forse in relazione con una residua lenta contrazione.
La Fig. 5.8 mostra come al diminuire del contenuto di metalli e/o allaumentare del con-
tenuto di elio le sequenze principali si spostino verso maggiori temperature effettive, mentre
13

Fig. 5.10. Andamento con la frazione di massa delle variabili fisiche e chimiche in un modello
di MS di 1.25 M , Z=0.001, Y=0.1. Le variabili sono normalizzate ai valori L=7.16 1033 erg/sec,
P=2.05 1018 dyn/cm2 , =87.81, T=14.88 106 K, R=6.84 1011 cm, X3 =6.37 104 , X12 =1.41 104 ,
X14 =2.41 104

a parita di massa le strutture risultano piu luminose. Questa ultima evidenza indica senza
ambiguita un aumento delle temperature centrali, come peraltro verificabile nel riquadro de-
stro della stessa figura. Notiamo subito che la dipendenza della collocazione nel diagramma
HR dal contenuto di elementi pesanti rende ragione della collocazione in tale diagramma
delle subnane di campo, le stelle povere di metalli che transitano nelle vicinanza del Sole (
Cap.1). Laumento della luminosita lascia anche prevedere che al diminuire del contenuto di
metalli diminuisca anche la durata, a parita di massa, della fase di combustione di idrogeno.
La risposta delle strutture alle variazioni di elio puo essere compresa osservando che, a
parita di densita, lincremento della percentuale di elio diminuisce il numero di particelle: la
struttura deve contrarre e aumentare la sua temperatura per contrastare laumentata grav-
itazione. Ogni volta che si aumenta il peso molecolare, troveremo strutture piu calde e piu
luminose. La Fig. 5.10 riporta una estesa analisi della collocazione delle Sequenze Principali
al variare del contenuto di elio. Spingendosi verso il limite X (abbondanza di idrogeno)0 le
sequenze coprono una vasta ma limitata fascia del diagramma H R, per balzare a temperature
efficaci notevolmente piu alte per X=0. Tale balzo e collegato alla variazione nel meccan-
ismo di combustione che, allesaurimento dellidrogeno, deve passare dalla combustione di
tale elemento alla combustione 3, che richiede molto maggiori temperature centrali.
Si noti che se le stelle foseero oggetto di efficienti rimescolamenti interni evolverebbero
mantenendosi omogenee, accrescendo col tempo il loro contenuto di elio. La loro traccia evo-
lutiva dovrebbe dunque seguire le linee a massa costante in Fig.5.9, spostandosi sulla sinistra
della Sequenza Principale. Tale approccio topologico fornisce una semplice risposta ad un
delicato problema: levidenza di rotazione delle strutture stellari puo lasciar sospettare che
fenomeni di circolazione meridiana rimescolino la struttura, mantenendola omogene. La va-
lutazione teorica dellefficienza di tali rimescolamenti e collegata a non semplici valutazioni
sulla viscosita del gas stellare, e potrebbe apparire dubbia. La riposta osservativa e esplicita-
mente e inconfutabilmente negativa, mostrando che levoluzione sposta le strutture non sulla
sinistra ma sulla destra della Sequenza Principale. Sara dunque levoluzione disomogenea a
14

Fig. 5.11. Andamento schematico dellabbondanza di idrogeno durante levoluzione di una strut-
tura della SPI. I numeri segnalano nellordine la sequenza temporale.Le linee a tratti segnalano il
passaggio alla combustione CNO.

dover rendere conto degli osservabili, cosa che fara con buon successo. Conviene peraltro
ancora una volta ricordare come lincertezza sulla lunghezza di rimescolamento si traduca in
una indeterminazione sul valore della temperatura efficace in stelle con inviluppi convettivi
i cui effetti dovrano essere opportunamente valutati.
La fig. 5.10 riporta landamento delle variabili fisiche e di composizione in un modello di
MS di 1.25 M . Si noti in particolare levidente presenza di un piccolo nucleo convettivo e
levoluzione dei diversi elementi chimici che intervengono nelle due combustioni pp e CNO.
La caratteristica distribuzione dell 3 He corrsiponde al fatto che nelle zone piu interne questo
elemento ha ormai raggiunto la sua abbondanza di equilibrio (che cresce al diminuire della
temperatura) mente nelle zone piu esterne non e stato ancora formato.
Qui come sempre nel seguito, occorre ricordare come la indeterminazione sulla lunghezza
di rimescolamento si traduca in una indeterminazione sui valori assoluti delle temperature
con inviluppi convettivi ( A6.1), indeterminazione che e necessario tenere in considerazione
ogniqualvolta si proceda allinterpretazione di dati osservativi.

5.6. La Sequenza Principale e lesaurimento dellidrogeno


La struttura di ZAMS e il punto iniziale della lunga combustione centrale dellidrogeno.
In tutte le strutture, alla progressiva diminuzione dellabbondanza di idrogeno nelle regioni
centrali corrisponde automaticamente un continuo aumento di temperatura e densita cen-
trali che si riflette in una lenta crescita della luminosita e un progressivo allontanamento
dalla ZAMS. Stelle della Sequenza Principale Superiore (SPS) hanno nuclei convettivi nei
quali lidrogeno viene progressivamente sostituito dallelio prodotto nelle combustioni. Poiche
lopacita dellelio e -a parita di condizioni fisiche- minore di quella dellidrogeno, il gradiente
radiativo tende a diminuire e conseguentemente lestensione dei nuclei convettivi regredisce
lentamente nel tempo.
Lesaurimento dellidrogeno al centro segna la fine di questa lunga fase di Sequenza
Principale, manifestandosi con caratteristiche singolarmente diverse per stelle della SPI o
SPS, in dipendenza della presenza o meno di nuclei convettivi. In stelle della SPI, in as-
senza di moti convettivi centrali lidrogeno viene consumato in una zona relativamente larga
attorno al centro della struttura e, in ogni punto di tale zona, in proporzione allefficienza
locale delle combustioni pp. Ne segue un andamento temporale dellabbondanza di idrogeno
del tipo riportato nella figura 5.11. E facile comprendere come in tal caso lesaurimento
15

Fig. 5.12. Andamento schematico dellabbondanza di idrogeno durante levoluzione di una strut-
tura della SPS. I numeri segnalano nellordine la sequenza temporale.

dellidrogeno non rappresenti un evento traumatico: il progressivo aumento di temperatura


rendera piu efficienti le combustioni nelle zone ricche di idrogeno contornanti il centro e la
combustione si spostera con continuita dal centro ad una ampia shell contornante un nucleo
essenzialmente composto solo da elio e dagli originari elementi pesanti.
E importante rilevare che la crescita delle temperature centrali favorisce lefficienza del
ciclo CNO che poco dopo lesaurimento dellidrogeno centrale finisce col prendere defini-
tivamente il sopravvento. A causa della forte dipendenza del CNO dalla temperatura, si
restringe fortemente la zona interessata dalle combustioni che finisce col presentarsi come
una shell sottile che progredisce allinterno della stella erodendo il fondo della zona ancora
ricca di idrogeno e separando bruscamente il nucleo di elio dalle zone piu esterne.
Nelle stelle di SPS la presenza del nucleo convettivo conduce invece a conseguenze pe-
culiari. Anche se la zona di combustione e fortemente accentrata, il rimescolamento operato
dalla convezione fa s che lidrogeno diminuisca omogeneamente in tutta la zona convettiva
(Fig. 5.12). Ne consegue che allesaurimento dellidrogeno restano prive di combustibile non
solo le zone ove era efficiente la combustione, ma anche una estesa regione circostante. Allo
spengersi delle combustioni la stuttura deve quindi reagire con una contrazione che avra
termine solo quando la temperatura interna si sara innalzata sino a produrre una efficiente
combustione di idrogeno negli strati circostanti il vecchio nucleo convettivo. Si noti in pass-
ing che al diminuire delle combustioni centrali diminuisce il relativo flusso, il gradiente
radiativo crolla e sparisce linstabilita convettiva.
La Fig. 5.13 riporta esempi del cammino evolutivo delle strutture durante la fase di MS,
sino allinnesco della combustione di idrogeno in una shell. Il modello di 1 M mostra la
tipica evoluzione delle strutture di SPI: si allontana regolarmente dalla posizione di ZAMS
raggiungendo un massimo della temperatura efficace (turn off della traccia) poco prima
dellesaurimento dellidrogeno centrale. Dopo lesaurimento la traccia prosegue dirigendosi
sempre piu decisamente verso basse temperature efficaci nel mentre si instaura la combus-
tione di idrogeno in una shell. I modelli di 1.25 e 1.5 M mostrano invece il tipico andamento
delle strutture di SPS. Poco prima dellesaurimento parte la contrazione (tratto A-B in Fig
5.13) solo al termine della quale lidrogeno al centro viene definitivamente esaurito. Ci si
attende dunque che stelle sufficientemente massicce presentino al termine della fase di com-
bustione centrale di idrogeno (MS) una fase di contrazione gravitazionale, percorsa dunque
con tempi scala molto minori di quelli nucleari. In questa fase ci si attende quindi scarsa o
nulla presenza di oggetti stellari. Le osservazioni confermano puntualmente tale previsione:
ammassi stellari sufficientemente giovani mostrano al termine della sequenza principale una
16

Fig. 5.13. Tracce evolutive nel diagramma HR di stelle per la composizione iniziale Y=0.30,
Z=0.10. Levoluzione e seguita a partire dal modello di ZAMS sino al massimo relativo di luminosita
(C). I punti lungo le tracce indicano decrementi di idrogeno centrale pari a X=0.1.

Fig. 5.14. Il diagramma CM (Colore-Magnitudine) per lammasso di vecchio disco M67 =


NGC2682.

gap per mezzo della quale lesistenza di un nucleo convettivo nelle strutture di SPS diventa
-indirettamente- un osservabile (Fig. 5.14).
Ulteriori dettagli sulla fase di esaurimento dellidrogeno sono riportati in A5.6. Prima di
concludere questo punto dobbiamo pero aggiungere che per masse al di sopra delle 10 M ,
la fase di esaurimento dellidrogeno si complica per la presenza di un ulteriore fenomeno:
lenergia emessa dai nuclei in contrazione si traduce in un flusso cos grande che nelle regioni
che circondano il nucleo il gradiente radiativo viene spinto a superare quello adiabatico e le
zone diventano, almeno formalmente, convettive.
Abbiamo detto almeno formalmente perche e adesso necessario osservare che nella
derivazione del criterio di Schwarzschild si era a suo tempo fatta limplicita assunzione di
materia chimicamente omogenea. La zona che contorna il nucleo in contrazione presenta
invece un gradiente di elio, la cui abbondanza va progressivamente crescendo verso linterno
come risultato della progressiva diminuzione delle dimensioni del nucleo convettivo original-
mente presente nel modello di ZAMS.
Lesistenza di un tale gradiente di peso molecolare tende a stabilizzare la zona piu di
quanto previsto dal criterio di Schwarzschild: al termine di uno spostamento adiabatico gli
elementi possono trovarsi piu caldi dellambiente circostante ed essere peraltro richiamati
17

alla posizione originale perche intrinsecamente piu pesanti. Conseguentemente il criterio di


Schwarzschild si trasforma nel Criterio di Ledoux secondo il quale per linstabilita convettiva
si richiede
dlog
rad L = ad +
dlogP
E stato pero fatto notare che in una zona superadiabatica resa stabile del termine di
Ledoux un elemento richiamato alla sua posizione iniziale, a causa delle inevitabili perdite ra-
diative vi tornerebbe piu freddo e quindi piu pesante dellambiente circostante, proseguendo
quindi nel suo moto e dando origine ad una sia pur diversa forma di instabilita che porterebbe
in ogni caso al rimescolamento degli strati coinvolti. Lefficienza del rimescolamento in queste
zone e peraltro questione ancora dibattuta, talora affrontata nel quadro di teorie diffusive.
Qui notiamo solo che nel caso dellesaurimento dellidrogeno in stelle massicce lapplicazione
sic et simpliciter del criterio di Ledoux inibisce di fatto la formazione delle shell di con-
vezione, con predizioni osservative che sembrano in molto migliore accordo con le osservazioni
( A5,,,).
Resta infine da notare come la durata della fase di combustione centrale dellidrogeno
(MS) decresca rapidamente allaumentare della massa (e della luminosita) della struttura:
la precedente tabella 5.1 riporta alcuni valori di tale durata per stelle di metallicita solare.
Stelle povere di metalli avranno durate leggermente piu lunghe, ma si puo in ogni modo
concludere che in ogni caso stelle con masse minori di 0.8 M hanno vite di MS mag-
giori delleta stimata per lUniverso ( 1010 anni). Tali strutture devono quindi in ogni caso
essere ancora presenti in cielo, portando testimonianza di tutte le generazioni stellari che
si sono succedute nella nostra come nelle altre galassie. Si ricava anche che il nostro Sole,
con circa 4 miliardi di anni di vita, si trova nel pieno della sua fase di MS, ancora essen-
zialmente sorretto dalla combustione pp. Il confronto delle strutture solari teoriche con i
dati sperimentali delleliosismologia ha posto in luce la probabile efficienza di meccanismi
di diffusione microscopica che, con scale temporali dellordine di miliardi di anni, inducono
leggere modificazioni alla distribuzione degli elementi chimici allinterno delle strutture stel-
lari, interessando quindi solo levoluzione di stelle con massa suffientemente piccola e tempi
evolutivi corrispondentemente lunghi ( ..).
18

Approfondimenti

A5.1. Modelli politropici. Equazione di Lane Emden.


Ogniqualvolta sia possibile stabilire una relazione politropica del tipo

P = K = K(n+1)/n
le equazioni di equilibrio si riducano conducano a modelli politropici, dalle gia discusse carat-
teristiche. Gli indici che corrispondono alle due diverse formulazioni della relazione tra pressione e
densita prendono rispettivamente il nome di esponente della politropica () o di indice della politrop-
ica (n). Tra le molte possibili origini di un comportamento politropico ricordiamo:

1. Gradiente adiabatico di gas perfetto monoatomico = 5/3, n= 1.5


2. Gas isotermo = 1, n=
3. Pgas /Ptot ==cost, = 4/3, n= 3
4. Degenerazione non relativistica = 5/3, n= 1.5
5. Degenerazione relativistica = 4/3, n= 1.5

In tutti i casi, derivando rispetto a r leguaglianza dellequilibrio idrostatico, e sostituendo


dMr /dr tramite la relazione di conservazione della massa si ottiene

d r2 dP dMr
( ) = G = G4r2
dr dr dr
da cui

1 d r2 dP
( ) = 4G
r2 dr dr

esprimendo P attraverso la relazione politropica e operando le sostituzioni

= c n

n1
4G
r = /A dove A = c n
(n + 1)K

si giunge allequazione di Lane Emden

1 d 2 d
( ) = n
2 d d

da integrarsi con le condizioni = 1 e d /d = 0 per =0. Lequazione di Lane Emden ammette


per alcuni valori di n anche soluzioni analitiche.
Abbiamo gia ondicato come nel caso adiabatico K rappresenti un parametro libero cui cor-
rispondono 1 strurrure convettive. Diverso e il caso di strutture degeneri, ove K e una costante
fissata dalla teoria della gas degenere. In tal caso si ha quindi una soluzione unica, e ogni c fissa
massa e raggio della struttura, accadimento che mostra come il raggio di una struttura degenere
non dipenda dal suo contenuto termico e dal quale vedremo discendere lesistenza di una massa
limite per nane bianche e stelle di neutroni.
19

Fig. 5.15. Reazioni di cattura protonica per gli elementi leggeri.

A5.2. La combustione degli elementi leggeri


Le combustioni di elementi leggeri nel corpo delle varie catene pp e il ruolo di elementi secondari
giocato da tali elementi mostra senza ambiguita che le catture protoniche su D, Li, Be e B precedono
la combustione dellidrogeno in deuterio. La Fig. 5.15 riporta i principali canali di combustione, con
i due canali del 9 Be in concorrenza 1:1. Stante la scarsa abbondanza di tali elementi nella mate-
ria interstellare e lecito trascurare il contributo energetico alla storia evolutiva di una struttura
stellare; al piu ci si attende che il deuterio, di gran lunga il piu abbondante, produca un rallenta-
mento nellevoluzione di presequenza. peraltro trascurabile a fronte dei successivi tempi evolutivi.
Marginale anche il contributo dei prodotti di reazione, 3 He e 4 He, alla originaria composizione
chimica di una struttura.
Linteresse di queste combustioni risiede principalmente nel fatto che esse consentono di sondare
la storia degli eventuali inviluppi convettivi di una struttura stellare. Maggiori infatti le profondita
raggiunte da un inviluppo convettivo, maggiori sono le temperature alla base della zona convettiva
cui vengono esposti gli elementi nel continuo rimescolamento. Poiche le sezioni durto scalano con
la repulsione coulombiana, ci si attende quindi che al crescere di tali temperature scompaiano
nellordine dalla atmosfera D, Li, Be, B. Per quel che riguarda le strutture di MS, ci si attende dunque
che tali elementi scompaiano, nellordine, al diminuire della massa stellare e al conseguente crescere
degli inviluppi convettivi. Tale previsione e in linea generale confermata dalle osservazioni, anche se
e bene precisare che i calcoli dettagliati mostrano che le combustioni avvengono principalmente nel
corpo delle strutture di presequenza. Il problema di una corretta previsione delle abbondanze degli
elementi leggeri nelle atmosfere stellari e peraltro ancora aperto e oggetto di indagini.

A5.3. La convezione centrale da 3 He.


E istruttivo seguire nei dettagli levoluzione dell 3 He nelle fasi di approccio alla MS di una stella di
piccola massa al fine di comprendere come tale evoluzione governi la nascita di un nucleo convettivo
e la sua successiva sparizione. Assumendo unabbondanza iniziale di 3 He tracurabile, la produzione
di tale elemento sara proporzionale alla temperatura e, quindi, in una fase iniziale la distribuzione di
3
He avra un massimo al centro della struttura. Poiche la presenza di 3 He favorisce il completamento
della catena pp, la produzione di energia si concentra anchessa verso il centro, aumenta il flusso di
energia e -stanti lespressione del gradiente radiativo ed il criterio di Schwarzschild- la zona centrale
diventa convettiva,
Al procedere della combustione l3 He raggiunge pero il suo valore di equilibrio, prima al cen-
tro e progressivamente nella zone circostanti (Fig.5.16). Poiche labbondanza di equilibrio e tanto
maggiore quanto minore la temperatura, la distribuzione dell3 He tendera ad assumere una carat-
teristica distribuzione a shell, con leffetto incrementare lefficienza della catena nelle zone esterne al
20

Fig. 5.16. La variazione col tempo e con la frazione di massa dellabbondanza di 3 He (linee
continue)in una stella di 0.6 M , Y=0.10, Z=103 . Lungo le varie curve sono riportate le eta dei
modelli in anni. La curva a tratto e punto riporta la distribuzione di 3 He al manifestarsi dellepisodio
convettivo (t= 2.7 107 anni). Le curve a tratti riportano landamento della luminosita alla massima
estensione del nucleo convettivo (a) e per t= 2.5 109 anni.

nucleo convettivo, ridistribuendo la generazione di energia e finendo cos con linibire la convezione
fino a farla scomparire.
A causa di tale meccanismo le stelle di piccola massa sperimentano nelle fasi di approccio e
nelle fasi iniziali di MS un episodio di convezione centrale, la cui limitata estensione, nella struttura
come nel tempo, ha effetti trascurabili sulla successiva storia evolutiva della struttura.

A5.4. Eliosismologia, diffusione e Modello Solare Standard.


Negli anni 60 del XX secolo si era scoperto, con una qualche sorpresa, che la superficie del Sole
risultava soggetta a moti oscillatori. Dopo quasi un decennio si comprese, almeno in linea di princi-
pio, lorigine di tale fenomeno: il Sole una massa gassosa , e quindi fluida, mantenuta in equilibrio
dalla sua stessa forza di gravita (struttura autogravitante). Tale struttura, se sollecitata, puo per-
altro oscillare attorno alla sua configurazione di equilibrio, ed appunto questo quello che avviene.
Lorigine della sollecitazione va ricercata nei moti convettivi alla superficie del Sole, in grado di
trasferire energia meccanica allintera struttura. Ricorrendo ad unimmagine molto usata, si puo
riguardare al Sole come ad una campana o un gong che risuona sotto le sollecitazioni dei moti
convettivi. Sarebbe peraltro pi corretto ricorrere ad immagini quali quelle di una massa gelatinosa
posta in vibrazione.
La struttura solare risponde alle sollecitazioni con una enorme quantita di possibili oscillazioni
collegate alla propagazione di onde acustiche che attraversano tutta la struttura. In particolare si
instaurano onde stazionarie, con milioni di modi di oscillazione contraddistinti dai numeri quantici
n, l, m delle relative armoniche sferiche. A fianco di tali onde acustiche (modi p) esistono anche
onde di gravita (modi g e f). In analogia con quanto ottenuto dalle indagini sismiche sulla
struttura dellinterno della terra, la rivelazione e lo studio di tali onde ha consentito di ottenere
importantissime informazioni sulla struttura interna del Sole, aprendo cos un inatteso ed insperato
campo di studio: leliosismologia. Campo che richiede peraltro misure di estrema delicatezza, ove
si consideri che lampiezza tipica delle oscillazioni dellordine di solo 0.1 m/sec e la rivelazione di
tali velocita tramite leffetto Doppler sulle righe di assorbimento della radiazione solare richiede
di riuscire a valutare spostamenti Doppler dellordine di un milionesimo della larghezza intrinseca
delle righe stesse.
21

Fig. 5.17. Confronto dellandamento di P/ del SSM con i risultati eliosismologici .

Leliosismologia si andata sviluppando solo in tempi relativamente recenti. Nei primi anni
90 diventava ad esempio operativo il programma GONG (Global Oscillation Network Group)
destinato a tenere sotto continua osservazione il Sole grazie a sei stazioni di osservazione dis-
tribuite regolarmente in longitudine. Nel 1995 veniva inoltre lanciato il satellite SOHO (SOlar
and Heliospheric Observatory), una collaborazione ESA/NASA dedicata allosservazione continua
del Sole dallo spazio. La disponibilita di informazioni sperimentali sullinterno della struttura solare
ha stimolato un rilevante progresso nella nostra capacita di produrre accurate previsioni teoriche
sulla struttura ed evoluzione non solo del Sole ma anche delle altre stelle. Laffidabilita dei mod-
elli stellari, come sviluppatisi negli ultimi decenni del XX secolo anche grazie alla disponibilita di
moderni e veloci calcolatori elettronici, dipende infatti criticamente dalla accuratezza con cui viene
descritto il comportamento della materia e della radiazione in condizioni stellari.
Nel caso del Sole, la possibilita di confrontare le predizioni dei modelli con i dati eliosismologici
ha stimolato un grande progresso in tali valutazioni, ponendo inoltre in luce lefficienza nel Sole di
meccanismi di diffusione che erano in prededenza generalmente trascurati nei calcoli evolutivi. A
livello microscopico per ogni specie ionica i si puo definire una velocita di migrazione

T 5/2
vi = i

con

dlogT dlogP dlogCi


i = AT + AP + AC
dr dr dr
Siamo in presenza dunque di un effetto di sedimentazione gravitazionale (dlogP) cui si aggiun-
gono effetti di temperatura e di concentrazione, questultimo in genere di minore efficienza.
La considerazione di processi di diffusione si e rivelata un ingrediente fondamentale per giun-
gere a produrre modelli solari che siano in buon accordo non solo con le caratteristiche radia-
tive del Sole (Luminosita e Temperature efficace) ma anche con le caratteristiche strutturali rive-
late dalleliosismologia. Tali modelli (Standard Solar Model=SSM) venivano originalmente prodotti
richiedendo che una struttura di 1 M con la composizione chimica originale della attuale atmosfera
solare raggiunga dopo 4.5 miliardi di anni le caratteristiche del Sole. La condizione sulleta proviene
dalle stime sulleta del sistema solare ricavate dagli elementi radioattivi contenuti nei meteoriti.
In tali procedure i modelli contengono due parametri liberi, la lunghezza di rimescolamento che
regola lefficienza della convezione superadiabatica e il contenuto originale di elio, non direttamente
ricavabile dallo spetro del Sole perche le righe dellelio nel suo stato fondamentale cadono nellestremo
ultravioletto. La lunghezza di rimesolamento governa il raggio della struttura, mentre il contenuto
di elio ne regola la luminosita, cos che la richiesta di riprodurre il Sole attuale corrispondeva ad
una calibrazione di tali due quantita.
22

Tab. 2. Distribuzione di alcune grandezze fisiche lungo il Modello Standard con diffudione micro-
scopica

Mr /M R/Rtot logP logT log L/Lsup N rad ad


1.06E-07 6.91E-04 17.366 7.195 2.181 9.49E-07 1.71E+01 3.32E-01 0.397
4.12E-03 3.43E-02 17.332 7.184 2.141 3.45E-02 1.54E+01 3.31E-01 0.397
4.20E-02 7.92E-02 17.208 7.143 2.014 2.83E-01 1.06E+01 3.26E-01 0.397
8.88E-02 1.07E-01 17.100 7.109 1.914 5.01E-01 7.40E+00 3.19E-01 0.397
1.86E-01 1.48E-01 16.912 7.050 1.756 7.68E-01 3.63E+00 3.00E-01 0.397
2.71E-01 1.78E-01 16.758 7.006 1.637 8.87E-01 1.93E+00 2.80E-01 0.397
3.46E-01 2.04E-01 16.619 6.968 1.530 9.43E-01 1.05E+00 2.62E-01 0.397
4.46E-01 2.37E-01 16.423 6.919 1.380 9.80E-01 4.52E-01 2.41E-01 0.397
5.23E-01 2.65E-01 16.255 6.880 1.250 9.94E-01 2.21E-01 2.27E-01 0.397
5.79E-01 2.87E-01 16.122 6.850 1.146 9.98E-01 8.72E-02 2.18E-01 0.397
6.45E-01 3.16E-01 15.944 6.812 1.005 1.00E+00 2.84E-02 2.09E-01 0.397
7.06E-01 3.46E-01 15.758 6.774 0.857 1.00E+00 1.21E-02 2.02E-01 0.397
7.39E-01 3.65E-01 15.642 6.751 0.764 1.00E+00 7.21E-03 1.98E-01 0.397
7.79E-01 3.91E-01 15.484 6.720 0.637 1.00E+00 3.57E-03 1.95E-01 0.397
8.12E-01 4.17E-01 15.334 6.691 0.516 1.00E+00 1.82E-03 1.93E-01 0.397
8.45E-01 4.47E-01 15.159 6.657 0.374 1.00E+00 8.19E-04 1.91E-01 0.397
8.73E-01 4.77E-01 14.984 6.624 0.232 1.00E+00 3.66E-04 1.91E-01 0.397
8.90E-01 4.99E-01 14.865 6.601 0.135 1.00E+00 2.09E-04 1.92E-01 0.397
9.07E-01 5.24E-01 14.729 6.575 0.026 1.00E+00 1.10E-04 1.93E-01 0.397
9.23E-01 5.53E-01 14.572 6.544 -0.101 1.00E+00 5.11E-05 1.97E-01 0.397
9.40E-01 5.89E-01 14.383 6.506 -0.252 1.00E+00 1.98E-05 2.06E-01 0.397
9.50E-01 6.15E-01 14.250 6.478 -0.358 1.00E+00 9.84E-06 2.16E-01 0.397
9.58E-01 6.40E-01 14.120 6.449 -0.459 1.00E+00 4.80E-06 2.33E-01 0.396
9.66E-01 6.70E-01 13.968 6.411 -0.574 1.00E+00 1.93E-06 2.70E-01 0.396
9.74E-01 7.05E-01 13.785 6.356 -0.705 1.00E+00 5.54E-07 3.50E-01 0.396
9.79E-01 7.30E-01 13.655 6.306 -0.787 1.00E+00 1.83E-07 5.10E-01 0.396
9.83E-01 7.53E-01 13.520 6.252 -0.868 1.00E+00 5.38E-08 7.71E-01 0.396
9.88E-01 7.81E-01 13.352 6.186 -0.969 1.00E+00 1.10E-08 1.25E+00 0.396
9.91E-01 8.09E-01 13.158 6.109 -1.085 1.00E+00 1.61E-09 2.14E+00 0.396
9.93E-01 8.28E-01 13.023 6.055 -1.167 1.00E+00 3.94E-10 3.05E+00 0.396
9.95E-01 8.46E-01 12.873 5.996 -1.257 1.00E+00 0.00E+00 4.54E+00 0.396
9.96E-01 8.66E-01 12.696 5.926 -1.363 1.00E+00 0.00E+00 7.33E+00 0.396
9.97E-01 8.79E-01 12.563 5.873 -1.443 1.00E+00 0.00E+00 1.06E+01 0.395
9.98E-01 8.95E-01 12.382 5.802 -1.551 1.00E+00 0.00E+00 1.77E+01 0.395
9.99E-01 9.06E-01 12.248 5.749 -1.632 1.00E+00 0.00E+00 2.58E+01 0.394
9.99E-01 9.26E-01 11.936 5.626 -1.819 1.00E+00 0.00E+00 6.59E+01 0.392
9.99E-01 9.35E-01 11.778 5.564 -1.913 1.00E+00 0.00E+00 1.12E+02 0.391
1.00E+00 9.43E-01 11.613 5.500 -2.013 1.00E+00 0.00E+00 2.03E+02 0.389
1.00E+00 9.50E-01 11.458 5.440 -2.105 1.00E+00 0.00E+00 3.70E+02 0.387
1.00E+00 9.55E-01 11.312 5.383 -2.194 1.00E+00 0.00E+00 6.73E+02 0.384

Le strutture cos calcolate risultano peraltro in grave disaccordo con i dati eliosismologici che
forniscono, ad esempio, il velore di P/ lungo tutta la struttura. Lintroduzione di meccanismi
di diffusione complica ovviamente le procedure, perche si deve anche ricavare una composizione
chimica originale che, tenendo conto della diffusione atmosferica, produca infine il valore di Z/X
ricavato dagli spettri del Sole attuale. Come risultato di tale introduzione le valutazioni teoriche
hanno raggiunto un insperato grado di affidabilita, come mostrato nella Figura 5.17, che mostra
leccellente accordo del rapporto tra pressione e densit (P/) allinterno del Sole, come ricavato
23

Fig. 5.18. Traccia evolutiva di un Modello Solare Standard.

dalleliosismologia, con le previsioni del modello teorico solare. Grazie anche a tali verifiche speri-
mentali, siamo oggi in grado di valutare con ragionevole precisione le storia evolutiva delle stelle,
in generale, ed in particolare quella del nostro Sole. La Figura 5 riassume schematicamente quanto
oggi sappiamo non solo sulla storia passata del nostro astro, ma anche sulla sua prevista evoluzione
nei prossimi 5 miliardi di anni.

A5.5. Neutrini Solari


I neutrini solari hanno rappresentato un rilevante problema giunto a soluzione giusto nei primi anni
2000. I termini di tale problematica erano stati posti a partire dai precedenti anni 60, quando
R. Davis installo in una miniera di Homestake, nel Dakota, ad una profondita di 1500 metri, un
contenitore con 400 000 litri di tetracloroetilene al fine di rivelare i neutrini prodotti dalle reazioni di
fusione nucleare che, trasformando idrogeno in elio, riforniscono il Sole di energia. Una valutazione
del numero di neutrini emessi dal Sole e di grande semplicita. In ogni reazione di fusione 4 protoni
vanno a formare un nucleo di elio con due protoni e due neutroni, e ad ogni formazione di un neutrone
corrisponde lemissione di un neutrino. Quindi ad ogni reazione di fusione corrisponde lemissione
di due neutrini. Il numero di reazioni che avvengono in un secondo e subito ricavabile dallenergia
luminosa emessa dal Sole in quellintervallo di tempo (3.9 1033 erg) divisa per lenergia prodotta
nella formazione di un nucleo di elio (circa 25 MeV = 4 105 erg). Ne risulta una produzione di
circa 1038 neutrini al secondo e un flusso, alla distanza della terra, dellordine di 1011 neutrini per
cm2 e per secondo.
I neutrini solari rivestono una grande importanza perche, prodotti nelle regioni centrali della
stella, sfuggono direttamente nello spazio senza in pratica interagire con la materia solare. Essi
portano quindi informazioni direttamente dalle regioni di produzione, nel centro della nostra stella.
Con i fotoni dunque vediamo la superficie del Sole, con i neutrini vediamo le sue parti centrali.
Per comprendere levoluzione della problematica sui neutrini solari, dobbiamo peraltro ricordare
come alla fusione dellidrogeno concorrano numerose reazioni che producono neutrini elettronici di
varia energia (Fig. 5.19 ) . Le pi importanti risultano:

p + p D + e E = 0.42M ev

7
Be + e 7 Li + e E = 0.86M ev
8 8 +
B Be + e + e E = 14.06M ev
ove per ogni reazione riportata lenergia massima posseduta dai neutrini prodotti.
24

Fig. 5.19. Lo spettro dei neutrini solari predetto dal Modello Solare Standard. Le frecce riportano
la soglia dei vari esperimenti di rivelazione.

Lesperienza di Davis rivelava i neutrini tramite la reazione e +37 Cl 37 Ar +e e la successiva


rivelazione del decadimento del nucleo di 37 Ar cos prodotto. La reazione ha peraltro una soglia
pari a 0.81 Mev, talche lesperimento poteva in linea di principio rivelare solo i neutrini provenienti
dalle reazioni del boro (B) e del berillio (Be). Sorprendentemente i neutrini rivelati risultarono solo
tra 1/2 e 1/3 di quelli previsti dalla teoria.
Tale evidenza sperimentale si apriva a due interpretazioni alternative. Poteva infatti indicare
che i modelli teorici non valutavano correttamente il contributo delle diverse reazioni allemissione
dei neutrini, fermo restando il numero totale di neutrini emessi. Ne seguirono vari ma vani tentativi
di abbassare le temperature centrali del Sole, spostando cos le reazioni verso la catena ppI i cui
neutrini non erano rivelabili. Ma, alternativamente, sin dal 1962 Bruno Pontecorvo (1913-1993)
aveva avanzato lipotesi secondo la quale i neutrini emessi dal Sole, di tipo elettronico, si sarebbero
trasformati in volo in uno degli altri due tipi di neutrino (muonico e tauonico), perdendo cos la
capacita di interagire col Cloro. Ipotesi affascinante perche implicherebbe che il neutrino abbia una
massa, contrariamente alle previsioni dei piu semplici e accettati modelli di tali particelle, aprendo
la strada ad una nuova fisica.
Il problema dei neutrini solari ha stimolato nel tempo una serie di importanti imprese sperimen-
tali. Nel 1987 lesperimento giapponese Kamiokande misurava i neutrini del B utilizzando processi
di scattering elettronico, parzialmente sensibili anche alla presenza di neutrini non elettronici, con-
fermando il deficit di neutrini. Assumendo come validi i dati sperimentali, era peraltro gia possibile
ricavare che i risultati dei due esperimenti erano incompatibili con neutrini canonici. La Fig 5.20
mostra linterpretazione dei dati sperimentali nel piano dei flussi neutrinici rispettivamente di B e
Be. Kamiokande, sensibile solo ai neutrini del B, fissa il flusso di tali neutrini indipendentemente
da ulteriori assunzioni. Il segnale di Homestake fornisce invece una relazione tra i due flussi a sec-
onda che sia interpretato come prodotto solo da neutrini del B, solo da neutrini del Be o da una
mescolanza dei due. La figura mostra che, in ipotesi di neutrini canonici, il flusso del B misurato
da Kamiokande dovrebbe, da solo, produrre in Homestake un segnale piu alto di quanto osservato.
Una contraddizione sanabile solo ammettendo o un errore nei dati sperimentali.
Un ulteriore chiarimento. e un supporto ai dati dei precedenti esperimenti, veniva dai risul-
tati dellesperimento Gallex (Gallium Experiment) condotto a partire dal 1996 nei Laboratori
Sotterranei dellIstituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) al Gran Sasso, e dal contempora-
neo esperimento SAGE (Soviet-American Gallium Experiment) in un laboratorio sotterraneo nelle
montagne del Caucaso. La soglia della reazione utilizzata da ambedue questi esperimenti per rivelare
i neutrini

e +71 Ga 71 Ge + e
25

Fig. 5.20. Le condizioni imposte dagli esperimenti di Homestake e Kamiokande ai flussi di neutrini
del Be e B.

era sufficientemente bassa per rivelare neutrini provenienti da tutte le reazioni supposte esistenti
nel Sole. Il deficit di neutrini riscontrato anche in questi esperimenti, interpretabile ancora sulla
falsariga dello scenario di Fig.5.20, puntava decisamente in direzione delle oscillazioni del neutrino.
La soluzione definitiva del problema venuta solo nel 2001, con lesperimento di Sudbury che utilizza
linterazione tra neutrino e deuterio per studiare contemporaneamente la presenza sia di neutrini
elettronici che di altro tipo. Le due reazioni utilizzate sono:

e + D p + p + e

+D p+n+
Anche dal confronto con i risultati degli esperimenti precedenti, se ne tratta la chiara e definitiva
evidenza per un flusso dei neutrini in pieno accordo con le previsioni teoriche e la contemporanea
evidenza per loscillazione dei neutrini elettronici in neutrini di altro tipo, aprendo cos la strada
ad un nuovo capitolo della fisica fondamentale.

A5.6. La fase di esaurimento dellidrogeno.


Le strutture della SPI, caratterizzate lungo la fase di MS da nuclei in equilibrio radiativo, attraver-
sano la fase di esaurimento dellidrogeno al centro mantenendo una regolare continuita evolutiva. La
Fig. 5.21 mostra la distribuzione degli elementi chimici in una struttura di 1 M in due momenti,
luno precedente e laltro successivo allesaurimento dellidrogeno. La distribuzione dellidrogeno
nella struttura che precede lesaurimento e conseguenza di una combustione pp che e giunta ad
interessare circa meta della massa stellare. La scarsa efficienza del ciclo CNO e dimostrata dalla
distribuzione dell16 O, che ha iniziato a muoversi verso la sua composizione di equilibrio solo nelle
regioni piu centrali. Si nota peraltro che il 12 C si e ormai portato allequilibrio con l14 N in gran
parte della zona di combustione.
Nella struttura successiva allesaurimento si e ormai formato un piccolo nucleo di elio. La com-
bustione e ancora largamente sorretta dalla catena pp, come mostrato dalle dimensioni della zona
in cui lidrogeno e diminuito. La combustione CNO sta pero guadagnando efficienza, come mostrato
dall16 O la cui abboondanza nelle regioni centrali e crollata ai valori di equilibrio. Si puo infine
notare come la shell dell 3 He si sposti verso lesterno, come conseguenza del combinato effetto della
diminuzione dei valori di equilibrio dovuta allaumento di temperatura nella porzione piu interna
della shell, e della proseguita produzione di tale elemento nella porzione piu esterna.
26

Fig. 5.21. Distribuzione delle concentrazioni in massa degli elementi primari o pseudoprimari
allinterno di una struttura di 1 M prima (linee continue) e dopo (linee a punti) lesaurimento
dellidrogeno centrale. Tutte le grandezze sono normalizzate al loro valore massimo.

Fig. 5.22. Andamento temporale di variabili fisiche di struttura e dellabbondanza centrale di H


durante la fase di contrazione allesaurimeno di H centrale.Il tempo t e in miliardi di anni.

I dettagli dellevoluzione di una struttura di SPS attraverso la fase di esaurimento dellidrogeno


sono piu complessi. Il passaggio dalla combustione centrale a quella a shell, sovente indicato in
letteratura come fase di overall contraction, avviene in realta con una certa continuita, grazie an-
che allintervento nella fase cruciale dellenergia gravitazionale. La Fig. 5.22 mostra landamento
temporale di alcune variabili di struttura nella stella di 1.25 M di Fig 5.13. La contrazione ha
inizio quando al centro Xc 0.05 (punto A in figura) con un aumento di temperatura e densita
centrali che tendono a mantenere efficiente la combustione CNO dello scarso H ancora presente,
mentre la generazione di energia gravitazionale resta ben al di sotto di quella nucleare. Nel con-
tempo aumentano anche le temperatura ai margini del nucleo convettivo ove iniziano a divenire sia
pur debolmente efficienti reazioni di combustione.
Lesaurimento dellidrogeno e segnalato dalla contemporanea scomparsa del nucleo convettivo:
in questo momento la contrazione gioca il suo ruolo di stabilizzazione, fornendo unenergia pari
a quella generata nuclearmente. La temperatura centrale crolla perche il nucleo ormai privo di
sorgenti di energia deve tendere allisotermia, portandosi alla temperatura delle combustioni che
lo circondano, mentre cresce corrispondentemente la densita centrale. Al termine di questa ultima
e rapida fase, la struttura si e stabilizzata nella combustione a shell. E importante notare che,
contrariamente a quanto talora ritenuto, la fase di rapida evoluzione (e quindi la gap osservativa)
27

Fig. 5.23. Andamento temporale della temperatura efficace in modelli di 20 M , composizione


chimica solare, allesaurimento dellidrogeno centrale, calcolati adottando alternativamente il criterio
di Ledoux (L) o quello di Schwarzschild (S).

Fig. 5.24. Diagramma CM dellammasso giovane globulare della Grande Nube di Magellano
NGC2004. La linea mostra la traccia evolutiva di una stella di 16 M calcolata adottando il criterio
di Ledoux.

non necessariamente coincide con la fase di temperature efficaci crescenti (tratto A-B in Fig. 5.13),
potendosi estendere anche alle fasi successive, come facilmente deducibile dai dati di Fig. 5.22.
Passando al caso delle shell di convezione in stelle massicce, lalternativa applicazione dei cri-
teri di Schwarzschild o di Ledoux porta, come abbiamo indicato, allesistenza o meno dell insta-
bilita, con macroscopiche conseguenze sulle caratteristiche evolutive. La Fig. 5.23 riporta ad esempio
landamento temporale della temperatura efficace in una stella di 20 M valutato sotto le due al-
ternative ipotesi. Assumendo il criterio de Ledoux allesaurimento dellidrogeno la stella si sposta
bruscamente nella zona delle giganti rosse, ove proseguira la sua vita innescando la combustione
dellelio. Dal criterio di Schwarschild si ricaverebbe invece che la stella si sposta lentamente dalla sua
posizione di MS, innescando lelio avendo ancora un temperatura efficace di 10000 K. a Fig. 5.24
mostra che ammassi globulari giovani nella Grande Nube di Magellano (LMC= Large Magellanic
Cloud) presentano un gruppo ben separato di giganti rosse, mostrando cos che il criterio di Ledoux
produce, perlomeno, modelli stellari molto piu vicini alla realta delle cose.
28

Origine delle Figure

Fig.5.1 Cameron A.G.W. 1971, in Structure and Evolution of the Galaxy, Reidel
Fig.5.2 Ezer D., Cameron A.G.W. 1965, Canad. J. Phys. 49, 1497.
Fig.5.3 Iben I.Jr. 1965, ApJ 141, 993
Fig.5.4 Iben I.Jr. 1965, ApJ 141, 993
Fig.5.5 Caloi V., Castellani V., Firmani C., Renzini A. 1968, Mem. SAIt 39, 409
Fig.5.6 Caputo F., Castellani V., DAntona F. 1974, Astrophys. Space Sci. 28, 303
Fig.5.7 Caputo F., Castellani V., DAntona F. 1974, Astrophys. Space Sci. 28, 303
Fig.5.8 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.5.9 Caloi V., Castellani V. 1975, Astrophys. Space Sci. 39, 335
Fig.5.10 Castellani V., Renzini A. 1968, Astrophys. Space Sci. 2, 83
Fig.5.11 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.5.12 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.5.13 Caloi V., Castellani V., Di Paolo N. 1974, A&A 30, 349
Fig.5.14 Montgomery K.A., Marschall L.A., Janes K.A. 1993, AJ 106, 181
Fig.5.16 Caloi V., Castellani V., Firmani C., Renzini A. 1968, Mem. SAIt 39, 409
Fig.5.17 DeglInnocenti S., Dziembowski W.A., Fiorentini G., Ricci B. 1997, Astroparticle Phys. 7, 77
Fig.5.18 Castellani V., 2002, Lezioni Galileiane X, 423, Museo della Scienza, Firenze
Fig.5.20 Castellani V., DeglInnocenti S., Fiorentini G., Lissia M., Ricci B. 1997, Phys. Reports 281, 566
Fig.5.21 Castellani V., Giannone P., Renzini A. 1971, Mem. SAIt 42, 73
Fig.5.21 Tornambe A. 1980, Tesi di Laure, Universita La Sapienza.
Fig.5.21 Bencivenni D., Brocato E., Buonanno R., Castellani V. 1991, AJ 102, 137
Fig.5.21 Brocato E., Castellani V. 1993, ApJ 410,99
Capitolo 6

Combustione dellidrogeno in shell

6.1. Il Limite di Schoenberg Chandrasekhar. Gap di Hertsprung


Le caratteristiche evolutivo-strutturali di una stella che si inoltra nella fase di combustione di
H in una shell risultano regolate da una serie di ricorrenze che accomunano tutte le strutture.
Linstaurarsi della combustione a shell e infatti sempre seguita da una espansione degli strati
esterni mentre la luminosita si mantiene approssimativamente costante. Diminuisce quindi
la temperatura efficace e gli strati esterni alla shell diventano rapidamente e sempre piu
consistentemente convettivi. La stella si porta conseguentemente verso la sua traccia di
Hayashi raggiungendo lisoconvettiva corrispondente ad un inviluppo totalmente convettivo,
seguendo infine lisoconvettiva medesima con un progressivo aumento di luminosita sinche
la shell d idrogeno resta lunico sorgente efficiente di energia nucleare (Fig. 6.1). E questo
il primo apparire di una regola generale; combustioni centrali collocano i modelli verso alte
temperature efficaci, combustioni a shell riportano i modelli verso le rispettive tracce di
Hayashi.

Fig. 6.1. Tracce evolutive nel diagramma HR per stelle di Pop.I di varie masse. Il punto 6 ndica
il terrmine della combustione di H in shell e linnesco della combustione dellelio.

1
2

Tab. 1. Tempi evolutivi (milioni di anni) per le due strutture di 3 e 5 M alle fasi riportate in Fig.
6.1

Fase 2 3 5 6 9
3 Modot 227 239 249 253 326
5 Modot 65.5 68.2 70.3 70.8 87.8

Fig. 6.2. Diagramma CM per lammasso giovane di disco NGC7789.

Al progredire della combustione lidrogeno che circonda il nucleo inerte di elio viene
trasformato anchesso in elio. Il nucleo aumenta quindi con continuita la propria massa
mentre la shell di combustione interesssa progressivamente strati sempre piu esterni. In ogni
caso la combustione e ormai dominata dal ciclo CNO. Causa lassenza di sorgenti di energia,
il nucleo di elio tende inizialmente verso una struttura isoterma, reagendo poi alla continua
sua crescita in massa con una contrazione e conseguente riscaldamento che condurra infine
allinnesco delle reazioni dellelio.
Stelle della SPS dopo la fase di overall contraction permangono nei pressi della Sequenza
Principale sinche il nucleo di elio raggiunge 10% della massa totale della stella. E questo
il limite di Schoenberg Chandrasekhar, dal nome dei due ricercatori che nel 1942 mostrarono
con trattamento analitico come al di sopra di questo limite non siano ammesse soluzioni
delle equazioni di equilibrio che si raccordino con un nucleo isotermo. Raggiunto tale limite
i nuclei iniziano una fase di contrazione mentre la struttura si porta verso la traccia di
Hayashi dove, dopo breve risalita, giungono ad innescare la combustione centrale dellelio.
Questa fase si sviluppa con tempi scala molto minori sia di quelli precedenti che di quelli
della successiva combustione dellelio. Ci si attende quindi che la zona del diagramma HR
compresa tra la Sequenza Principale e le Giganti Rosse in fase di combustione di elio sia
scarsamente popolata, accadomento peraltro gia evidenziato dalle osservazioni di ammassi
giovani (Fig. 6.2), noto in letteratura come Gap di Herizsprung. I dati in Tabella 2 riportano
a titolo di esempio i tempi alle diverse fasi evolutive di due strutture della Fig. 6.1.
Stelle con massa superiore a circa 6 M hanno in Sequenza Principale nuclei convettivi
che gia superano il limite di Schoenberg Chandrasekhar: lesaurimento del idrogeno centrale
e seguito immediatamente dalla contrazione del nucleo di elio con il conseguente spostamento
verso la traccia di Hayashi dove innescano la combustione 3. Stelle ancora piu massicce
( 15 M ) finiscono con innescare le reazioni dellelio ancor prima di raggiungere la traccia
di Hayashi (vedi Fig. 6.1), che verra raggiunta solo al termine della successiva combustione
dellelio . In caso di strutture povere di metalli, decresce il limite inferiore per tale combus-
3

Fig. 6.3. Tracce evolutive di stelle di SPS per le indicate masse e composizioni chimiche. I punti
sulle tracce riportano nellordine: ZAMS, esaurimento idrogeno centrale, inizio combustione centrale
di elio, esaurimento elio centrale.

Fig. 6.4. Caratteristiche strutturali di una stella si 6 M , Y=0.20, Z= 104 nella fase di MS
(pannello superiore) e nella fase di combustione di idrogeno a shell (pannello inferiore). Le grandezze
sono normalizzate al loro valore massimo.

tione precoce dellelio (Fig.6.3). Tale comportamento puo essere agevolmente interpretato
ricordando che al diminuire di Z aumentano temperature centrali e luminosita delle stelle,
aumentando con queste anche le dimensioni in massa del nucleo convettivo. Vengono cosi
simulate condizioni che a Z maggiori sono caratteristiche di stelle piu massicce.
In stelle con massa inferiore a, circa, 2.5 M nel nucleo di elio cominciano invece a
manifestarsi gli effetti della degenerazione elettronica, che accomunera la storia evolutiva di
tali strutture a quella delle strutture della SPI che verra discussa nella prossima sezione.
4

Fig. 6.5. Schema rappresentativo della evoluzione temporale di una struttura di 7 M di


Popolazione I. Il tempo e in unita di IO7 anni.

La Fig. 6.4 riporta alcuni dettagli della struttura di una stella di 6 M in fase di com-
bustione centrale di idrogeno (pannello superiore) e nella fase di combustione a shell che
segue lesaurimento dellidrogeno centrale. Si noti nella struttura di MS il gradiente di elio
conseguente allarretramento del nucleo convettivo e nella struttura a shell il gradiente di
temperatura nel nucleo che segnala la contrazione del medesimo e, negli strati esterni al
nucleo, la diminuzione di luminosita che segnala il riassorbimento di energia legato alla es-
pensione dellinviluppo. La Fig.6.5 illustra infine landamento temporale di una struttura
di 7 M secondo una rappresentazione tipica della scuola evolutiva tedesca di Kippenhan e
collaboratori.

6.2. Stelle di piccola massa: il ramo delle giganti e il flash dellelio.


Nel seguito definiremo come stelle di piccola massa tutte quelle strutture nelle quali al ter-
mine della combustione centrale dellidrogeno si formano nuclei di elio in cui si manifestano
gli effetti della degenerazione elettronica. Ricordando come al diminuire della massa di una
struttura risulti favorito il fenomeno della degenerazione, ne concludiamo che alle piccole
masse appartengono le stelle della SPS al di sotto di circa 2.5 M e tutte le stelle della SPI.
Le masse limite per lintervento delia degenerazione dipendono dalla composizione chimica
della struttura originaria, e per le piu volte ripetute motivazioni e immediato comprendere
come esse debbano diminuire allaumentare dellelio e/o al diminuire dei metalli. Levoluzione
delle strutture di piccola massa risulta di particolare rilevanza, sia perche tali strutture rap-
presentano un importante campione osservativo delle piu antiche popolazioni stellari, sia per
una serie di interessanti fenomeni che si manifestano nel corso di tale evoluzione.
In linea generale la degenerazione agisce congelando la struttura: la contrazione del nu-
cleo viene ostacolata dalla pressione degli elettroni degeneri, viene ostacolato quindi linnesco
della combustione dellelio e i tempi scala della combustione a shell dellidrogeno aumentano
sensibilmente. La combustione di idrogeno a shell e la degenerazione elettronica interven-
gono cosii a modificare, integrandolo, il semplice quadro evolutivo tratteggiato sulla base del
Teorema del Viriale. Come mostrato in Fig. al termine della combustione centrale di idrogeno
le stelle di piccola massa raggiungono la loro traccia di Hayashi e, anziche innescare lelio,
proseguono la loro evoluzione inerpicandosi lungo la traccia stessa, mentre la combustione
dellidrogeno in shell aumenta progressivamente la massa del nucleo di elio. In tale fase di
Gigante Rossa a causa delle alte temperature e densita si manifestano nel nucleo con cres-
5

Fig. 6.6. Tracce evolutive di due stelle di piccola massa. I punti lumgo le tracce indicano variazioni
di 0.1 nellabbondanza centrale di idrogeno. Lungo il ramo delle Giganti Rosse sono indicati inoltre
i punti: MC = massimo affondamento della convezione superficiale; D = la shell di combustione
raggiunge la discontinuita nellabbondanza di idrogeno; HE = He flash

cente efficienza meccanismi di produzione di termoneutrini, che estraendo energia dal nucleo
stesso (raffreddando il nucleo) ostacolano ulteriormente linnalzamento delle temperature
e ritardano linnesco dellelio.
In tali condizioni una struttura viene a perdere energia da due distinte regioni: la super-
ficie, tramite fotoni, e le zone centrali, tramite neutrini. Lenergia prodotta dalle reazioni
nucleari deve quindi fluire a compensare amboedue queste perdite e, conseguentemente, la
temperatura raggiunge un massimo in una regione intermedia per decrescere sia verso la
superficie che verso il centro della stella. Ne segue anche che linnesco dellelio avverra non
al centro della struttura ma in una shell. Al ritardo dellinnesco dellelio causato dai ter-
moneutrini corrisponde una accresciuta massa del nucleo di elio al momento dellinnseco.
Tale variazione, pur se contenuta in pochi percento, avra sensibili conseguenze sulla lumi-
nosita delle strutture nella successiva fase di combustione centrale di elio, cosi che i relativi
riscontri osservarvi forniscono una macroscopica sperimentazione dei processi di interazione
debole.
Linnesco delle combustioni 3a avviene quando il nucleo di elio raggiunge una massa
di circa 0.5 M , il valore esatto dipendendo leggermente dalla massa e dalla composizione
chimica. Linnesco di una fusione nucleare in materia elettronicamente degenere da luogo ad
un processo reazionato positivamente che inizialmente tende a divergere: lenergia prodotta
innalza la temperatura locale lasciando inalterata la pressione che e essenzialmente for-
nita dagli elettrono degeneri. La stella dunque non reagisce espandendosi, e lunico effetto
dellinnalzamento di temperatura e di incrementare ulteriormente la velocita delle reazioni,
stimolando lemissione di ulteriore energia. Nel caso delle Giganti Rosse di piccola massa,
la 3 procede autoincentivandosi sinche localmente non si siano raggiunte temperature in
grado di rimuovere la degenerazione attivando la controreazione dellespansione. In questa
fase, rapida ma non dinamica (r 0), lenergia prodotta dalle reazioni 3 raggiunge val-
ori dellordine di 1011 L ma senza apprezzabili variazioni delle luminosita della struttura:
lenergia prodotta viene infatti totalmente riassorbita nellespansione degli strati interni e la
violenza del fenomeno resta nascosta allinterno della struttura.
6

Fig. 6.7. Caratteristiche strutturali di una stella di 0.8 M , Y=0.20, Z= 103 dalla fine della fase
di Sequenza Principale allinnesco del flash dellelio. Si noti nellultima fase il Carbonio prodotto
dallinizio del flash. Tutte le grandezze sono normalizzate al loro valore massimo.

