Astronucleare - Castellani
Astronucleare - Castellani
Astronucleare - Castellani
1
2
Fig. 1.1. Rappresentazione schematica della struttura della nostra Galassia. Le distanze sono
misurate in parsec (1 pc 3.3 anni luce A1.3)
sorgenti stellari di cui si ritiene di poter conoscere a priori la luminosita intrinseca della
struttura.
A questi due osservabili macroscopici delle proprieta radiative di una stella si ag-
giunge una ulteriore e preziosa informazione a livello microscopico. La non esatta corrispon-
denza tra gli spettri stellari e la distribuzione di corpo nero e infatti da attribuirsi in larga
misura alla presenza di righe e bande oscure variamente distribuite lungo lo spettro, causate
dallassorbimento selettivo di radiazione ( A1.4) da parte degli atomi o molecole di cui e
composta la porzione piu superficiale di una struttura stellare (atmosfera stellare). La teo-
ria delle atmosfere stellari consente oggi di risalire con buona precisione dagli assorbimenti
osservati allabbondanza delle varie specie atomiche, fornendoci la preziosa (e per lungo
tempo insperata) opportunita di acquisire informazioni sulla composizione chimica di tali
atmosfere.
1. Un disco, di raggio '15 chiloparsec (kpc) e spessore '300 pc, popolato da stelle e nubi di
materia diffusa sotto forma di polveri e gas. Caratteristica la presenza di ammassi stellari
aperti (fig. 1.2), tipicamente formati da non piu di qualche migliaio di stelle, non legate
gravitazionalmente e senza evidenti simmetrie . Numerose evidenze indicano lesistenza
nel disco di una sottostruttura a spirale, in analogia a quanto osservato direttamente in
altre galassie (fig. 1.3).
3
Fig. 1.2. Distribuzione sulla volta celeste degli ammassi stellari aperti della nostra Galassia che
marcano la collocazione del disco galattico. Sono utilizzate coordinate galattiche ove la latitudine
galattica (b) e misurata con riferimento al piano definito dalla Via Lattea e per la longitudine (l) si
assume come origine la direzione del centro galattico.
Fig. 1.3. Mappa della posizione sul piano del disco galattico di alcuni tracciatori di spirale nei
dintorni del Sole. I simboli rappresentano giovani ammassi stellari aperti (cerchi pieni) e nubi di
idrogeno ionizzato dalla radiazione di contigue stelle giganti blu (cerchi vuoti). Le concentrazioni
degli oggetti lungo fasce evidenziano porzioni locali delle braccia a spirale della nostra Galassia.
3. Un alone sferico, di raggio comparabile a quello del disco, nel quale sono presenti essen-
zialmente solo oggetti stellari, distribuiti con buona simmetria attorno al nucleo galattico.
Caratteristica la presenza di oltre cento ammassi globulari ( A1.5), formati da sino ad
un milione di stelle, gravitazionalmente legate in strutture a spiccata simmetria sferica.
Strutture di questo tipo sono riconosciute per ogni dove nellUniverso, a partire da quando
i primi grandi telescopi riuscirono a risolvere un antica controversia, mostrando come le
nebulose spiraleggianti intraviste con i cannocchiali ottocenteschi dovessero essere riguardati
come strutture dalle dimensioni e strutture analoghe a quelle della nostra Galassia poste ad
enormi distanze. Per la galassia a noi piu vicina (M31 = Andromeda) stimiamo oggi, per
esempio, una distanza di 700 kpc.
4
Fig. 1.4. Schema evolutivo della Galassia. I punti rappresentano il gas, le crocette le stelle ed
ammassi di alone, i cerchi aperti le prime stelle di disco. Gli asterischi rappresentano lesplosione di
supernovae ed i cerchietti pieni stelle arricchite di elementi pesanti. R rappresenta lasse di rotazione
della Galassia. Il raggio dei cerchi e di circa 15 kpc. Nella fase b sono indicate alcune orbite della
popolazione di alone (stelle od ammassi).
1. Tra le stelle che popolano il disco, le piu luminose appaiono tipicamente stelle ad alta
temperatura (stelle blu, T10.000 K).
2. Lalone galattico e invece dominato da stelle a temperatura nettamente inferiore (giganti
rosse, T5.000 K).
Da queste osservazioni scaturisce, sia pur a livello di ipotesi di lavoro, un quadro inter-
pretativo che collega evidenze stellari ed evoluzione galattica. Dovendosi assumere che le
stelle siano il risultato della condensazione di materia diffusa sotto linfluenza del campo
gravitazionale, e innanzitutto evidente che nellalone della Galassia, ove tale materia diffusa
e praticamente assente, il processo di formazione stellare e al presente inibito. Le stelle che
popolano lalone devono quindi essere il ricordo di una fase precedente, in cui lintero alone
era occupato da una nube di materia diffusa a simmetria tipicamente sferica (protogalassia).
5
Alla formazione di una prima generazione stellare nel corpo di questa protogalassia deve
aver fatto seguito il collasso del gas residuo (fig. 1.4) a formare il disco, con tempi scala
caratteristici di 3 108 anni per un collasso in caduta libera (collasso non dissipativo).
Nel disco cos formatosi sono restati e restano attivi i processi di formazione stellare a spese
della materia diffusa ivi addensata. Se cio e vero, le popolazioni stellari di alone devono essere
le piu antiche della Galassia, e la differenza di stato fisico delle strutture stellari potrebbe
essere messa in relazione proprio alla differente eta. Cos varrebbero le relazioni:
1. Galassie a spirale, quali la nostra e M31, nelle quali e presente un disco (con spirali
regolari o barrate) immerso in un alone dominato da giganti rosse.
2. Galassie ellittiche, nelle quali e presente solo una componente sferoidale di alone.
Fig. 1.5. Magnitudini visuali assolute MV in funzione del colore B-V per stelle con distanza dal
Sole minore di 20 pc, parallassate trigonometricamente dal satellite astrometrico Hipparcos. La
freccia indica la magnitudine assoluta del Sole (MV =4.8). Luminosita e temperatura delle sorgenti
decrescono allaumentare, rispettivamente, di MV e B-V.
Fig. 1.6. Diagramma HR dellammasso aperto delle Iadi, tipico di ammassi aperti del disco galat-
tico. In ordinata le magnitudini assolute (MV ) come ricavate dalle magnitudini relative e dal modulo
di distanza (DM =3.33) fornito dal satellite astrometrico Hipparcos ( A1.2). In ascissa i colori
B-V. Per opportuno confronto la freccia riporta la magnitudine assoluta del Sole.
Fig. 1.7. Magnitudini visuali V in funzione del colore B-V per le stelle dellammasso globulare
M5 di alone. La freccia riporta la magnitudine V del Sole posto alla distanza dellammasso (DM
15.07 )
Fig. 1.8. Diagramma CM delle stelle nellAmmasso Globulare M92 ottenuto combinando le osser-
vazioni da Terra con le osservazioni HST
della materia da cui si sono formate, dalla massa e dalleta delle strutture, non escludendo
lintervento di altri fattori quali, ad esempio, lo stato di rotazione delle strutture medesime.
Levidenza di sequenze monoparametriche indica che nelle stelle di un ammasso solo uno
di tali parametri varia in maniera indipendente, governando la collocazione nel diagramma
HR delle varie strutture. Se le stelle di un ammasso sono nate in un comune processo di
formazione, nulla osta a che le stelle abbiano avuto in origine una comune composizione
chimica e una comune eta. Pare invece irrealistico che processi di fragmentazione del pro-
toammasso gassoso abbiano portato a valori fissi per la massa degli oggetti stellari formati,
cpsi da suggerire che la massa stellare debba essere il parametro che governa la distribuzione
nel diagramma HR.
Il diagramma HR conferma in tal modo lipotesi che le stelle di un ammasso si siano
formate da un unica nube ed in una determinata epoca, in un intervallo di tempo piccolo
rispetto alleta dellammasso. Il diagramma HR delle stelle di un ammasso deve quindi essere
interpretato come il luogo, nel piano luminosita - temperatura, di stelle aventi massa diversa
e costante eta e composizione chimica (isocrona di ammasso).
Nel quadro evolutivo che siamo andati delineando, la differenza tra i diagrammi degli
ammassi di alone e di disco dovrebbe essere, almeno in parte, attribuita a differenze di eta.
Se ne puo trovare una conferma indiretta nello studio di sistemi binari per i quali e possibile
valutare massa e luminosita delle stelle ( A1.7). Si trova infatti che in stelle di sequenza
principale la luminosita e direttamente correlata alla massa, crescendo al crescere di questa.
Di particolare rilevanza e la constatazione che la luminosita cresce secondo potenze superiori
della massa (orientativamente L M3.5 - fig. 1.9). Se ne trae infatti levidenza che la quantita
di energia emessa da una stella per unita di tempo e di massa cresce anchessa rapidamente
con la massa della stella.
Cio suggerisce che le stelle a massa maggiore debbano esaurire piu rapidamente la loro
riserva di energia, qualunque essa sia, e che, quindi, abbiano tempi evolutivi piu rapidi e vita
9
Fig. 1.9. La relazione massa-luminosita per stelle di sequenza principale in sistemi binari.
totale piu breve. Non stupisce quindi lassenza di stelle luminose blu di sequenza principale
nellalone: se le stelle di alone sono sensibilmente piu antiche di quelle di disco ci si attende
appunto che le stelle piu massicce abbiano esaurito il loro tempo di vita, scomparendo dalla
sequenza principale. Resta naturalmente da identificare lorigine delle osservate sequenze di
Giganti Rosse e di stelle di Ramo Orizzontale.
Colore, luminosita e spettri delle stelle contribuiscono quindi a suggerire un quadro evo-
lutivo di notevole interesse per la storia della nostra Galassia, quadro che una opportuna
teoria delle strutture e della evoluzione stellare e chiamata a confermare e precisare.
Fig. 1.10. Labbondanza dei vari elementi nell atmosfera del Sole, graficata in funzione del numero
di massa A: La distribuzione e normalizzata ponendo labbondanza del Silicio pari a 106 . Si nota
come lidrogeno risulta almeno 1000 volte piu abbondante di tutti gli altri elementi, fatta eccezione
per lelio. Si notino le peculiari abbondanze dei nuclei di 12 C e dei successivi multipli del nucleo di
elio (O, Ne, S ...). Si notino infine i picchi nella distribuzione in corrispondenza del ferro e per i
numeri magici di neutroni N 50, 82, 126. Nelle stelle di alone si hanno distribuzioni simili ma con
minore complessiva abbondanza di elementi pesanti.
materia da cui tali strutture si sono formate, materia che nel tempo deve essersi andata ar-
ricchendo di elementi pesanti. Poiche la produzione di nuovi elementi implica lefficienza di
reazioni nucleari, e quindi di materia in condizioni altamente energetiche, pare naturale indi-
viduare nellinterno delle stelle la sede preferenziale per lefficienza di tali processi. Previsione
che mostreremo essere ampiamente confermata da dettagliate valutazioni teoriche.
Linformazione spettroscopica diviene tanto piu rilevante quando ci mostra come le stelle
che compongono un ammasso stellare, pur presentando una varieta di fasi evolutive (cioe
di luminosita e temperature superficiali), mostrino una sensibile uniformita di composizione
chimica. Cio non solo conferma lipotesi che tali aggregati di stelle si siano formati da una
originaria comune nube di materia protoammasso, ma indica anche che levoluzione delle
strutture stellari non modifica sensibilmente la composizione chimica degli strati piu super-
ficiali, che di conseguenza deve essere rimasta ancora quella della nube originaria. Poiche e
immediato riconoscere che alla superficie di una stella - a causa delle limitate temperature
- non possono mai essere state efficienti reazioni nucleari, lindicazione precedente va letta
come una evidenza che nel corso dellevoluzione di una struttura stellare non si verificano
in genere rimescolamenti profondi in grado di alterare macroscopicamente la composizione
degli strati superficiali.
In questa luce, risulta quindi che una struttura stellare, allatto della sua formazione,
congela alla sua superficie la composizione nucleare della materia interstellare dalla quale
la stella stessa si e formata. Acquisendo quindi informazioni sulleta di strutture stellari
attualmente osservabili ricaviamo nel contempo informazioni sulla storia della composizione
della materia interstellare, mappandone levoluzione non solo nello spazio ma anche nel
tempo. Le teorie di evoluzione stellare sono chiamate a confermare un tale quadro evolu-
tivo, producendo nel contempo quelle informazioni quantitative che consentano una dettagli-
ata ricostruzione conoscitiva del passato, ricollegando le evidenze osservative del presente
Universo ad una catena di avvenimenti che ci conduca alla comprensione della storia della
nostra Galassia in particolare e, piu in generale, dellUniverso nel suo insieme.
11
E importante notare che la bassa metallicita degli ammassi globulari dellalone si rac-
corda con una piu generale differenza nelle caratteristiche delle strutture stellari che com-
pongono la Galassia, come portata alla luce dallo studio della dinamica degli oggetti stellari
di campo, non appartenenti cioe ad ammassi. Per discutere questo punto e da premettere
che il Sole, in quanto stella del disco, ruota attorno al centro galattico, con una velocita di
circa 220 km/sec, compiendo dunque unintera orbita in circa 200 milioni di anni. Le stelle
nei dintorni del Sole che partecipano alla rotazione del Sole attorno al centro galattico, e
che hanno quindi piccole velocita relative al Sole, hanno sempre metallicita simili a quelle
solari. Il disco e peraltro attraversato anche dalle orbite di stelle di alone che non partecipano
alla rotazione del disco e che nei pressi del Sole si manifestano come un gruppo di stelle ad
alta velocita, conseguenza del moto riflesso del Sole. Queste stelle di alone risultano sempre
di piccola massa (e quindi a lunga vita media) e tipicamente sottoabbondanti in metalli,
collocandosi nel diagramma CM al di sotto della MS, nel gruppo delle Subdwarf.
Sommando tali evidenze a quelle fornite dagli ammassi stellari si conclude che gli
oggetti stellari, indipendentemente dalla loro appartenenza ad ammassi, possono dividersi
in famiglie caratteristiche per la loro collocazione galattica, per leta, per il contenuto in
metalli e per la morfologia dei rispettivi ammassi stellari. A tali caratteristiche si associa
anche una ulteriore differenza in stelle che mostrano una regolare e periodica variazione
di luminosita (stelle variabili). Nelle stelle di alone appaiono infatti variabili di tipo RR
Lyrae, con periodo minore di un giorno, mentre nel disco si trovano solo variabili Cefeidi,
con periodo molto piu lungo, sino ad alcuni mesi.
Si giunge cos al concetto di popolazioni stellari galattiche, secondo lo schema:
1. Popolazione I disco galattico: stelle giovani (giganti blu), abbondanza solare, ammassi
aperti, variabili Cefeidi.
2. Popolazione II alone galattico: stelle anziane (giganti rosse), povere di metalli, ammassi
globulari, variabili RR Lyrae.
Tale schematizzazione non deve peraltro essere riguardata come una evidenza per una
netta bimodalita nelle popolazioni stellari della Galassia. Essa rappresenta invece i due
casi estremi ed evidenti di una piu graduale distribuzione delle proprieta stellari al variare
della collocazione galattica. Gradualita che si riflette nel definire una Popolazione estrema od
intermedia ed una Popolazione I di disco, vecchia o estrema, in ordine di crescente metallicita,
crescente appiattimento sul disco e decrescente eta. Distribuzione che e evidentemente da
collegarsi alla storia dinamico-chimica della materia nella galassia medesima.
E da notare che le popolazioni stellari cos definite descrivono le caratteristiche del
sistema alone-disco nella nostra Galassia con categorie non necessariamente estendibili a
tutti gli altri sistemi stellari. Nello stesso nucleo galattico troviamo infatti, ad esempio,
ammassi globulari antichi ma ricchi di metalli, e nelle vicine Nubi di Magellano troviamo
invece ammassi globulari giovani ma poveri di metalli, che non rientrano nelle precedente
classificazione. Il concetto di popolazione stellare puo mantenere una sua generalita quando
si svincoli dalleta collegandolo esclusivamente al contenuto in elementi pesanti, cioe alla
distanza genetica che separa la formazione di una popolazione stellare dalla materia priva di
metalli emersa dal Big-Bang ( 1.5). In questa accezione, nel nucleo galattico potremo allora
parlare di una popolazione I vecchia e nelle Nubi di Magellano di ammassi di popolazione
II giovani.
n p + e+ + (+1.2
In tali condizioni ci si attende che il numero di neutroni sia paragonabile a quello dei
protoni ( A1.10). A 1010 K (10 sec) lenergia media delle particelle e dei fotoni diventa
paragonabile allenergia del decadimento, lequilibrio e spostato a favore dei protoni ed i
neutroni cominciano a decadere in protoni. In tutto questo arco di tempo la fusione diretta
protone-neutrone in deuterio (D)
n + p 2D +
n+pD+
2
D + 2 D 3 He + n
13
3
He + n 3 H + p
2
D + 3 H 4 He + n
Non e peraltro possibile costruire nuclei piu pesanti dell elio 4 poiche in natura non
esistono isotopi stabili con numero di massa 5, e la possibile reazione
4
2 He + n (52 He) ) 42 He + n
e seguita da un decadimento con vita media 1021 sec, che riconduce inevitabilmente all
elio 4.
Curiosamente, le proprieta dei nuclei sembrano disegnate per precludere ogni possibilita
di superare il limite dellelio 4. Non esistono infatti nuclei stabili anche, e solo, per il numero
di massa 8. Ne consegue che per superare il muro dellelio 4 non servono nemmeno le
possibili reazioni tra i nuclei gia prodotti
3
He + 4 He 7 Be +
4
He + 4 He 8 Be +
Furono proprio queste curiose proprieta dei nuclei a convincere a suo tempo Gamow
a desistere dal tentativo di giustificare la presenza in natura di elementi pesanti tramite
il Big-Bang. Se ne trae invece levidenza che la materia, cos come uscita dalla sfera di
fuoco, doveva essere essenzialmente composta da H ed He, con tracce di D, 3 He e pochi altri
elementi leggeri.
La valutazione delle quantita di elementi prodotti da questa nucleosintesi primordiale
dipende criticamente dai particolari dellevoluzione temporale della sfera di fuoco. La quan-
tita di elementi leggeri cos prodotti sono quindi correlate al modello di Big-Bang e, at-
traverso questo, alle caratteristiche del passato e presente Universo (fig. 1.11). Calcoli det-
tagliati basati sul modello standard del Big-Bang conducono in particolare a correlare
labbondanza dell elio (elio cosmologico) alla densita nell Universo attuale di materia bar-
ionica, secondo la relazione
Fig. 1.11. La produzione di elementi nel big bang come funzione della densita di barioni
nellUniverso attuale.
quindi concludere per un Universo e aperto, a meno che non vi sia il contributo di massa
sotto forma non barionica (materia oscura). Eventuale massa posseduta dai neutrini od
altre particelle, quali le ipotizzate WIMPS (Weak Interacting Massive Particles) potrebbe
peraltro concorrere a chiudere lUniverso.
I recenti risultati del satellite WMAP, lanciato nel 2001 dalla NASA per studiare la ra-
diazione di fondo cosmico, hanno confortato un tale scenario, portando peraltro nuove ed
importantissime informazioni. LUniverso, con uneta di 13.7 miliardi di anni, appare pi-
atto, e la densita critica viene raggiunta grazie al contributi di un 4% di materia barionica,
23% di materia oscura non barionica e un ulteriore 73% di energia oscura, un compo-
nente tuttora misteriosa cui talvolta si da anche il nome di Quintessenza. Un esempio
di come ormai astrofisica, cosmologia e fisica fondamentale debbano essere riguardate come
momenti conoscitivi strettamente correlati nel comune obiettivo di svelare la storia ed il
comportamento dellUniverso.
si pone due obiettivi sinergici, leggere nelle stelle attuali la storia evolutiva delle galassie
e ricostruire il contributo delle ormai scomparse generazioni stellari allevoluzione nucleare
della materia. Con il fine ultimo di ricavare una storia ragionata dellUniverso nel suo insieme,
che ci consenta di comprendere come e perche lUniverso di nubi di materia, di stelle e di
galassie si presenti oggi ai nostri occhi cos come e.
16
Approfondimenti
Un campo di radiazione elettromagnetica (quale e la luce) puo quindi essere visto come un gas di
fotoni tra loro non interagenti. In presenza di materia a temperatura T, i fotoni interagiscono pero
con le particelle attraverso tutta una serie di processi che conducono i fotoni verso una situazione
energetica di equilibrio, retta dalla legge di distribuzione di Plank:
8h 3 1
u() = (1)
c3 [exp(h/kT ) 1]
ove u()d e la densita di energia della radiazione con frequenza tra e +d, k la costante di
Boltzmann.
Nel suo aspetto piu generale la distribuzione di Plank e una conseguenza delle necessita che
discendono dalla meccanica statistica. Un gas di particelle, se le particelle possono scambiarsi energia
tramite mutue interazioni, deve evolvere verso una situazione di equilibrio nella quale la velocita
delle particelle e retta dalla nota formula di Maxwell-Boltzmann (fig. 1.12): in queste condizioni si
puo parlare di equilibrio termico e definire una temperatura T del gas cos termalizzato.
Analogamente, una radiazione elettromagnetica che possa interagire con un sistema di particelle
termalizzato evolve verso la situazione di equilibrio descritta dalla legge di Plank. In tutti e due i casi,
il raggiungimento della termalizzazione della materia e della radiazione sara tanto piu rapido quanto
piu efficienti sono i meccanismi di interazione e scambio energetico materia-materia e materia-
radiazione.
Si puo mostrare che lenergia S irradiata in un secondo nell angolo solido 2 dalla unita di
superficie di un corpo in equilibrio termodinamico (corpo nero) risulta
c
S= u (2)
4
e quindi, indicando con S d lenergia irraggiata nellintervallo di frequenza e + d
2h 3 1
S = = B (3)
c2 [exp(h/kT ) 1]
2hc2 1
S = = B (4)
5 [exp(h/kT ) 1]
Fig. 1.13. Lemissivita di un corpo nero per varie temperature in funzione della lunghezza donda
(in 103 Angstrom). La curva a tratti riporta schematicamente landamento dello spettro solare.
R
W = 0
B d = T 4 (legge di Stefan-Boltzman)
5 2
con = 5.6710 erg/cm sec.
Annullando nella (4) la derivata dB /d si ottiene per la lunghezza donda cui corrisponde il
massimo di emissione
max T = cost = 0.2898 cm K (legge di Wien).
Lemissione delle superfici stellari approssima in generale distribuzioni (spettri) di corpo nero. In
tal senso si puo parlare di temperatura della radiazione e delle superfici stellari. La fig. 1.14 pone ad
esempio a confronto lo spettro della radiazione solare con la distribuzione di corpo nero, mostrando
come alla superficie del Sole debba essere attribuita una temperatura che si aggira attorno a T
6000 K.
Di particolare importanza per le stelle e la temperatura efficace Te , definita dalla legge di Stefan-
Boltzmann
L = 4R2 Te4
dove L e R indicano rispettivamente Luminosita e Raggio della stella. La temperatura efficace e
dunque la temperatura che avrebbe la superficie della stella se emettesse esattamente come un corpo
nero.
18
Fig. 1.14. Spettro del Sole al di fuori dellatmosfera (punti) confrontato con il corpo nero a 6000
K (tratto e punto) e con lo spettro della radiazione raccolta alla superficie della Terra. Si notino
in questo ultimo spettro, al di la di 8000 A, le bande degli assorbimenti causati da H2 O, O2 , H2 e
CO2 .
ove W e lenergia raccolta e misurata dai rivelatori. Lenergia W dipendera peraltro non solo
dal flusso della radiazione ma da molti altri fattori quali le dimensioni del telescopio, il tempo di
esposizione, la sensibilita del rivelatore. Ci si libera da tutti questi fattori aggiuntivi attraverso la
costante che fissa il punto zero della scala delle magnitudini ed e definita prefissando la magnitudine
di una o piu stelle standard. Nella pratica delle osservazioni si misurano sempre differenze di
magnitudine tra gli oggetti in studio e opportune standard, talche
m = ms 2.5logW/Ws (6)
Fig. 1.16. Andamento alle varia lunghezze donda del coefficiente di assorbimento A() che misura
la variazione di magnitudine causata da un arrossamento E(B-V) unitario.
K, L che coprono porzioni dello spettro a lunghezze donda ancora maggiori. Per ogni banda si
definiscono le relative magnitudini
e la distanza di una stella si risale alla luminosita intrinseca della sorgente L. La magnitudine
bolometrica e sovente posta in relazione con quella visuale attraverso la relazione
mbol = mV + BC (8)
ove BC (correzione bolometrica) sara una funzione di temperatura gravita e composizione chim-
ica. La scala delle magnitudini bolometriche non ha peraltro, sinora, standard definiti. e quindi deve
essere utilizzata con grande precauzione.
Si definiscono infine magnitudini assolute, sia bolometriche (Mb ol) che nelle varie bande (MB ,
MV etc), le magnitudini che avrebbero le stelle se poste ad una comune prefissata distanza di 10 pc
dalla Terra. Nota la magnitudine relativa e la distanza di una stella e facile ricavarne la rispettiva
magnitudine assoluta. Infatti, lenergia che attraversa nellunita di tempo una superficie sferica ad
una qualunque distanza r dalla sorgente deve essere costante e pari alla luminosita della sorgente,
definita come energia emessa per secondo. Si ha dunque a due generiche distanze r1 e r2
r12 = 2 r22 (9)
ricordando che m=-2.5log + cost, ponendo r1 pari alla distanza della stella e assumendo r2 =
10 pc, si ottiene
m = M 5 + 5 log r (10)
dove r e misurata in parsec. La differenza m-M viene sovente indicata come DM, modulo di
distanza.
Per le magnitudini assolute bolometriche, poiche il rapporto tra i flussi di due stelle poste alla
stessa distanza e pari al rapporto delle luminosita intrinseche degli oggetti, potremo infine scrivere
per una generica stella con luminosita L
Mbol = 2.5logL/L + cost (11)
33
ove con L si indica la luminosita del Sole ( 3.9 10 erg/sec) e la costante e la magnitudine
bolometrica assegnata al Sole.
I modelli teorici di atmosfere stellari consentono di correlare le grandezze osservative sin qui
definite con la luminosita L e la temperatura efficace Te delle strutture, fornendo per ogni assunto
valore di Te e di gravita lo spettro emergente dalla superficie e, da questo, i flussi nelle varie bande,
gli indici di colore e la correzione bolometrica.
Notiamo infine che in linea di principio gli indici di colore, in quanto rapporto tra due flussi, non
dipendono dalla distanza della sorgente. In quanto sinora esposto si e peraltro sottaciuto il caso,
frequente quando si osservi lungo la direzione del disco galattico, che nel suo tragitto verso la Terra
la radiazione sia soggetta a fenomeni di assorbimento dovuti alla presenza di materia (gas e polveri)
interstellare. Leffetto di un tale assorbimento risulta in genere tanto maggiore quanto minore e la
lunghezza donda, e viene misurato in termini dell arrossamento E(B-V), definito come la variazione
dellindice di colore intrinseco (B-V)0 causato dal maggior assorbimento della radiazione nella banda
B.
Per ogni dato arrossamento si ha dunque
(B V )oss = (B V )0 + E(B V ) (12)
mi,oss = mi,0 + Ai (13)
dove, Ai e laumento di magnitudine nella banda i estinzione, proporzionale allarrossamento.
Ad esempio, per la banda V risulta AV 3.1 E(B-V) da cui V = V0 + 3.1 E(B-V).
La fig. 1.16 mostra landamento alle varie lunghezze donda della variazione di magnitudine
prodotta da un arrossamento unitario, mentre la Tabella 1 riporta le estinzioni Ai in varie bande
riferiti allassorbimento nella banda V. La precisa valutazione degli arrossamenti e uno dei capitoli
piu delicati della pratica osservativa astronomica. Lentita dellarrossamento puo essere valutata
dalla posizione della sorgente nel diagramma a due colori (U-B), (B-V). Qui notiamo che ove
si disponga di uno spettro che si estenda nella regione dellultravioletto assorbita dallatmosfera,
come ottenibile dunque solo da strumentazione nello spazio, lentita dellarrossamento e facilmente
ricavabile dalla caratteristico bump nellassorbimento a 2200 Angstrom.
21
Tab. 1. Assorbimenti relativi nelle varie bande fotometriche riferiti allassorbimento nella banda V
U 3600 A 1.569
B 4400 A 1.337
V 5500 A 1.000
R 7000 A 0.751
I 9000 A 0.479
J 1.25 0.282
H 1.60 0.190
K 2.20 0.114
L 3.40 0.056
Fig. 1.17. Traguardando una stella a sei mesi di distanza ci si attende che la sua posizione sulla volta celeste
vari di un angolo 2 , ove e la parallasse dell oggetto, definita come langolo sotto il quale loggetto vede il
semiasse a dellorbita terrestre.
r= a/tg a/
dove a e il semiasse dell orbita terrestre (unita astronomica) e langolo e misurato in radianti.
Essendo 1 rad = 57o 17 44 pari a 206.265 secondi darco
r= a (206 265/)
r = 3.1 1018 / cm
Assumendo come unita di misura delle distanze stellari quella cui corrisponde una parallasse
annua di 1 (1 parsec (pc)= 3.1 1018 cm) si ha direttamente
r (pc)= 1/.
Poiche la velocita della luce e c3 1010 cm/sec, un parsec corrisponde a 3.26 anni luce, cioe allo
spazio percorso dalla luce in 3.26 anni (1 anno3.1 107 secondi).
22
La misura delle parallassi e argomento delicato, perche e innanzitutto da notare che ogni tele-
scopio non puo restituire immagini puntiformi, creandosi in ogni caso una figura di diffrazione, tanto
piu estesa quanto minore e il diametro del telescopio. Lottica ondulatoria ci assicura che il disco
centrale della figura, sino alla prima frangia oscura, ha un raggio angolare
= 1.22 /D
Le maggiori limitazioni nella misura delle parallassi provengono peraltro dalla turbolenza at-
mosferica (seing) che produce variazioni temporali dellindice di rifrazione atmosferico e, quindi, del
cammino ottico dei raggi luminosi, disperdendo limmagine di una stella su un area che in condizioni
normali e dell ordine di almeno alcuni secondi darco. E per questa ragione che risulta di grande
importanza collocare gli osservatori astronomici ad alta quota, in regioni contraddistinte da limitata
turbolenza atmosferica, dove il seing puo scendere anche sotto il secondo darco. Quando si consid-
eri che la stella piu vicina al Sole, Cen (Centauri), ha una parallasse di soli 0.76 si comprende
peraltro la difficolta di precise misure di parallasse. Il metodo trigonometrico ha consentito cosi di
avere indicazioni abbastanza precise sulla distanza solo qualche centinaio di stelle nei dintorni del
Sole.
Un notevole miglioramento si e ottenuto grazie all utilizzazione di telescopi nello spazio e, in
particolare, dal satellite astrometrico Hipparcos, lanciato nel 1989 dallAgenzia Spaziale Europea,
che ha misurato la parallasse di molte migliaia di stelle con precisioni dellordine del millesimo di
secondo darco. Un telescopio spaziale risulta infatti limitato dal solo fenomeno della diffrazione
(diffraction limited), sempreche la piattaforma spaziale sia adeguatamente stabilizzata.
Si noti che limmagine di seing oltre che limitare la misura delle parallassi introduce pesanti
limitazioni anche sul limite inferiore dei segnali luminosi rivelabili. Il cielo ha infatti una luminosita
diffusa (fondo) valutabile nella banda V a circa 22 mag per secondo darco quadrato. Se limmagine
di una stella viene dispersa dal seing su una superficie analoga, ne segue che per oggetti con mag-
nitudine superiore a V=22 il rapporto segnale-rumore scende sotto lunita, rendendo sempre piu
difficoltose le misure. Allaumentare della figura di seing diminuisce quindi la magnitudine limite
raggiungibile da un telescopio, ed e questo uno tra i principali motivi per cui e vitale scegliere
per gli osservatori astronomici siti contraddistinti dal minimo possibile seing. Ed e questo ancora
il motivo per cui la tecnologia dei moderni telescopi ha sviluppato tutta una serie di procedure
informatiche (ottiche adattive e ottiche attive) volte a minimizzare le dimensioni delle immagini
stellari.
Fig. 1.18. Schema delle transizioni elettroniche indotte dallassorbimento di fotoni in atomi di
idrogeno. Atomi nello stato fondamentale hanno elettroni nellorbita piu interna (orbita K) ed i
possibili assorbimenti producono una serie di righe note come serie di Lyman. Al crescere della
temperatura gli elettroni si spostano a popolare livelli superiori e conseguentemente si hanno la
serie di Balmer (da elettroni sullorbita L) nel visibile e la serie di Paschen (da elettroni nellorbita
M) nellinfrarosso.
che si e in presenza di un assorbimento transitorio, perche lelettrone eccitato ritornera sul suo stato
naturale emettendo nuovamente radiazione. Tale emissione e peraltro isotropa e alla superficie di
una stella tale meccanismo implica che vengono estratti fotoni dal flusso uscente, producendo le
righe di assorbimento presenti nello spettro.
Le righe presenti in uno spettro stellare dipenderanno quindi non solo dalle specie atomiche
presenti nellatmosfera stellare ma anche, e soprattutto, dalle temperature degli strati atmosferici.
Al crescere della temperatura cresce infatti lenergia delle particelle e negli atomi aumenta il nu-
mero di elettroni che si allontana dallo stato fondamentale per collocarsi spontaneamente su livelli
eccitati o per passare in stati slegati ionizzazione. Ad ogni temperatura corrisponde quindi una
particolare distribuzione degli elettroni legati ai vari nuclei, distribuzione che si riflette sulle righe
di assorbimento presenti nello spettro stellare.
Cos alle piu basse temperature gli elettroni legati allidrogeno (fig. 1.18) saranno nello stato
fondamentale (nellorbita inferiore), e passando da questo stato a stati eccitati superiori produrranno
righe di assorbimento solo nellestremo ultravioletto (Serie di Lyman). Al crescere della temperatura
una consistente frazione degli elettroni si sposta sul primo stato eccitato (la seconda orbita) e nello
spettro appaiono le righe della serie di Balmer, nel visibile, e a temperature ancora maggiori apparira
la serie di Paschen, nellinfrarosso.
Analogamente, anche gli atomi degli altri elementi presenti nellatmosfera produrranno ad ogni
temperatura uno spettro di assorbimento caratteristico della temperatura stessa. Poiche nella ma-
teria stellare, formata essenzialmente da idrogeno ed elio, sono in ogni caso sempre presenti tutti
gli altri elementi, sia pur con diverse abbondanze, la presenza di determinate righe o bande in uno
spettro e essenzialmente governata dalla temperatura, mentre la consistenza di tali assorbimenti
sara collegata allabbondanza delle relative specie atomiche o molecolari.
Al variare della temperatura si presentano cos nello spettro righe di assorbimento caratteristiche
(fig. 1.19): sulla base delle quali vengono definiti, in ordine di temperatura decrescente, i tipi spettrali
O, B, A, F, G, K, M
ognuno suddiviso in 10 sottoclassi (B0, B1, B2...B9, A0, A1...). A basse temperature sono pre-
senti nel visibile gli assorbimenti di molecole e elementi pesanti (metalli) neutri, quali, ad esempio,
le righe del FeI = ferro non ionizzato. Le righe dellidrogeno sono assenti perche tale elemento e
24
Fig. 1.19. Intensita delle righe di assorbimento nel visibile di diversi elemento al variare del tipo
spettrale.
Tab. 2. Corrispondenza tra tipo spettrale, indice di colore, temperatura efficace e magnitudine V
assoluta per stelle di disco di Sequenza Principale.
Spettro B-V Te MV
nel suo stato fondamentale e le righe della serie di Lyman cadono nellultravioletto. Aumentando
la temperatura si dissociano le molecole mentre appaiono le righe di metalli ionizzati, ad esempio
FeII= ferro ionizzato una volta. Appaiono anche le righe della serie di Balmer perche gli elettroni
dellidrogeno si sono portati a popolare il secondo livello. Aumentando ancora la temperatura scom-
paiono nuovamente le righe dellidrogeno, perche ionizzato, e appaiono le righe dellelio prima neutro
(HeI) e poi ionizzato (HeII), presenti solo ad alta temperatura perche gli assorbimenti dellelio nello
stato fondamentale cadono anchessi nellestremo ultravioletto.
Nella Tabella 4 riportiamo a titolo indicativo le relazioni tra tipo spettrale, indice di colore B-V
e temperatura efficace per stelle di sequenza principale del disco galattico (Popolazione I) , dando
per tali stelle anche la tipica magnitudine assoluta nella banda V.
Stelle con identico tipo spettrale possono mostrare ulteriori differenze nella forma delle righe,
differenze che sono risultate in relazione alla luminosita intrinseca della stella. Si comprendono tali
differenze notando come a parita di temperatura stelle intrinsecamente meno luminose debbano
avere raggi minori (L = 4R2 Te4 ) cui corrispondono densita atmosferiche maggiori, atomi piu
perturbati e righe conseguentemente allargate. Corrispondentemente, per ogni tipo spettrale si
definiscono cinque classi di luminosita, che vanno dalla classe I per le stelle piu luminose a righe
piu sottili alla classe V, che corrisponde a stelle della sequenza principale. In questa classificazione
di Morgan, Keenan e Kellman classificazione MKK il Sole e una tipica stella G2V.
25
Ad evitare equivoci, e bene precisare che una classe di luminosita NON corrisponde ad una
luminosita fissa e determinata. La classe V, ad esempio, e formata per ogni temperatura dalle
stelle meno luminose, che corrispondono a stelle di sequenza principale e la cui luminosita dipende
fortemente dalla temperatura.
Fig. 1.20. Landamento della luminosita superficiale nellammasso globulare M3 (punti) con-
frontato con le previsioni teoriche da un perfezionamento del modello semplice isotermo.
Pur senza entrare nei dettagli dellaffascinante e complesso argomento dellevoluzione dinamica
di tali sistemi, conviene qui accennarne alcuni punti fondamentali. Notiamo innanzitutto che la
tendenza ad una distribuzione Maxwelliana implica che una frazione delle stelle viene spinta a
velocita maggiori della velocita di fuga dallammasso. Da un altro punto di vista, cio corrisponde
al fatto che teoricamente una sfera isoterma non ha contorno, estendendosi sino allinfinito. Un
modello realistico (fig. 1.20) deve quindi, ad esempio, prevedere che lammasso perda tutte quelle
stelle che si spingono oltre il suo raggio mareale, definito come la distanza dal centro dellammasso
a cui inizia a prevalere il campo gravitazionale della Galassia.
Il sistema Ammasso Globulare quindi non puo essere dinamicamente stabile ed e destinato
a perdere, sia pur lentamente, non solo stelle ma anche energia. Cio conduce infine ad una catas-
trofe gravotermica, ancora oggetto di intensi studi, nella quale il nucleo del cluster subirebbe una
serie di improvvisi collassi oscillazioni gravotermiche che porterebbero la densita centrale sino a
valori dellordine di 108 M /pc3 . Notiamo anche che lequipartizione dell energia implica che le
stelle con massa minore abbiano maggiori velocita, quindi con distribuzione spaziale piu espansa e
preferenzialmente candidate a fenomeni di evaporazione dallammasso.
A fianco di tali meccanismi occorre anche tener conto di ulteriori meccanismi che collaborano
alla distruzione degli ammassi, quali gli incontri stretti con altri ammassi e gli effetti di disk shocking
e bulge shocking che si manifestano ogni qualvolta un ammasso nella sua orbita di alone attraversa
il disco galattico o si avvicina al bulge. Se ne deve concludere che gli ammassi globulari che oggi
popolano lalone della Galassia non sono necessariamente quelli che vi si sono a suo tempo formati,
ma solo quelli che per le loro caratteristiche strutturali sono riusciti a sopravvivere fino ad oggi
nellalone galattico.
E da notare che gli ammassi globulari, oltre a caratterizzare lalone di molte galassie a spirale,
quali la nostra e Andromeda, paiono peculiarmente abbondanti nelle galassie ellittiche, mostrando
di essere un costituente generale dellUniverso collegato alle prime fasi di formazione delle galassie.
In questo contesto spicca leccezione della galassia irregolare del gruppo locale Grande Nube di
Magellano. Accanto ad ammassi globulari antichi (rossi) esistono ammassi morfologicamente glob-
ulari che mostrano stelle in fase evolutiva anche estremamente giovanile, alle quali si possono as-
segnare eta anche inferiori ai cento milioni di anni.
Per spiegare tale peculiarita e, con essa, lassenza di ammassi globulari nel disco della Galassia si
puo avanzare il suggerimento che la distribuzione del gas in un disco con rotazione differenziale (kep-
leriana) abbia nella Galassia inibito lulteriore formazione dei grandi ammassi globulari, formazione
che e invece rimasta efficiente nelle regioni di gas non strutturato o solo parzialmente strutturato,
come era il primitivo alone, e come sono ancor oggi le Nubi di Magellano.
27
Orientativamente, si puo indicare che circa il 50% delle galassie osservate appartiene alla classe
S, il 40% alla classe E, ed il restante 10% alle irregolari. Le masse di questi oggetti, cosi come
ricavabili dalle proprieta fotometriche o dinamiche delle strutture, possono variare di molti ordini
di grandezza. Lintervallo piu esteso e coperto dalle ellittiche, che dalle ellittiche giganti cui sono
attribuibili masse dellordine di 1013 masse solari (M ) passa a circa 1010 M nelle ellittiche nane,
quale il compagno di Andromeda M32, per scendere sino a 108 M nel caso delle nane sferoidali
(Dwarf Spheroidals) che circondano la nostra Galassia. Tali masse vanno confrontate con le circa
1011 M tipiche di galassie a spirale quale la nostra. Le irregolari sono in genere oggetti poco
massicci; nel Gruppo Locale di galassie, per la Grande Nube di Magellano (che mostra peraltro
evidenze di una barra) si puo stimare una massa M5 109 M .
Accanto a questa classificazione generale, esistono parallele classificazioni dettate da particolari
evidenze osservative. Ricordiamo ad esempio la classe delle galassie di Seyfert caratterizzate da
nuclei particolarmente compatti e brillanti. Oggi si ritiene anche che i Quasar, oggetti di apparenza
stellare (di cui cioe non si giunge a rivelare lestensione) in alcuni casi radioemittenti e caratterizzati
sempre da un forte effetto Doppler in allontanamento (redshift) siano anchessi nuclei attivi di
galassie estremamente lontane nello spazio e - tenuto conto del tempo di percorrenza della luce -
nel tempo. Oggi si ritiene che tali AGN (Active Galactic Nuclei) trovino la loro origine in fenomeni
di accrescimento di materia su Buchi Neri massicci, con masse che possono raggiungere e superare
le 108 M , posti al centro delle rispettive galassie.
28
Ricordiamo infine come talora le galassie siano a loro volta raggruppate in sistemi di ordine supe-
riore che prendono il nome di ammassi di galassie. Tipico il vicino ammasso nella costellazione della
Vergine, a circa 4 Mpc da noi, che entro dimensioni paragonabile a quelle che separano la Galassia
dalla piu vicina compagna di dimensioni paragonabili, Andromeda, annovera invece migliaia di
galassie. La dinamica della materia nelle galassie e negli ammassi di galassie e un importante capi-
tolo dellastrofisica, collegato al piu generale problema dellorigine e dellevoluzione dellUniverso,
che purtroppo esula dai limiti della presente trattazione.
1. Binarie visuali: la distanza angolare tra le due componenti e tale da consentirne la separazione
nellosservazione telescopica.
2. Binarie spettroscopiche: il moto orbitale viene rivelato dallo spettro del sistema, grazie al peri-
odico spostamento Doppler delle righe di assorbimento di una o di tutte e due le componenti.
3. Binarie fotometriche: la natura binaria viene rivelata da periodiche variazioni di luminosita
causate dalle mutue eclissi delle due componenti.
Qui di seguito riassumiamo brevemente le informazioni sulle masse ottenibili nei tre diversi casi,
rimandando ad un qualunque testo di astronomia classica per il trattamento dei diversi argomenti.
1. Binarie visuali. Le osservazioni forniscono lorbita apparente di una stella attorno alla sua pri-
maria, definita come la stella piu luminosa della coppia. Con procedure geometriche e possibile
da cio risalire allorbita reale, determinando in particolare il valore del periodo e del semiasse
maggiore (in secondi darco). Dalla 3a legge di Keplero abbiamo
m1 + m2 = a3 /P2
a = d
a
e la 3 legge di Keplero fornisce la somma delle masse delle due componenti. Se oltre al moto
relativo si riesce ad identificare il baricentro del sistema, si ha che in ogni istante il rapporto
delle masse e pari allinverso del rapporto delle distanze dal baricentro e si ricavano le singole
masse.
29
2. Binarie spettroscopiche. Le osservazioni forniscono istante per istante la velocita radiale (in
km/sec) di una o ambo le componenti (curve di velocita radiale). Da cio si ricava il periodo,
la velocita del baricentro e il prodotto ak sin i, dove ak e il semiasse maggiore dellorbita reale
della componente k (k=1,2) e i e langolo tra la direzione della visuale e la normale al piano
dellorbita. Se sono osservati tutti e due gli spettri si conoscono a1 sin i, a2 sin i e quindi anche a
sin i dove a = a1 + a2 e ora il semiasse dellorbita relativa. Si ricava cos
3. Binarie fotometriche: La luminosita in funzione del tempo curva di luce fornisce rilevanti in-
formazioni sulla luminosita e sulla geometria degli oggetti che si eclissano. Per quel che qui
interessa notiamo che, al di la di possibili valutazioni piu dettagliate, loccorrenza delle eclissi
ci indica che i90, sin i1. Nel caso di binarie ad eclisse di cui si conoscano anche gli spettri
(binarie spettrofotometriche) le relazioni discusse nel punto precedente conducono facilmente ad
una stima delle masse delle due componenti.
np+e +
nel quale vengono emessi un elettrone col suo antineutrino. In caso di eccesso di protoni si ha il
corrispondente decadimento +
pn+e+ +
con emissione di un positrone e di un neutrino. Simili reazioni sono caratterizzate da una prob-
abilita di decadimento che dipende solo dal processo considerato, e non dalle condizioni chimiche o
fisiche della materia.
Poiche la probabilita e pari alla frequenza degli eventi, dati N nuclei suscettibili di un particolare
decadimento radioattivo, in un tempo dt ne decadranno
dN/N = p dt
essendo dN/N la frequenza degli eventi e p la probabilita di decadimento per unita di tempo.
Ponendo p=1/ si ha
dN/N =dt/
Fig. 1.22. Mappatura nel piano Z (numero di protoni) N (numero di neutroni) dei primi trenta
elementi chimici del sistema periodico. Per ogni elemento (per ogni Z) e riportato il simbolo chimico
e, nelle corrispondenti caselle, il numero di massa A (=Z+N) dei vari isotopi. In alto a sinistra sono
riportate le traiettorie corrispondenti ai piu comuni processi di decadimento o cattura. Lassenza di
isobari contigui testimoni lefficienza dei processi nel portare i nuclei nelle configurazioni nucleari
a maggior energia di legame. Sono anche indicati i numeri magici di neutroni o protoni in corrispon-
denza dei quali i nuclei mostrano una peculiare stabilita. Le spezzate a tratti e punti mostrano le
traiettorie corrispondenti ad una serie successiva di catture di protoni o neutroni. Nel riquadro una
mappatura nel piano A,Z evidenzia lassenza di nuclei con A=5 e 8.
N(t)= N0 exp(t/ )
/ = V/c
dove / viene in genere indicato con z e prende il nome di redshift delloggetto osservato.
Assumendo inoltre che la luminosita apparente delle galassie sia governata dalla distanza delle
stesse si conclude che il redshift appare correlato alla distanza, crescendo con essa (recessione delle
31
Fig. 1.23. La relazione tra redshift e magnitudine ricavata da A. Sandage per un campione di
galassie ellittiche giganti.
galassie). Hubble preciso questa osservazione in una legge di diretta proporzionalita tra la velocita
di allontanamento (V) e la distanza (d) secondo la relazione
V = H0 d (14)
Noto M, una misura sperimentale della costante darebbe il valore di H0 . In figura 1.23 e riportata
la relazione tra magnitudine e redshift ricavata da A. Sandage per un campione di galassie ellittiche
giganti. Si noti come la relazione lineare risulti estremamente ben verificata, confortando la legge di
Hubble, mentre lincertezza sullesatto valore delle magnitudini assolute non consente di utilizzare
tale evidenza per una precisa valutazione del valore di H0 .
La determinazione di tale valore e stato sino a tempi recenti uno dei piu importanti problemi
dellastrofisica. Una precisa valutazione del valore della costante di Hubble richiede valutazioni al-
trettanto precise della effettiva distanza delle galassie. Essendo impraticabili i metodi trigonometrici,
e necessario ricorrere allutilizzo di opportune candele campione, cioe di oggetti di cui si ritenga di
conoscere a priori la luminosita intrinseca e le cui luminosita apparenti variano quindi solo con il
quadrato delle distanze. Per le galassie piu vicine si utilizzano a tale scopo vari oggetti, quali le
stelle variabili Cefeidi, le Novae, le regioni HII e gli ammassi globulari. Per le galassie piu distanti
si possono infine utilizzare eventuali Supernovae. In tali direzioni si e una lunga serie di indagini
che hanno progressivamente e drasticamente abbassato la stima originale di Hubble che valutava
attorno a H0 500 km/sec Mpc. Questi risultati sono recentemente stati confermati e perfezionati
con approccio alternativo dal satellite WMAP della NASA che investigando la radiazione cosmica
di fondo ha ricavato H0 70 km/sec Mpc.
32
Fig. 1.24. I valori sperimentali della distribuzione energetica della radiazione di fondo (punti)
confrontati con le previsioni teoriche per un corpo nero per T=2.7 K.
(1 + )
z= = 1 (15)
(1 )
t0
t = t = (16)
(1 )2
33
dilatazione dei tempi puntualmente osservata nella curva di luce di Supernovae a distanza cos-
mologica. Si puo notare come z = 4 corrisponda ormai ad una velocita pari al 92 % della velocita
della luce.
Tab. 3. Velocita di espansione e fattore di dilatazione dei tempi per selezionati valori di redshift z
1 3/5 1.25
2 5/8 1.28
3 15/17 2.12
4 24/26 3.60
E t h/2
In tale scenario, linterazione elettromagnetica si spinge sino allinfinito perche il suo vettore, il
fotone, ha massa nulla e puo quindi avere energia piccola a piacere. Analoghe considerazioni valgono
per la postulata esistenza dei quanti del campo gravitazionale, i gravitoni. La forza debole ha invece
vettori massivi, i bosoni intermedi W e Z0 , la cui produzione impegna unenergia non minore di
E=mc2 , ponendo una severa limitazione al tempo di esistenza delle particelle virtuali ed al tragitto
ct raggiungibile da tali particelle. Il caso dellinterazione forte e peraltro estremamente piu com-
plesso, riposando sul comportamento di quark e gluoni descritto dalla cromodinamica quantistica.
Qui ci limiteremo a riaffermare che anche linterazione forte si manifesta solo a corto range.
E duso classificare le particelle elementari, siano esse stabili o instabili, a seconda del tipo di
interazioni cui sono soggette. Le particelle si distinguono cos in due grandi classi
1. Leptoni: soggetti, oltre che alla interazione elettromagnetica se carichi, anche allinterazione
debole. Tali sono lelettrone (e) e i tre tipi di neutrino (e ) con le loro antiparticelle. Tra le
particelle instabili ricordiamo ad esempio il muone ().
2. Adroni: soggetti, oltre che alle citate interazioni, anche alle interazioni forti. Tali sono il protone
ed il neutrone, anchessi con le loro antiparticelle, ed una gran quantita di particelle instabili.
Particelle instabili con massa minore del protone sono dette mesoni, tutte le altre barioni. Tutti
gli adroni sono in realta formati da particelle piu propriamente elementari dette quark, che
peraltro non sono osservabili isolate (confinamento dei quark).
Particelle, stabili e instabili, possono essere liberamente prodotte quando sia disponibile lenergia
corrispondente alle masse prodotte, ferme restando le varie leggi di conservazione per le quali, ad
esempio, la produzione di un protone richiede la produzione contemporanea di un antiprotone per la
conservazione del numero barionico. Si noti che per la conservazione della quantita di moto un fotone
34
puo produrre solo (almeno) coppie di particelle e, di converso, lannichilazione di due particelle deve
produrre (almeno) due fotoni.
E ben noto come nel presente Universo sopravvivano solo le particelle stabili: fotoni, neutrini,
protoni e un numero di elettroni tale da compensare la carica dei protoni. Sopravvivono anche i
neutroni quando inglobati nella struttura di un nucleo. Ma in un Universo in cui lenergia media per
particella (kT) risultava superiore quella necessaria per produrre particelle instabili, ci si attende
che tali particelle siano in continuazione prodotte, e che risultino presenti in equilibrio statistico
con le altre particelle.
Nelle primissime fasi del Big-Bang, lenergia dei fotoni era sufficiente per creare coppie di ogni
tipo di particella e lUniverso dovette essere popolato da un brodo di adroni e leptoni con le loro
antiparticelle, in equilibrio termodinamico tra loro e con il gas di fotoni (Era degli adroni). A 1012
K si e ormai scesi sotto la soglia di produzione degli adroni e quelli in precedenza esistenti si sono
vicendevolmente annichilati con le loro antiparticelle
n+n +
p+p +
Al termine delle annichilazioni restano i barioni oggi presenti nellUniverso, che in precedenza
rappresentavano solo una piccola differenza percentuale (dellordine di 107 %) nel bilancio della
popolazione di particelle ed antiparticelle in equilibrio con la radiazione.
e+ + e e + e
p + e n + e+ -1.80 MeV
p + e n + e -0.78 MeV
n p + e + e +0.78 MeV
dove lenergetica delle reazioni e immediatamente ricavabile dalle masse delle particelle coin-
volte: Mn = 939.5656 MeV, Mp = 938.2723 MeV, Me = 0.5109999 MeV. A causa della lunga
vita del neutrone ( 14.76 minuti) le prime due reazioni (endotermiche) restano dominanti sino a
che lenergia media e superiore alle rispettive soglie. Durante lEra dei leptoni i neutrini finiscono
pero col disaccoppiarsi, mentre labbondanza di protoni e neutroni, in equilibrio termico tra loro,
obbedisce alla relazione di Maxwell
np (mn mp )c2
= exp [ ] (17)
nn kT
A 1011 K np /nn 1.2, salendo a circa 4 a A 1010 K, quando termina lera dei leptoni e inizia
lera della radiazione . Al di sotto di questa temperatura le coppie elettrone positrone si annichilano
producendo fotoni
e + + e +
e lUniverso, dopo la nucleosintesi cosmologica (che termina a circa 4 minuti), restera infine
popolato solo da idrogeno, elio ed elettroni, con tracce di elementi leggeri. A circa 106 anni gli
elettroni si ricombinano con i protoni e la radiazione di fondo si disaccoppia dalla materia, la
densita della radiazioni scende sotto quella della materia e inizia lattuale Era della Materia.
La Tabella 4) riassume la sequenza di eventi che caratterizza levoluzione del Big-Bang mentre
la fig. 1.25 riporta levoluzione di temperatura e densita.
R 2 8GM kc2 c2
H2 = ( ) = 2 + (18)
R 3 R 3
8GM c2
M = ; = (19)
3H02 3H02
kc2
= H02 (M + 1) (20)
R02
36
Fig. 1.26. Curva di rotazione della galassia NGC3198. In funzione della distanza R dal centro della
galassia e riportata la velocita di rotazione osservata per stelle e nubi di gas. Il tratto orizzontale
indica, orientativamente, le dimensioni dellimmagine ottica della galassia.
e per avere un Universo piatto e con metrica euclidea, come rivelato ad esempio dal satellite
WMAP, si richiede k=0 e quindi
M + = 1
Una stima della densita di materia normale (barioni) si ottiene dalla stima della densita di
galassie unita a valutazioni della massa delle medesime. Con tale procedura si giunge ad una den-
sita dellattuale Universo dellordine di 1031 gr/cm3 , cioe inferiore di circa un fattore 100 della
densita critica necessaria per chiudere lUniverso. Se ne dovrebbe concludere che lUniverso e aperto,
destinato ad una indefinita espansione. E stato peraltro fatto notare che la procedura teste descritta
conduce ad una stima della massa contenuta in oggetti emettenti luce, e che non si puo escludere la
presenza di massa oscura, dalla quale non proviene radiazione elettromagnetica. Massa che potrebbe
essere contenuta in oggetti oscuri (stelle di bassissima luminosita od oggetti planetari) ma anche in
particelle elementari massive e scarsamente interagenti diffuse nellUniverso.
Esistono infatti molteplici evidenze per lesistenza di un tale ulteriore contributo. La stabilita del
disco della nostra Galassie richiede ad esempio molta piu massa di quella visibile. Unaltra evidenza
sperimentale per lesistenza di massa oscura e fornita dalla curva di rotazione delle galassie spirali.
Se la massa delle galassie e collegata sostanzialmente allosservato corpo luminoso, ci si attende
che allontanandosi da questo gli oggetti che vi ruotano attorno (stelle e/o gas) mostrino velocita
decrescenti, come atteso da moti kepleriani. Losservazione mostra che cio non e vero, e la velocita
di rotazione si mantiene pressoche costante sino a grandi distanze dal corpo centrale della galassia
ed allesterno della stesa immagine ottica della galassia (fig. 1.25). Se si vuole conservare la legge di
gravita di Newton, cio implica che nella Galassia e attorno ad essa esista una distribuzione di massa
non accessibile allosservazione diretta. Altre evidenze per la presenza di massa oscura si ottengono
dalla dinamica degli ammassi di galassie.
Si e cosi stimato che in alcuni casi la massa oscura sia almeno quattro volte quella osservata,
un valore rilevante ma ancora troppo piccolo per rendere piatto lUniverso. In tale contesto molte
indagini sono state dedicate al tentativo di determinare se e quanta di tale massa oscura potesse
essere sotto forma di barioni. Tali ad esempio gli esperimenti MACHO ed EROS volti a rivelare gli
effetti di lente gravitazionale prodotti da corpi oscuri di piccola massa transitanti davanti a stelle
normali. Il progresso delle indagini sulla radiazione di fondo cosmico, e in particolare i risultati del
gia citato satellite WMAP, sembrano ormai aver risolto tale problema, mostrando che la materia
oscura e essenzialmente non barionica, ma che lUniverso e piatto solo grazie al sostanziale contributo
di una per molti versi ancora misteriosa energia del vuoto.
37
g = GM/R2 6.67 108 1.99 1033 / 4.84 1021 2.74 104 cm/sec2
circa 30 volte superiore che alla superficie della Terra. Poiche in un moto uniformemente
accelerato S=gt2 /2, un corpo alla superficie del Sole sul quale agisse liberamente la gravita
percorrerebbe uno spazio pari al raggio del Sole in un tempo
Si ricava cosi un ordine di grandezza dei tempi caratteristici sui quali opererebbe la
gravita su scala solare. I 2 103 secondi ricavati assicurano che se sul Sole la forza di gravita
fosse libera di operare, il Sole dovrebbe rapidamente modificarsi sotto i nostri occhi. Poiche
cio non avviene, dobbiamo concludere che la forza di gravita e contrastata ed annullata
dalle forze di pressione generate nel gas, producendo una struttura che definiremo quasi
stazionaria, perche - come constateremo - pur se le forze di pressione annullano le forze di
gravita la struttura e costretta sia pur lentamente ad evolvere.
E facile tradurre le precedenti considerazioni in una relazione quantitativa. Assumendo
la simmetria sferica della struttura solare - come suggerito dallevidenza osservativa - il
1
2
Fig. 2.1. Il bilancio della forza di gravita Fg e delle forze di pressione Fp per un generico elemento
di materia di volume dV = dS dr.
bilancio tra le forze di pressione e quelle gravitazionali (fig. 2.1) per un generico elemento di
massa dm = dV = dSdr fornisce la relazione dellequilibrio idrostatico
dP (r) Mr (r)(r)
= G dr (1)
dr r2
dove P rappresenta la pressione totale operante nellambiente (quindi non la sola pres-
sione del gas A2.1 ), la densita locale ed Mr la massa contenuta allinterno del generico
raggio r.
Questa equazione fornisce una prima relazione tra le tre grandezze incognite P, ed Mr ,
assicurando che la pressione deve crescere con continuita muovendosi verso linterno della
stella. In realta una delle incognite e solo formale, perche dalla definizione di Mr si ricava
subito lequazione di continuita
P = P (, T ) (3)
ed irraggiamento. Escludendo per il momento il caso della convezione, negli altri due casi si
ha - come regola generale - che il flusso di calore e proporzionale al gradiente
dT
= cost (4)
dr
relazione che puo essere letta come una delle tanti leggi di proporzionalita tra causa
(dT/dr) ed effetto (il flusso ), una sorta di legge di Ohm dove la costante rappresenta
la resistenza al trasporto. La materia allinterno di una stella si trova in generale nello
stato gassoso, cui corrisponde (ma con importanti eccezioni) una trascurabile efficienza dei
meccanismo conduttivi. In tal caso si puo dimostrare ( A2.2) che tra il flusso trasportato
per radiazione (dai fotoni) ed il gradiente di temperatura intercorre la relazione
dT 3
= (5)
dr 4ac T 3
dove a= costante del corpo nero = 7.6 1015 cm, c= velocita della luce e opacita per
grammo di materia e definita dalla relazione
=1/,
con cammino libero medio dei fotoni: minore il cammino libero medio maggiore
lopacita.
Da tale del trasporto radiativo si ricava non solo che un gradiente di temperatura gen-
era un flusso, ma anche che la presenza di un flusso implica un gradiente di temperatura.
Lemergere di un flusso luminoso dalle strutture stellari e quindi indicazione che la temper-
atura cresce dalla superficie verso linterno, e che tale aumento deve continuare sinche la
struttura e percorsa da un flusso di energia uscente. Se ne trae anche la conseguenza che se
nelle zone centrali di una struttura stellare non vi sono sorgenti (positive o negative) di ener-
gia, allora tali zone devono tendere ad una situazione isoterma. Un gradiente di temperatura
produrrebbe infatti un flusso volto a riequilibrare le differenze di temperatura.
Nellequazione del trasporto il flusso locale puo utilmente essere espresso, per ogni r,
in termini della flusso energetico totale attraverso la superficie sferica di raggio r (Lr (r)=
luminosita)
Lr = 4r2
sistema che, con le opportune condizioni al contorno, puo essere risolto, ricavando
landamento di cinque delle precedenti variabili in funzione dellandamento della sesta vari-
abile assunta come variabile indipendente.
Ripercorrendo le assunzioni operate concludiamo che il sistema di equazioni governa
ogni sistema a simmetria sferica, autogravitante, in equilibrio idrostatico e sinche si resti
nel campo di applicabilita della meccanica non relativistica ( A2.3). Al variare della com-
posizione chimica della materia stellare, le soluzioni si differenzieranno non per lalgoritmo
delle equazioni fisico matematiche sin qui descritte, ma per il diverso comportamento fisico
della materia depositato in tali equazioni dalle tre relazioni
1. P (, T ) equazione di stato
2. (, T ) opacita della materia stellare
3. (, T ) produzione di energia
ove si e esplicitamente indicato come ci si attenda che non solo la pressione ma anche
lopacita e la produzione di energia dipendano dalle condizioni termodinamiche della materia
oltre che dalla non esplicitata composizione chimica della materia medesima.
Fig. 2.2. In un ambiente a gradiente radiativo, se tale gradiente risulta maggiore di quello adia-
batico (1) un elemento di materia che si sposti adiabaticamente dalla posizione iniziale si trova piu
caldo dellambiente a minori pressioni (spostamento verso lalto) o piu freddo a pressioni maggiori
(spostamento verso linterno). In tutti e due i casi lelemento e stimolato a proseguire il moto in-
nescando una instabilita convettiva. Nel caso in cui il gradiente radiativo risulti minore di quello
adiabatico (2) si manifesta invece una forza di richiamo che rende lambiente stabile.
a quella dellambiente con tempi scala meccanici. Gli scambi di calore avvengono invece
sui piu lunghi tempi scala termodinamici, talche potremo assumere che lespansione (se
assumiamo uno spostamento verso lalto, a pressione minore) o la compressione risultino
adiabatiche.
Dalla figura 2.2 si ricava immediatamente che se il gradiente locale (assunto come radia-
tivo) e minore del gradiente adiabatico dT/dP, per uno spostamento verso lalto lelemento
risulta piu freddo dellambiente, quindi piu denso e soggetto ad una forza di richiamo verso
la posizione originale. Analoghe considerazioni valgono per uno spostamento verso il basso.
Se ne conclude che in tali condizioni la zona e stabile. Ripetendo il ragionamento nel caso di
un gradiente radiativo maggiore di quello adiabatico si giunge invece alla conclusione che in
tal caso la zona e instabile, talche si giunge alla formulazione del Criterio di Schwarzschild
che stabilisce che in una struttura stellare sono instabili per convezione tutti quegli strati
per i quali risulta
dT dT
( )rad > ( )ad (8)
dP dP
A tale formulazione viene talora preferita la forma logaritmica
Fig. 2.3. Nella regione in cui e violato il criterio di stabilita di Schwarzschild un elemento di
convezione e soggetto a forze che ne favoriscono il moto. Il frenamento di tali elementi dovra quindi
avvenire nelle zone di stabilita al bordo della zona precedente, producendo un rimescolamento di
materia che si estende al di la dei limiti formali di stabilita (overshooting).