La Fig. 6.7 illustra le tipiche variazioni strutturali di una stella di piccola massa dalle fasi
finali di sequenza principale sino allinnesco dellelio. Si noti come, in presenza del nucleo
di He, le variabili fisiche P e T compiano in pratica lo loro intera escursione allinterno del
nucleo medesimo. Da cio la larga insensibilita dellevoluzione del nucleo alle caratteristiche
dellinviluppo, che viene sentito come una trascurabile modifica alle condizioni al bordo del
nucleo P0 e T0. Caratteristica di queste fasi e anche lestrema sottigliezza della shell di
combustione dellidrogeno. Nelle fasi piu avanzate lintera energia finisce con lessere prodotta
in uno strato contenente non piu di 103 104 della massa totale ( fase di shell sottile). Per
meglio comprendere questa evidenza si puo usare unimmagine gastronomica, asserendo che
lidrogeno viene bruciato alla piastra: viene infatti combusto giusto lidrogeno che viene
in contatto con la superficie arroventata del nucleo di elio.
Si osservi anche come il nucleo, pur giungendo a contenere piu di meta della massa
stellare, rimanga sempre di dimensioni estremamente ridotte. Una Gigante Rossa e dunque
formata da un esteso e tenue inviluppo ricco di idrogeno che quasi galleggia attorno ad un
punto, il nucleo, che fornisce gravita. A confortare tale pittura basti avvisare che a meta del
raggio di una Gigante Rossa la densita e ancora inferiore alla densit dellatmosfera terrestre.
Aggiungiamo infine che il nucleo cresce col tempo in massa ma non in raggio, raggio che anzi
diminuisce leggermente e progressivamente. Questo processo si puo comprendere osservando
che lidrogeno trasformandosi in elio aumenta la massa del nucleo di He degenere, e gia
sappiamo che le strutture degeneri al crescere della massa devono diminuire il raggio. Tale
diminuzione non segue peraltro esattamente la relazione delle Nane Bianche perche il nucleo
di He e solo parzialmente degenere.
In conclusione, le Giganti Rosse di piccola massa formano ed accrescono nel loro interno
una embrione di stella di elio che giungera infine ad innescare la combustione 3 una volta
raggiunta la indicata massa critica. Si comprende anche cosi la limitata influenza di massa
e composizione chimica originaria sul valore di tale massa critica. Stelle di massa minore di
0.5 M 0 non sono ovviamente in grado di inescare la combustione di elio. Esse dovranno
7

Tab. 2. Evoluzione temporale dei parametri fisici per la struttura di 0.9 M di Fig. 6.6

Fase log Tc log c log Pc log R(cm)


Sequenza Principale 7.10 1.9 17.4 10.7
Esaurimento H centrale 7.29 2.4 18.0 10.8
RG: L=1.5 7.56 5.2 21.3 11.7
RG: L=2.0 7.66 5.5 22.0 12.2
RG: L=3.0 7.82 5.9 22.5 12.5
flash: L=3.3 7.88 6.0 22.3 12.7

terminare la loro evoluzione con una fase di raffreddamento sotto forma di Nane Bianche di
elio.
La Tabella 2 riporta levoluzione temporale di alcuni parametri strutturali caratterizzanti
levoluzione di una piccola massa sino al flash. Notiamo solamente come losservazione delle
Giganti Rosse e dei loro successori evolutivi consenta di sperimentare astronomicamente
il comportamento di un gas di elio a temperature di poco inferiori ai 100 milioni di gradi e a
densita dellordine di 1 tonnellata per centimetro cubo, ben al di la quindi delle possibilita
sperimentali nei laboratori terrestri.

6.3. Giganti Rosse di piccola massa: primo dredge up e velocita evolutiva


Levoluzione di una stella di piccola massa nella fase di Gigante Rossa presenta ulteriori
e rilevanti caratteristiche che meritano di essere esaminate in dettaglio anche perche se
ne ricavano ulteriori opportunita di possibili e talora soprendenti riscontri osservativi. La
Fig. 6.9 mostra levoluzione della massa del nucleo di elio e della profondita dellinviluppo
convettivo in funzione della luminosita della struttura. I dati in figura mostrano come per
luminosita maggiori o dellordine di logL l.5 si manifesti una correlazione tra luminosita
e massa del nucleo di elio, largamente indipendente dai parametri evolutivi della struttura.
La massa del nucleo di elio fissa quindi con buona approssimazione la luminosita, mentre
linviluppo governa la temperatura efficace il raggio) della struttura.
La stessa figura mostra come la convezione dellinviluppo raggiunga alla sua massima
estensione una frazione di massa Mr 0.3, interessando dunque strati parzialmente elabo-
rati nuclearmente nel corso della combustione centrale di idrogeno che. a causa della bassa
dipendenza dalla temperatura della catena pp, ha interessato una porzione relativamente
vasta della struttura. Ne segue che il rimescolamento convettivo arricchira la superficie della
stella con elio prodotto dalle combustioni, producendo nel contempo una discontinuita nelle
abbondanze di elio e di idrogeno in corrispondenza del limite inferiore raggiunto dalla con-
vezione (Fig. 6.8).
Per la prima volta nella sua storia la stella subisce quindi un dredge up, cioe il trasporto
negli strati atmosferici di prodotti delle combustioni interne. Tale dredge up, oltre che a
portare in superficie elio, alterera anche labbondanza superficiale di elementi secondari che,
se pur coinvolti in reazioni nucleari scarsamente efficienti ed energeticamente trascurabili,
hanno avuto il tempo nella ormai lunga storia della stella di modificare lentamente la loro
abbondanza originaria. Ci si attende cosi che nelle atmosfere di giganti di piccola massa si
riduca labbondanza di 12 C, orientativamente di circa il 30%, e che si raddoppi 14 N come
conseguenza di una sia pur modesta efficienza delle reazioni CNO in una vasta regione
interna. Lo sviluppo del dredge up e quindi un segnale di evoluzione interna che raggiunge
la superficie della stella dove puo essere rivelato ed analizzato spettroscopicamente.
Il dredge up, creando una discontinuita nellabbondanza di idrogeno, finisce inoltre col
produrre un ulteriore fenomeno osservabile. La Fig. 6.9 mostra infatti come al crescere in
8

Fig. 6.8. Andamento schematico della abbondanza di idrogeno in una struttura di piccola massa
dopo il primo dredge up .

Fig. 6.9. Evoluzione temporale della massa del nucleo di He (Me) e della profondit dellinviluppo
convettivo (Mce) in funzione dela luminosit della struttura per alcuni modelli di Gigante Rossa. I
numeri tra parentesi riportano, nellordine, la massa, il contenuto originario di elio e la metallicit
dei modelli .

massa del nucleo di elio la convezione venga respinta verso lalto, mantenendosi in contiguita
del nucleo stesso, con la shell di combustione che finisce necessariamente col raggiungere la
zona della discontinuita. I modelli predicono che quando la shell incontra la discontinuita,
la struttura reagisce dimunendo leggermente la luminosita (logL 0.03) per riprendere la
sua regolare ascesa sul ramo delle giganti dopo essersi adattata alla nuova abbondanza di
idrogeno. Vi e dunque un breve tratto del ramo delle giganti che viene percorso in totale tre
volte, e nel quale le stelle spendono quindi un tempo eccezionalmente lungo rispetto ai tempi
con i quali vengono percorsi gli altri tratti del ramo. Corrispondentemente ci si attende che
cio venga segnalato da una anomala sovrabbondanza di stelle, puntualmente osservata nei
diagrammi osservativi degli animassi globulari (Fig. 6.10), cui viene dato il nome di Red
Giant Bump.
Per portare tale problematica in forma quantitativa possiamo definire

t dt
=
logL dlogL
tempo specifico impiegato da una stella per percorrere un tratto il Ramo delle Giganti,
inverso di una corrispondente velocita evolutiva. Dai modelli stellari si ricava, fuori dal bump,
log logL. Si puo mostrare che tale proporzionalita discende dallesistenza di una relazione
massa del nucleo-luminosita. La fase in cui la shell incontra la discontinuita introduce in
questa regolare dipendenza un temporaneo allungamento dei tempi evolutivi. I risultati
dei calcoli evolutivi, come riportati in Fig 6.11, indicano che luminosita e consistenza del
bump dipendono dalla massa e dalla composizione chimica della stella evolvente. Dai dati
in figura si ricava in particolare che la luminosita decresce al diminuire dellelio originale e/o
9

Fig. 6.10. Diagramma CM dellammasso globulare galattico 47Tuc, con indicato levidente RG
bump.

Fig. 6.11. Logaritmo dei tempi specifici in funzione di logL per una Gigante Rossa di 0.8 M per
tre modelli con le indicate abbondanze originali di idrogeno (X) e d metalli (Z). Per ogni modello
sono indicati i sovratempi prodotti dallincontro della shell di combustione con la discontinuita
chimica.

allaumentare della metallicita, come peraltro si pu ricavare anche dai dati in Fig.6.8. La
luminosita del bump decresce inoltre anche al diminuire della massa.
Notiamo infine che una Gigante Rossa approssima ma non realizza a pieno una struttura
completamente convettiva. Conseguentemente e quindi improprio, anche se diffuso, identifi-
care la traccia di una gigante con la relativa traccia di Hayashi. Piu propriamente diremo che
un gigante si colloca su una isoconvettiva corrispondente al limite effettivo della convezione
dato dalla massa del nucleo di elio. Da tali considerazioni discende anche che la collocazione
della traccia di gigante NON dipende dai meccanismi di combustione dellidrogeno ma solo
dalle dimensioni del nucleo di elio e dalle caratteristiche (massa e composizione chimica)
dellinviluppo.

6.4. Linee evolutive e isocrone di ammasso. La Red Giant Transition


Le considerazioni evolutive sin qui svolte ci pongono in grado di predire levoluzione di una
struttura stellare lungo tutta la sua fase di combustione di H una volta che ne sia stata fissata
la massa e la composizione chimica originaria. Tali predizioni consentono di procedere alla
10

Fig. 6.12. Linee evolutive (punti) per una prefissata composizione chimica e per gli indicati valori
delle masse. Le linee mostrano le corrispondenti isocrone, per quattro diverse et (in miliardi di anni).

ricostruzione della distribuzione nel diagramma HR di stelle in ammassi stellari, per le quali
e lecito assumere una comune eta e composizione chimica. Si dovra a tale scopo identificare
il luogo del diagramma HR ove si distribuiscono stelle con prefissata composizione chimica
al variare della massa e per ogni prefissata eta dellammasso. Il luogo cosi identificato prende
il nome di isocrona.
La costruzione di un isocrona resta collegata al calcolo di un sufficiente campione di tracce
evolutive al variare della massa stellare, cosi da ricavare tramite opportune interpolazieni
delle relazioni L(M,t) e Te(M,T) fornite dalle tracce stellari landamento dei due parametri
L e Te in funzione della massa per ogni prefissata eta. La Fig. 6.12 mostra un esempio dei
risultati di tali procedure, dal quale si riconosce come le isocrone, pur conservando una stretta
analogia con le tracce evolutive, siano cosa essenzialmente diversa. Poiche al crescere della
masse diminuiscono i tempi evolutivi, una tipica isocrona sara formata dalle masse minori
ancora in sequenza principale per avere tempi evolutivi di sequenza maggiori della fissata eta,
ed un ristretto intervallo di masse che si distribuiscono nelle fasi fuori sequenza. Allavanzare
della fase evolutiva cresce in generale la velocita di evoluzione, intesa come velocita con la
quale viene percorsa lascissa curvilinea del cammino evolutivo. Di conseguenza diminuisce
il gradiente di massa lungo lisocrona e lisocrona stessa finisce col coincidere con la traccia
evolutiva della tipica massa in fase di evoluzione avanzata.
Nel caso di isocrone popolate da piccole masse (eta superiori a qualche miliardo di anni)
cio avviene circa in corrispondenza della base del ramo delle giganti rosse (RGB= Red Giant
Branch): non solo per tale ramo ma anche per tutte le successive fasi di combustione nu-
cleare e lecito confondere lisocrona con la traccia evolutiva e, in tal caso, assumere che il
popolamento dellisocrona sia proporzionale ai relativi tempi evolutivi ( A6.5). Il popo-
lamento della Sequenza Principale risulta invece governato dalla distribuzione delle masse,
distribuzione che tornera a governare anche il popolamento della fase finale di raffreddamento
delle Nane Bianche, che giunge nuovamente a coprire lunghi tempi evolutivi.
La Fig. 6.13 riporta a titolo di esempio un fascio di isocrone calcolate per diverse eta
nellintervallo 3-24 miliardi di anni. E immediato riconoscere come tali isocrone rendano
11

Fig. 6.13. Linee isocrone per le fasi di combustione di H. Le isocrone sono ordinate da 1 a 19 e
per ogni isocrona e riportatata leta in 1010 anni).

pienamente conto - almeno qualitativamente- di una parte notevole della distribuzione nel
diagramma CM osservate negli ammassi globulari, che deve quindi essere interpetata come
evidenza di stelle in fase di combustione di idrogeno, al centro e in shell. La variazione delle
isocrone con il tempo rappresenta 1o orologio con cui potremo valutare leta degli ammassi
stellari, orologio calibrabile tramite la luminosita del punto di massima temperatura efficace
(punto di Turn Off) segnalato in figura. Si preferice la luminosita perch la temperatura
efficace, altra possibile scelta, e affetta dalle incertezze sul trattamento della convezione
superficiale superadiabatica. Da un punto di vista della modellistica stellare notiamo che al
crescere delleta diminuisce la massa delle giganti e il ramo delle giganti s sposta leggermente
verso le minori temperature, in accordo con la gia dicussa dipendenza della traccia di Hayshi
dalla massa. La presenza nei diagrammi osservativi delle ulteriori fasi di Ramo Orizzontale
(HB) e di Ramo Asintotico(AGB) viene ora automaticamente a configurarsi come evidenza
di fasi successive alla combustione dellidrogeno, dunque alle fasi di combustione dellelio.
Il Ramo delle Giganti segnala linstaurarsi della degenerazione elettronica nei nuclei
di elio nella fase di combustione a shell dellidrogeno e segnala quindi nel contempo, la
presenza sul ramo di stelle di piccola massa e di conseguenza una eta dellammasso di
almeno qualche miliardo di anni. Troviamo cosi conferma allipotesi di lavoro avanzata giusto
allinizio della nostra indagine secondo la quale rosso significa vecchio. Ammassi o, piu
in generale, popolazioni stellari giovani non producono rami d giganti e vi dominano stelle
blu di MS. Allaumentare delleta diminuisce la massa evolvente e, allorche si raggiunge la
massa critica per la degenerazione dei nuclei di elio, appare il ramo delle giganti. Si ha cosi
una rapida transizione a popolazioni dominate da giganti a bassa temperatura, designata in
letteratura come la Red Giani Transition.
Sulla base di una approfondita valutazione dellandamento delle isocrone teoriche,
trasportate nel piano osservativo Colore-Magnitudie, si sviluppano i programmi interpre-
tativi che consistono, in linea generale, nellidentificare lisocrona che rende ragione della
distribuzione osservatva, ricavando cosi indicazioni non solo sulleta ma anche su altri im-
portanti parametri degli ammassi. A titolo di esempio anticipiamo in Fig. 6.14 un esempio
del confronto teoria osservazione dal quale si ricava per lammasso globulare M5 un eta di
12 Gyr e un modulo di distanza (m-M)V 14.6 mag. E duso inoltre identificare nelle
12

Fig. 6.14. Confronto tra le isocrone teoriche e la osservata distribuzione nel diagramma CM delle
stelle nellAmmasso Globulare galattico M5.

isocrone tutta una serie di parametri con chiara corrispondenza osservativa e larga affid-
abilita teorica, quale ad esempio la luminosita del Turn Off, da cui ottenere informazioni
sullo stato evolutivo di un ammasso.
Nella pratica si tende a indagare il maggior numero possibile di relazioni teorico osser-
vative non soltanto per sopperire a possibili indeterminazioni teoriche (quali quelle sulla
temperatura efficace delle Giganti Rosse) ma anche per sincerarsi attraverso la ridondanza
del sistema, della piena adeguatezza del quadro teorico, garantendo la congruita di tutti
gli ingredienti fisci che sono alla base delle valutazioni evolutive. In questo senso le stelle
finiscono col fornirci informazioni non solo sulla loro stessa storia, ma anche sulle leggi fon-
damentali della fisica e sulla conseguente efficienza di meccanismi fisici quali le reazioni
nucleari, le interazioni deboli e cosi di seguito. Di particolare rilevanza e anche luso delle
strutture stellari per porre condizioni alle possibili evoluzioni verso la nuova fsica richiesta
dallevidenza di una massa dei neutrini. Cosi, ad esempio, levidenza osservativa ha con-
sentito di dedurre dalle strutture stellari un limite superiore di IO11 magnetoni di Bohr al
momento magnetico del neutrone, perfezionando i limiti di laboratorio.
Osserviamo infine che, ove sia assegnata una distribuzione di massa iniziale, attraverso
le isocrone e facile ricavare non solo il luogo geometrico della distribuzione delle stelle nel
diagramma HR (e CM) ma anche la distribuzione delle singole stelle lungo tale luogo, costru-
endo quelli che nel seguito indicheremo come Diagrammi HR Sintetici.
13

Approfondimenti

A6.1. Efficienza della convezione superadiabatica. Indeterminazione sui raggi


stellari.
Il corrente trattamento della convezione superadiabatica negli inviluppi stellari richiede di operare
assunzioni sul valore del parametro libero 1 = lunghezza di rimescolamento. Tale parametro e in
genere assunto dellordine di grandezza dellaltezza di scala della pressione HP , definita come la
lunghezza su cui nella stella la pressione si riduce di 1 e-mo

dr
HP =
dlogP

Con analoga definizione e stata usata anche laltezza di scala della densita H che ha il pregio
di non consentire inversioni di pressione ma il contemporaneo difetto di richiedere valutazioni piu
onerose, attraverso opportune iterazioni.
Per HP si ha infatti direttamente

1 dlogP 1 dP GMr
= = =
HP dr P dr P r2

mentre per H , ricordando che P = H
T da cui dlogP = dlog + dlogT , si ha

1 dlog dlogP dlogT


= =
H dr dr dr

che mostra come il valore di H dipenda dal gradiente di temperatura che esso stesso condiziona, da
cui la necessita di procedure iterative. Si noti che risulta H = Hp /(1 ) , da cui risulta H > HP
ma anche 1 che e facilmente riconoscbile come condizione per non avere inversioni di densita.
La lunghezza di rimescolamento regola d fatto lefficienza della convezione: diminuire l significa
ridurre lefficienza del trasporto convettivo (nullo per l=0) e di conseguenza aumentare il gradiente
locale, sino a portarlo sul gradiente radiativo per l=0. La Fig.6.15 riporta i risultati di un esperimento
numerico, mostrando leffetto di diverse assunzioni su l sullandamento di pressione e temperatura
nellinviluppo di una struttura di 1 M supposta a logL=3, logTe=3.57. Minore il valore di l
maggiore il gradiente, e quindi viene raggiunta piu rapidamente la ionizzazione totale e minore e
lestensione della zona convettiva. In ogni caso, tutte le integrazioni convergono verso linterno ad un
comune andamento, a indicazione che il trattamento della convezione superadiabatica non modifica
la struttuta interna di una stella e, quindi, non influenza la luminosita della struttura. Le variazioni
indotte nella zona convettiva diventano infatti rapidamente trascurabili a confronto della variazioni
nelle zone piu interne.
Ne segue la regola generale per la quale lincertezza su l si traduce in una incertezza sui raggi
stellari (sulle temperature efficaci) ma non sulle luminosita. Leffetto sulle strutture stellari puo
essere compreso osservando che se la temperatura centrale e determinata dallefficienza delle reazioni
nucleari allora minore l implica maggior gradiente nelle regioni superadiabatiche e, in definitiva,
minore temperatura efficace alla superfcie (= maggiori raggi stellari). Tale effetto risulta tanto
piu rilevante quanto minore la densita degli inviluppi e, quindi, tanto maggiore la richiesta di
superadiabaticita.
La Fig.6.16 mostra le varie collocazioni nel diagramma HR di una Sequenza Principale calcolata
con diverse lunghezze di rimescolamento. Strutture con logTe 3.9 non risentono del valore della
14

Fig. 6.15. Correlazione tra pressione e temperatura nellinviluppo di una struttura di 1 M


(Y=0.20. Z=4 104 ) posta a log L/L = 3, logTe=3.57 per diverse assunzioni sul valore della
lunghezza di rimescolamento.

Fig. 6.16. Collocazione nel diagramma HR di Sequenze principali (Y=0.10, Z=103 ) per varie
assunzioni sulla lunghezza di rimescolamento.

mxing length per avere inviluppi radiativi o con convezione in questo contesto trascurabile. Al
di sotto di questa temperatura, come previsto, allaumentare della mixing length le strutture si
spostano verso temperature efficaci maggiori. Si noti peraltro come al diminuire della massa, e al
conseguente decrescere della temperatura efficace, linfluenza della mixing length torni a decrescere.
Cio e dovuto al fatto che al decrescere della massa cresce la densita negli inviluppi e stelle di massa
molto piccola tendono conseguentemente a sviluppare strati convettivi sempre piu adiabatici.
Levoluzione verso una Gigante Rossa implica invece unespansione degli inviluppi ed una dras-
tica diminuzione delle densita subatmosferiche, con conseguente richiesta di forte superadiabaticita.
Se ne hanno, in linea di principio, le drammatiche consegueze illustrate in Fig.6.17 nel caso di
una struttura di 1 M . La Figura mostra come la lunghezza di rimescolamento abbia una limitata
influenza anche sulla luminosita del Bump delle Giganti Rosse. Aumentando il valore di l tale
luminosita tende ad aumentare leggermente: se ne trae levidenza che allaumentare di l diminuisce
leggermente la profondita massima raggiunta dalla convezione superficiale.
Allo stato attuale delle nostre conoscenze il valore della lunghezza di rimescolamento deve essere
ricavato tramite opportune calibrazioni su strutture reali. E molto usata la calibrazione su Modelli
Solari Standard che fornisce il valore l 1.9Hp . A priori, nulla garantisce che tale calibrazione possa
essere estesa a strutture con masse, composizioni chimiche e fasi evolutive diverse. E peraltro di
grande interesse rilevare che lo stesso valore di l produce la corretta temperatura efficace per i rami
delle Giganti Rosse negli Ammassi Globulari sopra un esteso intervallo di metallicita, talche la
15

Fig. 6.17. Tracce evolutive di una stella di 1 M per le varie indicate assunzioni sulla lunghezza di
trimescolamento.Le frecce indicano la collocazione del Bump delle Giganti Rosse.

scelta = 1.9 appare al momento la piu corretta. Notiamo infine che usare un SSM come cal-
ibratore implica tenere nel dovuto conto gli effetti della diffusione degli elementi allinterno della
struttura. Pseudo-SSM calcolati senza diffusione forniscono il valore 1.6, talvolta incongrua-
mente utilizzato in taluni calcoli evolutivi.

A6.2. Stelle deficienti o prive di metalli. La Popolazione III


Il quadro generale delle fasi di combustione dellidrogeno tracciato per le varie popolazioni stellari
risulta sensibilmente modificato quando si considerino strutture stellari estremamente povere o ad-
dirittura del tutto prive di metalli. Non e questa peraltro una pura esercitazione numerica: se - come
fondatamente riteniamo - la materia emersa dal Big-Bang era priva di elementi pesanti, la prima
generazione stellare da essa formatasi doveva necessariamente essere composta da stelle di puro
idrogeno-elio. Anche se i processi di arricchimento hanno infine portato la stragrande maggioranza
delle stelle della nostra galassia a possedere metallicita superiori o dellordine di Z = 104 , stelle
prive o poverissime di metalli devono essersi formate, popolando a tuttoggi lalone galattico ove si
sono osservate sia pur rare stelle con metallicita inferiore a quella degli ammassi globulari, sino a Z
107 .
Lo studio di queste strutture deficienti in metalli appare quindi di grande rilevanza quando si
vogliano ricostruire le caratteristiche evolutive delle popolazioni stellari che, con la loro esistenza,
hanno dato inizio allevoluzione chimica della materia galattica. Per comprendere la peculiarita delle
stelle prive di metalli, e utile innanzitutto richiamare le ragioni della larga similarita dellevoluzione
in fase di combustione di idrogeno al variare del contenuto originario di metalli anche di ordini
di grandezza nelle Popolazioni I e II. La presenza dei metalli influisce sulle strutture stellari at-
traverso, essenzialmente, i coefficienti di opacita e di generazione di energia. Al variare dei metalli
le variazioni di opacita possono essere sensibili ma non drammatiche perche anche in assenza di
metalli permangono tutti i meccanismi di opacita collegati in ogni caso allidrogeno ed allelio. Ne
sono drammatiche , in genere, le conseguenze della variata efficienza del ciclo CNO: stante lalta
dipendenza del ciclo dalla temperatura, le strutture reagiscono ad una diminuzione degli elementi
CNO incrementando modestamente le temperature centrali sino a recuperare il soddisfacimento del
fabbisogno energetico.
Questultimo meccanismo e quello che viene a cadere quando si assumano strutture stellari
totalmente prive di metalli. La catena pp resta di fatto lunica possibile sorgente di energia e le
stelle in fase di presequenza dovranno necessariamente continuare a contrarre fino a raggiungere
temperature tali da estrarre da questa catena di reazioni il loro intero fabbisogno energetico. Le
conseguenze, come illustrate in Fig.6.18 possono diventare drammatiche. Al crescere della massa,
laumento delle temperature centrali non e piu calmierato dallintervento del ciclo CNO e la
16

Fig. 6.18. Andamento delle temperature centrali in funzione della massa per stelle di MS prive di
metalli. La lnea continua mostra le temperature ricavate sotto la condizione di pura combustione
pp. La linea a punti indica la modifica causata dalla produzione di carbonio tramite reazioni 3.
La linea a tratti indica le temperature centrali per stelle di normali popolazioni.

Fig. 6.19. Tracce evolutive per stelle di piccola massa e per i due indicati valori di metallicita.

temperatura continua a crescere sino a raggiungere attorno alle 15 M i 108 K, cioe la temperatura
di innesco delle reazioni 3. Allulteriore crescere della massa si manifesta un fenomeno del tutto
nuovo, peraltro qualitativamente prevedibile. A 108 K inizia infatti la combustione 3 che fornisce
carbonio il quale, a sua volta, abilita il ciclo CNO, riducendo il fabbisogno di temperatura. La
produzione di carbonio cessa solamente quando lefficienza del ciclo riporta la temperatura sotto la
soglia delle reazioni 3. La conseguenza finale e che, allulteriore crescere della massa la temperatura
tende a stabilizzarsi attorno ai 108 K mentre aumenta la quantita di carbonio prodotto e messo a
disposizione delle regioni centrali convettive.
E questo il primo manifestarsi di un fenomeno generale che caratterizza levoluzione in fase di
idrogeno delle stelle prive di metalli: ogniqualvolta in fase di combustione di idrogeno levoluzione
tende a portare le temperature oltre la soglia di innesco delle 3 interviene la produzione di carbonio
che stabilizza la temperatura. Fenomeni simili sono attesi anche in strutture in cui il CNO sia
estremamente sottoabbondante. Nel seguito definiremo come strutture di Popolazione III tutte
quelle strutture prive o sottoabbondanti di metalli nella cui evoluzione si manifestano fenomeni di
combustione contemporanea H-He, separandole cos da strutture anche molto povere di metalli
(estrema Pop. II) la cui evoluzione segue le generali prescrizioni ricavate per le stelle di Pop. I e
Pop. II.
17

Fig. 6.20. Effetto di metallicita sullevoluzione fuori sequenza di stelle di piccola massa.

Tab. 3. Andamento di variabili strutturali per una stella di MS di 10 M al variare della metallicita.
MCC e Lpp rappresentano rispettivamente la frazione di massa nel nucleo convettivo e la frazione
di luminosit prodotta dalla combustione pp.

Z logL logTe Mcc Lpp logTc logc


0 3.76 4.61 0.16 1.00 7.82 2.04
108 3.74 4.59 0.36 0.87 7.79 1.92
106 3.73 4.55 0.38 0.16 7.71 1.70
105 3.73 4.51 0.38 0.05 7.66 1.53
4 104 3.72 4.47 0.36 0.01 7.56 1.25

Una notevole caratteristica delle stelle sottoabbondanti in metalli riguarda le dimensioni dei
nuclei convettivi. Al diminuire della metallicita da valori solari a Z = 104 la luminosita delle stelle di
MS tende ad aumentare, con il conseguente e gia ricordato aumento dei nuclei convettivi. Al continuo
diminuire della metallicita deve crescere sempre piu il contributo della catena pp che, al limite Z=
0, e lunica efficiente. Sappiamo peraltro che la combustione pp tende a deprimere le dimensioni dei
nuclei convettivi. La conseguenza che attorno a Z =105 i nuclei convettivi raggiungono un massimo
per poi decrescere con continuita sino a raggiungere un pronunciato minimo per Z = O, (Tabella 3).
Constateremo nei prossimi capitoli come tali variazioni abbiano importanti conseguenze sul destino
finale delle stelle. La Fig. 6.19 mostra gli effetti della sottoabbondanza metallica in stelle di piccola
massa. La scomparsa della fase di overall contraction testimonia la scomparsa dei nuclei convettivi,
cosi che per Z = 108 anche una stella di 2.5 M si comporta come una struttura di MS inferiore.
Linfluenza di Z sulla caratteristiche dellevoluzione fuori sequenza e infine mostrata in Fig.6.20
: si verifica come la diminuzione del contenuto metallico da Z = 104 a Z =108 non influenzi
ormai in maniera sensibile ne la posizione di SP ne la collocazione delle Giganti Rosse. Cio e
da collegarsi alla scarsa influenza che ormai i metalli hanno sulla opacita della materia, influenza
che attorno a Z 105 - 106 diviene del tutto trascurabile. Le diverse modalita di uscita dalla
MS e di evoluzione di subgigante corrispondono invece a necessita della struttura chiaramente
interpretabili. In stelle di piccola massa lo spostamento della struttura verso la sua traccia di Hayashi
corrisponde allinstaurarsi d un efficiente combustione a shell tramite CNO. Minore labbondanza
di questi elementi piu la stella deve aspettare ad eseguire il passaggio evolvendo nei pressi della
sequenza principale. E questa una prima indicazione diretta delleffetto di variazioni di abbondanza
18

Fig. 6.21. Evoluzione strutturale di una stella di 0.7 M , Y= 0.20, Z=103 durante la fase di
innesco dellelio. Nel pannello superiore e riportato lo sviluppo temporale della convezione durante
i vari flash. La linea a punti indica landamento della posizione del massimo di temperatura. Nel
pannello inferiore sono riportati, in luminosit solari, gli andamenti della luminosit totale (L) ed i
contributi a questa delle combustioni d H e di He. Il tempo t e in 106 anni.

degli elementi CNO in stelle della SPI. Si noti infine come la luminosita cui avviene il flash vada
progressivamente decrescendo con Z, in corrispondenza delle crescenti temperature interne.
Nello scenario in precedenza adottato, le tracce evolutive nelle Pig. 6.19 e ?? sono da riguardarsi
come evoluzioni di normale ed estrema popolazione II. Stelle di 0.9 M con Z = 0 sono invece
costrette a produrre carbonio quando ancora al centro residua idrogeno, e percorrono il ramo delle
giganti con una shell di idrogeno parzialmente alimentata dal carbonio prodotto attraverso reazioni
3. Tra i problemi particolari posti dallintegrazine di strutture di Popolazione III citiamo infine
la necessita di riguardare alle alte temperature l3 He come un vero e proprio elemento secondario,
stanti i brevi tempi di equilibrio. Questo elemento non deve quindi essere rimescolato nelle zone
convettive interne. Trascurare questa avvertenza provocherebbe una abbondanza spuria di 3 He al
centro della stella, da cui un flttizio incremento della produzione di energia ed un conseguente
aumento dei nuclei convettivi.

A6.3. Il flash dellelio.


Abbiamo gia indicato come linnesco dellelio in stelle di piccola massa avvenga tramite un processo
reazionato positivamente che porta ad un flash di efficienza delle reazioni di fusione 3a. A causa del
raffreddamento indotto dai neutrini linnesco dellelio avviene in una shell, la cui distanza dal centro
dipende dai parametri di massa e di composizione chimica della stella. Calcoli dettagliati mostrano
come un primo e piu violento flash riesca a rimuovere la degenerazione elettronica negli strati
sovrastanti la shell di innesco. Il processo procede quindi, in maniera sufficientemente complessa,
attraverso una serie successiva di flash secondari, intervallati nel tempo e progressivamente sempre
piu prossimi al centro della stella, sinche la degenerazione e completamente rimossa in tutto il nucleo
di elio ed inizia la fase di combustione quiescente di elio al centro della struttura.
La Fig. 6.21 riporta alcune caratteristiche di tali fasi calcolate per una stella di massa M =
0.7 M , Y=0.20 e Z = 103 . Si noti in particolare come lespansione indotta dal flash principale
(il primo) negli strati esterni del nucleo di elio produca Io spengimento della shell di idrogeno che
19

Fig. 6.22. Percorso nel diagramma HR della struttura di cui alla Fig.6.21 durante la fase di
innesco dellelio. Il cerchietto pieno indica la posizione al flash principale; la stella linizio della fase
quiescente di combustione centrale di elio. II tempo t e in milioni di anni.

recuperera la sua efficienza solo gradualmente, tornando a contribuire sostanzialmente alla struttura
solo in prossimita dellinizio della fase di combustione di elio quiescente. I risultati principali di
tali calcoli, eseguiti sotto le usuali assunzioni di simmetria sferica e convezione interna adiabatica,
possono essere riassunti nei due seguenti punti fondamentali:

1. La convezione nel nucleo resta separata, sia pur di poco (Mr 2103 ) dalla base della shell di
idrogeno. Non si attendono quindi rimescolamenti che si ripercuotano sulla successiva efficienza
di questa shell.
2. Nel corso dei vari flash si giunge a sintetizzare una quantita di carbonio dellordine 12 X 0.05,
omogeneamente distribuito nel nucleo di elio.

La Fig.6.22 riporta il cammino evolutivo della struttura di cui alla Fig.6.21 durante la fase dei
flash e sino ai raggiungimento della combustione quiescente dellelio centrale. Poiche la durata di
questa fase risulta dellordine di 106 anni, a fronte dei 108 anni tipici per levoluzione di gigante
rossa nello stesso intervallo di luminosita, ci si attende di osservare circa una stella in fase di flash
per ogni 100 giganti rosse. Questo rende pienamente conto della lacuna osservabile negli ammassi
globulari tra il ramo delle giganti e la successiva fase di combustione di elio.

A6.4. Massa limite per la combustione dellidrogeno. Nane Brune.


In una struttura stellare di Sequenza Principale al diminuire della massa aumenta la densita neces-
saria per raggiungere le temperature di combustione dellidrogeno. Cio puo essere compreso anche
attraverso semplici valutazioni di ordini di grandezza. Abbiamo infatti gia visto ( A4.3) come dal
Viriale si ricavi per la temperatura media di una struttura

M
T
R
dalla quale, poiche M 7R3 si ricava anche

T 1/3 M 2/3
e quindi per mantenere temperature di combustione al diminuire della massa aumenta la densita.
Aumenta conseguentemente il richio di degenerazione elettronica sino a raggiungere una massa limite
al di sotto della quale le stelle degenerano in presequenza e non giungono ad innescare le reazioni
dellidrogeno. Abbiamo gia indicato come tale massa limite si aggiri attorno a 0. 1 M . Valutazioni
piu accurate richiedono un corrispondentemente accurato trattamento della complessa equazione di
stato, ove le interazioni coulombiane rivestono un ruolo rilevante.
La Fig.6.23 riporta una serie di tracce evolutive di strutture di piccola e piccolissima massa in
fase di contrazione gravitazionale. Nel caso illustrato si trova una massa limite pari a 0.08 M . Si
20

Fig. 6.23. Sequenze di contrazione per strutture di piccola e piccolissima massa.

noti come al diminuire della massa crescano notevolmente i tempi di presequenza delle strutture che
giungono ad innescare lidrogeno, cosi che, al limite, la 0.08 M raggiunge la MS solo dopo alcune
centinaia di milioni di anni. Il completamento della sequenza principale alle minori luminosita
richiede dunque un lungo periodo di tempo, accadimento di cui si deve tener conto nel costruire le
isocrone di ammassi stellari con eta al di sotto di 1 Gyr.
Strutture al di sotto della massa limite non innescano lidrogeno e contraggono sino a raggiungere
il raggio della struttura degenere: la successiva evoluzione consistera nel progressivo raffreddamento
della struttura che andra diminuendo progressivamente luminosita e temperatura efficace seguendo
una sequenza di raggio costante. La Fig.6.23 mostra come tali strutture si dispongano a formare
un prolungamento della MS verso le basse luminosita, mostrando nel contempo come lulteriore
allungamento dei tempi di contrazione porti alla predizione che anche per eta dellordine di 10 Gyr
tale prolungamento debba risultare popolato da oggetti che mantengono luminosita che scalano
regolarmente a partire dallestremo inferiore della MS.
A fronte di tale evidenza, lantica designazione di Nane Nere (Black Dwarf) data in origine a
questi oggetti e stata sostituita da Nane Brune (Brown Dwarf) a significare la prevista sopravvivenza
di non trascurabili capacita radiative. A livello di nomenclatura, aggiungiamo infine che le stelle
che popolano lestremita inferiore della MS ( M 0.4 - 0.3 M ) vengono di norma designate con il
termine di strutture VLM (Very Low Mass ).

A6.5. Isocrone teoriche e funzioni di luminosita per Ammassi Globulari


La collocazione nel diagramma HR delle stelle di un ammasso stellare deve essere considerata come
il luogo, ad un prefissato tempo t0 (isocrona), dei punti rappresentativi di stelle in moto lungo traiet-
torie prefissate le tracce evolutive) determinate, per ogni assunta composizione chimica, dallunico
parametro M = massa delle stelle. Si e qui assunto implicitamente che le fluttuazioni nei tempi
della formazione stellare siano trascurabili rispetto ai tempi evolutivi. Lungo un isocrona e dunque
L = L(M,t] Te=Te(M,t) al variare del parametro M. Con terminologia mutuata dallidrodinamica
diremo in definitiva che le tracce evolutive delle strutture costituiscono le linee di corrente del fluido
stellare, mentre lisocrona rappresenta la linea materiale del fluido allistante t=t0 .
Si e gia indicato come nelle fasi evolutive avanzate aumenti la velocita evolutiva, definibile
attravesro il valore delle derivate (L/t)M e (Te /dt)M che regolano la variazione con il tempo
della posizione di una struttura nel diagramma HR. Si e anche intuitivamente indicato come in tali
21

Fig. 6.24. La relazione massa luminosita lungo isocrone teoriche per eta comprese tra 9 e 321
miliardi di anni.

condizioni sia lecito confondere lisocrona con la traccia evolutiva comune al ridotto intervallo di
tracce evolventi.
Possiamo precisare le motivazioni e i limiti di una tale approssimazione definendo lungo una
generica isocrona la variabile curvilinea S, cosi che S(M,t) risulti univocamente detrminata e im-
plicitamente resolubile rispetto a qualsivoglia delle variabili M,t. Dalla definizione di isocrona si ha
allora:

t t
dt(M, S) = ( )S dM + ( )M dS
M S
da cui si ottiene per la variazione delle masse lungo lisocrona

M M t
()t = ( )S ( )M
S t S
Si verifica cosi innanzitutto che per

S M
( )M ( )t 0
t S
cioe che al crescere della velocita evolutiva (S/t)M tende a zero la variazione di massa lungo
lisocrona.
Losservazione fornisce non solo la collocazione nel diagramma HR della linea isocrona, ma
anche il numero di stelle dN che popolano lintervallo di ascissa curvilinea dS. Il dato osservativo
=dN/dS e correlabile alle proprieta evolutive, risultando

M M t
(S, t0 ) = (M )( )t = (M )( )S ( )M
S t S
avendo indicato con (M) = dN/dM la distribuzione di masse propria dellammasso (IMF =
Initial Mass Function). E facile riconoscere che lespressione precedente rappresenta semplicemente
lespressione euleriana dellequazione di continuita. Per fasi evolutive avanzate, laddove tende a
zero lintervallo di masse popolanti lisocrona, potremo porre (M ) cost e cosi anche per il flusso
temporale lungo lisocrona (M/t)S cost. Se ne ricava che, sotto tali condizioni, il numero di
stelle in una fase evolutiva avanzata risulta proporzionale al tempo speso dalle stelle evolventi lungo
la loro traccia in tale fase.
Come utile applicazione di tale relazione abbiamo in precedenza discusso il caso della funzione di
luminosita del ramo delle Giganti Rosse in un Ammasso Globulare. A titolo orientativo la Fig.6.24
riporta la distribuzione teorica massa-luminosita lungo isocrone di eta compresa tra 9 e 21 Gyr.
Come atteso, la variazione della massa interessa essenzialmente le strutture di MS. Le subgiganti
che si collocano tra il Turn Off e la base del ramo delle giganti hanno variazioni gia piu contenute, e
dalla base delle giganti la massa evolvente diventa sensibilmente costante. Si e a suo tempo indicato
come lungo il ramo delle giganti si possa porre
22

Fig. 6.25. Funzione di luminosita per lAmmasso Globulare NGC6356 confrontata con le predizioni
teoriche per la distribuzione dal Turn Off sino al tip del ramo delle giganti. I dati teorici assmono
[Fe/H]=-0.9, eta 14 Gyr, (m-M)v = 18.05.

dt
log logL dove =
dlogL
e la velocita evolutiva (in luminosita) delle giganti. Mostreremo qui che tale relazione e conseguenza
diretta del fatto che lungo il ramo delle Giganti Rosse, come ogniqualvolta si sia in presenza di stelle
con nucleo degenere, esiste una relazione massa del nucleo-luminosita

L = Mn
che ci indica come in tali strutture sia la massa del nucleo degenere a governare la luminosita di
una stella.
A fianco della precedente relazione potremo infatti considerare lulteriore relazione che collega
la luminosita della struttura alla crescita temporale della massa del nucleo

dMn = Ldt
dove rappresenta la massa di elio sintetizzato nella produzione dellunita di energia. Differenziando
la prima relazione si ottiene
1 1
dMn = L dL

che sostituita nella seconda relazione conduce con facili passaggi a

dt 1 1
= = L
dlogL
da cui la attesa relazione
1
log = cost + logL

La Fig.6.25 mostra come i riscontri sperimentali siano in generale in buon accordo con le previ-
sioni, rivelando anche il bump delle giganti prodotto dallincontro della shell di combustione di H
con la discontinuita prodotta dallaffondamento della convezione superficiale.
23

Origine delle Figure

Fig.6.1 Iben I.Jr. 1964, ApJ 140, 1631


Fig.6.2 Hagen G.L. 1970, An Atlas of Open Clusters CM Diagrams, David Dunlap Obs. pub.4
Fig.6.3 Alcock C., Paczynski B. 1978, ApJ 223, 244
Fig.6.4 Castellani V., Chieffi A., Pulone L., Tornambe A. 1985, ApJ 294, L31
Fig.6.5 Hofmeister E., Kippenhahn R., Weigert A. 1964, Zeitschr. Astrophys. 59,242
Fig.6.6 Castellani V. 1985, Fund. Cosmic Phys. 9, 317
Fig.6.7 Chieffi A. 1984, inediti.
Fig.6.8 Caputo F., Castellani V., DAntona F. 1974, Astrophys. Space Sci,28, 303.
Fig.6.10 Sosin C., Piotto G., Djorgovski S.G. et al 1997,Advances in Stellar Evolution , Cambridge Univ.
Fig.6.11 Castellani V., 1976, A&A 48, 461.
Fig.6.12 VandenBergh D.A. 1980, ApJS 51, 29
Fig.6.13 Bertelli G., Bolton A., Chiosi C., Nasi E. 1979, A&AS 36, 429
Fig.6.14 Cassisi S., Castellani V., DeglInnocenti S., Salaris M., Weiss A. 1999, A&A 134,103
Fig.6.15 Caputo F., Castellani V., DAntona F. 1974, Astrophys. Space Sci,28, 303.
Fig.6.16 Castellani V., Renzini A. 1968 Astrophys. Space Sci. 2, 83
Fig.6.17 Cassisi S., Castellani V. 2004, inedita
Fig.6.18 Castellani V., Paolicchi P. 1975, Astrophys. Space Sci. 35, 185
Fig.6.19 Wagner R.L. 1974, ApJ 191, 173
Fig.6.20 Castellani V. 1985, Fund. Cosmic Phys. 9, 317
Fig.6.21 Mengel J.C., Sweigart A.V. 1981, Astrophysical Parameters for Globular Clusters, IAU Coll. n.68
Fig.6.22 Mengel J.C., Sweigart A.V. 1981, Astrophysical Parameters for Globular Clusters, IAU Coll. n.68
Fig.6.23 DAntona F., Mazzitelli I. 1985, ApJ 296, 502
Fig.6.24 Castellani V., DAntona F. 1971, Mem. SAIt 42, 441
Fig.6.25 Zoccali M., Piotto G. 2000, A&A 358, 943
Capitolo 7

Combustione dellelio e fasi evolutive


avanzate: le piccole masse

7.1. Generalita sulle fasi di combustione dellelio. Piccole masse, masse


intermedie e grandi masse
Lo studio delle fasi avanzate di combustione di idrogeno in una shell ci ha portato a con-
cludere che stelle con massa superiore o dellordine di 0.5 M riescono a raggiungere le
temperature tipiche ( 108 K) per linnesco delle reazioni 3. In tali stelle, allaumentare

Fig. 7.1. Traccia evolutiva di una stella di 3.0 M di Pop. 1, tipica di stelle al limite del
flash dellelio. Lasterisco indica la posizione dellinnesco dellelio. Levoluzione e seguita sino
allesaurimento dellelio al centro ed allinstaurarsi della combustione a doppia, shell. I tempi evo-
lutivi delle varie fasi sono riportati in tabella 1. La luminosita L e in luminosita solari.

Tab. 1. Tempi evolutivi per la traccia in Fig. 7.1 (in 108 anni).

Punto t Punto t Punto t Punto t Punto t


2 1.39 6 2.44 10 2.489 14 2.56 18 3.19
3 2.24 7 2.47 11 2.498 15 2.78 19 3.23
4 2.34 8 2.479 12 2.507 16 2.94 20 3.26
5 2.40 9 2.484 13 2.53 17 3.07

1
2

Fig. 7.2. Evoluzione della struttura interna di una stella di 5 M , Pop. I, dalla sequenza principale
sino allo spengimento della sbell di idrogeno ed al secondo dredge up. il tempo t e in 10 7 anni. Come
in Fig. 6.5 sono indicate le zone di combustione e di convezione.

della massa il nucleo centrale di elio risulta sempre meno governato da fenomeni di degener-
azione elettronica. Le valutazioni evolutive mostrano che stelle con massa maggiore di circa
M 3M giungono ad innescare pacificamente lelio in un nucleo centrale non degenere.
Indipendentemente dalle modalita dellinnesco, le fasi di combustione di elio riproducono
unevoluzione strutturale per molti versi analoga a quella caratterizzante la combustione
centrale ed a shell dellidrogeno. E innanzitutto da notare come, a causa della elevata
dipendenza della reazione 3a dalla temperatura, la combustione centrale di elio induce in
ogni caso la formazione di un nuovo nucleo di convezione. Le strutture che avevano raggiunto
la loro traccia di Hayashi reagiscono alla presenza della nuova sorgente centrale di energia
tendendo a distaccarsi dalla traccia, ritornando verso maggiori temperature effettive, cioe
verso il luogo caratteristico delle combustioni centrali.
Stelle di massa sufficientemente elevata (M 7M ) continuano ad evolvere con un
graduale e contenuto aumento di luminosita. Al decrescere della massa si manifesta sempre
piu evidente una tendenza dei modelli a doppia sorgente di energia (He centrale ed H in
shell) a collocarsi a luminosita inferiori a quelle raggiunte al momento dellinnesco dellelio.
La Fig. 7.1 riporta in maggiori dettagli levoluzione del modello di 3 M di Fig. 6.1 che
mostra chiaramente tale caratteristica. La tabella 1 riporta i tempi evolutivi delle relative
fasi.
La diminuzione di luminosita conseguente allinstaurarsi della doppia sorgente di energia
prosegue e risulta esaltata in stelle di piccola massa che subiscono il flash dellelio. Da oltre
1.000 luminosita solari, tipiche del flash, esse discendono a meno di 100, collocandosi alle
luminosita tipiche della fase di ramo orizzontale negli ammassi globulari ( A7.2). Fase
che avevamo gia interpretato, in base al principio di ragion sufficiente, come quella della
combustione dellelio. Si puo interpretare questo scenario come unevidenza che la presenza
di una relazione massa del nucleo degenere - luminosita spinge la stella verso luminosita
abnormi. Rotta la degenerazione, la struttura si riassesta sulle luminosita naturali per una
struttura non degenere.
Per ogni massa, allesaurimento dellelio centrale segue linnesco della reazione 3 nella
shell ricca di elio contornante un nucleo di carbonio-ossigeno, e la stella tende nuovamente a
ricollocarsi lungo la sua traccia di Hayashi. E in questa fase che si manifesta una ulteriore
biforcazione nella storia evolutiva delle stelle. Abbiamo gia definito come piccole masse
tutte quelle strutture che innescano la 3 in un nucleo di He degenere e, quindi, con un
flash. Tenendo presente che il progredire dellevoluzione tende a favorire linsorgere della
3

Tab. 2. La classificazione evolutiva delle strutture stellari.

Innesco H Innesco He Innesco C


M 0.1M Nane Brune Mancato - -
0.1M M 3M Piccole Masse Quiescente Degenere Mancato
3M M 8M Masse Intermedie Quiescente Quiescente Mancato
8M M 11M Masse Intermedie Quiescente Quiescente Degenere
11M M Grandi Masse Quiescente Quiescente Quiescente

degenerazione elettronica, non sorprende trovare che al termine della combustione di He


tutte le piccole masse sviluppano un nucleo di CO fortemente degenere.
Al di sopra del limite delle piccole masse troviamo un intervallo di masse, orientativam-
nete tra le 3 e le 11 M , caratterizzato da strutture che innescano lidrogeno in maniera
quiescente al centro di un nucleo non degenere, ma che al termine della combustione di He
sviluppano nuclei di CO degeneri. Tali strutture, designate con il termine di masse inter-
medie, in larga parte condivideranno con le piccole masse il destino comune di nana bianca.
Caratteristico di queste masse il secondo dredge up: nella fase di combustione a doppia shell
la convezione esterna affonda e , finisce col raggiungere ed intaccare piu o meno profonda-
mente il nucleo di elio, trasportando in superficie i prodotti delle precedenti combustioni
(Fig. 7.2) .
Masse ancora superiori, le grandi masse, innescheranno invece la combustione del car-
bonio in un nucleo di CO non degenere, giungendo a completare lintera catena di reazioni
sino alla fotodisintegrazione del ferro. Si giunge cos ad una classificazione altamente signi-
ficativa, basata sulle caratteristiche evolutive delle strutture, che si sovrappone e sostituisce
la suddivisione in strutture della MS superiore o inferiore il cui valore resta limitato alle strut-
ture della Sequenza Principale ed alle loro modalita di uscita dalla MS stessa. La Tabella
2 riassume schematicamente tale classificazione, riportando a titolo orientativo lindicazione
di limiti di massa che peraltro dipendono, talora sensibilmente, dalla composizione chimica
originaria.

7.2. Combustione centrale di He: Trascinamento del nucleo convettivo e


semiconvezione indotta
Una volta innescato lelio,sia in maniera quiesente o attraverso un flash, nella fase di combus-
tione quiescente la stella brucia 4 He in C e O in un nucleo convettivo non degenere, interno
ad un piu esteso nucleo di elio. Tale nucleo e infine circondato da un inviluppo ancora ricco
dellidrogeno originale, mentre sul bordo del nucleo di elio e ancora efficiente una shell di
combustione dellidrogeno. Al progredire dellevoluzione He viene trasformato in C + O,
omogeneamente ridistribuiti nella zona convettiva. In combustione di idrogeno il prodotto
di combustione, lelio, aveva opacita minore dellidrogeno, e da cio discendeva la progressiva
diminuzione in massa dei nuclei convettivi. In combustione di elio la situazione e radical-
mente diversa, perche carbonio ed ossigeno hanno opacita maggiore (Fig. 7.3). Questo dara
luogo ad una crescita del nucleo attraverso meccanismi che richiedono di essere discussi con
qualche dettaglio.
Come esemplificato in Fig. 7.4, nel modello iniziale il nucleo di elio e ancora
sostanzialmente omogeneo, ed il gradiente radiativo decresce regolarmente dal centro verso
lesterno, raggiungendo e superando il bordo della convezione, definito dalla condizione di
Schwarzschild rad = ad . Al progressivo incremento delle abbondanze di C e O, au-
menta lopacita e aumenta di conseguenza il gradiente radiativo nel nucleo convettivo ,
mentre nella zona esterna di elio non raggiunto dalla convezione opacita e gradiente restano
4

Fig. 7.3. Opacita di He, C ed O per distribuzioni di densita e temperatura caratteristiche del
nucleo di una stella di piccola massa in fase di combustione centrale di elio.

sostanzialmente inalterati, e la zona resta pertanto formalmente stabile e in equilibrio ra-


diativo. Applicando indiscriminatamente tale criterio, al bordo della convezione si verrebbe
progressivamente a creare una discontinuita del gradiente radiativo, collegata alla disconti-
nuita in composizione chimica, con il gradiente radiativo che al limite della convezione cresce
a valori sempre piu superadiabatici.
E facile verificare come tale situazione, pur verificando formalmente il criterio di
Schwarzschild, sia sostanzialmente da rigettare da un punto di vista fisico. Basta infatti
ricordare come debba esistere un sia pur contenuto overshooting della zona convettiva per
comprendere come tale overshooting, portando C + O allesterno, tenda ad estendere irre-
versibilmente il confine della convezione, operando istante per istante a partire dal nuovo
confine. Il confronto tra i tempi della convezione (tempi scala meccanici) ed i tempi evolutivi
(tempi scala nucleari) mostra che se anche lestensione dellovershooting e - come abbiamo
assunto - tracurabile, la propagazione di tale meccanismo di autotrascinamento del nucleo
convettivo deve risultare pienamente efficiente.
Se, a titolo di esempio, assumiamo tempi scala della convezione dellordine del mese,
risulta che in un passo temporale di 1 milione di anni lovershooting riesce in linea di principio
a propagarsi per 107 volte la sua estensione. Lunica situazione stabile e accettabile e quindi
quella nella quale il nucleo si a esteso sino a verificare il criterio di eguaglianza rad =
ad sulla faccia interna della superficie di separazione tra convezione e stabilita radiativa,
condizione nella quale viene a cessare il meccanismo di autotrascinamento. (Fig.7.5).
La situazione diviene piu complessa allorquando, al progredire delle dimensioni del nu-
cleo, si giunge ad una fase nella quale il gradiente radiativo corrispondente alla miscela
ricca di C + O, al crescere delle dimensioni del nucleo presenta un minimo oltre il quale
tende a ricrescere e le prescrizioni in precedenza adottate per definire le dimensioni del
nucleo convettivo non sono piu utilizzabili. Si puo comprendere lo sviluppo di una tale situ-
azione partendo dallultimo modello accettabile, nel quale il limite del nucleo convettivo -
secondo le precedenti prescrizioni - e giusto al minimo del gradiente e supponendo di evol-
vere temporalmente la situazione lasciando innalzare C + O nel nucleo e quindi creando un
sovragradiente ai bordi del nucleo medesimo (Fig. 7.6 : a). Una tale situazione, instabile,
dovr evolvere dinamicamente secondo le seguenti fasi

1. lovershooting ai bordi del nucleo estendera la convezione, trasportando contemporanea-


mente elio dallesterno e abbassando cosi il gradiente in tutto il nucleo (Fig. 7.6: b).
2. Al progredire di questo rimescolamento il gradiente finira col verificare la condizione adi-
abatica non al bordo del nucleo convettivo ma in corrispondenza del minimo di gradiente
(b). La convezione al minimo non e piu efficiente e la zona convettiva interna ed esterna
al minimo si disaccoppiano.
5

Fig. 7.4. La crescente discontinuit del gradiente radiativo ai limiti del nucleo convettivo quando
si trascuri linstabilita indotta dallovershooting. Le varie curve sono contrassegnate dal valore Y
del contenuto di elio nel nucleo convettivo di una stella in fase di combustione centrale di elio. Y1
rappresenta la situazione del modello iniziale.