Fig. 2.4. Un elemento di convezione che si innalzi adiabaticamente nellambiente per un tragitto l
al termine del tragitto si portera ad una temperatura T1 = T0 + (dT /dP )ad P , circondato da un
ambiente a temperatura T2 = T0 + (dT /dP )amb P .
della zona convettiva si innalzi adiabaticamente per un tragitto l cedendo qui il calore in
eccesso. Come ordine di grandezza di l possiamo assumere laltezza di scala di pressione
1 dP
HP = (10)
P dr
definita come il tragitto che vede diminuire la pressione di un fattore 1/e, assunto come
il tipico tragitto lungo il quale un elemento di convezione (in necessaria espansione) possa
mantenere una propria individualita.
E subito visto che, pur nellipotesi adiabatica che e la piu favorevole al trasporto, la
convezione puo trasportare calore solo se il gradiente ambientale sia maggiore di quello
adiabatico (superadiabatico). Solo in tal caso al termine del tragitto lelemento risultera
piu caldo dellambiente circostante, in grado di cedere calore e di contribuire al trasporto
dellenergia. Tali semplici considerazioni mostrano che in una zona convettiva, dove - per
definizione - il gradiente radiativo e maggiore di quello adiabatico, il gradiente effettivo
e limitato dallessere necessariamente maggiore del gradente adiabatico ma anche minore
del gradiente radiativo perche, per definizione di gradiente radiativo, lesistenza di un tale
gradiente implica il trasporto radiativo dellintero flusso energetico.
Il problema e pertanto quello di valutare il grado di superadiabaticita del gradiente locale.
Per far cio ricorriamo ancora al precedente modello di convezione per notare che lenergia
ceduta da un elemento di convezione sara pari a
Q = CT (11)
gli effetti pratici e in genere lecito assumere direttamente un gradiente ambientale pari a
quello adiabatico.
Cio non e piu vero solo nelle zone piu esterne della struttura ove la marcata diminuzione
della capacita termica, conseguente alla diminuita densita della materia, genera un non
piu trascurabile fabbisogno di superadiabaticita. In tal caso (convezione subatmosferica)
manchiamo ancora di una teoria soddisfacente della convezione, ed e duso ricorrere ad un
algoritmo approssimato noto come (Teoria della Mixing Length A2.5).
E da notare che se il trasporto radiativo puo o meno essere attivo, il trasporto radiativo
- in accordo alla (6) - in presenza di un gradiente di temperatura e sempre efficiente. La
convezione puo quindi essere intesa come un meccanismo di troppo pieno che scatta quando le
richieste di gradiente per il trasporto radiativo superano la soglia del gradiente adiabatico,
attivando un ulteriore canale di trasporto. E, in tale visione, il criterio di Schwarzschild
stabilisce che in presenza di meccanismi di trasporto concorrenti si stabilisce il processo che
minimizza le richieste di gradiente.
In caso di convezione, lefficienza relativa dei due canali di trasporto resta collegata al
rapporto tra i gradienti. In particolare si ricava banalmente che:
espressione piu corretta - oltre la quale non e possibile che ci giungano informazioni di-
rette trasportate dai fotoni che, per definizione, subiranno almeno una interazione prima di
emergere dalla struttura.
La nozione di atmosfera e quindi collegata a meccanismi di opacita, e si puo definire
attraverso la relazione
dr
d = = dr (13)
ove, per la gia data definizione di , rappresenta linverso del cammino libero medio
del fotone e dunque la probabilitadi interazione per unita di percorso.
Le caratteristiche spettrali della radiazione osservata mostrano che una radiazione di
corpo nero proveniente dalla base dellatmosfera ( = 1), viene filtrata nel passaggio at-
traverso latmosfera, ove meccanismi selettivi di assorbimento o diffusione da parte degli
atomi dellatmosfera stessa estraggono fotoni dal fascio uscente, isotropizzandoli, in cor-
rispondenza delle frequenze proprie delle possibili transizioni elettroniche. La valutazione
delle strutture atmosferiche e operazione estremamente complessa, per la quale e necessario
valutare nel dettaglio il trasporto radiativo nelle locali condizioni di anisotropia, tenendo
conto della presenza di milioni di righe di assorbimento. Nella pratica dei calcoli di strutture
stellari si preferisce ricavare da tali calcoli dettagliati la relazione funzionale
T = T (, Te ) (14)
che con buona approssimazione risulta una funzione della sola temperatura efficace Te .
Adottando tale funzione e possibile chiudere semplicemente il sistema di equazioni della
struttura atmosferica. Poiche dalla definizione di si trae dr = - d / , la relazione
dellequilibrio idrostatico puo essere portata nella forma
M g
dP = G dr = d (15)
r2
dP g
= (16)
d (, T )
T = T (, Te ) (17)
P = P (, T ) (18)
tecniche di calcolo numeriche basate su metodi a differenze finite, ove cioe i differenziali
sono approssimati con incrementi piccoli ma finiti, cosi che le relazioni differenziali vengono
trasformate in equazioni algebriche.
Prima di illustrare i due diversi metodi in uso per la soluzione di tali equazioni dis-
cuteremo lintegrazione degli strati atmosferici, in quanto ingrediente di base che entra
nellarchitettura di tutti e due i metodi cui abbiamo fatto riferimento.
2.6.1 Integrazione degli strati atmosferici
Ricordiamo che per gli strati atmosferici abbiamo stabilito la relazione differenziale (2.13)
che, in termini di differenze finite puo essere scritta come
g
Pj+1 Pj = (j+1 j ) (19)
ove, in accordo con il metodo delle differenze finite, lintervallo di integrazione 0 1
e stato opportunamente suddiviso prefissando N valori j della variabile indipendente (N
mesh) per j che va da 1 a N. Pj e il valore, da determinare, della variabile nel generico punto
j. Accanto a questa relazione differenziale abbiamo le due ulteriori relazioni, qui ripetute
per comodita
T = T ( , Te )
P = P ( , T )
r=R, Lr =L, P, T, , Mr =M
12
Fig. 2.5. Nellintegrazione per tangenti, noto il valore della derivata della generica variabile Y(X)
nel mesh Xj si pone Yj+1 = (dY/dX)j (Xj+1 - Xj ), valutando cosi la variazione lungo la tangente
definita dalla derivata in Xj , con un errore che diminuisce al diminuire dellassunto X.
che compaiono nel sistema di equazioni per lequilibrio stellare. Supponendo di utilizzare
subito come variabile indipendente Mr , possiamo riscrivere le equazioni di equilibrio in
funzioni della variazioni di tale variabile. Ponendo dr =dMr /4 r2 e passando nuovamente
allo schema di differenze finite si ottiene
Mr,j
Pj+1 Pj = G (Mr,j+1 Mr,j ) (21)
4rj4
Mr,j+1 Mr,j
rj+1 rj = (22)
4rj2
3Lr,j 1
Tj+1 Tj = (Mr,j+1 Mr,j ) (23)
64ac 2 r4 T 3
se (dT/dP)rad (dT/dP)ad , altrimenti
Mr,j dT
Tj+1 Tj = G ( )ad (Mr,j+1 Mr,j ) (24)
4r4 dP
Lr,j+1 Lr,j = (25)
Analogamente a quanto gia discusso per lintegrazione atmosferica, se nel mesh Mr,j sono
noti i valori delle variabili r, Lr , P, T, (dallequazione di stato), (, T ) e (, T ) sono noti
i valori di tutti i coefficienti a secondo membro delle relazioni precedenti, e per ogni assunto
Mr = Mr,j+1 Mr,j le relazioni forniscono il valore delle variabili nel mesh j+1. Partendo
dal primo mesh, alla base dellatmosfera, literazione di tale procedura consente di spingere
lintegrazione lungo tutta la struttura.
Perche il risultato possa rappresentare una stella occorre e basta che per Mr = 0 (centro
della struttura) risulti r = 0 e Lr = 0. In linea di principio si potrebbe pensare di identificare
la soluzione variando opportunamente i valori di L e Te di partenza, sino a soddisfare le
citate condizioni centrali. Nella pratica cio non e consentito dalla eccessiva sensibilita delle
soluzioni a Mr = 0 dalle condizioni superficiali. Il metodo del fitting (cioe del raccordo)
supera questa difficolta procedendo ad una integrazione dall esterno a partire una coppia
di valori di prova L e Te , spingendo lintegrazione sino ad un prefissato valore della massa
Mr = MF ( massa di fitting) ottenendo in tale punto una quadrupletta di valori re , Ler , Pe ,
Te , ove lindice e sta ad indicare che tali valori sono il risultato dellintegrazione esterna.
13
ove si e evidenziata la ovvia dipendenza dei valori della quadrupletta dai due assunti
valori di prova L e Te . Si procede poi ad una integrazione dal centro imponendo in tale
punto r = Lr = 0 e assumendo due valori di prova Pc e Tc ricavando nello stesso punto di
fitting unaltra quadrupletta di valori ri , Lir , Pi , Ti ,
r e r i = r
Ler Lir = L
P e P i = P
T e T i = T
Tenuto presente che i valori delle due quadruplette dipenderanno dai valori di prova
assunti, rispettivamente, per L, Te e Pc , Tc , il metodo del fitting consiste nel valutare
quali le variazioni da apportare ai 4 valori di prova per annullare le discrepanze tra le due
quadruplette, o - nella pratica - perche le discrepanze (Pi - Pe )/Pi e simili scendano al di
sotto di una soglia di precisione tipicamente non maggiore di 104 .
In approssimazione lineare, la variazione dei valori delle quadruplette puo essere espressa
in funzione delle derivate parziali dei valori medesimi rispetto ai relativi valori di prova. Cosi,
ad esempio
e, corrispondentemente,
re re ri ri
(re ri ) = ( )T e L + ( )L Te + ( )T c Pc + ( )P Tc (26)
L Te Pc Tc c
Ler Le Li Li
(Ler Lir ) = ( )T e L + ( r )L Te + ( r )T c Pc + ( r )Pc Tc (27)
L Te Pc Tc
P e P e P i P i
(P e P i ) = ( )T e L + ( )L Te + ( )T c Pc + ( )P Tc (28)
L Te Pc Tc c
T e T e T i T i
(T e T i ) = ( )T e L + ( )L Te + ( )T c Pc + ( )P Tc (29)
L Te Pc Tc c
Imponendo che tali variazioni siano eguali ma di segno contrario alle discrepanze i (i =
1, 4), cosi da annullare le differenze delle due quadruplette al fitting, ove siano noti i valori
delle derivate si ottiene un sistema lineare di quattro equazioni nelle quattro incognite L,
Te . Pc . Tc e con termini noti -i (i=1,4).
14
I valori delle derivate parziali sono ricavati eseguendo quattro integrazioni, due dall
esterno e due dallinterno, a partire dai valori al contorno
L + L, Te
L, Te + Te
Pc , Tc + Tc
Pc + Pc , Tc
i,j i = 1, 4; j = 1, N 1
Occorre dunque operare sui valori di prova assegnati negli N singoli mesh in cui e stata
divisa la struttura al fine di azzerare i 4N-4 i,j cosi che le relazioni di equilibrio risultino
soddisfatte lungo tutta la struttura.
Notiamo al proposito che, avendo scelto come variabile indipendente Mr ed avendo
dunque prefissato il valore di Mr in opportuni mesh spaziati lungo la struttura, il gener-
ico i,j resta una funzione algebrica dei valori delle quattro variabili nei mesh j e j+1
di cui e possibile ricavare algebricamente i valori delle derivate parziali rispetto alle otto
variabili.
Per la dipendenza del generico i,j dalle funzioni di prova potremo dunque scrivere per
ogni coppia di mesh e per ognuna delle 4 equazioni dellequilibrio una relazione che lega le
discrepanze al valore variabili
15
i,j i,j i,j i,j i,j i,j
i,j = rj rj + Lr,j Lr,j + Pj Pj +
Tj Tj + rj+1 rj+1 + Lr,j+1 Lr,j+1 +
i,j i,j
Pj+1 Pj+1 + rj+1 Tj+1
imponendo che per ogni coppia e per ogni equazione i, j subisca una variazione eguale
e di segno contrario alla discrepanza trovata, si ottiene in definitiva un sistema di 4N-4
equazioni nelle 4N incognite
rj , Lr, j, Pj , Tj (j=1,N)
Il bilancio tra numero di incognite e numero di equazioni mostra - come dovevamo at-
tenderci - che la soluzione richiede lintervento di quattro condizioni al contorno. Due di
queste si ricavano immediatamente osservando che al centro della struttura deve risultare e
rimanere r = Lr = 0, e quindi
r1 = 0, Lr,1 = 0
Restano dunque 4n-2 incognite. Le altre due condizioni risultano dallimporre che lultimo
mesh (N) debba essere alla base dell atmosfera. Sappiamo infatti che le variabili fisiche alla
base dellatmosfera sono note non appena sia assegnata una coppia di valori L e Te . Per
lultimo mesh devono valere dunque le ulteriori condizioni
rN = f1 (L, Te )
Lr,N = f2 (L, Te )
PN = f3 (L, Te )
TN = f4 (L, Te )
Approfondimenti
A2.1. Energia interna, pressione della radiazione e pressione del gas perfetto.
Si e gia indicato ( A1.1) come allinterno di una struttura stellare materia e radiazione siano
ambedue da considerarsi termalizzate alla temperatura locale T In tali condizioni la densita e la
distribuzione in frequenza dei fotoni restano regolate dalle leggi del corpo nero, la densita di energia
risultando in particolare pari a U = aT 4 . In tali condizioni e anche facile ricavare il valore della
pressione di radiazione, collegata -come nel caso delle particelle- al momento trasportato dai fotoni.
Se immaginiamo la radiazione intrappolata allinterno di un cubetto di volume unitario a su-
perfici interne perfettamente riflettenti. Un generico fotone di energia E = h e momento p = h/c
avra una direzione di moto definita dai tre coseni direttori
cx cy cz
, ,
c c c
degli angoli formati dal vettore velocita c con i tre assi delle coordinate. Nellunita di tempo si
avranno cx urti contro le due pareti perpendicolari allasse x (Figura 2.6) ed in ogni urto verra
scambiata una quantita di moto pari in modulo a 2(h/c)cx /c. La somma (in modulo) dei momenti
scambiati dal fotone con le 6 pareti del cubetto nellunita di tempo risulta
h cx h cy h cz h
2 +2 +2 = 2 2 (c2x + c2y + c2z ) = 2h = 2E
c c c c c c c
Se ne conclude che il gas di fotoni isotropi scambia nellunita di tempo con ognuna delle pareti del
cubetto una quantita di moto pari a
p = E/3
dove E e la somma delle energie dei singoli fotoni. Poiche p = F t si ricava che il gas di fotoni
opera sulla superficie unitaria una forza (la pressione) pari a
Pr = E/3
Per una distribuzione di corpo nero si ricava cosi il valore della pressione di radiazione
1 a
Pr = U = T4
3 3
Con considerazioni del tutto analoghe si ricava per un gas perfetto non relativistico
1 2
Pg = mi vi2 = W
3 3
dove W = 21 mi vi2 rappresenta la densita di energia cinetica. Poiche lenergia cinetica media per
molecola e pari a 23 kT, 12 mi vi2 = nkT dove n rappresenta il numero di particelle per unita di
volume. Si ritrova cosi lequazione di stato del gas perfetto
Pg = nkT
Per un gas perfetto monoatomico W=U=3/2 kT. Nel caso piu generale U=N/2 kT, dove N e il
numero di gradi di liberta delle particelle, e si ricava facilmente
2
Pg = U
N
che, in analogia di quanto gia visto per la radiazione, pone in relazione la pressione con lenergia
interna per unita di volume.
17
Fig. 2.6. Nellurto elastico contro la parete un fotone di impulso h/c inverte la componente x
cx
cedendo un impulso pari a 2 h
c
cos = 2 h
c c
.
dr h
dp = N = dr
c c
Poiche la pressione di radiazione altro non e che il momento trasportato per unita di superficie e di
tempo, dp = dPr , e quindi
dr = dPr
c
Ove, come nel caso degli interni stellari, si possa assumere lequilibrio termodinamico locale, Pr =
a/3T 4 e si ottiene cosi
dPr 4a dT
= c = c T 3
dr 3 dr
Poiche il cammino libero medio dei fotoni dipende dalla frequenza, ponendo = 1/, dove
rappresenta una opportuna media (media di Rosseland) sulla distribuzione energetica dei fotoni:
1/ rappresenta la probabilita media di interazione per unita di percorso e prende il nome di
opacita per grammo di materia. Si ha cosinfine
4acT 3 dT
=
3 dr
che mostra come in condizioni di equilibrio termodinamico sussiste una necessaria proporzionalita
tra gradiente di temperatura e flusso di energia trasportato dai fotoni.
In assenza di convezione, poiche in un gas il trasporto per conduzione e in genere molto poco
efficiente, la precedente relazione si trasforma in una relazione tra gradiente di temperatura e flusso
totale di energia. Cio pero non e piu vero nel caso di degenerazione elettronica, allorquando per
motivi quantistici gli elettroni manifestano un comportamento collettivo ( A3.2). In tal caso,
18
Fig. 2.7. I fotoni che compongono il flusso di energia fluente tra due temperature T1 e T2 (T1 >
T2 ) subiscono interazioni che li isotropizzano cedendo qunatita di moto alla materia
come avviene nei metalli, un gas di elettroni mal sopporta gradienti energetici, e la conduzione
elettronica diviene un meccanismo di grande efficienza.
Per il flusso di energia c trasportato dalla conduzione si puo ancora porre
dT
c = C
dr
dove il valore di C resta definito per le varie condizioni fisiche del mezzo dalla teoria di un gas
elettronicamente degenere. In presenza di conduzione elettronica e duso generalizzare, con semplice
artificio, la precedente formula del gradiente radiativo. Basta infatti definire una opacita conduttiva
c attraverso la relazione
4acT 3
C=
3c
per ottenere
4acT 3 1 1 dT
r + c = ( + )
3 r c dr
Definendo come opacita totale 1/T = 1/r + 1/c si ottiene la forma generalizzata
4acT 3 dT
=
3T dr
che collega la totalita del flusso non convettivo al gradiente locale di temperatura.
2Gm
rg =
c2
si giunge a riscrivere lequazione dellequilibrio idrostatico e quella della conservazione della massa
nella forma generalizzata relativistica
Fig. 2.8. La relazione massa densita centrale per le strutture di stelle di neutroni, La curva A
indica la soluzione per un gas di neutroni liberi mentre le altre curve portano esempi di equazioni
di stato piu elaborate.
dMr
= 4r2
dr
dove Mr , massa contenuta allinterno del raggio r. contiene il contributo non solo della massa a
riposo delle particelle ma anche quello della loro energia.
Le strutture in cui si rende necessaria lapplicazione di un tale formalismo si collocano in qualche
maniera ai due estremi delle normali strutture stellari: stelle supermassive e stelle di neutroni.
Per cio che riguarda gli oggetti supermassivi (M 105 108 M ) e da notare che per i normali
oggetti stellari esiste un limite superiore, a poco piu di 100 M , per la formazione di strutture
stabili. Cio perche al crescere della massa il crescente contributo della pressione di radiazione finisce
col destabilizzare la stella. Al livello di supermassivita indicato intervengono pero due nuovi fattori
che consentono, almeno in linea di principio, strutture gravitazionalmente legate. Infatti il campo
gravitazionale efficace e enormemente accresciuto dallequivalente in massa dellenergia e, nel con-
tempo, i fotoni perdono energia nel propagarsi contro il campo gravitazionale, riducendo di molto
gli effetti della pressione di radiazione.
Oggetti supermassivi sono stati nel passato invocati per giustificare lemissione luminosa da
nuclei galattici, radiosorgenti e quasars. Per quanto tale ipotesi sia stata ormai abbandonata, e da
notare che da una struttura di 105 M nelle fasi iniziali di combustione di idrogeno si attendono
1043 erg/sec, con temperature efficaci ( 1.7.1)Te 6 104 K. Il confronto con la luminosita del
Sole ( 1033 erg/sec) rivela come in tali oggetti supermassivi il rapporto luminosita/massa risulti
dellordine di 105 volte di quello solare.
A causa delle elevatissime densita, anche stelle di neutroni che eventualmente si producano
nellesplosione di Supernovae sono caratterizzate da campi gravitazionali estremamente intensi, e
necessitano quindi di un trattamento relativistico. Se si assume che i neutroni si comportino come
un gas di fermioni liberi ( A3.2) per essi vale un equazione di stato del tipo
P = P () 41019 5/3
che, unita alle due precedenti relazioni, consente di definire la
struttura delloggetto (caso politropico A5.1). Se ne ottiene una relazione massa-densita cen-
trale che raggiunge un massimo per M = 0.7M (Fig.2.8). E subito visto che strutture al di
sopra di tale limite non sono stabili: una fluttuazione della densita centrale porterebbe la stella
fuori dallequilibrio, innescando una contrazione e,di qui, un processo di collasso reazionato positi-
vamente.
20
Lapprossimazione di un gas di fermioni appare peraltro inadeguata, perche a densita che rag-
giungono e superano quelle nucleari interverranno certamente interazioni a molti corpi tra le par-
ticelle. Equazioni di stato piu realistiche appaiono spostare il precedente limite sino a 2-3 M (
Fig. 2.8. Al di sopra di queste masse non si trovano meccanismi in grado di fermare il collasso della
struttura, che dovrebbe quindi procedere indefinitamente.
Al riguardo e facile verificare come lequazione dellequilibrio presenti una singolarita per
2GM
r=
c2
E questo il cosiddetto raggio di Schwarzschild. Anche nellapprossimazione non relativistica si ver-
ifica facilmente che, per ogni massa, a tale raggio corrisponde una velocita di fuga pari alla velocita
della luce. In generale si trova quando il collasso raggiunge il raggio di Schwarzschild i fotoni non
sono ulteriormente in grado di sfuggire dalloggetto collassante, che quindi cessa di avere un tale
canale di comunicazione elettromagnetica con il resto dellUniverso (diventando una buca nera).
Q = dU + pdV
ove appare la variabile estensiva V = volume occupato dal sistema. Osservando che il volume
occupato da 1 grammo di materia e pari a 1/, si risale immediatamente ad una piu appropriata
formulazione riguardante il bilancio termico per grammo di materia
1 P
Q = dU + pd( ) = dU 2 d
ove lenergia interna U e ora da intendersi come riferita al grammo di materia e immediatamente
ricavabile dividendo per le gia citate espressioni riguardanti lenergia interna per unita di vol-
ume. Lo stato termodinamico resta cosi definito dalle tre variabili intensive T, P e , fornendo una
rappresentazione adeguata anche ad un generico fluido termodinamico non soggetto ad artificiali
delimitazioni. Si noti che in tutte le precedenti relazioni la pressione P va intesa come pressione
totale, somma dunque delle pressioni parziali di gas e radiazione.
La termodinamica ci assicura anche che per trasformazioni reversibili, cioe per trasformazioni
che si sviluppano lungo stati di equilibrio e nelle quali restano quindi definite istante per istante le
variabili di stato, il calore assorbito o ceduto resta collegato alla funzione di stato S (entropia) dalla
relazione Q = T S. Poiche questo e ovviamente il caso per le trasformazioni subite dal plasma
stellare nel corso dellevoluzione di strutture stellari in equilibrio, potremo in generale porre il primo
principio della termodinamica nella forma
P
Q = T S = dU d
2
Poiche S e funzione di stato, assumendo P e T come variabili indipendenti, il bilancio energetico
deve potersi portare nella forma
S S
T ds = T [( )P + ( )T ] = CP dT ET dP
T P
con
CP = T (dS/dT )P = (Q/dT )P = calore specifico a pressione costante
ET = T (dS/dP )T = (Q/dT )P = calore specifico scambiato in una compressione isoterma.
Nel caso generale la valutazione di questi due coefficienti riposa su opportune e complesse
valutazioni sullo stato energetico del sistema, che tengano nel dovuto conto non solo il grado di
ionizzazione, ma anche la distribuzione degli elettroni nei vari livelli eccitati, la presenza di eventuali
21
legami molecolari etc. Stante la complessita dei relativi calcoli, questi dati vengono in genere forniti
al programma assieme allequazione di stato ( A3.2) ed ai coefficienti di opacita ( A3.3) sotto
forma tabulare, per ogni assunta composizione della materia stellare e per una opportuna griglia di
valori delle variabili di stato e T .
Nel caso di una miscela di gas perfetto e radiazione, basta peraltro esplicitare la dipendenza
dellenergia interna U dai parametri di stato e fare uso dellequazione di stato per ricavare analiti-
camente i valori di CP e ET . Scegliendo come parametri di stato P e T , il primo principio della
termodinamica fornisce
U U P
T dS = ( )T dP + ( )P dT 2 [( )T dP + [( )P dT ]
P T P T
e quindi
U P
CP = ( )P + 2 [( )P ]
T T
U P
EP = ( )T + 2 [( )T ]
P P
Poiche ( 3.2)
k a
P = Pg + P r = T + T 4
H 3
1 N
U = Ug + Ur = ( Pg + 3Pr )
2
si ottiene, ad esempio, per ET
N 1 1 N P
ET = ( Pg + 3Pr ) 2 ( )T [ ( Pg + 3Pr )T ] + 2 ( )T
2 P P 2 P
Osservando che per T = cost, dPr = 0 e dP = dPg si ha
H
( )T = ( )T = =
P Pg kT Pg
si ottiene infine
1 N Pr N P 1 Pr
ET = ( +3 + ) = (4 + 1)
2 Pg 2 Pg Pg
Analogamente si ricava
1 N +2 P2
CP = ( Pg + 20Pr + 16 r )
T 2 Pg
Si noti che T dS = 0 definisce una trasformazione adiabatica. Ne segue che per una tale trasfor-
mazione
dT ET dlogT P ET
( )ad = o anche ad = =
dP CP dlogP T CP
Se Pr << Pg , ad = 2/(N + 2), pari quindi a 0.4 nel caso di un gas perfetto monoatomico
(N=3) e a 0.3 nel caso di molecole biatomica (N=5). Piu in generale, e facile comprendere che un
gas perfetto monoatomico realizza il massimo possibile gradiente adiabatico. In tal caso infatti, e
solo in tal caso, tutto il lavoro assorbito in una compressione adiabatica va in energia cinetica delle
particelle e nel corrispondente innalzamento della temperatura. Ove esistano gradi di liberta interni
(quali molecole, ionizzazioni, eccitazioni elettroniche) parte del lavoro sara ripartito tra questi, con
conseguente minor innalzamento della temperatura.
Si noti infine che per Pr >> Pg , come tende ad avvenire in strutture stellari di massa molto
grande, ad 0.25. La radiazione tende quindi a diminuire il gradiente adiabatico, favorendo la
convezione. La radiazione dunque si comporta come un gas con 6 gradi di liberta, ed in effetti tale
22
Fig. 2.9. Andamento dei gradienti (scala di destra) e del peso molecolare (scala di sinistra) in
funzione della pressione P negli strati esterni di una stella di Popolazione II, 1.5 M in Sequenza
Principale, log Te = 3.91. Il gradiente radiativo raggiunge il valore massimo 45. In superficie il peso
molecolare segnala la presenza di molecole di idrogeno.
comportamento corrisponde alle due direzioni di polarizzazione per ognuna delle tre direzioni di
propagazione del fotone. Da questa osservazione e facile giungere ad un criterio termodinamico per
la stabilita di una struttura stellare. Per il teorema del viriale ( 4.1) tale stabilita richiede
2T + = 0
dove T e lenergia cinetica totale posseduta dalle particelle che compongono la struttura e e
lenergia di legame.
La stabilita richiede quindi che meta dellenergia guadagnata in una contrazione sia trasferita
all energia cinetica delle particelle : dT = d/2. In un gas monoatomico, quindi con 3 gradi di
liberta, tutta lenergia guadagnata dal gas va in energia cinetica, e resta quindi altrettanta energia
(d/2) per sopperire alle perdite per radiazione. In un gas con 6 gradi di liberta se meta dellenergia
va in energia cinetica, altrettanta energia deve andare negli altri gradi di liberta del sistema. Non
resterebbe quindi energia disponibile per sopperire alle perdite per radiazione, e questo e chiaramente
incompatibile con la stabilita della struttura. Il predominare della pressione di radiazione porta
quindi la struttura verso linstabilita.
Tale criterio e sovente espresso in letteratura tramite = CP /CV = d(logP/dlog)ad = 1/(1
ad ) = 1 + 2/N , con N gradi di liberta delle particelle. Per un gas perfetto monoatomico risulta
= 5/3, per la radiazione = 4/3 e la stabilita richiede > 4/3.
T = [(dT /dr)ad (dT /dr)]l = [(dT /dP )ad (dT /dP )](dP/dr)l
.
Poiche dP/dr e negativo, si riconosce immediatamente che vi sara trasporto di energia (la bolla
sara picalda) solo quando la zona e instabile per convezione, cioe dT /dP > (dT /dP )ad (Criterio di
Schwarzschild 2.2)
23
Fig. 2.10. Come in figura 2.9, ma per una stella di 1.25 M , log Te = 3.83. Al diminuire della
temperatura efficace affonda la zona convettiva e nelle regioni piu interne ( piu dense) il gradiente
locale tende al gradiente adiabatico.
Poiche lo scambio di calore avviene a pressione costante, il calore scambiato al termine del
tragitto sara M CP T , ove M e la massa della materia a maggior temperatura. Ponendo che meta
della materia partecipi al moto ascendente, si ricava per il flusso trasportato dalla convezione
1 dT dT
CP v[(
Fc = )ad ( )]l
2 dr dr
Lesistenza di un gradiente di temperatura implica peraltro anche un trasporto radiativo (
A2.2)
T 3 4ac dT
Fr =
rho 3 dr
cos che per il flusso totale in regime di convezione si ricava
1 dT 1 T 3 4ac dT
F = Fc + Fr = CP v( )ad ( CP v )( )
2 dr 2 rho 3 dr
da cui
dT F 12 CP v( dT )
dr ad
= T 3 4ac
dr 1
CP v
3 2
Si riconosce facilmente che per convezione inefficiente (CP v 0) dT /dr (dT /dr)rad mentre
per convezione dominante (CP v )) dT /dr (dT /dr)ad .
Per valutare le velocita degli elementi di convezione possiamo osservare che per il principio di
Archimede la forza agente sullelemento sara
F = gV
dove g e la gravita locale, V il volume delle elemento e e la differenza di densita tra lambiente
e la bolla di convezione. Assumendo un gas perfetto (trascurando quindi variazioni del grado di
ionizzazione) / = T /T , dove per ogni tragitto parziale x (0 x l)T = [(dT /dr)ad
(dT /dr)amb ]x. Applicando il teorema delle forze vive (lavoro = variazione di energia cinetica) si
ottiene cosi al termine del tragitto
Z l Z l
1 /T
mv 2 = gV dx = gV xdx
2 0 0
T
da cui
24
Fig. 2.11. Andamento della temperatura in funzione della pressione per il modello di figura 2.10
per due diverse assunzioni sulla lunghezza di rimescolamento. Allaumentare di l aumenta lefficienza
della convezione e diminuisce il gradiente di temperatura. In ogni caso le diverse soluzioni convergono
verso una comune soluzione interna.
l
v(l)2 l2
Z
1 dT dT g dT dT
' g [( )ad ( )amb ] xdx = [( )ad ( )amb ]
2 T dr dr 0
T dr dr 2
Introducendo come valori medi lungo la traiettoria v = v(l)/2 e T (l) = T /2, osservando che
per lequilibrio idrostatico si ha che
dT dT dP dT
= = g
dr dP dr dP
si ricava infine
H
v = gl[ ( ad )]1/2
8kT
che unita alla precedente relazione per il gradiente ambientale fornisce un sistema di equazioni
che, per ogni assunto valore della mixing length consentono la determinazione di v e amb .
Questultimo, in particolare, fornisce il valore del gradiente di temperatura locale in presenza di
convezione e, in quanto tale, viene sovente indicato come conv
Non puo sfuggire lestrema semplificazione del modello adottato, ove -ad esempio - viene trascu-
rata la viscosita del mezzo e vengono trascurati gli scambi di energia lungo il tragitto degli elementi
di convezione. Ancor piu pesante e lassunzione di una convezione per bolle a fronte dellevidenza
osservativa (nel Sole) di una convezione per colonne, e quindi non locale. La teoria della mixing
length e nondimeno utilizzata come un formalismo che conduce ad una ragionevole correlazione
tra le varie quantita fisiche in gioco, fornendo relazioni che finiscono col dipendere dal parametro
l che, di fatto, viene a regolare lefficienza del trasporto convettivo. In tal senso l viene riguardato
come un parametro libero il cui valore va determinato non tanto con ulteriori valutazioni teoriche,
quanto sulla base di un riscontro dei risultati ai risultati osservativo sperimentali. In questo quadro
la versione semplificata della teoria, qui presentata come proposta da Demarque e Geisler, e non
meno valida della piu sofisticata versione originalmente proposta da Erika Bohm-Vitense, nella quale
veniva ulteriormente elaborato il problema del tragitto non-adiabatico dellelemento di convezione.
Nella pratica dei calcoli evolutivi e invalso luso di assumere una mixing length proporzionale
allaltezza di scala di pressione, HP
l = HP
dove HP = dlogP/dr = (1/P )dP/dr e e scelto tra 0.5 e 2 in base alla considerazione che
difficilmente un elemento di convezione puo conservare la propria individualita per tragitti molto
25
superiori a quello per cui la pressione si riduce di un e-mo. In analogia con la precedente formu-
lazione, la mixing length puo essere anche riferita a laltezza di scala di temperatura o a quella di
densita. Questultima in particolare ha in passato goduto di una certa popolarita, perche elimina le
inversioni di pressione che talora si manifestano con luso HP .
Le Figure 2.9 e 2.10 riportano a titolo di esempio landamento dei vari gradienti nelle zone
subatmosferiche di stelle di sequenza principale di varia massa. Al diminuire della massa stellare
aumenta la densita degli strati subatmosferici, aumenta quindi la capacita termica della materie e,
come mostrato nelle figure, il gradiente convettivo tende sempre piu verso il gradiente adiabatico.
E importante notare come lincertezza sullefficienza della convezione superadiabatica si
trasferisca in genere in un incertezza sui raggi stellari, ma non sulle rispettive luminosita. In partico-
lare si puo mostrare che per inviluppi convettivi non troppo profondi le soluzioni per diversi valori di
l finiscono per convergere ad un unica soluzione interna (Fig. 2.11), Si puo calibrare richiedendo,
ad esempio, che un modello solare riproduca il raggio (e la temperatura efficace) osservato. Si ricava
cosi l ' 1.8. Nulla assicura peraltro che una tale calibrazione possa essere estesa a stelle con diversa
massa e/o diversa composizione chimica. Ed in effetti giganti rosse di Pop.II richiedono diversi .
Notiamo infine come la teoria della mixing length, nei limiti in cui si accettino le predizioni
sulla velocita, possa fornire anche indicazioni sulla consistenza dellovershooting. Il tragitto degli
elementi nella zona radiativa e infatti ricavabile dallapplicazione del teorema delle forze vive alle
forze di frenamento che in tale zona si vengono a creare.
dP g
=
d
regola landamento della pressione totale P = Pg + Pr . Si ha dunque
dPg g dPr
=
d d
Ma ( A2.2)
dPr Te4
= =
d c c
26
dPg 1
= (g gr ) = gef f /
d
dove gef f = g gr assume il ruolo di gravita efficace.
Nella pratica dei calcoli, lintegrazione non puo partire da = 0, ove lequazione presenta
una singolarita, implicando Pg = 0 e = 0. Per ogni assunto Te le condizioni iniziali vengono
imposte tramite uniterazione che conduce ad una tripletta di valori Pg , T e tra loro compatibili.
Assumendo un valore piccolo ma finito di Pg , si adotta inizialmente T = T ( = 0) e, ricavando
dalla coppia Pg e T un valore di , si ricava quindi da
P/ = gef f /(, T )
Adottando tale si ottiene una nuova temperatura e quindi un nuovo , un nuovo e, infine,
un nuovo . Il processo viene iterato sino ad ottenere la convergenza.
se ne conclude anche che, in assenza di errori formali nella stesura delle equazioni dellequilibrio,
i risultati dellintegrazione di un modello non dipendono dal particolare codice utilizzato ma solo
dalla bonta delle relazioni e/o assunzioni fisiche dal modello stesso utilizzate.
28
P = P (, T )
= (, T )
= (, T )
In tutti e tre i casi e altresi da assumersi, anche se non esplicitata, la dipendenza dalla
composizione chimica della materia. Le tre funzioni dovranno evidentemente coprire tutto il
campo di valori di e T che ci attendiamo nelle strutture stellari. Stante la complessita delle
relative valutazioni, equazione di stato e opacita vengono in genere fornite al programma
evolutivo sotto forma di acconce tabulazioni che riassuono i risultati dei calcoli. In questo
capitolo esamineremo nellordine le tre relazioni, al fine di identificare lintervento dei vari
possibili meccanismi fisici, delineando le generali vie di approccio a tale problematica.
P = Pi + Pe + Pr
con ovvio significato dei simboli. Si assume in cio trascurabile il contributo di moti
collettivi (convezione, turbolenza), la cui quantita di moto puo peraltro giocare un ruolo
non trascurabile nel caso delle atmosfere stellari.
3.2.1 Il gas perfetto
Per cio che riguarda la componente particellare (ioni ed elettroni), in molti casi la materia
stellare si comporta con buona od ottima approssimazione come un gas perfetto. Ricordiamo
che per un gas perfetto di particelle libere e tra loro non interagenti, vale lequazione di stato
1
2
P = nkT
P = Pi + Pe = (ni + ne )kT
Tale relazione puo essere facilmente portata nelle due variabili , T (proprie delle
equazioni di equilibrio), osservando che per un gas composto da particelle di massa m
si ha n = /m. Poiche nel gas stellare la massa e essenzialmente quella degli ioni, potremo
coa porre
k
Pi = i H T
e, in totale
k k k
Pgas = i H T + e H T = H T
Trascurando Xi /Ai (Xi << 1, Ai 12) ed osservando che Zi /Ai 1/2 (cio e esatto
per C, N, O, Ne che sono tra i maggiori contributori a Z) si ottiene infine
3Y Z
n ' (2X + + )
4 2 H
da cui per il peso molecolare medio (/H = n)
1
= 3Y Z
(2X + 4 + 2)
kT >> Z 2 e2 /d = ECoul
Ni (= /H) 1/d3
Z 2 e2 1
T /1/3 >>
k (H)1/3
da cui
condizione in genere ben verificata nelle strutture stellari. Per temperature T 107 K
(combustione dellidrogeno, Z=1) si ottiene << 4.107 gr/cm3 , per T 108 (combustione
dellelio, Z=2) << 109 gr/cm3 , cioe valori di densita che superano ampiamente quanto
avremo occasione di verificare nella larga generalita delle strutture stellari. Le condizioni
per un sensibile intervento di correzioni coulombiane (alte densita, basse temperature) ap-
pariranno solamente nel caso di stelle di piccola massa o di nane bianche, per le quali sara
necessario introdurre nellequazione di stato opportuni termini di correzione coulombiana.
Quando ECoul kT il gas inizia a solidificare e per ECoul > kT gli ioni sono forzati in una
struttura solida sino a cristallizzare (Fig. 3.1).
E facile infine riconoscere che se sono trascurabili le interazioni ione-ione, lo sono an-
che quelle ione-elettrone ed elettrone-elettrone. Cio e immediato per Z=1, mentre per Z
maggiori la diminuzione del prodotto delle cariche interagenti prevale sulla contemporanea
diminuzione delle mutue distanze.
4
Fig. 3.1. Mappatura schematica delle condizioni del plasma stellare al variare dei parametri
temperatura-densita con schema delle traiettorie evolutive delle condizioni centrali di strutture
stellari .
mi vi2 = me ve2
= h/p << d
Ove cio non si verifichi, si manifestano effetti quantistici ed il gas di elettroni viene
definito quantisticamente degenere. E immediato riconoscere come queste condizioni sulla
densita siano piu stringenti di quelle per le interazioni coulombiane.In effetti la degenerazione
elettronica giochera un ruolo determinante in molte strutture stellari.
3.2.3 Equazione di stato del plasma stellare
Se alla pressione del gas aggiungiamo il contributo portato dalla radiazione, ove non
intervengano fenomeni di degenerazione elettronica e risultino trascurabili le interazioni
coulombiane, otteniamo lequazione di stato per il plasma stellare
5
Fig. 3.2. La linea del piano log T, log lungo la quale la pressione di degenerazione eguaglia
quella degli elettroni liberi. La linea a tratti segnala linstaurarsi di degenerazione relativistica.
k 1 1 a
P = T ( + ) + T 4
H i e 3
Gli effetti della degenerazione elettronica sono di rendere il gas di elettroni piu incom-
primibile di un gas perfetto. Gli elettroni sono infatti fermioni (cioe particelle a spin sem-
intero) per i quali vale il Principio di esclusione di Pauli per il quale non piu di due elettroni
possono occupare un identico stato energetico. Ne segue, ad esempio, che nel limite T 0 un
gas di elettroni possiede energia e quantita di moto, questultima implicando una pressione
non prevista dalla trattazione classica.
Si puo porre
Pe = Pe + Pe,d
ove con Pe ePe,d si indicano rispettivamente la pressione di un gas perfetto di elettroni e il
contributo della digenerazione. Pe,d puo essere calcolato sulla base del comportamento quan-
tistico di un gas di Fermi ( A3.2). La Figura 3.2 mostra lintervento della degenerazione
nel piano , T , riportando in particolare la linea di transizione lungo la quale Pe,d = Pe ,
come definita dalla relazione
Fig. 3.3. Assorbimento della radiazione al variare della lunghezza donda da parte di un atomo neu-
tro di Pb. Le varie discontinuita corrispondono allenergia di ionizzazione dellelettrone sullorbita
piu interna (K) e degli elettroni nella successiva shell L.
= i
I possibili meccanismi di interazione radiazione-materia sono riassumibli in quattro cat-
egorie:
Scattering eletronico: diffusione di fotoni da parte degli elettroni liberi presenti nel
plasma stellare. Alle energie stellari e in genere valida lapprossimazione di scattering
isotropo non relativistico (Scattering Thomson). Alle alte energie intervengono fenomeni
quantistico-relativistici (Scattering Compton).
Processi bound-bound (bb): assorbimento del fotone da parte di un elettrone legato
(bound) ad un nucleo con passaggio dellelettrone ad orbite ad energia superiore. Si tratta
dunque di processi di eccitazione.
Processi bound-free(bf): assorbimento del fotone da parte di un elettrone legato che
viene liberato (free=libero) e portato nel continuo, secondo un processo altrimenti noto come
Effetto Fotoelettrico o Fotoionizzazione.
Processi free-free (ff): assorbimento di un fotone libero ma nel campo di un nucleo.
Si puo facilmente verificare che lassorbimento di un fotone da parte di un elettrone libero
ed isolato resta proibito dalle leggi di conservazione di energia e quantita di moto. Il pro-
cesso diventa possibile in presenza di un terzo corpo (il nucleo) che partecipi al bilancio di
conservazione.
Gli ultimi tre processi implicano un assorbimento solo come atto iniziale: gli elettroni
assorbiti ritorneranno in equilibrio termico riemettendo energia sotto forma di radiazione
7
Fig. 3.4. Mappatura nel piano T, dellefficienza relativa dei vari meccanismi di opacita.
isotropa, ed il risultato netto di tali interazioni sara quindi di estrarre fotoni dal flusso di
radiazione uscente.
La valutazione dettagliata delle probabilita di interazione per gli eventi bb e bf e cer-
tamente tra le piu onerose procedure affrontate dal calcolo astrofisico. Tale calcolo richiede
preventivamente una dettagliata conoscenza non solo del grado di ionizzazione ma anche
della distribuzione degli elettroni nei vari livelli (gradi di eccittazione), la valutazione delle
probabilita di interazione per le varie frequenze della radiazione e infine lesecuzione di
unopporuna media (media di Rosseland A3.4) sullo spettro della radiazione. Cio implica
in generale la considerazione di milioni di righe di assorbimento dovute agli atomi nei vari
stati di ionizzazione. Il calcolo diventa ancor piu oneroso alle basse temperatura a causa del
contributo degli spettri rotazionali delle molecole presenti.
Nel secondo dopoguerra un vasto programma di ricerca sullopacita fu iniziato per motivi
strategici dai laboratori di Los Alamos. Sulla base di tale lavoro, ripreso e perfezionato
in altre istituzioni, oggi sono disponibli tabulazioni di opacita radiativa per varie miscele
di elementi in funzione dei parametri di stato e T . Nel calcolo di strutture stellari tali
tabulazioni sono ormai duso generale, sostituendo antiche approssimazioni analitiche. E
peraltro opportuno discutere con qualche dettaglio lefficienza dei vari meccanismi di opacita
al fine di ricavare indicazioni generali sul loro intervento nel calcolo delle strutture stellari.
Per cio che riguarda lo scattering Thomson, anche classicamente ( A3.3) si trova che
la probabilta di interazione tra la radiazione e una particella di carica e e massa m e data
da
8 e2 2 8 2
T = ( ) = r
3 mc2 3 0
dove r0 = 2.82 1013 cm e il raggio classico della particella, cioe il raggio attribuibile
alla particella se tutta la sua massa fosse di origine elettromagnetica. Poiche tale probabilita
va come 1/m2 e subito visto che i nuclei danno un contributo allo scattering trascurabile
rispetto a quello degli elettroni.
Ricordando che lopacita corrisponde alla probabilta di interazione per unita di superficie
e per unita di percorso risulta quindi
ne
T = T
8
Fig. 3.5. Andamento dellopacita radiativa al variare della temperatura per assunti valori della
densita.
Fig. 3.6. Lintervento della degenerazione elettronica induce un crollo dellopacita totale T alle
alte densita.
T 0.2(1 + X)
che mostra come lopacita per scattering Thomson non dipenda dalla densita ma solo
dallabbondanza in massa di idrogeno. Notiamo infine che in presenza di degenerazione
elettronica la probabilita dinterazione tendera a diminuire, per divenire proibiti tutti quegli
scattering che porterebbero gli elettroni in stati gia occupati. Ad alte energie, in regime di
scattering Compton (h me c2 ), occorrera inoltre tener conto che lo scattering non e piu
isotropo ed i fotoni tendono ad essere preferenzialmente scatterati in avanti.
Ove siano presenti elettroni legati (materia non completamente ionizzata) i processi bb e
bf dominano sullo scattering Thomson. Di qui la grande importanza degli elementi pesanti
nel determinare lopacita della materia stellare, nonostante la loro relativamente scarsa ab-
bondanza, con contributi determinanti in regioni dove ormai H e He sono completamente
ionizzati. Per i processi bf (effetto fotoelettrico) notiamo in particolare che ad ogni stato
legato dellelettrone corrisponde una ben precisa energia di estrazione (ionizzazione)Wi . Per
ogni possibile ionizzazione esiste quindi per i fotoni una energia di soglia h = Wi al di sotto
della quale il processo e proibito. Come conseguenza lopacita presenta un caratteristico
andamento con picchi corrispondenti alle varie ionizzazioni (Fig. 3.3).
9
Linterazione free-free puo infine essere riguardata come il processo inverso della ben nota
radiazione di frenamento (Braemstrahlung) dove un elettrone emette un fotone nel campo
di un nucleo. Il principo del bilancio dettagliato assicura che in condizioni di equilibrio
termodinamico le velocita di reazione diretta ed inversa devono essere eguali. Si trova cosi
Z 3 7/2
f f Z 2 ne ni T 7/2 T
A2
che con il termine Z 3 mostra ancora una critica dipendenza dalla presenza di elementi
pesanti.
A fianco dei meccanismi bb, bf e ff occorre anche tener conto dei fenomeni di emissione
stimolata che, aggiungendo fotoni al flusso, diminuiscono in pratica le singole opacita di un
fattore 1 eh/kT (Coefficienti di Einstein). In totale per ogni frequenza si avra
= g + N
.
3.4.1 Il bilancio termico della materia
Al primo meccanismo corrisponde il calore assorbito o prodotto a causa delle trasfor-
mazioni termodinamiche subite dalla materia stellare. Di norma indicato, ma impropria-
mente, come produzione di energia gravitazionale, in esso deve essere compreso non solo il
lavoro delle forze di pressione ma anche le variazioni di energia interna del plasma stellare. Il
bilancio termico per grammo di materia e immediatamente fornito dal primo principio della
termodinamica che con formulazione intensiva puo essere scritto
dQ = dU + pd(1/)
dove U rappresenta lenergia interna per grammo di materia e 1/ e il volume corrispon-
dente. Introducendo lentropia per grammo di materia S si ricava
10
Fig. 3.7. Lenergia di massa per nucleone al variare del numero di nucleoni (numero atomico) in
nuclidi stabili.
dQ dS dS dP dS dT
g = = T = T [( )T + ( )P ] = EP P CP T
dt dt dP dt dT dt
I coefficienti EP e CP delle derivate temporali sono facilmente ricavabili nel caso di
una miscela di gas perfetto e radiazione ( A2.4). Nel caso generale essi vengono calcolati
assieme allequazione di stato e forniti anchessi sotto forma tabulare. Si noti come la presenza
delle derivate temporali implichi che laddove g non sia nullo lintegrazione di una struttura
stellare richiede precise informazioni sulla passata storia temporale di P e T lungo tutta la
struttura della stella.
p + p D + e+ + e
troviamo lenergia rilasciata sotto forma di energia cinetica dei prodotti di reazione e
nella produzione dellelettrone positivo. Questultima particella e destinata ad annichilarsi
con un elettrone negativo
e+ + e 2
11
cosi che la produzione del positrone corrisponde, come bilancio netto energetico, alla
produzione di due di energia complessiva pari allenergia delle masse a riposo degli elettroni
annichilati (2me c2 ) piu lenergia cinetica delle due particelle.
Il ed il deutone D vengono rapidamente termalizzati, cedendo cos la loro energia alla
struttura. Questo non avviene per il neutrino elettronico e , particella debole il cui cammino
libero medio e ben superiore alle dimensioni stellari. Lenergia Q acquisita dalla struttura
e quindi fornita dal Q della reazione meno lenergia (media) portata dal neutrino. Ove sia
noto il numero N di reazioni nucleari che avvengono per unita di tempo e di volume, il
coefficiente di energia nucleare sara fornito, per ogni prefissata reazione, dalla relazione
N
N = Q erg gr1 sec1
3.4.3 Termoneutrini
Ad alte temperature e densita, a fianco della produzione di neutrini nelle reazioni nucleari
divengono efficienti meccanismi di produzione di neutrini direttamente a spese del contenuto
termico del plasma stellare, cui nel seguito daremo il nome di termoneutrini. La teoria delle
interazioni deboli fornisce il quadro di tali interazioni quali provengono anche dalla provata
esistenza di correnti neutre:
Fig. 3.8. Regioni del piano , T di predominio dei diversi processi di produzione di termoneutrini.
E mostrata, a tratti, la linea lungo la quale lEnergia di Fermi (Ef ) eguaglia lenergia termica, che
delimita la regione di degenerazione elettronica.
simile come risultato ma sostanzialmente diverso dallo scattering coulombiano nel quale non
sussite interazione nucleare e formazione del nucleo composto. Si noti che i possibili canali
di decadimento del nucleo composto possono dipendere anchessi dallenergia: ad esempio
solo fornendo al nucleo composto energie superiori allenergia di legame dei nucleoni sara
possibile che il nucleo si frammenti nei suoi singoli componenti (evaporazione del nucleo).
In un generico processo di collisione nucleari tra due particelle i e j, il numero np di eventi
che, per unita di volume e per unita di tempo, conducono ad un prodotto finale p viene
correlato alla densita delle particelle interagenti ed alla loro mutua velocita V attraverso una
relazione che e definizione della sezione durto p
np = Ni Nj p (V )V
dove Ni e Nj indicano rispettivamente il numero di particelle interagenti per unita di
volume. E facile verificare come tale relazione rappresenta lestensione formale di quanto
banalmente ricavabile nel caso di particelle assimilabili a sferette. Essendo Ni Nj il numero
di possibili coppie di particelle per unita di volume, p (V )V si configura come la probabilita
per coppia di particella che avvenga il processo p.
Nel caso di particelle di varia velocita e immediata lestensione della relazione precedente
alla piu generale relazione
dnp = Ni Nj (V )p (V )V dV
dove Ni Nj (V )dV rappresenta il numero di coppie di particelle che hanno tra loro mutua
velocita tra V e V+dV, e dnp e il contributo di tali particelle al processo in esame.
Nel caso di reazione di fusione particelle cariche, che e quello che piu direttamente ci
interessa, la probabilita di reazione puo essere ulteriormente esplicitata entrando nel merito
dei meccanismi fisici ad esso inerenti. Ricordando che si ha formazione di nucleo composto
quando le particelle giungono alle distanze dellinterazione forte, una reazione nucleare puo
essere pensata procedere in due successivi e distinti passi
1) Le particelle giungono a interagire forte, superando la repulsione coulombiana,
2) Il nucleo composto cos formatosi decade nel canale prescelto.
Essendo questi due accadimenti tra loro indipendenti, la probabilita P di reazione sara
data dal prodotto delle due rispettive probabilita
P = (V )V = PC PN
ove con PC e PN indichiamo rispettivamente la probabilita (coulombiana) di formazione
del nucleo composto e la probabilita (nucleare) di decadimento del nucleo composto nel
canale prescelto.
In tale scenario, le regole della fisica ci consentono di valutare PC . Al proposito e da con-
siderare che alle temperature tipiche degli interni stellari lenergia delle particelle interagenti
e in ogni caso inferiore allaltezza della barriera coulombiana ( 3.9). In altre parole le reazioni
nucleari sono classicamente proibite. In simili condizioni e peraltro noto che la meccanica
ondulatoria predice che la barriera di potenziale non rappresenta un confine rigido per la
presenza di particelle: la funzione donda si attenua allinterno della barriera, ma esiste un
probabilita, piccola ma finita, che una particella superi la zona classicamente proibita per
giungere ad interagire nuclearmente (effetto tunnel).
Tale probabilita risulta in particolare proporzionale al fattore di penetrazione di Gamow
1 2Zi Zj e2
PC 1/2
exp( )
E hV
14
Fig. 3.9. Una particella che a grande distanza da un nucleo bersaglio possegga una energia cinetica
E non puo classicamente oltrepassare la distanza Rc , alla quale tutta lenergia cinetica iniziale si
e trasformata in energia potenziale nel campo elettrico. Grazie alleffetto tunnel quantistico una
frazione di particelle riesce invece a raggiungere la distanza rn alla quale intervengono le interazioni
nucleari
2 V 2 3/2 V 2
N (V ) = Ni Nj ( )1/2 e 2kT = Ni Nj n(V )
kT 3/2
dove = Ai Aj /(Ai + Aj ) e la massa ridotta tipica dei problemi dei due corpi.
Il numero di reazioni per unita di volume ed unita di tempo sara in definitiva fornito da
Z Z
n= N (V )PC PN dV = Ni Nj n(V )PC PN dV
0 0
Fig. 3.10. Andamento schematico delle due funzioni, lintegrale del cui prodotto regola la velocita
delle reazioni nucleari. La curva a tratti mostra landamento del prodotto, che raggiunge un massimo
allenergia di Gamow EG
e lenergia del suo massimo viene indicato come energia di Gamow. Si noti come al crescere
di Zi Zj la probabilita coulombiana si sposti a maggiori energie: al fine di fornire un anal-
ogo contributo energetico la maxwelliana si dovra anchessa spostare verso maggiori energie,
richiedendo cioe maggiori temperature.
Nella usuale notazione astrofisica si usa porre
Ni Nj
n= < V >
1 + ij
ove < V > rappresenta lintegrale sulle velocita ed il fattore 1+ij (ij =0 per i=j, =1 per
i=j) viene introdotto per generalizzare la formula al caso di particelle identiche per il quale
il numero di coppie risulta Ni2 /2. Il valore di < V > viene fornito, per ogni reazione, come
funzione della temperatura in base a valutazioni teoriche e sperimentali sullandamento delle
sezioni durto nucleari. La sperimentazione e alle energie di interesse astrofisico e peraltro
resa difficoltosa dalla bassa efficienza delle reazioni e quindi dal basso numero di eventi attesi
dai limitati campioni di materia gestibili in un laboratorio. Tali esperienze vengono quindi
realizzate tipicamente in laboratori sotterranei, quali i Laboratori Nazionali del Gran Sasso
dellINFN, per quanto possibile schermati dal fondo di segnali prodotto dalla radiazione
cosmica.
Aggiungiamo che nelle valutazioni complessive occorrera infine tener anche conto della
presenza nel plasma stellare di elettroni liberi la cui carica elettrica negativa tende a scher-
mare i campi elettromagnetici dei nuclei, favorendo le reazioni nucleari (electron screening).
16
Approfondimenti
gk eEk /kT
nk =
G
dove
G = g0 + g1 eE1 /kT + g2 eE2 /kT + .....
prende il nome di funzione di partizione dello ione. Formule analoghe varranno per ogni specie
atomica e per ogni grado di ionizzazione.
Un qualunque ione isolato ha peraltro infiniti livelli eccitati, e la funzione di partizione diverge.
Nel caso reale gli elettroni liberi si trovano nel campo di ioni ed elettroni. Lenergia di elettrone
libero nel plasma stellare diminuisce allora di un fattore e2 /RD ove RD e il cosiddetto raggio di
Debyee con esso diminuisce lenergia di ionizzazione. A causa di tale abbassamento del continuo il
numero di livelli diventa finito e viene evitata la divergenza delle funzioni di partizione.
Analoghe considerazioni possono essere applicate ai processi di ionizzazione. Dal bilancio ener-
getico del prodesso di ionizzazione di uno ione Ar r volte ionizzato
Ar Ar+1 + e
si puo ricavare (equazione di Saha)
Fig. 3.11. Schema del meccanismo di ionizzazione per pressione. Atomi sufficientemente distanti
si comportano come buche di potenziale isolate (1) che ammettono tutta una serie di livelli legati
per gli elettroni. Avvicinandosi gli atomi (2) le buche di potenziale tendono a fondersi, abbassando
il livello del continuo e distruggendo gli stati legati a energia superiore.
1
N = 4p2 dpV = g(p)dpV
h3
dove g(p) rappresenta la densita degli stati. La distribuzione delle particelle in tali possibili
stati deve essere valutata con lulteriore avvertenza che la meccanica quantistica opera su particelle
indistinguibili, il che implica che non si devono considerare distinti due stati se due particelle si sono
solo scambiate di posto. Tale distribuzione dipende infine da proprieta globali delle particelle che,
in natura, appartengono ad una delle due classi:
Fermioni: particelle a spin (momento angolare intrinseco) semiintero, quali elettroni, protoni e
neutroni,
Bosoni: particelle a spin intero o nullo, quali fotoni, mesoni, nuclei di He3 .
Per le particelle a spin semiintero sussiste lulteriore condizione (principio di esclusione di Pauli)
secondo la quale uno stato non puo essere occupato da piu di una particella, da cui discende che non
piu di due elettroni (con spin opposto) possono occupare uno stato di moto, talche g(P ) = 8p2 /h3 .
Se ne trae la statistica di Fermi-Dirac, secondo la quale, detta n(p)dp la densita di elettroni tra p e
p + dp,
2
n(p)dp = 4p2 dpP (E)
h3
18
Fig. 3.13. Mappatura nel piano /e , T del valore del parametro di degenerazione = -
P (E) = 1/(e+E/kT + 1)
e dove, per ogni assunto valore della densita di elettroni ne e e della temperatura T , il valore di
resta determinato della condizione
Z
n(p)dp = ne
Poiche = ne e H, il valore di resta fissato per ogni coppia di valori T, /e (Fig. 3.12, 3.13).
Si noti come in ogni caso P (E) 1 come vuole il principio di esclusione di Pauli. Al crescere di
ne decresce , che da valori grandi e positivi (gas classico) raggiunge grandi valori negativi (gas
degenere). Nel caso di gas classico P (E) << 1 per tutte le energie. Nel caso completamente degenere
<< 0 e
cioe tutti gli stati sono occupati sino allenergia E = |kT |, che prende il nome di energia di
Fermi. In tale caso
Z
8 3
ne = n(p)dp = pmax
3h3
19
Fig. 3.14. Il rapporto 2/3 F3/2 /F3/2 , che rappresenta la correzione di degenerazione alla pressione
di gas perfetto, in funzione del parametro .
che mostra come al crescere di ne cresce lenergia massima raggiunta dagli elettroni. Tale ac-
cadimento e subito compreso osservando che in degenerazione completa tutti gli stati ad energia
minore sono occupati, e ove si spingano altri elettroni nellunita di volume essi devono andare ad
occupare stati ad alta energia. Si comprende anche come al crescere di ne si giunga infine a spingere
gli elettroni ad energie relativistiche anche a basse temperature.
Nel caso generale, ed in approssimazione non relativistica, si ha E = p2 /2me da cui
p2 dp
Z Z
8
ne = n(p)dp =
h3 0 e+p2 /2me kT +1
2
con la sostituzione x = p /2me kT si ottiene
x1/2 dx 8(2me kT )3/2
Z
4
ne = 3 (2me kT )3/2 +x
= F1/2 ()
h 0
e +1 h3
dove F1/2 (), come definito dalle precedenti relazioni, prende il nome di funzione 1/2 di
Fermi. Come gia ricavato per il caso del gas perfetto ( A2.1), la pressione elettronica discende dal
momento trasportato, da cui
8(2me kT )3/2
Z
1
Pe = pve n(p)dp = kT F3/2 ()
3 0
3h3
con analoga definizione della funzione di Fermi F3/2 . Per la pressione del gas si puo quindi porre
k 8(2me kT )3/2
P = Pi + Pe = T + kT F3/2 ()
H 3h3
Ricordando che ne = /e H si ottiene infine
k
P = Pi + Pe = T [1 + ()]
H e
dove () = 2/3(F3/2 /F1/2 . Per ogni coppia di valori , T e possibile ricavare il valore di e
per ogni ottenere P dalle correnti tabulazioni di F1/2 e F3/2 (Fig.3.14).
In letteratura e frequentemente utilizzato il parametro di degenerazione = . Si puo
mostrare che kT fornisce il potenziale termodinamico di Gibbs per elettrone. Per < 4 il
gas di elettroni ha un comportamento classico, 4 < < 4 rappresenta la zona di degenerazione
parziale, mentre per > 4 nel gas domina la pressione di degenerazione.
Notiamo infine che la presenza di degenerazione elettronica modifica anche il comportamento
termodinamico che abbiamo studiato nel caso di una miscela di gas perfetto e radiazione ( A2.1).
Utilizzando la stessa linea di ragionamento adottata in quella occasione, dovremo portare
20
P
T ds = dU d
2
nella forma
T dS = CP dT EP dP
ricordando pero che ora
= (, T )
P = Pe (, T ) + Pi (, T ) + Pr (T ) = P (, T )
Con una lunga serie di passaggi e sostituzioni e possibile ottenere d in funzione di
P, T, , , dP, dT , e utilizzando la formula di ricorrenza per le funzioni di Fermi
dFn ()
= nFn1 ()
d
si ottiene infine
P HP (4 3/2)2 15
CP = ( )
T kT L() 4
1 HP (4 3/2) 3
EP = ( )
kT L() 2
dove
1 2 F1/2 ()
L() = +
i e F1/2 (
e = PG /P = (Pi + Pe )/P essendo P, come di consueto, la pressione totale. Al limite di non
degenerazione ( ) L() tende a 1/i + 1/e e le relazioni precedenti si riconducono alle
corrispondenti formule per un gas non degenere.
Nel caso di completa degenerazione e facile ricavare direttamente le relazioni tra pressione e
densita. Nel caso non relativistico per la quantita di moto si ha p = me ve , da cui
pmax pmax
p2 8p2 8 p5max
Z Z
Pe = pve n(p)dp = 3
dp =
0 0
me h 15 me h3
e poiche
8 pm ax3
ne =
3 h3
ricordando che ne = /e H si ricava infine
3 2/3 h2
Pe = ( ) ( )5/3
8 5me H 5/3 e
.
Nel caso relativistico
me ve pc
p= da cui ve =
(1 ve2 /c2 )1/2 [(me c)2 + p2 ]1/2
dalla quale, con percorso analogo al caso precedente non relativistico
1 3 1/3 hc
Pe = ( ) ( )4/3
8 H 4/3 e
21
1 h
h = me v 2 = me V
2 c
che ammette solo la non-soluzione v = 2c. Un fotone pero puo essere deflesso scatterato e, nel
caso piu generale Effetto Compton, le leggi di conservazione:
h + me c2 = h0 + mc2
h/c = mv + h 0 /c
forniscono latteso valore di 0 per ogni angolo di deflessione. Al limite non relativistico di basse
energie leffetto Compton si riduce allo scattering Thomson, la cui efficienza puo essere calcolata
anche classicamente.