Fig. 7.5. Andamento schematico dei gradienti al limite del nucleo convettivo:(a) nel caso di una
crescente discontinuita e (b) nella situazione stabile .

3. Lovershooting resta efficiente a causa della sovradiabaticita al bordo esterno, ma e in


grado di trasferire elio solo nella zona esterna al minimo, e di trasferirlo per ogni zona
sinche lelio non ha abbassato il gradiente radiativo sull adiabatico inibendo la convezione
(Fig. 7.6: c).

Il processo termina quando, continuando ad inibire la convezione alle sue spalle, il bordo
della convezione inibisce se stesso, e si raggiunge una situazione stabile che puo essere cosi
descritta: un nucleo convettivo estendentesi sino al minimo del gradiente, e regolato dalla
condizione che al minimo stesso si raggiunga la condizione di adiabaticita, circondato da
una zona a gradiente chimico nella quale il rapporto He/(C+O) e punto per punto tale
da garantire la neutralita convettiva (rad = ad ) della zona (zona semiconvettiva). Al
progredire dellevoluzione leffetto combinato della convezione e dei rimescolamenti tende
in continuazione a ristabilizzare la struttura sulla situazione precedentemente descritta, che
6

Fig. 7.6. Schema esplicativo dello sviluppo del processo di semiconvezione.

Fig. 7.7. Distribuzione dellabbondanza di elio per varie fasi al progredire della combustione
dellelio. La freccia indica gli effetti del trascinamento. La linea a tratti mostra la tipica distribuzione
dellelio in fase di avanzata combustione in assenza di overshooting.

e la prescrizione utilizzata in molti calcoli evolutivi. La. Fig. 7.7 mostra levoluzione della
distribuzione interna di He nei due casi.
La zona a gradiente chimico che contorna il nucleo convettivo e stata definita semi-
convettiva perche ancora una volta siamo in presenza di una convezione che tende ad
autoinibirsi, non giungendo al completo rimescolamento degli strati inizialmente instabili.
Si noti peraltro che il meccanismo che genera la semiconvezione in combustione di elio
risulta sostanzialmente diverso da quello che produce la semiconvezione che abbiamo in-
contrato al termine della combustione centrale di idrogeno nelle grandi masse. In quel caso
linstabilita convettiva originava spontaneamente nella struttura, nel caso dei nuclei di elio
e invece prodotta dal meccanismo di avanzamento dellovershooting. Per tale ragione pare
opportuno designare questo secondo caso con il termine di semiconvezione indotta.
7

Fig. 7.8. Traccia evolutiva, di una stella di 0.6 M con composizione chimica dellinviluppo
Y=0.27, Z=103 durante la fase di combustione centrale dellelio. Il cerchietto indica il primo
modello di combustione quiescente a dppia sorgente di energia che segue al flash dellelio. Per
comparazione e riportata anche la traccia evolutiva dello stesso modello calcolata in assenza di
overshooting e semiconvezione. E assunta una massa iniziale del nucleo di He M = 0.468M . La
traccia senza oversbooting e spinta oltre lesaurimento dellelio centrale che avviene attorno a logTe
3.7, logL 1.9.

La prevedibile conseguenza dellefficienza di autotrascinamento e semiconvezione e il


prolungamento temporale della fase di combustione di elio centrale: ambedue i meccanismi
contribuiscono infatti a portare nuovo elio nelle regioni di efficienza della 3, prolungandone
conseguentemente lefficienza. Viene conseguentemente prolungata anche la traccia evolutiva,
come esemplificativamente mostrato in Fig. 7.8 nel caso di una stella di piccola massa. La
figura mostra come leffetto dellovershooting e della semiconvezione sia essenzialmente quello
di estendere lintervallo di temperature efficaci coperto durante levoluzione. In ogni caso la
struttura evolve mantenendosi in un ristretto intervallo di luminosita, in qualitativo accordo
con levidenza piu volte menzionata delle fasi di ramo orizzontale nei vecchi ammassi di
Popolazione II.
Durante la combustione centrale di elio la direzione di evoluzione risulta regolata da
leggi che sono in qualche maniera speculari rispetto a quelle che reggono la collocazione del
modello nel diagramma HR. Levoluzione strutturale e infatti caratterizzata da un continuo e
regolare spostamento della produzione di energia dalla shell di combustione dellidrogeno alla
combustione centrale dellelio. Sinche la shell di idrogeno predomina, la stella evolve verso
maggiori temperature efficaci. Quando infine la combustione centrale prende il controllo della
produzione di energia il cammino evolutivo si inverte e la stella tende ad evolvere in direzione
della zona delle giganti. Pur se nella intera fase di combustione di elio centrale le temperature
centrali risultano in continuo aumento, la prima fase di combustione e caratterizzata da
una espansione del nucleo e da un conseguente regolare decremento dei valori delle densita
centrali, andamento che nelle piu avanzate fasi di combustione si inverte per tornare al
regolare aumento di ambedue temperatura e densita centrali.

7.3. Stelle di piccola massa: perdita di massa, ZAHB ed evoluzione di ramo


orizzontale
Nel seguito rivolgeremo inizialmente lattenzione al problema dellevoluzione in fase di com-
bustione di elio per stelle di piccola massa. Tale scelta e suggerita da due ordini di argomenti:
il primo e principale e che esaurienti evidenze osservative per stelle in fase di combustione
di elio nella nostra Galassia sono di fatto reperibili solo in sistemi antichi come gli ammassi
globulari. Cio discende non tanto da caratteristiche evolutive quanto dalle proprieta degli
ammassi stellari delle diverse popolazioni galattiche. Tenendo presente che la fase di com-
bustione di elio ha tempi caratteristici di circa due ordini di grandezza inferiori a quelli
della fase di combustione dellidrogeno, e tenendo presente che in un ammasso oltre alle
8

Fig. 7.9. Tracce evolutive nel diagramma HR di struttre in fase di combustione di elio per due
diverse assunzioni sulla massa del nucleo di He Mc e al variare della massa totaale. Le linee a punti
mostrano, per ogni Mc , la collocazione dei modelli iniziali

stelle evolventi fuori sequenza esistono molte altre stelle ancora in fase di combustione di
idrogeno, si puo orientativamente stimare, anche se molto rozzamente, di poter osservare in
fase di combustione di He circa una stella su 103 .
Essendo gli ammassi di disco caratterizzati al piu da qualche migliaio di stelle, ci si aspetta
di trovare in fase di elio pochissime stelle, dalle quali e difficile ottenere relazioni statisti-
camente rilevanti. Ben diverso e il caso di un ammasso globulare, nel quale labbondante
popolazione stellare consente di rivelare centinaia di stelle in tale fase evolutiva, fornendo
un campione rilevante sul quale operare confronti con le teorie evolutive. A questo fatto si
deve aggiungere che la possibilita di ottenere informazioni sui parametri evolutivi di stelle
che appartengono alla lontana storia dellalone galattico e certamente un eccitante obiettivo
nel contesto delle ricerche sulla storia del nostro Universo.
Abbiamo gia indicato come il cammino evolutivo di una stella di piccola massa in fase
di doppia combustione (He centrale + shell di idrogeno) si collochi confortabilmente nella
zona del diagramma HR nel quale si osserva la cosiddetta fase di Ramo Orizzontale.
Molto meno confortabilmente non si tardo a riconoscere che alcuni ammassi globulari della
Galassia presentano rami orizzontali con unestensione in temperatura molto maggiore di
quella ottenibile in base alle tracce evolutive susseguenti al flash. Tracce che - per una
gia citata regola - devono coincidere con lisocrona. Lo scenario teorico richiede quindi un
qualche perfezionamento e modifica. Le modalita di una tale modifica vengono suggerite
dallevidenza osservativa (righe di emissione) che mostra come nelle Giganti Rosse luminose
siano efficienti meccanismi di perdita di massa. Possiamo quindi sospettare che un ulteriore
parametro, la perdita di massa, regoli la distribuzione delle stelle lungo il Ramo Orizzontale.
Un approccio topologico alle proprieta dei modelli di ramo orizzontale puo chiarire la
situazione, confortando lintervento della perdita di massa. Osserviamo che, per ogni pre-
fissata composizione chimica, un modello nella sua fase iniziale d combustione di elio al
centro resta identificato da due parametri Mc = Massa del nucleo di He, M = massa to-
tale della stella, M-Mc rappresentando ovviamente la massa dellinviluppo ricco di idrogeno.
Integrando una serie di modelli utilizzando Mc e M come parametri liberi si ottiene che la
topologia dei modelli e regolata da una semplice relazione, secondo la quale (Fig. 7.9) per
ogni prefissata composizione chimica dellinviluppo e per ogni prefissata massa del nucleo di
elio, al variare della massa, le stelle si dispongono lungo una sequenza sensibilmente orizzon-
tale; minore e la massa totale maggiore e la temperatura efficace della stella. Le origini di
una tale comportamento sono facilmente comprensibili: minore la massa totale, minore (a
parita di Mc ) e la massa dellinviluppo, e quindi piu esterna, piu fredda e meno efficiente e
9

Fig. 7.10. ZAHB teoriche valutate per diverse assunzioni sullabbondanza iniziale di elio, as-
sumendo Z= 104 ed uneta di 10 Gyr. Lungo le sequenze sono riportati le masse totali dei vari
modelli,in masse solari e le masse evolutive dei nuclei di elio.

la shell di idrogeno, e piu la stella deve allontanarsi dalla traccia di Hayashi per avvicinarsi
alla sua posizione sulla sequenza principale di elio.
Dai dati in Fig. 7.9, che coprono gli attesi valori evulutivi dei nuclei di He al flash, si
ricava non solo la capacita della perdita di massa di distribuire le strutture lungo un Ramo
Orizzontale, ma anche che le masse richieste per coprire bracci estesi risultano sensibilmente
inferiori alle masse originarie di 0.8, 0.9 M attese per Giganti Rosse con eta dellordine
di 10 Gyr. E oggi universalmente riconosciuto che una dispersione nei valori di perdita di
massa e allorigine della osservata distribuzione delle stelle di Ramo Orizzontale, cosi che le
sequenze di Fig.7.9 vengono a rappresentare il luogo del diagramma HR ove ci si attende che
possano andare a collocarsi le stelle allinizio della combustione quiescente di elio centrale al
variare della perdita di massa, e prendono il nome di Rami Orizzontali di Eta Zero (ZAHB
= Zero Age Horizontal Branch).
Si noti come la perdita di pochi decimi di massa solare, quali necessari per popolare il
Ramo Orizzontale, hanno effetti trascurabili sulle caratteristiche delle Giganti Rosse, stante
la ridotta dipendenza della traccia di Hayashi dalla massa stellare. I tempi evolutivi di
Gigante Rossa diventano inoltre minori dei tempi scala termodinamicidel nucleo interno di
elio, cosi che la perdita di massa e le conseguenti modifiche dellinviluppo stellare finiscono
col non influenzare la struttura interna. In conclusione, la postulata perdita di massa in
fase di Gigante Rossa ha possibilita di manifestarsi nel diagramma HR solo allavvento della
successiva fase di combustione centrale di elio.
Al di la di esperimenti numerici quali quelli di Fig.7.9, il calcolo di strutture di HB
richiederebbe in linea di principio che per ogni assunta composizione chimica originaria
venga seguita levoluzione delle stelle introducendo opportune valutazioni della perdita di
massa lungo il Ramo delle Giganti, seguendo la struttura attraverso il flash dellHe sino
alla suuccessiva fase di combustione quiescente. A causa dellonerosita dei relativi calcoli
numerici, per ricavare il modello di ZAHB e largamente utilizzata una procedura alternativa
estremamente semplificata.
Tale procedura consiste nel determinare, attraverso acconci calcoli evolutivi, per ogni
assunta composizione chimica ed eta la massa delle giganti al flash e la relativa massa del
nucleo di elio. Saltando la fase del flash, i relativi modelli di ZAHB vengono direttamente
costruiti come strutture di equilibrio sorrette nuclearmente, costituite da un nucleo di elio
della massa evolutivamente prefissata e con la massa dellinviluppo come parametro libero,
con la ovvia condizione che la somma delle masse del nucleo e dellinviluppo sia minore o
al piu eguale alla massa originale della struttura. Si tiene conto della nucleosintesi del flash
assumendo che il 5% dellelio del nucleo si sia trasformato in C, mentre si dovra anche tener
10

Tab. 3. Parametri evolutivi per un modello di 0.65 M , Z=0.001, Yorig =0.23,Yinv =0.243,
Mc =0.4942 in fase di combustione di He. Sono riportati, nellordine, leta del modello (in mil-
ioni di anni dal primo modello), labbondanza centrale di He, luminosita, temperatura efficace,
temperatura e densita centrali, la frazione di luminosita prodotta dal CNO o dalla 3, la massa del
nucleo di He e di quello di CO in masse solari.

Fase t Yc logL logTe logTc logc LCN O LHe MHe MCO

Equilibrio 0.193 0.95 1.620 3.851 8.073 4.271 0.560 0.466 0.494 -

ZAHB 1.000 0.93 1.652 3.813 8.072 4.278 0.519 0.425 0.494 -
He centrale 3.453 0.90 1.661 3.802 8.074 4.276 0.518 0.430 0.494 -
11.567 0.80 1.670 3.801 8.079 4.267 0.503 0.465 0.495 -
22.386 0.70 1.664 3.830 8.086 4.246 0.451 0.511 0.499 -
34.495 0.60 1.648 3.869 8.093 4.225 0.370 0.593 0.503 -
46.640 0.50 1.638 3.892 8.101 4.210 0.290 0.675 0.505 -
58.602 0.40 1.636 3.900 8.111 4.202 0.219 0.751 0.507 -
70.348 0.30 1.644 3.894 8.123 4.202 0.163 0.813 0.509 -
81.606 0.20 1.663 3.877 8.138 4.215 0.128 0.852 0.510 -
95.544 0.10 1.708 3.830 8.163 4.258 0.106 0.879 0.511 -
100.997 0.05 1.742 3.796 8.185 4.316 0.137 0.845 0.512 -
105.083 0.01 1.800 3.751 8.214 4.409 0.238 0.735 0.512 -
107.055 0.00 1.900 3.719 8.251 4.544 0.431 0.498 0.513 -
107.384 0.00 1.990 3.702 8.268 4.694 0.595 0.040 0.513 -
107.399 0.00 1.999 3.701 8.267 4.713 0.601 0.037 0.513 -
He shell 107.647 - 2.188 3.682 8.278 4.948 0.707 0.116 0.513 0.204
107.767 - 2.233 3.678 8.274 5.006 0.712 0.284 0.513 0.224
109.018 - 2.118 3.689 8.192 5.170 0.357 0.636 0.513 0.257
111.351 - 2.166 3.684 8.163 5.311 0.225 0.766 0.517 0.294
114.378 - 2.296 3.673 8.147 5.841 0.036 0.963 0.518 0.349
116.915 - 2.498 3.658 8.130 5.657 0.013 0.975 0.518 0.394
118.605 - 2.705 3.644 8.105 5.856 0.074 0.899 0.519 0.446
119.085 - 2.800 3.638 8.088 5.931 0.276 0.693 0.520 0.462
119.685 - 3.004 3.624 8.055 6.036 0.651 0.328 0.524 0.483
119.685 - 3.004 3.624 8.055 6.036 0.651 0.328 0.524 0.483
1o maxL 119.907 - 3.104 3.618 8.040 6.074 0.774 0.217 0.526 0.488

conto della variazione di composizione chimica dellinviluppo causata dal primo dredge up.
Per ottenere il corretto modello di ZAHB si lascia infine rilassare la struttura per 106 anni
per raggiungere lequilibrio degli elementi CNO nella shell di combustione di idrogeno, ora
notevolmente piu estesa che nelle precedente struttura di RG.
La Fig. 7.10 mostra una serie di ZAHB teoriche evolutive calcolate assumendo una metal-
licita Z=104 per diversi valori dellelio originario Y. I dati in figura si prestano ad una serie
di interessanti considerazioni. Si riscontra innanzitutto che la massa del nucleo di elio al
flash diminuisce allaumentare del contenuto originario di elio. Cio e in buon accordo con
la regola generale che vuole allaumentare di Y (del peso molecolare) strutture piu calde
(e piu luminose) che sfuggono quindi prima al controllo della degenerazione. Dalla Fig. 7.9
si ricava che per ogni fissata temperatura efficace la luminosita di una struttura di HB
cresce allaumentare della massa del nucleo di elio, in accordo con le attese di una gener-
ica relazione massa-luminosita. La Fig.7.10 mostra peraltro che allaumentare dellelio, per
11

Fig. 7.11. Contributi parziali allaluminosita totale dueante le fase di esaurimento dellHe centrale
e il passagio alla combustione di He in shell. Tempi in milioni di anni dal flash.

temperature efficaci minori o dellordine di 104 K le ZAHB hanno luminosita che aumentano
allaumentare dellelio anche se la massa del nucleo di elio diminuisce.
Cio indica che la luminosita della stella e dominata dalla combustione a shell
dellidrogeno, tanto piu efficiente quanto piu ricca di elio e calda risulta la struttura:
allaumentare del contenuto di elio la produzione di energia della shell compensa e supera
la perdita di energia della combustione di elio nel nucleo, innalzando in totale la produzione
di energia. Al diminuire della massa dellinviluppo diminuisce lefficienza della shell e tale
gerarchia di contributi deve necessariamente scomparire. Al limite di stelle prive di inviluppo
e sorrette quindi dalla sola combustione dellelio centrale, la luminosita deve risultare pro-
porzionale alla massa della stella di elio. Questo spiega lincrociarsi delle ZAHB attorno a
logTe 4.2 - 4.3: al di sopra di quelle temperature efficaci e ormai il nucleo che domina,
imponendo la sua relazione massa luminosita.
Le tipiche tracce evolutive di piccole masse in combustione di elio sono gia riportate nelle
precedenti figure 7.8 e 7.9. La Tabella 3 riporta a titolo di esempio levoluzione in fase di
combustione di elio dei piu rilevanti parametri di struttura per una tipica stella di Ramo
Orizontale in ammassi globulari di metallicita intermedia, quali M3 o M5. Limitandosi per
il momento ad esaminare solo la fase di combustione centrale di He e facile verificare nei
dati in Tabella tutta una serie di gia discusse caratteristiche evolutive, quali ad esempio, la
bilanciata evoluzione dei contributi relativi delle combustioni di H ed He ed il corrispondente
andamento della traccia evolutiva nel diagramma HR.

7.4. Stelle di piccola massa: esaurimento dellelio centrale.Ramo asintotico


La fase di esaurimento dellelio centrale e complicata dallapparizione di una instabilita che e
stata oggetto di molte indagini volte in particolare a decidere se si trattasse di fenomeno reale
o di mera instabilita numerica di calcolo. Da un punto di vista generale lorigine fisica di tale
instabilita e rapidamente comprensibile, quando si tenga presente che nel meccanismo della
semiconvezione, come descritto in precedenza, lestendersi della semiconvezione ed il con-
seguente richiamo di elio fresco verso le zone convettive centrali contribuiva a stabilizzare
la zona grazie alla diminuzione di opacita. In tale descrizione si e implicitamente assunto
che il contemporaneo effetto sullefficienza delle reazioni nucleari fosse piccolo rispetto al
meccanismo di opacita.
Cio non puo piu essere vero nella fase di esaurimento dellHe, quando labbondanza di
elio centrale si e ridotta al punto che anche un modesto ingresso di elio si traduce in una
sensibile variazione percentuale nellabbondanza di tale elemento. Ne segue un aumento di
luminosita e, conseguentemente, del gradiente radiativo che finisce col produrre una serie di
violenti pulsi di convezione noti in letteratura con il termine di breathing pulses. Al riguardo
12

Fig. 7.12. Tracce evolutive per stelle di varia massa durante le fase di combustione centrale di He
e nella successiva evoluzione a doppia shell lungo il Ramo Asintotico .

Fig. 7.13. Andamento temporale della luminosita per i modelli di Fig. 7.12 .

si e andato diffondendo lorientamento generale di riguardare tale fenomeno come spurio,


eliminandolo con varie tecniche dalla modellistica. Pur se il problema attende un definitivo
chiarimento, noi nel seguito seguiremo tale orientamento, rimandando agli approfondimenti
per una piu dettagliata descrizione del fenomeno.
Cio premesso, lesame dei dati in tabella 3 mostra con sufficiente chiarezza i meccan-
ismi del passaggio dalla combustione centrale di He alla combustione a shell dello stesso
elemento, descritto con maggiori dettagli nella Fig. 7.11. Allesaurimento dellelio centrale
viene inizialmente a mancare il contributo delle reazioni 3 e lenergia viene supplita in
parte dalla conseguente contrazione ed in parte dalla shell di idrogeno che viene spinta
ad aumentare la sua efficienza. Allinnesco della combustione di He nella shell circondante
il nucleo di CO svanisce il contributo gravitazionale e ne segue la stabilizzazione in due
combustioni a shell quiescenti.
La Fig. 7.12 riporta le tracce evolutive di una serie di modelli di varia massa, seguiti
dallinizio della combustione centrale di elio sino alle fasi avanzate di combustione a shell
che precedono la fase di pulsi termici (vedi oltre). La freccia in figura mostra il minimo rel-
ativo in luminosita che segnala linnesco della shell di He. Le caratteristiche dellevoluzione
sono ulteriormente chiarite nella Fig. 7.13 che riporta landamento temporale della lumi-
nosita dei vari modelli. La stella spende la sua fase di combustione centrale nei pressi della
sua luminosita di ZAHB e solo al termine di tale fase si sposta rapidamente verso la sua
traccia di Hayashi innalzando contemporaneamente la luminosita. Linnesco della shell di
He e segnalato da un minimo relativo nella luminosita, dopo il quale la stella imizia la sua
ascesa lungo il Ramo Asintotico,aumentando progressivamente la sua luminosita mentre
13

si sviluppa un nucleo degenere di Carbonio ed Ossigeno che tende sempre piu a raffreddarsi
a causa della crescente efficienza della produzione di neutrini.
Nella fase di Ramo Asintotico (AGB) si riproduce quindi la situazione gia discussa per
le Giganti Rosse: levoluzione naturale prevista dal viriale e per cosi dire bloccata, e le
strutture sono costrette a permanere nella fase di combustione a shell, aumentando ora con
continuita la massa del nucleo di CO. Nel caso di giganti rosse di massa maggiore di
0.5 M interveniva il flash dellelio a risolvere la situazione. Ora invece il nucleo di CO e
fortemente e definitivamente degenere e la combustione a shell dovra proseguire accrescendo
lentamente la massa del nucleo stesso.
La Fig. 7.11 mostra come levoluzione lungo lAGB sia caratterizzata da un progressivo
prevalere della combustione dellelio (come gia e avvenuto nelle fasi di combustione centrale
di elio); la shell di H finisce con lo spengersi e la shell di He resta lunica sorgente d energa
efficiente nella struttura. Poiche una shell efficiente rappresenta un limite invalicaabile per la
convezione, lo spengimento della shell di H consentirebbe in linea di principio alla convezione
superficiale di affondare nel nucleo di He. Le stelle di piccola massa mancano peraltro
il secondo dredge up che abbiamo descritto nella discussione generale allinizio di questo
capitolo. Pur a shell di idrogeno spenta, la convezione superficiale non giunge mai a superare
la discontinuita He-H, talche il nucleo di elio che caratterizza le strutture di ramo asintotico
e e resta quello ai momento dello spengimento della shell di H o, in pratica, quello ereditato
dalla fase di combustione di elio centrale.
Notiamo infine che, a somiglianza di quanto gia osservato nel caso di combustione a shell
di idrogeno, appare esistere una relazione tra la luminosita della struttura e la massa del
nucleo degenere:

L 104 (MCO 0.5)


con la luminosita L e la massa del nucleo degenere MCO misurate in unita solari.

7.5. I Pulsi termici e il terzo dredge up


Una struttura di Ramo Asintotico e composta da un nucleo di CO degenere, contornato da
strati di He a loro volta circondati dallinviluppo ancora ricco di idrogeno. Poco dopo la
sua accensione, la shell di combustione di He prende il sopravvento e la piu esterna shell di
combustione dellidrogeno si spenge. Da questo momento levoluzione strutturale consistera
in un progressivo aumento della massa del nucleo degenere di CO, mentre la situazione al
passaggio He-H resta congelata causa lassenza di reazioni nucleari di fusione dellidrogeno.
Come gia nel caso delle Giganti Rosse il nucleo degenere cresce in massa ma diminuisce in
raggio. Ragionando peraltro in termini della variabile Mr potremo dire che il nucleo si sposta
a valori sempre maggiori di tale parametro, a spese dei circostanti strati di elio che vengono
progressivamente trasformati in CO e inglobati nel nucleo.
In tale progressivo aumento, il nucleo degenere finisce necessariamente col trovarsi sempre
piu prossimo al inviluppo ricco di idrogeno. Quando la distanza (in massa) si riduce a pochi
centesimi di massa solare inizia a riaccendersi la shell di idrogeno, riaccensione segnalata da
un massimo relativo nellandamento della luminosita col tempo. Segue nel tempo una sorta
di instabilita nota come pulsi termici da cui, tra laltro, ci si puo attendere il trasporto in
superficie di prodotti di combustione dellelio. Con lapparizione dei pulsi termici ha fine la
fase indicata in letteratura come evoluzione di early AGB.
Per comprendere il meccanismo di tale instabilita occorre partire dallevidenza che in-
evitabilmente la shell di combustione 3, che implica una temperatura dellordine di 108 K,
si avvicina progressivamente al limite del nucleo di elio ove la shell di idrogeno e inefficiente,
il che a sua volta implica temperature molto minori. Poiche allinterno della struttura non
14

Fig. 7.14. Diagramma schematico illustrante il meccanismo di innesco dei pulsi termici. I simboli
pieni rappresentano combustioni a shell attive, quelli aperti shell spente. Alla penultima riga e
indicata laccensione a flash della shell di elio.

possono sussistere gradienti di temperatura infiniti, ne segue che allavvicinarsi delle due
shell le rispettive temperature devono avvicinarsi. Cio che avviene e che la shell di elio
progressivamente si raffredda perdendo efficienza fino a spengers. La struttura inizia nel
frattempo una fase di contrazione che ha leffetto di riaccendere la shell di idrogeno e la
stella esperimenta una fase quiescente di idrogeno in shell.
In Fig. 7.14 e riportato un diagramma schematico illustrante la catena di avvenimenti
che ne seguono e che conducono alla instabilita di pulso termico. La riaccensione della
shell di idrogeno mette infatti in opera un meccanismo che tende ad accumulare nuovo elio
sopra la vecchia shell 3, rimuovendo le cause della sua inefficienza. In effetti il progressivo
avanzamento della shell di idrogeno ricostruisce progressivamente un intercapedine di
elio tra le due shell, finendo con lindurre uninnalzamento di temperatura sulla shell 3
che si riaccende improvvisamente con un flash. Dopo tale fase parossistica, si instaura una
combustione quiescente di elio mentre la shell di idrogeno si e nuovamente spenta.
Si comprende facilmente come un tale processo si ripresenti iterativamente:
lavanzamento della shell 3 finisce col trasformare in CO lintercapedine di He e la shell 3
si dovra nuovamente spengere provocando la riaccensione della shell d idrogeno e la riedi-
zione del pulso termico. Un tale processo e comune a tutte le stelle con combustione di
elio in una shell circondante un nucleo degenere. Il numero di pulsi e la durata di un singolo
pulso dipendono invece dalla massa della struttura: allaumentare della massa si passa da
pochi pulsi con durata sino a milioni di anni a migliaia di pulsi con durate dellordine di 103
-104 anni.
Lintera fase di combustione a shell di elio puo quindi essere cos riassunta:

1. Allesaurimento dellelio centrale si instaura la combustione a shell di elio e si spenge la


shell di idrogeno. Gli strati di elio vengono progressivamente trasformati in CO. Questa
fase (early AGB) termina quando praticamente tutto lelio e andato in CO e la stella e
composta da un relativamente microscopico (in raggio) nucleo di CO degenere al centro
di un esteso inviluppo idrogenoide.
2. Linsorgere dei pulsi termici ha leffetto di trasformare iterativamente gli strati di
idrogeno che circondano il nucleo prima in He e poi in CO: un processo in due passi
che ha leffetto globale di trasformare H in CO e attraverso il quale il nucleo degenere
continuera a crescere in massa sino, potenzialmente, ad invadere lintera struttura.

La teoria pone peraltro un limite superiore alla massa del nucleo degenere (limite di
Chandrasekhar), pari a circa 1.4 M . (vedi oltre). Ove si raggiunga tale limite la pressione
15

Fig. 7.15. Traccia evolutiva nel diagramma HR delle fasi di combustione di elio per un modello
di 0.6 M e composizione chimica iniziale Y=0.25, Z=103 . I cerchietti pieni indicano linizio di
un pulso e lescursione durante il pulso e mostrata per i pulsi 7, 9 e 10. Lungo la traccia in us-
cita dallAGB sono riportati i tempi evolutivi (in anni, t=0 per Te = 30.000 K) e la massa residua
nellinviuppo ricco di idrogeno. E riportata la linea di raggio costante (R, in unita solari) cor-
ripondente alla massa della struttura. FBE (= Fundamental Blue Edge) rappresenta il limite ad
alte temperature della zona di instabilita (striscia punteggiata) ove ci si attende che le strutture
manifestion fenomeni di variabilita che verranno trattati nei successivi capitoli.

degli elettroni degeneri non puo piu sostenere la struttura che collassando innesca la fusione
del C in ambiente fortemente degenere. I calcoli mostrano che al termine di questa esplosione
e stata depositata nella materia della stella unenergia di gran lunga superiore allenergia di
legame della struttura. Ci si attende che la struttura venga dispersa e incinerita: lenergia
iniettata infatti nelle particelle porta a rapidissime fusioni spostando labbondanza degli
elementi verso il picco del Fe.
Le stelle di Ramo Orizzontale degli Ammassi Globulari galattici hanno certamente masse
di gran lunga inferiori al limite di Chandrasekhar. Dopo una serie di pulsi termici queste stelle
finiranno col lasciare la traccia di Hayashi quando la massa dellinviluppo ricco di idrogeno
si e ridotta a circa 0.01 M ( A7.2) e non e piu in grado di sostenere la combustione
dellidrogeno. Una fase di rapida contrazione porta la stella al suo raggio di Nana Bianca,
che per queste stelle e una funzione precisa della sola massa, e che caratterizzera tutta la
successiva fase di raffreddamento. Durante queste fasi finali il riscaldamento della shell di
idrogeno in ambiente elettronicamente degenere puo portare a episodici flash nucleari. La
Fig.1 7.15 riporta a titolo di esempio levoluzione nel diagramma HR di un modello di AGB
di massa costante pari a 0.6 M .
Piu in generale, linizio della fase di contrazione viene a dipendere dallefficienza della
perdita di massa che, riducendo linviluppo ricco di idrogeno, affretta il compimento della
fase di AGB. Si ritiene che al termine della fase di AGB possa manifestarsi una fase di
rapida e violenta perdita di massa (superwind) che darebbe luogo alle osservate Nebulose
Planetarie, stelle che appaiono circondate da un anello di materia diffusa. Si ritiene anche
che la perdita di massa porti in ogni caso le stelle di piccola massa al di sotto del limite
di Chandrasekhar, cosche per tutte queste strutture si prevede il destino comune di Nana
Bianca. Si noti che, stante lesistenza della relazione Massa del nucleo-Luminosita, dalla
luminosita massima osservata in stelle di AGB in una popolazione stellare si puo risalire alla
16

Fig. 7.16. Lalternanza di episodi di convezione (linee a punti) attraverso i quali si realizza il III
dredge up.

massa delle stelle evolventi in questa fase ottenendo una indicazione della perdita di massa
subita dalle strutture.
Come fenomeno di importanza non secondaria, aggiungiamo che durante la fase di pulsi
termici, in corrispondenza del ritmico alternarsi di efficienza delle due shell, si instaurano
moti convettivi che finiscono col portare in superficie prodotti della combustione 3, in primo
luogo carbonio. Come schematizzato in Fig.7.16, allinnescarsi semiesplosivo della shell di
elio si instaura una instabilita convettiva che rimescola la zona tra le due shell portandovi
prodotti della combustione dellelio. Al successivo spengimento della shell di idrogeno e
durante la combustione quiescente della shell di elio la convezione superficiale affonda sino a
superare la discontinuita He-H ed intaccando cosi la zona contaminata dal precedente pulso
di convezione. Ci si attende che attraverso tale meccanismo (III dredge up) la superficie
si arricchisca di carbonio e di elementi s prodotti dai neutroni da combustione di 14 N. Se,
come da taluni sospettato, in questa fase processi di diffusione e/o mescolamenti riescono a
portare protoni nella zona di combustione dellelio, ne risulterebbe unulteriore sorgente di
neutroni originata dalla reazione 12 C + p 13 N + che potrebbe grandemente aumentare
lefficienza dei processi s ( 11.2).

7.6. Nane Bianche: la relazione massa-raggio


Per concludere il quadro evolutivo delle stelle di piccola massa resta da esaminare con ul-
teriori dettagli la configurazione delle strutture nella loro ultima fase di degenerazione elet-
tronica.Da un punto di vista osservativo, la prima Nana Bianca venne alla luce dallevidenza
dellesistenza di un compagno oscuro di Sirio, Sirio B. Dai parametri di tale sistema bi-
nario si ricavava per Sirio B una massa dellordine di 1 M , con una luminosita pari a circa
1/500 di quella solare. Lo spettro, ottenuto nel 1915, rivelo peraltro una temperatura efficace
dellordine di 9000 K. Dal bilancio tra emissivita e luminosita (L=4R2 T4e ) si dovette nec-
essariamente concludere per un raggio inferiore al 2% di quello solare e corrispondentemente,
per densita dellordine almeno di 105 gr/cm3 . In tali condizioni ci si attende una struttura
elettronicamente degenere.
La struttura di una stella totalmente degenerata e retta dal sistema politropico ( 5.1
e A5.1):

dP GMr
= 2
dr r

dMr
= 4r2
dr

P = k .
17

Fig. 7.17. La relazione teorica massa-raggio per strutture elettronicamente degeneri confrontata
con i dati sperimentali per alcune Nane Bianche.

ove, a differenza del caso dei gas non degeneri, ambedue gli indici k ed sono univocamente
determinati dalla condizione di degenerazione elettronica. Nel caso di degenerazione non-
relativistica ( < 106 gr/cm3 ) si ha:

P = 1.0 1012 (/e )5/3


da cui una politropica di indice 3/2. Al crescere della densita gli elettroni sono spinti a energie
relativistiche. Al limite relativistico (Pe > me c2 , > 106 gr/cm3 ) risulta analogamente:

P = 1.2 1015 (/e )4/3 = politropica di indice 3


.
Dalla struttura del sistema politropico discende che per ogni fissata densita centrale c
resta fissata la pressione centrale e, con essa, tutta la struttura ed in particolare la massa
ed il raggio della stella. Ad ogni massa deve dunque corrispondere una e una sola densita
centrale ed un determinato raggio della struttura degenere. Cio e una conseguenza diretta
del fatto che, se tutta la pressione e fornita dagli elettroni degeneri, pur se le temperature
possono essere ancora elevate il contributo dellenergia termica e trascurabile.
Nel caso di degenerazione non relativistica, una semplice valutazione di ordini di
grandezza consente di valutare la dipendenza di raggio e densita centrali dalla massa.
Ponendo infatti M/R3 , si ha dallequilibrio idrostatico:

GM 2
P
R4
ma e anche P = K5/3 KM 5/3 /R5 , da cui

P M 1/3 e anche M2
Maggiore e la massa della struttura minore deve dunque essere il raggio della medesima.
Cio discende dal fatto che al crescere della massa la densita centrale necessaria per sostenere
la struttura cresce col quadrato della massa stessa. La soluzione della politropica fornisce in
effetti per il raggio di una Nana Bianca di M masse solari:
0.02
R 5/3
R
e M 1/3
18

Fig. 7.18. Andamento con il tempo della luminosita di un modello di Nana Bianca di CO, 0.6
M . Nelle linee a tratti e trascurato il calore di cristallizzazione. Caso A: inviluppo di 1.5 104 M
di H; caso B: inviluppo di 0.016 M di He. Il tempo t e in anni.

dove e , peso molecolare medio per elettrone, e stato gia a suo tempo definito come
la massa, in unita della massa dellidrogeno, per elettrone libero. Fatta eccezione per il
caso dellidrogeno (e = 1), che peraltro riveste scarsa importanza nel quadro evolutivo che
stiamo esaminando, per tutti gli altri elementi si ha e 2, e, in particolare, si ha e per
He, 12 C, 16 O, 20 Ne. Il raggio di una struttura degenere evoluta dipende quindi solo dalla
massa, e non dipende dalla composizione chimica della struttura stessa ne, come si e piu
volte ripetuto, dal suo contenuto termico.
La relazione precedente resta valida per M 0.5 M . Per masse superiori si raggiungono
densita a cui interviene la degenerazione relativistica, che tende ad accrescere la dipendenza
del raggio dalla massa. La Fig.7.17 mostra come queste previsioni teoriche siano ben con-
fortate dai dati sperimentali per alcune WD appartenenti a sistemi binari, confortando, in
ultima analisi, le correnti valutazioni teoriche sulle proprieta della materia degenere.
Unindipendente indicazione osservativa sul rapporto M/R nelle nane bianche e fornita
dallo spostamento delle righe spettrali (redshift) causato dal forte campo gravitazionale, in
accordo con le prescrizioni della relativita generale. Per un fotone di energia h0 emesso
alla superficie di una stella di massa M e raggio R, che raggiunga un osservatore allinfinito
potremo infatti porre

GM h0
h = h0
R c2
dove il secondo termine al secondo membro rappresenta il lavoro del campo gravitazionale
delle stella. Se ne ricava immediatamente

0 GM
=
0 Rc2
Tale redshift, trascurabile in strutture stellari normali, diviene oservabile nelle WD a
causa della grande gravita superficiale. Viene sovente riportato sotto forma di Effetto Doppler
Equivalente ponendo / = v/c, da cui

M
v = 0.64 km/sec
R
dove M e R sono in unita solari. Per le due Nane Bianche Sirio B e 40 Eri B si ottiene
cos v=92 8 km/sec e 22 1.4 km/sec.
Da un punto di vista generale, asserire che per ogni prefissata massa una Nana Bianca ha
un raggio fissato, indipendentemente da ogni assunzione su temperatura e luminosita, sig-
nifica indicare che la Nana si comporta come un corpo solido, quali -per fornire unimmagine-
19

Fig. 7.19. Sequenze teoriche di raffreddamento di Nane Bianche (e = 2) per vari valori della
massa. Per confronto sono riportate alcune linee R=cost ed e indicata la collocazione di una Sequenza
Principale. I cerchietti aperti mostrano la collocazione di alcuni nuclei di Nebulosa Planetaria,
progenitori di Nane Bianche a minor temperatura efficace.

una sfera di metallo o un mattone. Tale corpo, formatosi da materia ad altissime tem-
peratura, perdera energia irraggiando dalla sua superficie come un corpo nero, a spese
dellenergia degli ioni, essendo ormai gli elettroni nel loro stato di minima energia com-
patibile con la loro natura di fermioni. La struttura percorrera quindi nel diagramma HR
una sequenza a raggio costante (L T4e ) dissipando prima lenergia di agitazione termica
degli ioni e poi anche il calore di cristallizazione degli stessi, destinata a raffreddarsi sino
a porsi in equilibrio con il fondo cosmico dellUniverso o, piu in generale, con il campo di
radiazione locale.
Allinizio del raffreddamento la velocita con la quale decresce la luminosita e molto alta,
perche corrispondentemente alte sono le perdite per irraggiamento. Al diminuire della lumi-
nosita decresce anche la temperatura efficace e con questa diminuiscono anche le perdite di
energia, e i tempi evolutivi si allungano corrispondentemente. La Fig.7.18 riporta un esem-
pio dellandamento temporale della luminosita di un modello di Nana Bianca lungo la sua
sequenza di raffreddamento, mostrando il rallentamento portato dal contributo del calore di
cristallizzazione. Si noti come i tempi di raffreddamento dipendono anche dalle dimensioni
e dalla composizione di sia pur tenui inviluppi residui, sia per il possibile contributo ener-
getico di combustioni superficiali di idrogeno, sia perche lopacita degli inviluppi governa la
temperatura efficace e, quindi, le perdite di energie della struttura.
La figura mostra come i tempi di raffreddamento possano raggiungere e superare i 1010
anni: ci si attende di conseguenza che anche negli ammassi stellari piu antichi, quali gli
Ammassi Globulari, le prime Nane formatesi non abbiano ancora terminato il loro raffred-
damento, marcando quindi con la loro luminosita il tempo della loro formazione. La Fig.7.19
mostra la landamento nel diagramma HR di sequenze di egual raggio calcolate per varie
masse, poste a confronto con la distribuzione osservata per un campione di Nane Bianche di
campo.
Per concludere ricordiamo come le densita in una Nana Bianca restino fissata una volta
fissata massa e e . Il numero di particelle per unita di volume sara peraltro inversamente
proporzionale alla massa delle medesime. Poiche ogni ione possiede una energia kT, ne
segue, ad esempio, che una Nana Bianca di He avra - a parita di temperature - un contenuto
20

Tab. 4. Densita di soglia per la neutronizzazione. Dallenergia di soglia e sottratta lenergia di


massa dellelettrone me c2 =0.511 MeV.

Reazione Energia (MeV) 0 (gr cm3 )


1
1H n 0.782 1.22 107
4 3
2 He 1 H + n 4n 20.596 1.37 1011
12 12 12
6 C 5 B 4 Be 13.370 3.90 1010
16 16 16
8O 7 N 6 C 10.419 1.90 1010
20 20 20
10 N e 9 F 8 O 7.026 6.21 109
24 24 24
12 M g 11 N a 10 N e 5.513 3.16 109
28 28 28
14 Si 13 Al 12 M g 4.643 1.97 109
32 32 32
16 S 15 P 14 Si 1.710 1.47 108
56 56 56
26 F e 25 M n 24 Cr 3.695 1.14 109

Fig. 7.20. Relazioni massa-densita centrale per strutture elettronicamente degeneri di varia com-
posizione, tenendo in conto i processi inversi. La linea a tratti mostra la soluzione di Chandrasekhar
per e = 2.

termico molto maggiore di una Nana di CO e, corrispondentemente, tempi di raffreddamento


piu lunghi.

7.7. La massa limite di Chandrasekhar.


La teoria pone un limite superiore alla massa di una struttura sorretta dalla degenerazione
elettronica, pari a circa 1.4 M . Tale limite (limite di Chandrasekhar) fu a suo tempo ricavato
come conseguenza diretta delle relazioni fisiche che siamo andati sin qui esponendo. Si puo
comprendere lorigine di tale limite ricordando che al crescere della massa cresce la densita
(serve maggior pressione degli elettroni) e la degenerazione e fatalmente spinta verso il regime
relativistico. Al limite pienamente relativistico esiste una ed una sola struttura possibile, la
cui massa e fornita dalla relazione

5.75
M= M
2e

Ripetendo il precedente calcolo di ordini di grandezza nel caso relativistico ( P 4/3 )


si ha infatti:
21

Fig. 7.21. Relazioni massa-densita centrale per strutture sorrette da elettroni o neutroni degeneri.
Le linee a tratti rappresentano strutture instabili. Per le stelle di neutroni e riportata la soluzione ri-
cavata dallequazione di Oppenheimer-Volkoff (OV) assieme ad una soluzione che include opportune
interazioni tra neutroni.

GM 2 KM 4/3
P e anche P
R4 R4
da cui si ricava la massa M = (K/G)2/3 . In pratica si trova che raggiungendo la piena
degenerazione relativistica la struttura dovrebbe ridursi ad un punto, ne sono permesse
strutture di equilibrio con masse maggiori.
Al di la di tale approccio analitico, il problema della massa limite e in realta governato
da meccanisnmi fisici piu complessi. Al crescere della densita cresce lenergia raggiunta dagli
elettroni, finendo col superare la soglia per reazioni inverse sui nuclei. Quando infatti
lenergia di un elettrone diviene superiore allenergia del decadimento di un nucleo di
numero di massa A e carica Z-1, diventano possibili le reazioni

e + (Z, A) (Z 1, A) +
La Tabella 4 riporta le densita di soglia per linnesco di tali processi per diverse specie
atomiche. Valutazioni dettagliate (Fig.7.20)mostrano che che al crescere della massa di una
struttura elettronicamente degenere, e quindi della sua densita, avvicinandosi alla massa
limite di Chandrasekhar intervengono processi inversi che, aumentando e , inducono una
diminuzione della massa limite. La Fig.7.21 riporta una sintesi generale di tali risultati. Alle
densita minori si trova il campo di esistenza delle strutture elettronicamente degeneri sin
qui discusse. Al crescere ulteriore della densita centrale si hanno strutture instabili in cui la
massa decresce allaumenatre di c . Si ritrova una zona di stabilita solo a densita dellordine
di c 1014 - 1016 per strutture sorrette ora da neutroni degeneri (Stelle di neutroni). I
neutroni, con spin 1/2, sono infatti anchessi fermioni che ubbidiscono alla statistica di
Fermi Dirac, in grado quindi di sviluppare una pressione di degenerazione. Nel caso non
relativistico si trova cosP 4 109 5/3 . A titolo orientativo ricordiamo qui che il raggio
tipico di una stella di neutroni risulta dellordine di 10 km, contro i 103 -104 km di una Nana
Bianca e i 106 km del Sole.
Alle densita delle stelle di neutroni non e peraltro piu valida lapprossimazione
Newtoniana, e il campo gravitazionale dovra essere descritto in accordo con la relativita
generale, secondo lequazione di Oppenheimer Volkoff ( A2.3). La soluzione dipende dalle
assunzioni che devono essere necessariamente fatte sullequazione di stato della materia neu-
tronica. Si ritrova in ogni caso ancora una massa limite, ma il valore di tale massa dipende
criticamente da tali assunzioni. Assumendo lequazione di stato non relativistica si tro-
verebbe una massa limite M 0.7 M . La figura 7.21 mostra peraltro un esempio di come
22

equazioni di stato che introducono opportunele interazioni tra neutroni possano innalzare la
massa limite per tali strutture. Oggi si ritiene che il limite di massa per le stelle a neutroni
si collochi attorno alle 2 - 3 M , anche se la maggioranza delle stelle di neutroni osservate
come pulsar ha masse attorno alle 1.4 M .
A titolo orientativo ricordiamo qui che il raggio tipico di una stella di neutroni risulta
dellordine di 10 km, contro i 103 -104 km di una Nana Bianca e i 106 km del Sole. Per le Nane
Bianche resta in ogni caso stabilito un limite superiore di massa dato, con buona approssi-
mazione, dal limite di Chandrasekhar MCh precedentemente riportato. Per una struttura
di idrogeno e =1 e MCh = 5.8 M , un limite di scarsa rilevanza perche sappiamo che in
condizioni normali strutture di H di massa maggiore di 0.1 M giungono ad innescare la
combustione dellidrogeno. Per 4 He, 12 C, 16 O, 20 Ne etc e = 2 e quindi

MCh 1.4M
limite che giochera un ruolo essenziale nellevoluzione delle stelle massicce e nella pro-
duzione di Supernovae di tipo I nei sistemi binari.
Per completezza, ricordiamo infine che a temperatura zero ma densita sufficientemente
alte diventano possibili anche reazioni nucleari: lenergia dei nuclei nel lattice puo divenire
sufficientemente elevata da superare la repulsione coulombiana, dando luogo a reazioni che
prendono il nome di reazioni picnonucleari, dal greco pyknos = denso. Si stima che a
106 gr cm3 H sarebbe convertito in He in circa 105 anni, e a 1010 gr cm3 He sarebbe
convertito in C. Il calcolo di tali processi e peraltro molto difficoltoso, e i valori riportati
sono solo indicativi.
23

Fig. 7.22. Andamento delle variabili chimiche e fisiche in una struttura di Ramo Orizzontale
durante la fase di semiconvezione quiescente. Parametri evolutivi: massa totale della stella M=0.65
M , massa iniziale del nucleo di He Mc = 0.5 M , Y inviluppo = 0.20, Z= 103 . Luminosita e
composizioni chimiche sono normalizzate ai loro valori massimi.

Fig. 7.23. Andamento di alcune variabili strutturali nella stella di cui alla figura precedente
durante (pannello superiore) e subito dopo (pannello inferiore) un pulso di convezione. Si noti
durante il pulso il riassorbimento della luminosita segnalante lespansione del nucleo centrale.

Approfondimenti

A7.1. Breathing Pulses


Lorigine dei pulsi di convezione noti come Breathing Pulses e da ricercarsi nel medesimo mecca-
nismo di opacita che aveva in precedenza dato luogo al trascinamento del nucleo convettivo ed
allo sviluppo della semiconvezione. Meccanismo che nelle fasi finali di combustione centrale di elio
viene ulteriormente sollecitato dalle particolari caratteristiche della combustione. E infatti da no-
tare come al tendere a zero dell abbondanza di elio nella zona di combustione, diventi sempre men
probabile la reazione 3 (che dipende dal cubo dellabbondanza centrale di elio Yc ) a fronte della
concorrente reazione 4 He (12 C, )16 0. In pratica, i nuclei di elio fondono preferenzialmente con il
carbonio in cui sono ormai immersi prima di riuscire a trovare altri due nuclei di elio disponibili per
24

Fig. 7.24. Traiettoria nel diagramma HR della struttura di cui alle due precedenti figure durante la
fase di combustione quiescente diellelio e attraverso i primi due pulsi sino allinnesco del terzo pulso.
I numeri segnalano linizio dei pulsi e le porzioni di traccia a punti riportano le rapide evoluzioni
durante i flash

Fig. 7.25. Andamenti temporali di luminosita, temperatura efficace e composizione chimica cen-
trale per il modello di cui alle figure precedenti lungo lintera fase di combustione centrale di He.

la reazione 3. La trasformazione di 12 C in 16 0 innalza ulteriormente lopacita della materia, cosi


che il bordo del nucleo convettivo e stimolato con continuita ad allontanarsi dalla neutralita (rad
= ad ) e, conseguentemente, a richiamare al suo interno materiale ancora ricco di He.
Al diminuire di Yc la situazione diviene progressivamente sempre piu critica perche anche il
poco elio trasportato attraverso tale meccanismo nel nucleo ormai depauperato di combustibile
comincia ad influenzare sensibilmente la generazione di energia, tendendo ad aumentare il flusso e
quindi il gradiente radiativo, contrastando leffetto di stabilizzazione collegato allopacita. Si trova
che per Yc 0.05 leffetto di flusso finisce col prevalere e limmissione di elio fresco finisce in-
evitabilmente col produrre un innalzamento generale del gradiente e quindi, con processo reazionato
positivamente, un progressivo estendersi della convezione a richiamare nel nucleo sempre piu elio. Il
processo si blocca solo quando, a causa del sensibile incremento dellenergia proveniente dal centro
della struttura, gli strati circostanti iniziano una rapida espansione, riassorbendo lenergia stessa e
stabilizzando cosi la zona.
La Fig. 7.22 riporta i dettagli di una struttura di ramo orizzontale durante la fase semicon-
vettiva quiescente, mentre la Fig.7.23 mostra la stessa struttura durante un pulso convettivo.
Calcoli dettagliati suggeriscono che prima di giungere allesaurimento dellelio le strutture subis-
25

Fig. 7.26. Linee isoacutiche Lac /L = cost nel diagramma HR per una stella di 0.6 M , Y=0.1,
Z=103 , mixing length l=1.5 HP . Per confronto sono mostrate la posizione della MS, la linea
evolutiva di una struttura di 1.1 M e la traccia di Hayashi per lassunta composizione chimica.

cano in media tre maggiori pulsi, che si sviluppano con tempi scala termodinamici. Leffetto di tali
pulsi e di ringiovanire la struttura, riaumentando improvvisamente labbondanza di elio centrale.
Corrispondentemente la stella tende a riportarsi verso precedenti posizioni nel diagramma HR, per
riiniziare la sua tipica evoluzione di combustione quiescente (Fig.7.24). Solo quando attraverso i
pulsi e stato depauperata di elio una vasta regione circondante il nucleo convettivo la stella riesce
ad esaurire lelio centrale per predisporsi alla fase di combustione in doppia shell.
Leffetto principale dei pulsi sarebbe dunque di prolungare la durata della fase di combustione
centrale di He, come immediatamente ricavabile dai dati in Fig.7.25, ove e facilemente riconoscibile
che lintervento dei pulsi allunga tale fase di poco meno di circa il 20%. Per sopprimere i pulsi
esistono due alternative tecniche di calcolo. Una prima consiste nellimporre che nei modelli in
prossimita dellesaurimento dellelio centrale (Yc 0.1 -0.05) siano impediti aumenti nel tempo
di tale parametro. Una seconda tecnica, che sopprime i pulsi e fornisce comportamenti evolutivi
analoghi ma non eguali, consiste invece nel sopprimere negli stessi modelli la valutazione della
generazione di energia gravitazionale G .

A7.2. Perdite di massa: Giganti Rosse, Blue HB, AGB Manque e Hot Flasher.
Vi e oggi un generale accordo sul fatto che le strutture stellari nel corso della loro evoluzione siano
soggette a non trascurabili fenomeni di perdita di massa. Osservazioni dirette di tale fenomeno
riposano sullevidenza di gas diffuso emergente dalla struttura, come data - ad es. - dalla presenza
di righe di emissione nella banda ottica o da emissione infrarossa. Le misure, spesso di non facile
interpretazione, suggeriscono che la perdita di massa sia particolarmente efficiente tra le Giganti
Rosse, raggiungendo e forse superando valori di 108 M /anno. Nel caso di giganti di ammassi
globulari sono state riportate evidenze di perdita di massa dellordine di 109 M /anno, cioe giusto
dellordine di grandezza adatto per perdere durante la fase di Gigante Rossa quei pochi decimi di
massa solare richiesti dalle caratteristiche osservative dei rami orizzontali.
Pur non esistendo al presente una chiara interpretazione del meccanismo fisico che sovraintende
a tale fenomeno, le osservazioni sembrano indicare come la perdita di massa cresca sensibilmente al
crescere della luminosita della struttura. Su tali basi e spesso utilizzata una formula empirica per il
valore di tale perdita:

L
M = 4 1013 R M /anno (Formula di Reimers)
gR
dove la luminosita, il raggio e la gravita superficiale sono in unita solari ed R e un parametro
libero che dovrebbe variare tra 1/3 e 3.
26

Fig. 7.27. Diagrammi CM per un campione di Ammasi Globulari galattici, ordinati per crescente
metallicita

Nel tempo si sono peraltro susseguite una gran varieta di formulazioni sie empiriche che basate
sulla postulata efficienza di meccanismi fisici quali la pressione di radiazione sugli strati atmosferici.
Citiamo, a titolo di esempio, la proposta correlazione tra perdita di massa ed i flussi acustici presenti
negli inviluppi convettivi turbolenti, ipotizzando che da tali flussi si origini lenergia utilizzata dal
gas per sfuggire alla attrazione gravitazionale. In effetti si ricava che la topologia di questi flussi nel
diagramma HR (Fig.7.26), coscome ricavabile da integrazioni analoghe a quelle usate per ricavare
le linee isoconvettive e la traccia di Hayashi ( 5.4), mostra una almeno qualitativa corrispondenza
con quanto atteso per lefficienza della perdita di massa.
Assumendo una perdita di massa proporzionale al rapporto tra la luminosita acustica e lenergia
gravitazionale
27

Fig. 7.28. Disribuzioni teoriche nel diagramma CM per ammassi con eta 15 Gyr e per le indicate
assunzioni sulla metallicita Z. Si e assunto R = 0.4.

R
M = F P R Lac (Formula di Fusi Pecci Renzini)
GM
dove F P R e un parametro di efficienza. Tarando tale formula per il caso solare (M
1014 M /anno) la formula fornisce previsioni che si accordano almeno qualitativamente bene con
la formula empirica di Reimers.
Restando nel campo delle piccole masse, la Fig.7.27 riporta i diagrammi CM per un campione di
Ammassi Globulari galattici, ordinati per metallicita crescente. Sia pur con alcune eccezioni, sulle
quali dovremo tornare nel seguito, si riscontra una generale correlazione tra metallicita Z e Ramo
Orizzontale, con le stelle di HB che si spostano verso minori temperature efficaci allaumentare
dellla metallicita. Un tale andamento puo essere compreso osservando che allaumentare di Z per
ogni prefissata eta aumenta la massa delle Giganti Rosse al flash e diminuisce nel contempo la
massa delle stelle di HB ad una prefissata temperatura efficace (aumenta lefficienza della shell di
H!), ambedue queste variazioni andando nel senso di produrre HB piu rossi.
La Fig.7.28 mostra come utilizzando la formula di Reimers con parametro R =0.4 le predizioni
teoriche forniscano diagrammi CM in buon accordo con tale andamento generale. La presenza
di alcuni HB con eccezionali Code Blu e peralro evidenza che in quegli ammassi alcune stelle
di HB hanno subito un ingente ed eccezionale perdita di massa, sino a perdere la quasi totalita
dellinviluppo idrogenoide. In passing, si noti che il brusco crollo di luminosita degli HB alle
alte temperature e un artefatto dellintervento della correzione bolometrica. Vedremo nel prosieguo
come nellultravioletto le stelle piu blu di Ramo Orizzontale (EHB= Extremely Blue HB) siano
addirittura le piu luminose dellintero ammasso.
La Fig.7.29 mostra un fascio di tracce evolutive per modelli che iniziano la fase di combustione di
He a varie temperature efficaci di ZAHB. Si noti come modelli a temperatura molto alta, quindi con
inviluppi estremamente tenui e shell di idrogeno poco efficienti, al termine della fase di combustione
centrale di elio non riescano a spostarsi sul Ramo Asintotico, permanendo alle alte temperature
da dove infine raggiungeranno direttamente la loro sequenza di raffreddamento come Nane di CO.
A Tali strutture prendono il nome di AGB Manque , e sono di grande importanza per il flusso
UV (ultravioletto) che possono generare negli Ammassi Globulari e, piu in generale, nelle antiche
popolazioni stellari.
Perdite di massa che portino la massa di un Gigante Rossa al di sotto della massa critica per
linnesco del nucleo di elio mancheranno la fase di Ramo Orizzontale. Lidagine evolutiva mostra
che una Gigante Rossa riesce a completare la sua evoluzione sino al flash dellelio solo nel caso che
la perdita di massa non riduca in precedenza linviluppo al di sotto di un valore critico pari a circa
0.06 M . In corrispondenza di tale limite la shell di idrogeno inizia a risentire della mancanza di
inviluppo e la stella cessa la sua ascesa, permanendo presso il Ramo delle giganti sino a ridurre
28

Fig. 7.29. Tracce evolutive per la fase di combustione di elio per stelle con varie collocazioni
di ZAHB, come causate da corrispondenti variazioni nella assunta quantita di massa persa dai
progenitori RG.

Fig. 7.30. Sequenze evolutive di Giganti Rosse che per eccesso di perdita di massa abbandonano
il Ramo delle Giganti per raffreddarsi come Nane di He.

linviluppo a 0.007 M , iniziando a questo punto una rapida contrazione che le porta sulla
sequenza di raffreddamento sotto forma di Nane di He (Fig.7.30).
Esiste peraltro un piccolo intervallo di masse che, avendo abbandonato il ramo delle Giganti
poco prima del flash, finisce con innescare il flash lungo la sequenza di raffreddamento. Tali strutture
prendono il nome di Hot Flashers. Si ritiene che in tali strutture la particolare violenza del flash
possa portare a fenomeni di rimescolamento che arricchiscono latmosfera delle strutture con He e
C. A seguito di tale arricchimento le stelle dovrebbero mostrarsi nei diagrammi CM come un gruppo
leggermente separato dalla normali stelle di HB.

A7.3. Rotazione stellare. ZAHB rotazionali


Non sorprendentemente, levidenza sperimentale mostra che non solo il Sole ma anche le altre
stelle ruotano attorno ad un loro asse. Evidenze per la rotazione stellare possono essere e sono
ricavate dallallargamento delle righe di assorbimento dovuto alleffetto Doppler, qualora lasse di
rotazione della struttura non giaccia lungo la linea visuale. La Fig.7.31 riporta landamento della
velocita equatoriale media caratterizzante stelle di SP di varia massa. Si nota come al di sotto di
2 M si evidenzi una brusca diminuzione dello stato di rotazione. Cio viene posto in relazione
con linstaurarsi di una zona di convezione superficiale e, con essa, di un vento solare in grado di
estrarre momento angolare dalla struttura, tramite linterazione delle particelle del vento col campo
29

Fig. 7.31. Andamento con la massa stellare delle velocita equatoriali medie per stelle di MS. Le
masse sono in masse solari.

magnetico ruotante originato dalla struttura medesima. A parziale riprova di questa interpretazione
vi e losservata correlazione inversa tra leta della struttura e le velocita di rotazione.
La rotazione stellare e un possibile parametro evolutivo che abbiamo sinora omesso nelle val-
utazioni strutturali, assumendone esplicitamente la trascurabilita, almeno come caso generale. Cio
e confortato dallandamento monoparametrico dei diagrammi CM, nei quali non si manifestano gli
effetti di un parametro stocastico come ci si attende sia la rotazione stellare. Valutazioni rigorose di
strutture ruotanti sono peraltro estremamente complesse, non fosse altro perche, venendo a cadere
la simmetria sferica, sarebbe in linea di principio necessario sviluppare codici di calcolo in coordi-
nate cilindriche. Valutazioni approssimate indicano che la rotazione tende a raffreddare gli interni
stellari. Si puo comprendere tale risultato osservando che la forza centrifuga va in parte a bilanciare
la gravita, diminuendo le richieste di temperatura (energia cinetica).
Raffreddando linterno delle strutture stellari, la rotazione puo influenzare levoluzione di piccole
masse in fase di Gigante Rossa, ritardando il flash dellelio. Ne discende che strutture di ZAHB
provenienti da stelle ruotanti dovrebbero avere masse dei nuclei di elio e perdite di massa maggiori
di quanto atteso nel caso canonico non rotante. Laumento della perdita di massa, fatti salvi ulteriori
fenomeni legati alla rotazione, restando collegato al maggior tempo passato in fase di Gigante Rossa.
Al riguardo sono state eseguite stime evolutive, sotto la condizione di conservazione del momento
angolare lungo tutta la struttura. Cio implica un forte aumento di velocita angolare nei nuclei di
elio delle Giganti Rosse, stante le esigue dimensioni spaziali cui tali nuclei si riducono.
In accordo con tali stime massa del nucleo di elio e luminosita al flash seguono approssimativa-
mente le relazioni

Mc () Mc,0 + 1.44 2.16

logLf logLf,0 + 3.8103 2


dove Mc,0 e ogLf,0 rappresentano i valori canonici di modelli non rotanti e e la velocita
angolare dei modelli di MS, data in rotazioni per giorno. E da notare che per 5 levoluzione
dalla MS alle giganti rosse resterebbe sostanzialmente inalterata, gli effetti di rotazione rivelandosi
solo nella fase di combustione di elio.
Dalle discusse proprieta topologiche dei modelli a doppia sorgente di energia si ricava che
laumento di Mc e quello della perdita di massa agiscono entrambi nel senso di spostare un mod-
ello dalla sua posizione canonica verso maggiori temperature effettive, con modalita che dipendono
dallo stato di rotazione delle singole stelle e dalla relativa efficienza dei due meccanismi citati. La
situazione e illustrata dallapproccio topologico di Fig.7.32. Se modeste variazioni sulla velocita an-
golare , tali cioe da non influenzare il valore canonico di Mc , producono sensibili variazioni sulla
perdita di massa, lattesa distribuzione sul ramo orizzontale non si discosta da una ZAHB canonica,
30

Fig. 7.32. La collocazione nel diagramma HR di sequenza di ZAHB sotto diverse assunzioni della
relazione tra perdita di massa e rotazione. La -ZAHB rappresenta la ZAHB canonica con massa
variabili e massa del nucleo costante. La -ZAHB e il luogo di strutture con massa costante e
variabile massa del nucleo di He. I cerchietti aperti mostrano la distribuzione attesa quando perdita
di massa e rotazione sono combinate secondo le prescrizioni fornite nel testo. .

indicata in figura come -ZAHB a sottolineare che la distribuzione e originata esclusivamente da


variazioni di efficienza nella perdita di massa.
Se, allaltro estremo, variazioni di giungono a variare sensibilmente Mc senza modificare la
perdita di massa, le stelle si distribuiranno lungo una sequenza caratterizzata dalle condizioni M
cost ma Mc variabile. Tali sequenze sono indicate in figura come -ZAHB. E facile verificare che per
ogni assunta relativa efficienza dei due meccanismi le possibili sequenze di ZAHB rotazionali devono
restare comprese nel cono avente vertice nel modello canonico non ruotante e avente come limiti la
-ZAHB e la -ZAHB passanti per quel punto, discostandosi dalla -ZAHB tanto maggiormente
quanto minore e linfluenza della rotazione sulla perdita di massa.
Le attuali valutazioni dellinfluenza della rotazione sulle dimensioni in massa del nucleo di elio
e sulla perdita di massa paiono indicare un bilanciamento tra questi due effetti, come mostrato
nella stessa Fig.7.32. Parrebbe potersi obiettare che le stelle di ramo orizzontale sono stelle di
piccola massa che abbiamo trovato essere trascurabilmente ruotanti. Da un lato pero non abbiamo
probanti informazioni sullo stato di rotazione di tali stelle negli ammassi globulari, ne sappiamo
quanto il meccanismo di frenamento discusso in precedenza agisca in profondita. In effetti cio che noi
misuriamo e lo stato di rotazione dellatmosfera stellare e nulla sappiamo su una possibile residua
rotazione dellinterno. Se una dispersione dei valori della rotazione fosse allorigine della dispersione
delle stelle lungo il Ramo Orizzontale verrebbe ad essere modificata la relazione tra luminosita di
HB e composizione chimica iniziale coscome ricavata dalle -ZAHB ed alla base di molte delle
correnti elaborazioni teoriche dei dati osservativi.
31

Origine delle Figure

Fig.7.1 Iben I.Jr. 1965, ApJ142,1447


Fig.7.2 Kippenhan R., Thomas H.C., Weigert A. 1965, Zeitschrift f. Astrofis. 61, 241
Fig.7.3 Castellani V., Chieffi A., Pulone L., Tornambe A. 1985, ApJ 296, 204
Fig.7.4 Castellani V., Giannone P., Renzini A. 1971, Astrophys. Space Sci, 10, 340
Fig.7.5 Castellani V., Giannone P., Renzini A. 1971, Astrophys. Space Sci, 10, 340
Fig.7.6 Castellani V., Giannone P., Renzini A. 1971, Astrophys. Space Sci, 10, 340
Fig.7.7 Demarque P., Sweigart A.V., 1976, A&A 20, 442
Fig.7.8 Demarque P., Sweigart A.V., 1976, A&A 20, 442
Fig.7.9 Sweigart A.V., Gross P. 1976, ApJS 32, 367
Fig.7.10 Caloi V., Castellani V., Tornambe A. 1978, A&AS 33, 169
Fig.7.11 Castellani V., Chieffi A., Pulone L., Tornambe A. 1985, ApJ 296, 204
Fig.7.12 Castellani V., Chieffi A., Pulone L. 1991, ApJS 76, 911
Fig.7.13 Castellani V., Chieffi A., Pulone L. 1991, ApJS 76, 911
Fig.7.14 Castellani V., Astrofisica Stellare, Zanichelli 1985
Fig.7.15 Iben I.Jr. 1982, ApJ 260, 821
Fig.7.16 Castellani V.1985 , Astrofisica Stellare, Zanichelli ed.
Fig.7.17 Kaplan S.A. 1982, Fisica delle Stelle, Sansoni ed.
Fig.7.18 Iben I.Jr., Tutukov A.V. 1984, ApJ 282, 615
Fig.7.19 Weidemann V. 1967, Zeitschrift f. Astrofis. 67, 286
Fig.7.20 Shapiro S.L., Tenkolsky S.A. 1983, Black Holes, WD and Neutron Stars, Wiley Inters. Publ.
Fig.7.21 ReesM.J., Ruffini R. 1974
Fig.7.22 Castellani V., Chieffi A., Pulone L., Tornambe A. 1985, ApJ 296, 204
Fig.7.23 Castellani V., Chieffi A., Pulone L., Tornambe A. 1985, ApJ 296, 204
Fig.7.24 Castellani V., Chieffi A., Pulone L., Tornambe A. 1985, ApJ 296, 204
Fig.7.25 Castellani V., Chieffi A., Pulone L., Tornambe A. 1985, ApJ 296, 204
Fig.7.26 Castellani V., Puppi ., Renzini A. 11971, Astrophys. Space Sci. 10, 136
Fig.7.27 Sosin C., Piotto G., Djorgovski S.G. et al 1997, Advances in Stellar Evolution, Cambridge Univ. Press
Fig.7.28 Brocato E., Castellani V., Poli F.M. Raimondo G. 2000, A&AS 145,91
Fig.7.29 Cassisi S., Castellani M., Caputo F., Castellani V. 2004, A&A
Fig.7.30 Castellani M., Castellani V. 1993, ApJ 407, 649
Fig.7.31 McNally D. 1965, The Observatory 85, 166
Fig.7.32 Castellani V., Ponte G., Tornambe A. 1981, Astrophys. Space Sci. 73, 11
Capitolo 8

Combustione dellelio e fasi evolutive


avanzate: masse intermedie e grandi
masse

8.1. Lo scenario generale


Lo studio dellevoluzione delle piccole masse ci ha fornito gran parte degli ingredienti nec-
essari per la comprensione dei meccanismi che caratterizzano e condizionano levoluzione di
masse superiori nelle fasi evolutive avanzate. Ricordiamo innanzitutto che masse intermedie
e grandi bruciano in ogni caso H in un nucleo convettivo: allesaurimento dellH centrale
subiranno quindi tutte una fase di overall contraction che conduce allinnesco della com-
bustione a shell di idrogeno ai confini del nucleo di He che segnala lavvenuta combustione
dellidrogeno. Il nucleo di He e non-degenere, e la combustione a shell assume laspetto di una
rapida fase di transizione che porta la struttura sulla sua traccia di Hayashi ove inneschera
la combustione quiescente 3 al centro del nucleo di elio, mentra la shell di idrogeno resta
attiva ai confini di tale nucleo. In questo intervallo di masse viene dunque a mancare il
Ramo delle Giganti, che resta a contraddistinguere le piccole masse e, dunque, le piu antiche
popolazioni stellari.
Stante la forte dipendenza della combustione 3 dalla temperatura, in tutte queste
strutture si sviluppera una zona convettiva centrale. I fenomeni di trascinamento del nucleo
convettivo, semiconvezione e, eventualmente, breathing pulses che abbiamo riscontrato
nelle piccole masse sono presenti anche nelle masse superiori, contribuendo a prolungare nel
tempo la fase di combustione centrale di He. A somiglianza delle piccole masse, cresce nel
tempo il contributo energetico delle combustioni di He e, tipicamente, nel diagramma HR le
traiettorie evolutive compiono un loop prima allontanandosi dalla traccia di Hayashi, per
tornarvi allesaurimento dellelio centrale e linstaurarsi della fase di combustione a doppia
shell, come gia riscontrabile nelle Fig. 6.1, 6.3 e 7.1.
La Fig. 8.1 illustra il comportamento in combustione centrale di elio della struttura di
6 M che avevamo gia seguito nelle fasi di combustione di idrogeno ( Fig. 6.4). Si puo
notare il progressivo incremento della luminosita prodotta dalla 3 a spese dellefficienza
della shell di idrogeno. Si noti anche il progressivo aumento del nucleo convettivo, segnalato
dalla distribuzione omogenea di 12 C, e lo sviluppo di una limitata regione semiconvettiva,
segnalata dal gradiente nellabbondanza di elio. Dalle temperature efficaci riportate in figura
si ricava come lultimo modello sia gia in fase di rientro verso la traccia di Hayashi.

1
2

Fig. 8.1. Evoluzione della struttura interna di una stella di 6 M , y=0.20, Z=103 durante la fase
di combustione quiescente dellelio centrale. I vari parametri sono normalizzati ai loro valori massimi,
riportati in ogni pannello. Per ogni struttura sono anche riportati la collocazione nel diagramma
HR (logL, LogTe ), leta ed il numero sequenziale del modello. .

Per definizione, le masse intermedie innescano la combustione a shell di elio alla periferia
di un nucleo di CO che diviene rapidamente degenere. Come le piccole masse, esse daranno
quindi vita ad una fase di AGB, raggiungendo fatalmente una fase di pulsi termici attraverso
i quali lidrogeno dellinviluppo viene progressivamente trasformato prima in elio e poi in
CO. Se nel frattempo, come si ritiene, la perdita di massa porta le strutture al di sotto del
limite di Chandrasekhar, il destino finale di tali strutture sara - come per le piccole masse- il
progressivo raffreddamento sotto forma di Nane Bianche di CO. In caso contrario si giungera
fatalmente alla deflagrazione del Carbonio. Il limite superiore di massa per tale comporta-
mento viene indicato in letteratura come Mup . Il preciso valore di tale limite dipende dalla
composizione originale della stella: possiamo peraltro almeno orientativamente indicare un
valore attorno alle 8 M .
Masse superiori a Mup giungono invece ad innescare la combustione del Carbonio prima
che il nucleo degeneri completamente. In un ristretto intervallo di circa 2 M la combustione
di C conduce alla creazione di nuclei di ONe degeneri. Se, nuovamente, non interviene una
sufficiente perdita di massa, anche queste strutture termineranno o con la deflagrazione del
Carbonio (masse minori) o con processi di cattura elettronica che portano alla implosione
ed alla formazione di una stella di neutroni. Nel seguito considereremo queste strutture
come una sottoclasse della masse intermedie. Stelle con massa ancora maggiore portano
a compimento lintera catena di combustioni sino alla finale fotodisntegrazione del Fe e
lesplosione come Supernovae.
3

Fig. 8.2. Andamento di alcune variabili di struttura al variare della massa stellare alla transizione
tra piccole masse e masse intermedie. Pannello superiore: massa del nucleo di He allinnesco della
reazione 3. Pannello intermedio: luminosita del primo modello in combustione quiescente di He.
Pannello inferiore: tempi di vita in fase di combustione di He centrale.

8.2. La transizione tra masse piccole e intermedie


Il dominio delle piccole masse resta definito dalla combustione di idrogeno in una shell
che circonda un nucleo di He elettronicamente degenere, condizione che contrasta linnesco
della combustione dellHe e prolunga levoluzione in combustione di H lungo il Ramo delle
Giganti sino allo sviluppo dell He-flash in una struttura con luminosita migliaia di volte
quella solare e con un nucleo di He che raggiunge allincirca le 0.5 M . Allaumentare
della massa stellare viene progressivamente rimossa la degenerazione e, corrispondentemente,
viene progressivamente facilitato linnesco dellHe che avviene prima e con un nucleo di He
piu piccolo (in massa). Rimossa la degenerazione la struttura e ormai entrata nel dominio
delle masse intermedie.
La Fig.8.2 riporta alcuni dettagli che illuminano il comportamento delle strutture al
variare della massa attraverso la transizione dalle piccole masse alle masse intermedie per
composizioni di tipo solare. Il pannello superiore mostra come alle masse minori il nucleo di
He allinnesco dellHe (flash) si mantenga sensibilmente costante, diminuendo leggermente
allaumentare della massa. Attorno alle 2.0 M inizia una rapida transizione ed il nucleo
di He raggiunge un minimo per M=2.3 M . In questa struttura la degenerazione e ormai
rimossa e linnesco dellelio avviene in maniera quiescente. Il nuovo aumento al di sopra di
M=2.3 M origina dal fatto che la 2.3 M in MS ha gia sviluppato un nucleo convettivo, che
allesaurimento dellH centrale si trasformera in un nucleo di elio, e che tale nucleo convettivo
cresce al crescere della massa della stella.
Il pannello intermedio mostra come tali variazioni si riflettano sulla luminosita delle
strutture. Sino a circa 2.0 M , nonostante la leggera diminuzione del nucleo di He, la lumi-
nosita aumenta, segnalando che laumentata massa degli inviluppi accresce lefficienza della
shell di H, compensando la diminuzione del nucleo e governando la luminosita totale della
struttura. Nella fase di transizione e invece la forte diminuzione del nucleo che prende il
sopravvento, inducendo una corrispondentemente rapida diminuzione della luminosita. Sono
4

Fig. 8.3. Collocazione nel diagramma HR dei modelli di cui alla figura precedente.

infine ancora le dimensioni del nucleo di He a guidare la risalita della luminosita sopra le
M=2.3 M , con una crescita che continuera regolarmente al crescere della massa stellare e
del conseguente aumento dei nuclei convettivi.
Il pannello inferiore riporta infine la rilevante evidenza di come la durata della fase di
combustione di He centrale sia regolata dalle dimensioni del nucleo di He, regola di cui
faremo uso nel discutere gli effetti di un eventuale esteso oveshooting ( A8.1). Se ne trae
levidenza che giusto alla transizione le strutture stellari mostrano una eccezionale durata
della fase di combustione di He centrale, permanendo in tale fase piu del doppio del tempo
di ogni altra massa, sia minore che maggiore. Evidenza che in taluni casi si deve tradurre in
una particolare abbondanza di tali strutture.
Piu in generale, dai dati in Fig.8.2 e sulla base dei tempi in Tabella 5.1, si trae levidenza
che una popolazione stellare di composizione solare e di assegnata eta, comincera a sviluppare
un Ramo delle Giganti dopo circa 600 milioni di anni, tempo evolutivo di una struttura
M=2.3 M allesaurimento dellH centrale. A 800 milioni di anni, tempo della combustione
di H di una M=2.1 M , il Ramo delle Giganti e ormai formato e permarra per tutti i tempi
successivi. Questa fase di apparizione del Ramo delle Giganti prende in letteratura il nome
di Red Giant Transition (RGT) e segna il rapido passaggio dalle tipiche polazioni giovani, a
giganti blu, alle popolazioni piu anziane dominate dalle Giganti Rosse.
Tempi e masse della Red Giant Transition dipendono dalla composizione chimica origi-
nale delle stelle. La stessa Fig. 8.2 mostra come una diminuzione dellelio originale si traduca
in un aumento della massa di transizione. Cio appare in accordo con la regola piu volte enun-
ciata secondo la quale diminuire il contenuto di elio (diminuire il peso molecolare medio)
produce strutture piu fredde e, di conseguenza, piu affette da degenerazione elettronica.
Analogamente si puo facilmente predire che al diminuire della metallicita deve diminuire
anche la massa di transizione: una diminuzione di metallicita produce infatti strutture piu
calde e meno soggette alla degenerazione elettronica.
La Fig. 8.3 mostra infine la collocazione nel diagramma HR di strutture di transizione
allinizio della loro fase di combustione quiescente di elio. Allaumentare della massa i mod-
elli raggiungono un minimo nella temperatura efficace per poi tornare verso alti valori di tale
parametro ancor prima di entrare nella fase di vera transizione, marcata dal successivo min-
imo della luminosita. Superata la transizione, la luminosita alla quale inizia la combustione
di elio crescera infine monotonamente al crescere della massa della struttura.
5

Fig. 8.4. Tracce evolutive per stelle di 3, 4, 5, 7 e 9 M dalla MS sino alle fasi di combustione di
He in shell per composizioni chimiche rappresentative della Pop.I e della Pop.II.

8.3. Masse intermedie.


Superata la massa critica per la Red Giant Transition le stelle entrano nel dominio delle
masse intermedie. Tutte queste strutture avevano in MS un nucleo convettivo che nel tempo
e andato ritirandosi lasciando dietro di se un gradiente di elio. E in questa zona semicom-
busta che si innesca la shell di H che conduce la stella nella zona delle Giganti Rosse dove
infine inneschera la combustione centrale dellHe. Per composizioni chimiche normali i tempi
evolutivi sono ormai scesi a centinaia di milioni di anni, troppo corti perche la diffusione
degli elementi possa modificare in maniera significativa la distribuzione interna delle specie
chimiche. La Fig. 8.4 riporta il tipico cammino evolutivo delle masse intermedie per due
campioni di stelle rappresentativi, rispettivamente, della Pop. I e II. La fase di combustione
di elio centrale e segnalata dai loop in temperature efficaci che prima allontanano e poi
riportano le stella sulla loro traccia di Hayashi. Notiamo qui solamente che al diminuire
della metallicita aumenta lescursione di tali loop, occorrenza che avra risvolti rilevanti
nel discutere le proprieta delle veriabili Cefeidi.
Dopo lesaurimento dellHe centrale e lo spengimento della shell di H la maggior parte
delle strutture subisce il 2 dredge up. La convezione superficiale affonda sino a penetrare
nel nucleo di elio, arricchendo di elio la superfice e avendo come conseguenza anche una
diminuzione delle dimensioni in massa del nucleo medesimo. Il nucleo di CO inizia a de-
generare e la produzione di neutrini raffredda le regioni centrali procurando una inversione
della temperatura. In tale fase il parametro evolutivo che regola il raggiungimento o meno
dellinnesco delle reazioni del Carbonio e la massa del nucleo di CO degenere. Occorrono
grandi nuclei di CO per consentire che la loro contrazione fornisca lenergia che, in concor-
renza con le perdite per termoneutrini, consenta di raggiungere linnesco del Carbonio. In
pratica si trova che innescano il C le strutture che giungono a costituirsi un nucleo di CO
di massa M maggiore di 1.1 M .
E immediato collegare tale prescrizione alla storia evolutiva della stella e, con essa, alla
massa della struttura. Le dimensioni del nucleo di CO discendono infatti dalle dimensioni
del nucleo di He nella fase di combustione centrale di He e queste sono a loro volta il
ricordo del nucleo convettivo nella fase di combustione di H. Maggiore dunque la massa
della stella, maggiore - come abbiamo visto - il nucleo convettivo in MS e, attraverso la
catena di eventi ora enunciata - facilitato linnesco del Carbonio. Una simile prescrizione
fornisce anche un criterio per valutare leffetto della metallicita sul valore della massa critica
Mup . Dalla correlazione a suo tempo indicata per le strutture della Sequenza Principale,
secondo la quale al diminuire della metallicita aumenta la massa dei nuclei convettivi, segue
ora direttamente che al diminuire della metallicita viene favorito linnesco del C, spostando
6

Tab. 1. Parametri evolutivi per le strutture di cui alla Fig. 8.4. Ogni riga riporta nellordine: metal-
licita (Z), massa del nucleo convettivo in ZAMS (MM S
cc ), massa del nucleo di elio allesaurimento
dellH centrale (MHe ) e allinizio della combustione di He (MHe
X=0
He ), massa del nucleo convet-
tivo allinnesco dellHe (MHe Y =0
cc ) e le masse del nucleo di elio (MHe ) e del nucleo di CO (MCO )
Y =0

allesaurimento dellHe centrale. Le ultime quattro colonne riportano infine massa del nucleo di CO
e luminosita della struttura al 2 dredge up e al primo pulso termico. Le lineette indicano un mancato
dredge up. Masse e luminosita sono in unita solari.

Z M MMcc
S
MX=0
He MHe
He MHe
cc MYHe=0 MYCO
=0
MDU
CO LDU MTCO
P
LT P
0.02 3 0.60 0.32 0.37 0.22 0.57 0.21 - - 0.55 3.41
0.02 4 0.88 0.40 0.49 0.32 0.79 0.39 - - 0.79 4.12
0.02 5 1.20 0.58 0.64 0.40 1.04 0.44 0.73 3.95 0.87 4.23
0.02 7 1.93 0.90 0.98 0.71 1.59 0.72 0.94 4.17 1.01 4.46
0.02 9 2.63 1.27 1.39 1.03 2.20 1.03 - - C ignition
0.002 3 0.64 0.34 0.39 0.30 0.70 0.30 - - 0.69 3.74
0.002 4 0.98 0.47 0.51 0.42 0.93 0.47 0.73 4.00 0.86 4.17
0.002 5 1.33 0.59 0.64 0.54 1.19 0.57 0.78 4.00 0.91 4.28
0.002 7 2.11 0.88 0.96 0.81 1.73 0.83 1.01 4.25 1.07 4.51
0.002 9 2.97 1.24 1.37 1.11 2.28 1.11 - - C ignition

dunque Mup verso valori minori, almeno sinche si rimanga nel campo di metallicita tipiche
per le normali popolazioni galattiche.
In tale contesto e infine opportuno rilevare come il raggiungimento della massa critica del
nulcleo di CO, e quindi linnesco o meno del C, dipenda anche dallefficienza dei meccanismi
di rimescolamento che hanno operato lungo la storia della struttura, con il trascinamento
del nucleo e la semiconvezione indotta che favoriscono linnesco e il 2 dredge up che invece
lo sfavorisce. La Tabella 1 illustra la catena di avvenimenti che condizionano la massa del
nucleo di CO riportando alcuni parametri significativi per le stelle di cui alla precedente Fig.
8.4.
Come esempio di lettura di tali dati, la Tabella ci dice, ad esempio, che una stella di 5
M , Z=0.02, inizia la sua vita con un nucleo convettivo di 1.20 M che al termine della
combustione di idrogeno si e ridotto a 0.58 M , portato a 0.64 M dalla combustione a
shell di H prima dellinnesco dellelio. Allinizio della combustione di elio la struttura ha un
nucleo convettivo di 0.40 M , che produce al termine della combustione un nucleo di CO
di 0.44 M , mostrando i ridotti effetti del trascinamento del nucleo in queste masse. Nello
stesso tempo il nucleo di elio e stato portato dalla combustione a shell a 1.04 M . La stella
subisce il 2 dredge up e arriva al reinnesco della shell di idrogeno, precursore della fase dei
pulsi termici, con un nucleo di CO di sole 0.87 M , indicando che a tale valore e calato del
nucleo di elio dopo il dredge up. Si notino nella Tabella le alte luminosita raggiunte dalle
stelle al termine della fase di early AGB. In una stella di 7 M di Pop.II il primo precursore
dei pulsi si manifesta a logL/L =4.5, a luminosita ben piu alte che nel caso delle piccole
masse (logL/L 3).
La traiettoria evolutiva delle condizioni centrali, come riportata in Fig. 8.5 per varie
masse e due metallicita, fornisce un utile compendio della storia delle strutture. Come carat-
teristica generale si noti come linnesco della combustione centrale di elio sia segnalato da
una espansione delle regioni centrali, cui corrisponde nel diagramma HR il primo tratto
del loop verso alte temperature efficaci. Nelle fasi evolutive successive una stella di 10 M
a bassa metallicita riesce a mantenersi al di fuori della degenerazione, giungendo ad in-
nescare pacificamente il Carbonio. Diminuendo la massa e/o aumentando la metallicita gli
7

Fig. 8.5. Traiettoria temporale delle condizioni centrali per stelle di varia massa con Y=0.28 e
Z=104 (linee continue) e Z=3 102 (linee a tratti). La linea a punti indica il luogo ove lenergia
prodotta dalla combustione del C eguaglia le perdite per termoneutrini. Le masse delle stelle sono
indicate in M allinizio delle relative tracce. Cerchi o quadrati lungo le tracce segnalano nellordine:
1. Sequenza Principale; 2. Inizio della fase di overall contraction; 3. Innesco della combustione di
elio centrale; 4. Esaurimento dellelio centrale.

effetti della degenerazione finiscono con il prevalere, allontanando le traiettorie dalla curva
di ignizione per imboccare una sequenza di raffreddamento.
Linnesco del Carbonio, che segna il limite superiore delle masse intermedie, avviene
inizialmente in nuclei parzialmente degeneri ove e presente linversione di temperatura in-
dotta dallefficiente produzione di termoneutrini: tale innesco avverra dunque in una shell
tramite una serie di flash. Allaumentare della massa si passera ad un flash centrale e, infine
allinnesco quiescente del C che segna linizio delle Grandi Masse. Non sorprendentemente,
la stelle che innescano il C in ambiente degenere sono quelle che svilupperanno un nucleo di
ONe definitivamente degenere.
Abbiamo piu volte ripetuto come il destino delle masse intermedie, che sviluppano un
nucleo di CO definitivamente degenere, dipenda dalle perdite di massa. Inizialmente, entrate
nel regime di pulsi termici, mostreranno atmosfere arricchite dal 3 dredge up, segnalandosi
come Stelle al Carbonio. Se attraverso il meccanismo dei pulsi termici il nucleo di CO e in
grado di aumentare liberamente, dalla relazione massa del nucleo luminosita si ricava che
a logL/L 4.7 il nucleo raggiunge la massa di Chandrasekhar: ne segue deflagrazione e
incinerimento della struttura. Si ritiene peraltro che durante i pulsi termici intervenga anche
nelle masse intermedie una perdita di massa parossistica (superwind) che liberi la struttura
del proprio inviluppo, lasciando il nucleo di CO degenere di circa 1 M al centro di una
Nebulosa Planetaria.

8.4. Grandi masse: combustione di H e He


Stelle sufficientemente massicce (M 10 - 11 M ) giungono a superare indenni la com-
bustione del Carbonio, procedendo attraverso le successive combustioni di Neon, Ossigeno,
Silicio sino a formare un nucleo di Fe. Abbiamo gia ricordato la sostanziale inosservabilita
delle fasi successive alla combustione dellelio causata dai brevi tempi evolutivi. A conferma
di cio la Tabella 2 riporta una stima dei tempi trascorsi nelle diverse combustioni da una
stella di 25 M , confermando come lo studio delle combustioni avanzate debba essere essen-
zialmente volto alla conoscenza dellevoluzione chimica della materia stellare e ai processi
esplosivi che interessano le strutture finali.
A fronte della breve vita delle grandi masse , non risulta peraltro semplice trovare per
tali strutture opportuni riscontri osservativi anche per le fasi di combustione di H o He. Gli
Ammassi Globulari o Galattici che abbiamo sin qui posto come fondamento delle indagini
8

Tab. 2. Temperature, densita e tempi scala nucleari per una stella di 25 M .

Combustione Temperatura Densita Tempi scala


Idrogeno 5 keV 5 gr/cm3 7 106 anni
Elio 20 kev 700 gr/cm3 5 105 anni
Carbonio 80 kev 2 105 gr/cm3 600 anni
Neon 150 kev 4 106 gr/cm3 1 anno
Ossigeno 200 kev 107 gr/cm3 6 mesi
Silicio 350 kev 3 107 gr/cm3 1 giorno
Collasso 600 kev 3 109 gr/cm3 secondi
Massimo del collasso 3 MeV 101 4 gr/cm3 millisecondi
Esplosione 100-600 kev varie 1-10 secondi

Fig. 8.6. Sinistra: Diagramma CM per lAmmasso Globulare della Grande Nube NGC2004. Destra:
Stesso diagramma ma corretto per un modulo di distanza DM=18.5 e con sovraimposte le tracce
evolutive teoriche per stelle di 2.5 e 16 M . Le stelle del clump indicato dalle frecce sono stelle del
campo della Nube, non appartenenti allammasso,

evolutive offrono al riguardo scarsissime evidenze. Fortunatamente nei pressi della Galassia
si trova la galassia satellite della Grande Nube di Magellano, ove e tuttora attiva le for-
mazione di popolosi Ammassi Globulari. Nel seguito introdurremo dunque il discorso sulle
grandi masse avendo come utile riferimento le evidenze osservative che ci provengono da am-
massi della Grande Nube (Large Magellanic Cloud = LMC) quali quello il cui diagramma
CM e riportato in Fig. 8.6.Come mostrato nel pannello di sinistra della stessa figura, as-
sumendo per LMC un modulo di distanza DM 18.5, troviamo allestremita superiore della
Sequenza Principale stelle di magnitudine V -6, oltre 20000 volte piu luminose del Sole,
a testimonianza della loro appartenenza al campo delle grandi masse.
Da un punto di vista teorico le fasi di combustione dellidrogeno non si discostano qual-
itativamente dalle tipiche evoluzioni guidate dalla combustiome CNO. Allaumentare della
massa aumentano temperatura centrale e luminosita delle strutture, e aumentano le dimen-
sioni in massa dei nuclei convettivi di Sequenza Principale, che in una stella di 20 M e
in dipendenza dalla composizione chimica iniziale, possono arrivare a superare anche le 9
M . Come mostrato nel pannello di destra della precedente Fig.8.6 nel caso di una 16 M ,
allesaurimento dellidrogeno centrale segue - come di norma - una escusrsione verso il rosso.
Le modalita di tale escursione dipendono peraltro dalle assunzioni riguardanti il criterio per
la stabilita convettiva, come espresso o attraverso la formulazione di Schwarzschild o tramite
9

Fig. 8.7. Andamento temporale della temperatura efficace al termine della combustione centrale
di H assumendo per linstabilita convettiva il criterio di Schwarzschild (S) o di Ledoux (L)

Fig. 8.8. Tracce evolutive di grandi masse per i vari indicati valori della massa e della composizione
chinica originaria.

lespressione modificata da Ledoux per prendere in considerazione lintervento dei gradienti


di peso molecolare.
Dalladozione di uno dei due criteri dipende lo svilupparsi (Schwarzschild) o meno
(Ledoux) di una instabilita convettiva alla periferia del nucleo in contrazione allesaurimento
dellidrogeno. Le conseguenze evolutive sono mostrate in Fig.8.7. Adottando il criterio di
Schwarzschild la struttura si sposta lentamente verso la traccia dii Hayashi, andando quindi
a popolare il tratto intermedio. Al contrario, il criterio di Ledoux conduce ad una rapida
escursione alle basse temperature, ove le stelle passerano la loro fase di combustione di elio
sotto forma di Supergiganti Rosse. Al riguardo il diagramma CM di NGC2004 di Fig.8.7
sembra portare una testimoninza decisiva, indicando il criterio di Ledoux come il piu adatto
a rappresentare il comportamento reale delle stelle.
Su tali basi la Fig.8.8 riporta un campione di tracce evolutive per diverse assunzioni
riguardanti le masse e le composizioni chimiche originarie. Si vede come al diminuire della
metallicita vengano favoriti i loop della combustione di elio. E peraltro da avvisare che
qui, come anche nel caso di masse intermedie, lestensione dei loop dipende criticamente da
10

Tab. 3. Temperature centrali per i modelli di 20 M di cui alla Fig.8.8 nella fase di ZAMS e
allesaurimento dellidrogeno.

Z 0.01 0.006 0.003 0.002


TMc
S
30.6 31.5 35.9 37.4
X=0
Tc 65.5 67.5 70.8 72.0

dettagli della modellistica: ad esempio, diverse assunzioni sulla ancora incerta sezione durto
per la reazione 12 C(, )16 O producono sensibili variazioni sullo sviluppo dei loop.
La Fig.8.8 porta per la prima volta alla luce un accadimento che vedremo avere una
valenza ancor piu generale. I modelli a metallicita minore (Z=0.002) non completano
lescursione verso il rosso, innescando lelio e iniziando il loop ancora a temperature rel-
ativamente elevate. Come mostrato in Tabella 3, cio e dovuto al fatto che al diminuire della
metallicita cresce la temperatura centrale dei modelli di ZAMS e crescono ancor di piu le
temerature al momento dellesaurimento dellidrogeno centrale. La conseguenza e un innesco
anticipato dellelio e linterruzione dellescursione verso il rosso. La temperatura centrale dei
modelli di grandi masse e di per se cosi alta che tale innesco anticipato si manifesta gia a
metallicita normali, tipiche di una Popolazione II estrema. Nelle masse intermedie una
simile caratteristica si sviluppera solo a metallicita ancor e talora notevolmente minori. Al
contrario, tale anticipazione si manifestera a metallicita sempre piu alte andando a masse
sempre maggiori nel dominio delle grandi masse.

8.5. Limiti superiori di massa. Quadro riassuntivo


Stelle di grande massa percorrono le fasi di combustione nucleare in pochi milioni di anni,
terminando la loro vita esplodendo sotto forma di Supernova. Strutture molto massicce (M
60-100 M ), se si formano, sfuggirebbero peraltro a tale destiono a causa di una instabilita
che deve manifestarsi alla formazione di nuclei di Ossigeno. A causa delle altissime temper-
ature centrali i fotoni della radiazione divengono sufficientemente energetici per attivare la
produzione di coppie di elettrone nel campo dei nuclei:

e+ + e

Lintervento di una ulteriore particella e necessario per conservare la quantita di moto,


come e subito visto mettendosi nel sistema del baricentro della coppia di elettroni prodotta.
La reazione si sviluppa preferenzialmente con lintervento dei nuclei perche, stante la rela-
tivamente grande massa, contribuiscono al bilancio della quantita di moto assorbendo poca
energia, talche la soglia energetica resta in pratica quella per la produzione delle masse dei
due elettroni E 2me c2 1 Mev. Nel campo di un elettrone tale soglia salirebbe a circa 6
Mev.
Lattivazione del canale di produzione di coppie tende a destabilizzare la struttura: ri-
facendosi al teorema del Viriale ricordiamo come la stabilita richieda che meta dellenergia
guadagnata nella contrazione vada ad aumentare lenergia cinetica delle particelle che com-
pongono la struttura stessa. Leffetto della produzione di coppie e di impedire che lenergia
iniettata nella struttura vada integralmente ad innalzare lenergia cinetica, una parte sempre
maggiore essendo spesa per produrre particelle. Si rompe cos lequilibrio del Viriale e la
struttura collassa.
Piu in dettaglio, partendo dal teorema del Viriale si puo mostrare che una struttura
diventa instabile ogniqualvolta il parametro termodinamico
11

Fig. 8.9. Traiettorie temporali delle condizioni centrali nuclei nudi di ossigeno poste a confronto
con le regioni di instabilita per fotodisintegrazione del Fe o per creazione di coppie..

CP
=
CV
scende sotto il valore di 4/3. In tale quadro lo scenario qualitativo precedente si mate-
rializza nellosservazione che al crescere dellefficienza della produzione di coppie diminuisce
il valore di CV , che tende a zero nel limite in cui tutta lenergia iniettata nella materia vada
in formazione di coppie.
Quando, al crescere della temperatura, il criterio di stabilita viene a risultare violato in
una consistente frazione della struttura, la stella deve contrarre piu velocemente da quanto
richiesto dalle perdite di energia. Ne risulta un aumento dellefficienza della combustione
dellOssigeno ed una incontenuta produzione di energia che finisce col distruggere la strut-
tura. In un tale processo sono possibili produzioni di energia termonucleare anche sensibil-
mente maggiori di quelle prodotte nel collasso da fotodisintegrazione del Fe.
La Fig.8.9 riporta a titolo di esempio i risultati di un indagine compiuta seguendo
levoluzione di nuclei nudi di Ossigeno, considerando cioe in prima approssimazione come
trascurabile linfluenza degli inviluppi piu esterni. Dalla traiettoria evolutiva delle condizioni
centrali, confrontata con la regione di efficienza della produzione di coppie, si evince che
strutture che sviluppano nuclei di Ossigeno sono a 10 M riescono a compiere lintero ciclo
di combustioni sino al Fe. Stelle con nuclei dellordine o maggiori di 30 M sono invece
destinati a penetrare nella zona di produzione di coppie, destabilizandosi.
Definiremo tali strutture, dellordine delle 102 M , come oggetti ultra-massivi, essendo
il termine di oggetti super-massivi gia entrato in letteratura intorno agli anni 60, a des-
ignare supposte strutture di 106 - 107 M indagate, ma poi abbandonate, come possibili
controparti teoriche dellallora recente scoperta dei Quasar. Stelle ultra massive, se si for-
mano, percorrono peraltro in brevissimo tempo lintero loro ciclo evoluttivo e possono far
parte dellUniverso osservabile al piu tramite le loro esplosioni.
Siamo cos giunti al termine di un lungo percorso che ci ha consentito di indagare la
natura e le proprieta degli oggetti stellari disseminati nellUniverso a comporre galassie ed
ammassi di galassie, creando un quadro conoscitivo che riteniamo copra il destino evolutivo
di tutte le possibili strutture di equilibrio che si sono formate e continuamente si formano
dalla condensazione del gas interstellare. La Fig.8.10 riassume graficamente tale quadro, ri-
12

Fig. 8.10. Quadro riassuntivo della storia evolutiva delle struture stellari.

portando la collocazione osservativa assieme ed indicando alcuni caratteristici episodi strut-


turali e il destino finale di opportune strutture rappresentanti i tre tipi di storie evolutive
che siamo andati identificando e che abbiamo raggruppato nelle categorie di stelle di massa
piccola, intermedia e grande.

8.6. Grandi masse: combustioni avanzate


Pur mancando di un diretto riscontro osservativo, lindagine sulla evoluzione di strutture di
grande massa attraverso le fasi di combustione successive a quella dellelio e argomento di
grande rilevanza che ha lobiettivo di giungere ad identificare le caratteristiche strutturali
e la distribuzione delle specie chimiche allinstaurarsi dellinstabilita. Tali strutture di pre-
supernovae rappresentano lingrediente fondamentale per indagare levoluzione temporale
dellinstabilita e, in particolare, per valutare tipo e quantita di materia elaborata nuclear-
mente espulsa nel corso dellesplosione, valutando cosi il contributo delle varie Supernovae
allevoluzione nucleare della materia dellUniverso.
E da avvisare che il calcolo di tali strutture diviene progressivamente sempre piu oneroso
sia per la necessita di valutare il contributo di un sempre maggior numero di concorrenti
reazioni nucleari, sia per il complesso accoppiamento tra reazioni nucleari e mescolamento
convettivo. Orientativamente, ricordiamo che nei calcoli si giunge a seguire levoluzione di
13

Fig. 8.11. Evoluzione temporale delle regioni convettive allinterno di una stella di 15 M compo-
sizione solare, dalle fasi iniziali sino alla strutura di pre Supernova.

parecchie centinaia di isotopi valutando lintervento di migliai di diverse reazioni nucleari.


La complessita dei calcoli e delle relative strutture e ben illustrata in Fig. 8.11, che riporta
levoluzione tenporale delle regioni convettive in una stella di 15 M composizione solare,
dalle fasi iniziali sino alla strutura di pre Supernova. Vi si riconosce facilmente la attesa
regressione delliniziale nucleo convettivo indotto dalla combustione CNO e nella succes-
siva fase di combustione di elio, il nuovo nucleo convettivo in progressivo aumento per il
meccanismo di autotrascinamento.
Dopo lesaurimento dellHe centrale, levoluzione e caratterizzata dalla formazione di
nuovi nuclei convettivi in corrispondenza delle maggiori fasi di combustione di C, Ne, O e
Si e dallalternarsi di episodi di convezione in shell che seguono linnesco delle varie shell di
combustione. Laffondarsi della convezione superficiale dimostra che a partire dal termine
della combustione dellelio e sino alla sua esplosione la stella raggiunge e permane nello stato
di Supergigante Rossa. Strutture a minore metallicita non completano invece lescursione
verso il rosso, ed esploderanno come Supergiganti Blu ad alta temperatura superficiale.
Come gia preconizzato sin dal Capitolo 4 sulla base di principi primi, la struttura
di pre supernova conserva memoria della sua storia nucleare distribuendo in una struttura
a cipolla i prodotti di tutte le passate combustioni. La Fig. 8.12 porta lesempio della
distribuzione delle specie chimica nella struttura di presupernova di una stella di 25 M .
Dallesterno verso linterno si riconoscono prima gli strati incombusti ( 25 < M/M < 10),
seguiti dalle shell con i prodotti di combustione prima dellH, poi dellHe sino alla produzione
del nucleo di 54 Fe.
Labbondanza delle specie chimiche allinterno di una struttura di presupernova non e
peraltro ancora rappresentativa della composizione chimica della materia che verra eiettata
nello spazio a seguito dellesplosione. Ci si attende infatti che tale composizione venga anche
sostanzialmente modificata dal passaggio dellonda durto provaocata dallesplosione medes-
ime, onda che innalza anche di ordini di grandezza le temperature locali provocando un
ultimo episodio di Nucleosintesi Esplosiva.
Notiamo qui che in tale episodio le reazioni nucleari possono seguire strade anche molto
diverse da quelle che abbiamo indagato interessandoci delle combustioni quiescenti. In quelle
condizioni, il fabbisogno energetico della struttura e soddisfatto da una bassa efficienza delle
reazioni e, conseguentemente, abbiamo implicitamente assunto che la bassa frequenza di
reazioni consentisse in ogni caso che gli elementi instabili prodotti durante una catena di
reazioni decadessero prima di subire una reazione di fusione con un ulteriore particella. Nella
14

Fig. 8.12. La distribuzione delle specie chimiche in una struttura di presupernova, calcolata al
momento in cui la velocita massima di collasso nel nucleo causata dallinstabilita per fotodisinte-
grazione del Fe ha raggiunto 1000 km/sec. La massa M e in masse solari.

Fig. 8.13. Distribuzione delle specie chimice nel nucleo della struttura di cui alla precedente figura
dopo la rielaborazione terminale causata dalla nucleosintesi esplosiva.

Nucleosintesi Esplosiva tale condizione viene a cadere, e le reazioni seguono nuovi cammini
di cui abbiamo dato un esempio trattando negli Approfondimenti del Ciclo CNO veloce.
Sfortunatamente, al presente i calcoli idrodinamici non riescono ancora a riprodurre nel
dettaglio la fase del collasso e della conseguente successiva espulsione di strati esterni. Si
ritiene che nel collasso gli strati esterni ad un nucleo centrale neutronizzato dovrebbero
finire col venire riflessi a causa dellenergia proveniente dal centro della struttura, ed eiettati
da cio che resta della stella. In linea generale, e infatti da notare che qualunque meccan-
ismo che consenta di trasferire allinviluppo anche pochi percento dellenergia prodotta dal
nucleo collassante giunge inevitabilmente ad invertire il collasso dellinviluppo medesimo,
trasformandolo in una esplosione.
In assenza di una descrizione dettagliata, la nucleosintesi esplosiva viene investigata va-
lutando con vari argomenti la parte del nucleo sopravvivente allesplosione e provocando
lespulsione degli strati al di sopra di tale nucleo con vari artifici, quali una improvvisa
iniezione di energia o una perturbazione con effetto di pistone. Si ritiene peraltro che i
risultati, quali quelli presentati in Fig. 8.13 siano largamente significativi.
Con riferimento alla citata figura e con riferimento alle piu macroscopiche modificazioni,
si puo notare come giusto allesterno del nucleo neutronizzato la nucleosintesi esplosiva del
Silicio conduca ad una completa distruzione del Si con produzione di 56 Ni. Piu allesterno,
dalla combustione incompleta del Si originano strati ricchi di Si, S, Ca e Ar. Aggiungiamo
15

solo che i calcoli dettagliati forniscono valutazioni dettagliate sullabbondanza dei diversi
isotopi dei vari elementi, valutazioni che esulano dai limiti della presente esposizione, ma
che sono alla base di interessantissimi capitoli dellAstrofisica Nucleare basati sul confronto
con labbondanza naturale di quegli isotopi.
Il destino del nucleo della Supernova dipende dalla sua massa. Se inferiore alla massa
critica per strutture di neutroni degeneri esso permarra sotto forma di una Stella di Neutroni
dal diametro dellordine della diecina di km. In tal caso, stante la necessaria conservazione
del momento angolare, e facile prevedere come tali strutture possano diventare rapidissimi
rotatori, e non stupisce riconoscere tali strutture nelle Pulsar, emettitori radio con periodi
dei segnali (e della rotazione) anche notevomente minori al secondo.
Per masse maggiori, non paiono esistere meccanismi fisici in grado di fermare il collasso
gravitazionale, e la materia appare destinata a proseguire il collasso raggiungendo il suo
Raggio di Schwarzschild, scomparendo dallUniverso osservabile sotto forma di Buca Nera.
16

Fig. 8.14. Collocazione nel diagramma HR di modelli in fase iniziale di combustione di elio
al variare delleta. Per i vari modelli sono riportati massa (masse solari), eta (miliardi di anni),
abbondanza di elio superficiale e massa del nucleo di He. Per i vari modelli sono riportate anche
le tracce evolutive in fase di combustione centrale di He e gli spostamenti del modello iniziale per
perdite di massa multiple di 0.1 M .

Approfondimenti

A8.1. Strutture Not-too-old in combustione di He


Abbiamo visto come allinizio della combustione di elio i modelli che portano alla transizione RGT
si dispongano al variare della massa, e quindi delleta, lungo una sequenza che raggiunge un minimo
nella temperatura efficace per poi tornare verso alte temperature incrementando leggermente la
loro luminosita. Possiamo trovare una ragione per tale andamento sulla base di semplici consider-
azioni strutturali svolte in analogia a quanto discusso nel caso delle ZAHB. Nel caso delle ZAHB il
parametro libero era la perdita di massa, qui assumiamo come parametro libero leta della struttura.
E subito evidente che per eta opportunamente alte ci attendiamo in combustione di elio stelle
di massa poco superiore alla massa del nucleo elettronicamente degenere. Stelle quindi con shell di
idrogeno poco efficiente, che si devono collocare ad alte temperature in prossimita della Sequenza
Principale dellHe. Al diminuire delleta cresce la massa della struttura e cresce con essa la massa
dellinviluppo di H: la shell di combustione dellH diviene sempre piu efficiente e la stella si sposta
verso la sua traccia di Hayashi. Si puo comprendere peraltro come tale processo non possa continuare
indefinitamente. Al progressivo aumentare dellinviluppo di H la produzione di energia della shell
si viene peraltro a trovare in regioni sempre piu interne, cosi che comincia sempre piu ad essere
sentita dalla stella come una combustione centrale e la stella riguadagna il suo cammino verso le
alte temperature.
Accenni ad un simile comportamento si trovano gia allestremita rossa di alcune ZAHB. La Fig.
8.14 mostra in dettaglio la distribuzione dei modelli che nel caso Z=104 coprono il minimo in
temperatura efficace di cui andiamo discutendo. Nella stessa figura vengono riportati i parametri
evolutivi dei vari modelli: massa, eta, abbondanza di He nellinviluppo (dopo il primo dredge up) e
massa del nucleo di He allinnesco della reazione 3. La stessa figura riporta anche le tracce evolutive
dei vari modelli nella fase di combustione di He centrale e la distribuzione dei modelli iniziali per
perdite di massa multiple di 0.1 M .
17

Fig. 8.15. Modelli evolutivi di HB per stelle metal-deficient originate da un progenitore di 1.0
M . Si noti il turn over della ZAHB che segnala la massima escursione dei modelli verso il rosso.
Le linee a tratti delimitano la regione di instabilita per pulsazioni radiali delle variabili di tipo RR
Lyrae.