La forza agente su un elettrone a riposo in un campo di radiazione elettromagentica in cui il
campo elettrico e descritto dalla relazione
E = E0 sint
si avra F = eE = me a. Laccelerazione dellelettrone risulta quindi pari, istante per istante, a
Dalle leggi classiche dellelettromagnetismo e noto che una carica accelerata irradia una potenza
2 e2 a2 2 e4 E02 sin2 t
P = =
3 c 3 3 c3 m2e
Nel contempo, la potenza trasportata per unita di area dallonda incidente e data dal modulo
del vettore di Pynting
c c 2
S = | E H| = E0 sin2 t
4 4
Un elettrone diffonde quindi una frazione della potenza incidente
8 e2 2
T = P/S = ( )
3 me c2
In termini di fotoni T rappresenta quindi la probabilita che un fotone sia diffuso da un elettrone,
e ne T sara la probabilita che un fotone sia diffuso da ne elettroni nellunita di volume.
dP ()
= ()c()
dr
dove P ()d e ()d rappresentano il contributo alla pressione ed al flusso della radiazione
portato dai fotoni con frequenza compresa tra e + d. Indicando inoltre con E() la densita di
energia radiativa nello stesso intervallo di frequenza, si avra
E()
P () =
3
e sara possibile porre in relazione il flusso totale con la densita di energia tramite la relazione
22
Z Z
c 1 dE()
= ()d = d
0
3 0
() dr
Per il noto teorema della media potremo definire attraverso la relazione
Z Z
1 dE() 1 dE()
d = d
0
() dr 0
dr
dove prende il nome di media di Rosseland dellopacita, ricavando infine
c 1 dE
=
3 dr
in completa analogia a quanto ricavato nel caso grigio. Poiche in equilibrio termodinamico la
E() = B(, T ) per la media di Rosseland si avra
R 1 dE()
R 1 dB(,T )
R 1 dB(,T ) dT
R 1 dB(,T )
1 0 () dr
d 0 () dr
d 0 () dT dr
d 0 () dT
d
= R dE() = R dB(,T ) = R dB(,T ) dT = R dB(,T )
d d d d
0 dr 0 dr 0 dT dr 0 dT
23
MH
G kT
R
4 3
Collegando la massa alla densita media della nube, M = 3 R , si ottiene una utile
relazione tra M, T e
M 2 3 k 3
3
( )
T 4 GH
che mostra come per ogni prefissata coppia di valori e T della nube protostellare esista
una massa minima in grado di contrarre (Massa di Jeans). Se per una tipica nube interstellare
assumiamo una temperatura T 100K ed una densita di 20 atomi cm3 si trova una
massa minima di circa un migliaio di masse solari, dellordine quindi di quella osservata per
gli ammassi stellari di disco.
1
2
Cio suggerisce un semplice schema che giustifica, sia pur qualitativamente, la formazione
di tali ammassi e, piu in generale, lesistenza di ammassi stellari. Una nube che abbia rag-
giunto la massa critica, o per fluttuazioni di densita o per raffreddamento, inizia infatti a
collassare perche la forza gravitazionale prevale sullagitazione termica. A bassa temperatura
il gas e non ionizzato e trasparente alla radiazione, lenergia acquistata nella contrazione
viene irradiata nello spazio ed il collasso procede quasi isotermicamente. Aumenta peraltro
la densita e diminuisce quindi la massa critica di Jeans, rendendo possibile ulteriori frag-
mentazioni in scala gerarchica. Tali fragmentazioni terminano quando, al procedere della
contrazione, la radiazione tende sempre piu a restare intrappolata nel gas e la temperatura
del gas stesso inizia ad aumentare. Dallultima generazione di fragmentazioni nasceranno le
stelle dellammasso.
La formazione delle strutture stellari e peraltro processo estremamente complesso che
coinvolge il trattamento idrodinamico del gas in contrazione, non escluso lintervento di
campi magnetici, e che esula dai limiti della presente trattazione. E nondimeno istruttivo
utilizzare ancora la relazione precedente per valutare la densita minima corrispondente a
masse di Jeans dellordine delle comuni strutture stellari. Si ricava infatti facilmente che per
linstabilita gravitazionale deve essere
4 1044 T 3 /M 2
Ponendo come limite inferiore delle possibili temperature il valore della radiazione di
fondo (T 3K), per M = 1M si ottiene cos ad esempio 1018 grcm3 , corrispondente
a circa 106 atomi di idrogeno per centimetro cubo.
d2 I
2T + =
dt2
dove T =energia cinetica totale = i 21 mi vi2 estesa a tutte le particelle del sistema, =
energia (negativa) di legame gravitazionale ( = 0 per r ) e I e il momento di inerzia
del sistema.
Le fasi iniziali del processo di formazione stellare sono sotto il controllo dei tempi scala
meccanici del collasso gravitazionale ed il sistema e ben lontano dalle condizioni di quasi
stazionarieta ( quasi equilibrio che abbiamo definito essere caratteristiche di una struttura
stellare. Al progredire della contrazione linnalzamento della temperatura finisce con il fa-
vorire fenomeni di ionizzazione, cresce lopacita radiativa, lenergia guadagnata nella con-
trazione viene ceduta al gas, innalzandone temperatura e pressione, ed i tempi scala passano
da tempi scala meccanici a tempi scala termodinamici. Le strutture raggiungono cos con-
dizioni di quasi equilibrio, d2 I/dt2 0 e le strutture stesse restano sotto il controllo del
viriale nella forma
2T + = 0
Da questo momento potremo dire di essere in presenza di una struttura stellare, struttura
che rimarra sotto il controllo del viriale sinche non si giunga ad una eventuale fase finale
esplosiva. Si noti che lalta opacita della materia nelle fasi iniziali, inibendo il trasporto
radiativo, tende a indurre estesi moti convettivi, talche si ritiene in genere lecito assumere
strutture iniziali totalmente convettive e, di conseguenza, chimicamente omogenee.
3
E utile notare che la precedente espressione del viriale non rappresenta qualcosa di mis-
terioso o magico ma, al contrario, fornisce in forma quantitativa una ovvia condizione di
equilibrio per le strutture. Lequilibrio tra le forze di gravita e quelle di pressione richiede
infatti che allaumentare della gravita (al decrescere di ) aumenti la temperatura per au-
mentare la pressione. E facile ricavare dal viriale anche le linee generali di evoluzione di
un sistema autogravitante. A causa dellirraggamento dalla superficie (e talora anche per
emissione di neutrini) il sistema perde infatti continuamente energia. Se tale perdita non e
bilanciata da una qualche sorgente interna di energia (quali le razioni nucleari) temperatura
tenderebbe a decrescere. Se la pressione e controllata dalla temperatura, la stella deve al-
lora contrarre su tempi scala termodinamici (o di Kelvin-Helmotz. Il viriale ci dice che per
rimanere in equilibrio deve risultare
dT = d/2
cioe meta dellenergia guadagnata nella contrazione deve andare ad innalzare il contenuto
termico della struttura, mentre laltra meta supplisce alle perdite per radiazione. La perdita
di energia quindi finisce col produrre un innalzamento della temperatura e, in questi senso,
una struttura autogravitante puo essere riguardata come un sistema termodinamico a calore
specifico negativo.
Ma quello che qu piu interessa e che tale relazione mostra come la storia di una stella
sia la storia di una progressiva contrazione di una sfera di gas autogravitante e del con-
temporaneo continuo innalzamento del contenuto termico della struttura. In tal senso una
qualunque stella altro non e che una macchina naturale per innalzare la temperatura di un
agglomerato di particelle. Se le particelle che compongono il gas stellare fossero puntiformi
e non interagenti, la contrazione non avrebbe termine, ne avrebbe termine il continuo in-
nalzamento delle pressioni e delle temperature. Ma le particelle sono atomi, composti da
un nucleo centrale circondato dagli elettroni periferici, e nel corso della contrazione possono
intervenire due possibili tipi di fenomeni, a seconda dei valori di temperatura-densita che
vengono raggiunti:
i) gli elettroni degenerano, cos che la pressione non dipende piu dalla temperatura. La
contrazione e arrestata dalla pressione degli elettroni degeneri,
ii) vengono raggiunte temperature alle quali diventano efficienti le reazioni nucleari.
lequilibrio idrostatico, e la stella deve quindi contrarre, ora pero su tempi scala nucle-
ari. Laumento di temperatura guidato da tale contrazione dovra anche essere in grado di
mantenere la produzione di energia ai livelli necessari a fronte del progressivo consumo del
combustibile nucleare disponibile. Si noti che da quanto sinora indicato si ricava che lenergia
irraggiata da una stella NON e determinata dallefficienza delle reazioni nucleari, essendo
invece vero il viceversa: lefficienza delle reazioni e regolata dalla necessita di bilanciare il
preesistente fabbisogno energetico della struttura. E questa una evidenza che sara necessario
tener presente nel seguito per comprendere alcune caratteristiche dellevoluzione stellare.
La storia di una stella e quindi la storia di una continua contrazione, di volta in volta
rallentata dallinnesco di reazioni nucleari, con una continua alternanza di tempi scala ter-
modinamici e nucleari. Ricordando come la temperatura di efficienza delle reazioni nucleari
sia regolata dalla repulsione coulombiana, e facile prevedere che, al passare del tempo ed
allaumentare della temperatura, nelle regioni centrali di una stella iniziera prima la com-
bustione dellidrogeno, seguita -in successione a partire dallelio- dalla combustione degli
elementi piu pesanti prodotti delle precedenti combustioni. Tale alternanza si interrompe
definitivamente se la degenerazione elettronica interviene a bloccare la contrazione. Ove cio
non avvenga (stelle massive) dobbiamo prevedere che una struttura stellare quasi statica
giunga fatalmente al suo termine quando nelle zone centrali si sia formato un nucleo di ferro
giunto al limite della fusione nucleare ( 5 109 K). Come piu volte indicato tale fusione e en-
dotermica, e ne consegue un processo di contrazione reazionato positivamente che riportera
la struttura su tempi scala meccanici, ponendo fine allevoluzione stellare con la possibile
distruzione e dispersione di parte della struttura.
Linnesco della reazione endotermica induce infatti un assorbimento di energia che ac-
celera la contrazione, che a sua volta incrementa la temperatura centrale e lefficienza della
reazione stessa. Ci si attende come risultato un collasso della struttura. Pur senza entrare qui
nel merito dei meccanismi fisici che regolano e controllano tale collasso, ricordiamo che ci si
attende nel nucleo stellare una intensa produzione di neutroni e neutrini e, contemporanea-
mente, un subitaneo innalzamento della temperatura che riattiva reazioni nucleari in gran
parte della struttura (nucleosintesi esplosiva). E in questa fase che puo venire eiettata nello
spazio una consistente frazione della struttura medesima, iniettando nel gas interstellare gli
elementi sintetizzati nellintero corso dellevoluzione nucleare della struttura.
i) Reazioni che per labbondanza del combustibie ed il valore della sezione durto pre-
dominano nettamente e dalle sole quali dipende la produzione di energia
ii) Reazioni che pur non contribuendo apprezzabilmente alla produzione di energia
possono lentamente sintetizzare prodotti di reazione di particolare rilevanza nel quadro
dellevoluzione della composizione nucleare della materia stellare.
Sulla base delle considerazioni sin qui svolte appare evidente che al progressivo crescere
della temperatura debbano per prime divenire efficienti le reazioni nucleari cui corrisponde
la minor repulsione coulombiana, cioe quelle tra due protoni. Cio, in linea di principio, e
certamente vero, ma e anche vero che i protoni, giunti a reagire nuclearmente decadono con
5
Fig. 4.1. Le reazioni della catena protone-protone, con sottolibeate le reazioni primarie.
grandissima probabilita nuovamente in due protoni (scattering nucleare) e solo una piccol-
issima frazione dei nuclei composti decade lungo il canale di fusione, in grado di produrre
energia
p + p D + e+ +
fortemente inibito dal necessario intervento delle interazioni deboli. Per tale motivo, attorno
ai 106 K le prime fusioni a diventare efficienti sono le combustioni degli elementi leggeri D, Li,
Be e B con protoni. Ci si attende peraltro che labbondanza di tali elementi nel gas stellare
sia molto piccola, e corrispondentemente piccolo e il contributo delle fusioni allenergetica
della struttura. Leffetto principale, oltre alla distruzione degli elementi stessi, consistera
in un momentaneo rallentamento della contrazione gravitazionale ed in una trascurabile
produzione di 3 He e 4 He, secondo canali di combustione che ritroveremo discutendo qui di
seguito la combustione dellidrogeno.
Solo quando la temperatura raggiunge, orientativamente, i 5 6 106 K il numero di
reazioni nucleari pp e aumentato al punto da rendere efficiente anche il canale di fusione di
due protoni in un nucleo di deuterio D, secondo la reazione gia in precedenza indicata. Il
deuterio prodotto e peraltro in grado di reagire nuclearmente con un altro protone,
D + p 3 He +
cui segue tutta una catena di reazioni impostata sui vari prodotti di combustione che converra
esaminare in qualche dettaglio. Alle minori temperature l3 He prodotto tende ad accumularsi
come prodotto di reazione. Solo attorno a 8106 K diviene efficiente la reazione di combustione
3
He +3 He 4 He + 2p
mentre attorno ai 15 milioni di gradi diviene efficiente anche la reazione concorrente
3
He +4 He 7 Be +
di fusione di 3 He con i nuclei di 4 He certamente presenti nel gas stellare almeno come
conseguenza della nucleosintesi cosmologica. Si noti come le due ultime reazioni esaminate
6
Fig. 4.2. Efficienza relativa delle catene di combustione pp al variare della tempeatura (in milioni
di gradi).
contemplino di fatto la fusione di due nuclei di elio, mentre resta peraltro inibita la reazione
debole 3 He + p 4 He + e+ + .
Esperienze di laboratorio indicano che il 7 Be e nucleo instabile per cattura K, cioe per
cattura di un elettrone dellorbita piu interna, con tempo di dimezzamento di 57 giorni.
Tale processo non puo peraltro essere efficiente nelle stelle, perche alle temperature in esame
ci si attende che il 7 Be sia completamente ionizzato. In tali condizioni il nucleo puo pero
catturare un elettrone del plasma stellare, iniziando una catena di reazioni che conduce infine
alla formazione di due nuclei di 4 He. Si noti come tale reazione non risulti governata dalla
repulsione coulombiana.
E invece regolata dalla repulsione coulombiana lalternativa cattura di un protone per
formare 8 B e, attraverso una serie di decadimenti, 8 Be e infine 24 He. Lefficienza di questa
reazione aumenta quindi al crescere della temperatura, e a circa 2 107 K essa finisce col
prevalere sulla concorrente cattura elettronica. Di particolare rilevanza in questa catena di
reazioni i neutrini prodotti nel decadimento del 8 B, che a causa della grande energia furono
i primi ad essere rilevati nelle esperienze di rilevazione dei neutrini solari ( A5.5)
La Figura 4.1 riporta uno schema riassuntivo della catena di reazioni originate dalla
fusione di due protoni, nota come catena pp. Come indicato nella figura, al variare della
temperatura sono possibili tre diverse sequenze di reazioni (ppI. ppII e ppIII) che conducono
in ogni caso al comune risultato di fondere 4 protoni in un nucleo di 4 He. La Figura 4.2
mostra lefficienza relativa di questi diversi canali al variare della temperatura. Ad evitare
equivoci ricordiamo che allaumentare della temperatura aumenta lefficienza di tutte le
reazioni e quindi di tutte e tre le catene pp: la figura 4.2 riporta il contributo relativo delle
tre catene alla produzione totale di energia.
dN2 N2
Processi di creazione = n1,2 = 1 < 11 v >
dt 2
7
Fig. 4.3. Il rapporto di equilibrio D/H al variare della temperatura T in milioni di gradi.
dN2
Processi di distruzione = n12 = N1 N2 < 12 v >
dt
n11 = n12
da cui si trae per le abbondanze di equilibrio
N2 1 < 11 v >
( )eq =
N1 2 < 12 v >
E subito visto infatti che se N2 > N1 allora 12 > 11 , e viceversa, cos che le abbondanze
evolvono necessariamente verso lequilibrio. Ricordando che le abbondanze in numero sono
legate a quelle in massa dalla relazione Xi = Ni Ai H/ per le abbondanze in massa di
equilibrio potremo scrivere (X2 /X1 )eq =< 11 v > / < 12 v >.
Si puo ottenere una scala dei tempi per il raggiungimento dellequilibrio osservando che,
per esempio, se N2 (N2 )eq prevale la reazione di distruzione, per la quale
1 dN2 d
= lnN2 = N1 < 12 v >
N2 dt dt
da cui N2 = N20 et/ con = 1/(N1 < 11 v >). Per una miscela ricca di idrogeno e per
temperature in cui la fusione pp e efficiente si trova cos (X2 )eq 1018 , 1 secondo. Le
condizioni di equilibrio sono cioe raggiunte in tempi rapidissimi e senza una apprezzabile
variazione della composizione chimica della materia (Figura 4.3)
Allequilibrio ogni reazione p+p e necessariamente seguita da una reazione D+p, talche
si puo direttamente assumere che ogni reazione p+p abbia per risultato la scomparsa di
tre protoni e la sintesi di un nucleo di 3 He, la velocita di produzione restando regolata
solo dal valore di n11 . In questo senso il deuterio e elemento secondario, come lo sono
anche 7 Be,7 Li,8 Be,8 B la cui dettagliata valutazione risulta inessenziale sia ai fini della
evoluzione chimica che a quelli della produzione di energa della catena pp, fermo restando
8
Fig. 4.4. La concentrazione allequilibrio di 3 He (a sinistra) e il tempo (in anni) per raggiungere
lequilibrio stesso (a destra) in funzione della temperatura in milioni di gradi .
che alle restanti reazioni primarie occorrera associare i prodotti in particelle ed i contributi
energetici provenienti dalle reazioni secondarie che le seguono.
Cos gli effetti delle due prime reazioni della catena
p + p D + e+ + (+Q11 )
D + p 3 He + (+Q12 )
ove con Qii indichiamo lenergia rilasciata nella singola reazione eventualmente decurtata
della enrgia sotto forma di neutrini,restano compiutamente descritti dalle relazioni
dN1 dN3
= 3n11 = n11
dt dt
dQ
= n11 (Q11 + Q12 )
dt
ove le prime due regolano, con ovvio significato dei simboli, la variazione col tempo del
numero di particelle per unita di volume e la terza fornisce lenergia prodotta per unitaa di
tempo sempre nellunita di volume. Da questultima si ricava immediatamente la produzione
di energia per grammo e per secondo della ppI:
1 dQ
=
dt
Resta da notare che alcuni elementi, come nel nostro caso l3 He, possono comportarsi da
primari o secondari a seconda della temperatura che regola il valore della sezione durto di
distruzione. A basse temperature la sezione durto 3 He +3 He e molto piccola e la compo-
sizione dequilibrio -sempre esistente- e corrispondentemente non solo molto alta ma anche
raggiunta in tempi lunghi. Levoluzione dell abbondanza di 3 He deve quindi essere seguita
in dettaglio e l3 He si comporta come elemento pseudoprimario. Al crescere della temper-
atura aumenta la sezione durto di distruzione e l3 He diviene a tutto rigore un secondario
(Fig. 4.4)
Fig. 4.5. La sequenza dei nuclei stabili e contornata da nuclei instabili che con decadimenti + o
si portano nella configurazione di equilibrio, cui corrisponde un massimo dellenergia di legame.
Fig. 4.6. Andamento schematico della massa di nuclei con eguale numero di nucleoni (numero
atomico A=Z+N) al variare del numero di protoni Z e neutroni N. Il nucleo stabile realizza la
massima energia di legame (massa minima). I nuclei instabili si portano nello stato di massimo
legame tramite decadimenti [(Z,N] (Z+1, N-1) + e + ] o + [(Z,N] (Z-1, N+1) + e+ +
] liberandosi cosrispettivamente delleccesso di neutroni o di protoni.
( 1%) 16 O +
Si vede come il nucleo di 12 C aggreghi successivamente 4 protoni giungendo con lultima
reazione alla produzione di un nucleo di 16 O in uno stato eccitato. Questultimo decade pref-
erenzialmente restituendo un nucleo di 12 C ed una particella ( nucleo di 42 He). Trascurando
per il momento lulteriore canale di decadimento in 16 O, siamo dunque in presenza di un ciclo,
in cui il carbonio funge da catalizzatore della fusione di 4 protoni in un nucleo di elio, rima-
nendo disponibile per una serie indeterminata di reazioni. Naturalmente il ciclo puo prendere
inizio quando sia presente almeno uno qualsiasi dei suoi componenti (12 C,13 C,14 N,15 N ),
essendosi in precedenza assunto il 12 C solo a titolo di esempio. Tale ciclo viene in genere in-
dicato come ciclo CN ad indicare come esso sia basato sulla continua mutua trasformazione
di questi due elementi.
Trattandosi di un ciclo, tutti i nuclei C e N sono contemporaneamente creati e distrutti,
e assumono quindi la veste di elementi secondari, evolventi quindi verso una loro condizione
di equilibrio. Allequilibrio n1j = cost (j = 12, 13, 14, 15) e per le abbondanze di equilibrio
si ricava
N (12 C) < 1,12 v >= N (13 C) < 1,13 v >= N (14 N ) < 1,14 v >= ....
11
Fig. 4.7. Variazione col tempo dellabbondanza dei vari elementi del ciclo CNO in una miscela
con composizione iniziale solare, mantenuta a T= 30 106 K, = 1 gr/cm3 . La linea a tratti mostra
levoluzione temporale del coefficiente di generazione di energia. Il tempo t e in anni.
Come atteso, labbondanza di equilibrio dei vari nuclei risulta quindi inversamente pro-
porzionale alla sezione durto per i rispettivi processi di distruzione. La sezione durto di
gran lunga minore e quella per processi di cattura protonica su 14 N , seguita nellordine da
quelle per gli analoghi processi su 12 C,13 C e 15 N . Corrispondentemente ci si attende che
allequilibrio oltre il 95% dei nuclei sia sotto forma di 14 N ed il resto largamente sotto forma
di 12 C.
Abbiamo peraltro gia indicato come il ciclo CN non sia perfetto, perdendo una piccola
parte dei nuclei a formare 16 O. Tale perdita e peraltro effimera, perche tale elemento viene
a sua volta processato per restituire nuclei di 14 N . Si ha infatti
16
O + p 17 F +
17
F 17 O + e+ +
17
O + p (18 F ) 14 N +
ove appare ora lecito trascurare la piccola quantita di 18 F che decade nel suo stato
fondamentale. Si vede come le precedenti reazioni realizzino un nuovo ciclo NO: un nucleo
di azoto puo aggregare successivamente 4 protoni per restituire infine ancora un nucleo di
azoto piu una particella . Siamo dunque in presenza di due cicli mutuamente accoppiati che
realizzano il cosiddetto biciclo CN-NO nel quale tutti i nuclei pesanti coinvolti si presentano
come elementi secondari. Si noti che, poiche i nuclei non sono in realta ne creati ne distrutti
ma solo trasformati luno nellaltro, in ogni caso ed in ogni momento il numero originale N0
di nuclei pesanti deve conservarsi, risultando
Ni = N0
Alle minori temperature la cattura 16 O + p e largamente innefficiente e la combustione
riposa essenzialmente sul solo ciclo CN. Attorno ai 20 106 K ambo i cicli sono in piena
efficienza e sia 12 C che 16 O vengono ridotti a pochi percento di 14 N . Anche in questo caso
12
Fig. 4.8. Abbondanze relative di equilibrio al variare della temperatura (in milioni di gradi) per
gli elementi principali del ciclo CNO. Si e posto Ni = 1
Fig. 4.9. La produzione di energia dalla catena pp e dal ciclo CNO al variare della temperatura
in milioni di gradi. Si e assunta una composizione chimica solare.
La Figura 4.7 riporta landamento col tempo delle abbondanze dei nuclei nel caso di
combustione CNO in una miscela con abbondanze originali solari alle condizioni indicate.
Si nota come prima 12 C e poi 16 O vengano trasformati in 14 N , mentre 13 C e 15 N vengono
prodotti e mantenuti allequilibrio con i loro capostipiti 12 C e 14 N . I tre elementi piu abbon-
danti del ciclo CNO risultano in ogni caso 12 C, 14 N e 16 O, cui corrispondono le piu piccole
sezioni durto per le reazioni di distruzione e, conseguentemente, i tempi piu lunghi per
il raggiungimento dellequilibrio. Per seguire nel dattaglio levoluzione di una combustione
CNO sara quindi sufficiente valutare istante per istante lefficienza delle tre reazioni
12 13
C+p N+
13
Fig. 4.10. Schema delle reazioni che compongono il biciclo CN-NO. Sono indicate anche le reazioni
che prendono origine dai rari nuclei di 18 F che decadono nel loro stato fondamentale.
14 15
N+p O+
16 17
O+p F+
e, eventualmente, se interessati ai dettagli temporali,
13 14
C+p N+
che sono le quattro reazioni pseudoprimarie. Tutti gli altri elementi possono essere riguar-
dati come strettamente secondari, raggiungendo in tempi trascurabili composizioni minime
di equilibrio. La Figura 4.8 mostra la dipendenza dalla temperatura delle abbondanze di
equilibrio dei quattro elementi pseudoprimari.
Lefficienza della combustione CNO dipende per ogni temperatura dalla abbondanza di
tali elementi nel gas stellare. Nel caso di gas con composizione solare (Z 0.02) circa il
50% della massa degli elementi pesanti e attribuibile a C,N ed O e attorno ai 17 106 K la
combustione CNO inizia a predominare sulla pp (Fig. 4.9). Tale soglia non dipende peraltro
criticamente dallabbondanza di CNO. La dipendenza dalla temperatura della generazione
di energia va infatti nei due casi come
pp T 4 CN O T 15
e modeste variazioni di temperatura sono quindi sufficienti per bilanciare variazioni anche
notevoli nellabbondanza di nuclei CNO.
La Figura 4.10 riporta uno schema delle reazioni che compongono il biciclo CN-NO,
con anche indicate le reazioni che prendono origine dai rari nuclei di 18 F che decadono
nello stato fondamentale anziche restituire un nucleo di 14 N ed una particella . In linea
di principio potrebbe preoccupare lesistenza al termine di queste ultime reazioni del nucleo
stabile 20 Ne: ogni nucleo di 20 Ne formato viene infatti sottratto al ciclo, diminuendone
lefficienza. E peraltro facile verificare che il numero di nuclei di 20 Ne cos prodotti risulta
del tutto trascurabile. Dal rapporto delle rispettive sezioni durto p, e p, si ricava infatti
la probabilita dei nuclei eccitati (= la frazione) di decadere nel loro stato fondamentale per
proseguire la catena di reazioni. Risulta cos
14
ricordando che circa solo l 1% dei nuclei transita per il ciclo NO si ricava che la prob-
abilita di formare un nucleo di 20 Ne e minore di 109 . Questa probabilita va confrontata
con il numero di cicli che compie un nucleo prima che sia esaurito lidrogeno. Nel caso di
materia di tipo solare, Z=0.02, abbiamo indicato come vi sia allincirca 1 nucleo di CNO per
ogni 1000 nuclei di idrogeno, e questo e quindi il numero di cicli compiuto da ogni nucleo di
CNO. E subito visto che non solo nel caso del Sole, ma anche per materia molto piu povera
di metalli, la probabilita di formare 20 Ne risulta microscopica.
Per completare il quadro resta da indicare come il quadro di reazioni sin qui descritto
riposi sullimplicita assunzione che il tempo tra due successive catture protoniche sia lungo
rispetto ai decadimenti . Cio e sempre vero nelle fasi di normale evoluzione delle strutture
stellari, nelle quali la temperatura e governata dallequilibrio idrostatico e le fusioni nucleari -
come abbiamo indicato - sono eventi rari. Non e piu vero durante le ultime fasi di implosione-
esplosione, durante le quali la temperatura puo aumentare improvvisamente di ordini di
grandezza. In tal caso cresce la sezione durto per cattura protonica e diventa probabile che
gli elementi del ciclo instabili + catturino un protone prima di decadere. In tal caso si
aprono ulteriori canali di combustione indicati con il termine CNO veloce ( A4.3).
La combinazione di questi due effetti fa si che a circa 108 K divenga efficiente il processo
a tre corpi di fusione di He in C. A tali temperature, ben superiori a quelle richieste dal
15
semplice attraversamento della barriera coulombiana, risultano peraltro efficienti anche suc-
cessive catture , cosi che nelle strutture stellari ci si attende che siano contemporaneamente
efficienti
3 12 C +
12
C + 16 O +
seguite, ma con minore e talora trascurabile efficienza, da
16
O + 20 N e +
20
N e + 24 M g +
Al termine della combustione di elio ci si attende essenzialmente una miscela di 12 C e
16
O con tracce piu o meno consistenti di Ne. Le stelle, consentendo di mantenere la materia
attorno ai 108 K per milioni di anni, riescono cosa superare tramite la reazione 3 il limite
imposto alla veloce nucleosintesi cosmologica dalla mancanza di nuclei stabili con A=5, 8.
Le reazioni di combustione di elio sin qui discusse sono le uniche rilevanti per quel che
riguarda il contributo al fabbisogno energetico di una struttura stellare. E peraltro da notare
come alle temperature di combustione dellelio l 14 N presente (anche come prodotto di una
precedente combustione CNO) sia in grado anchesso di catturare particelle
14
N + 18 F +
seguita dal decadimento
18
F 18 O + e+ +
innescando una catena di reazioni che qui di seguito riportiamo in una notazione alternativa
di immediata interpretazione
14
N (, )18 F (e+ )18 O(, )20 N e(, n)25 M g
Ricordiamo che in una stella ricca di metalli quale il Sole, con abbondanza in massa di
elementi pesanti dellordine di Z 0.02, labbondanza in numero di elementi CNO (supra)
e dellordine di 103 , confortando la scarsa rilevanza energetica di tale reazione a fronte della
combustione 3. E peraltro da notare che il completamento della catena implica che per
ogni nucleo CNO originalmente presente nel gas stellare venga liberato un neutrone, il che
-nella assunzione Z 0.02- corrisponde a 1021 neutroni liberati per grammo di materia.
Poiche i neutroni non risentono della repulsione coulombiana, essi tendono ad essere
catturati dai nuclei circostanti, che vengono cosa fungere da nuclei seme per la costruzione
di elementi a numero atomico sempre piu alto. Proprio un simile processo contribuisce alla
formazione degli elementi piu pesanti del Fe che, come gia sappiamo, non ci attendiamo
possano essere prodotti in combustioni termonucleari quiescenti.
23 M g + n rara Q = 2.6M eV
24 M g + molto rara Q = 13.9M eV
16 O + 2 sporadica Q = 0.1M eV
Si noti come allaumentare della complessita del nucleo composto diventino sempre piu
probabili canali di fragmentazione con emissione di protoni, neutroni o particelle a con-
fronto del decadimento nello stato fondamentale.
Poiche siamo a temperature molto piu alte di quelle tipiche per la combustione
dellidrogeno o dellelio, i protoni e le particelle prodotte reagiscono immediatamente
con molti dei nuclei circostanti. Tra le molte reazioni possibili, e di cui sara necessario tenere
dovuto conto, segnaliamo ad esempio una catena di reazioni che puo portare un ulteriore
contributo alla produzione di neutroni
12
C(p, )13 N (e+ )13 C(, n)16 O
Innalzando ancora la temperatura, a T 1.5 109 K i fotoni sono cos energetici che
la successiva combustione del Neon viene in realta innescata da un processo di fotodisinte-
grazione
20
N e + 16 O +
23
e le particelle cos prodotte reagiscono con lo stesso Neon o con il N a prodotto della
precedente combustione del carbonio
20
N e + 24 M g +
23
N a + 26 M g + p
dando di nuovo inizio a tutta una serie di reazioni che possono portare alla formazione
di alluminio, silicio, fosforo.
A T 2 109 K diviene possibile la fusione diretta di due atomi di ossigeno
16
O +16 O 28 Si + 45% Q = 9.6M eV
31 P + p 45% Q = 7.7M eV
31 P + n 10% Q = 1.5M eV
32 S + molto rara Q = 16.5M eV
24 M g + 2 sporadica Q = 0.4M eV
i cui prodotti danno di nuovo origine a tutta una serie di reazioni che possono giungere sino
al 46 T i.
Allulteriore aumentare della temperatura iniziano a dominare i processi di fotodisinte-
grazione e di ricattura delle particelle prodotte che conducono ad un equilibrio dinamico in
cui labbondanza dei vari nuclei e regolata dalle rispettive energie di legame. Da tali pro-
cessi di equilibrio emerge come specie dominante il nucleo piu legato, il Ferro, termine delle
possibili reazioni esoenergetiche di cui qui ci siamo interessati.
Fig. 4.11. Schema dellandamento temporale delle temperature centrali T in uns stella sufficien-
temente massiccia: fasi di contrazione gravitazionale (g) portano in successione alle combustioni di
H, He, C.. sino alla finale fotodisintegrazione del Ferro.
in C e O, sintetizzando infine Mg, Si sino alla costituzione del nucleo finale di Fe la cui
fotodisintegrazione dara inizio al collasso finale di Supernova .
Piu in dettaglio, troveremo che ogni reazione, esaurito il proprio combustibile nelle regioni
centrali, si sposta in uno strato che circonda il nucleo composto dai prodotti di reazione
che allaumentare della temperatura fungeranno da combustibile alla successiva reazione.
Come schematizzato in Fig. ?? literazione di tale processo conduce infine nelle fasi finali
di pre-Supernova alla tipica struttura a cipolla, in cui un nucleo di Ferro e contornato
in successione dai prodotti delle varie reazioni che sono state efficienti lungo tutta la storia
della stella.
La durata temporale delle fasi di combustione nucleare resta determinata dalla condizione
che lenergia prodotta supplisca al fabbisogno energetico della struttura, restando quindi
collegata alla capacita di produrre energia delle varie fusioni. E subito visto che a parita
di nucleoni coinvolti la fusione di gran lunga piu energetica e quella dellidrogeno, dalla
quale ci attendiamo un emissione di energia di almeno 20 MeV per nucleo di He prodotto,
quindi almeno 5 MeV per nucleone coinvolto. Segue nellordine la 3 12 C che fornisce
7.275 MeV per nucleo prodotto di carbonio, e altri 7.162 MeV per la combustione di 12 C
in 16 OO. Si hanno dunque circa 0.6 MeV per nucleone dalla combustione in C, che salgono
a circa 0.9 MeV se la combustione si completa a formare 16 O. Se ne conclude che se una
stella rimanesse a luminosita costante la combustione dellelio sarebbe in grado di durare
non piu di un quinto di quanto duri quella dellidrogeno. Poiche in realta una struttura
aumenta di ordini di grandezza la sua luminosita, la durata combustione di He risultera
corrispondentemente minore, riducendosi talora anche a meno di 1%.
Le combustioni di elementi piu pesanti risultano ancor meno energetiche e, per di piu,
labbondante produzione di termoneutrini che contraddistingue le fasi evolutive piu avanzate
aumentano di molto il fabbisogno energetico, riducendo di conseguenza i tempi caratteristici
della combustione, sino a farli svanire in una continua finale contrazione. La Tabella 1 riporta
una valutazione indicativa della storia energetica di una struttura, dalla sua formazione sino
alla struttura finale di pre-Supernova.
Se leta delle stelle e distribuita a caso, ci si attende di trovare la grande maggioranza
delle stelle in fase di combustione di idrogeno, e cio e da collegarsi alla gia citata evidenza
osservativa della Sequenza Principale. Ci si attende anche una non trascurabile presenza
di stelle in fase di combustione di He, ma una scarsa o nulla evidenza di stelle in fasi di
combustione ancor piu avanzate. Fasi quindi di difficile identificazione osservativa, ma che
18
Fig. 4.12. A destra: landamento temporale della struttura di una stella. In ordinata la variabile
Mr /M che descrive la struttura dal centro ( Mr /M=0) alla superficie ( Mr /M=1). Le aree trat-
teggiate rappresentano le zone ove sono efficienti le indicate combustioni nicleari. A sinistra: schema
della struttura finale a cipolla in fase di pre-Supernova.
Tab. 1. Schema orientativo dellevoluzione di una struttura stellare massiva attraverso le diverse
fasi di combustione al crescere della temperatura centrale T6 in milioni di gradi. Per ogni fase viene
riportata lenergia totale (gravitazionale o nucleare)rilasciata dallinizio dellevoluzione e la frazione
di energia emessa per fotoni o neutrini.
Approfondimenti
1. La massa critica viene superata per fluttuazioni spontanee nella densita e/o per rafreddamento
del gas,
2. La massa critica viene superata a causa della compressione prodotta dalla propagazione nel
mezzo di onde durto prodotte da una vicina supernova.
Tali due meccanismi, anziche essere alternativi, possono rappresentare due meccanismi concor-
renziali che, con efficienza da determinare, hanno contribuito alla formazione stellare lungo larco
della storia della nostra Galassia. In tale contesto, le piu volte citate differenze tra ammassi stellari
di disco e di alone (numero di stelle e stato dinamico) sono indice di una sostanziale differenza nello
stato fisico del gas nel quale si formarono i protoammassi e/o nei meccanismi di formazione.
Nel primo caso (fluttuazioni spontanee) la produzione di stelle resta indipendente dalla presenza
in loco di altre stelle,o tuttal piu inibita da tali stelle se esse, riscaldando il gas, elevano il valore della
massa di Jeans. In tal caso ci si attendono processi di formazione stellari piu o meno casualmente
scaglionati nel tempo. La formazione di stelle indotta da eventi di Supernova suggerisce al contrario
che la nascita di sistemi stellari sia un evento autopropagantesi: la formazione di un sistema stellare
implica la presenza di stelle massicce che, esplodendo come Supernove, inducono in sequenza la
formazione di ulteriori sistemi stellari nelle regioni circostanti, e cosdi seguito. Un processo iterativo
di cui si trova forse evidenza osservativa nella sequenza temporale di alcuni gruppi di ammassi aperti
della Galassia.
La distribuzione di masse stellari risultante al termine della gerarchia di fragmentazioni di un
protoammasso e un problema fondamentale tuttora aperto. Dallosservazione delle stelle attorno
al Sole e stata a suo tempo ricavata per tale distribuzione una legge di potenza, nota come IMF
(Initial Mass Function) di Salpeter, fornita in letteratura nelle due forme alternative:
dN dN
=M = M = M 1.35
dlnM dM
dN
= M (+1) = M 2.35
dM
E subito visto come tale distribuzione diverga per M 0: essa era infatti intesa a descrivere la
distribuzione della IMF per masse superiori o dellordine di 1 M . Le piu recenti evidenze osservative
mostrano che la distribuzione di Salpeter puo al piu essere mantenuta sino a masse dellordine di
0.6 M ; per masse minori sono state proposte varie alternative, tutte in accordo nellabbassare
drasticamente il numero di stelle previsto in tale intervallo di masse. Miller e Scalo hanno ad
esempio proposto di interpretare i dati osservativi in termini di una distribuzione log-normale, del
tipo
dN
exp[C1 (logM C2 )2 ]
dlnM
20
Fig. 4.13. Istogramma della distribuzione in massa dei frammenti risultanti da un processo proba-
bilistico confrontato con una distribuzione log-normale. Le masse sono in frazioni della massa della
nube iniziale.
con cui coprire lintero intervallo di masse. Non e peraltro ancora chiaro il ruolo dei fenomeni fisici
alla base di una tale distribuzione, ne - in particolare - quanto tale legge sia di validita generale
o rappresenti - al contrario - una distribuzione caratteristica delle sole stelle di Popolazione I.
Lipotesi che la IMF dipenda anche sensibilmente dal contenuto di metalli e stata infatti avanzata
piu volte, sulla base dellosservazione che il contenuto di metalli condiziona lopacita della materia
ed i meccanismi di raffreddamento della medesima, processi che dovrebbero giuocare un ruolo non
trascurabile nella dinamica della contrazione e della fragmentazione.
E interessante peraltro notare come sia stato mostrato che una distribuzione log-normale sia
spontaneamente raggiunta quando si supponga che il processo di successive fragmentazioni sia retto
da leggi probabilistiche per quel che riguarda il numero di frammenti per evento, le masse di tali
frammenti e il numero di frammentazioni (Fig. 4.13).
con ovvio significato dei simboli. Operandone la derivata seconda rispetto al tempo ne risulta
1 d2 I X d X 2
2
= mi (xi vxi + yi vyi + zi vzi ) = mi vxi + ... + m1 xi axi + .......
2 dt dt
i i
dove per brevita sono stati omessi gli analoghi contributi delle componenti y e z.
E subito visto che la somma
X 2 2 2
X
mi vxi + mi vyi + mi vzi = mi vi2 = 2T
i i
avendo indicato con T lenergia cinetica totale del sistema, somma delle energie cinetiche delle
singole particelle.
Notiamo ora che mi axi per la legge di Newton (F = ma) e la componente x della forza agente
sulla i-ma particella. Potremo dunque scrivere
X mi mj xj xi
xi mi axi = xi Fxi = xi G 2
rij rij
j6=i
21
mi mj xj xi
xi G 2
(componente x della forza operata dalla particella j su quella i)
rij rij
corrisponde un termine
mi mj xi xj
xj G 2
(componente x della forza operata dalla particella i su quella j)
rij rij
1 d2 I
= 2T +
2 dt2
come si voleva dimostrare.
M2 M
P e poiche P T T
R4 R3
si ha infine
M
T
R
Alla stessa relazione si giunge dal teorema del viriale. Da 2W + = 0 si ha infatti W ,
dove ad evitare confusioni con la temperatura T abbiamo ora indicato con W lenergia cinetica
totale del sistema. Per la temperatura si ha T W/M e, dal viriale, anche /M. Poiche
M2 /R si ha infine ancora T M/R.
Utilizzando tale relazione possiamo anche ricavare indicazioni sulla relazione massa-luminosita
per strutture supposte almeno in larga parte in equilibrio radiativo. In tal caso si ha infatti
dT 3 L T4 L
= da cui 4
dM 4ac 16 2 r4 T 3 M R
Da T M/R si ricava infine
L M3
22
Fig. 4.14. Mappa degli elementi coinvolti nella combustione CNO veloce. Le linee a tratti indicano
i decadimenti .
che mostra come la luminosita debba crescere con una potenza superiore della massa. Si
noti come nella derivazione non si siano fatte ipotesi sulla generazione di energia, a ulteriore di-
mostrazione che la luminosita di una struttura e governata dalla massa attraverso lequilibrio idro-
statico. Introducendo lipotesi che la luminosita sia il prodotto di un meccanismo di combustione
nucleare, poiche lefficienza delle combustioni cresce con la temperatura, la relazione precedente ci
garantisce anche che la temperatura centrale deve crescere con la massa.
Dalla equazione della conservazione di energia si ha inoltre
dL L
= 4r2 da cui
dR R3
LT 3
T 3
M3
.
che mostra come il rapporto tra temperatura e densita dipenda dal coefficiente di generazione
di energia. Per questultimo si avra una dipendenza da temperatura e densita del tipo
m T n
risultando m=1, n=4 per la combustione dellidrogeno, catena pp, m=1, n=14 per il ciclo CNO,
e m=2, n=22 per la combustione dellelio.
Per strutture sorrette dalla catena pp si avra cos, ad esempio
T 2 cost
e simile per il CNO, che mostra come se allaumentare della massa deve crescere la temperatura,
come abbiamo gia trovato, nel contempo deve diminuire anche la densita centrale. Diminuendo
le masse si avranno dunque minori temperature e maggiori densita, predisponendo tali masse
allinsorgere della degenerazione elettronica, come gia indicato.
Fig. 4.15. Diagrammi di flusso per le reazioni del ciclo CNO veloce a varie temperature in miliardi
di gradi (T9 ).
combustione, e quindi al piu a poche diecine di milioni di gradi. Sono queste infatti le temperature
che consentono di norma di estrarre dalla fusione dellidrogeno lenergia necessaria per sostenere
una struttura stellare. E da presumere pero che in peculiari condizioni evolutive materia ancora
ricca di idrogeno possa raggiungere temperature anche molto piu alte. Tale e il caso, ad esempio,
di stelle supermassicce o prive di metalli o ancora, con riguardo a fasi non quiescenti, di materia
coinvolta nellesplosione di una nova o di una supernova (nucleosintesi esplosiva.)
Ad alte temperature (T 108 K)il quadro di reazioni di combustione dellidrogeno puo risultare
anche drasticamente modificato da due distinti ordini di accadimenti;
1. Nella normale trattazione delle reazioni pp o CNO si e assunto che ove vengano prodotti nuclei
instabili, questi abbiano il tempo di decadere spontaneamente prima di catturare un altro
protone. Cio puo non essere piu vero ad alte temperature, quando la velocita delle reazioni di
cattura e grandemente accresciuta.
24
2. Alle alte temperature considerate e contemporaneamente presente la cattura che puo entrare
in concorrenza con reazioni di cattura protonica.
Le modifiche attese nella catena pp risultano marginali. Piu rilevanti le modifiche attese nel ciclo
CNO, dove la cattura 13 N(p,)14 O puo diventare concorrenziale al decadimento 13 N(e+ )13 C, e dove
reazioni quali 14 O(,p)17 F(p,)18 Ne o 15 N(, )19 F a T 5 108 K giocano un ruolo determinante.
Il calcolo dettagliato dellefficienza dei vari processi concorrenti puo essere eseguito sulla base
della conoscenza delle relative sezioni durto. La figura 4.14 riporta uno schema delle varie reazioni
in grado di contribuire alla combustione veloce, mentre la figura 4.15 mostra i canali efficienti alle
tre diverse temperature 108 , 5 108 e 109 K.
A 108 K e ancora essenzialmente operante un ciclo CNO attraverso la serie di reazioni
12
C(p, )13 N (p, )14 O(e+ )14 N (p, )15 O(e+ )15 N (p, )12 C
mentre 20 Ne viene trasformato in 22
Ne. A 5 108 K il ciclo CNO si espande mentre diviene
operante anche il ciclo
20
N e(p, )21 N a(e+ )21 N e(p, )22 N a(p, )23 M g(e+ )23 N (p, )20 N e
A 109 K le reazioni sono infine dominate da catture che operano sugli elementi leggeri sino a
trasformarli in Mg24 .
25
1
2
P = K
con dipendente dalla assunta relazione tra le variabili. Tutte le volte che lequazione di
stato e esprimibile nella forma precedente prende il nome di equazione di stato politropica.
Si noti che se la relazione riguarda un gradiente (come nel caso adiabatico) lequazione di
stato politropica contiene necessariamente una costante arbitraria (condizione al contorno).
Fissando le derivate si fissa infatti landamento delle variabili ma non il loro punto zero.
Questo resta fissato non appena si fissi il rapporto P/ ( e quindi la temperatura) in un
qualsiasi punto.
Per cio che riguarda il modello stellare omogeneo e totalmente convettivo, se per esso
riscriviamo le equazioni dellequilibrio si trova che nel caso di strutture politropiche
dP (r) Mr (r)(r)
= G dr (1)
dr r2
dMr = 4r2 dr (2)
P = K (3)
che formano un sistema di tre equazioni nelle tre variabili incognite P, , Mr , la cui
risoluzione richiedera ora la presenza di tre opportune condizioni al contorno. Quel che qui
ci interessa, e che la struttura prescinde da ogni valutazione sulla generazione di energia, con-
sentendo quindi lintegrazione del modello stellare. Per tale integrazione si usera un metodo
del fitting, mancando delle soluzioni di prova richieste dal metodo di Henyey. In genere, per
ogni prefissato valore della massa e della composizione chimica, si usa determinare le tre
condizioni al contorno Pc (pressione centrale), Te (temperatura efficace) e L (luminosita)
per un prefissato valore della temperatura centrale Tc , assunta a valori sufficientemente bassi
per escludere il passato intervento di reazioni nucleari.
Si noti come alla costante arbitraria nellequazione di stato politropico-adiabatica cor-
rispondono infinite soluzioni del modello, descritte dal calcolo al variare delle assunzioni su
Tc . Questo ci dice che finche la struttura resta totalmente convettiva dovra necessariamente
seguire il tracciato decritto dai modelli politropici al progressivo innalzarsi di Tc .
La stessa procedura puo essere applicata nel caso generale, ove si lasci cadere lassunzione
ad = 0.4 (ionizzazione completa) in tutta la struttura e si voglia valutare il gradiente
superadiabatico nelle zone esterne. La presenza della relazione di gradiente adiabatico o
convettivo abbassa sempre di un grado di liberta il sistema, e anche se il gradiente convettivo
dipende da L, per esso nelle zone esterne resta lecito assumere L=cost, prescindendo dalla
valutazione di g .
3
dove P 0 , T 0 e P 00 , T 00 rappresentano i valori delle rispettive variabili nel modello che precede
o segue il passo temporale.
Le variazioni della composizione chimica sono collegate allefficienza delle reazioni di
fusione e, eventualmente, al rimescolamento prodotto da fenomeni di convezione. Le vari-
azioni di composizione indotte dalle reazioni nucleari sono subito ricavabili dal numero nij di
reazioni per grammo e per secondo necessario per valutare nel modello di partenza il valore
del coefficiente di produzione di energia nuclear n . Facendo ad esempio il caso della catena
PPI, dalla valutazione delle reazioni primarie ( 4.4) si trae il numero di nuclei di idrogeno
scomparsi nellunita di tempo
dNHe = dNH /4
Xi = (dNi i H)t
Ove siano presenti regioni convettivamente instabili, si terra successivamente conto del
processo di omogeneizzazione indotto dal rimescolamento convettivo ponendo in tutta la
zona convettiva
Z
1 1 X
hXi i = Xi dM = Xi dM
Mc Mc
Fig. 5.1. Tracce teoriche per levoluzione presequenza di stelle di varie masse e composizione
chimica solare. Nel diagramma sono anche indicate le linee di raggio costante come ricavabili dalla
relazione di corpo nero L=4R2 T4e . I cerchietti aperti indicano le fasi iniziali di contrazione grav-
itazionale. Il primo punto sulla traccia segnala lultimo modello totalmente convettivo, il penultimo
punto il primo modello sorretto nuclearmente e lultimo il modello di Sequenza Principale di Eta
Zero. I tempi lungo le tracce sono in anni.
5.3. La presequenza
Alcune semplici considerazioni permettono di predire come debba presentarsi una struttura
stellare nelle prime fasi che seguono la sua formazione. Essa sara ovviamente espansa, essendo
giusto allinizio della sua lunga storia di contrazione, ma anche relativamente fredda, perche
la stabilizzazione della struttura segue, come abbiamo gia ricordato, linizio della ionizzazione
parziale dellidrogeno. Poiche dalla relazione di corpo nero segue che grandi raggi implicano
anche grandi luminosita, si giunge alla conclusione che al momento della sua formazione una
struttura deve presentarsi relativamente fredda ma molto luminosa: in termini astronomici
deve presentarsi come una Gigante Rossa.
Tale previsione e puntualmente verificata dai risultati del calcolo. La Fig. 5.1 mostra
la posizione nel diagramma HR teorico (logL, logTe ) di modelli stellari con composizione
chimica solare nelle primissime fasi di contrazione gravitazionale. Come atteso, tutti i mod-
elli sono completamente convettivi, e tali rimangono per il primo tratto di evoluzione che si
svolge con una decrescita della luminosita a temperatura pressoche costante, e quindi con
una sensibile diminuzione del raggio. Allaumentare della temperatura centrale diminuisce
lopacita e al punto indicato in figura incominciano a formarsi dei nuclei in equilibrio radia-
tivo. Al crescere di tale nucleo la traccia evolutiva abbandona infine il precedente andamento
per spostarsi verso alte temperature con un contenuto aumento di luminosita. Mostreremo
nel seguito come sia proprio la presenza di un nucleo radiativo a spostare la stella verso alte
5
Fig. 5.2. Evoluzione di presequenza per una stella di 1 M e composizione chimica solare. A=
modello iniziale; B= ultimo modello completamente convettivo; C= primo modello sorretto nucle-
armente; D= Sequenza principale di Eta Zero (ZAMS). Lungo la traccia sono riportati i tempi di
evoluzione ed i modelli in cui si raggiungono le temperature centrali per la combustione del deuterio.
temperature efficaci, abbandonando quella che viene indicata in letteratura come la Traccia
di Hayashi.
Mentre la stella si sposta verso alte temperature cominciano a diventare efficienti
le reazioni nucleari sinche (penultimo punto in Fig. 5.1) lenergia nucleare arriva a co-
prire lintero fabbisogno energetico della struttura, svanisce il contributo dellenergia grav-
itazionale e ha termine la fase di contrazione su tempi scala termodinamici. In linea del
tutto generale e da notare come tutte le stelle si stabilizzino attorno a quella che sara la loro
luminosita nella fase di combustione nucleare ben prima che le reazioni stesse comincino
a diventare efficienti, a ulteriore riprova che non sono le reazioni a determinare la lumi-
nosita di un oggetto stellare. E vero il contrario: la luminosita, governata dalle condizioni
di equilibrio, determina la richiesta di energia e quindi lefficienza delle reazioni nucleari.
La Fig. 5.2 riporta con qualche ulteriore dettaglio la traccia di presequenza per una stella
di 1 M . Levidenza che levoluzione rallenti al diminuire della luminosita non dovrebbe
sorprendere: la luminosita altro non e che lenergia persa dalla struttura per unita di tempo,
e in fase di contrazione gravitazionale levoluzione sara tanto piu veloce quanto piu veloce
la perdita di energia. Nella stessa figura sono indicati i modelli in cui per la prima volta si
raggiungono le temperature per la combustione del deuterio. La scarsa abbondanza naturale
di questo elemento rende pressoche trascurabile il contributo di tali combustioni, causando
al piu un transitorio rallentamento dellevoluzione.
In base a semplici considerazioni sui tempi scala nucleari noi abbiamo gia identificato la
Sequenza Principale osservata, ad esempio, nelle stelle nei dintorni del Sole, come formata
da strutture in fase di combustione di idrogeno. Possiamo perfezionare tale identificazione
precisando che definiremo stelle di Sequenza Principale tutte quelle stelle che evolvono con
i tempi scala della combustione dellidrogeno. Sulla base di tale definizione si deve conclud-
ere che il primo modello sorretto nuclearmente al termine della fase di contrazione NON
rappresenta ancora una struttura di Sequenza Principale. Nei meccanismi di combustione
6
Fig. 5.3. Andamento col tempo di temperatura centrale, densita centrale e energia gravitazionale
in una stella di 1 M durante la fase di contrazione e nellapproccio alla Sequenza Principale.
dellidrogeno, siano essi la catena pp o il ciclo CNO, vi sono infatti specie nucleari che
devono portarsi allequilibrio prima che la combustione dellidrogeno raggiunga una situ-
azione di regime e che evolveranno - e con essi la struttura - con tempi scala intermedi tra
quelli gravitazionale e quelli della combustione dellidrogeno. Conseguentemente dovremo
definire come primo modello di Sequenza Principale (o modello di ZAMS = Zero Age Main
Sequence) il primo modello sorretto nuclearmente in cui gli elementi secondari abbiano rag-
giunto lequilibrio.
Nel caso di una stella di 1 M , quale quello illustrato in Fig. 5.2, la struttura arriva
ad essere sorretta dalle combustioni nucleari con temperature centrali dellordine dei 15
106 K, alle quali domina ancora la catena ppI. Per arrivare al modello di ZAMS dovremo
quindi attendere che l 3 He, pressoche ancora nullo nel primo modello sorretto nuclearmente,
raggiunga la sua composizione di equilibrio. E istruttivo riconoscere in Fig. 5.3 il comporta-
mento della struttura in questa fase di approccio alla sequenza principale. Durante tutta la
fase di contrazione gravitazionale temperatura e densita centrale aumentano con continuita
sino a quando intervengono le reazioni nucleari e lenergia prodotta dalla gravitazione crolla
rapidamente a zero, sostituita da quella nucleare.
Per mancanza di 3 He le reazione 3 He+3 He 4 He + 2p non puo essere efficiente, e la
combustione si deve limitare alla produzione di 3 He, con lemissione di energia corrispon-
dente alla sola produzione di tale elemento,. Mano a mano che aumenta labbondanza di
3
He, la 3 He+3 He 4 He + 2p comincia a diventare efficiente, il PPI si completa e aumenta
lenergia prodotta per ogni fusione di coppia di protoni, aggiungendovisi lenergia guadag-
nata nella produzione dell4 He. La stella, che si era portata a temperature tali da soddisfare
al suo fabbisogno energetico con il solo ppI incompleto, reagisce alleccesso di energia dimin-
uendo temperatura e densita per abbassare la velocita delle reazioni e mantenere costante la
produzione di energia nucleare. Ne segue anche una espansione con il limitato assorbimento
di energia gravitazionale segnalato dai valori negativi in figura. E temporaneamente pre-
sente un piccolo nucleo convettivo, destinato ad una rapida sparizione e privo di conseguenze
evolutive ( A5.4)
La decrescita della temperatura prosegue sinche l3 He nelle zone di combustione si sta-
bilizza alla sua composizione di equilibrio: da questo momento la stella cessa di evolvere con
i tempi scala dellequilibrio dell3 He e inizia ad evolvere con i tempi scala della combustione
dellidrogeno (modello di ZAMS). Durante la fase di riaggiustamento nucleare che intercorre
tra il primo modello sorretto nuclearmente e il modello di ZAMS le condizioni centrali tor-
nano verso valori precedenti e, corrispondentemente, come mostrato nelle figure 5.1 e 5.2 si
inverte la direzione della traccia nel diagramma HR.
7
Fig. 5.4. Andamento col tempo di temperatura centrale, densita centrale e energia gravitazionale
in una stella di 1.5 M durante la fase di contrazione e nellapproccio alla Sequenza Principale. Qcc
riporta lestensione del nucleo convettivo in frazioni di massa stellare. Estremi delle ordinate: 0.80
logTc 1.39; 0.75 logc 2.00
Al diminuire della massa diminuisce la temperatura centrale dei modelli sorretti nu-
clearmente causa la drastica diminuzione della luminosita intrinseca delle strutture. Le
reazioni nucleari continuano dunque ad essere dominate dalla catena ppI e le fasi di prese-
quenza hanno andamenti sostanzialmente analoghi, almeno sinche non si giunga (M 0.4
M ) a temperature centrali cos basse e, conseguentemente, a tempi di equilibrio dell3 He
cos grandi da configurare per tale elemento il ruolo di elemento primario. In tal caso svanisce
la fase di rilassamento nucleare e il primo modello sorretto nuclearmente deve essere consid-
erato modello di ZAMS.
Ancora analogo, ma per alcuni versi speculare, lavvicinamento alla Sequenza Principale
di modelli invece piu massicci, nei quali la maggior richiesta di energia conduce a mag-
giori temperature centrali, portando alla dominanza del ciclo CNO. Lequilibrio del ciclo
viene raggiunto quando il 12 C viene trasformato in 14 N, diminuendo la velocita del ciclo e
lenergia emessa nellunita di tempo. La Fig. 5.4 mostra che in tal caso al primo modello sor-
retto nuclearmente segue un nuovo episodio di limitata contrazione e un ulteriore aumento
di temperatura che infine consente al ciclo allequilibrio di fornire la richiesta energia. Nel
diagramma HR il modello prosegue ora la sua traccia, innalzando ulteriormente la temper-
atura efficace. Notiamo infine che, come previsto ( Cap. 2), a causa della alta dipendenza
dalla temperatura la combustione CNO produce ora nuclei convettivi, che si manterranno
per tutta la fase di sequenza principale.
La diversa risposta delle combustioni pp e CNO nellapproccio allequilibrio si riflette
quindi nella diversa collocazione nel diagramma HR dei modelli di ZAMS rispetto ai modelli
omogenei sorretti nuclearmente. Come mostrato in Fig. 5.5, modelli di ZAMS sorretti dalla
catena pp si collocano a temperature efficaci leggermente inferiori dei rispettivi modelli
omogenei, mentre il contrario avviene per i modelli sorretti dal CNO, che continuano la
contrazione per portarsi a temperature efficaci piu alte. Tale diversa risposta rende anche
ragione del fatto che alla transizione tra le due combustioni esiste un intervallo di masse
in cui i modelli omogeni sono sorretti dal CNO e i modelli di ZAMS dal pp. La massa
di transizione dipende naturalmente dalla assunta composizione chimica: innalzando lelio
originario si ottengono, ad esempio, modelli piu caldi e la massa di transizione diminuisce.
Resta infine da osservare come, sulla base delle considerazioni svolte, si possa concludere
che la struttura di un modello di ZAMS possa n genere essere identificata anche senza
8
Fig. 5.5. Una sequenza di modelli omogenei supermetallici (linea a tratti) confrontata con la
collocazione dei modelli di ZAMS.
procedere al calcolo dettagliato delle fasi di presequenza. Sinche, come avviene per masse non
troppo piccole, i tempi scala gravitazionale, nucleare dei secondari e nucleare delidrogeno
restano ben distinti, sara lecito integrare direttamente un primo modello omogeneo sorretto
nuclearmente imponendo =0, e lasciando evolvere la struttura sino a raggiungere lequilibrio
dei secondari (pseudoevoluzione).
dP/dr = ....
dMr /dr = ...
dT/dp = G
che per ogni valore di G e per ogni assunto valore della luminosita L ammette una
soluzione. Non sorprendentemente, si trova che per ogni L, al crescere di G il modello (non
realistico) si sposta a temperature efficaci minori. Il criterio di Schwarzschild detta peraltro
un limite superiore per i valori del gradiente medio G, dovendo risultare
dT dT
( )ad
dP dP
9
Fig. 5.6. Linee isoconvettive HR per una struttura di 1 M dalla indicata composizione chimica.
Le singole linee indicano il luogo nel diagramma HR ove la base dellinviluppo convettivo raggiunge
un prefissato valore della frazione di massa Mc e. La linea a tratti riporta la traccia di Hayashi
(strutture roralmente convettive)
Fig. 5.7. Tracce di Hayashi per una struttura di 1 M al variare del contenuto metallico.
E infine di particolare rilevanza osservare che per ogni fissata massa e composizione
chimica originaria la traccia di Hayashi dipende anche, e sensibilmente, dalla lunghezza
di rimescolamento adottata nel trattamento della convezione superadiabatica. Minore la
lunghezza di rimescolamento, meno efficiente e il trasporto convettivo e piu alto il valore della
superadibaticita. Si noti al riguardo come al limite l 0 debba risultare anche con rad .
Maggiore superadiabaticita significa infine maggiori gradienti allinterno della struttura e
di conseguenza temperature piu basse in atmosfera. Se ne conclude che al diminuire di
l la traccia di Hayashi si sposta, come avviene, verso temperature piu basse. Se ne deve
concludere che in assenza di indicazioni precise sul valore di l ( A5. ..) la collocazione
della traccia e soggetta a pesanti incertezze, che si riflettono non solo sulla temperatura
delle tracce di presequenza, ma anche, come vedremo, sulla collocazione nel diagramma HR
delle Giganti Rosse.
Fig. 5.8. A sinistra: distribuzione nel diagramma HR di strutture di sequenza principale per le
indicate composizioni chimiche. Il punto lungo le sequenze segnala la collocazione dei modelli di 1
M . E indicata una retta R= cost (logL 4logTe ). A destra: andamento delle temperature centrali
(in milioni di gradi) al variare della massa negli stessi modelli.
Fig. 5.9. La collocazione nel diagramma HR di Sequenze Principali con Z=0.001 e varie assunzioni
sullabbondanza di idrogeno X. La linea a punti mostra il luogo di modelli di 1M al variare di X.
Tab. 1. Grandezze caratteristiche di alcune strutture di ZAMS per composizione chimica solare.
Vengono riportati nellordine: la massa M in masse solari, luminosita e temperatura effettiva, raggio
in raggi solari, temperatura Tc e densita centrale c , la massa del nucleo convettivo Mcc in masse
solari, la frazione di massa del bordo inferiore della convezione esterna Mce e la frazione di energia
prodotta tramite la catena pp o il ciclo CNO. Lultima colonna riporta infine il tempo, in anni, che
le strutture trascorreranno nella fase di combustione centrale di H
Per quel che riguarda le strutture di MS, la degenerazione elettronica comincia ad influire
solo nelle stelle al di sotto di 1 M , crescendo al diminuire della massa, sinche attorno a
0.1 M giunge a bloccare la contrazione di presequenza e ad impedire cos linnesco della
combustione dellidrogeno. Strutture al di sotto di tale limite continueranno a raffreddare
sotto forma di oggetti compatti sorretti dalla pressione di degenerazione, dissipando il calore
prodotto nella fase gravitativa. Se non troppo al di sotto della massa limite, a queste stelle
mancate si da il nome di Nane Brune (Brown Dwarfs) ad indicare lesistenza di sia pur
limitate capacita radiative. Con masse ancora minori si entra nel campo dei pianeti gassosi,
con analoga storia evolutiva. In tale contesto e da notare come nel nostro sistema planetario
Giove, MJ 103 M , emetta una quantita di energia maggiore di quella ricevuta dal Sole,
una evidenza da porsi forse in relazione con una residua lenta contrazione.