E subito visto che per eta dellordine di quelle degli Ammassi Globulari galattici (11-12 Gyr)
anche in assenza di perdita di massa le stelle in combustione di elio si collocherebbero sul ramo
inferiore, prima del minimo in temperatura efficace. In tal caso, come abbiamo gia visto, anche
contenute perdite di massa sono in grado di aumentare notevolmente la temperatura efficace delle
strutture, creabdo i ben noti Rami Orizzontali. Il quadro cambia notevolmente andando ad eta
minori, quali quelle rilevanti non solo per alcuni ammassi stellari galattici di vecchio disco, ma per
Ammassi Globulari nelle Nubi di Magellano e per le popolazioni stellari in alcune Galassie Nane
del Gruppo locale.
Diminuisce infatti notevolmente la sensibilita alla perdita di massa e la traiettoria dei modelli a
massa variabile segue in qualche maniera i precetti delineati in precedenza: ne segue in particolare
che la perdita di massa cessa di essere in grado di portare le strutture verso le alte temperature.
I Rami Orizzontali restano quindi una prerogativa delle popolazioni stellari, quali gli Ammassi
Globulari galattici, con eta dellordine di quella dellUniverso (Tempo di Hubble).
Non sorprendentemente, in tale escursione delle strutture pre-transizione verso il rosso il minimo
di temperatura efficace dipende sensibilmente dalla metallicita: diminuendo la metallicita le stelle
restano piu calde. al Fig. 8.15 mostra come scendendo a valori esteremamente bassi di Z il turn
over dei modelli raggiunga temperature dellordine 104 K, accadimento che puo essere messo in
relazione con le diminuita efficienza della shell di combustione dellidrogeno. Come discuteremo in
uno dei capitoli seguenti, cio avra rilevanti conseguenze sulle predizioni concernenti lapparizione di
stelle variabili nelle popolazioni piu povere di metalli.

A8.2. La Red Giant Transition


Una estrema sottoabbondanza di metalli ha conseguenze rilevanti anche sui parametri della Red
Giant Transition. Il pannello di sinistra della Fig. 8.16 mostra landamento della luminosita
allinnesco dellelio (tip delle Giganti Rosse) al variare della massa stellare per diverse valori
di sottoabbondanza. La luminosita in oggetto e un ulteriore parametro che segnala la transizione:
18

Fig. 8.16. Pannello di sinistra: andamento della luminosita al tip delle Giganti Rosse al variare
della massa attraverso la RGT per gli indicati valori di metallicita. Pannello di destra: come nel
pannello di sinistra ma in funzione dei tempi allinnesco dellelio.

Tab. 4. Parametri evolutivi per modelli stellari al minimo della transizione per diverse assunte
metallicita. Per ogni Z sono riportati la massa Mmin al minimo del nucleo di He, in masse solari,
il suo tempo evolutivo (milioni di anni), la massa del nucleo di He M min
c e la luminosita di tip
Lmin
tip . ambedue in unita solari.

Z 1010 106 104 4 103 102 4 102


Mmin 1.5 1.9 2.4 2.5 2.6 2.9
tmin 4500 2650 769 636 612 531
M min
c 0.29 0.34 0.32 0.33 0.33 0.33
Lmin
tip 2.04 2.15 2.11 2.26 2.31 2.27

Fig. 8.17. Variazione con il tempo dellabbondanza relativa di stelle in fase di combustione a shell
di H (subgiganti e giganti) o in fase di combustione centrale di elio. Il tempo t e in milioni di anni.

allaumentare delle masse attraverso la transizione tale luminosita diminuira seguendo la progres-
siva scomparsa del Ramo delle Giganti Rosse , raggiungendo un minimo in corrispondenza del
minimo valore del nucleo di elio, per poi risalire seguendo laumento delle masse stellari e delle loro
luminosita evolutive.
Il pannello di destra della stessa figura mostra ancora la luminosita di tip ma in funzione del
tempo allinnesco dellelio. Dai dati in figura si trae levidenza che popolazioni sottoabbondanti di
metalli possono sperimentare la RGT a masse notevolmente minori e, conseguentemente, a tempi
notevolmente maggiori di una normale popolazione stellare, sviluppando un Ramo delle Giganti
Rosse solo dopo alcuni miliardi di anni. La Tabella 8.16 riporta alcuni parametri caratterisatici
della RGT per metallicita che coprono lintervallo da Z= 1010 al valore soprasolare Z= 4 102 .
19

Tab. 5. Per le varie masse M (in masse solari) ogni riga riporta nellordine la massa del nucleo di
He e leta allinnesco dellelio centrale seguite dai tempi di vita nelle fasi d combustione a shell di
idrogeno, combustione centrale di elio e early AGB.

H He
M Mc t(flash) shell central He shell
1.0 0.472 13527 1982 118 10
1.2 0.471 6851 986 111 10
1.5 0.470 3105 632 117 10
2.0 0.444 1158 137 130 11
2.3 0.341 740 58 260 25
2.5 0.330 573 33 231 23
3.0 0.363 341 14 136 13

Fig. 8.18. Evoluzione delle condizioni centrali di stelle di varia massa dalla fase di presequenza
sino alle fasi evolutive avanzate.

Per indagare infine con qualche maggiore dettaglio le modalita della transizione riportiamo in
Tabella 5 una selezione di tempi evolutivi per una serie di masse di composizione solare a cavallo
della transizione. Sulla base di tali dati la Fig.8.17 mostra la variazione con il tempo dellattesa
abbondanza relativa di stelle in fase di combustione a shell di idrogeno o combustione centrale di
elio. Se ne ricava levidenza di come alle minori eta le fasi post MS siano dominate dal clump delle
stelle nella combustione centrale di elio. La transizione avviene a circa 1 Gyr, quando giungono al
flash le stelle di 2.0 M .

A8.3. Nuclei degeneri. Pulsi termici. Biforcazione del Carbonio.


Allorquando in una struttura stellare si sviluppa un nucleo degenere levoluzione delle condizioni
interne appare largamente condizionata dalle caratteristiche del nucleo stesso. Unevidenza di cio
proviene dalla esistenza di una relazione massa del nucleo-luminosita sia per le Giganti Rosse
di piccola massa, con nucleo di He degenere, che per piccole masse e masse intermedie in fase di
AGB. A titolo di esempio la Fig. 8.18 riporta levoluzione temporale delle condizioni centrali di un
campione di masse stellari, mostrando come le strutture con nuclei degeneri di He convergano verso
ununica sequenza temporale.
Strutture con nucleo di CO degenere sono fatalmente destinate a innescare pulsi termici. Il
termine della fase di early AGB e linnesco dei pulsi e segnalato da alcuni eventi precursori, quali
una rinnovata efficienza della shell di idrogeno e alcuni lievi massimi secondari nellevoluzione della
luminosita della struttura. Ancora a titolo di esempio la Fig.8.19 mostra landamento di tale lu-
minosita in un modello di 2.5 M di composizione chimica solare. Si puo notare come la crescita
continua della luminosita assuma gradatamente un andamento oscillante sino a innescare il primo
vero e proprio pulso che, dopo un transiente riaggiustamento, da inizio ad una sequenza omogenea di
successivi pulsi. Si noti al riguardo anche la relativamente bassa luminosita alla quale si sviluppano
i pulsi rispetto alle strutture piu massicce.
20

Fig. 8.19. Andamento temporale della luminosita nella fase di innesco dei pulsi termici in un
modello di 2.5 M di composizione solare.

Fig. 8.20. Evoluzione temporale delle temperature centrali e delle temperature massime in una
serie di modelli con Z=8 103 a cavallo dei limiti per linnesco del Carbonio.

La Fig.8.20 mostra infine come linnesco del Carbonio si presenti come una vera e propria
biforcazione nel destino evolutivo delle strutture stellari. A densita logc 6 al centro di tutte le
strutture inizia a prevalere la produzione di neutrini, provocando una inversione di temperatura ed
il progressivo raffreddamento delle regioni centrali. La temperatura continua peraltro a crescere in
una shell intermedia, sinche avviene la netta e brusca separazione tra le strutture che innescano e
quelle che raffreddano.

A8.4. Modelli con Overshooting invasivi.


Nel trattamento della convezione adottato nel testo, si e esplicitamente assunto che ai bordi
delle zone convettive esista una regione di overshooting di estensione trascurabile. La presenza
dellovershooting si manifesta dunque in tale modellistica classica solo nella fasi di conbustione
dellelio attraverso i meccanismi del trascinamento del nucleo convettivo e nelle successiva fase di
semiconvezione. Attorno agli anni 80 fu peraltro avanzata da alcuni ricercatori lipotesi di over-
shooting invasivi, cioe con dimensioni non trascurabili. In assenza di una teoria al proposito,
lestensione di tali overshooting viene ad assumere laspetto di un parametro libero ed e usualmente
espressa in unita di quella lunghezza di scala di pressione HP che appare anche nel trattamento
della convezione superadiabatica, ponendo l= HP .
La reale efficienza di tale meccanismo, peraltro ignorato nella formulazione dei Modelli Solari
Standard, e stata loggetto di un lungo dibattito che si prolunga sino al presente. Le varie evidenze
osservative di volta in volta invocate in supporto del fenomeno sono talora risultate incosistenti e, nel
tempo, le estensioni di overshooting adottate sono progressivamente scese da 1 a 0.25. Notiamo
qui che unestensione dellorine do 0.1 HP produce modelli che che cominciano a confondersi con lo
scenario classico.
Da un punto di vista generale e facile prevedere le conseguenxe di un efficiente overshooting
invasivo, che si traduce in accresciute dimensioni delle regioni rimescolate ed omogeneizzate dai
21

Fig. 8.21. Tracce evolutive di una struttura di 4.0 M come calcolate seguendo le segnalate
assunzioni sullefficienza di overshooting invasivi.

nuclei convettivi. Piccole masse in fase di combustione di idrogeno, essendo prive di nuclei convettivi,
risultano quindi immuni dallintervento da tali extra rimescolamenti, che invece interesseranno i
nuclei convettivi della fase di combustione di elio e le strutture in combustione sia di H che di He
in masse intermedia e grandi. Conseguentemente, un efficiente overshooting produce nelle piccole
masse solo unallungamento della fase di HB proporzionale al combustibile portato nel nucleo di
combustione di elio e, dunque, alle dimensioni di overshooting adottate.
In masse intermedie e grandi lovershooting modifica invece gia le strutture di ZAMS, generando
una catena di conseguenze che possono essere riassunte nei seguenti punti:

1. Si prolunga la vita in fase di combustione centrale di H, con modifiche della traccia di uscita
dalla ZAMS.
2. Allesaurimento dellH centrale la struttura ha nuclei di He piu massivi e, di conseguenza, si
abbassa il valore della massa critica per la RGT.
3. Le stelle si presentano in fase di combustione di elio centrale con nuclei di elio piu massivi
risultando piu luminose e con vite medie piu brevi.
4. Le strutture sviluppano infine nuclei di CO piu massivi, di conseguenza, scende il valore di Mup .

che rappresentano, nel contempo, le caratteristiche osservative sulle quali e possibile in linea di
principio verificare e/o calibrare lefficienza dellovershooting.
La Fig.8.21 riporta un esempio di tale comportamento, mettendo a confronto la traccia evolutiva
di struttura di 4 M calcolata con le assunzioni classiche con tracce per la stessa struttura ma
calcolate assumendo unestensione dellovershooting pari a 0.10 o 0.25 HP .
Per ovviare ad alcune inconsistenze, nei calcoli recenti sono stati introdotti approcci piu arti-
colati, ad esempio inibendo del tutto lefficienza dellovershooting per masse minori od eguali a 1
M , ad evitare le predizioni di un nucleo convettivo nellattuale Sole, aumentando gradatamente
il valore di tale perametro portandolo in piena, seppur moderata, efficienza per stelle di massa
1.5 M . La modellistica e ulteriormente complicata dalla coerente introduzione di un parallelo un-
dershooting alla base degli inviluppi convettivi, anchesso modulato in termini di HP , seppur con
valori autonomi ed in genere diversi da quelli utilizzati per la convezione interna.

A8.5. Strutture deficienti in metalli e Mup


Le stelle, a parita di massa, al diminuire dei metalli risultano progressivamente piu calde, allu-
dendo con cio alla predizione di maggiori temperature centrali. Ne segue, come discusso in altro
punto, una corrisponente diminuzione della massa della RGT. Nel caso delle grandi masse, per Z
0.002 ne segue anche una accelerazione della combustione dellelio, il cui innesco avviene prima che
la struttura raggiunga la sua traccia di Hayashi. E facile comprendere come tale effetto scali con
le masse: masse minori hanno temperature centrali minori e e saranno necessarie minori metallicita
22

Fig. 8.22. Tracce evolutive per masse intermedie con metallicita Z= 104 .

Fig. 8.23. Evoluzione temporale dei nuclei convettivi in strutture con Z=1010 e gli indicati valori
delle masse. In ascissa la concentrazione di idrogeno al centro Xc .

per innalzare sufficientemente le temperature e produrre linnesco anticipato. In effetti la Fig. 8.22
mostra come scendendo a Z=104 anche le masse intermedie mostrano un simile comportamento.
A metallicita ancora minori, piccole masse anticiperanno linnesco dellelio diminuendo progressiva-
mente la luminosita del tip del Ramo delle Giganti.
Leffetto della metallicita sul valore di Mup e piu complesso. Linnesco della combustione del
Carbonio resta infatti collegato alle dimendioni del nucleo di CO e tali dimensioni risultano an-
che dal tipo di reazioni che hanno sorretto la fase di combustione dellidrogeno. Diminuendo la
metallicita a partire da valori solari, a parita di massa aumentano i nuclei convettivi e diminuisce
corrispondentemente il valore di Mup . Al progressivo diminuire di Z inizia pero ad essere progressi-
vamente sfavorita la combustione CNO, che e allorigine dei nuclei convettivi, a favore della catena
pp. Cio riduce la dimensione dei nuclei convettivi, sfavorendo linnesco del Carbonio ed innalzando
nuovamente il valore di Mup .
Come caso limite, la Fig.8.23 riporta la storia dei nuclei convettivi in strutture di masse interme-
die e grandi con Z=1010 . In tutti i casi, la ricrescita della convezione nel corso della combustione
centrale di idrogeno corrisponde allintervento della reazione 3 con la conseguente produzione di
Carbonio fresco che incentiva un passaggio verso la combustione CNO. Le conseguenze su Mup
sono mostrate in Fig. 8.24: in strutture deficienti in metalli il valore di Mup risale sensibilemte. Se a
23

Fig. 8.24. Andamento di Mup al variare delaa metallicita .

cio corrispondesse anche una diminuzione della perdita di massa, forse masse intermedie delle prime
popolazioni stellari potrebbero non terminare le loro vitsa come Nane Bianche di CO, ma subire la
deflagrazione del Carbonio.

A8.6. Il bilancio del viriale ed il criterio di stabilita delle strutture


Dal teorema del Viriale, per una struttura quasi stabile deve valere

2T + = 0
con lormai usuale significato dei simboli. Si puo indagare piu a fondo il bilancio energetico della
struttura ricordando ( A2.1) che lenergia interna per particella risulta
n
u= kT
2
dove n e il numero di gradi di liberta. Per lenergia cinetica della particella si ha in particolare
3
w= kT
2
da cui
3 3 2
w=u = ( )u
n 2 n
Ponendo = 1 +2/n, -1= 2/n e per lenergia cinetica si ha la forma
3
w= ( 1)u
2
Dalla termodinamica elementare si ricava facilmente che e il rapporto CP /CV dei calori
specifici a pressione o volume costanti.
La precedente relazione tra energia cinetica ed ebergia totale della materia consente di ricavare
un dettagliato bilancio energetico del processo di contrazione. Lenergia totale posseduta dalla
struttura risultera infatti, ponendo U = i ui

E =U +
ma per il viriale, risultando T=i wi , deve anche valere

3( 1)U + = 0
da cui si ricava in definitiva
24

3 4
E=
3( 1)
Per una contrazione, d < 0, e le due precedenti relazioni forniscono

3 4
dE = d
3( 1)
1
dU = d
3( 1)
Ne segue che per > 4/3 la contrazione comporta una diminuzione di E: e questa lenergia
disponibile per essere irradiata. Nel contempo la contrazione implica un aumento di U, confermando
che in tal caso la contrazione aumenta lenergia interna e con essa lenergia cinetica della struttura.
Per un gas perfetto monoatomico = 5/3, W = U, e si riconosce come meta dellenergia
guadagnata dalla contrazione vada in energia cinetica delle particelle e meta venga irradiata. E
subito visto che al diminuire di aumenta la frazione di energia gravitazionale che deve essere
immagazzinata come energia interna per mantenere lequilibrio. Al limite = 4/3 (gas di fotoni)
tutta lenergia guadagnata dalla contrazione deve andare in energia interna.
Le precedenti considerazioni forniscono agevolmente un criterio di stabilita per la struttura.
Sinche > 4/3 resta possibile lequilibrio di una struttura stellare, in quanto lenergia guadagnata
nella contrazione e sufficiente per innalzare adeguatamente lenergia interna e soddisfare le richieste
del viriale. Per < 4/3 cio non e piu possibile: lenergia guadagnata dalla contrazione diventa
minore di quella necessaria per mantenere lequilibrio idrostatico e si deve manifestare una instabilita
gravitazionale. La condizione > 4/3 e quindi condizione necessaria per la stabilita delle strutture
stellari.

A8.7. La storia gravitazionale


Nel seguire la storia evolutiva delle strutture stellari abbiamo di volta in volta posto in luce
lintervento della gravitazione come elemento centrale che guida la contrazione ed il riscaldamento
della materia di cui le stelle sono composte. E restato peraltro in secondo piano il reale contributo
di energia con cui il campo gravitazionale ha contribuito al bilancio energetico generale.
E dunque interessante esplorare la storia gravitazionale delle strutture stellari, come ricavabile
dallandamento temporale dell energia di legame gravitazionale
Z
Mr
=G
r
.
che fornisce in ogni istante il bilancio dellenergia prodotta lungo tutta la precedente storia della
stella a spese del campo gravitazionale.
La Fig. 8.25 riporta nel pannello inferiore un esempio di tali andamenti nel caso di una stella
di 5 M di composizione solare, seguita dalla Sequenza Principale sino alle fasi avanzate di AGB
lungo la traccia riportata nel pannello superiore della stessa figura.
Se ne trae la sorprendente evidenza di quanto lintervento dellenergia nucleare, intrecciandosi
con le condizioni strutturali, finisca con il modificare la semplice pittura che avevamo a suo tempo
derivato dal Teorema del Viriale. In effetti la Fig. 8.25 mostra che, in totale, lenergia gravitazionale
della struttura rimane per lungo tratto delevoluzione addirittura minore di quella del modello di
MS, finendo con laumentare sensibilmente solo durante la fase di crescita del nucleo degenere di
CO durante la fase di AGB.
La storia di una stella, come dipinta dal Viriale, e dunque largamente una storia dei nuclei
stellari, mentre le varie e successive espansioni degli inviluppi tendono a bilanciare le variazioni
dellenergia totale gravitazionale. Come mostrato in Fig. 8.26 , la storia gravitazionale di una pic-
cola massa quale il Sole, risulta ancor piu lineare, con le fasi di combustione centrale a legame
sensibilmente costante, laumento di legame durante le fasi di combustione a shell e levidente es-
pansione causata dal flash dellelio e il conseguente riaggiustamento della stella in una struttura di
25

Fig. 8.25. Pannello superiore: Traccia evolutiva di una stella di 5 M e composizione chimica
solare. Pannello inferiore: Andamento temporale dellenergia dii legame della struttura di cui al
pannello superiore. Le frecce indicano alcune fasi evolutive.

Fig. 8.26. Andamento temporale dellenergia di legame di una struttura di 1M seguita dalla fase
iniziale di Sequenza pPrincipale sino alle fasi avanzate di Ramo Asintotico. .

HB. In passim, dai dati in figura, si ricava facilmente che lantica evidenza per la quale lenergia
gravitazionale del Sole potrebbe sostenere lattuale luminosita per meno di 108 anni.
Come accenato in precedenza, il motore di tutta levoluzione delle strutture stellari resta peraltro
e in ogni caso la gravitazione, il cui contributo energetico e allorigine della serie di complessi
fenomeni che caratterizzano la vita delle strutture stellari e che, sola, riesce a risvegliare lenergia
latente nei nuclei per porla a disposizione della stella.
26

Origine delle Figure

Fig.8.1 Castellani V., Chieffi A., Pulone L., Tornambe A. 1985, ApJ 283, L89
Fig.8.2 Castellani V.,DeglInnocenti S.,Girardi L., Marconi M.,Prada Moroni P.G.,Weiss A. 2000, A&A 354,150
Fig.8.3 Castellani V.,DeglInnocenti S.,Girardi L., Marconi M.,Prada Moroni P.G.,Weiss A. 2000, A&A 354,150
Fig.8.4 Castellani V., Chieffi A., Pulone 1990 ApJS 74, 463
Fig.8.5 Alcock C., Paczynski B. 1978, ApJ 223, 224
Fig.8.6 Bencivenni D., Brocato E., Buonanno R., Castellani V. 1991, AJ 102, 137
Fig.8.7 Brocato E., Castellani V. 2003, ApJ 410, 99
Fig.8.8 Brocato E., Castellani V. 2003, ApJ 410, 99
Fig.8.9 Barka T.S. 1977, in Supernovae, O.N. Schramm ed., Reidel Publ. Comp.
Fig.8.10 Iben I.Jr. 1980, in Physical Processes in Red Giants, Reidel Publ. Comp.
Fig.8.11 Limongi M., Chieffi A., Straniero O. 2001, Mem. Soc. Astron. It. 72, 289
Fig.8.12 Woosley S.S., Weawer S.E. 1982, in Essays in Nuclear Astrophysics, Cambridge University Press.
Fig.8.13 Woosley S.S., Weawer S.E. 1982, in Essays in Nuclear Astrophysics, Cambridge University Press.
Fig.8.14 Castellani V.,DeglInnocenti S. 1995, A&A 298, 827
Fig.8.15 Cassisi S., Castellani V., Tornambe A. 1996, ApJ 459, 298
Fig.8.16 Cassisi S., Castellani V. 1993, ApJS 88, 509
Fig.8.17 Castellani V., Chieffi A., Straniero O. 1992, ApJS 78, 517
Fig.8.18 Iben I.Jr. 1973, in Explosive Nucleosynthesis, D.N. Schramm ed., Univ. Texas Press
Fig.8.19 Castellani V., Chieffi A., Straniero O. 1992, ApJS 78, 517
Fig.8.20 Castellani V., DeglInnocenti S., Marconi M., Prada Moroni P.G. Sestito P. 2003 A&A 404, 645
Fig.8.21 Castellani V., DeglInnocenti S., Marconi M., Prada Moroni P.G. Sestito P. 2003 A&A 404, 645
Fig.8.22 Cassisi S., Castellani V. 1993, ApJS 88, 509
Fig.8.23 Cassisi S., Castellani V. 1993, ApJS 88, 509
Fig.8.24 Cassisi S., Castellani V. 1993, ApJS 88, 509
Fig.8.25 Castellani V., Marconi M. unpublished
Fig.8.26 Castellani V., Marconi M. unpublished
Capitolo 9

Riscontri e problematiche osservative

9.1. Calibrazione e validazione dello scenario teorico


La catena di argomentazioni che siamo andati sviluppando ci autorizza ad interpretare in
termini dei parametri fondamentali eta e composizione chimica originaria lo stato evo-
lutivo di una qualsivoglia struttura stellare, consentendoci in particolare di interpretare in
termini di isocrone la distribuzione di fasi ecolutive osservata nei diagrammi CM degli
ammassi stellari. Tali diagrammi rappresentano nella maggior parte dei casi il dato speri-
mentale di cui le teorie sono chiamate a rendere conto, con il duplice obiettivo di verificare,
innanzitutto, ladeguatezza del quadro teorico stesso e, su tali basi, di desumerne i paramteri
evolutivi degli ammassi stellari in esame.
Per fare luce sulla gran varieta di valutazioni evolutive apparse in letteratura conviene
innanzitutto richiamare e precisare alcuni aspetti fondamentali dellapproccio teorico. Da
un punto di vista generale, la creazione di uno scenario teorico riposa sul calcolo di linee
evolutive (le tracce evolutive) che costituiscono lingrediente di base per giungere alla predi-
zione delle relative isocrone. Per giungere a confronti quantitativamente significativi con
le osservazioni occorre peraltro forgiare lo strumento evolutivo operando una scelta tra
le molte opzioni sulle quali riposa il calcolo di un qualunque modello stellare. Per porre
tale problematica sulle sue giuste basi osserviamo innanzitutto che, almeno sinche si ri-
mane nel campo delle strutture stellari a simmetria sferica, il sistema delle cinque condizioni
dellEquilibrio appare fornire una descrizione esauriente del sistema fisico e, in quanto tale,
viene universalmente adottato nei calcoli evolutivi.
Aggiungiamo ora che il metodo di soluzione di tali equazioni, basato sul rilassamento di
una soluzione di prova (metodo di Henyey), fornisce risultati singolarmente robusti. Abbiamo
infatti a suo tempo indicato come procedure inaccurate possano eventualmente influenzare
la velocita di convergenza o il suo stesso reggiungimento: se e quando si raggiunge la conver-
genza le funzioni sono peraltro la corretta soluzione del sistema, indipendentemente da ogni
altra considerazione. In programmi di calcolo ragionevolmente impostati, variazioni nel trat-
tamento numerico (numero dei mesh, spaziatura dei passi temporali, etc) hanno una minore
influenza, talche appare lecito concludere che i modelli stellarti non dipendono dai partico-
lari programmi di calcolo ma che, invece, un modello stellare e tanto piu adeguato e migliore
quanto piu adeguato e migliore e il trattamento degli ingredienti fisici che intervenfono nel
calcolo del modello.
Possiamo richiamare i vari ingredienti fisici che entrano o che eventualmente si sopetta
possano entrare in un modello stellare, dividendoli in due categorie:

1
2

1. Meccanismi microscopici: 1. Equazione di Stato (EOS) per il plasma stellare, 2. Opacita


radiativa ed eventuale conduzione elettronica, 3. Produzione di energia, ivi compresa la
produzione di termoneutrini.
2. Meccanismi macroscopici: 1. Convezione superadiabatica, 2. Diffusione, 3. Overshooting
invasivo, 4. Breathing pulses.

Abbiamo piu volte ricordato come la valutazione dei meccanissmi fisici microscopici
(prima categoria) coinvolga valutazioni sia teoriche che sperimentali anche di notevole com-
plessita e difficolta. Conseguentemente la capacita di predire il comportamento fisico del
plasma stellare e andata progressivamente affinandosi con il tempo, con un parallelo adegua-
mento e perfezionamento della modellistica stellare. Per quel che riguarda la seconda cat-
egoria dei meccanismi macroscopici, la modellistica puo includere o meno diffusione, over-
shooting invasivo o breathing pulses, mentre la convezione superadiabatica, quando trat-
tata tramite lalgoritmo della mixing length, richiede la calibrazione del parametro libero
lunghezza di rimescolamento.
A fronte di una tale varieta di opzioni, appare chiaro che il puro e semplice output di
un programma di calcolo evolutivo, per essere usato per valutazioni quantitative, richiede di
essere validato e calibrato. Abbiamo a suo tempo indicato come leliosismologia fornisca un
primo e prioritario strumento di validazione, talche la modellistica che non abbia passato il
test solare dovrebbe essere guardata perlomeno con sospetto. Discutendo di grandi masse,
abbiamo anche posto in luce come la validazione richieda ladozione del criterio di instabilita
di Ledoux. Sono questi solo due esempi di come le varie fasi evolutive offrano una varieta
di occasioni di validazione che non possono essere trascurate quando si vogliano raggiungere
risultati affidabili.

9.2. Ammassi di disco e masse intermedie


In questa, come nelle seguenti sezioni di questo capitolo, intendiamo proporre una serie
di esempi che illustrino almeno nelle loro linee fondamentali le numerose problematiche
connesse allutilizzazione dello strumento evolutivo, al fine di porne in luce le potenzialita
ma anche i limiti e le eventuali assunzioni. Inizieremo dal caso degli ammassi stellari in
prossimita del Sole, che rappresentano un campione privilegiao per la raggiunta solidita dei
relativi dati osservativi. Per lungo tempo il confronto tra teoria ed osservazioni era rimasto
infatti solo parzialmente significativo a causa dellassenza di informazioni sulla distanza degli
ammassi e, di conseguenza, sulla magnitudine assoluta delle stelle.
Il satellite astrometrico Hipparcos, lanciato nel 1989, ha finalmente colmato tale lacuna,
consentendo di determinare trigonometricamente la distanza di alcuni degli ammassi stellari
piu vicini al Sole. La Fig.9.1 pone a confronto il diagramma CM dellammasso delle Iadi,
gia a suo tempo riportato in Fig. 1.6, con le isocrone teoriche prodotte utilizzando modelli
classici (no overshooting invasivo, no breathing pulses) basati sui piu recenti ingredienti di
microfisica testimoniati in letteratura a tutto il 2004. Si noti che per eta inferiori a qualche
miliardo di anni gli effetti della diffusione risultano in ogni caso negligibili.
Nella stessa figura sono riportati anche i dati osservativi per un altro ammasso aperto
in vicinanza del Sole, la Pleiadi, anchessi confrontati con le relative predizioni teoriche.
Iniziamo con losservare che il confronto della teoria con i dati osservativi richiede che lo
strumento evolutivo, che fornisce lisocrona nel diagramma HR teorico nel piano logL, logTe ,
sia ulteriormente integrato da opportune relazioni che colleghino logL, logTe alle magnitudini
e colori nelle prefissate bande usate nellosservazione.
I dati in figura mostrano che utilizzando aggiornate valutazioni di tali due ingredienti
la teoria appare in confortante accordo con le distribuzioni osservate. Evidenza tanto piu
solida in quanto la figura stessa mostra come le assunzioni sul valore della mixing length non
3

Fig. 9.1. Diagrammi CM per le stelle degli ammassi aperti Iadi e Pleiadi. In ascissa e ordinata
sono riportati rispettivamente i colori intrinseci e le magnitudini assolute. Le linee riportano le
isocrone teoriche per gli indicati valori di metallicita dei due ammassi e per il valore di mixing
length l=1.9 HP . La linea a tratti mostra la collocazione della MS predetta per l=2.2 HP .Sono
riportate indicazioni per le eta delle due isocrone, per lequazione di stato (EOS) e le trasformazioni
nel piano osservatico (Colori)

influenzino le stelle di Sequenza pPrincipale alle maggiori temperature, e abbiano anche una
limitata influenza sulle stelle di MS di minor massa, che sappiamo dover sviluppare inviluppi
convettivi. Si noti al proposito come allulteriore diminuire della massa (e della temperatura
efficace) diminuisca per infine svanire linfluenza del trattamento della convezione, che di-
viene progressivamente sempre piu adiabatica.
Come gia abbiamo discusso, la scelta della lunghezza di rimescolamento e invece critica
per la collocazione delle Giganti Rosse. La presenza nelle Iadi di due giganti in fase di
combustione di He consente cosi di calibrare tale lunghezza al valore l 1.9HP , in rimarcabile
accordo con il valore ricavato dal Modello Solare Standard calcolato nel quadro del medesimo
scenario teorico. Come indicato in figura, le isocrone consentono infinedi ricavare per i due
ammassi eta pari a 130 milioni di anni per le Pleiadi e a 520 milioni per le Iadi, gettando
una proma luce sulla storia della formazione degli ammassi nella nostra Galassia.
E subito necessario precisare che con quanto sopra non si intende dare una risposta
probante e definitiva ad argomenti sui quali e ancora aperto il dibattito. Lintroduzione di
overshooting invasivo aumenterebbe la valutazione delle eta, lasciando pressoche inalterata
la bonta del fitting. Cosi come non vi e generale accordo sulla metallicita da assegnare alle
Pleiadi. Qui, come nel seguito, si intende fare uso di opportuni esempi per illustrare il tipo
di procedure utilizzate nel raccordo tra teorie evolutive ed osservazioni, avvertendo peraltro
-come stiamo facendo- delle variabili nascoste esistenti nelle diverse problematiche.
Ove si accetti la precedente validazione, su tale base e evidentemente possibile esten-
dere lindagine a qualsivoglia ammasso aperto della nostra Galassia, questa volta pero ri-
cavando moduli di distanza e magnitudini assolute delle stelle di un ammasso dal fitting
delle Sequenze Principali, cioe dallimporre che la distribuzione delle sequenze osservative
corrispondano alle predizioni teoriche come valutate per i valori di metallicita determinati
spettroscopicamente per i vari ammassi. Notiamo peraltro che in caso di arrossamento in-
terstellare non trascurabile, con tale metodo si ricava non il modulo di distanza vero,
differenza tra le magnitudini non arrossate (m-M)0 , ma un modulo di distanza (m-M) in cui
alleffetto di distanza si somma quello dellassorbimento. Nel caso della banda visuale si ha,
ad esempio, (V-MV ) = (V-MV )0 + AV = (V-MV )0 + 3.1 E(B-V). In tale contesto notiamo
che parlare genericamente di un modulo di distanza DM puo talora ingenerare equivoci,
dovendosi preferire le forme esplicite (V-MV ) o (V-MV )0 e simili.
4

Fig. 9.2. Diagramma CM osservativo per lAmmasso Globulare NGC1866 nella Grande Nube di
Magellano. La linea nel corpo della Sequenza Principale e la sequenza di punti indicata dalla freccia
mostrano il best fitting con lisocrona teorica popolata con una distribuzione casuale delle masse.
La freccia indica la sequenza teorica dei modelli in combustione di elio.

Di particolare rilevanza appare lestensione di simili procedure agli Ammassi Globulari


delle Nubi di Magellano. La Fig. 9.2 riporta il best fitting dellammasso NGC1866 nella
Grande Nube, come ottenuto per uneta di 140 milioni di anni e gli indicati parametri di
composizione chimica. Seguendo la procedura nota in letteratura come Ammassi sintetici
al posto della linea isocrona cui abbiamo sin qui fatto riferimento, la figura riporta la dis-
tribuzione di stelle lungo lisocrona stessa come predetta sulla base di una distribuzione ca-
suale delle masse evolventi. Tale procedura consente di aggiungere allinformazione sul luogo
dei punti del diagramma coperto dallisocrona anche linformazione sullatteso popolamento
delle varie fasi evolutive mostrando ad esempio, nel caso in figura, come a causa dellalta
velocita evolutiva non ci si attendono stelle nella vasta regione che separa la Sequenza
Principale dalle Giganti Rosse in fase di combustione di elio.
Il caso di NGC1866 ci consente di meglio valutare quanto a suo tempo affermato
sullimportanza degli Ammssi Globulari giovani nelle Nubi di Magellano. Si riconosce in-
fatti come tale cluster rappresenti la controparte extragalattica di un ammasso galattico
quale le Pleiadi, avendo simile eta e non eccessivamente dissimile composizione chimica. A
causa della grande differenza di popolazione, NGC1866 contiene peraltro qualche centinaio
di Guganti Rosse in fase di combustione di elio laddove le Pleiadi non ne mostrano nem-
meno una. Gli ammassi giovani delle Nubi rappresentano quindi un eccezionale campione
che consente di ottenere dati statisticamente rilevanti sul popolamento delle fasi avanzate di
combustione di elio in masse intermedie e, di converso, sui relativi tempi evolutivi. Per tale
motivo NGC1866 estato sovente utilizzato per indagare lefficinza dellovershooting invasivo,
peraltro sinora con controversi risultati.
Notiamo infine come il best fitting, oltre a confortare le capacita predittivre della teoria
ed a fornire una stima delleta di quellammasso, fornisce anche una stima della distanza
dellammasso e, con esso, della Grande Nube di Magellano. Ne risulta infatti un modulo di
distanza (V-MV ) = 15.5 da cui un modulo di distanza intrinseco (V-MV )0 15.35. Senza
entrare al momento in problematiche che affronteremo piu oltre, accenniamo qui alla grande
importanza di una precisa determinazione della distanza della Grande Nube: da tale distanza
segue infatti la calibrazione della relazione periodo luminosita delle variabili Cefeidi della
nube stessa, primo gradino che porta a definire una scala delle distanze per lUniverso intero.
5

Fig. 9.3. Il numero di stelle di MS nellammasso NGC2004 con luminosita superiore alla magni-
tudne V in funzione di V (Distribuzione cumulativa ) confrontato con le predizioni teoriche per i vari
indicati valori dellesponente della IMF. Il numero di stelle e normalixzzato al numero di Giganti
Rosse in combustione di elio.

Come ulteriore elemento di possibili indagini, notiamo infine come la conoscenza della
relazione teorica massa-luminosita lungo una MS consenta di ricavare con facile calcolo
la distribuzione di stelle lungo tale sequenza per ogni assunto valore della distribuzione
iniziale di massa IMF, parametro che vedremo essere di rilevanza centrale nella storia delle
popolazioni stellari. Il confronto con le osservazioni consente quindi di esplorare il vaolre
dellesponente dellIMF in tutti quegli ammassi con MS sufficientemente popolate per fornire
risultati statisticamente rilevanti. A titolo di esempio, la Fig. 9.3 mostra come la MS del
cluster NGC2004 della Grande Nube, il cui diagramma CM e stato riportato nel precedente
capitolo alla Fig. 8.6, segua con buona precisione una distribuzione IMF con esponente di
Salpeter, risultando per il numero di stelle N al variare della massa M dN/dM = M2.35 .

9.3. Ammassi Globulari Galattici: procedure di fitting ed eta


Gli Ammassi Globulari Galattici rappresentano un campione osservativo sul quale si e per
molto tempo concentrata lattenzione dei ricercatori, sia per linteresse intrinseco di questi
sistemi collegati alle fasi evolutive iniziali della Galassia, sia per la presenza statisticamente
rilevante di stelle in ambedue le fasi di combustione di elio al centro (HB) e in shell (AGB).
La validazione dello scenario teorico e in questo caso meno stringente, non avendosi sinora
misure dirette della distanza di tali ammassi. Rimane dunque un grado di liberta sul valore
delle magnitudini assolute, cui talora si aggiunge una leggera flessibilita sui colori, collegata
allincertezza sul preciso valore di un eventuale arrossamento. Il parametro libero eta, che
modula la forma del Turn Off, agiunge ulteriore liberta. Resta peraltro evidente che una tale
validazione, se pur debole resta prioritariamente necessaria quando si voglia utilizzare lo
scenario teorico a livello quantitativo.
Nel caso di ammassi non arrossati, o di arrossamento noto con precisione, la dis-
tanza dellammasso puoo essere determinata tramite il best fit con la Sequenza Principale
teorica di opportuna composizione chimica. E peraltro facilmente verificabile come in-
certezze sullarrossamento si traducano in incertezze sul modulo di distanza: aumentando
larrossamento aumenta il modulo di distanza necessario per portare a coincidere la sequenza
teorica con quella osservata. Una tale degenerazione arrossamento-distanza puo in principio
essere risolta attraverso il best fit del Ramo Orizzontale, la cui luminosita, per landamento
sensibilmente orizzontale, poco risente dellarrossamento. Eperaltro da notare come i mod-
elli di ZAHB siano il prodotto dellintera evoluzione in fase di Gigante Rossa, e pertanto
6

Fig. 9.4. Esempio delle procedure di best fitting per lAmmasso Glubulare M68. a):
Determinazione del modulo di distanza apparente dal fit del Ramo Orizzontale e dell arrossa-
mento dal fit della MS (+ TD). La freccia mostra la direzione di spostamento delle isocrone al
crescere dellarrossamento. b): Aumento della mixing length e fit del colore del Ramo delle Giganti.

contengano molta piu storia e molta piu fisica dei semplici modelli di MS, risultando
pertanto corrispondentement piu a rischio di incertezze.
Tenendo in mente tali precauzioni, notiamo qui che se il modulo di distanza appar-
ente viene fissato tramite il Ramo Orizzontale, larrossamento resta fissato dal fitting della
sequenza principale, come mostrato in Fig. 9.4a. Fortunatamente, come mostrato nella
stessa figura, tale processo ammette un ulteriore criterio di validazione. Il gomito che
allaumentare delle temperature efficaci conduce alla verticalizzazione del Ramo (HB-TD
= HB Turn Down) segnala in effetti la temperatura alla quale la correzione bolometrica
inzia a crescere, abbassando la luminosita nella banda V. Esso e quindi un buon indicatore
di temperatura che si colloca attorno a (B-V)0 0, indipendentemente dalla metallicita o
dalleta del cluster. La buona corrispondenza tra il TD teorico e quello osservato e quindi
un buon criterio di conferma del valore di reddening adottato.
Come mostrato in Fig. 9.4b, fissato modulo di distanza e reddening, il valore della
lunghezza di rimescolamento resta fissato dalla condizione di riprodurre il colore osservato
del Ramo delle Giganti, anchesso solo debolmente dipendente dalleta dellammasso (cioe
dal valore della massa evolvente). leta resta infine determinata dal confronto delle isocrone
nella regione del Turn Off. I dati in Fig. 9.4b mostrano come in un ammasso con buon di-
agramma CM lincertezza di tale determinazione sia sensibilmente minore a 1 Gyr, fatto
salvo lintervento di errori sistematici. La Fig.9.5 mostra come le isocrone teoriche piu ag-
giornate riescano a rendere fedelmente conto della distribuzione nel diagramma CM delle
stelle di un Ammasso Globulare, riproducendo in particolare con buona precisione la collo-
cazione del Ramo delle Giganti con il parametro di mixing length calibrato al valore l 2.0
HP .
7

Fig. 9.5. Diagramma CM per lAmmasso Globulare M13 con sovraimposto il best fitting delle
isocrone teoriche. Per la fase di combustione centrale di He e riportata solo la collocazione della
ZAHB.

A fianco e in aggiunta a tale criterio morfologico, esistono altri parametri che possono
concorrere ad una validazione dello scenario teorico. Tra questi di particolare rilevanza il
rapporto tra il numero di stelle in AGB e in HB, che losservazione fissa a 0.14 0.05.
E facile comprendere come tale rapporto rifletta lestensione della convezione nella fase
di combustione centrale di He: maggiore tale estensione maggiori sono i nuclei di CO al
termine della combustione, piu lunga la vita in HB e piu luminosa e piu rapida la fase
di AGB. La semiconvezione classica rende automaticamente conto di tale rapporto, che
richiederebbe invece una drastica riduzione dellovershooting invasivo usato da alcuni autori.
Tra gli elementi validanti, e che nel contempo forniscono informazioni sui parametri evolutivi
del cluster, ricordiamo infine anche la funzione di luminosita del Ramo delle Giganti e, nel
corpo di questa, la luminosita del bump generato dallincontro della shell di combustione
dellidrogeno con la discontinuita nellabbondanza di H lasciata dal primo dredge up.
Tra i risultati delle procedure di validazione e di fitting vi e dunque, come atteso, anche
leta dei cluster, elemento di grande rilevanza nello stabilire le tappe evolutive della Galassia.
Vi e oggi un crescente accordo per assegnare agli Ammassi Globulari della Galassia eta che
si aggirano attorno a 11-12 Gyr, il valore esatto dipendendo dai vari autori. E ancora aperto
il discorso di quanto tali ammassi possono essere considerati rigidamente coevi. Da notare
che in ammassi cosi antichi non e piu trascurabile la diffusione degli elementi: per ogni
prefissata eta dellammasso, tale meccanismo tende a diminire la luminosita del Turn Off
e quindi, a ringiovanire lammasso di circa 1 Gyr rispetto a quanto ricavabile ricorrendo a
scenari evolutivi privi di diffusione.
Si noti a tale proposito come la luminosita del Turn Off cui abbiamo or ora fatto rifer-
imento possa essere calibrata, per ogni assunta composizione chimica originaria, in termini
delleta dei cluster. Cio consente determinazioni delleta che prescindono dal fitting accurato
dellandamento delle stelle nel diagramma CM. Per usare tale calibrazione occorre peral-
tro riuscire a valutare la distanza dellammasso e, con essa, la magnitudine assoluta delle
stelle osservate. A tale scopo vengono usati due tipi di procedure. Luna, che abbiamo ga
richiamato, consiste nel valutare la distanza dellammasso tramite il fitting della Sequenza
Principale. Una variante di tale procedura, utilizzata da taluni, consiste nel valutare la mag-
nitudine assoluta delle stelle di MS non gia dalle previsioni teoriche ma dallosservazione di
subnane di campo di distanza e metallicita note. Non si comprende peraltro in base a quale
ragionamento non ci si fida della MS teorica per poi fidarsi della calibrazione dei Turn Off.
Una seconda procedura assume di fatto come calibratori di distanza (candele standard)
le stelle di Ramo Orizzontale. Ferme restando le precauzioni che riguardano le valutazioni
8

Fig. 9.6. Il diagramma CM per le stelle nella Dwarf Spheroidal Galaxy Carina del Gruppo locale.
Le isocrone teoriche mostrano il best fit delle stelle di tre distinti episodi di formazione.

teoriche di tali strutture in fase di evoluzione avanzata, una tale procedura conduce ad
una stima delleta di particolare rilevanza e semplicita, nota come il Metodo Verticale. E
infatti subito visto che in tal caso la teoria fornisce una calibrazione in termini di eta della
differenza di magnitudine tra il Ramo Orizzontale ed il TO, che e parametro indipendente
dallarrossamento e facilmente misurabile anche quando le osservazioni non raggiungano con
sufficiente precisione le stelle di MS. Ricordando come la luminosita dellHB dipenda solo
molto debolmente dalleta, si conclude facilmente come la differenza di magnitudine HB-TO
deva aumentare al crescere delleta dellammasso.
In linea di principio, a fianco del Metodo Verticale si potrebbe considerare anche un
corrispondente Metodo Orizzontale. La Fig.9.4 mostra infatti come al crescere delleta
diminuisca la lumghezza del Ramo delle Subgiganti che collega il TO al Ramo delle Giganti.
La calibrazione teorica e peraltro dipendente dalle assunzioni sul valore della mixing length
che, in linea di principio, potrebbe variare al variare della metallicita del cluster. Per tale mo-
tivo il Metodo Orizzontale e stato principalmente sinora usato essenzialmente per confronti
interni tra cluster con simili metallicita.
Come nel caso delle masse intermedie, concludiamo anche questa sezione con una ap-
plicazione dello scenario evolutivo a sistemi extragalattici. La Fig.9.6 mostra infatti il di-
agramma HR delle stelle nella galassia dwarf spheroidal del Gruppo Locale in Carina.
Ne emergono con buona evidenza tre distinti episodi di formazione stellare. Come mostrato
nella stessa figura, il fitting con le isocrone teoriche conduce a valutare le eta di tali episodi
come risalenti, rispettivamente, a 0.6, 5 e 11 miliardi di anni or sono.

9.4. Ammassi Globulari Galattici: composizione chimica e problema dellelio.


Parametro R.
Il quadro evolutivo sin qui elaborato ha assunto la composizione chimica originaria delle
stelle di ammasso come dato accessibile alla sperimentazione attraverso lanalisi degli spet-
tri stellari in strutture, quali quelle della MS, che non abbiano ancora subito fenomeni di
dredge up. Se questo e vero in linea di primcipio, e altrattanto vero che la determinazione
delle abbondanze chimiche nella atmosfere stellari e problema di grande complessita che
9

Fig. 9.7. Diagramma CM per lAmmasso Globulare Galattico NGC6752. Metallicita stimata
dellammasso [Fe/H]= -1.57. Lungo la coda blu del Ramo Orizzontale sono riportate gravita e
abbondanza superficiale di elio come misurate alle diverse indicate luminosita .

nellapproccio piu moderno riposa sulla produzione di modelli di atmosfera da cui ri-
cavare Spettri sintetici da confrontare con gli spettri osservati. Pur senza poter entrare nel
dettaglio di uno dei piu estesi capitoli dellastrofisica moderna, ricordiamo solamente che
ancor oggi molte modelli di atmosfera sono basat1 su un trattamento monodimensionale
(strati atmosferici piani e paralleli) assunti in Equilibrio Termodinamico Locale = LTE.
Appare peraltro sempre piu evidente che approcci piu perfezionati, quali quelli non-LTE
tridimensionali, possono portare a non trascurabili variazioni nelle valutazioni di compo-
sizione chimica. Le stime sin qui fornite sulla metallicita delle struttture galattiche ed ex-
tragalattiche devono pertanto essere riguardate come fortemente indicative, ma con ancora
un sia pur limitato margine di variabilita. In tale contesto, per lungo tempo si e fatto uso
dellipotesi che al variare della metallicita totale Z rimanesse costante il rapporto dei vari
elementi pesanti che concorrono a formare tale metallicita, cosi come ricavato dallatmosfera
del Sole (Solar Scaled Mixtures). Valutazioni piu approfondite hanno peraltro mostrato che
al fdiminuire di Z ai valori tipici della Pop-II galattica si manifesta una tipica sovrabbon-
danza relativa degli elementi multipli di , quali C, O, Ne, Mg. E questo un interessante
segnale di una variazione temporale nei meccanismi di produzione degli elementi pesanti.
Qui ci interessa solo segnalare che tale sovrabbondanza viene rappresentata, in analogia
con il fattore di metallicita [F e/H], dal rapporto

[/F e] = log[/F e] log[/F e]


che dunque misura il rapporto [/F e] in una stella ripetto al rapporto solare. Dal valore
[/F e] 0.3 tipico di per almeno alcuni Ammassi Globulari si ricava cos che in tali ammassi
gli elementi sono, rispetto al Fe, circa il doppio che nel Sole. Sia pur con qualche eccezione
e precauzione , per investigare il cammino evolutivo di stelle di Pop.II e sufficiente valutare
dai due valori di [F e/H] e di [/F e] il corretto valore di Z, abbondanza in massa di tutti
gli elementi piu pesanti dellelio.
Completamente diverso e invece il problema della valutazione del contenuto di elio nelle
stelle di Pop.II. Come notato discutendo dei tipi spettrali, le righe dellelio appaiono solo in
stelle ad alta temperatura superficiale, di tipo spettrale B od O, ove gli elettroni dellelio
si collocano in stati sufficientemente eccitati. Le righe di assorbimento degli elettroni nello
stato fondamentale cadono infatti nellestremo UV, assorbito dal gas interstellare. Stelle a
temperatura sufficientemente alta si trovano solo in Ammassi Globulari con HB molto estesi.
10

Le misure dellelio in tali stelle hanno peraltro prodotto risultati inattesi, con abbondanze
che variano tra 1/10 e 1/100 dellabbondanza di He nel Sole.
A fronte di tale evidenza, fu a suo tempo suggerito, ed e oggi universalmente accettato,
che la scarsezza di He nelle atmosfere di stelle blu di HB sia da addebitarsi alla sedi-
mentazione gravitazionale, meccanismo che ci si attende sia particolarmente efficiente in tali
stelle caratterizzate da alta gravita superficiale e assenza di inviluppi convettivi. Analisi ac-
curate hanno confortato tale ipotesi, mostrando come in stelle blu di HB labbondanza di He
risulti inversamente proporzionale alla gravita superficiale (Fig.9.7). Lelio negli Ammassi
Globulari non e quindi osservabile spettroscopicamente, e la sua valutazione puo provenire
solo da considerazioni evolutive.
Ci si deve quindi domandare quali variazioni osservabili possano essere causate da vari-
azioni nel contenuto di elio originale. Di particolare rilevanza appare la prediziobe secondola
quale allaumentare del contenuto di elio aumenta sensibilmente la lumimosita predetta per
le stelle di Ramo Orizzontale. Su tale evidenza si basa una ingegnosa procedura, proposta
nellormai lontano 1967 da Icko Iben Jr., che in linea di principio consente di giungere alla va-
lutazione dellelio tramite semplici conteggi stellari e indipendentemente da ogni preventiva
valutazione della distanza o dellarrossamento di un cluster.
Alla base di tale procedura vi e levidenza che le velocita evolutive in fase di Gigante
Rossa appaiono regolate dalla relazione massa del nucleo di elio-luminosita e risultano
pertanto largamente indipendenti dai parametri evolutivi. A titolo esemplificativo ci si lasci
anche assumere che anche i tempi di evoluzione in HB siano costanti, ipotesi non distante
dalla realta risultando tali tempi sempre dellordine di 108 anni. Sotto tali assunzioni basta
definire il parametro

N (HB)
R =
N (RG)L>L(HB)
rapporto tra il numero di stelle in HB e il numero di giganti piu luminose dellHB per
ottenere un paramtero osservativo che risulta un sensibile indicatore del contenuto originario
di elio.Da un punto di vista teorico ci si attende infatti che tale rapporto sia pari al rapporto
dei rispettivi tempi evolutivi

(HB)
R =
(RG)L>L(HB)
e allaumentare dellelio aumenta il calore di R per il semplice motivo che aumenta la
luminosiya del Ramo Orizzontale e diminuisce quindi il percorso evolutivo delle giganti prese
in considerazione.
Una precisa calibrazione teorica del parametro R incontra peraltro severe difficolta. La
durata della fase di HB dipende infatti innanzitutto dal trattamento della convezione centrale
e, ad esempio, risulterebbe notevolmente allungata nel caso di overshooting invasivo. Anche
rimanendo nello scenario canonico della semiconvezione, tale durata viene a dipendere dal
valore della sezione durto della reazione 12 C(, )16 O che completa la combustione 3:
aumentando la sezione durto aumenta corrispondentemente la durata della combustione di
elio centrale.
Si noti come unanaloga parametrizzazione possa essere definita anche per la fase di
AGB, definendo un parametro

N (AGB)
R1 =
N (RG)L>L(HB)
dove il mantenere come termine di paragone le Giganti Rosse e consigliato da quella che e
lecito ritenere la piena affidabilita delle relative valutazioni evolutive, come confortate anche
11

Fig. 9.8. Gli Ammassi Globulari NGC5272 (=M3) e NGC6205 (=M13) con simili metallicita
([Fe/H] -1.55) mostrano spiccate differenze nella distribuzione delle stelle di HB. Le frecce de-
limitano indicativamente lintervallo di temperature in cui le stelle di HB, se esistenti, mostrano
fenomeni di variabilita tipo RR Lyrae

dalle buona corrispondenza alle predizioni teoriche delle osservate funzioni di luminosita.
Senza entrare in ulteriori dettagli, e da ritenere che precise valutazioni osservative di R e
R1 possano nel futuro contribuire sensibilmente a chiarire le precise modalita delle fasi di
combustione di elionelle piccole masse.