La Fig. 5.8 mostra come al diminuire del contenuto di metalli e/o allaumentare del con-
tenuto di elio le sequenze principali si spostino verso maggiori temperature effettive, mentre
13
Fig. 5.10. Andamento con la frazione di massa delle variabili fisiche e chimiche in un modello
di MS di 1.25 M , Z=0.001, Y=0.1. Le variabili sono normalizzate ai valori L=7.16 1033 erg/sec,
P=2.05 1018 dyn/cm2 , =87.81, T=14.88 106 K, R=6.84 1011 cm, X3 =6.37 104 , X12 =1.41 104 ,
X14 =2.41 104
a parita di massa le strutture risultano piu luminose. Questa ultima evidenza indica senza
ambiguita un aumento delle temperature centrali, come peraltro verificabile nel riquadro de-
stro della stessa figura. Notiamo subito che la dipendenza della collocazione nel diagramma
HR dal contenuto di elementi pesanti rende ragione della collocazione in tale diagramma
delle subnane di campo, le stelle povere di metalli che transitano nelle vicinanza del Sole (
Cap.1). Laumento della luminosita lascia anche prevedere che al diminuire del contenuto di
metalli diminuisca anche la durata, a parita di massa, della fase di combustione di idrogeno.
La risposta delle strutture alle variazioni di elio puo essere compresa osservando che, a
parita di densita, lincremento della percentuale di elio diminuisce il numero di particelle: la
struttura deve contrarre e aumentare la sua temperatura per contrastare laumentata grav-
itazione. Ogni volta che si aumenta il peso molecolare, troveremo strutture piu calde e piu
luminose. La Fig. 5.10 riporta una estesa analisi della collocazione delle Sequenze Principali
al variare del contenuto di elio. Spingendosi verso il limite X (abbondanza di idrogeno)0 le
sequenze coprono una vasta ma limitata fascia del diagramma H R, per balzare a temperature
efficaci notevolmente piu alte per X=0. Tale balzo e collegato alla variazione nel meccan-
ismo di combustione che, allesaurimento dellidrogeno, deve passare dalla combustione di
tale elemento alla combustione 3, che richiede molto maggiori temperature centrali.
Si noti che se le stelle foseero oggetto di efficienti rimescolamenti interni evolverebbero
mantenendosi omogenee, accrescendo col tempo il loro contenuto di elio. La loro traccia evo-
lutiva dovrebbe dunque seguire le linee a massa costante in Fig.5.9, spostandosi sulla sinistra
della Sequenza Principale. Tale approccio topologico fornisce una semplice risposta ad un
delicato problema: levidenza di rotazione delle strutture stellari puo lasciar sospettare che
fenomeni di circolazione meridiana rimescolino la struttura, mantenendola omogene. La va-
lutazione teorica dellefficienza di tali rimescolamenti e collegata a non semplici valutazioni
sulla viscosita del gas stellare, e potrebbe apparire dubbia. La riposta osservativa e esplicita-
mente e inconfutabilmente negativa, mostrando che levoluzione sposta le strutture non sulla
sinistra ma sulla destra della Sequenza Principale. Sara dunque levoluzione disomogenea a
14
Fig. 5.11. Andamento schematico dellabbondanza di idrogeno durante levoluzione di una strut-
tura della SPI. I numeri segnalano nellordine la sequenza temporale.Le linee a tratti segnalano il
passaggio alla combustione CNO.
dover rendere conto degli osservabili, cosa che fara con buon successo. Conviene peraltro
ancora una volta ricordare come lincertezza sulla lunghezza di rimescolamento si traduca in
una indeterminazione sul valore della temperatura efficace in stelle con inviluppi convettivi
i cui effetti dovrano essere opportunamente valutati.
La fig. 5.10 riporta landamento delle variabili fisiche e di composizione in un modello di
MS di 1.25 M . Si noti in particolare levidente presenza di un piccolo nucleo convettivo e
levoluzione dei diversi elementi chimici che intervengono nelle due combustioni pp e CNO.
La caratteristica distribuzione dell 3 He corrsiponde al fatto che nelle zone piu interne questo
elemento ha ormai raggiunto la sua abbondanza di equilibrio (che cresce al diminuire della
temperatura) mente nelle zone piu esterne non e stato ancora formato.
Qui come sempre nel seguito, occorre ricordare come la indeterminazione sulla lunghezza
di rimescolamento si traduca in una indeterminazione sui valori assoluti delle temperature
con inviluppi convettivi ( A6.1), indeterminazione che e necessario tenere in considerazione
ogniqualvolta si proceda allinterpretazione di dati osservativi.
Fig. 5.12. Andamento schematico dellabbondanza di idrogeno durante levoluzione di una strut-
tura della SPS. I numeri segnalano nellordine la sequenza temporale.
Fig. 5.13. Tracce evolutive nel diagramma HR di stelle per la composizione iniziale Y=0.30,
Z=0.10. Levoluzione e seguita a partire dal modello di ZAMS sino al massimo relativo di luminosita
(C). I punti lungo le tracce indicano decrementi di idrogeno centrale pari a X=0.1.
gap per mezzo della quale lesistenza di un nucleo convettivo nelle strutture di SPS diventa
-indirettamente- un osservabile (Fig. 5.14).
Ulteriori dettagli sulla fase di esaurimento dellidrogeno sono riportati in A5.6. Prima di
concludere questo punto dobbiamo pero aggiungere che per masse al di sopra delle 10 M ,
la fase di esaurimento dellidrogeno si complica per la presenza di un ulteriore fenomeno:
lenergia emessa dai nuclei in contrazione si traduce in un flusso cos grande che nelle regioni
che circondano il nucleo il gradiente radiativo viene spinto a superare quello adiabatico e le
zone diventano, almeno formalmente, convettive.
Abbiamo detto almeno formalmente perche e adesso necessario osservare che nella
derivazione del criterio di Schwarzschild si era a suo tempo fatta limplicita assunzione di
materia chimicamente omogenea. La zona che contorna il nucleo in contrazione presenta
invece un gradiente di elio, la cui abbondanza va progressivamente crescendo verso linterno
come risultato della progressiva diminuzione delle dimensioni del nucleo convettivo original-
mente presente nel modello di ZAMS.
Lesistenza di un tale gradiente di peso molecolare tende a stabilizzare la zona piu di
quanto previsto dal criterio di Schwarzschild: al termine di uno spostamento adiabatico gli
elementi possono trovarsi piu caldi dellambiente circostante ed essere peraltro richiamati
17
Approfondimenti
P = K = K(n+1)/n
le equazioni di equilibrio si riducano conducano a modelli politropici, dalle gia discusse carat-
teristiche. Gli indici che corrispondono alle due diverse formulazioni della relazione tra pressione e
densita prendono rispettivamente il nome di esponente della politropica () o di indice della politrop-
ica (n). Tra le molte possibili origini di un comportamento politropico ricordiamo:
d r2 dP dMr
( ) = G = G4r2
dr dr dr
da cui
1 d r2 dP
( ) = 4G
r2 dr dr
= c n
n1
4G
r = /A dove A = c n
(n + 1)K
1 d 2 d
( ) = n
2 d d
Fig. 5.16. La variazione col tempo e con la frazione di massa dellabbondanza di 3 He (linee
continue)in una stella di 0.6 M , Y=0.10, Z=103 . Lungo le varie curve sono riportate le eta dei
modelli in anni. La curva a tratto e punto riporta la distribuzione di 3 He al manifestarsi dellepisodio
convettivo (t= 2.7 107 anni). Le curve a tratti riportano landamento della luminosita alla massima
estensione del nucleo convettivo (a) e per t= 2.5 109 anni.
nucleo convettivo, ridistribuendo la generazione di energia e finendo cos con linibire la convezione
fino a farla scomparire.
A causa di tale meccanismo le stelle di piccola massa sperimentano nelle fasi di approccio e
nelle fasi iniziali di MS un episodio di convezione centrale, la cui limitata estensione, nella struttura
come nel tempo, ha effetti trascurabili sulla successiva storia evolutiva della struttura.
Leliosismologia si andata sviluppando solo in tempi relativamente recenti. Nei primi anni
90 diventava ad esempio operativo il programma GONG (Global Oscillation Network Group)
destinato a tenere sotto continua osservazione il Sole grazie a sei stazioni di osservazione dis-
tribuite regolarmente in longitudine. Nel 1995 veniva inoltre lanciato il satellite SOHO (SOlar
and Heliospheric Observatory), una collaborazione ESA/NASA dedicata allosservazione continua
del Sole dallo spazio. La disponibilita di informazioni sperimentali sullinterno della struttura solare
ha stimolato un rilevante progresso nella nostra capacita di produrre accurate previsioni teoriche
sulla struttura ed evoluzione non solo del Sole ma anche delle altre stelle. Laffidabilita dei mod-
elli stellari, come sviluppatisi negli ultimi decenni del XX secolo anche grazie alla disponibilita di
moderni e veloci calcolatori elettronici, dipende infatti criticamente dalla accuratezza con cui viene
descritto il comportamento della materia e della radiazione in condizioni stellari.
Nel caso del Sole, la possibilita di confrontare le predizioni dei modelli con i dati eliosismologici
ha stimolato un grande progresso in tali valutazioni, ponendo inoltre in luce lefficienza nel Sole di
meccanismi di diffusione che erano in prededenza generalmente trascurati nei calcoli evolutivi. A
livello microscopico per ogni specie ionica i si puo definire una velocita di migrazione
T 5/2
vi = i
con
Tab. 2. Distribuzione di alcune grandezze fisiche lungo il Modello Standard con diffudione micro-
scopica
Le strutture cos calcolate risultano peraltro in grave disaccordo con i dati eliosismologici che
forniscono, ad esempio, il velore di P/ lungo tutta la struttura. Lintroduzione di meccanismi
di diffusione complica ovviamente le procedure, perche si deve anche ricavare una composizione
chimica originale che, tenendo conto della diffusione atmosferica, produca infine il valore di Z/X
ricavato dagli spettri del Sole attuale. Come risultato di tale introduzione le valutazioni teoriche
hanno raggiunto un insperato grado di affidabilita, come mostrato nella Figura 5.17, che mostra
leccellente accordo del rapporto tra pressione e densit (P/) allinterno del Sole, come ricavato
23
dalleliosismologia, con le previsioni del modello teorico solare. Grazie anche a tali verifiche speri-
mentali, siamo oggi in grado di valutare con ragionevole precisione le storia evolutiva delle stelle,
in generale, ed in particolare quella del nostro Sole. La Figura 5 riassume schematicamente quanto
oggi sappiamo non solo sulla storia passata del nostro astro, ma anche sulla sua prevista evoluzione
nei prossimi 5 miliardi di anni.
p + p D + e E = 0.42M ev
7
Be + e 7 Li + e E = 0.86M ev
8 8 +
B Be + e + e E = 14.06M ev
ove per ogni reazione riportata lenergia massima posseduta dai neutrini prodotti.
24
Fig. 5.19. Lo spettro dei neutrini solari predetto dal Modello Solare Standard. Le frecce riportano
la soglia dei vari esperimenti di rivelazione.
e +71 Ga 71 Ge + e
25
Fig. 5.20. Le condizioni imposte dagli esperimenti di Homestake e Kamiokande ai flussi di neutrini
del Be e B.
era sufficientemente bassa per rivelare neutrini provenienti da tutte le reazioni supposte esistenti
nel Sole. Il deficit di neutrini riscontrato anche in questi esperimenti, interpretabile ancora sulla
falsariga dello scenario di Fig.5.20, puntava decisamente in direzione delle oscillazioni del neutrino.
La soluzione definitiva del problema venuta solo nel 2001, con lesperimento di Sudbury che utilizza
linterazione tra neutrino e deuterio per studiare contemporaneamente la presenza sia di neutrini
elettronici che di altro tipo. Le due reazioni utilizzate sono:
e + D p + p + e
+D p+n+
Anche dal confronto con i risultati degli esperimenti precedenti, se ne tratta la chiara e definitiva
evidenza per un flusso dei neutrini in pieno accordo con le previsioni teoriche e la contemporanea
evidenza per loscillazione dei neutrini elettronici in neutrini di altro tipo, aprendo cos la strada
ad un nuovo capitolo della fisica fondamentale.
Fig. 5.21. Distribuzione delle concentrazioni in massa degli elementi primari o pseudoprimari
allinterno di una struttura di 1 M prima (linee continue) e dopo (linee a punti) lesaurimento
dellidrogeno centrale. Tutte le grandezze sono normalizzate al loro valore massimo.
Fig. 5.24. Diagramma CM dellammasso giovane globulare della Grande Nube di Magellano
NGC2004. La linea mostra la traccia evolutiva di una stella di 16 M calcolata adottando il criterio
di Ledoux.
non necessariamente coincide con la fase di temperature efficaci crescenti (tratto A-B in Fig. 5.13),
potendosi estendere anche alle fasi successive, come facilmente deducibile dai dati di Fig. 5.22.
Passando al caso delle shell di convezione in stelle massicce, lalternativa applicazione dei cri-
teri di Schwarzschild o di Ledoux porta, come abbiamo indicato, allesistenza o meno dell insta-
bilita, con macroscopiche conseguenze sulle caratteristiche evolutive. La Fig. 5.23 riporta ad esempio
landamento temporale della temperatura efficace in una stella di 20 M valutato sotto le due al-
ternative ipotesi. Assumendo il criterio de Ledoux allesaurimento dellidrogeno la stella si sposta
bruscamente nella zona delle giganti rosse, ove proseguira la sua vita innescando la combustione
dellelio. Dal criterio di Schwarschild si ricaverebbe invece che la stella si sposta lentamente dalla sua
posizione di MS, innescando lelio avendo ancora un temperatura efficace di 10000 K. a Fig. 5.24
mostra che ammassi globulari giovani nella Grande Nube di Magellano (LMC= Large Magellanic
Cloud) presentano un gruppo ben separato di giganti rosse, mostrando cos che il criterio di Ledoux
produce, perlomeno, modelli stellari molto piu vicini alla realta delle cose.
28
Fig.5.1 Cameron A.G.W. 1971, in Structure and Evolution of the Galaxy, Reidel
Fig.5.2 Ezer D., Cameron A.G.W. 1965, Canad. J. Phys. 49, 1497.
Fig.5.3 Iben I.Jr. 1965, ApJ 141, 993
Fig.5.4 Iben I.Jr. 1965, ApJ 141, 993
Fig.5.5 Caloi V., Castellani V., Firmani C., Renzini A. 1968, Mem. SAIt 39, 409
Fig.5.6 Caputo F., Castellani V., DAntona F. 1974, Astrophys. Space Sci. 28, 303
Fig.5.7 Caputo F., Castellani V., DAntona F. 1974, Astrophys. Space Sci. 28, 303
Fig.5.8 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.5.9 Caloi V., Castellani V. 1975, Astrophys. Space Sci. 39, 335
Fig.5.10 Castellani V., Renzini A. 1968, Astrophys. Space Sci. 2, 83
Fig.5.11 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.5.12 Castellani V. 1985, Astrofisica Stellare, Zanichelli
Fig.5.13 Caloi V., Castellani V., Di Paolo N. 1974, A&A 30, 349
Fig.5.14 Montgomery K.A., Marschall L.A., Janes K.A. 1993, AJ 106, 181
Fig.5.16 Caloi V., Castellani V., Firmani C., Renzini A. 1968, Mem. SAIt 39, 409
Fig.5.17 DeglInnocenti S., Dziembowski W.A., Fiorentini G., Ricci B. 1997, Astroparticle Phys. 7, 77
Fig.5.18 Castellani V., 2002, Lezioni Galileiane X, 423, Museo della Scienza, Firenze
Fig.5.20 Castellani V., DeglInnocenti S., Fiorentini G., Lissia M., Ricci B. 1997, Phys. Reports 281, 566
Fig.5.21 Castellani V., Giannone P., Renzini A. 1971, Mem. SAIt 42, 73
Fig.5.21 Tornambe A. 1980, Tesi di Laure, Universita La Sapienza.
Fig.5.21 Bencivenni D., Brocato E., Buonanno R., Castellani V. 1991, AJ 102, 137
Fig.5.21 Brocato E., Castellani V. 1993, ApJ 410,99
Capitolo 6
Fig. 6.1. Tracce evolutive nel diagramma HR per stelle di Pop.I di varie masse. Il punto 6 ndica
il terrmine della combustione di H in shell e linnesco della combustione dellelio.
1
2
Tab. 1. Tempi evolutivi (milioni di anni) per le due strutture di 3 e 5 M alle fasi riportate in Fig.
6.1
Fase 2 3 5 6 9
3 Modot 227 239 249 253 326
5 Modot 65.5 68.2 70.3 70.8 87.8
Al progredire della combustione lidrogeno che circonda il nucleo inerte di elio viene
trasformato anchesso in elio. Il nucleo aumenta quindi con continuita la propria massa
mentre la shell di combustione interesssa progressivamente strati sempre piu esterni. In ogni
caso la combustione e ormai dominata dal ciclo CNO. Causa lassenza di sorgenti di energia,
il nucleo di elio tende inizialmente verso una struttura isoterma, reagendo poi alla continua
sua crescita in massa con una contrazione e conseguente riscaldamento che condurra infine
allinnesco delle reazioni dellelio.
Stelle della SPS dopo la fase di overall contraction permangono nei pressi della Sequenza
Principale sinche il nucleo di elio raggiunge 10% della massa totale della stella. E questo
il limite di Schoenberg Chandrasekhar, dal nome dei due ricercatori che nel 1942 mostrarono
con trattamento analitico come al di sopra di questo limite non siano ammesse soluzioni
delle equazioni di equilibrio che si raccordino con un nucleo isotermo. Raggiunto tale limite
i nuclei iniziano una fase di contrazione mentre la struttura si porta verso la traccia di
Hayashi dove, dopo breve risalita, giungono ad innescare la combustione centrale dellelio.
Questa fase si sviluppa con tempi scala molto minori sia di quelli precedenti che di quelli
della successiva combustione dellelio. Ci si attende quindi che la zona del diagramma HR
compresa tra la Sequenza Principale e le Giganti Rosse in fase di combustione di elio sia
scarsamente popolata, accadomento peraltro gia evidenziato dalle osservazioni di ammassi
giovani (Fig. 6.2), noto in letteratura come Gap di Herizsprung. I dati in Tabella 2 riportano
a titolo di esempio i tempi alle diverse fasi evolutive di due strutture della Fig. 6.1.
Stelle con massa superiore a circa 6 M hanno in Sequenza Principale nuclei convettivi
che gia superano il limite di Schoenberg Chandrasekhar: lesaurimento del idrogeno centrale
e seguito immediatamente dalla contrazione del nucleo di elio con il conseguente spostamento
verso la traccia di Hayashi dove innescano la combustione 3. Stelle ancora piu massicce
( 15 M ) finiscono con innescare le reazioni dellelio ancor prima di raggiungere la traccia
di Hayashi (vedi Fig. 6.1), che verra raggiunta solo al termine della successiva combustione
dellelio . In caso di strutture povere di metalli, decresce il limite inferiore per tale combus-
3
Fig. 6.3. Tracce evolutive di stelle di SPS per le indicate masse e composizioni chimiche. I punti
sulle tracce riportano nellordine: ZAMS, esaurimento idrogeno centrale, inizio combustione centrale
di elio, esaurimento elio centrale.
Fig. 6.4. Caratteristiche strutturali di una stella si 6 M , Y=0.20, Z= 104 nella fase di MS
(pannello superiore) e nella fase di combustione di idrogeno a shell (pannello inferiore). Le grandezze
sono normalizzate al loro valore massimo.
tione precoce dellelio (Fig.6.3). Tale comportamento puo essere agevolmente interpretato
ricordando che al diminuire di Z aumentano temperature centrali e luminosita delle stelle,
aumentando con queste anche le dimensioni in massa del nucleo convettivo. Vengono cosi
simulate condizioni che a Z maggiori sono caratteristiche di stelle piu massicce.
In stelle con massa inferiore a, circa, 2.5 M nel nucleo di elio cominciano invece a
manifestarsi gli effetti della degenerazione elettronica, che accomunera la storia evolutiva di
tali strutture a quella delle strutture della SPI che verra discussa nella prossima sezione.
4
La Fig. 6.4 riporta alcuni dettagli della struttura di una stella di 6 M in fase di com-
bustione centrale di idrogeno (pannello superiore) e nella fase di combustione a shell che
segue lesaurimento dellidrogeno centrale. Si noti nella struttura di MS il gradiente di elio
conseguente allarretramento del nucleo convettivo e nella struttura a shell il gradiente di
temperatura nel nucleo che segnala la contrazione del medesimo e, negli strati esterni al
nucleo, la diminuzione di luminosita che segnala il riassorbimento di energia legato alla es-
pensione dellinviluppo. La Fig.6.5 illustra infine landamento temporale di una struttura
di 7 M secondo una rappresentazione tipica della scuola evolutiva tedesca di Kippenhan e
collaboratori.
Fig. 6.6. Tracce evolutive di due stelle di piccola massa. I punti lumgo le tracce indicano variazioni
di 0.1 nellabbondanza centrale di idrogeno. Lungo il ramo delle Giganti Rosse sono indicati inoltre
i punti: MC = massimo affondamento della convezione superficiale; D = la shell di combustione
raggiunge la discontinuita nellabbondanza di idrogeno; HE = He flash
cente efficienza meccanismi di produzione di termoneutrini, che estraendo energia dal nucleo
stesso (raffreddando il nucleo) ostacolano ulteriormente linnalzamento delle temperature
e ritardano linnesco dellelio.
In tali condizioni una struttura viene a perdere energia da due distinte regioni: la super-
ficie, tramite fotoni, e le zone centrali, tramite neutrini. Lenergia prodotta dalle reazioni
nucleari deve quindi fluire a compensare amboedue queste perdite e, conseguentemente, la
temperatura raggiunge un massimo in una regione intermedia per decrescere sia verso la
superficie che verso il centro della stella. Ne segue anche che linnesco dellelio avverra non
al centro della struttura ma in una shell. Al ritardo dellinnesco dellelio causato dai ter-
moneutrini corrisponde una accresciuta massa del nucleo di elio al momento dellinnseco.
Tale variazione, pur se contenuta in pochi percento, avra sensibili conseguenze sulla lumi-
nosita delle strutture nella successiva fase di combustione centrale di elio, cosi che i relativi
riscontri osservarvi forniscono una macroscopica sperimentazione dei processi di interazione
debole.
Linnesco delle combustioni 3a avviene quando il nucleo di elio raggiunge una massa
di circa 0.5 M , il valore esatto dipendendo leggermente dalla massa e dalla composizione
chimica. Linnesco di una fusione nucleare in materia elettronicamente degenere da luogo ad
un processo reazionato positivamente che inizialmente tende a divergere: lenergia prodotta
innalza la temperatura locale lasciando inalterata la pressione che e essenzialmente for-
nita dagli elettrono degeneri. La stella dunque non reagisce espandendosi, e lunico effetto
dellinnalzamento di temperatura e di incrementare ulteriormente la velocita delle reazioni,
stimolando lemissione di ulteriore energia. Nel caso delle Giganti Rosse di piccola massa,
la 3 procede autoincentivandosi sinche localmente non si siano raggiunte temperature in
grado di rimuovere la degenerazione attivando la controreazione dellespansione. In questa
fase, rapida ma non dinamica (r 0), lenergia prodotta dalle reazioni 3 raggiunge val-
ori dellordine di 1011 L ma senza apprezzabili variazioni delle luminosita della struttura:
lenergia prodotta viene infatti totalmente riassorbita nellespansione degli strati interni e la
violenza del fenomeno resta nascosta allinterno della struttura.
6
Fig. 6.7. Caratteristiche strutturali di una stella di 0.8 M , Y=0.20, Z= 103 dalla fine della fase
di Sequenza Principale allinnesco del flash dellelio. Si noti nellultima fase il Carbonio prodotto
dallinizio del flash. Tutte le grandezze sono normalizzate al loro valore massimo.
La Fig. 6.7 illustra le tipiche variazioni strutturali di una stella di piccola massa dalle fasi
finali di sequenza principale sino allinnesco dellelio. Si noti come, in presenza del nucleo
di He, le variabili fisiche P e T compiano in pratica lo loro intera escursione allinterno del
nucleo medesimo. Da cio la larga insensibilita dellevoluzione del nucleo alle caratteristiche
dellinviluppo, che viene sentito come una trascurabile modifica alle condizioni al bordo del
nucleo P0 e T0. Caratteristica di queste fasi e anche lestrema sottigliezza della shell di
combustione dellidrogeno. Nelle fasi piu avanzate lintera energia finisce con lessere prodotta
in uno strato contenente non piu di 103 104 della massa totale ( fase di shell sottile). Per
meglio comprendere questa evidenza si puo usare unimmagine gastronomica, asserendo che
lidrogeno viene bruciato alla piastra: viene infatti combusto giusto lidrogeno che viene
in contatto con la superficie arroventata del nucleo di elio.
Si osservi anche come il nucleo, pur giungendo a contenere piu di meta della massa
stellare, rimanga sempre di dimensioni estremamente ridotte. Una Gigante Rossa e dunque
formata da un esteso e tenue inviluppo ricco di idrogeno che quasi galleggia attorno ad un
punto, il nucleo, che fornisce gravita. A confortare tale pittura basti avvisare che a meta del
raggio di una Gigante Rossa la densita e ancora inferiore alla densit dellatmosfera terrestre.
Aggiungiamo infine che il nucleo cresce col tempo in massa ma non in raggio, raggio che anzi
diminuisce leggermente e progressivamente. Questo processo si puo comprendere osservando
che lidrogeno trasformandosi in elio aumenta la massa del nucleo di He degenere, e gia
sappiamo che le strutture degeneri al crescere della massa devono diminuire il raggio. Tale
diminuzione non segue peraltro esattamente la relazione delle Nane Bianche perche il nucleo
di He e solo parzialmente degenere.
In conclusione, le Giganti Rosse di piccola massa formano ed accrescono nel loro interno
una embrione di stella di elio che giungera infine ad innescare la combustione 3 una volta
raggiunta la indicata massa critica. Si comprende anche cosi la limitata influenza di massa
e composizione chimica originaria sul valore di tale massa critica. Stelle di massa minore di
0.5 M 0 non sono ovviamente in grado di inescare la combustione di elio. Esse dovranno
7
Tab. 2. Evoluzione temporale dei parametri fisici per la struttura di 0.9 M di Fig. 6.6
terminare la loro evoluzione con una fase di raffreddamento sotto forma di Nane Bianche di
elio.
La Tabella 2 riporta levoluzione temporale di alcuni parametri strutturali caratterizzanti
levoluzione di una piccola massa sino al flash. Notiamo solamente come losservazione delle
Giganti Rosse e dei loro successori evolutivi consenta di sperimentare astronomicamente
il comportamento di un gas di elio a temperature di poco inferiori ai 100 milioni di gradi e a
densita dellordine di 1 tonnellata per centimetro cubo, ben al di la quindi delle possibilita
sperimentali nei laboratori terrestri.
Fig. 6.8. Andamento schematico della abbondanza di idrogeno in una struttura di piccola massa
dopo il primo dredge up .
Fig. 6.9. Evoluzione temporale della massa del nucleo di He (Me) e della profondit dellinviluppo
convettivo (Mce) in funzione dela luminosit della struttura per alcuni modelli di Gigante Rossa. I
numeri tra parentesi riportano, nellordine, la massa, il contenuto originario di elio e la metallicit
dei modelli .
massa del nucleo di elio la convezione venga respinta verso lalto, mantenendosi in contiguita
del nucleo stesso, con la shell di combustione che finisce necessariamente col raggiungere la
zona della discontinuita. I modelli predicono che quando la shell incontra la discontinuita,
la struttura reagisce dimunendo leggermente la luminosita (logL 0.03) per riprendere la
sua regolare ascesa sul ramo delle giganti dopo essersi adattata alla nuova abbondanza di
idrogeno. Vi e dunque un breve tratto del ramo delle giganti che viene percorso in totale tre
volte, e nel quale le stelle spendono quindi un tempo eccezionalmente lungo rispetto ai tempi
con i quali vengono percorsi gli altri tratti del ramo. Corrispondentemente ci si attende che
cio venga segnalato da una anomala sovrabbondanza di stelle, puntualmente osservata nei
diagrammi osservativi degli animassi globulari (Fig. 6.10), cui viene dato il nome di Red
Giant Bump.
Per portare tale problematica in forma quantitativa possiamo definire
t dt
=
logL dlogL
tempo specifico impiegato da una stella per percorrere un tratto il Ramo delle Giganti,
inverso di una corrispondente velocita evolutiva. Dai modelli stellari si ricava, fuori dal bump,
log logL. Si puo mostrare che tale proporzionalita discende dallesistenza di una relazione
massa del nucleo-luminosita. La fase in cui la shell incontra la discontinuita introduce in
questa regolare dipendenza un temporaneo allungamento dei tempi evolutivi. I risultati
dei calcoli evolutivi, come riportati in Fig 6.11, indicano che luminosita e consistenza del
bump dipendono dalla massa e dalla composizione chimica della stella evolvente. Dai dati
in figura si ricava in particolare che la luminosita decresce al diminuire dellelio originale e/o
9
Fig. 6.10. Diagramma CM dellammasso globulare galattico 47Tuc, con indicato levidente RG
bump.
Fig. 6.11. Logaritmo dei tempi specifici in funzione di logL per una Gigante Rossa di 0.8 M per
tre modelli con le indicate abbondanze originali di idrogeno (X) e d metalli (Z). Per ogni modello
sono indicati i sovratempi prodotti dallincontro della shell di combustione con la discontinuita
chimica.
allaumentare della metallicita, come peraltro si pu ricavare anche dai dati in Fig.6.8. La
luminosita del bump decresce inoltre anche al diminuire della massa.
Notiamo infine che una Gigante Rossa approssima ma non realizza a pieno una struttura
completamente convettiva. Conseguentemente e quindi improprio, anche se diffuso, identifi-
care la traccia di una gigante con la relativa traccia di Hayashi. Piu propriamente diremo che
un gigante si colloca su una isoconvettiva corrispondente al limite effettivo della convezione
dato dalla massa del nucleo di elio. Da tali considerazioni discende anche che la collocazione
della traccia di gigante NON dipende dai meccanismi di combustione dellidrogeno ma solo
dalle dimensioni del nucleo di elio e dalle caratteristiche (massa e composizione chimica)
dellinviluppo.
Fig. 6.12. Linee evolutive (punti) per una prefissata composizione chimica e per gli indicati valori
delle masse. Le linee mostrano le corrispondenti isocrone, per quattro diverse et (in miliardi di anni).
ricostruzione della distribuzione nel diagramma HR di stelle in ammassi stellari, per le quali
e lecito assumere una comune eta e composizione chimica. Si dovra a tale scopo identificare
il luogo del diagramma HR ove si distribuiscono stelle con prefissata composizione chimica
al variare della massa e per ogni prefissata eta dellammasso. Il luogo cosi identificato prende
il nome di isocrona.
La costruzione di un isocrona resta collegata al calcolo di un sufficiente campione di tracce
evolutive al variare della massa stellare, cosi da ricavare tramite opportune interpolazieni
delle relazioni L(M,t) e Te(M,T) fornite dalle tracce stellari landamento dei due parametri
L e Te in funzione della massa per ogni prefissata eta. La Fig. 6.12 mostra un esempio dei
risultati di tali procedure, dal quale si riconosce come le isocrone, pur conservando una stretta
analogia con le tracce evolutive, siano cosa essenzialmente diversa. Poiche al crescere della
masse diminuiscono i tempi evolutivi, una tipica isocrona sara formata dalle masse minori
ancora in sequenza principale per avere tempi evolutivi di sequenza maggiori della fissata eta,
ed un ristretto intervallo di masse che si distribuiscono nelle fasi fuori sequenza. Allavanzare
della fase evolutiva cresce in generale la velocita di evoluzione, intesa come velocita con la
quale viene percorsa lascissa curvilinea del cammino evolutivo. Di conseguenza diminuisce
il gradiente di massa lungo lisocrona e lisocrona stessa finisce col coincidere con la traccia
evolutiva della tipica massa in fase di evoluzione avanzata.
Nel caso di isocrone popolate da piccole masse (eta superiori a qualche miliardo di anni)
cio avviene circa in corrispondenza della base del ramo delle giganti rosse (RGB= Red Giant
Branch): non solo per tale ramo ma anche per tutte le successive fasi di combustione nu-
cleare e lecito confondere lisocrona con la traccia evolutiva e, in tal caso, assumere che il
popolamento dellisocrona sia proporzionale ai relativi tempi evolutivi ( A6.5). Il popo-
lamento della Sequenza Principale risulta invece governato dalla distribuzione delle masse,
distribuzione che tornera a governare anche il popolamento della fase finale di raffreddamento
delle Nane Bianche, che giunge nuovamente a coprire lunghi tempi evolutivi.