9.5. Il problema del secondo parametro e le Code Blu


Gli Ammassi Globulari galattici mostrano una generica correlazione tra metallicita e dis-
tribuzione delle stelle di HB, con Rami Orizzontali che passano dal blu al rosso allaumentare
della metallicita. Abbiamo gia visto come lo scenario evolutivo predica spontaneamente una
tale correlazione assumendo una comune legge di perdita di massa per tutti gli ammassi.
Un tale andamento generale presenta peraltro delle eccezioni che hanno da tempo atti-
rato lattenzione dei ricercatori. E il caso ad esempio della coppia di cluster M3 3 M13
che, ambedue con metallicita [Fe/H] -1.55, mostrano spiccate differenze nella distribuzione
delle stelle di HB. Per portare in forma quantitativa tali differenze e in uso il parametro
HB Ratio di Lee, definito come

BR
HBR =
B+V +R
dove V e il numero di stelle variabili RR Lyrae, e B,R rappresentano il numero di stelle di HB
rispettivamente piu blu o piu rosse della regione di variabilita. HBR= 1 indica dunque un
ramo tutto a temperature efficaci maggiori della striscia di variabilita, e HBR= -1 un ramo
di sole stelle rosse, tipico degli ammassi a maggiore metallicita. Nel caso in esame si passa
dal tipico ramo intermedio di M3 (HBR= 0.08) al braccio blu di M13 (HBR= =.97). Ove
si escludano grossolani errori nella determinazione delle metallicita, se ne deve concludere
che oltre alla metallicita deve esister un ulteriore parametro che interviene nel determinare
la distribuzione delle stelle lumgo i Rami Orizzontali. E questo il Problema del Secondo
Parametro cui sono state rivolte numerose indagini.
Prendendo spunto da tale problema possiamo qui di seguito utilmente elencare alcune
delle possibili cause per le quali M13, con la stessa metallicita di M3, potrebbe avere HB
piu blu:
12

Fig. 9.9. Diagramma CM per lAmmasso Globulare Galattico NGC2808. Metallicita stimata
dellammasso [Fe/H]= -1.15.

1. Maggiore eta: minori masse in RGB e, a parita di perdita di massa, in HB.


2. Minore [/F e]: shell di idrogeno meno efficienti e HB piu blu.
3. Maggiore He originario: strutture piu calde e piu luminose, evoluzioni piu veloci e quindi
masse minori in RGB e HB.
4. Maggiore rotazione: nuclei di He piu grandi.

Tra queste opzioni sembra al momento prevalere la differenza di eta, almeno nel caso
della coppia di cluster M3 e M13, ma il problema e ancora aperto e suscettibile di ulteriori
indagini.
Parallelo al problema del Secondo Parametro, e talora confuso con esso, e il problema
delle Code Blu. Come nel caso gia presentato di NGC6752 (Fig.9.7), alcuni cluster presentano
una estensione del Ramo Orizzontale che si spinge sino ad altissime temperature efficaci. A
causa dellintervento della correzione bolometrica, nei diagrammi CM V, B-V o V, V-I il
ramo assume un andamento spiccatamente verticale, raggiungendo e anche superando la
magnitudibe del TO. Il confronto con le risultanze teoriche mostra che si e in presenza
di stelle che, al limite blu, giungono a perdere in pratica tutto linviluppo di idrogeno,
spingendosi cos sino al limite estremo della ZAHB.
Nei cluster piu poveri di metalli, quale NGC6752, la coda blu si presenta come
unestensione del ramo alle alte temperature, in cui appaiono perlatro evidenti sottorag-
grupamenti di stelle. A metallicita superiori la coda blu appare come qualcosa che viene ad
aggiungersi al ramo rosso del cluster. Emblematico il caso di NGC2808 riportato in Fig.9.9,
ove un ramo rosso ben popolato e separato da una vistosa gap in colore dalla coda blu che
torna a popolare quella parte di Ramo Orizzontale. Anche in questo caso si noti levidente
esistenza di una serie di raggruppamenti che modulano la popolazione stellare della Coda
Blu.
Lassenza di correlazione tra Code Blu e metallicita induce talora alcuni ricercatori a
inserire tale evidenza nel quadro del problema del Secondo Parametro. Anche se tale prob-
lematica e al presente ancora controversa, notiamo che il problema del Secondo Parametro
pare spontaneamente collocarsi nello scenario di una variazione di parametri evolutivi. Al
contrario, le Code Blu sembrano indicare che, per qualche oscura ragione, in alcuni clus-
ter sono efficienti meccanismi anomali di perdita di massa, che influenzano una parte della
popolazione di Giganti Rosse giungendo sino a privarle del loro intero inviluppo.
13

Fig. 9.10. Diagramma CM sintetico per un cluster con parametri evolutivi Z= 0.001, Y= 0.23,
t= 15 Gyr. Per simulare le osservazioni e stato artificialmente introdotto un errore sui colori pro-
porzionale alle magnitudini. Lungo le sequenze sono indicate le masse delle stelle in fase di combus-
tione di H, la massa media delle stelle di HB e la massa iniziale dei progenitori delle stelle lungo la
sequenza delle Nane Bianche. Si e assunta una IMF di Salpeter.

Si deve notare al proposito come esista una correlazione tra Code Blu e densita centrale
(stelle/pc3 ) dei cluster, nel senso che non tutti i cluster ad alta densita centrale hanno Code
Blu, ma tutti i cluster con Code Blu hanno alta densita centrale. Questo lascia sospettare che
le Code Blu possano essere il prodotto di interazioni dinamiche stella-stella con conseguente
stripping degli inviluppi in ambienti ad alta densita, probabilmente in occasione di episodi
di catastrofe gravotermica ( A1.5) nei nuclei dei cluster.

9.6. Ammassi sintetici e colori integrati


La capacita di predire linee evolutive per ogni assunta composizione chimica e massa delle
strutture iniziali si traduce nella corrispondente capacita di predire isocrone per ogni assunta
composizione chimica ed eta e, conseguentemente, anche di distribuire opportunamente le
stelle lungo le isocrone quando si sia assunta una Funzione di Massa Iniziale (IMF) e si
sia fissato il numero totale di stelle. Le due ultime condizioni fissano infatti il numero di
stelle in ogni intervallo di massa M, M+dm cui corrisponde sullisocrona una ben deter-
minata collocazione. Al riguardo si possono usare due procedure leggermente diverse. Una
prima, che conduce alla costruzione di Ammassi Probabili consiste nel distribuire le stelle
con rigida proporzionalita alla probabilita di occupazione. Una seconda, piu utilizzata, con-
siste nellutilizzare una funzione random per estrarre a caso le masse con cui popolare le
isocrone, producendo cosi Ammassi Sintetici.
Le due procedure ovviamente convergono per un numero di stelle N , la seconda
restando preferita perche consente anche di valutare, tramite successivre serie di estrazioni,
le fluttuazioni statistiche di cui siono affetti i diagrammi. La Fig. 9.10 riporta a titolo di es-
14

Fig. 9.11. Predizioni teoriche sulla distribuzione di ammassi giovani nel diagramma a due colori
UV (1800-2800 A) (1500-3100 A) (linea continua) confrontate con le osservazioni di ammassi nella
Grande Nube di Magellano.

empio il diagramma CM sintetico di Ammasso Globulare per gli indicati valori dei parametri
evolutivi. Gli Ammassi sintetici risultamo di insostituibile utilita quando si voglia studiare
il predetto popolamento di determinate fasi evolutive, come necessario, ad esempio, per
calibrare compiutamente il valore del parametro R. Al riguardo, ricordiamo che nelle fasi
evolutive avanzate (RG, HB e AGB) vale la regola per cui gli intervalli di massa devono
risultare proporzionali ai tempi evolutivi, e dunque la calibrazione di R risultera indipen-
dente da ogni assunzione sulla IMF. Nel prossimo Capitolo vedremo come le procedure
sintetiche siano insostituibili amche nel predire il comportamento delle stelle variabili.
Qui notiamo che la costruzione di Cluster Sintetici consente di predire il flusso totale
(flusso integrato) emesso da tali sistemi, agevolmente ottenible per ogni prefissata banda
come sommatoria dei flussi emessi dalle singole stelle. E questo un parametro di grande
importanza perche tale flusso e lunico rivelabile dagli ammassi in galassie lontane, non
risolubili in singole stelle. Quando si tenga presente che gli Ammassi Globulari sono presenti
in pratica in tutte le galassie e che gli ammassi galattici possono raggiungere una magnitu-
dine -10, se ne trae levidenza dellimportanza degli ammassi nel mappare la storia evolutiva
dellUniverso. Le semplici considerazioni sul colore delle popolazioni stellari galattiche avan-
zate allinizio di questo testo mostrano senza ambiguita come i colori integrati contengano
informazioni sulleta degli ammassi. I colori integrati possono contenere peraltro simultanee
informazioni sulla metallicita, come ricavabile -ad esempio- dallevidenza che i rami RGB
degli Ammassi Globulari Galattici al si spostano verso temperature efficaci progressivamente
inferiori.
Tali considerazioni hanno stimolato una interessante linea di ricerca volta a definire
le proprieta integrate degli ammassi stellari e nel ricercare le piu opportune bande per
rimuovere eventuali degenerazioni tra i diversi parametri evolutivi. Nel caso di ammassi
relativamente giovani, e ad esempio facile comprendere come le bande UV siano un sistema
privilegiato per marcare leta dei sistemi, registrando il progressivo decrescere del flusso UV
emesso da stelle massive di MS al crescere delleta. La Fig. 9.11 riporta a titolo di esempio
la collocazione nel diagramma a due colori UV di ammassi giovani nella Grande Nube di
Magellano (LMC) confrontata con le predizioni teoriche al variare delleta dei sistemi. Se ne
trae cosi levidenza della garabde produzione di ammassi a partire da circa 250 milioni di
anni or sono e, nel contempo, lassenza di formazione di ammassi nei precedenti 400 milioni
di anni.
15

Tab. 1. Classificazione, distanza, luminosita V e coordinate galattiche per le tra maggiori galassie
del Gruppo Locale e per le galassie satelliti della Via Lattea. Lultima colonna riporta la presenza
o meno di Ammassi Globulari.

d LV l b
Class. (kpc) (107 L ) (gradi) (gradi) Globular?
Galassie:
Andromeda Sb 770 2700 121 -22 Si
Galassia Sbc - 1500 - - Si
M33 Sc 850 550 134 -31 Si
Satelliti G.:
LMC SBm 49 170 280 -33 Si
SMC Irr 58 34 303 -44 Si
Fornax dSph 120 1.4 237 -66 Si
Sagittarius dSph 25 1.0 6 -14 Si
Leo I dSph 270 0.5 226 49 No
Sculptor dSph 72 0.14 288 -83 No
Leo II dSph 207 0.06 220 67 No
Tucana dSph 870 0.05 323 -47 No
Sextans dSph 83 0.04 244 42 No
Carina dSph 100 0.03 260 -22 No
Ursa Minor dSph 64 0.02 105 45 No
Draco dSph 72 0.02 86 35 No

Approfondimenti

A9.1. Il gruppo locale


Avendo nel testo fatto talora riferimento ad oggetti extragalattici appartenenti al Gruppo Locale di
galassie, diamo qui alcune brevi informazioni sui membri di tale gruppo. Innazitutto intendiamo per
Gruppo Locale linsieme di galassie che popolano la porzione di spazio dominato dalla due meggiori
galassie a spirale, la nostra Galassia ed Andromeda (=M31), distanti tra loro circa 800 kpc. Il
gruppo contiene una terza galassia a spirale M33=NGC598, nel Triangolo, oltre ad altri oggetti
minori tra i quali ricordiamo la galassia irregolare Leo A, e la Galassia di Barbard (NGC6822)
unaltra irregolare di tipo magellanico. Nellalone di Andromeda sono stati identificati alcune
centinaia ( 300) di Ammassi Globulari, e altri ammassi sono segnalati (alcuni forse giovani) in
M33.
Via Lattea e Andromeda hanno ciascuna un proprio sistema di galassie minori satelliti. Le
satelliti piu cospicue della Galassia sono rappresentati dalle due (Grande e Piccola = LMC e SMC)
Nubi di Magellano, galassie irregolari visibili ad occhio nudo dallemisfero meridionale. Le due
Nubi risultano anche tra gli oggetti extragalatici piu prossimi, collocandosi ad una distanza dalla
Galassia di 50 kpc, con la Piccola Nube un poco piu distante della Grande. La massa contenuta
nella Grande Nube puo essere stimata a circa 1/10 della massa della Galassia. Abbiamo piu volte ri-
cordato lesistenza in ambedue le Nubi di numerosi Ammassi Globulari, alcuni anche di recentissima
formazione.
16

Oltre a questi due maggiori satelliti la Galassia e circondata da diecine di altre corpi minori, che
in genere prendono il nome dalla costellazione in cui si trovano collocati. Di particolare importanza
la ricca popolazione di Dwarf Spheroidals , una sorta di ammassi globulari extragalattici, ma a
debolissima concentrazione di stelle e con masse dellordine di 106 - 107 M . Appartengono a tale
tipologia le nane Ursa Minor, Draco, Carina, Sextans, Sculptor, Leo I, Leo II e Tucana. In alcuni
casi, come gia ricordato per Carina, si ha evidenza per una molteplicita di generazioni stellari.
Ricordiamo qui anche la Dwarf Sferoidal Fornax, che ha la peculiare caratteristica di contenere
cinque veri ammassi globulari.
Andromeda e a sua volta contornata da una serie di caratteristici satelliti. Questa galassia -
a differenza della nostra Via Lattea - e innanzitutto accompagnata da 4 ellittiche nane; due piu
vicine, NGC205 e NGC221=M32, e due, NGC147 e NGC185, leggermente piu distanti, con masse
caratteristiche dellordine di 3-5 109 M , presenza di popolazione antica ma anche con segni di
recente formazione stellare. Anche queste galassie minori contengono Ammassi Globulari. Sono
state inoltre rivelate attorno ad Andromeda alcune Dwarf Sheroidals cui sono stati assegnati i nomi
Andromeda I, II, III .....
La Tabella 1 riporta alcuni valori indicativi per le tre maggiori galassie del Gruppo Locale e per i
satelliti della Via Lattea, questi ultimi ordinati per luminosita integrata, nella banda V, decrescente.

A9.2. Masse intermedie ed overshooting invasivo


Abbiamo indicato come talora si sospetti lesistenza di un obershooting invasivo che estende il
rimescolamento convettivo sensibilmente al di la del limite di Schwarzschild. Trascurando per il
momento eventuali undershooting dagli inviluppi convettivi, i maggiori effetti di tale overshooting
si manifesterebbero in stelle con nuclei convettivi, dunque in fase di combustione di H allincirca
a partire da 1 M . Ne sarebbero invece affette tutte le stelle in fase di combustione di He. Nel
discutere la validazione dei modelli stellari abbiamo gia indicato come le stelle di HB indichino la ne-
cessita di ridurre drasticamente i valori di overshooting correntemente adottati. Qui ci interesseremo
in maniera pi1u generale del problema, discutendo le evidenze osservative collegate allefficienza o
meno di tale meccanismo.
Gli effetti dellovershooting nella fase di combustione di H sono chiaramente illustrati in fig. 9.12,
dove sono riportate le evoluzioni di un modello di 1.5 M sotto diverse assunzioni sullefficienza di
tale meccanismo. Come atteso, lovershooting prolunga la durata della fase di combustione centrale
di H, prolunganco contemporaneamente lescursione del modello verso le basse temperature prima di
raggiungere la fase di overall contraction. E facile dedurne che ne seguira una accentuata curvatura
dellisocrona per la fase di uscita dalla sequenza principale. Come ulteriore firma dellovershooting
si puo notare la progressiva scomparsa di stelle nella fase immediatamente successiva alloverall
contraction. Per validare lovershooting nei dati osservativi, non bastera dunque fittare le isocrone,
dovendosi procedere alla produzione di Ammassi Sintetici.
In generale, per ogni osservata terminazione superiore della MS di un cluster, i modelli con
overshooting predicono per il cluster eta anche notevolmente superiori alle eta standard. La
disponibilita di informazioni sulleta di un cluster indipendenti dalla terminazione della MS, come ad
esempio in linea di principio possibile dalla curva di raffreddamento delle Nane Bianche, condurrebbe
quindi ad una accurata validazione dellefficienza dellovershooting. Di particolare rilevanza e il
notare come al crescere dellovershooting il Ramo delle Giganti appaia progressivamente depopolato.
Anche questa evidenza appare facilmente prevedibile: lovershooting conduce a nuclei di He di massa
maggiore, tendendo quindi a rimuovere la degenerazione elettronica che e allorigine dellindugiare
delle stelle sul Ramo delle Giganti.
Lovershooting diminuisce quindi la massa critica per la Red Giant Transition. Ne segue an-
che che aumenta leta della RGT, Da un punto di vista prettamente osservativo, ci si attende di
conseguenza che i Rami delle Giganti appaiano a luminosita di TO inferiori di quanto previsto dai
modelli standard. I cluster in prossimita della RGT canonica rappresentano dunque un target priv-
ilegiate per le indagini sullefficienza dellovershooting. Su questo, come su altri parametri, esiste
una abbondante letteratura che peraltro non e ancora giunta ad unanimi conclusioni.
Leffetto dellovershooting sulle masse intermedie e un altro argomento ampiamente investigato
in letteratura. Al riguardo, la linea di sviluppo delle relative argomentazioni e facilmente compren-
17

Fig. 9.12. Percorsi evolutivi in fase di combustione di idrogeno per una struttura dagli indicati
parametri di massa e composizione, come valutati sotto le diverse indicate assunzioni sullestensione
dellovershooting invasivo. I punti individuano lunglo le traiettorie evolutive un costante e comune
intervallo di tempo.

sibile. Per ogni prefissato valore della massa (intermedia) originaria, le strutture di MS sviluppano
nuclei di He piu massivi. In analogia con quanto avviene per le strutture di MS. nella fase di
combustione di elio la luminosita cresce al crescere del nucleo di elio, e lovershooting produrra
quindi in tale fase stelle piu luminose e con minore durata nella fase di combustione di elio centrale.
Lovershooting dunque opera sulla relazione massa - luminosita delle strutture in combustione di
elio: per ogni assegnata luminosita lovershooting prevede massa minori di quelle previste dalla mod-
ellistica standard. Il comportamento pulsazionale delle variabili Cefeidi (supra) sembra confortare
una tale ipotesi di masse minori del previsto canonico: le evidenza pero mal si accordano anche
con lipotesi dellovershooting e la citata discrepanza potrebbe essere solo evidenza per fenomeni di
perdita di massa.
Grande attenzione e stata infine posta al tentativo di porre in luce le attese differenze temporali,
secondo le quali lintervento dellovershooting ha il duplice e contemporaneo effetto di aumentare i
tempi di combustione di H e di diminuire nel contempo i tempi della combustione di elio. In linea
di principio tale differenza puo essere messa in luce semplicemente tramite il confronto dei dati
osservativi con le predizioni teoriche per le funzioni di luminosita della MS normalizzate al numero
di Giganti Rosse. E immediato comprendere come, per ogni prefissata distribuzione di massa lungo
la MS (per ogni fissata IMF), lipotesi di overshooting produce meno giganti e, di conseguenza, un
LF normalizzata sensibilmente piu alta del caso canonico.
18

Fig. 9.13. Funzione di luminosita per le stelle di MS del cluster NGC1866 in LMC, confrontata
con le predizioni teoriche per vari valori dellesponente della IMF. Ancora una volta si trova che le
stelle seguono con ottima approssimazione una distribuzione di Salpeter ( = 2.35)

La IMF puo essere daltra parte agevolmente ricavata dai dati sperimentali esprimendo la fun-
zione di luminosita osservata per le strutture non evolute della MS in un piano logN, V. Tale piano
risulta di grande utilita ogni qualvolta si discutano funzioni di lumonosita, rivelando le caratteris-
tiche della distribuzione indipendentemente dalla tricchezza del campione. Nel caso in discussione
ad ogni esponente della IMF corrisponde una unica e ben determinata pendenza delle curve, e vari-
azioni nel numero totale delle stelle implicano solo uno spostamento solidale della curve lungo lasse
delle ascisse. La Fig. 9.13 mostra un esempio dellapplicazione di tale tecnica allammasso NGC1866
in LMC, ripetutamente usato come test per indagare lefficienza di overshooting invasivi. Purtroppo
incertezze nei dati sperimentali e difformita negli scenari teorici di riferimento non hanno ancora
portato a conclusioni unanimi.
Per amore di precisione, notiamo infine che in quanto sopra abbiamo leggermente abusato della
definizione di MS: con tale termine abbiamo infatti indicato la sequenza di stelle che in realta e
formata stricto sensu non solo da strutture di MS, ma ha alla sua culminazione strutture nelle fasi
immediatamente successive alla overall contraction. Per porre in chiaro tale ulteriore contributo,
al posto di MS e stata talora usata la definizione di Blue Sequence (BS), ma questo e dettaglio
marginale.

A9.3. Ammassi Globulari: Rami delle Giganti Rosse


Vogliamo qui discutere con qualche maggior dettaglio la dipendenza dei Rami delle Giganti dal
contenuto metallico, caratteristica che gioca un ruolo non secondario in molti parametri osservativi.
La Fig. 9.14 riporta la distribuzione teorica di stelle in fase di combustione di idrogeno per lassunta
eta di 11 Gyr e la variare del contenuto metallico nellintervallo Z=0.0002-0.008. Si nota come
al crescere della metallicita le isocrone si spostano regolarmente verso minori temperature efficaci
(verso il rosso). Al livello di modello mentale tale spostamento trova una sua ragione nellaumentata
opacita della materia, dalla quale discende un maggior gradiente radiativo e quindi una maggior
escursione di temperatura dal centro alla periferia della struttura.
Tale andamento teorico, che rende almeno qualitativamente ragione di analoghe evidenze sper-
imentali, ha suggerito tutta una serie di parametri osservativi volte ad ottenere indicazioni sulla
metallicita di un ammasso globulare dai soli dati fotometrici, senza cioe ricorrere alla analisi di
spettri stellari. Se ne traggono criteri di metallicita fotometrici che risultano di grande rilevanza
quando lindagine si spinga ad ammassi distanti per i quali risulti difficoltoso acquisire informazioni
spettroscopiche. Con riferimento ai dati riportati in figura e innanzitutto subito visto che il colore
del Ramo delle Giganti ad una prefissata luminosita puo essere calibrato in termini della metallicita
dellammasso.
19

Fig. 9.14. Isocrone teoriche nel piano V, B-V per stelle in fase di combustione di idrogeno con una
comune eta di 11 Gyr e per i valori di metallicita Z=0.0002, 0.0004, 0.0006. 0.001, 0.004, 0.008.

Fig. 9.15. Relazione tra massa del nucleo di He (Mc) e luminosita per due Giganti Rosse di 0.9
M e per i due indicati valori della metallicita .

Lapproccio osservativo riposa peraltro forzosamente su una definizione leggermente piu comp-
lessa. Per ottenere un parametro indipendente dal modulo di distanza dellammasso si definisce il
parametro

(B V )0,g
come il colore disarrossato del Ramo delle Giganti misurato al livello di luminosita del Ramo
Orizzontale. La calibrazione empirica di tale parametro riposa su campioni di ammassi di cui siano
noti sia il diagramma CM che le rispettive metallicita spettroscopiche. La corrispondente cali-
brazione teorica si scontra con lincertezza sul valore della lunghezza di rimescolamento, da cui
abbiamo visto dipendere il colore del Ramo delle Giganti e si traduce di fatto non tanto in una cali-
brazione del parametro (B-V)0,g in termini di metallicita quanto in una calibrazione della lumghezza
di rimescolamento in termini dela metallicita stessa.
Un altro parametro fotometrico e fornito dalla Pendenza del Ramo definita dal parametro S
(=Slope)

V
S=
(B V )
misurata sempre sa partire dal livello di luminosita del Ramo Orizzontale. Nella sua formulazione
originale, lintervallo di misura veniva definito tramite il punto del Ramo delle Giganti 2.5 mag piu
luminoso del HB. Tenendo presente che la magnitudine V del HB si aggira attorno a 0.5 m, la Fig.
9.14 mostra come tale definizione non sia applicabile agli ammassi piu metallici, che non raggiungono
la richiesta differenza di magnitudine. Per tale motivo sono state evanzate definizioni alternative,
sia diminuendo lintervallo di magnitudini, come esemplificato in figura, sia prendendo come base un
intervallo in colore e non in magnitudine. Senza entrare in ulteriori dettagli, notiamo qui solamente
che il parametro S, rispetto al parametro (B-V)0,g , gode della importante proprieta di non dipendere
dallarrossamento dellammasso, sovente mal conosciuto.
20

Fig. 9.16. Calibrazione teorica dei colori integrati di Ammassi Globulari per gli indicati valori di
eta al variare del contenuto metallico. I punti riportano valori osservativi per Ammassi Globulari
Galattici.

Il contenuto metallico gioca un ruolo importante anche nella storia evolutiva delle strutture di
Gigante Rossa. Abbiamo gia ricordato come per tali strutture valga una relazione massa del nucleo
di He - luminosita. Ora aggiungiamo che tale relazione non dipende - entro limiti ragionevoli - dalla
massa stellare ma dipende dal contenuto metallico. I dati in Fig. 9.15 mostrano come per ogni
assunto valore della metallicita stelle con minore contenuto metallico abbiano una maggiore massa
del nucleo di He. Nuovamente a livello di modello mentale e ricordando come lenergia sia prodotta
dalle combustioni CNO, cio discende dal fatto che a parita di nucleo di He stelle a minore contenuto
di CNO erogano minor energia.
I dati nella stessa figura confermano ( 6.3) anche che, a parita di massa, la luminosita del
bump del Ramo delle Giganti decresca sensibilmente al crescere della metallicita. Aggiungiamo
che, per fissata metallicita, tale luminosita decresce al diminuire della massa evolvente e quindi
allaumentare delleta dellammasso. Aggiungiamo anche che la vita in fase di combustione di
idrogeno cresce allaumentare dei metalli: i modelli di Fig. 9.15 raggiungono il flash rispettivamente
a 7.07 Gyr (Z=0.0002) e 12.94 Gyr (Z=0.008). A parita di eta stelle piu metalliche sono quindi
meno massicce, e la diminuzione di massa si aggiunge allaumento di metallicita nel contribuire alla
diminuzione della luminosita del Bump. Le condizioni sulla luminosita del Bump possono cosi essere
riassunte schematicamente:

M = cost, Z : LBump tf lash

t = cost, Z : LBump Mf lash


Ricordando infine come la luminosita del Bump dipenda anche dallabbondanza originale di He,
se ne trae la conclusione che la rivelazione di tale fase nei Rami di Giganti osservati aggiunge una
preziosa informazione che non dovrebbe essere trascurata nellinterpretazione dei diagrammi CM in
termini di eta e composizione chimica delle strutture stellari.
Osservando come le Giganti Rosse risultino di gran lunga le stelle piu luminose di un ammasso
globulare, se ne trae anche la ovvia conseguenza che il colore integrato di un ammasso e largamente
dominato dalla radiazione emessa da tali strutture. Dai dati riportati in Fig. 9.14 si ricava senza
ambiguita la predizione che il colore integrato di un ammasso che abbia superato la Red Giant
21

Fig. 9.17. Traiettoria nel diagramma HR di una stella di 0.8 M , Z=0.0002 per i due indicati
valori del parametro di efficienza della perdita di massa nella formulazione di Reimers.

Transition deve risultare tanto piu rosso quanto piu alta e la metallicita, predizione puntualmente
verificata dai calcoli evolutivi. La Fig. 9.16 mostra come i colori integrati in varie bande siano ottimi
indicatori di metallicita, solo marginalmente affetti da variazioni di eta nellintervallo 8-15 Gyr. E
peraltro da avisare che variazioni nel tipo di HB possono introdurre ulteriori, ma non drsmmstiche
variazioni. I colori integrati forniscono quindi la possibilita di ottenere preziose informazioni sulla
metallicita di ammassi globulari in galassie anche estremamente lontane e per i quali non siano
accessibili i diagrammi CM.
Ricordiamo infine come la luminosita delle stelle alestremita superiore del Ramo (Tip delle
Giganti) sia stata piu volte utilizzata per stimare la distanza di ammassi globulari extragalattici,
con una precisione che puo tipicamente scendere a circa 0.1 mag.

A9.4. Ammassi Globulari: Nane Bianche di He, Hot Flashers


Levidenza osservativa di Ammassi Globulari con Code Blu deve essere necessariamente interpre-
tata come evidenza di Giganti Rosse che hanno perso massa sino a raggiungere le masse critiche per
linnesco del flash, iniziando la loro fase di combustione centrale sotto forma di un nuclewo di He
contornato al piu da un tenuissimo inviluppo ancora ricco di H. Qualunque sia il meccanismo che
governa tale abnorme perdita di massa, e lecito ritenere che ben difficilmente possa essere calibrato
sui limiti di massa per linnesco, e ne consegue la predizione che in ammassi con Code Blu alcune
Giganti Rosse debbano perdere ancor piu massa, mancando linnesco del flash e andando a contrarre
sotto forma di Nane Bianche di Elio.
La Fig. 9.14 mostra le previsioni teoriche su un tale accadimento, riportando le tracce evolutive
per tre diversi valori del coefficiente che regola la perdita di massa nella formulazione di Reimers.
Per = 0, si ha la normale evoluzione a massa costante con linnesco del flash al tip dell RGB.
Per = 1 e 2, quando la massa dellinviluppo di H scende al di sotto di un valore critico , le
strutture abbandonano il Ramo delle Giganti prima di raggiungere il tip, tanto piu precocemente
quanto maggiore e la perdita di massa. Ricordando come sullRGB viga una relazione massa del
nucleo -luminosita e immediato collegare tale evidenza con le progressivamente minori masse
delle strutture.
Levoluzione di tali strutture nella fase di abbandono dellRGB mostra interessanti caratteris-
tiche. Si noti innanzitutto nella Fig. 9.17 come prima dellabbandono le tracce evolutive tendano sia
pur leggermente a spostarsi a temperature efficaci minori della traccia a massa costante. Linviluppo
ha tempi scala di Kelvin-Helmotz minori dei tempi evolutivi, e si sposta quindi verso la traccia di
Hayashi corrispondente alla diminuita massa. Quando la massa dellinviluppo scende al di sotto di
0.06 M la struttura termina la sua normale evoluzione di RG, la luminosita si stabilizza e la
temperatura efficace inizia a risalire mentre la shell di H continua a trasformare H in He diminu-
endo la massa dellinviluppo. Come risultato si ottengono strutture che raffredderanno sotto forma
di Nane Bianche di He con inviluppi ricchi di idrogeno anche inferiori al millesimo di massa solare.
Labbandono del Ramo delle Giganti, con la conseguente escursione verso la sequenza di raf-
freddamento di Nana Bianca, obbedisce a regole nel contempo precise ed interessanti. Adottando la
22

Fig. 9.18. A sinistra: Massa delle strutture allabbandono del Ramo delle Giganti al variare
dellefficienza della perdita di massa e per le indicate assunzioni sulla metallicita. A destra: Massa
degli inviluppi ricchi di idrogeno allabbandono del Ramo delle Giganti in funzione della luminosita
di abbandono e per le indicate assunzioni sulla metallicita delle strutture

formulazione di Reimers per la perdita di massa, si trova che al crescere del parametro di efficienza
le strutture -come atteso- abbandonano sempre piu precocemente il Ramo delle Giganti, ad una
luminosita che risulta praticamente indipendente dalla metallicita delle strutture. Quanto questo
risultato sia collegato allintervento di diversi e contemporanei fattori e mostrato dai dati in Fig.
9.18. Il pannello di destra mostra infatti come, a parita di e quindi di luminosita di abbandono, la
massa delle strutture sia tanto maggiore quanto minore la metallicita. Questa e lattesa conseguenza
del fatto che al diminuire della metallicita i Rami delle Giganti si spostano a temperature efficaci
maggiori e quindi diminuisce, a parita di , la perdita di massa.
Labbandono del Ramo delle Giganti avviene quando quindi, per ogni prefissata luminosita,
ad una massa critica che aumenta al diminuire della metallicita. Tale aumento non e in realta
sorprendente quando si tenga conto di almeno due fattori. Innanzitutto, la Fig. 9.15 mostra come
a parita di luminosita stelle meno metalliche hanno nuclei di He maggiori e quindi, a parita di
massa, avrebbero inviluppi idrogenoidi minori. A cio si aggiunge, come mostrato nel pannello di
destra di Fig. 9.18, che al diminuire della metallicita cresce anche il valore della massa minima
dellinviluppo (massa critica) necessaria per sostenere levoluzione di Gigante Rossa. Anche per tale
accadimento si puo ricorrere ad un modello mentale: maggiore la metallicita, maggiore il CNO,
piu efficiente e piu sottile la shell di combustione e, di conseguenza, minori le richieste sulla massa
minima dellinviluppo.
Al quadro generale sin qui riportato, la teoria aggiunge la predizione che al crescere della perdita
di massa, le prime strutture che abbandonano il Ramo delle Giganti prima di innescare il flash
dellHe, finiscono con subire tale innesco durante lescursione verso la sequenza di Nana Bianca o
addirittura durante il raffreddamento lumgo tale sequenza.La Fig. 9.19 ne riporta un tipico esempio.
Tali strutture sono indicate in letteratura con il termine di Hot Flashers, e coprono un ristretto
interallo di masse, dellordine di 0.02 M . Masse ancora minori non riescono ad innescare il flash e
raffreddano come Nane Bianche.
Al termine del flash gli Hot Flashers iniziano la fase di combustione quiescente dellHe quasi, ma
non esattamente, in corrispondenza della ZAHB delle masse superiori. Il nucleo di He non e infatti
riuscito a svilupparsi completamente e le strutture hanno nuclei di elio leggermente meno massicci,
risultando di conseguenza leggermente meno luminose. La Fig. 9.20 mostra nel dettaglio un esempio
di tale accadimento. Particolare di grande rilevanza e levidenza che in base ai meccanismi descritti,
tali stelle conserveranno in ogni caso un sia pur tenue inviluppo di idrogeno, non raggiungendo quindi
mai lestremo limite teorico della ZAHB definito da un inviluppo nullo. In base a tali considerazioni
la teoria fornisce per le strutture in fase di combustione quiescente di He una temperatura efficace
massima non superiore a logTe 4.5
Numerosi dati osservativi sembrano peraltro indicare che tali temperature sono superate dalle
stelle piu calde in almeno alcune Code Blu. La Fig. 9.21 riporta i dati osservativi per il ramo
orizzontale di NGC2808, come osservato nelle bande 2180 A (estremo UV) e 5500 A (visibile). Si
nota innanzitutto come luso di bande UV consenta di studiare con grande dettaglio le stelle di HB
23

Fig. 9.19. Traiettoria evolutiva di un modello di Hot Flasher. Lasterisco indica linnesco del
flash dellHe e la linea a tratti collega tale punto col primo modello di combustione quiescente di He
centrale. E riportata anche la successiva evoluzione in combustione quiescente di elio sino al finale
raffreddamento sotto forma di Nana Bianca di CO.

Fig. 9.20. ZAHB e fasi di combustione centrale di He per strutture evolutive (linee continue)
confrontate con modelli a massa del nucleo costante (linee a tratti). Le masse delle strutture sono
indicate in masse solari. Per confronto sono riportati anche tre modelli di puro elio di 0.45, 0.50 e
0.55 M e la traccia evolutiva del modello di 0.50 M sino al raffreddamento come nana di CO.

Fig. 9.21. Diagramma CM UV delle stelle dellammasso NGC2808. La grande linea curva indica la
collocazione della ZAHB teorica, e la linea a tratti quella delle fasi di esaurimento dellelio centrale.
Sono indicate alcune fasi evolutine: TO=Turn Off, RHB= Red HB, BHB= Blue HB, AGBm=AGB
manque. E indicata anche la sequenza di Blue Stragglers (BS), di origine incerta.

ad alta temperatura, che in tali bande risultano di gran lunga le piu luminose dellintero ammasso.
Colori quali (218-555) usato in figura risultano onoltre ben correlati con le temperature estreme, a
differenza - ad es- - del B-V che a tali temperature ha ormai saturato raggiungendo il suo minimo
valore.
24

Dal confonto dei dato osservativi con le previsioni teoriche, riportate nella stessa figura, si
nota come le stelle piu calde superino il limite estremo delle previsioni teoriche. Tale accadimento
pare anche confermato da osservazioni spettroscopiche, che forniscono per tali stelle temperature
dellordine di 35000-40000 K (logTe 4.55-4.60). Il problema e ancora aperto: tra le varie ipotesi
segnaliamo quella che collega tali alte temperature ad eventi di mescolamento durante il flash delle
strutture meno massicce, che arricchirebbero le atmosfere di tali stelle di He e C.
25

Origine delle Figure

Fig.9.1 Castellani V., DeglInnocenti S., Prada Moroni P.G., Tordiglione V. 2002, MNRAS 334, 193
Fig.9.2 Brocato E., Castellani V., Di Carlo E., Raimondo G., Walker A.R. 2003, AJ 125, 311
Fig.9.3 Bencivenni D., Brocato E., Buonanno R., Castellani V. 1991, AJ 102, 137
Fig.9.4 Brocato E., Castellani V., Piersimoni A. 1997, AJ 491, 789
Fig.9.5 Cariulo P., DeglInnocenti S., Castellani V., 2004, A&A (in stampa)
Fig.9.6 Monelli M., Pulone L., Corsi C.E., Castellani M., Bono G. (piu 10 coautori) 2003, ApJ 128, 218
Fig.9.7 Heber U., Kudritzki R., Caloi V., Castellani V., Danziger J. (piu 2 coautori) 1985, A&A 162, 171
Fig.9.8 Rosenberg A., Piotto G., Saviane I., Aparicio A. 2001, A&A 144, 5; 145, 451
Fig.9.9 Piotto G., King I.R., Djorgovski S.G., Sosin C., Zoccali M. (piu 7 coautori) 2002, A&A 391, 945
Fig.9.10 Brocato E., Castellani V., Poli F.M., Raimondo G. 2000, A&AS 146, 91
Fig.9.11 Barbero, J., Brocato E., Cassatella A., Castellani V., Geyer E.H. 1990, ApJ 351, 98
Fig.9.12 Prada Moroni P.G. 1999, Tesi, Universita di Pisa.
Fig.9.13 Brocato E., Castellani V., Di Carlo E., Raimondo G., Walker A.R. 2003, AJ 125, 3111
Fig.9.14 Cariulo P., DeglInnocenti S., Castellani V., 2004, A&A (in stampa)
Fig.9.15 Pisa Evolutiobary Library
Fig.9.16 Brocato E., Castellani V., Poli F.M., Raimondo G. 2000, A&AS 146, 91
Fig.9.17 Castellani M., Castellani V. 1993, ApJ 407, 649
Fig.9.18 Castellani V., Luridiana V. , Romaniello M. 1994, ApJ 428, 633
Fig.9.19 Castellani M., Castellani V. 1993, ApJ 407, 649
Fig.9.20 Castellani V., DeglInnocenti S., Pulone L. 1995, 446, 228
Fig. 9.15 Bono G., Castellani V., Iannicola G. 2004, in preparazione.
Capitolo 10

Le Stelle variabili.

10.1. Cenni storici e inquadramento


Nella cultura occidentale la perfezione e la conseguente immutabilita dei cieli sono state per
quasi due millenni un preciso dogma delle imperanti dottrine aristoteliche. Gli oggetti celesti
erano quindi pensati come eterni ed incorruttibili, non sucettibili di variazioni o modifiche.
In tale contesto lapparizione delle comete veniva riguardata come fenomeno atmosferico,
non convolgendo quindi la profondita del cielo. Fu quindi con non piccola sorpresa che nel
1596 il pastore luterano Fabricius annunzia che una stella nella costellazione della Balena
(omicron Ceti) mutava regolarmente di splendore. La grabde novita del fenomeno giustifica
il nome con cui quella stella fu battezzata e che tuttora conserva: Mira Ceti, cioe la stella
meraviglios o straordinaria in Cetus.
Per dare subito una chiara idea del fenomeno variabilita riportiamo in Fig. 10.1 la
curva di luce di quella stella, cioe un grafico che registra landamento della magnitudine
delloggetto in funzione del tempo: la luminosita varia regolarmente con il tempo, con un
periodo di circa 11 mesi, passando da un massimo attorno a magnitudine 2-3 ad un minimo
ben al di sotto alla magnitudine 6, soglia di visibilita ad occhio nudo. Lispezione visiva del
cielo mostrava dunque nella costellazione della Balena una stella che appariva e scompariva
regolarmente, ad intervalli di 11 mesi.
A partire da quei lontani tempi le indagini astronomiche hanno presto rivelato come la
variabilita stellare sia un fenomeno tuttaltro che raro, portando a molte diecine di migliaia
il numero di variabili sinora scoperte nella sola nostra Galassia. Sono nel contempo emerse

Fig. 10.1. Curva di luce di Mira Ceti. Il tempo e espresso in giorni giuliani (J.D. = Julian Days
A10.1)

1
2

sostanziali differenze nelle caratteristiche di tale variabilita e nei meccanismi allorigine del
fenomeno. Citiamo subito, per non interessarcene ulteriormente, la presenza di variabili
ottiche o pseudovariabili, oggetti binari nei quali le variazioni periodiche di luminosita
sono dovute al mutuo eclissarsi dei due oggetti orbitanti (binarie ad eclisse). Tra gli oggetti
che invece presentano una reale variabilita possiamo definire in prima approssimazione due
grandi tipologie:

1. Variabili intrinseche. Come Mira Ceti, hanno variazioni di magnitudine che si ripetono
sovente con ampiezze e periodi ben determinati. Tra queste le variabili pulsanti, nelle
quali l effetto Doppler nelle righe dello spettro mostra senza ambiguita che la variazione
di luminosita e accompaganta da corrispondenti variazioni del raggio delle strutture.

2. Variabili cataclismiche. Hanno improvvisi e in genere violenti aumenti di luminosita che


si ripetono senza precisa periodicita. A tale classe vanno ascritti oggetti quali le variabili
tipo U Geminorum, ma anche le stelle Novae, nelle quali e stata piu volte riscontrata la
ripetibilita del fenomeno sia pur a grande distanza di tempo (novae ricorrenti). In tutti i
casi ci si trova di fronte a sistemi binari stretti con instabilia causate da scambi di massa
tra le due componenti.

Nel prosieguo di questo capitolo ci interesseremo esclusivamente delle variabili pulsanti


e, tra esse, a quelle strutture che mostrano andamenti strettamente periodici. Le ragioni
di tale scelta risiedono nellevidenza che solo in questo caso la variabilita e un fenomeno
intrinseco alle singole strutture stellari, collegabile quindi a quegli stessi parametri evolutivi
- quali massa, luminosita o temperatura efficace - oggetto dallindagine evolutiva. Tale pur
semplice constatazione chiarisce subito la portata delle ricerche sulla variabilita: quando si
giunga - come oggi si e giunti - a stabilire le relazioni che collegano le caratteristiche della
pulsazione a quelle delle relative strutture, le predizioni evolutive che siamo andati sin qui
sviluppando si traformano anche in predizioni sulle caratteristiche pulsazionali osservate.
La variabilita stellare viene cos ad aggiungersi allo scenario evolutivo, integrandolo e
perfezionandolo con nuove e indipendenti predizioni i cui riscontri osservativi forniscono
preziose verifiche allo scenario evolutivo e, nel contempo, offrono la possibilta di appro-
fondire linterpretazione delle strutture stellari disseminate per nelle galassie. Aggiungiamo
solamente che le variabili cataclismiche, per ora trascurate, assumeranno invece un ruolo
fondamentale nel prossimo capitolo, quando tratteremo il problema dellevoluzione nucleare
della materia dellUniverso.

10.2. Pulsatori radiali


La moderna ricerca astronomica ha portato alla luce un gran numero di forme di vari-
abilita intrinseca presenti, con maggiore o minore evidenza, nelle strutture stellari. Quando
si consideri che le ocillazioni solari sono in ultima analisi una forma di microvariabilita, si
comprende anche come non sia facile porre un limite preciso tra strutture variabili e non
variabili (statiche). Noi qui ci interesseremo solo delle forme di alcune variabilita macro-
scopica e, tra queste, di classi di pulsatori radiali che caratterizzano con la loro presenza le
popolazioni stellari della nostra come di altre galassie.
Al riguardo abbiamo gia avuto occasione di ricordare come nei Rami Orizzontali degli
Ammassi Globulari esista un intervallo di temperature nel quale le stelle, se presenti, sono
tutte variabili a corto periodo (minore di un giorno) di tipo RR Lyrae. Queste variabili
sono invece assenti in ammassi o popolazioni stellari piu giovani, ove si manifestano invece
variabili a piu lungo periodo, tra alcuni giorni e pochi mesi, che prendono il nome di Cefeidi
Classiche. Ambedue queste classi prendono il nome dalla prima variabile della classe scoperta
e studiata in qualche dettaglio, rispettivamente RR Lyrae e Cephei per le due popolazioni.
3

Fig. 10.2. Distribuzione nel diagramma HR di idocrone al variare delleta e per lindicata compo-
sizione chimica iniziale. Sono indicati i bordi della striscia di instabilita e, a tratti, e schematizzata
la collocazione del Ramo Orizzontale popolato dalle stelle in combustione centrale di He nelle popo-
lazioni piu antiche.

Il problema della variabilita stellare e suscettibile di un approccio moderno e generaliz-


zato. Le teorie evolutive ci hanno infatti insegnato come una popolazione stellare al variare
delleta porti le stelle a percorrere progressivamente vaste ma ben determinate porzioni del
diagramma HR. A titolo di esempio, la Fig. 10.2 riporta lo sviluppo in tale diagramma delle
isocrone di una popolazione con Z=0.008 e al variare delleta tra 50 Myr e 4 Gyr. Per diverse
composizioni chimiche varieranno i dettagli delle singole isocrone, lasciando peraltro inal-
terata il quadro topologico generale. Le strutture teoriche con cui e popolato il diagramma
sono per imposte condizioni matematiche strutture di equilibrio. Nulla peraltro ci assicura
che questo equilibrio sia stabile o meno.
Le procedure fisico-matematiche per investigare la stabilita di una struttura stellare,
quale quelle fornite dai calcoli evolutivi, sono concettualmente semplici: abbandonare la
condizione di equilibrio scrivendo le equazioni del moto per gli elementi del fluido stellare
e perturbare la struttura, indagando se la perturbazione tende a smorzarsi (stabilita) o, al
contrario, ad esaltarsi (instabilita). Su tale falsariga si sono andati sviluppando nel tempo
calcoli sempre piu precisi e perfezionati. Dai primi approcci di piccole perturbazioni in
approssimazione lineare, non in grado quindi di seguire il completo sviluppo del fenomeno, si
e passati a formulazioni non lineari progressivamente sempre piu adeguate a rappresentare la
fenomenologia della pulsazione. Conseguentemente, in letteratura si trovano ancora risultati
di varia affidabilita. A titolo orientativo ricordiamo che le valutazioni teoriche sui periodi
risultano in ogni caso largamente affidabili, mentre le valutazioni sui bordi dellinstabilita e
lampiezza della pulsazione dipendono criticamente dalla adeguatezza dello scenario teorico
adottato.
Quel che qui interessa e che sin dalle prime e approssimate valutazione e emerso che
esiste nel diagramma HR una striscia di instabilita, schematizzata in Fig. 10.2, allinerno
della quale tutte le strutture risultano instabili per pulsazioni radiali, cioe per ripetitive
e periodiche variazioni di raggio accompagnate da corrispondenti variaziono di luminosita.
Risulta innanzitutto che la pulsazione e un fenomeno che coinvolge essenzialmente solo
gli strati piu esterni di una struttura. Si comprende cos la correlazione tra pulsazione e
diagrama HR: la modellistica stellare ci assicura infatti che per ogni assunta composizione
4

chimica originaria un punto del diagramma HR determina completamente la struttura degli


strati atmosferici e subatmosferici.
Lorigine dellinstabilita risiede principalmente nelle zone di ionizzazione dellidrogeno e
dellelio. Cio rende anche qualitativamente ragione dellesistenza di una instability strip:
per temperature efficaci minori del limite rosso della strip la ionizzazione ha luogo in una
regione densa e adiabatica che non sostiene le pulsazioni. Per temperature maggiori del limite
blu, la ionizzazione diviene invece troppo superficiale, coinvolgendo una frazione troppo
piccola di massa. La pulsazione si instaura cioe quando le zone di ionizzazione si vengono
a trovare abbastanza, ma non troppo, al di sotto dellatmosfera stellare. I meccanismi fisici
che producono e sostengono linstabilita risiedono principalmente nella risposta dellopacita
radiativa (meccanismo K) e dellesponente adiabatico (meccanismo ) a fluttuazioni delle
condizioni locali.
Poiche il meccanismo della pulsazione e in ogni caso sotto il controllo della gravita, e
infine facile prevedere che allaumentare della gravita debbano diminuire i periodi. Possiamo
trasferire questa constatazione in termini di parametri stellari ricordando che R L/T4e
e quindi, a parita di massa, aumentando L o diminuendo Te diminuisce la gravita. Ne
concludiamo, ancor prima di un qualunque calcolo dettagliato, che ci attendiamo

P quando M L Te
I dati in Fig. 10.2 rendono spontaneamente ragione per lo scenario osservativo in prece-
denza delineato. Si vede infatti come nel caso di popolazioni giovani, trascurando la rapida
fase di attraversamento del diagramma al termine della combustione centrale di H, la strip
possa essere popolata solo da quelle stelle sufficientemente massicce il cui loop in fase di
combustione centrale di He penetri nella strip. Nelle popolazioni piu antiche, quali quelle
degli ammassi globulari, tali strutture vengono ovviamente a mancare, mentre la strip di
instabilita puo essere popolata sola da strutture di Ramo Orizzontale, a molto minore lu-
minosita. E immediato identificare i due casi con le classi, rispettivamente, di Cefeidi e RR
Lyrae, comprendendo nel contempo che la differenza tra le due classi discende dalla diversa
eta e non dalla diversa composizione chimica. E comprendendo anche che il minor periodo
delle RR Lyrae discende essenzialmente dalla maggior gravita superficiale.

10.3. RR Lyrae
La Fig. 10.3 mostra la curva di luce nella banda V della variabile RR Lyrae, prototipo della
omonima classe, il cui periodo P risulta

P = 0.56683735d
Si noti che lestrema precisione con cui e noto il periodo, inferiore al centesimo di secondo,
e conseguenza di osservazioni ripetute ad intervalli di tempo molto maggiori del periodo
stesso. Nelloccasione notiamo come i periodi delle variabili rappresentino una grandezza
astrofisica non solo misurabile con precisione sconosciuta a tutte le altre grandezze sinora
incontrate nella problematica stellare, ma che anche non dipende ne dalla distanza ne da
eventuali arrossamenti degli oggetti. Un dato sperimentale quindi di agevole misura ed es-
trema affidabilita che si inserisce in un quadro osservativo per molti versi affetto da molte
piu incertezze.
Un ulteriore parametro caratterizzante la pulsazione e fornito dallampiezza della curva
di luce, intesa come differenza delle magnitudini al massimo e al minimo della curva stessa.
Poiche alla variazione di luminosita corrispondono anche variazioni di temperatura efficace,
lampiezza dipende dalla banda di osservazione e, tipicamente, risulta massima nella banda
B che, per tale motivo, e la piu utilizzata sia per la ricerca di variabili che per definirne
5

Fig. 10.3. Curva di luce nella banda V della variabile RR Lyrae.

Fig. 10.4. Pannello superiore: Diagramma di Bayley per un campione di RR Lyrae nellAmmasso
Globulare NGC5904=M5. Pannello inferiore: La collocazione nel diagramma CM del campione di
cui al pannello superiore.

lampiezza. In qualunque banda, lampiezza della curva di luce e peraltro, anchessa, indipen-
dente da distanza ed arrossamento, cosi che ogni variabile osservata fornisce due parametri
esenti da incertezze sperimentali.
Le RR Lyrae sono tipiche variabili di Popolazione II e, in quanto tali, presenti sia come
stelle sparse nellalone galattico sia concentrate in alcuni Ammassi Globulari. Le RR Lyrae
degli Ammassi Globulari sono state storicamente e restano tuttora di estrema importanza:
si e in presenza di campioni ricchi anche di qualche centinaio di variabili, tutte alla stessa
distanza, tutte con la stessa eta e tutte provenienti da stelle con la medesima composizione
chimica. Campioni quindi ottimali per indagare le proprieta intrinseche della variabilita e il
loro collegamento con i parametri evolutivi.
Una prima ed important proprieta di tali variabili emerge mappando in un piano
(Diagramma di Bayley) i due parametri pulsazionali periodo e ampiezza. Come mostrato
nellesempio riportato nel pannello superiore di Fig. 10.4, i pulsatori si dispongono in due
6

Fig. 10.5. Topologia della striscia teorica di instabilita per stelle povere di metalli e massa 0.75
M . Sono indicate le tre zone discusse nel testo e i vari limiti di instabilita: FBE (Fundamental Blue
Edge), FRE (Fundamental Red Edge), FOBE (First Overtone Blue Edge), FORE (First Overtone
Red Edge).

gruppi ben distinti: un gruppo (RR di tipo ab = RRab) a maggiori periodi e ampiezze
varie, decrescenti col periodo, e un gruppo (RRc) con piccole ampiezze e corti periodi. Il
diagramma CM riportato nel pannello inferiore della stessa figura mostra come i pulsatori
di tipo ab o c si dispongano rispettivamente alle minori o alle maggiori temperature
efficaci.
Semplici considerazioni di ordine fisico hanno da molto tempo suggerito che una tale dico-
tomia delle proprieta pulsazionali sia una manifestazione di diversi modi della pulsazione,
nel modo fondamentale le RRab e nel primo sopratono le RRc. Tale previsione e risultata
pienamente confermata daile moderne valutazioni teoriche che mostrano come nella strip
di instabilita si distinguano tre regioni con diverse caratterisiche pulsazionali: alle maggiori
temperature efficaci una zona FO (= First Overtone) ove e instabile solo il primo sopratono,
alle minori temperature una zona F (=Fundamental) ove le stelle possono pulsare solo nel
modo fondamentale e una zona intermedia (zona OR) dove sono instabili tutti e due i modi
e le stelle possono pulsare indifferentemente pulsare nel fondamentale o nel primo sopratono.
La Fig. 10.5 riporta la topologia della striscia teorica di instabilita per stelle povere di
metalli e massa 0.75 M . La precisa collocazione dei bordi delle zone di instabilita dipende
infatti dalla massa stellare e dalla composizione chimica degli inviluppi. Aggiungiamo che lo
sviluppo della convezione giuoca un ruolo determinante nellinibire la pulsazione alle minori
temperature efficaci. Non sorprendentemente, lesatta collocazione del FRE viene anche a
dipendere dalle assunzioni sulla mixing length.
La teoria fornisce inoltre precise predizioni sui periodi. Per il modo fondamentale risulta

logPF = 11.242 + 0.841 logL 0.679 logM 3.410 logTe + 0.007 logZ
dove L e M sono in unita solari e il periodo P e in giorni. Per il primo sopratono vale una
formula analoga, che con ottima approssimaziome puo essere ridotta alla relazione

logPF O = logF 0.13


cioe il primo sopratono si colloca a periodi pari a circa il 74% dei corripondenti periodi fonda-
mentali. Queste relazioni consentono di associare ad ogni isocrona, eventualmente popolata
tramite procedure di ammasso sintetico, una puntuale predizione della presenza di variabili
7

Fig. 10.6. La strip di instabilit a nel piano logP, Mv. Le frecce sullascissa indicano un intervallo
di periodi osservato e le linee a tratti mostrano il metodo per ricavare la magnitudine assoluta dei
pulsatori.

RR Lyrae e dei loro periodi. Si aprono cos inumerevoli canali di indagine che consentono di
utilizzare le proprieta osservative di questi pulsatori come elemento a conferma o integrazione
delle indagini puramente evolutive.
Senza entrare in una casistica talvolta complessa e delicata, notiamo qui soltanto che per
ogni assunta composizione chimica, le teorie evolutive forniscono una precisa predizione per
la luminosita del Ramo Orizzontale e per le masse che popolano la strip di instabilia. Ne segue
anche una precisa predizione sui periodi delle RR Lyrae e, in particolare, sui periodi minimi
e massimi come realizzati rispettivamente al bordo blu e al bordo rosso della strip. Il con-
fronto con le osservazioni consente quindi di validare lo scenario evolutivo o, eventualmente,
di acquisire informazioni sulle necessarie modifiche. Cos, ad esempio, un quadro teorico che
fornisse Rami Orizzontali troppo luminosi verrebbe rivelato da periodi minimo/massimo piu
lunghi di quelli osservati. La Fig. 10.6 mostra una utile forma applicativa di tale metodo.
Riandando alla Fig. 10.5 e facile verificare che per ogni assunta luminosita restano determi-
nati i periodi ai due limiti dalla strip, lungo cioe il FOBE e il FRE. Cio consente di mappare
la striscia di instabilita in un piano logP, log L o anche logP, Mv. Come esemplificato in
Fig. 10.6, ove si possa trascurare la dispersione in luminosita dei pulsatori, ad ogni osservato
intervallo di periodi corrisponde un ed un sol valore della magnitudine assoluta V, da cui la
luminosit a del Ramo e il modulo di distanza dellAmmasso.
Aggiungiamo che, a livello operativo, molte procedure di indagine risultano semplificate
dallutile artifizio di introdurre i periodi fondamentalizzati. Di fatto lanalisi dei dati osser-
vativi viene esguita trasformano gli osservati periodi delle RRc nei corrispondenti periodi
fondamentali tramite la precedente relazione, ricavando il periodo che quelle stelle mostr-
erebbero se pulsassero nel fondamentale. Si evitano cosi le complicazioni presentate dalla
presenza dei due modi di pulsazione ottenendo un campione sperimentale legato da una
univoca relazione ai parametri evolutivi. Altro artifizio talora utilizzato e quello dei periodi
ridotti, ottenuti riducendo i periodi osservati ad una comune luminosita tramite lutilizzo
della relazione dei periodi trasportata nel piano osservativo per ottenere logP in funzione,
ad esempio, di V, B-V e massa del pulsatore.
E facile infine prevedere, come di fatto si verifica, che in alcuni Ammassi Globulari
debbano esistere anche variabili a periodi nettamente piu lunghi di quelli tipici delle RR
Lyrae. Stelle di Ramo Orizzontale che originano da collocazioni di ZAHB a temperatura
efficace maggiore di quella della strip (quindi stelle di Ramo Orizzontale con masse minori
di quelle delle RR Lyrae) al termine della combustione centrale di He attraverseranno il
diagramma per raggiungere le loro collocazione di AGB, attraversando quindi la strip di
8

Fig. 10.7. Diagramma teorico logP, Mv per quattro valori della massa (5, 7, 9 e 11 M ) e per le
tre composizioni chimiche indicate.

instabilita a luminosita sensibilmente maggiori di quelle del Ramo. Avendo anche massa
minore pulseranno con periodi notevolment piu lumghi di quelli tipici delle RR.
Queste (rare) variabili sono sovente indicate il letteratura come Cefeidi di Popolazione II,
nomenclatura che trae origine dai lunghi periodi ma che risulta peraltro ingannevole perche
il comportamento e le caratteristiche di tali variabili sono ben lontani da quelli delle cefeidi
classiche che discuteremo nel seguito. Basti qui osservare che in queste variabili luminose di
Pop.II le strutture menomassicce sono anche le piu luminose (cfr., ad esempio, Fig. 7.12),
mentre il contrario avviene nelle Cefeidi classiche. Per tale motivo e stata recentemente
proposta la denominazione di Cefeidi di Ramo Orizzontale (HB Cepheids).

10.4. Cefeidi classiche


Lo studio delle Cefeidi classiche ha avuto grande importanza a partire dal lontano 1912,
quando miss Henrietta Leavitt, studiando ad Harward le Cefeidi nella Piccola Nube di
Magellano (quindi oggetti tutti alla stessa distanza) scopr lesistenza di una relazione
periodo-luminosita. Con lattuale senno del poi, lesistenza di una tale relazione non stupisce:
basta riandare alla Fig. 10.2 per prevedere che se osserviamo un campo celeste con popo-
lazioni stellari di varia eta la strip risultera popolata da una sequenza di strutture di varia
luminosita, tanto piu luminose quanto piu giovani e quindi piu massicce. Poiche in termini
di gravita la variazione di luminosita predomina sulla variazione di massa, ci attendiamo che
Cefeidi piu luminose abbiano periodi piu lumghi, come di fatto osservato.
Questo richiamo storico ci aiuta a comprendere le diverse filosofie che sovraintendono alle
indagini su RR Lyrae o Cefeidi. Per loro natura, le RR Lyrae sono stelle di luminosita, eta
e massa pressoche costanti, con distribuzione di periodi largamente regolata dalle differenze
di temperatura attraverso la strip. Lindagine si rivolge principalmente ai ricchi campioni di
variabili degli Ammassi Globulari, in larga parte al fine di determinare la magnitudine dei
Rami Orizzontali e i moduli di distanza dei cluster. Al contrario, i campioni di Cefeidi in clus-
ter sono in generale molto scarsi, e lindagime si rivolge a campi con popolazioni di eta, massa
e luminosita variabili, al fine essenzialmente di calibrare una relazione periodo-luminosita
che consenta di usare le Cefeidi, molto piu luminose delle RR Lyrae, come candele stan-
dard per calibrare la distanza di galassie anche lontane, ricavando la magnitudine assoluta
dagli osservati periodi.
9

Fig. 10.8. Strip di instabilita nel piano logP, Mv per Z=0.004 confrontata con la collocazione
di un campione di Cefeidi della Piccola Nube di Magellano (Small Magellanic Cloud= SMC). I
quadrati pieni riportano la collocazione dei corrspondenti modelli teroco do Fig. 10.7

Per indagare il previsto comportamento delle Cefeidi dovremo ricavare dalle teorie evo-
lutive la relazione massa-luminosita per le stelle che in fase di combustione centrale di elio
penetrano nella strip di instabilita. Essendo le Cefeidi stelle massicce e, quindi, relativamente
giovani, per la Galassia potremo orientativamente assumere una metallicita solare, Z0.02.
Ma la problematica delle Cefeidi si estende spontaneamente al di la della nostra Galassia, e
levidenza osservativa indica peraltro che le Cefeidi della Grande Nube di Magellano hanno,
almeno in media, metallicita minori, Z0.008, e ancora minori (Z0.004) quelle della Piccola
Nube. Sara quindi necessario esplorare linfluenza della metallicita sul comportamento di tali
variabili.
Possiamo peraltro operare subito una importante previsione. Le teorie evolutive ci indi-
cano che lestensione dei loop che caratterizzano la combustione centrale di elio aumenta al
diminuire della metallicita. Ci si deve quindi attendere che al diminuire di Z entrino nella
strip stelle progressivamente sempre meno massicce e, conseguentemente, meno luminose. Da
qui la previsione che popolazioni giovani ma povere di metalli dovrebbero essere segnalate
dallesistenza di Cefeidi con periodi anormalmente brevi. Tale previsione e di fatto pun-
tualmente verificata non solo nelle Nubi di Magellano ma anche in alcune galassie nane del
Gruppo Locale. In letteratura queste Cefeidi a corto periodo e povere di metalli sono state
per lungo tempo indicate come Cefeidi Anomale, nomenclatura che peraltro risente della
mancata comprensione della naturale estensione del fenomeno Cefeidi alle basse metallicita.
La Fig.10.7 riporta i risultati di una esplorazione teorica della variabilita di strutture
massicce di 5, 7, 8 e 11 M per le tre indicate assunzioni sulla composizione chimica origi-
naria delle strutture medesime. Sulla falsariga di procedure che abbiamo gia discusso, tale
indagine e stata eseguita, per ogni assunto valore della massa stellare, esplorando il dia-
gramma HR al variare della temperatura efficace e al livello di luminosita che compete alla
fase di combustione di elio delle singole masse. Dai risultati di tale esplorazione si ricava in-
fine il diagramma logP, logL e da questo diagrammi logP,magnitudini quale quello riportato
in figure.
Dai dati nella figura si ricavano alcune interessanti evidenze. Innanzitutto, come atteso,
per ogni assunta composizione chimica lesistenza di una striscia di instabilita nel diagramma
HR si traduce necessariamente in una corripondente striscia di instabilita nel diagramma
logP,Mv. Tale striscia, non marcata in figura, si ricava facilmente collegando tra loro i periodi
minimo e i periodi massimi della pulsazione per le varie masse ad ogni fissata composizione
chimica. La Fig. 10.8 riporta ad esempio la strip di instabilita per il caso Z=0.004. Come
mostrato nella stessa figura, il best fitting con i dati osservativi si ottiene richiedendo le
variabili allinterno della strip teorica, ricavandone cos un modulo di distanza.
10

Fig. 10.9. Il campione di Cafeidi della Grande Nube di Magellano raccolto dallesperimento OGLE.

Contrariamente a quanto talora ritenuto, non esiste quindi una relazione periodo-
luminosita (PL) ma esistono solo relazioni periodo-luminosita- temperatura assieme alle con-
seguenti periodo-luminosita-colore (PLC). Si potra al piu parlare di una relazione periodo-
luminosita media, quale quella rappresentata dalle curve teoriche riportate nella precedente
Fig. 10.7. Relazione peraltro non priva di rischi, applicabile solo quando si abbia la garanzia
che il campione osservativo sia non solo abbondante, ma anche uniformemente distribuito a
ricoprire lintera strip.
Le predizioni teoriche indicano che la collocazione della strip dovrebbe dipendere leg-
germente dalla metallicita, spostandosi verso il rosso allaumentare di questa. Ne segue lo
shif di periodi evidente in Fig. 10.7. Ne segue che a parita di periodo Cefeidi piu metal-
liche dovrebbero avere luminosita medie minori. Questa appare come una ferma predizione
teorica, anche se i riscontri sperimentali sono ancora dibattuti.
Anche le relazioni tra periodo e parametri strutturali dipendono leggermente dalla metal-
licita. Nel caso Z=0.008 (LMC) si ha ad esempio

logPF = 10.557 + 0.932 logL 0.795 logM 3.279logT e


che in realta non si discosta molto da quanto avevamo a suo tempo trovato per le RR
Lyrae. Anche nella strip delle Cefeidi si hanno le tre zone FO, OR e F, con i pulsatori
nella prima armonica che hanno periodi piu corti del rispettivo fondamentali di logP
0.14-0.15.
Come per le RR Lyrae, la dipendenza dal colore diminuisce notevolmente utilizzando sia
magnitudini infrarosse che gli indici reddening free di Wesenheit. La Fig. 10.9 mostra ad
esempio il bel campione di circa 1500 Cefeidi nella LMC ricavato dallesperimento OGLE
(Optical Gravitational Lensing Experiment). Lutilizzazione dellindice di Wesenheit W(V,I)
ha non solo eliminato la dispersione osservativa legata agli arrossamenti differenziali, ma ha
anche fortemente ridotto la dipendenza dal colore, portando in bella evidenza le due sequenze
dei pulsatori fondamentali e nella prima armonica. Si noti tra laltro come i dati in questa
figura si accordino almeno quaitativamente con le previsioni teoriche di Fig. 10.7, secondo le
quali linstabilita FO dovrebbe essere presente solo alle minori luminosita (cioe nelle masse
minori).
Il collegamento tra proprieta pulsazionali e strutture evolutive stabilito dalla relazione dei
periodi e suscettibile di innumerevolie svariate applicazioni. Qui vogliamo solo come esempio
notare che se di una Cefeide si conosce la distanza, misurarne luminosita e temperatura
significa ricavarne la massa. Le pulsazioni danno quindi accesso a tale elusivo parametro
11

Fig. 10.10. A destra: Best fit della curva di luce di U Comae per gli indicati parametri strutturali.
A sinistra: variazione della curva di luce teorica per incrementi della temperatura effica di 50 K

fondamentale, risultando di vitale importanza in problemi evolutivi quali lefficienza della


perdita di massa e/o lefficienza di meccanismi di overshooting invasivo.

10.5. Validazione della teoria. Progressione di Hertzsprung.


Lo scenario teorico sin qui esaminato fa essenzialmente uso della valutazione dei periodi e
della definizione dei bordi dellinstabilita pulsazionale. I moderni modelli pulsazionali non
lineari e con adeguato trattamento temporale delaccoppiamento tra la pulsazione e la con-
vezione superadiabatica offrono peraltro una informazione molto piu dettagliata, essendo,
in linea di principio, in grado di seguire landamento temporale della struttura lungo tutto
il ciclo pulsazionale, fornendo previsioni dettagliate su rilevanti osservabili quali le curve di
luce e quelle di velocita. Tali previsioni, al di la della quantificazione in termini di periodo
e ampiezza della pulsazione, prese nella loro interezza offrono un formidabile strumento per
indagare ladeguatezza dello scenario teorico adottato. Si deve infatti richiedere che lo sce-
nario teorico appaia in grado di riprodurre levoluzione temporale della curva di luce per
ragionevoli condizioni sui parametri strutturali.
Lapproccio a tale forma di validazione puo seguire varie traiettorie di indagine. La Fig.
10.10 riporta ad esempio nel pannello di sinistra la curva di luce di una RRc di campo, U
Comae, di metallicita intermedia e con periodo P=0.29? d. Trattandosi di una stella di HB
possiamo ragionevolmente assumere una massa nellintervallo M0.6-0.8 M . Assunto un
valore della massa, per ogni assunto valore della luminosita esiste uno e un sol valore di tem-
peratura efficace che soddisfi la fondamentale condizione di riprodurre il periodo osservato.
Occorre dunque verificare se tra queste 1 coppie logL, logTe ne esista almeno una in grado
di riprodurre la curva di luce sperimentale. Ove non si trovi una soluzione soddisfacente
occorrera modificare entro limiti ragionevoli le condizioni sulla massa ed esplorare le nuove
1 coppie logL, logTe.
Linsuccesso finale di tale procedura fornirebbe la prova dellinadeguatezza del quadro
teorico adottato. Il successo, purtroppo, non e prova assoluta di adeguatezza, ma puo essere
riguardato come un confortante supporto alla teoria, rappresentando in ogni caso una forma
di validazione che dovrebbe affiancare ogni valutazione teorica. La stesso pannello della Fig.
10.10 mostra come un ragionevole accordo tra teoria e osservazione venga raggiunto quando si
ponga M= 0.6 M , logL= 1.607 logTe= 3.851 , parametri che appaiono in generale accordo
con le previsioni delle teorie evolutive. Il pannello di destra della stessa figura mostra la
grande sensibilita delle curve di luce ai parametri di struttura, riportando i risultati di
simulazioni teoriche per il modello M= 0.6 M al variare della temperatura in intervalli
di soli 50 K. Si noti la contemporanea variazione di luminosita, imposta dalla condizione
di mantenere il periodo al valora assegnato. Analoghe forme di validazione possono essere
applicate al caso delle Cefeidi. Il pannello di sinistra della Fig. 10.11 mostra al riguardo
12

Fig. 10.11. Best fit teorico delle due Cefeidi nella Grande Nube di Magellano, come ottenuto per
gli indicati parametri strutturali.

la curva di luce di una Cefeide della Grande Nube di Magellano. Il caso delle Cefeidi e
peraltro diverso da quello delle RRLyrae, richiedendo procedure leggermente modificate.
Ricordiamo infatti come lo scenario pulsazionale per le Cefeidi richieda che si fornisca per le
strutture una relazione massa-luminosita. Per ogni prefissata luminosita si ha cosi una massa
e quindi anche una e una sola temperatura per ogni prefissato periodo. La semplificazione
e peraltro puramente apparente: se si applica alle giganti in combustione di He la relazione
massa luminosita in assenza di perdite di massa, le curve di luce teoriche differiscono dalla
osservata per ogni assunto valore della luminosita. Come mostrato nello stesso pannello si
trova invece che laccordo puo essere raggiunto, quando si modifichi la relazione massa-
luminosita imponendo che a fissata luminosita la massa sia minore della massa originale o,
il che e equivalente, che una prefissata massa della gigante si trovi a luminosita piu alte di
quelle previste dallevoluzione a massa costante.
Il parametro libero di partenza non e piu la massa, come nel caso dele RR Lyrae, ma la
relazione massa luminosita. Ed il risultato evidenzia la potenza dellapproccio pulsazionale
che pone inequivocabilmente in luce fenomeni dei quali avevamo evidenze indirette, ma che
rimanevano mal riconoscibili nel cammino evolutivo delle strutture. La relazione massa-
luminosita richiesta dalle curve di luce e infatti lattesa conseguenza dei fenomeni di perdita
di massa, cui si possono eventualmente aggiungere effetti di overshooting invasivo.
Nel caso in esame la validazione puo essere ulteriormente perfezionata osservando che
le Cefeidi della Grande Nube sono tutte alla stessa distanza, e quindi se lo scenario teorico
e affidabile dovra essere in grado di riprodurre anche altri pulsatori sotto la condizione di
un medesimo modulo di distanza e quindi di luminosita che stanno tra loro nel rapporto
desumibile dalle osservate differenze di magnitudine. Il successo di tale procedura e mostrato
nel pannello di destra della Fig. 10.11, a ulteriore conforto delle attuali possibilita operative
della teoria dei pulsatori radiali. Va peraltro avvisato che le procedure contemplano anche
una calibrazione della mixing length, dal cui valore dipende non tanto la forma ma lampiezza
della curva di luce.
Le due curve di luce riportate nella Fig. 10.11 consentono infine di illustrare una carat-
teritica osservativa che prende il nome di Progressione di Hertzsprung. Come indicato nella
figura, tale progressione consiste nella apparizione di un bump che si sposta regolarmente
lungo la curva di luce al variare del periodo. Lorigine di tale bump e stata oggetto di molte
e contrastanti discussioni. Qui ci interessa solo di segnalare che presenza e collocazione del
bump emergono spontaneamente da appropriati calcoli pulsazionali. Per completezza, noti-
amo peraltro che, per motivi ancora ignoti, la teoria ha difficolta a riprodurre la curva di
luce delle RRab in prossimita del FRE.
13

Fig. 10.12. Curve di luce nella bande U, B, V della variabile RR Lyrae. In basso e mostrato
landamento temporale dellindice di colore B-V.

Approfondimenti

A10.1. Il giorno giuliano


Nelle indagini sulla variabilita stellare, il dato osservativo di base e ovviamente fornito dalla acqui-
sizione e registrazione dellevoluzione temporale della luminosita delle singole strutture. Per poter
collegare tra loro osservazioni di un oggetto fatte in diversi osservatori anche a notevole distanza
di tempo e necessario peraltro disporre di una scala dei tempi universale. cui riferire le varie osser-
vazioni. A tal fine viene utilizzata una scala di giorni e frazioni di girono, intendendo come giorno
il tempo trascorso tra due successivi passaggi del Sole al meridiano di Greenwhich. Un Julian Day
inizia dunque al mezzogiorno di Greenwich e termina al successivo mezzogiorno.
Tale scala dei tempi non contempla anni, ma solo una sequenza di giorni con le loro frazioni.
Il termine di Giorno Giuliano prende origine dalla definizione del punto zero della scala, che -
assumendo un calendario giuliano - viene fissato al 1 Gennaio del 4713 a. C. Si noti che questo e
solo un artifizio per fissare un determinato giorno prima del presente, e nulla ha a che vedere ne
con il percorso annuale del Sole ne tantomeno con il ciclo delle stagioni. Per determinare un giorno
giuliano non occorre peraltro risalire al punto zero, ma basta conoscere il J.D. di una qualunque
data prossima al presente. Cosi, ad esempio, al mezzogiorno di Greenwich del 31 Dicembre 2000
corriponde

31.12.2000 2451910.00 J.D.

A10.2. Curve di luce e curve di velocita.


La Fig. 10.12 riporta le curve di luce sperimentali per la variabile RR Lyrae nelle bande U, B e V di
Johnson. E facile riconoscere come lampiezza della curva di luce dipenda dala banda, raggiungendo
14

Fig. 10.13. Curva di luce e andamento delle velocita radiali tipiche di pulsatori radiali, quali RR
Lyrae e Cefeidi.

un massimo per la bamda B. La ragione di tale comportamento e subito compresa quando si esamini
landamento temporale dellindice di colore B-V. Si vede come al minimo in luminosita corrisponda
un massimo del colore (B-V0.4) e quindi un minimo della temoperatura. Analogamente, al massimo
di luminosita corrisponde il minimo di B-V e un massimo della temperatura. Alla variazione della
luminosita bolometrica (= totale) della struttura si sovrappone quindi un effetto di temperatura
che aggiunge radiazione nella banda B in prossimita del massimo e toglie radiazione, spostandola
a maggiori lunghezze donda, in prossimita del minimo. Se ne conclude che laumento di emissivita
collegato allaumento di temperatura efficace giuca un ruolo importante nella curva di luce.
Ulteriori ed importanti informazioni sono fornite dalla curva di velocita radiale, ricavabile
dalleffetto Doppler sulle righe spettrali. La Fig. 10.13 mostra come tutti i pulsatori radiali presentino
curve di velocita caratteristicamente speculari rispetto alla curva di luce. Le velocita misurate V
risultano dalla combinazione della velocita della pulsazione Vr alla velocita radiale V0 intrinseca
alloggetto pulsante. Questultima e peraltro ricavabile dalla ovvia condizione che lintegrale rispetto
al tempo della velocita radiale propria della pulsazione , che rappresenta in ogni istante lo spazio
in km di cui si e spostata la fotosfera stellare, debba annullarsi quando esteso ad un ciclo
Z
(V V0 ) dt = 0

Si ottiene cos agevolmente il valore di V0 , rappresentato in Fig. 10.13 dalla linea che divide
la curva delle velocita in due porzioni che, per definizione, sottendono eguali aree. Dai dati nella
stessa figura e ora facile verificare che il massimo di luminosita cade in un punto intermedio della
fase di pansione, in corrispondenza del massimo in temperatura efficace. Il successivo aumento di
raggio e controbilanciato dalla diminuzione di temperatura che porta, in totale, ad una diminuzione
della lumonosita.
Quando si voglia risalire dalle velocita radiali osservate alla cinematica della pulsazione occorre
tener presente che il dato osservativo fa riferimento alla media sullemisfero stellare visibile della
componente della velocita nella direzione dellosservatore, componente che e in genere minore della
reale velocita radiale, ed uguale ad essa solo nel punto centrale dellemisfero osservato. La misura
sperimentale fornisce quindi un valore inferiore del vero valore della velocita radiale. Con semplice
calcolo si trova per altro che sussiste la proporzionalita

Vr (misurata) = 2/3Vr (reale)


Dalle curve di luce nelle varie bande si ottengono infine le corrispondenti magnitudini medie
come integrali sullintero ciclo del segnale raccolto. Al riguardo sono peraltro utilizzate in letteratura
due alternative opzioni, consistenti in
15

Fig. 10.14. Confronto tra colori B-V in magnitudine o in intensita per un campione di RR Lyrae
nellAmmasso Globulare M5, senza o con correzione al colore statico.

1. Medie in magnitudine: (U), (B), (V) ... ricavate per ogni banda come media temporale delle
magnitudini istantanee
2. Medie in intensita: hUi, hBi, hVi ... ricavate dal logaritmo della media temporale dei flussi
energetici.

Poiche la media del logaritmo non e il logaritmo della media le due grandezza differiscono,
anche se non di molto, tra loro. Dalle singole magnitudini medie si ricavano cos i colori medi
in magnitudine (B-V) o in intensita hB-Vi. In letteratura e stato a lungo dibattuto il problema
di quale tra questi due colori approssimi meglio il colore della struttura statica. In realta e stato
infine mostrato che ambedue questi colori osservativi tendono a discostarsi dal colore della struttura
statica quanto piu la curva di luce risulta asimmetrica.
Esistono al riguardo opportune correzioni che consentono di risalire dai colori medi osservati ai
colori statici, passaggio obbligato quando si vogliano inserire i risultati osservativi per le variabili
nel contesto delle teorie evolutive e dei loro colori statici. La Fig. 10.14 mostra come esempio il
confronto tra colori B-V in magnitudine o in intensita per un campione di RR Lyrae nellAmmasso
Globulare M5, senza o con correzione per colore statico.

A10.3. Relazioni Periodo-Mk. Indici di Wesenheit


Losservazione infrarossa di campioni di RR Lyrae in Ammassi Globulari galattici ha portato alla
luce una serie di interessanti caratteristiche che hanno stimolato un crescente uso delle magnitu-
dini nella banda K, che copre lintervallo di lunghezze donda 2.0-2.5 micron. Nel seguito faremo
riferimento a tale problematica, avvisando peraltro che quanto andremo esponendo trova del tutto
analoghe applicazioni anche nel campo delle variabili Cefeidi.
Una prima caratteristica e che in tale banda lampiezza delle curve di luce risulta estremamente
ridotta, e le magnitudini medie corrispondono senza ambiguita alle magnitudini statiche. Molto piu
importante e losservazione che in tale banda si manifesta una relazione Periodo-Magnitudine che,
osservativamente, pare non dipendere dalla metallicita degli ammassi e, quindi, dal preciso livello
di luminosita del Ramo Orizzontale. La teoria predice infatti che tale luminosita debba leggermente
decrescere al crescere della metallicita, diminuendo di circa logL 0.07 ( M 0.17 mag)
passando da Z=0.0001 a Z=0.001.
Lindagine teorica da ragione di un tale accadimento, fornendone una semplice chiave interpre-
tativa. Per illustrare il differente comportamento nelle varie bande la Fig. 10.15 riporta nel pannello
superiore lattesa distribuzione di periodi per strutture distribuite lungo la strip a tre assunte diversi
livelli di uminosita. Come atteso, le magnitudini visuali seguono i livelli di luminosita, con solo leg-
gere variazioni collegate anche a piccole variazioni della correzione bolometrica e alla differenza tra
magnitudini medie e magnitudini statiche. Questo perche la quantita di radiazione raccolta dalla
16

Fig. 10.15. Pnnello superiore: La distribuzine nel piano logP-Mv di strutture di HB distribuite
lungo la strip ai tre indicati livelli di luminosita . Pannello inferiore: Come nel pannello superiore
ma per il piano logP-Mk

banda V dipende solo debolmente dalla temperatura delle strutture, temperatura che -per ogni
prefissato livello di luminosita- va decrescendo dai periodi minori (FOBE) verso il massimo periodo,
raggiunto al FRE.
Il pannello inferiore della stessa figura mostra la distribuzione delle medesime strutture nella
banda K. Facendo riferimento ad un qualunque livello di luminosita, ora si nota che al diminuire
della temperatura aumenta sensibilmente la radiazione raccolta dalla banda K e. conseguentemente,
per ogni prefissato livello di luminosita si genera una relazione Periodo-Magnitudine K. Inoltre,
lesistenza di una tale relazione fa anche s che allaumentare del livello di luminosita, il corrispon-
dente aumento del periodo riporta il punto del piano logP-Mk verso la relazione caratteristica delle
minori luminosita. La conseguenza e che nel piano logP-Mv, unincertezza 0.1 in logL, per ogni
prefissato periodo si traduce in un incertezza di 0.25 mag in Mv. Dal pannello inferiore della Fig.
10.15 si ricava che nel piano logP-Mk la stessa incertezza sul livello di luminosita bolometrica delle
strutture pulsanti si tradice in un incertezza di0.07 mag su Mk.
Se ne trae che anche accettando unincertezza logL = 0.1 sulle valutazioni teoriche della
luminosita dei Rami Orizzontali, quindi ben superiore a quanto oggi si ritenga ( logL 0.03),
losservazione in banda K delle RR Lyrae consente di fissare il modulo di distanza di un ammasso
entro 0.07 mag. Per cio che riguarda leffetto di metallicita e immediato ricavare che una variazione
di logL = 0.07 si traduce nel piano logP-Mk in una dispersione delle magnitudini K pari a 0.025
mag, confortando di fatto la pratica indipendenza dalla metallicita.
Ladozione della banda K agisce quindi nel senso di rompere la degenerazione tra periodi e
magnitudini, associando ad ogni periodo solo un ristretto intervallo di magnitudini. Analogo effetto
ha, peraltro per tuttaltri motivi, ladozione degli indici reddening free definiti a suo tempo da
Wesenheit come utili parametri osservativi indipendenti dallarrossamento interstellare. Ricordando,
ad esempio, che per lestinzione nella banda V sussiste la relazione

AV = 3.10E(B V )
si riconosce che per la funzione di Wesenheit

W (B, V ) = V 3.1(B V ) = V0 3.10(B V )0


17

E infatti

V 3.10(B V ) = V0 + Av 3.10(B V )0 3.10E(B V )


da cui si ha subito il precedente enunciato. Indici di Wesenheit possono essere definiti per qualunque
coppia di bande fotometriche e, ad esempio, per le bande V,I si ha

W (V, I) = V 2.54E(V I)
Questa volta la degenerazione viene rotta perche per una popolazione di pulsatori che riempia la
strip a V cost W decresce al crescere di (B-V) dal FOBE al FRE, creando una relazione logP(W).
Si hanno in definitva risultati del tutto analoghi a quelli discussi per la banda K, con quindi analoghe
applicazioni osservative.

A10.4. La dicotomia di Oosterhoff


Non tutti gli Ammassi Globulari galattici hanno RR Lyrae. La maggioranza anzi ne ha pochissime
o nessuna, per avere i Rami Orizzontali o troppo blu o troppo rossi. Resta pero un congruo numero
di ammassi, circa una trentina, che contengono almeno 20 RR Lyrae, con NGC5272=M3 nel quale
ne sono state scoperte oltre 200. Nel lontano 1939 lastronomo olandese Pieter Oosterhoof porto alla
luce una curiosa caratteristica delle popolazioni di RR Lyrae di tali ammassi: valutando il periodo
medio dei pulsatori fondamentali (RRab) si trova che tali periodi si separano in due gruppi (Gruppi
di Oosterhoff), con periodi medi rispettivamente inferiori o superiori di 0.6 d. A tale evidenza fu dato
il nome di Dicotomia di Oosterhoff. Con il tempo divenne chiaro che tale dicotomia e correlata con
la metallicita degli ammassi stessi: ammassi relativamente piu metallici (ad es. M3) hanno periodi
medi delle ab piu corti di 0.6 d (I Gruppo di Oosterhoff) mentre gli ammassi meno metallici (ad es.
M15) con periodi piu lunghi appartengono al II Gruppo.
Attualmente le caratteristiche osservative dei due gruppi possono essere cos sintetizzate:

1. Oo.I: Periodi medi minori di 0.6d, relativamente a maggiore metallicita con minor percentuale
di primi sopratoni (RRc).
2. Oo.II: Periodi medi maggiori di 0.6d, relativamente a minore metallicita con maggior per-
centuale di primi sopratoni.

Le ricerche sulle origini di una tale dicotomia sono state per lungo tempo al centro di numerose
indagini. Tra le varie ipotesi avanzate se ne segnalano essenzialmente due, alternative, che possono
essere cos riassunte:

1. La dicotomia di Oosterhoff e essenzialmente un effetto di luminosita: gli ammassi Oo.II hanno


periodi medi piu lunghi semplicemente perche hanno stelle di HB piu luminose.
2. La dicotomia di Oosterhoff e essenzialmente un effetto del popolamento della zona OR: nel
gruppo Oo.I la zona OR e popolata da pulsatori fodamentali mentre negli Oo.II da FO. Gli am-
massi OO.II hanno periofi piu lunghi semplicemente perche mancano delle ab a minor periodo.

La seconda ipotesi e nota com Ipotesi dellisteresi perche in genere collegata, ma non nec-
essariamente, allefficienza di un meccanismo di isteresi secondo il quale nella zona OR le stelle
conserverebbero il tipo di pulsazione con cui vi sono entrate.
Senza entrare in analisi troppo dettagliate, qui ci interessa solo mostrare come i periodi fonda-
mentalizzati forniscano un semplice approccio per dirimere la questione. Se si fondamentalizzano i
periodi delle RRc e si esegue la media dellintero campione di RR Lyrae, nellipotesi di isteresi tale
media deve restare costante tra i due gruppi di Oosterhoff, perche tutti i pulsatori sono presenti
con egual peso. Al contrario, nel caso di effetto di luminosita il periodo medio fondamentalizzato
degli Oo.II dovrebbe restare piu alto di quello degli Oo.I. La Fig. 10.16 riporta la situazione os-
servativa. Nella parte superiore del pannello di sinistra sono riportati i periodi medi della ab in
funzione della metallicita dei cluster: si nota la chiara presenza della dicotomia di Oosterhoff che
si presenta attorno ad una metallicita [Fe/H] -1.6. Nella parte inferiore dello stesso pannello e
18

Fig. 10.16. Panello di sinistra: periodi medi delle RRab (sopra) e periodi medi fodamentalizzati
(sotto) in funzione della metallicita dei cluster. Pannello di destra: istogramma dei periodi fonda-
mentalizzati per gli ammassi M15 (Oo.II) e M3 (Oo.I. In nero il contributo delle RRc

riportato landamento dei periodi medi fondamentalizzati: la discontinuita scompare, confortando


pienamente lipotesi di isteresi.
Nel pannello di destra della stessa figura sono riportati gli istogrammi delle distribuzioni dei
periodi fondamentalizzati nei due ammassi piu rappresentativi rispettivamente dei gruppi Oo.I (M3)
e Oo.II (M15). Se ne trae levidenza di distribuzioni analoghe, ma con la trasformazione delle RRab
a corto periodo presenti in M3 in corrispondenti RRc in M15.

A10.5. Coefficienti di Fourier. Ampiezze pulsazionali.


Landamento temporale del flusso energetico e delle velocita radiali (curve di luce e curva di velocita)
rappresentano insieme il dato osservativo che contiene il massimo di informazioni sul fenomeno pul-
sazionale. Conseguentemente il piu esauriente approccio teorico consisterebbe, in linea di principio,
nella riproduzione teorica sempre e ovunque di tali osservabili. Abbiamo visto peraltro come dalle
sole curve di luce sia lecito estrarre due parametri, periodo ed ampiezza, che pur rappresentando
un contenuto minimale di informazione, risultano di grande utilita nel discutere ed interpretare il
comportamento pulsazionale delle variabili.
Utilizzando ampiezza e periodo si perde naturalmente ogni informazione su una caratteristica
osservativa cosi rilevante quale e la forma della curva di luce. Esiste peraltro in letteraura un filone
di indagine che tenta di non trascurare questo elemento, parametrizzando la forma della curva di
luce attraverso i coefficienti del suo sviluppo in serie di Fourier. Si e ritenuto cosi di poter mettere
in relazione il coefficiente 31 , differenza di fase tra prima e terza componente, con la metallicita
dei pulsatori. Lipotesi, in linea di pricipio altamente suggestiva, e peraltro ancora ampiamente
dibattuta.
Restando nellambito dei due parametri tradizionali, si notera come lampiezza abbia giuocato
un ruolo importante nella classificazione delle RR Lyrae tramite il diagramma di Bayley, restando
peraltro esclusa da gran parte delle elaborazioni interpretative. Ci o e in gran parte dovuto al
fatto che solo in tempi relativamente recenti i calcoli non lineari hanno consentito di ottenere
valutazioni teoriche su tale parametro. Da tali risultati si ricava che le ampiezze assumono particolare
importanza nel caso delle RR Lyrae, ove e possibile stabilire relazioni univoche con i parametri
strutturali. La Fig. 10.17 riporta un esempio delle predizioni teoriche riguardanti il diagramma
di Bayley per una stella di massa M= per prefissati valori della luminosia L. Si riconosce come
in particolare per le RRab esista, per ogni luminosita una relazione approssimativamente lineare
Ampiezza-Periodo.
A titolo di esercizio possiamo usare i dati in figura per trarne alcune interessanti deduzioni. Si puo
ad esempio notare che per un ampiezza costante il periodo aumenta con L, risultando logP0.08
19

Fig. 10.17. Predizioni teoriche sullampiezza bolometrica di pulsatori RR Lyrae fondamentali (F)
e primisopratoni (FO)per le indicate assunzioni sulla massa e luminosita.

per logL=0.1. La variazione di periodo e dunque con buona approssimazione quella prodotta dalla
sola variazione di luminosita. Basta questo per evidenziare che con altrettanto buona approssi-
mazione, per una massa fissata, lampiezza deve risultare funzione della sola temperatura efficace.
Poiche questa regola conserva valore anche al variare della massa, possiamo facilmente prevedere
leffetto di una variazione di tale parametro: allaumentare della massa la relazione Ampiezza-
Periodo deve traslare versi periodi minori, di una quantita che con buona approssimazione e fornita
dalla relazione che lega periodo a massa del pulsatore.
Queste relazioni ci consentono di guardare al diagramma di Bayley non come a qualcosa di
occasionale, ma come un diagramma in cui sono registrate massa e luminosita dei pulsatori, e che
si viene ad aggiungere alle altre relazioni gia discusse per creare linsieme delle condizioni teoriche
sulle quali impostare validazioni e indagini interpretative.

A10.6. Classificazione delle variabili


La classificazione delle stelle variabili ha subito nel tempo una continua evoluzione, collegata al
continuo accrescersi delle evidenze osservative. Oggi si possono distinguere almeno sei categorie di
variabili, ognuna con vari sottotipi di cui riportiamo alcuni esempi tra parentesi:
1. Eruttive: causate da brillamenti (flares) o eiezione di shell (T Tauri, R Coronae Borealis, S
Doradus),
2. Pulsanti: con pulsazioni radiali o non radiali ( vedi infra),
3. Ruotanti: causate da spot, magnetisno, variazioni di forma (Pulsar, variabili magnetiche, bi-
narie a riflessione)
4. Cataclismiche: esplosioni da accrescimento di materia (U Gem, AM Her, Novae)
5. Binarie ad eclisse: variabilita solo apparente (Algol, Lyrae, W Ursae Majoris),
6. Variabili X: con variabilita dellemissione X, (stelle di neutroni, buche nere).
Qui di seguito riassumiamo e integriamo le informazioni sulle variabili pulsanti riportate nel
testo, adottando le nomenclature normalmente piu utilizzate.

1. RRLyrae: indicate talora in passato anche com Cefeidi di ammasso sono stelle di piccola
massa sul Ramo Orizzontale. Appartengono quindi a popolazioni antiche e, nella Galassia, alla
Pop.II, antica e povera di metalli. Periodi minori di un giorno. Luminosita 40-50 L , MV
0.5-0.7, leggermente dipendente dalla metallicita.
2. Cefeidi di Pop.II: denominazione equivoca che nasconde il fatto che si tratta di stelle blu di
Ramo Orizzontale che, spesso accompagnando le RR Lyrae, attraversano la strip ad alta lumi-
nosita. Stelle di piccola massa, popolazioni antiche. Periodi da 1 giorno a 1 mese. Si distinguono
in BL Her (P < 8 d) e W Virginis (P> 8 d) .
20

3. Cefeidi Classiche: Masse intermedie e grandi masse in fase di combustione centrale di elio.
Popolazioni giovani; nella Galassia Pop.I. Luminosita da centinaia a migliaia di luminosita solari.
Mv da -2 a -6.5. Periodi da 1 a 100 giorni.
4. Cefeidi Anomale: Cefeidi classiche ma di masse inferiori. Presenti solo nelle popolazioni giovani
povere di metalli. Extragalattiche.
A queste quattro classi gia dicusse, si aggiungono altre di cui ricordiamo qui le principali:
5. Scuti, SX Phoenicis: strutture di sequenza principale che intercettano la stessa striscia di
instabilita di Cefeidi e RR lyrae. Hanno (di conseguenza) periodi estremamente brevi, minori o
dellordine dellora. Di Pop.I ( Scu) o Pop.II (SX Phoe).
6. Lungo Periodo o tipo Mira: Giganti Rosse con periodo da 80 a 1000 giorni.Ampiezze da
2.5 a piu di 11 mag.
7. Semiregolari: Giganti Rosse con irregolare periodicita. Ampiezze sino a 3 mag e periodi da 20
giorni ad alcuni anni,
8. Cephei: Stelle ad alta luminosita e alta temperatura. Periodi 0.1 -0.7 d e ampiezze 0.1 -0.3
mag.
9. RV Tauri: Supergiganti da gialle a rosse, con minimi di luce primari e secondari che si alternano.
Ampiezze sino a 4 mag e periodi da 30 a 150 d.
10. ZZ Ceti: Nane Bianche con pulsazioni non radiali. Periodi minori di 30 min e ampiezze minori
di 0.2 mag.
21

Origine delle Figure

Fig.10.1 www.aavso.org/ images/lcmira.gif


Fig.10.2 Castellani V., DeglInnocenti S., Prada Moroni P.G., Tordiglione V. 2002, MNRAS 334, 193
Fig.10.3 Castellani V. 2000, XIII Rencontre de Blois, Frontiers of the Universe.
Fig.10.4 Caputo F., Castellani V., Marconi M., Ripepi V. 1999, MNRAS 306, 815
Fig.10.5 Bono G., Caputo F., Marconi M. 1995, AJ 110, 2365
Fig.10.6 Caputo F. 1997, MNRAS 284, 994
Fig.10.7 Bono G., Caputo F., Castellani V., Marconi M. 1999, ApJ 512, 711
Fig.10.8 Bono G., Caputo F., Castellani V., Marconi M. 1999, ApJ 512, 711
Fig.10.9 Udalski A. et al. 1999, Acta Astronomica 49, 223
Fig.10.10 Castellani V., DeglInnocenti S., Marconi M., 2001, Cambridge Conference Cen.
Fig.10.11 Bono G., Castellani V., Marconi M. 2002, ApJ 565, L83
Fig.10.12 Hardie R.H. 1955, ApJ 122, 256
Fig.10.13 Rose W.K. 1973, Astrophysics, Holt, Rinehart & Winston Inc.
Fig.10.14 Caputo F., Castellani V., Marconi M., Ripepi V. 1999, MNRAS 306, 815
Fig.10.15 Bono G., Caputo F., Castellani V., Marconi M., Storm J. 2001, MNRAS 326, 1183
Fig.10.16 Castellani M., Caputo F., Castellani V. 2003, A&A 410, 871
Fig.10.17 Bono G., Caputo F., Castellani V., Marconi M. 1997, A&AS 121, 327
Capitolo 11

La Nucleosintesi.

11.1. Levoluzione nucleare.


La formazione di strutture stellari e un evento del tutto naturale che segue e segna la storia
dellintero Universo. Ogni singola stella, con tempi e modi condizionati dai parametri strut-
turali, e una sorta di macchina naturale che trasforma lidrogeno in elio e lelio in elementi
ancora pi u pesanti. Abbiamo piu volte ripercorso le motivazioni che ci inducono a ritenere
che gli elementi cos sintetizzati vengano riciclati nella materia interstellare, contribuendo al
progressivo arricchimento di elementi pesanti nelle successive generazioni stellari. Con questo
scenario in mente, possiamo ora cambiare prospettiva e spostare la nostra attenzione dalle
strutture stellari ancora in funzione al prodotto finale di tale funzionamento, interrogando
la materia dellUniverso per vedere se resta traccia, e quale traccia resti, di tali accadimenti.
Per una tale indagine il dato di partenza sperimentale e fornito dalla distribuzione delle
specie nucleari nella materia dellUniverso attuale. Tale dato e fornito dallanalisi spettro-
scopica della atmosfere stellari, che sappiamo dover conservare - con minori eccezioni - la
composizione chimica della materia da cui quelle stelle sono nate. Analoghe osservazioni
sono ottenibili direttamente per il mezzo interstellare e, naturalmente, abbiamo a dispo-

Fig. 11.1. Curva delle abbondanze solari con indicati i relativi principali processi di nucleosintesi.

1
2

Fig. 11.2. Confronto tra le abbondanze relative dei nei Raggi Cosmici (cerchi aperti) e nel Sole
(cerchi pieni), normalizzate allabbondanza di He

sizione anche il campione locale costituito dalla Terra, dai meteoriti e dai corpi del sistema
solare resi accessibili dai veicoli spaziali.
Il risultatp di una tale indagine e che, tenuto conto dei processi selettivi che hannno
certamente operato nella formazione dei corpi planetari, la materia dellUniverso sembra
aver mantenuto nel tempo una tipica distribuzione delle varie specie nucleari. Infatti se e
pur vero che, ad esempio, nella Galassia il contenuto di elementi pesanti pu o variare tra
Pop.I e Pop.II anche di un fattore 100, la distribuzione delle abbondanze relative non si
discosta sensibilmente da quella ricavata er il Sole, riportata a suo tempo in Fig. 1.5.
Come mostrato in Fig.11.1, avendo in mente la storia delle reazioni nucleari nelle strut-
tura stellare, non e difficile riconoscere in tale distribuzione limpronta del funzionamento
della macchina stella. La peculiare scarsezza degli elementi leggeri Li, Be e B, e quanto ci
si attende dalla combustione dellidrogeno: la natura di elementi secondari nella catena pp
assicura infatti che tali elementi - ove presenti - debbano ridursi ai loro infinitesimali valori
di equilibrio. Le reazioni termonucleari possono quindi al piu distruggere il litio cosmologico
(Li/H 1010 ) emerso dalla nucleosintesi del Big Bang.
La successiva serie di picchi di abbondanze che si spingono sino al grande picco del Fe
portano unindubbia testimonianza delle serie di reazioni che portano sino al Fe attraverso
essenzialmente un progressiva agglutinazione di particelle . E, infine, il picco stesso del Fe
e lattesa conseguenza dei processi di equilibrio che sappiamo dominare le ultime fasi della
vita delle grandi masse stellari. La prima porzione della curva delle abbondanze ci parla
dunque senza ambiguita di una storia di interni stellari e dei loro successivi riciclaggi nella
materia interstellare. Resta peraltro da indagare lorigine dei nuclei oltre il ferro, che non
possono essere prodotti nelle reazioni termonucleari che sostengono le strutture stellari.
Prima di affrontare un tale argomento notiamo qui che gli elementi leggeri Li, Be e B
pongono peraltro un particolare problema. Labbondanza di Litio nel Sole e infatti, ad esem-
pio, superiore a quella cosmologica misurata nelle atmosfere di stelle di Pop.II. Deve quindi
essere stato efficiente un meccanismo di produzione di Li che, per quanto abbiamo detto,
non puo risedere nelle reazioni termonucleari dalle quali tale elemento viene invece distrutto.
Oggi si ritiene che tale elemento venga almeno in parte prodotto dallinterazione dei Raggi
Cosmici con i nuclei di materia interstellare, attraverso processi di spallazione. Misure ef-
3

Fig. 11.3. Sezione durto per cattura neutronica indunzione del numero atomico . E evidente
la forte diminuzione in corrispondenza dei numeri magici. Si noti anche leffetto pari-dispari. La
sezione durto e in mb (1 b= 1 barn = 1024 cm2 ) per neutroni di 25 keV

fettuate sia da Terra che dallo spazio mostrano infatti come la Galassia sia attraversata da
flussi di particelle di alta e altissima energia (sino a oltre 1020 eV), di gran lunga superiori
a quanto ottenuto sinora nei piu potenti acceleratori di particelle.
Tali particelle, in gran parte protoni, inducono reazioni di impatto con i nuclei della
materia interstellare, reazioni che, a causa delle altissime energie in gioco, si traducono nella
frantumazione (la spallazione) dei nuclei piu pesanti. La peculiare abbondanza di elementi
leggeri nella radiazione cosmica, mostrata in Fig. 11.2, fornisce una chiara testimonianza
dellefficienza di un tale processo. Non pare peraltro che tale meccanismo possa renedere
intera ragione della abbondanze osservate, talche si e ipotizzato lintervento di ulteriori
meccanismi, quali reazioni indotte dai neutrini nellesplosione di Supernovae di tipo II (infra)
o lefficienza di reazioni del tipo
3
He(, )7 Be(e+ )7 Li
sia nei raggi cosmici stessi, come negli inviluppi convettivi delle Giganti Rosse e, in
particolare, nelle periodiche esplosioni di stelle Novae.

11.2. Processi di neutronizzazione lenta (S).


Le temperature di fotodisintegrazione del Fe sono le massime raggiungibili allinterno di una
struttura stellare e i nuclei del picco del Fe sono di conseguenza i piu complessi prodotti delle
reazioni termonucleari. I nuclei oltre il Fe possono quindi ben difficilmente essere prodotti da
reazioni nucleari tra particelle cariche, che richiederebbero temperature ancor maggiori di
quelle raggiungibili nelle stelle. Per rendere ragione della presenza in natura di tali elementi e,
nel contempo, per rispettare i limiti di temperatura imposti dalle stelle dovremo considerare
reazioni nucleari non regolate dalla repulsione colombiana, invocando quindi la presenza di
neutroni.
Vi sono peraltro in natura chiari indizi che supportano lefficienza di processi di cattura
neutronica. In Fig. 11.1 si puo notare come la distribuzione degli elementi transferrici
sia modulata da una serie di caratteristiche ricorrenze, tra le quali la presenza dei picchi
di abbondanza contrassegnati dalla lettera S. Tali picchi corrispondono con precisione ai
cosiddetti nuclei magici, nuclei che in corrispondenza di determinati numeri magici di
neutroni o protoni (N= 2, 8, 20, 28, 50, 82, 126) mostrano particolari doti di stabilita (
A1.8). In un modello a shell del nucleo a tali numeri corrisponderebbe il completamento di
4

Fig. 11.4. Esemplificazione della tipica traiettoria dei processi S nel piano N (numero di neutroni)
Z (numero di protoni). Le isole sulla sinistra della valle di stabilita schermano i nuclei della stessa
dal contributo dei processi r. I nuclei possono cosi essere distinti in r-puri (r), S-puri (S) o do origine
mista (S,r).

una shell, e la stabilita dei corrisponedenti nuclei sarebbe lanalogo della stabilita mostrata
dagli atomi dei gas nobili. Come mostrato in Fig. 11.3, quel che qui ci interessa e che a tali
nuclei corrisponde un brusca diminuzione della sezione durto per cattura neutronica. La
correlazione tra abbondanze in natura e sezioni durto per cattura neutronica rende plausi-
bile la supposta efficienza di tali processi e, come vedremo, rendera ragione della anomale
abbondanze dei picchi S.
Il neutrone e peraltro particella instabile, che decade in un protone (piu e+ ) con tempo
di dimezzamento di circa 15 minuti( A1.10). Perche il processo possa essere efficiente
dobbiamo quindi richiedere non solo una sorgente di neutroni, ma anche che tale sorgente
sia immersa in materia sufficientemente densa perche i neutroni possano interagire prima
di decadere. Tali condizioni sono spontaneamente realizzate ancora allinterno delle stelle,
dove abbiamo visto che durante la combustione di elio diventa efficiente la produzione dei
neutroni tramite la catena dell 14 N. Le stelle si presentano dunque spontaneamente come
luoghi in cui, a fianco delle reazioni termonucleari, devono diventare efficienti processi di
cattura neitronica che, pur non contribuendo allenergetica della stella, pssono portare un
contributo sostanziale alla nucleosintesi degli elementi pesanti.
Poiche la considerazione o meno di tali processi non influisce sullevoluzione delle strut-
ture, le valutazioni dellefficienza dei processi stessi viene sovente eseguita sulla base di una
sequenza di strutture evolutive opportunamente memorizzzate. Se ne ricava levidenza che
i neutroni prodotti dalla catena dell 14 N possono venir catturati da preesistenti nuclei di
elementi pesanti (Nuclei seme), nuclei che a seguito di una serie di tali catture neutron-
iche si spostano progressivamente lungo la valle di stabilita ( ....) andando a formare gli
elementi oltre il Ferro.
Nel caso della combustione dellH avevamo gia visto come una serie di catture protoniche
su nuclei stabili finisca inevitabilmente col produrre elementi instabili per eccesso di protoni,
nuclei che vengono richiamati sulla valle di stabilita da decadimenti + . Ora una serie
di catture neutroniche finisce inevitabilmente col produrre elementi instabili per eccesso
di neutroni, che vengono richiamati sulla valle di stabilita da decadimenti . Poiche i
neutroni vengono prodotti su tempi scala termonucleari, il loro flusso rimane contenuto
e si puo assumere che il processo sia lento (S = Slow) nel senso che il tempo tra due
5

successive catture neutroniche sia in ogni caso maggiore dei tempi di decadimento degli
elementi instabili prodotti. Cioe che i nuclei instabili abbiano il tempo di decadere prima
di catturare un ulteriore neutrone.
Nel piano N,Z ne segue la caratteristica traiettoria illustrata in Fig. 11.4, tramite la
quale i nuclei seme vengono spinti lungo la valle di stabilita a numeri atomici A sempre piu
alti. Notiamo peraltro subito che una traiettoria S non puo raggiungere i nuclei stabili (le
isole) separati, sia a destra come a sinistra, dalla sequenza centrale. Poiche tali nuclei sono
presenti in natura, per essi dunque dovremo investigare diversi meccanismi di produzione.
Per cio che riguarda i processi S, motiamo che ogni nucleo lumgo la traiettoria si presenta
come elemento secondario, nel senso che ogni nucleo risulta prodotto da una cattura
neutronica e distrutto dalla successiva cattura. Se n e il numero di neutroni nellunita di
volume e V la loro velocita, potremo dunque scrivere per il generico nucleo di numero atomico
A nellunita di tempo

P roduzione : dNA = nNA1 A1 V


Distruzione : dNA = nNA A V
e, come ogni elemento secondario, il nucleo deve evolvere verso una situazione di equilibrio
nella quale in totale dNA =0 e quindi

NA1 A1 = NA A o anche, per ogni A NA A = cost

Si vede subito come ad una sezione durto di cattura neutronica A peculiarmente bassa,
quale quella che caratterizza i nuclei magici, debba corrispondere una abbondanza NA pecu-
liarmente elevata, dando ragione dei picchi S osservati in natura. Al limite, a sezioni durto
nulle corrisponde una indefinita crescita di abbondanza del nucleo A.
Notiamo infine come, a fianco della catena dell14 N e al molto minor contributo prove-
niente da reazioni piu avanzate, quali

16
O +16 O 31 S + n
siano state suggerite anche altre possibili fonti di neutroni. In particolare, nel caso di rimesco-
lamento parziale di una zona in combustione di He con strati ancora ricchi di idrogeno, i
protoni si combineranno con il Carbonio, come avviene nel ciclo CNO

12
C + p 13 N +
13
N 13 C + e+ +
Una successiva cattura protonica e pero inibita dalla scarsita di protoni, e segita invece

13
C + (17 O) 16 O + n
che potrebbe risultare una notevolissima fonte di neutroni da affiancare a quelli prodotti
dalla catena dell14 N .

11.3. I processi rapidi r e p.


Abbiamo gia notato come i nuclei isola non possano essere raggiunti dalla traiettorie S.
E subito visto come tali nuclei richiedano lintervento di almeno due successive catture,
di neutroni o protoni, a partire da un isotopo collocato nella valle di stabilita. Cio indica
come allevoluzione nucleare debbano aver contribuito anche processi rapidi, tali cioe che
il tempo tra due successive catture risulti molto minore del tempo di decadimento del primo
6

Fig. 11.5. La traiettoria S (linea spezzata) e i nuclei di attesa nei processi r (zone a tratti).I
cerchi indicano le zone di accumulazione che decaderanno a formare i bump. In basso a destra
la tipica traiettoria di accumulazione in corrispondenza di un numero magico di neutroni.

isotopo instabile formato. Il luogo naturale per tali processi e ovviamente lesplosione di una
Supernova.
Notiamo anche che i processi S rendono ragione dei picchi S in Fig. 11.1, ma non dei
bump di abbondanza che precedono regolarmente i picchi stessi. Sono infatti processi
rapidi r di cattura neutronica che giustificano non solo lesistenza di nuclei isola sulla
destra della valle di stabilita, ma anche una tale caratteristica nella distribuzione delle ab-
bondanze. Dobbiamo dunque assumere che a causa dellimprovviso e intensissimo flusso di
neutroni prodotto nel collaaso di una supernova i nuclei preesistenti inizino una serie di
successive catture neutroniche, spostandosi nella zona instabile sulla destra della valle di
stabilita. Lallontanamento non puo pero essere indefinito: allaumentare del numero di neu-
troni diminuisce lenergia di legame degli stessi e la catena di catture finisce col giungere ad
un punto in cui il neutrone aggiunto e subito espulso dai fotoni del bagno termico. Il nucleo
(nucleo di attesa) finisce quindi col decadere , passando da Z a Z+1, e puo ricominciare
ad accogliere neutroni sino a formare nuovamente un nucleo di attesa.
Le aree tratteggiate in Fig. 11.5 mostrano indicativamente le aree popolate da tali nuclei
di attesa. Il flusso di neutroni e peraltro un fenomeno molto rapido: al cessare del flusso
tutti i nuclei instabili subiranno una catena di decadimenti sino a raggiungere una con-
figurazione stabile. Avendo in mente tale meccanismo, in Fig. 11.4 si possono riconoscere
tre tipi di nuclei

1. Le isole ricche di neutroni, che possono essere popolate solo da processi r


2. I nuclei schermati da un isola r, che non possono essere raggiunte dai processi rapidi e
sono quindi prodotte esclusivamente dai processi S
3. I nuclei r,S la cui abbondanza risulta dal contributo di ambo i processi.

Si ha cosi tutta una serie di nuclei S-puri o r-puri che portano un importante testimoni-
anza del contributo alla nucleosintesi dei vari processi.
Lesistenza di numeri magici di neutroni introduce infine in tale quadro generale un ul-
teriore elemento: nuclei instabili con numero magico di neutroni hanno sezioni durto di
cattuta molto basse. Quindi sono nuclei di attesa che decadono . Il prodotto del dacadi-
mento non e piu magico, ma puo prendere un solo neutrone che lo fa ritornare magico. Come
7

Fig. 11.6. Abbondanza in numero degli elementi pesanti formati ripettivamente da processi S, r o
p, normalizzata a 106 atomi di Si. Si notino i picchi e bump nelle abbondanze S e r.

schematizzato nellangolo a destra della Fig. 11.5, in corrispondenza di un numero magico


Nm i nuclei sono costretti ad arrampicarsi lungo la line N=Nm , popolando cos1 la regione
al di sotto del picco S che corrisponde allo stesso valore N=Nm . Come schematizzato in
figura, allesaurirsi del flusso dei neutroni tali nuclei decaderanno , andando a popolare
la valle di stabilita giusto sulla sinistra del picco S, dando quindi ragione dei bump che
in natura accompagnano quei picchi.
A tale scenario occorre infine aggiungere levidenza portata dai nuclei isola ricchi di pro-
toni, sulla sinistra della valle, il cui popolamento richiede multiple catture protoniche. Come
mostrato in Fig. 11.6 labbondanza in natura di tali nuclei p-puri mostra che tali processi
p hanno avuto unefficienza circa un ordine di grandezza inferiore a quella dei processi s
o r. Lintervento dei processi p si limita quindi essenzialmente al popolamento delle rela-
tive isole, con marginali contributi alla produzione degli altri nuclei. In conclusione potremo
continuare a distinguere i nuclei oltre il ferro in s-puri, r-puri, rs, cui dovremo aggiungere i
p-puri delle isole.
Lorigine dei processi p va ricercata ancora una volta nellesplosione delle Supernovae,
nel corso della quale la materia viene improvvisamente portata a temperature che posono
superare i 109 K. A tali temperature e efficiente la produzione di coppie
e+ + e
che puo essere seguita da
e+ + (Z.A) (Z + 1, A) +
cui si aggiungono le catture protoniche dirette
(Z, A) + p (Z + 1, A + 1) +
Possiamo concludere osservando come la distribuzione delle specie nucleari nellUniverso,
considerata per molto tempo una realta insondabile, porti al contrario una chiara testimoni-
anza della storia dellUniverso nel suo insieme, a partire dal Big Bang e attraverso la nascita
e la morte delle strutture stellari.
8

Fig. 11.7. Curva di luce della variabile cataclismica SS Cyg, del tipo U Geminorum.

11.4. Fenomeni esplosivi: Variabili cataclismiche, Novae e Supernovae.


Levoluzione di strutture stellari isolate, cui abbiamo sinora rivolto la nostra attenzione, non
rende completamente conto della fenomenologia riguardante le strutture stellari. Abbiamo ad
esempio gia ricordato levidenza osservativa di varibili cataclismiche. Tali sono ad esempio
le variabili tipo U Geminorum: stelle che aumentano improvvisamente la loro luminosita
tipicamente di 3-4 magnitudini e permangono a tale luminosita per alcuni giorni per tornare
poi ad uno stato quiescente e ripetere il fenomeno a distanze temporali irregolari di settimane
o mesi. Fenomeno quindi ben diverso dalle pulsazioniche abbiamo gia discusso, e che non
trova spiegazione allinterno dello scenario evolutivo delle strutture stellari isolate.
Il nostro interesse per tali fenomeni riveste un duplice aspetto. Innanzitutto, a fronte
dellevidenza di fenomeni esplosivi, vogliamo verificare se e quanto tali fenomeni possono
ulteriormente contribuire alla nucleosintesi di elementi pesanti. In secondo luogo, e anche
tempo di affrontare un problema centrale dellevoluzione chimica dellUniverso: quanta della
materia sintetizzata allinterno delle strutture stellari viene resitituita al mezzo interstellare,
e come?
Losservazione mostra che le variabili cataclismiche sono in ogni caso membri di sistemi
binari stretti. Il meccanismo allorigine di tale fenomenologia e infatti collegato alla binarieta
ed e ormai sufficientemente ben conosciuto. Si e in ogni caso in presenza di sistemi formati
da una Gigante Rossa e una Nana Bianca. In tali condizioni, se il sistema e sufficientemente
stretto ( ...), puo innescarsi uno scambio di materia tra le due componenti, con gli strati
atmosferici della gigante che cadono sulla Nana Bianca formando in genere attorno alla Nana
un disco di accrescimento che deposita lentamente materia sulla nana stessa.
La materia cosi stratificata alla superficie della nana e ricca di idrogeno, e quando tale
inviluppo raggiunge una massa critica si innescano esplosivamente le reazioni di combustione
dellidrogeno, dando luogo allimprovviso aumento di luminosita. Lesplosione riprocessa al-
meno in parte il materiale sedimentato, la stella ritorna nel suo stato quiescente e riprende
il processo di accrescimento che portera a tempo debito ad una successiva esplosione. Il
processo e ripetitivo ma non strettamente periodico. Per queste varibili vale, almeno quali-
tativamente, la legge di Kukarkin e Parenago, secondo la quale il tempo che intercorre tra
due esplosioni e tanto piu lungo quanto maggiore e laumento di luminosita.
Un meccanismo del tutto analogo e allorigine di eventi ben piu violenti, quali sono
le esplosioni delle stelle Novae. Lo splendore di tali stelle sale improvvisamente, in uno-
due giorni, di almeno 10-11 magnitudini, per declinare poi lentamente (da qualche mese
a qualche anno) verso lo splendore originale. Poiche nel suo stato quiescente la stella e
raramente visibile ad occhi nudo, tali eventi furono in antico considerati come apparizione
di nuove stelle, da cui il nome. Lenergia sviluppata nellevento e dellordine di 1045 -1046
erg, pari quindi a quella emessa dal Sole in circa 100 000 anni. Si stima che in una galassia
come la nostra ogni anno si accendano circa 30 Novae. Nelle esplosioni vengono espulsi
circa 104 M di materiale elaborato nuclearmente dallesplosione, fonte non trascurabile
di arricchimento per la materia interstellare.
9

Fig. 11.8. Curva di luce composita ottenuta sovrapponendo i dati osservativi di 38 SN di tipo I.

Confuse per molto tempo con le Novae, le Supernovae (SN) rappresentano infine un
evento esplosivo di gran lunga piu energetico. Al picco di luminosita una SN puo aumentare
di 20 magnitudini (100 milioni di volte) e raggiungere 1010 luminosita solari, emettendo
quindi come un intera galassia. Che si sia di fronte ad un fenomeno distruttivo e rivelato ,
oltre cha dallenorme quantita di energia emessa, dalle osservate velocita di espansione che
si aggirano attorno ai 104 km/sec. Lesplosione di SN non e peraltro un fenomeno inatteso.
Levoluzione stellare ci ha infatti insegnato che le grandi masse devono terminare la loro vita
con un collasso gravitazionale in cui vengono messe in gioco energie tipiche delle SN. E in
questo stesso capitolo abbiamo trovato chiare tracce di un tale accadimento nella produzione
degli isotopi r e p. Il quadro osservativo appare perlatro piu complesso, e dovra essere
discusso con qualche dettaglio.
Le caratteristiche della curva di luce hanno innanzitutto consentito di evidenziare due
distinte classi di SN, Come mostrato in Fig. 11.8 le Supernovae di Tipo I (SNI) hanno curve di
luce ben caratteristiche e praticamente sovrapponibili, con una prima rapida discesa di circa
tre magnitudini seguita da un piu lento e regolare declino. Le SNII hanno invece un continuo
regolare declino (SNII lineari) in alcuni casi interrotto da un periodo in cui la luminosita
cessa quasi di decrescere (SNII plateau). A tali differenze nella curva di luce si accomu-
nano anche caratteristiche spettroscopiche: nelle SNI sono assenti le righe dellidrogeno, che
appaiono invece nelle SNII.
Le SNII hanno le caratteristiche attese per il collasso finale di grandi masse. Esse ap-
paiono infatti solo in galassie a spirale e solo in regioni ove sono evidenti fenomeni di recente
formazione stellare (Regioni H II). Quindi le SNII sono quelle predette dallevoluzione stel-
lare, tipiche di una Pop. I. Ci si attende che nellesplosione tali N eiettino nello spazio
gli starti che contornano il nucleo centrale neutronizzato, lasciando come remnant o una
stella di neutroni o una buca nera. Le SNI sono invece oggetti inattesi, che vediamo esplodere
anche in galassie ellittiche, quindi in popolazioni antiche ove stanno ancora evolvendo solo
piccole masse. Un piu accurato studio di questo tipo di SN ha infine portata ad una ulteriore
suddivisione delle SNI in tipo a (SNIa) nel cui spettro e presente la riga di assorbimento
del SiII a =6150 A, e SNIb ove tale riga e assente. La tabella 1 riassume la corrispondente
situazione osservativa:
Cosa puo produrre linattesa evidenza di SN in una popolazione antica? La domanda
trova una naturale risposta quando si mediti sul fatto che le Nane Bianche di CO sono
dei potenziali detonatori se e quando qualche meccanismo le porti a superare la massa di
Chandrasekhar. E il meccanismo di trasferimento di massa che vediamo allopera nelle bina-
rie cataclismiche e nelle Novae si adegua perfettamente a tale compito. Per completezza
aggiungiamo che a fianco di tale meccanismo e stata anche proposta la coalescenza di
due Nane Bianchie mutuamente orbitanti, a causa della perdita di energia per emissione
10

Tab. 1.

Balmer SiII Spirali Ellittiche Pop.

SNII Si Si No I
SNIa No Si Si Si II
SNIb No No Si No I

di onde gravitazionali. Resta in ogni caso lidentificazione delle SNIa come prodotte dalla
detonazione-deflagrazione del C, con incinerimento e totale dispersione della struttura.
Non sorprendentemente, si trova che la curva di luce delle SNIa e cos regolare perche
governata, in sequenza temporale, dallenergia emessa dai due decadimenti

56
N i 56 Co + e+ + ( = 6d)

56
Co 56 F e + e+ + ( = 77d)
Valutazioni quantitative mostrano come in queste esplosioni vengano sintetizzate da 0.5
a 1 M dellisotopo multiplo di 56 28 N i. La buona analogia tra le curve di luce delle SNIa e
SNIb indica infine che anche le SNIb devono corrispondere allincenerimento termonucleare
di una nucleo degenere. Lassenza di tali SN nelle galssie ellittiche indica peraltro che in
questo caso tale incinerimento deve trarre origine dal nucleo degenere di una stella di massa
intermedia. Anche in questultimo caso la binarieta dovrebbe giocare un ruolo importante,
producendo stelle con nuclei degeneri privi del loro inviluppo, osservate nella Galassia, note
come oggetti di Wolf Rayet. Non e peraltro escluso che almeno nelle primissime generazioni
stellari deficienti in metalli, a causa del combinato aumento di MU P con la possibile dimin-
uzione della perdita di massa (diminuita opacita radiativa), il limite di Chandrasekhar possa
essere stato raggiunto anche da stelle isolate di massa intermedia.

11.5. Modelli di evoluzione galattica


Lesplosione di SN e il meccanismo fondamentale che contribuisce nel tempo allarricchimento
del gas interstellare con gli elementi pesanti sintetizzati dallevoluzione delle strutture stel-
lari prima e infine dalla nucleosintesi esplosiva. La valutazione della quantita di tali ele-
menti al variare della massa e della composizione chimica originaria delle strutture stesse e
lingrediente fondamentale per indagare levoluzione temporale della composizione nucleare
della materia nella nostra come nelle altre galassie. Senza entrare in dettagli, ricordiamo qui
a titolo orientativo che le SNIa dovrebbero portare il maggior contributo alla produzione di
Fe, mentre le SNII arricchirebbero la materia interstellare essenzialmente di O.
Abbiamo gia visto come a questo si aggiungano anche altri meccanismi, quale la materia
elaborata ed eiettata nellesplosione delle Novae. Aggiungiamo ora che un ulteriore e non
tracurabile contributo e fornito dalla perdita di massa da parte di stelle di massa piccola o
intermedia in fase in fase di AGB. Stante il loro grande numero, e stato infatti valutato che
le strutture di AGB restituiscono al mezzo interstellare piu materia di quanto non facciano
in un egual periodo di tempo le SN. La valutazione di un tale contributo dovrebbe risultare
quindi importante quando si consideri levoluzione temporale di elementi quali C, N, O o
elementi s.
Nella sua accezione piu generale un modello di evoluzione chimica della Galassia, o di
una qualsiasi galassia, fa uso di tali informazioni integrandole con opportune assunzioni
11

Fig. 11.9. Produzione di elementi (in frazioni di massa stellare) per stelle di varie masse. La regione
a tratti indica la porzione di struttura congelata sotto forma di stelle degeneri o collassate.

sullandamento temporale della formazione stellare per ricavare levoluzione temporale della
composizione chimica del gas interstellare e, da qui, due diversi osservabili:

1. la composizione chimica del gas interstellare al tempo presente, in generale con particolare
riguardo ad uno o piu selezionati componenti.
2. la distribuzione delle relative composizioni chimiche fossili testimoniata nelle atmosfere
delle stelle della varie generazioni che sono sopravvissute sino al tempo presente.

Tali modelli galatici costituiscono un affascinante e complesso capitolo della moderna


astrofisica che qui non puo essere compiutamente sviluppato. Ci limiteremo ad illustrare
un modello estremamente semplificato che, nonostante la sua palese inadeguatezza, puo
essere riguardato come unutile approssimazione zero della problematica, suscettibile di
progressivi perfezionamenti e in grado di porre in luce il ruolo di alcuni ingredienti.
Come esemplificato in Fig. 11.9 assumeremo di conoscere la produzione di elementi
pesanti al variare della massa stellare, assumendo nel contempo che tale produzione non
dipenda dalla composizione originaria delle strutture. Per ogni assunta generazione stel-
lare e per ogni assunta IMF (Initial Mass Function) resta evidentemente fissato il rapporto
(yield) tra la massa che viene restituita al mezzo interstellare sotto forma di elementi
pesanti e la massa che viene congelata in stelle a lunga sopravvivenza che resteranno a
testimoniare nel tempo la presenza di quella generazione. Assumeremo anche che la IMF
rimanga la stessa per tutte le generazioni stellari.
Se assumiamo anche che la massa andata in stelle rimanga sempre trascurabile rispetto
alla massa del gas interstellare , la metallicita del gas restera in ogni tempo proporzionale
alla massa di elementi pesanti in esso riversati. Ma, nelle condizioni poste, sara allora anche
proporzionale alla alla massa delle stelle a lunga vita che si sono formate prima che il gas
raggiungesse una prefissata metallicita. Da queste semplici considerazioni traiamo dunque
che per ogni prefissata metallicita deve esistere una relazione di diretta proporzionalita tra la
metallicita e il numero di stelle con metallicita minore di quella prefissata.Tale risultato viene
sovebte rappresentato tramite landamento della variabile cumulativa S/S0 che rappresenta
per ogni campione di S0 stelle, la frazione di stelle che abbiano metallicita inferiore ad ogni
assunto Z (Fig. 11.10).
In forma quantitativa siano M la massa del gas, - dM la massa di gas andata in stelle
in un episodio di formazione stellare, dMS la massa di stelle ancora sopravviventi e dMZ la
corrispondente massa restituita al gas sotto forma di elementi pesanti. Nelle assunzioni del
modello semplice, a riciclaggio istantaneo e consumo trascurabile di gas
12

Fig. 11.10. Distribuzione cumulativa S/S0 con abbondanza metallica non superiore a Z, al variare
di Z/Z0 . La linea a tratti riporta le previsioni del modello semplice con consumo trascurabile di gas.
Le curve continue simili previsioni ma al variare della frazione di massa del gas rimasta allepoca
Z0 .

dMZ dMS dM
e potremo porre dMZ = k dM, da cui il contributo a Z di ogni generazione stellare

dMZ dM
dZ = = k
M M
da cui, partendo dal gas cosmologico privo di metalli

M M0
Z = lnM0 lnM per M M0
M0
dove M0 e la massa iniziale di gas. Nel caso di consumo trascurabile di gas la metallicita
risulta dunque, come atteso, proporzionale alla massa di gas andat in stelle e quindi anche
al numero di stelle ancora sopravviventi.
Si noti che tale derivazione assume implicitamente un continuo e regolare processo di
formazione stellare. Nelle assunzioni fatte, ad un burst di formazione stellare corrispon-
derebbe un salto Z con la contemporanea assenza di stelle in quellintervallo di metallicita.

Il modello semplice che abbiamo descritto rappresenta un punto di riferimento che puo es-
sere perfezionato introducendo assunzioni adeguate, quale ad esempio lintervento ritardato
delle SNIa. Modelli cosi perfezionati sono chiamati a rendere ragione dellae abbondanze
chimiche osservate nella nostra come nelle altre galassie. Tra i vari problemi ricordiamo qui
solamente linteressante evidenza secondo la quale nella nostra Galassia le stelle povere di
metalli mostrano di avere una chiara sovrabbondanza di elementi multipli (C, O, Mg, Si,
Ca, Ti) rispetto al Fe. E stato suggerito che cio sia la conseguenza del ritardato intervento
delle SNIa, produttrici di Fe, rispetto alla rapida sintesi di elementi nelle SNII.

11.6. Conclusione
Da quanto siamo andati sviluppando nel corso di queste pagine, si evince quanto levoluzione
stellare fornisca una fondamentale chiave interpretativa dellUniverso, quale oggi lo speri-
mentiamo. Attraverso tale chiave ci e oggi possibile delineare lo sfondo sul quale inquadrare
la storia dellUniverso, aprendo la strada ad un campo di ricerche che atende ancora di essere
completato e perfezionato, ma le cui linee generali appaiono ormai saldamente acquisite.
13

In tale ricostruzione della storia dellUniverso e gia stato compiuto un passo fondamen-
tale: oggi sappiamo di poter leggere questa storia non solo nelle stelle ma anche nei nuclei
della materia che ci circonda. Apprendendo dalla materia cio che nel passato deve essere
avvenuto ma anche comprendendo che la materia non puo essere diversa da quello che e in
base a quello che sappiamo dover essere stata la storia delle stella e dellUniverso.
14

Approfondimenti

A11.1. Reazioni nucleari interstiziali


A fianco delle combustioni termonucleari che intervengono nel bilancio energetico della struttura,
la produzione di neutroni tramite la catena dell14 N e lesempio piu rilevante di reazioni che in-
teressano esclusivamente levoluzione nucleare della materia stellare. Occorre peraltro avvisare che,
quando si sia interessati al dettaglio dellevoluzione di alcune specie isotopiche, diventano impor-
tanti anche reazioni energeticamente e quantitativamente ancor meno rilevanti, che peraltro possono
lentamente giungere a modificare sensibilmente labbondanza di alcuni isotopi. Reazioni che per la
loro scarsissima rilevanza abbiamo qui definito come interstixiali.
Come esempio di tali reazioni prenderemo la catena CNO che, per quanto riguarda il fabbisogno
energetico, si chiudeva con la reazione

(18 F ) 14 N +
18
In realta, anche se molto raramente, il nucleo di F nello stato eccitato puo decadere nel suo stato
fondamentale,

(18 F ) 18 F +
dando inizio alla complessa catena catture protoniche riportata qui di seguito
18
F 18 N + +e+ +
18
O + p 15 N + ma anche 19
F +
19 16 20
F +p O + ma anche Ne +
20
N e + p 21 N a +
21
N a 21 N e + e+ +
21
N e + p 22 N a +
22
N a 22 N e + e+ +
22
N e + p 23 N a +
23
N a + p 20 N + ma anche 24
Mg +
24 25
Mg + p Al +
25
Al 25 M g + e+ +
25
M g + p 26 Al +
26 26 + 26
Al M g + e + ma anche Al + p 27 Si +
26
M g + p 27 Al + 27
Si 27 Al + e+ +
27 24 28
Al + p M g + ma anche Si +

Come indicato dal simbolo , che segnala il ritorno ad un nucleo precedente, in queta catena
esistono motli cicli. Ciononostante un piccolo numero di nuclei, inessenziale sotto ogni altro ripetto,
puo filtrare sino ai nuclei piu massicci, alterandone le abbondanze.
Si ritiene che tali catture protoniche siano allorigine di una serie di anomalie di composizione che
riguardano elementi quali Ne, Na, Mg, Al nelle atmosfere di Giganti Rosse, anomalie da mettersi in
relazione anche con lefficienza di rimescolamenti profondi in grado di portare in superficie i prodotti
di combustione elaborati nei pressi della shell di idrogeno.
15

Fig. 11.11. Andamento delle linee equipotenziali nel piano dellorbita di una binaria. Si e assunto
=0.4

A11.2. Sistemi binari stretti.


Buona parte delle stelle del disco galattico risultano essere gravitazionalmente legate in sistemi binari
o multipli.Se le componenti di tali sistemi sono sufficientemente distanti, il legame gravitazionale
influenza solo le orbite degli oggetti, e levoluzione delle singole strutture non si discosta da quanto
valutato per stelle isolate. In sistemi binari stretti possono invece presentarsi peculiari modalita
evolutive, che condizionano pesantemente il destiono delle strutture.
Tali peculiarita trovano la loro origine nelle caratteristiche del campo gravitazionale e dalla
forza centrifuga di rotazione cui in un sistemi binario 1,2 sottoposta la materia. Ponendosi in un
sistema solidale con il baricentro, se trascuriamo la distorsione delle due strutture dovute alle mutue
attrazioni (approssimazione di Roche) il potenziale gravitazionale e semplicemente fornito da

GM1 GM2
= ( + )
r1 r2
dove M1,2 e r1,2 sono ripettivamente le masse e le distanze di un generico punto materiale dai due
oggetti. Poniamoci ora in un sistema corotante, assumendo il piano dellorbita come piano x,y e
assumendo anche come origine il centro della stella 1 e asse x la congiungente i centri delle due
stelle. In tale sistema le coordinate (x, y, z) del baricentro risulteranno (a, 0, 0), dove a e la
distanza (separazione) tra le due componenti e

M2
=
M1 + M2
e il potenziale nellapprossimazione di Roche si esplicita nella forma

GM1 GM2 1
= ( + ) 2 [(x a)2 + y 2 ]
(x2 + y 2 + z 2 )1/2 ((x a)2 + y 2 + z 2 )1/2 2
dove = 2/P e lultimo termine rappresenta il potenziale della forza centrifuga.
La Fig. 11.11 mostra il complesso andamento delle linee equipotenziali = cost nel piano
dellorbita nel caso =0.4. In prossimita delle stelle predomina il campo dei singoli oggetti mentre,
al crecere della distanza, si vanno intrecciando i contributi della gravitazione e della rotazione. A
distanze ancora maggiori prevarra il contributo della rotazione. I cinque punti marcati in figura
come Li rappresentano i cinque punti lagrangiani di equilibro, sluzioni particolare del problema dei
tre corpi. Una particella di massa trascurabile ripetto alle altre due componenti, posta in uno dei
punti percorrera orbite circolari mantenendo immutata la sua posizione ripetto alle due componenti
principali. I punti L4 e L5 , posti ai vertici di un triangolo equilatero con base a, sono di equilibrio
stabile se M2  M1 . Una tale configurazione e realizzata in natura dal sistema Sole-Give- Asteroidi
Troiani.
Alla superficie equipotenziale passante per L1 si da il nome di Lobi di Roche. La Fig. 11.12
mostra landamento del potenziale lungo la linea congiungente il centro delle due stelle, illustrando
16

Fig. 11.12. Andamento del potenziale lungo la linea congiungente i centri delle due stelle. La
zona ombreggiata indica la regione occupata dalla materia stellare. E mostrato come al crescere
del raggio di una stella si inneschi un meccanismo di trasferimento di massa attraverso il punto
lagrangiano L1 .

nel contempo il principio fondamentale dei meccanismi di trasferimento di massa che regolano
levoluzione delle stelle nei sistemi bibnari stretti. Sinche le dimensioni delle singole stelle restano
inferiori a quelle dei rispettivi lobi di Roche . levoluzione delle strutture segue il cammino delle
strutture isolate. Levoluzione guida peraltro inevitabilmente le strutture verso la fase di Gigante
Rossa, con aumenti notevoli di raggio. Se il sistema esufficientemente stretto (lobi di Roche di
dimensioni ridotte) la componente primaria, la piu massiccia, evolvendo per prima finira col riempire
il proprio lobo. Ogni tentativo di aumentare ulteriormente il proprio raggio avra solo leffetto di
reasferire materia sul proprio compagno, scortecciando la struttura originale.
E di grande importanza notare che il trasferimento di massa e fenomeno reazionato positi-
vamente. Ricordando infatti come la traccia di Hayashi si sposti verso il rosso al diminuire della
massa, ricaviamo che una gigante, a fissata luminosia, ha raggi tanto maggiori quamto minore e
la massa. Per il solo fatto di perdere massa la gigante tende quindi ad espandere ulteriormente il
proprio raggio e, come conseguenza, il trasferimento avviene con tempi scala termodinamici anziche
nucleari.
Puo cos avvenire che loriginale secondaria finisca col diventare la stella piu massiccia del sis-
tema, accelerando di conseguenza la sua evoluzione. Al progredire delle fasi evolutive, ogniqualvolta
una delle componenti riempi il proprio lobo di Roche si innescheranno fasi di trasferimento di massa.
La Fig. 11.12 mostra le tre caratteristiche configurazioni di fatto riscontrate nei sistemi binari
1. Sistemi staccati (detached): le due componenti sono ognuna allinterno del proprio lobo di Roche.
Ogni strutura segue una propria caratteristica evoluzione.
2. Sistemi semi-staccati (semi-detached): una delle due componenti riempie il proprio lobo, trafer-
endo materia sullaltra.
3. Sistemi a contatto (common envelope): tutte e due le componenti riempiono contemporanea-
mente il proprio lobo. La Fig. 11.12 mostra come in simili condizioni il sistema possa perdere
massa verso lesterno attraverso il punto lagrangiano L2 .
Nei sistemi semi-distaccati o a contatto almeno una delle strutture risulta sensibilmente defor-
mata rispetto alla forma sferica, deformazione che si riflette in precise caratteristiche della curva
di luce. A titolo esemplificativo, la Fig. 11.13 mostra la struttura del sistema a contatto AW UMa
come derivabile proprio dallanalisi della complessa curca di luce.
17

Fig. 11.13. La forma della binaria a contatto AW UMa come ricavata della analisi della curva di
luce osservata.

Fig. 11.14. Esempio di evoluzione di un sistema binario di piccole masse.

Il calcolo dellevoluzione delle stelle in un sistema binario puo essere agevolmente eseguito con
solo alcune semplici implementazioni dei normali codici evolutivi per tener conto della presenza
dei lobi di Roche, del conseguente fenomeno di travaso delle masse e delle conseguenti variazioni
nei parametri orbitali. I risultatisono peraltro molto variegati a fronte dei molti parametri che
caratterizzano tali sistemi, quali non solo le masse iniziali delle due componenti ma anche la loro
originale separazione. La Fig. 11.14 riporta a titolo di esempio, la storia evolutiva di un sistema
con masse iniziali M1 =1.0 e M2 =2.0 M . Nella fase (a) ambedue le componenti hanno raggiunto
la loro sequenza principale. La primaria M1 evolve per prima sino a riempire il proprio lobo di
Roche (fase (b)), iniziando il trasferimento di massa. Nella fase (c) loriginaria secondaria e ormai
diventata la componente piu massiccia e il sistema e formato da una gigante di 0.8 M che orbita
attorno ad una massiccia stella di MS di 2.2 M . Nella fase (d) la gigante ha completato la sua
evoluzione e il sistema e composto da una Nana Bianca e la massicia stella di MS. Levoluzione di
questultima porta ora al trasferimento di massa sulla Nana, producendo prima esplosioni di Nova
(fase (e)) e, infine, una SN di tipoI (fase (f)).

A11.3. Le Supernovae storiche


Il termine Supernova fu coniato nel 1933 da Baade e Zwicky quando divenne chiara lenorme
distanza delle galassie esterne e, di conseguenza, lenorme energia sviluppata dalle stelle nuove
che in tali galassie erano apparse. Si comprese allora che a tale categoria dovevano essere ascritti
le stelle nuove osservate nel 1572 da Tycho Brahe e nel 1604 da Keplero e Galileo. Questultima e
risultata lultima SN osservata nella nostra Galassia, e le indagini su taii oggetti nellambito galattico
si sono forzatamente basate sulle registrazioni recuperate in antichi testi. La Tabella 2 riporta un
sommario delle SN galattiche per le quali si e recuperata una qualche documentazione.
La Tabella mostra quanto sia risultata preziosa la piu che millenaria sorveglianza dei cieli da
parte degli astronomi cinesi. Linterpretazione di quelle antiche cronache non e peraltro ne facile
18

Tab. 2. Le Supernovae galattiche registrate storicamente. Per ogni evento viene data la costellazione
in cui e apparso, seguita da stime -quando disponibili- della magnitudine al massimo e dal tipo di
evenyo.

Costellazione mag Tipo Testi

SN185 Centaurus ? ? Cina


SN393 Scorpius ? ? Cina
SN1006 Lupus -9 ? Cina, Giappone, Corea, Europa
SN1054 Taurus -5 II Cina, Giappone
SN1181 Cassiopeia -1 II, Ia Cina, Giappone
SN1572 Cassiopeia -4 Ia Cina, Corea, Europa
SN1604 Ophiuchus -3 II? Cina, Corea, Europa
SN1667 Cassiopeia ? ? Nessuna registrazione

Fig. 11.15. Proiezione sul piano galattico della collocazione delle Supernovae registrate storica-
mente .

ne immediata, dovendosi cercare di selezionare le SN da una vasta categoria di stelle visitatrici


nella quale i cinesi registravano indifferentenmente comete, novae e supernovae. Si vede anche come
lEuropa immersa nelle tenebre del Medio Evo abbia ignorato ben due SN su tre. In particolare la
SN1054 doveva probabilmente essere visibile di giorno ad occhio nudo, ma non interesso un mondo
che aveva abbandonato lantica astronomia per lastrologia. Ricordiamo qui che a questa SN cor-
rispone oggi il remnant noto come Crab Nebula al cui interno e stata osservata una stelle di
neutroni ruotante (Pulsar). Straordinario il caso di SN1667 che, inspiegabilmente, non e stata os-
servata da nessuno, ma la cui esplosione sembra indiscutibilmente testimoniata dalle caratteristiche
del remnant rivelato in tempi relativamente recenti.
In base agli eventi storicamente accertati la frequenza di Supernovae galattiche risulterebbe
quindi dellordine di 1 ogni 250 anni. Lo studio delle SN si basa peraltro sulla ricerca di tali eventi
nelle galassie esterne, ricerca che nel solo anno 2003 ha prodotto oltre 300 eventi. Dalle stime
eseguite sulla base si tali ricchi campioni si ricava che in una galassia quale la nostra ci si attende
1 evento ogni 80-100 anni, con una frequenza quindi circa tre volte superiore a quella osservata.
La discrepanza risulta peraltro facimente spiegabile : come mostrato in Fig. 11.15le SN storiche si
collocano tutte attorno al Sole, in un settore angolare di circa 60 gradi centrato sul centro galattico.
Se ne trae levidenza che in una larga porzione della Galassia le SN sono passate e passano in realta
inosservate a causa del forte assorbimento della bamda ottica prodotto dalla materia interstellare.
19

Fig. 11.16. Pannello di sinistra: abbondanza di 7 Li nelle atmosfere di stelle di MS negli ammassi
delle Iadi e Pleiadi. La freccia indica il dip presente nelle Iadi, attribuito ad ulteriori effetti di dif-
fusione microscopica e levitazione radiativa. Pannello di destra: la distribuzione di abbondanze nelle
Pleiadi confrontata con le previsioni teoriche per due diverse assunzioni sul valore della lunghezza
di rimescolamento.

E stato stimato che la magnitudine visuale piu probabile per la prossima SN galattica sara
attorno a magnitudine 21. Questo non e il caso quando si osservi in bande infrarosse: ad esempio in
banda K una qualunque SN galattica risulterebbe con alta probabilita tra gli oggetti piu luminosi
del cielo. Un controllo dela Galassia in banda IR sarebbe quindi altamente augurabile, in sinergia
con i rivelatori che hanno mostrato di essere in grado di rivelare i neutrini emessi da una SN
extragalattica, quale fu la 1986a nella Grande Nube di Magellano. Nelloccasione ricordiamo infine
come le supernovae vengano targate in ordine di scoperta, con il numero dellanno seguito da
a, b...z per le prime 26, poi da aa, ab... az, ba, bb etc. La 1986a fu quindi la prima SN osservata
nellanno 1986.

A11.4. Misure di Li atmosferico


Le misure di abbondanza di 7 Li nelle atmosfere delle stelle povere di metalli e un dato di grande
rilevanza per le indagini sulla produzione di elementi nel quadro della cosmologia del Big Bang. Il
problema di quanto il Li rivelato in quelle stelle possa essere assunto direttamente come valore cos-
mologico e stato a lungo dibattuto. Misure del rapporto 6 Li/7 Li sembrerebbero confortare una tale
ipotesi, sembrando escludere lefficienza di meccanismi di distruzione che avrebbero maggiormente
operato sul piu fragile nuicleo di 6 Li. Qui vogliamo pero interessarci dellevidenza osservativa per la
quale in tutte le stelle il Li atmosferico scompare progressivamenteal al diminuire delle temperature
efficaci al di sotto di un determinato valore.
La Fig. 11.16 riporta a titolo di esempio nel pannello di sinistra le abbondanze atmosferiche
misurate lungo la sequenza principale degli ammassi delle Iadi e Pleiadi. In linea di principio tale
andamento riponde a ben precise previsioni teoriche. Al diminuire della temperatura efficace au-
menta infatti la profondita raggiunta dalla convezione subatmosferica e, con essa, la temperatura
raggiunta del rimescolamento convettivo. Conseguentemente il Li viene portato a temperature sem-
pre piu elevate dove viene distrutto per catture protoniche.
I modelli teorici mostrano che per stelle di massa non troppo piccola tale consumo di Li at-
mosferico avviene essenzialmente durante le fasi di presequenza, mentre durante tutta la successiva
fasi di MS labbondanza viene solo marginalmente modificata. Il Pannello di destra della stessa
figura mostra come le predizioni teoriche dipendano peraltro fortemente dalle assunzioni sul valore
della mixing length: allaumentare della mixing length diminuisce il gradiente (superadiabatico)
di temperatura e aumentano insieme inviluppo convettivo, temperatura di base della convezione e
deplezione del Li.
Il riscontro con i dati sperimentali presenta alcuni problemi cui qui brevemente accenniamo.
Innanzitutto i dati di deplezione del Li richiederebbero un valore di mixing length diverso da quello
adatto ai modelli di MS. Nulla osta peraltro che nelle due fasi la convezione abbia diverse efficienze,
come valutate nel quadro della lunghezza di rimescolamento. Piu grave e levidenza che il valore
20

del Li solare risulta minore di quello misurato negli ammassi, anche se le metallicita sono analoghe
e la teoria non prevede tale sensibile diminuzione con leta. Terminiamo qui questi brevi cenni che
intendono solo attirare lattenzione sul piu generale problema degli elementi leggeri nelle atmosfere
stellari, problema ancora meritevole di approfondite indagini.
21

Origine delle Figure

Fig.11.1 Castellani V. 1981, Introduzione allAstrofisica Nucleare, Newton Compton, Roma


Fig.11.2 Audouze J., Vauclair S. 1980, An introduction to Nuclear Astrophysics, Reidel Publ. Comp.
Fig.11.3 Clayton D.D. 1968, Principles of Stellar Evolution and Nucleosynthesis, McGraw-Hill
Fig.11.4 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare Zanichelli ed.
Fig.11.5 Clayton D.D. 1968, Principles of Stellar Evolution and Nucleosynthesis, McGraw-Hill
Fig.11.6 Audouze J., Vauclair S. 1980, An introduction to Nuclear Astrphysics Reidel Publ. Comp.
Fig.11.7 Rosino L., 1985, Gli Astri, UTET
Fig.11.8 Stephenson F.R. 1975, Origin of Cosmic Rays, Reidel Publ. Comp.
Fig.11.9 Auduze J.,Boulade O., Malinie G., Pollane Y. 1983, A&A 127, 164
Fig.11.10 Audouze J., Vauclair S. 1980, An introduction to Nuclear Astrophysics, Reidel Publ. Comp.
Fig.11.11 Shade J, Wood F.B. 1978, Interacting Binary Stars, Pergamon Press.
Fig.11.12 Pringle J.E. 1985, in Interacting Binary Stars, Cambridge Univ. Press.
Fig.11.13 Rucinski S.M. 1985, in Interacting Binary Stars, Cambridge Univ. Press.
Fig.11.14 Karttunen H., Kroeger P., Oja H. et al. 1996, Fundamental Astronomy, Springer
Fig.11.15 Piersanti L. 2001, Tesi di Dottorato, XIV Ciclo, Univ. Federico II, Napoli
Fig.11.16 Imperio A., Castellani V., DeglInnocenti S. 2001, in HR diagrams and stellar evolution, ASP
Conference Series
Capitolo 12

Appendici
12.1. Grandezze fondamentali

Grandezze Fisiche

Costante di Gravitazione G = 6.67 108 dyn cm2 g


Costante di Boltzmann k = 1.38 1016 erg K1
Costante di Planck h = 6.62 1027 erg sec
h = h/2= 1.05 1027 erg sec
Costante di Corpo Nero a = 7.56 1015 erg cm3 K4
Velocita della luce c = 3.00 1010 cm sec
Costante di Stefan Boltzmann = ac/4 = 5.67 105 dyn cm2 K4
Massa dellelettrone me = 9.11 1028 gr
Energia a riposo dellelettrone me c2 = 0.511 MeV
Massa del protone mp = 1.67 1024 gr
Energia a riposo del protone mp c2 = 938.27 MeV
Carica dell elettrone e = 4.80 1010 ues
Raggio classico dellelettrone re = e2 /me c2 = 2.82 1013 cm
Sezione durto Thomson (8/3)re2 = 6.65 1025 cm2
Volt-elettrone 1 eV = 1.60 1012 erg
Energia associata a 1 K 8.62 105 eV
Temperatura associata ad 1 eV 1.16 104 K

Grandezze Astronomiche

Massa del Sole M = 1.99 1033 gr


Luminosita del Sole L = 3.90 1033 erg sec1
Raggio del Sole R = 6.96 1010 cm
Magnitudine Visuale del Sole V = -26.74 mag
Magnitudine assoluta del Sole MV = +4.83 mag
Indice di colore del Sole B-V = 0.62 mag
Unita Astronomica 1 A.U. = 1.49 1013 cm
Parsec 1 pc = 3.09 1018 cm
Anno Luce 1 ly = 9.46 1017 cm

1
2

12.2. Funzioni di Fermi


Valori delle funzioni di Fermi
xn dx
Z
Fn () =
0 e+x + 1
per vari valori di n ed al variare del parametro di degenerazione = da -4 (gas non
degenere) a +20 (completa degenerazione).

F1/2 F3/2 F1/2

-4.0 0.016 13 0.024 27 0.032 04


-3.5 0.026 48 0.039 93 0.052 40
-3.0 0.043 37 0.065 61 0.085 26
-2.5 0.070 72 0.107 58 0.137 58
-2.0 0.114 59 0.175 80 0.219 18
-1.5 0.183 80 0.285 77 0.342 62
-1.0 0.290 50 0.460 85 0.521 14
-0.5 0.449 79 0.734 66 0.764 34
0.0 0.678 09 1.152 80 1.072 16
0.5 0.990 21 1.772 79 1.431 68
1.0 1.396 38 2.661 68 1.820 40
1.5 1.900 83 3.891 98 2.214 36
2.0 2.502 46 5.537 25 2.595 40
2.5 3.196 60 7.668 80 2.953 46
3.0 3.976 98 1.035 37 101 3.285 22
3.5 4.837 07 1.365 42 101 3.591 32
4.0 5.770 73 1.762 77 101 3.874 34
4.5 6.772 57 2.232 73 101 4.137 4
5.0 7.837 97 2.780 24 101 4.383 2
5.5 8.962 99 3.409 92 101 4.614 6
6.0 1.014 43 101 4.126 10 101 4.833 8
6.5 1.137 90 101 4.932 90 101 5.042 2
7.0 1.266 46 101 5.834 22 101 5.241 6
7.5 1.399 91 101 6.833 81 101 5.432 8
8.0 1.538 05 101 7.935 26 101 5.617 0
8.5 1.680 71 101 9.142 02 101 5.795 0
9.0 1.827 76 101 1.045 74 102 5.967 4
9.5 1.979 04 101 1.188 47 102 6.134 6
10.0 2.134 45 101 1.342 70 102 6.297 2
10.5 2.293 86 101 1.508 74 102 6.455 4
11.0 2.457 18 101 1.686 88 102 6.609 6
11.5 2.624 32 101 1.877 41 102 6.760 4
12.0 2.795 18 101 2.080 62 102 6.907 6
12.5 2.969 68 101 2.296 78 102 7.051 8
13.0 3.147 75 101 2.526 16 102 7.193 0
13.5 3.329 31 101 2.769 03 102 7.331 4
14.0 3.514 30 101 3.025 64 102 7.467 2
14.5 3.702 65 101 3.296 26 102 7.600 6
15.0 3.894 30 101 3.581 12 102 7.731 4
15.5 4.089 21 101 3.880 48 102 7.860 2
16.0 4.287 30 101 4.194 58 102 7.986 8
16.5 4.488 54 101 4.523 66 102 8.111 6
17.0 4.692 86 101 4.867 94 102 8.234 2
17.5 4.900 24 101 5.227 66 102 8.355 2
18.0 5.110 61 101 5.603 05 102 8.474 4
18.5 5.323 94 101 5.994 33 102 8.591 8
19.0 5.540 19 101 6.401 72 102 8.707 6
19.5 5.759 31 101 6.825 43 102 8.822 0
20.0 5.981 26 101 7.265 68 102 8.935 0
3

12.3. Sistemi fotometrici


A partire da circa la meta del secolo scorso, e stato progressivamente introdotto un gran
numero di sistemi fotometrici, talche al presente il Database di Asiago ne lista piu di 200.
Nella tabella ne riportiamo alcuni tra i pi usati. Per lungo tempo il sistema UBV di Johnson
e Morgan del 1953, con la rielaborazione ed estensione allinfrarosso di Johnson (1965),
hanno costituito uno standard quasi universalmente adottato. In tempi piu recenti hanno
peraltro registrato una crescente applicazione i sistemi rossi e infrarossi SAAO e di Cousin.
Di particolare rilevanza il sistema di filtri adottato dallHubble Space Telescope (HST) di
cui riportiamo, a titolo di esempio, alcuni tra i numerosi filtri della Wide Field Planetary
Camera 1 (WFPC1): tre bande UV e i due filtri che piu da vicino approssimano le bande B e
V di Johnson. In coda alla tabella riportiamo infine il sistema a banda stretta di Stromgren,
che dal 1956 continua a godere una buona popolarita per la particolare correlazione dei suoi
indici di colore con importanti caratteristiche delle strutture stellari, quali la metallicita.

Sistema Anno Banda c WHM

Johnson and Morgan 1953 U 3580 550


B 4390 990
V 5450 850
Johnson 1965 U 3516 684
B 4407 927
V 5479 875
R 6846 2090
I 8640 2194
J 1.25 0.37
K 2.20 0.59
L 3.57 1.00
M 5.00 1.19
SAAO 1973 J 1.23 0.28
H 1.65 0.31
K 2.23 0.36
L 3.46 0.57
M 5.08 0.53
Cousins 1976 R 6470 1515
I 7865 1090
WFPC1 1989 122M 1218 162
194W 1887 427
336W 3358 466
439W 4330 671
455W 5380 1587
Stromgren and Crawford 1956 u 3449 377
v 4109 199
b 4672 180
y 5476 235
H 4857 30
H 4857 140

La Tabella riporta nellordine la designazione del sistema fotometrico, lanno di


definizione, le bande del sistema, la lunghezza donda centrale c e la larghezza a mezza
altezza (WHM). Ove non altrimenti indicato le lunghezze donda c sono in Angstrom, i
valori della WHM nella stessa unita di c .
4

12.4. Diagrammi HR teorici ed osservativi


La Fig. 12.1 riporta la relazione tra temperatura efficace ed indice di colore per una stella
di composizione chimica solare e gravita superficiale log g = 3.5.

Fig. 12.1. Indice di colore B-V in funzione della temperatura efficace Te.

Come atteso, si evidenzia come lindice B-V risulti ben correlato con le temperature
efficaci solo per Te minori di 10000 K. A temperature maggiori lindice tende a saturare,
tendendo asintoticamente ad un valore di poco inferiore a -0.2.
Nel contempo la correzione bolometrica ha un minimo per Te 6700 K, temperatura
alla quale e massima lemissione nella banda del visibile. La Fig. 12.2 pone in evidenza le
trasformazioni topologiche che ne seguono nel trasportare dati da un diagramma HR teorico
logL, logTe al corrispondente diagramma CM osservativo Mv, B-V.

Fig. 12.2. Collocazione nel diagramma CM dei rettangoli del corrispondente diagramma teorico.

Si puo in particolare notare la drastica deformazione dei dati teorici alle maggiori temper-
ature, dovuta alla concomitante azione della compressione dei valori di B-V e al subitaneo
aumento della correzione bolometrica. Se ne trae levidenza che la distribuzione nel dia-
gramma CM dei Rami Orizzontali degli ammassi globulari e largamente il risultato di una
tale trasformazione. In tale contesto e utile notare come la subitanea variazione di pendenza
che si verifica attorno ai 10 000 K (Turn Down) possa essere usato come un affidabile in-
dicatore di temperatura, utile per ricavare una valutazione delle temperature indipendente
dal colore nel caso di ammassi molto arrossati.
Resta peraltro evidente che uno studio dettagliato delle strutture di stelle calde di Ramo
Orizzontale richiede lutilizzo di opportune indici di colore in bande UV.
5

12.5. Potenziali di ionizzazione


La Tabella riporta per i vari elementi il valore in eV dellenergia necessaria per lestrazione
dei primi dieci elettroni periferici cui corrispondono i primi dieci gradi di ionizzazione e
le conseguenti caratteristiche sequenze di righe spettrali (I= atome neutro, II = una volta
ionizzato etc).

Z I II III IV V VI VII VIII IX X

1H 13.598
2 He 24.587 54.416
3 Li 5.392 75.638 122.451
4 Be 9.322 18.211 153.893 217.713
5B 8.298 25.154 37.930 259.368 340.217
6C 11.260 24.383 47.887 64.492 392.077 489.981
7N 14.534 29.601 47.448 77.472 97.888 552.057 667.029
8O 13.618 35.116 54.934 77.412 113.896 138.116 739.315 871.387
9F 17.422 34.970 62.707 87.138 114.240 157.161 185,182 953.886 1103.09
10 Ne 21.564 40.962 63.45 97.11 126.21 157.93 207.27 239.09 1195.60 1362.16
11 Na 5.139 47.286 71.64 98.91 138.39 172.15 208.47 264.18 299.87 1465.09
12 Mg 7.646 15.035 80.143 109.24 141.26 186.50 224.94 265.90 327.95 367.53
13 Al 5.986 18.828 28.447 119.99 153.71 190.47 241.43 284.59 330.21 398.57
14 Si 8.151 16.345 33.492 45.141 166.77 205.05 246.52 303.17 351.10 401.43
15 P 10.486 19.725 30.18 51.37 65.023 220.43 263.22 309.41 371.73 424.50
16 S 10.360 23.33 34.83 47.30 72.68 88.049 280.93 328.23 379.10 447.09
17 Cl 12.967 23.81 39.61 53.46 67.8 97.03 114.193 348.28 400.05 455.62
18 Ar 15.759 27.629 40.74 59.81 75.02 91.007 124.319 143.456 422.44 478.68
19 K 4.341 31.625 45.72 60.91 82.66 100.0 117.56 154.86 175.814 503.44
20 Ca 6.113 11.871 50.908 67.10 84.41 108.78 127.7 147.24 188.54 211.70
21 Se 6.54 12.80 24.76 73.47 91.66 111.1 138.0 158.7 180.02 225.32
22 Ti 6.82 13.58 27.491 43.266 99.22 119.36 140.8 168.5 193.2 215.91
23 V 6.74 14.65 29.310 46.707 65.23 128.12 150.17 173.7 205.8 230.5
24 Cr 6.766 16.50 30.96 49.1 69.3 90.56 161.1 184.7 209.3 244.4
25 Mn 7.435 15.640 33.667 51.2 72.4 95 119.27 196.46 221.8 243.3
26 Fe 7.870 16.18 30.651 54.8 75.0 99 125 151.06 235.04 262.1
27 Co 7.86 17.06 33.50 51.3 79.5 102 129 157 186.13 276
28 Ni 7.635 18.168 35.17 54.9 75.5 108 133 162 193 224.5
29 Cu 7.726 20.292 36.83 55.2 79.9 103 139 166 199 232
30 Zn 9.394 17.964 39.722 59.4 82.6 108 134 174 203 238
31 Ga 5.999 20.51 30.71 64
32 G 7.899 15.934 34.22 45.71 93.5
33 As 9.81 18.633 28.351 50.13 62.63 127.6
34 Se 9.752 21.19 30.820 42.944 68.3 81.70 155.4
35 Br 11.814 21.8 36 47.3 59.7 88.6 103.0 192.8
36 Kr 13.999 24.359 36.95 52.5 64.7 78.5 111.0 126 230.9
37 Rb 4,177 27.28 40 52.6 71.0 84.4 99.2 136 150 277.1
38 Sr 5.695 11.030 43.6 57 71.6 90.8 106 122.3 162 177
39 Y 6.38 12.24 20.52 61.8 77.0 93.0 116 129 146.2 191
40 Zr 6.84 13.13 22.99 34.34 81.5
41 Nb 6.88 14.32 25.04 38.3 50.55 102.6 125
42 Mo 7.099 16.15 27.16 46.4 61.2 68 126.8 153

Come atteso, lenergia per estrarre lultimo elettrone, giungendo alla ionizzazione totale,
appare crescere con continuita allaumentare di Z. Per il Ca risulta, ad esempio, pari a
5470 V. Si noti come molti elementi posseggano potenziali di prima ionizzazione inferiori
a quello dellidrogeno, richiedendo quindi minori temperature per una prima ionizzazione.
Caso differente e invece quello dellelio che, assieme al Neon, richiede temperature pi elevate:
le righe dellHeII appariranno quindi solo ad alte temperature, alle quali lidrogeno e ormai
in larga parte completamente ionizzato. Per lapparizione di righe dellHeII nello spettro del
visibile si richiede anche che gli elettroni dellatomo una volta ionizzato si portino a popolare
livelli eccitati le cui energie di transizione ricadano nella banda ottica. Transizioni dallo stato
fodamentale interessano infatti solo lestremo UV.
6

12.6. I nuclei atomici


La Tabella riporta leccesso o difetto di massa di nuclei sino al Silicio, ogni nucleo restando
identificato dal numero di protoni (Z) e da quello di neutroni (N). Per maggior chiarezza, al
di sotto di ogni valore di Z viene anche indicato il simbolo del ripettivo elemento chimico.
Leccesso di massa e misurato per ogni nucleo come M-A (in MeV), dove A e il numero di
nucleoni e si assume come unita di massa 1/12 della massa del nucleo del Carbonio 12. La
sottolineatura segnala le configurazioni stabili.

Z 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14
H He Li Be B C N O F Ne Na Mg Al Si

N
0 7.29
1 13.14 14.93 25.13
2 14.95 2.42 11.68 18.38 27.94
3 25.90 11.39 14.09 15.77 22.92 28.91
4 33.80 17.59 14.91 4.94 12.42 15.70 25.50
5 . 26.11 20.95 11.35 12.05 10.65 17.34 23.11
6 . 31.65 24.97 12.61 8.67 0.00 5.35 8.01 17.70
7 . . 35.30 20.18 13.37 3.13 2.86 2.86 10.69 16.48
8 . . 43.30 25.00 16.56 3.02 0.10 -4.74 1.95 5.32 12.98 17.50
9 . . . 35.70 24.20 9.87 5.68 -0.81 0.87 1.75 6.84 10.91 18.00
10 . . . . 29.4 13.69 7.87 -0.78 -1.49 -7.04 -2.18 -0.38 6.77 10.80
11 . . . . . 17.60 13.27 3.33 -0.02 -5.73 -5.18 -5.47 -0.05 3.82
12 . . . . . . 16.40 3.80 -0.05 -8.03 -9.53 -13.93 -8.91 -7.15
13 . . . . . . . 10.70 2.83 -5.15 -8.42 -13.19 -12.21 -12.39
14 . . . . . . . . . -5.95 -9.36 -16.21 -17.20 -21.49
15 . . . . . . . . . . -7.51 -14.58 -16.85 -21.89
16 . . . . . . . . . . -6.60 -15.02 -18.21 -24.43
17 . . . . . . . . . . . . -15.89 -22.95
18 . . . . . . . . . . . . . -24.09

Si noti lassenza di isobari contigui e, in generale, come lisotopo stabile rappresenti la


configurazione a massima energia di legame ( massa minima) tra tutti i suoi isobari.
Dai dati in tabella, e immediato ricavare lenergia fornita per nucleone nelle successive
fusioni di H in He, He in C e cos di seguito. Queste energie sono riportate nella successiva
tabella ove si e fatto uso dellulteriore dato che fornisce per il Fe 56 un eccesso di massa pari
a -60.61 Mev

H 4 He 6.68 MeV
4
He12 C 0.60 MeV
12
C 24 Mg 0.58 MeV
24
Mg28 Si 0.19 MeV
28
Si56 Fe 0.31 MeV

Se ne evince ancora una volta che la fusione dellidrogeno in elio e di gran lunga la
maggior sorgente di energia nucleare a disposizione delle strutture stellari e, di conseguenza,
che la stragrande maggioranza delle strutture stellari osservate devono essere in fase di
combustione di idrogeno.

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