La Fig. 6.13 riporta a titolo di esempio un fascio di isocrone calcolate per diverse eta
nellintervallo 3-24 miliardi di anni. E immediato riconoscere come tali isocrone rendano
11
Fig. 6.13. Linee isocrone per le fasi di combustione di H. Le isocrone sono ordinate da 1 a 19 e
per ogni isocrona e riportatata leta in 1010 anni).
pienamente conto - almeno qualitativamente- di una parte notevole della distribuzione nel
diagramma CM osservate negli ammassi globulari, che deve quindi essere interpetata come
evidenza di stelle in fase di combustione di idrogeno, al centro e in shell. La variazione delle
isocrone con il tempo rappresenta 1o orologio con cui potremo valutare leta degli ammassi
stellari, orologio calibrabile tramite la luminosita del punto di massima temperatura efficace
(punto di Turn Off) segnalato in figura. Si preferice la luminosita perch la temperatura
efficace, altra possibile scelta, e affetta dalle incertezze sul trattamento della convezione
superficiale superadiabatica. Da un punto di vista della modellistica stellare notiamo che al
crescere delleta diminuisce la massa delle giganti e il ramo delle giganti s sposta leggermente
verso le minori temperature, in accordo con la gia dicussa dipendenza della traccia di Hayshi
dalla massa. La presenza nei diagrammi osservativi delle ulteriori fasi di Ramo Orizzontale
(HB) e di Ramo Asintotico(AGB) viene ora automaticamente a configurarsi come evidenza
di fasi successive alla combustione dellidrogeno, dunque alle fasi di combustione dellelio.
Il Ramo delle Giganti segnala linstaurarsi della degenerazione elettronica nei nuclei
di elio nella fase di combustione a shell dellidrogeno e segnala quindi nel contempo, la
presenza sul ramo di stelle di piccola massa e di conseguenza una eta dellammasso di
almeno qualche miliardo di anni. Troviamo cosi conferma allipotesi di lavoro avanzata giusto
allinizio della nostra indagine secondo la quale rosso significa vecchio. Ammassi o, piu
in generale, popolazioni stellari giovani non producono rami d giganti e vi dominano stelle
blu di MS. Allaumentare delleta diminuisce la massa evolvente e, allorche si raggiunge la
massa critica per la degenerazione dei nuclei di elio, appare il ramo delle giganti. Si ha cosi
una rapida transizione a popolazioni dominate da giganti a bassa temperatura, designata in
letteratura come la Red Giani Transition.
Sulla base di una approfondita valutazione dellandamento delle isocrone teoriche,
trasportate nel piano osservativo Colore-Magnitudie, si sviluppano i programmi interpre-
tativi che consistono, in linea generale, nellidentificare lisocrona che rende ragione della
distribuzione osservatva, ricavando cosi indicazioni non solo sulleta ma anche su altri im-
portanti parametri degli ammassi. A titolo di esempio anticipiamo in Fig. 6.14 un esempio
del confronto teoria osservazione dal quale si ricava per lammasso globulare M5 un eta di
12 Gyr e un modulo di distanza (m-M)V 14.6 mag. E duso inoltre identificare nelle
12
Fig. 6.14. Confronto tra le isocrone teoriche e la osservata distribuzione nel diagramma CM delle
stelle nellAmmasso Globulare galattico M5.
isocrone tutta una serie di parametri con chiara corrispondenza osservativa e larga affid-
abilita teorica, quale ad esempio la luminosita del Turn Off, da cui ottenere informazioni
sullo stato evolutivo di un ammasso.
Nella pratica si tende a indagare il maggior numero possibile di relazioni teorico osser-
vative non soltanto per sopperire a possibili indeterminazioni teoriche (quali quelle sulla
temperatura efficace delle Giganti Rosse) ma anche per sincerarsi attraverso la ridondanza
del sistema, della piena adeguatezza del quadro teorico, garantendo la congruita di tutti
gli ingredienti fisci che sono alla base delle valutazioni evolutive. In questo senso le stelle
finiscono col fornirci informazioni non solo sulla loro stessa storia, ma anche sulle leggi fon-
damentali della fisica e sulla conseguente efficienza di meccanismi fisici quali le reazioni
nucleari, le interazioni deboli e cosi di seguito. Di particolare rilevanza e anche luso delle
strutture stellari per porre condizioni alle possibili evoluzioni verso la nuova fsica richiesta
dallevidenza di una massa dei neutrini. Cosi, ad esempio, levidenza osservativa ha con-
sentito di dedurre dalle strutture stellari un limite superiore di IO11 magnetoni di Bohr al
momento magnetico del neutrone, perfezionando i limiti di laboratorio.
Osserviamo infine che, ove sia assegnata una distribuzione di massa iniziale, attraverso
le isocrone e facile ricavare non solo il luogo geometrico della distribuzione delle stelle nel
diagramma HR (e CM) ma anche la distribuzione delle singole stelle lungo tale luogo, costru-
endo quelli che nel seguito indicheremo come Diagrammi HR Sintetici.
13
Approfondimenti
dr
HP =
dlogP
Con analoga definizione e stata usata anche laltezza di scala della densita H che ha il pregio
di non consentire inversioni di pressione ma il contemporaneo difetto di richiedere valutazioni piu
onerose, attraverso opportune iterazioni.
Per HP si ha infatti direttamente
1 dlogP 1 dP GMr
= = =
HP dr P dr P r2
mentre per H , ricordando che P = H
T da cui dlogP = dlog + dlogT , si ha
che mostra come il valore di H dipenda dal gradiente di temperatura che esso stesso condiziona, da
cui la necessita di procedure iterative. Si noti che risulta H = Hp /(1 ) , da cui risulta H > HP
ma anche 1 che e facilmente riconoscbile come condizione per non avere inversioni di densita.
La lunghezza di rimescolamento regola d fatto lefficienza della convezione: diminuire l significa
ridurre lefficienza del trasporto convettivo (nullo per l=0) e di conseguenza aumentare il gradiente
locale, sino a portarlo sul gradiente radiativo per l=0. La Fig.6.15 riporta i risultati di un esperimento
numerico, mostrando leffetto di diverse assunzioni su l sullandamento di pressione e temperatura
nellinviluppo di una struttura di 1 M supposta a logL=3, logTe=3.57. Minore il valore di l
maggiore il gradiente, e quindi viene raggiunta piu rapidamente la ionizzazione totale e minore e
lestensione della zona convettiva. In ogni caso, tutte le integrazioni convergono verso linterno ad un
comune andamento, a indicazione che il trattamento della convezione superadiabatica non modifica
la struttuta interna di una stella e, quindi, non influenza la luminosita della struttura. Le variazioni
indotte nella zona convettiva diventano infatti rapidamente trascurabili a confronto della variazioni
nelle zone piu interne.
Ne segue la regola generale per la quale lincertezza su l si traduce in una incertezza sui raggi
stellari (sulle temperature efficaci) ma non sulle luminosita. Leffetto sulle strutture stellari puo
essere compreso osservando che se la temperatura centrale e determinata dallefficienza delle reazioni
nucleari allora minore l implica maggior gradiente nelle regioni superadiabatiche e, in definitiva,
minore temperatura efficace alla superfcie (= maggiori raggi stellari). Tale effetto risulta tanto
piu rilevante quanto minore la densita degli inviluppi e, quindi, tanto maggiore la richiesta di
superadiabaticita.
La Fig.6.16 mostra le varie collocazioni nel diagramma HR di una Sequenza Principale calcolata
con diverse lunghezze di rimescolamento. Strutture con logTe 3.9 non risentono del valore della
14
Fig. 6.16. Collocazione nel diagramma HR di Sequenze principali (Y=0.10, Z=103 ) per varie
assunzioni sulla lunghezza di rimescolamento.
mxing length per avere inviluppi radiativi o con convezione in questo contesto trascurabile. Al
di sotto di questa temperatura, come previsto, allaumentare della mixing length le strutture si
spostano verso temperature efficaci maggiori. Si noti peraltro come al diminuire della massa, e al
conseguente decrescere della temperatura efficace, linfluenza della mixing length torni a decrescere.
Cio e dovuto al fatto che al decrescere della massa cresce la densita negli inviluppi e stelle di massa
molto piccola tendono conseguentemente a sviluppare strati convettivi sempre piu adiabatici.
Levoluzione verso una Gigante Rossa implica invece unespansione degli inviluppi ed una dras-
tica diminuzione delle densita subatmosferiche, con conseguente richiesta di forte superadiabaticita.
Se ne hanno, in linea di principio, le drammatiche consegueze illustrate in Fig.6.17 nel caso di
una struttura di 1 M . La Figura mostra come la lunghezza di rimescolamento abbia una limitata
influenza anche sulla luminosita del Bump delle Giganti Rosse. Aumentando il valore di l tale
luminosita tende ad aumentare leggermente: se ne trae levidenza che allaumentare di l diminuisce
leggermente la profondita massima raggiunta dalla convezione superficiale.
Allo stato attuale delle nostre conoscenze il valore della lunghezza di rimescolamento deve essere
ricavato tramite opportune calibrazioni su strutture reali. E molto usata la calibrazione su Modelli
Solari Standard che fornisce il valore l 1.9Hp . A priori, nulla garantisce che tale calibrazione possa
essere estesa a strutture con masse, composizioni chimiche e fasi evolutive diverse. E peraltro di
grande interesse rilevare che lo stesso valore di l produce la corretta temperatura efficace per i rami
delle Giganti Rosse negli Ammassi Globulari sopra un esteso intervallo di metallicita, talche la
15
Fig. 6.17. Tracce evolutive di una stella di 1 M per le varie indicate assunzioni sulla lunghezza di
trimescolamento.Le frecce indicano la collocazione del Bump delle Giganti Rosse.
scelta = 1.9 appare al momento la piu corretta. Notiamo infine che usare un SSM come cal-
ibratore implica tenere nel dovuto conto gli effetti della diffusione degli elementi allinterno della
struttura. Pseudo-SSM calcolati senza diffusione forniscono il valore 1.6, talvolta incongrua-
mente utilizzato in taluni calcoli evolutivi.
Fig. 6.18. Andamento delle temperature centrali in funzione della massa per stelle di MS prive di
metalli. La lnea continua mostra le temperature ricavate sotto la condizione di pura combustione
pp. La linea a punti indica la modifica causata dalla produzione di carbonio tramite reazioni 3.
La linea a tratti indica le temperature centrali per stelle di normali popolazioni.
Fig. 6.19. Tracce evolutive per stelle di piccola massa e per i due indicati valori di metallicita.
temperatura continua a crescere sino a raggiungere attorno alle 15 M i 108 K, cioe la temperatura
di innesco delle reazioni 3. Allulteriore crescere della massa si manifesta un fenomeno del tutto
nuovo, peraltro qualitativamente prevedibile. A 108 K inizia infatti la combustione 3 che fornisce
carbonio il quale, a sua volta, abilita il ciclo CNO, riducendo il fabbisogno di temperatura. La
produzione di carbonio cessa solamente quando lefficienza del ciclo riporta la temperatura sotto la
soglia delle reazioni 3. La conseguenza finale e che, allulteriore crescere della massa la temperatura
tende a stabilizzarsi attorno ai 108 K mentre aumenta la quantita di carbonio prodotto e messo a
disposizione delle regioni centrali convettive.
E questo il primo manifestarsi di un fenomeno generale che caratterizza levoluzione in fase di
idrogeno delle stelle prive di metalli: ogniqualvolta in fase di combustione di idrogeno levoluzione
tende a portare le temperature oltre la soglia di innesco delle 3 interviene la produzione di carbonio
che stabilizza la temperatura. Fenomeni simili sono attesi anche in strutture in cui il CNO sia
estremamente sottoabbondante. Nel seguito definiremo come strutture di Popolazione III tutte
quelle strutture prive o sottoabbondanti di metalli nella cui evoluzione si manifestano fenomeni di
combustione contemporanea H-He, separandole cos da strutture anche molto povere di metalli
(estrema Pop. II) la cui evoluzione segue le generali prescrizioni ricavate per le stelle di Pop. I e
Pop. II.
17
Fig. 6.20. Effetto di metallicita sullevoluzione fuori sequenza di stelle di piccola massa.
Tab. 3. Andamento di variabili strutturali per una stella di MS di 10 M al variare della metallicita.
MCC e Lpp rappresentano rispettivamente la frazione di massa nel nucleo convettivo e la frazione
di luminosit prodotta dalla combustione pp.
Una notevole caratteristica delle stelle sottoabbondanti in metalli riguarda le dimensioni dei
nuclei convettivi. Al diminuire della metallicita da valori solari a Z = 104 la luminosita delle stelle di
MS tende ad aumentare, con il conseguente e gia ricordato aumento dei nuclei convettivi. Al continuo
diminuire della metallicita deve crescere sempre piu il contributo della catena pp che, al limite Z=
0, e lunica efficiente. Sappiamo peraltro che la combustione pp tende a deprimere le dimensioni dei
nuclei convettivi. La conseguenza che attorno a Z =105 i nuclei convettivi raggiungono un massimo
per poi decrescere con continuita sino a raggiungere un pronunciato minimo per Z = O, (Tabella 3).
Constateremo nei prossimi capitoli come tali variazioni abbiano importanti conseguenze sul destino
finale delle stelle. La Fig. 6.19 mostra gli effetti della sottoabbondanza metallica in stelle di piccola
massa. La scomparsa della fase di overall contraction testimonia la scomparsa dei nuclei convettivi,
cosi che per Z = 108 anche una stella di 2.5 M si comporta come una struttura di MS inferiore.
Linfluenza di Z sulla caratteristiche dellevoluzione fuori sequenza e infine mostrata in Fig.6.20
: si verifica come la diminuzione del contenuto metallico da Z = 104 a Z =108 non influenzi
ormai in maniera sensibile ne la posizione di SP ne la collocazione delle Giganti Rosse. Cio e
da collegarsi alla scarsa influenza che ormai i metalli hanno sulla opacita della materia, influenza
che attorno a Z 105 - 106 diviene del tutto trascurabile. Le diverse modalita di uscita dalla
MS e di evoluzione di subgigante corrispondono invece a necessita della struttura chiaramente
interpretabili. In stelle di piccola massa lo spostamento della struttura verso la sua traccia di Hayashi
corrisponde allinstaurarsi d un efficiente combustione a shell tramite CNO. Minore labbondanza
di questi elementi piu la stella deve aspettare ad eseguire il passaggio evolvendo nei pressi della
sequenza principale. E questa una prima indicazione diretta delleffetto di variazioni di abbondanza
18
Fig. 6.21. Evoluzione strutturale di una stella di 0.7 M , Y= 0.20, Z=103 durante la fase di
innesco dellelio. Nel pannello superiore e riportato lo sviluppo temporale della convezione durante
i vari flash. La linea a punti indica landamento della posizione del massimo di temperatura. Nel
pannello inferiore sono riportati, in luminosit solari, gli andamenti della luminosit totale (L) ed i
contributi a questa delle combustioni d H e di He. Il tempo t e in 106 anni.
degli elementi CNO in stelle della SPI. Si noti infine come la luminosita cui avviene il flash vada
progressivamente decrescendo con Z, in corrispondenza delle crescenti temperature interne.
Nello scenario in precedenza adottato, le tracce evolutive nelle Pig. 6.19 e ?? sono da riguardarsi
come evoluzioni di normale ed estrema popolazione II. Stelle di 0.9 M con Z = 0 sono invece
costrette a produrre carbonio quando ancora al centro residua idrogeno, e percorrono il ramo delle
giganti con una shell di idrogeno parzialmente alimentata dal carbonio prodotto attraverso reazioni
3. Tra i problemi particolari posti dallintegrazine di strutture di Popolazione III citiamo infine
la necessita di riguardare alle alte temperature l3 He come un vero e proprio elemento secondario,
stanti i brevi tempi di equilibrio. Questo elemento non deve quindi essere rimescolato nelle zone
convettive interne. Trascurare questa avvertenza provocherebbe una abbondanza spuria di 3 He al
centro della stella, da cui un flttizio incremento della produzione di energia ed un conseguente
aumento dei nuclei convettivi.
Fig. 6.22. Percorso nel diagramma HR della struttura di cui alla Fig.6.21 durante la fase di
innesco dellelio. Il cerchietto pieno indica la posizione al flash principale; la stella linizio della fase
quiescente di combustione centrale di elio. II tempo t e in milioni di anni.
recuperera la sua efficienza solo gradualmente, tornando a contribuire sostanzialmente alla struttura
solo in prossimita dellinizio della fase di combustione di elio quiescente. I risultati principali di
tali calcoli, eseguiti sotto le usuali assunzioni di simmetria sferica e convezione interna adiabatica,
possono essere riassunti nei due seguenti punti fondamentali:
1. La convezione nel nucleo resta separata, sia pur di poco (Mr 2103 ) dalla base della shell di
idrogeno. Non si attendono quindi rimescolamenti che si ripercuotano sulla successiva efficienza
di questa shell.
2. Nel corso dei vari flash si giunge a sintetizzare una quantita di carbonio dellordine 12 X 0.05,
omogeneamente distribuito nel nucleo di elio.
La Fig.6.22 riporta il cammino evolutivo della struttura di cui alla Fig.6.21 durante la fase dei
flash e sino ai raggiungimento della combustione quiescente dellelio centrale. Poiche la durata di
questa fase risulta dellordine di 106 anni, a fronte dei 108 anni tipici per levoluzione di gigante
rossa nello stesso intervallo di luminosita, ci si attende di osservare circa una stella in fase di flash
per ogni 100 giganti rosse. Questo rende pienamente conto della lacuna osservabile negli ammassi
globulari tra il ramo delle giganti e la successiva fase di combustione di elio.
M
T
R
dalla quale, poiche M 7R3 si ricava anche
T 1/3 M 2/3
e quindi per mantenere temperature di combustione al diminuire della massa aumenta la densita.
Aumenta conseguentemente il richio di degenerazione elettronica sino a raggiungere una massa limite
al di sotto della quale le stelle degenerano in presequenza e non giungono ad innescare le reazioni
dellidrogeno. Abbiamo gia indicato come tale massa limite si aggiri attorno a 0. 1 M . Valutazioni
piu accurate richiedono un corrispondentemente accurato trattamento della complessa equazione di
stato, ove le interazioni coulombiane rivestono un ruolo rilevante.
La Fig.6.23 riporta una serie di tracce evolutive di strutture di piccola e piccolissima massa in
fase di contrazione gravitazionale. Nel caso illustrato si trova una massa limite pari a 0.08 M . Si
20
noti come al diminuire della massa crescano notevolmente i tempi di presequenza delle strutture che
giungono ad innescare lidrogeno, cosi che, al limite, la 0.08 M raggiunge la MS solo dopo alcune
centinaia di milioni di anni. Il completamento della sequenza principale alle minori luminosita
richiede dunque un lungo periodo di tempo, accadimento di cui si deve tener conto nel costruire le
isocrone di ammassi stellari con eta al di sotto di 1 Gyr.
Strutture al di sotto della massa limite non innescano lidrogeno e contraggono sino a raggiungere
il raggio della struttura degenere: la successiva evoluzione consistera nel progressivo raffreddamento
della struttura che andra diminuendo progressivamente luminosita e temperatura efficace seguendo
una sequenza di raggio costante. La Fig.6.23 mostra come tali strutture si dispongano a formare
un prolungamento della MS verso le basse luminosita, mostrando nel contempo come lulteriore
allungamento dei tempi di contrazione porti alla predizione che anche per eta dellordine di 10 Gyr
tale prolungamento debba risultare popolato da oggetti che mantengono luminosita che scalano
regolarmente a partire dallestremo inferiore della MS.
A fronte di tale evidenza, lantica designazione di Nane Nere (Black Dwarf) data in origine a
questi oggetti e stata sostituita da Nane Brune (Brown Dwarf) a significare la prevista sopravvivenza
di non trascurabili capacita radiative. A livello di nomenclatura, aggiungiamo infine che le stelle
che popolano lestremita inferiore della MS ( M 0.4 - 0.3 M ) vengono di norma designate con il
termine di strutture VLM (Very Low Mass ).
Fig. 6.24. La relazione massa luminosita lungo isocrone teoriche per eta comprese tra 9 e 321
miliardi di anni.
condizioni sia lecito confondere lisocrona con la traccia evolutiva comune al ridotto intervallo di
tracce evolventi.
Possiamo precisare le motivazioni e i limiti di una tale approssimazione definendo lungo una
generica isocrona la variabile curvilinea S, cosi che S(M,t) risulti univocamente detrminata e im-
plicitamente resolubile rispetto a qualsivoglia delle variabili M,t. Dalla definizione di isocrona si ha
allora:
t t
dt(M, S) = ( )S dM + ( )M dS
M S
da cui si ottiene per la variazione delle masse lungo lisocrona
M M t
()t = ( )S ( )M
S t S
Si verifica cosi innanzitutto che per
S M
( )M ( )t 0
t S
cioe che al crescere della velocita evolutiva (S/t)M tende a zero la variazione di massa lungo
lisocrona.
Losservazione fornisce non solo la collocazione nel diagramma HR della linea isocrona, ma
anche il numero di stelle dN che popolano lintervallo di ascissa curvilinea dS. Il dato osservativo
=dN/dS e correlabile alle proprieta evolutive, risultando
M M t
(S, t0 ) = (M )( )t = (M )( )S ( )M
S t S
avendo indicato con (M) = dN/dM la distribuzione di masse propria dellammasso (IMF =
Initial Mass Function). E facile riconoscere che lespressione precedente rappresenta semplicemente
lespressione euleriana dellequazione di continuita. Per fasi evolutive avanzate, laddove tende a
zero lintervallo di masse popolanti lisocrona, potremo porre (M ) cost e cosi anche per il flusso
temporale lungo lisocrona (M/t)S cost. Se ne ricava che, sotto tali condizioni, il numero di
stelle in una fase evolutiva avanzata risulta proporzionale al tempo speso dalle stelle evolventi lungo
la loro traccia in tale fase.
Come utile applicazione di tale relazione abbiamo in precedenza discusso il caso della funzione di
luminosita del ramo delle Giganti Rosse in un Ammasso Globulare. A titolo orientativo la Fig.6.24
riporta la distribuzione teorica massa-luminosita lungo isocrone di eta compresa tra 9 e 21 Gyr.
Come atteso, la variazione della massa interessa essenzialmente le strutture di MS. Le subgiganti
che si collocano tra il Turn Off e la base del ramo delle giganti hanno variazioni gia piu contenute, e
dalla base delle giganti la massa evolvente diventa sensibilmente costante. Si e a suo tempo indicato
come lungo il ramo delle giganti si possa porre
22
Fig. 6.25. Funzione di luminosita per lAmmasso Globulare NGC6356 confrontata con le predizioni
teoriche per la distribuzione dal Turn Off sino al tip del ramo delle giganti. I dati teorici assmono
[Fe/H]=-0.9, eta 14 Gyr, (m-M)v = 18.05.
dt
log logL dove =
dlogL
e la velocita evolutiva (in luminosita) delle giganti. Mostreremo qui che tale relazione e conseguenza
diretta del fatto che lungo il ramo delle Giganti Rosse, come ogniqualvolta si sia in presenza di stelle
con nucleo degenere, esiste una relazione massa del nucleo-luminosita
L = Mn
che ci indica come in tali strutture sia la massa del nucleo degenere a governare la luminosita di
una stella.
A fianco della precedente relazione potremo infatti considerare lulteriore relazione che collega
la luminosita della struttura alla crescita temporale della massa del nucleo
dMn = Ldt
dove rappresenta la massa di elio sintetizzato nella produzione dellunita di energia. Differenziando
la prima relazione si ottiene
1 1
dMn = L dL
che sostituita nella seconda relazione conduce con facili passaggi a
dt 1 1
= = L
dlogL
da cui la attesa relazione
1
log = cost + logL
La Fig.6.25 mostra come i riscontri sperimentali siano in generale in buon accordo con le previ-
sioni, rivelando anche il bump delle giganti prodotto dallincontro della shell di combustione di H
con la discontinuita prodotta dallaffondamento della convezione superficiale.
23
Fig. 7.1. Traccia evolutiva di una stella di 3.0 M di Pop. 1, tipica di stelle al limite del
flash dellelio. Lasterisco indica la posizione dellinnesco dellelio. Levoluzione e seguita sino
allesaurimento dellelio al centro ed allinstaurarsi della combustione a doppia, shell. I tempi evo-
lutivi delle varie fasi sono riportati in tabella 1. La luminosita L e in luminosita solari.
Tab. 1. Tempi evolutivi per la traccia in Fig. 7.1 (in 108 anni).
1
2
Fig. 7.2. Evoluzione della struttura interna di una stella di 5 M , Pop. I, dalla sequenza principale
sino allo spengimento della sbell di idrogeno ed al secondo dredge up. il tempo t e in 10 7 anni. Come
in Fig. 6.5 sono indicate le zone di combustione e di convezione.
della massa il nucleo centrale di elio risulta sempre meno governato da fenomeni di degener-
azione elettronica. Le valutazioni evolutive mostrano che stelle con massa maggiore di circa
M 3M giungono ad innescare pacificamente lelio in un nucleo centrale non degenere.
Indipendentemente dalle modalita dellinnesco, le fasi di combustione di elio riproducono
unevoluzione strutturale per molti versi analoga a quella caratterizzante la combustione
centrale ed a shell dellidrogeno. E innanzitutto da notare come, a causa della elevata
dipendenza della reazione 3a dalla temperatura, la combustione centrale di elio induce in
ogni caso la formazione di un nuovo nucleo di convezione. Le strutture che avevano raggiunto
la loro traccia di Hayashi reagiscono alla presenza della nuova sorgente centrale di energia
tendendo a distaccarsi dalla traccia, ritornando verso maggiori temperature effettive, cioe
verso il luogo caratteristico delle combustioni centrali.
Stelle di massa sufficientemente elevata (M 7M ) continuano ad evolvere con un
graduale e contenuto aumento di luminosita. Al decrescere della massa si manifesta sempre
piu evidente una tendenza dei modelli a doppia sorgente di energia (He centrale ed H in
shell) a collocarsi a luminosita inferiori a quelle raggiunte al momento dellinnesco dellelio.
La Fig. 7.1 riporta in maggiori dettagli levoluzione del modello di 3 M di Fig. 6.1 che
mostra chiaramente tale caratteristica. La tabella 1 riporta i tempi evolutivi delle relative
fasi.
La diminuzione di luminosita conseguente allinstaurarsi della doppia sorgente di energia
prosegue e risulta esaltata in stelle di piccola massa che subiscono il flash dellelio. Da oltre
1.000 luminosita solari, tipiche del flash, esse discendono a meno di 100, collocandosi alle
luminosita tipiche della fase di ramo orizzontale negli ammassi globulari ( A7.2). Fase
che avevamo gia interpretato, in base al principio di ragion sufficiente, come quella della
combustione dellelio. Si puo interpretare questo scenario come unevidenza che la presenza
di una relazione massa del nucleo degenere - luminosita spinge la stella verso luminosita
abnormi. Rotta la degenerazione, la struttura si riassesta sulle luminosita naturali per una
struttura non degenere.
Per ogni massa, allesaurimento dellelio centrale segue linnesco della reazione 3 nella
shell ricca di elio contornante un nucleo di carbonio-ossigeno, e la stella tende nuovamente a
ricollocarsi lungo la sua traccia di Hayashi. E in questa fase che si manifesta una ulteriore
biforcazione nella storia evolutiva delle stelle. Abbiamo gia definito come piccole masse
tutte quelle strutture che innescano la 3 in un nucleo di He degenere e, quindi, con un
flash. Tenendo presente che il progredire dellevoluzione tende a favorire linsorgere della
3
Fig. 7.3. Opacita di He, C ed O per distribuzioni di densita e temperatura caratteristiche del
nucleo di una stella di piccola massa in fase di combustione centrale di elio.
Fig. 7.4. La crescente discontinuit del gradiente radiativo ai limiti del nucleo convettivo quando
si trascuri linstabilita indotta dallovershooting. Le varie curve sono contrassegnate dal valore Y
del contenuto di elio nel nucleo convettivo di una stella in fase di combustione centrale di elio. Y1
rappresenta la situazione del modello iniziale.
Fig. 7.5. Andamento schematico dei gradienti al limite del nucleo convettivo:(a) nel caso di una
crescente discontinuita e (b) nella situazione stabile .
Il processo termina quando, continuando ad inibire la convezione alle sue spalle, il bordo
della convezione inibisce se stesso, e si raggiunge una situazione stabile che puo essere cosi
descritta: un nucleo convettivo estendentesi sino al minimo del gradiente, e regolato dalla
condizione che al minimo stesso si raggiunga la condizione di adiabaticita, circondato da
una zona a gradiente chimico nella quale il rapporto He/(C+O) e punto per punto tale
da garantire la neutralita convettiva (rad = ad ) della zona (zona semiconvettiva). Al
progredire dellevoluzione leffetto combinato della convezione e dei rimescolamenti tende
in continuazione a ristabilizzare la struttura sulla situazione precedentemente descritta, che
6
Fig. 7.7. Distribuzione dellabbondanza di elio per varie fasi al progredire della combustione
dellelio. La freccia indica gli effetti del trascinamento. La linea a tratti mostra la tipica distribuzione
dellelio in fase di avanzata combustione in assenza di overshooting.
e la prescrizione utilizzata in molti calcoli evolutivi. La. Fig. 7.7 mostra levoluzione della
distribuzione interna di He nei due casi.
La zona a gradiente chimico che contorna il nucleo convettivo e stata definita semi-
convettiva perche ancora una volta siamo in presenza di una convezione che tende ad
autoinibirsi, non giungendo al completo rimescolamento degli strati inizialmente instabili.
Si noti peraltro che il meccanismo che genera la semiconvezione in combustione di elio
risulta sostanzialmente diverso da quello che produce la semiconvezione che abbiamo in-
contrato al termine della combustione centrale di idrogeno nelle grandi masse. In quel caso
linstabilita convettiva originava spontaneamente nella struttura, nel caso dei nuclei di elio
e invece prodotta dal meccanismo di avanzamento dellovershooting. Per tale ragione pare
opportuno designare questo secondo caso con il termine di semiconvezione indotta.
7
Fig. 7.8. Traccia evolutiva, di una stella di 0.6 M con composizione chimica dellinviluppo
Y=0.27, Z=103 durante la fase di combustione centrale dellelio. Il cerchietto indica il primo
modello di combustione quiescente a dppia sorgente di energia che segue al flash dellelio. Per
comparazione e riportata anche la traccia evolutiva dello stesso modello calcolata in assenza di
overshooting e semiconvezione. E assunta una massa iniziale del nucleo di He M = 0.468M . La
traccia senza oversbooting e spinta oltre lesaurimento dellelio centrale che avviene attorno a logTe
3.7, logL 1.9.
Fig. 7.9. Tracce evolutive nel diagramma HR di struttre in fase di combustione di elio per due
diverse assunzioni sulla massa del nucleo di He Mc e al variare della massa totaale. Le linee a punti
mostrano, per ogni Mc , la collocazione dei modelli iniziali
stelle evolventi fuori sequenza esistono molte altre stelle ancora in fase di combustione di
idrogeno, si puo orientativamente stimare, anche se molto rozzamente, di poter osservare in
fase di combustione di He circa una stella su 103 .
Essendo gli ammassi di disco caratterizzati al piu da qualche migliaio di stelle, ci si aspetta
di trovare in fase di elio pochissime stelle, dalle quali e difficile ottenere relazioni statisti-
camente rilevanti. Ben diverso e il caso di un ammasso globulare, nel quale labbondante
popolazione stellare consente di rivelare centinaia di stelle in tale fase evolutiva, fornendo
un campione rilevante sul quale operare confronti con le teorie evolutive. A questo fatto si
deve aggiungere che la possibilita di ottenere informazioni sui parametri evolutivi di stelle
che appartengono alla lontana storia dellalone galattico e certamente un eccitante obiettivo
nel contesto delle ricerche sulla storia del nostro Universo.
Abbiamo gia indicato come il cammino evolutivo di una stella di piccola massa in fase
di doppia combustione (He centrale + shell di idrogeno) si collochi confortabilmente nella
zona del diagramma HR nel quale si osserva la cosiddetta fase di Ramo Orizzontale.
Molto meno confortabilmente non si tardo a riconoscere che alcuni ammassi globulari della
Galassia presentano rami orizzontali con unestensione in temperatura molto maggiore di
quella ottenibile in base alle tracce evolutive susseguenti al flash. Tracce che - per una
gia citata regola - devono coincidere con lisocrona. Lo scenario teorico richiede quindi un
qualche perfezionamento e modifica. Le modalita di una tale modifica vengono suggerite
dallevidenza osservativa (righe di emissione) che mostra come nelle Giganti Rosse luminose
siano efficienti meccanismi di perdita di massa. Possiamo quindi sospettare che un ulteriore
parametro, la perdita di massa, regoli la distribuzione delle stelle lungo il Ramo Orizzontale.
Un approccio topologico alle proprieta dei modelli di ramo orizzontale puo chiarire la
situazione, confortando lintervento della perdita di massa. Osserviamo che, per ogni pre-
fissata composizione chimica, un modello nella sua fase iniziale d combustione di elio al
centro resta identificato da due parametri Mc = Massa del nucleo di He, M = massa to-
tale della stella, M-Mc rappresentando ovviamente la massa dellinviluppo ricco di idrogeno.
Integrando una serie di modelli utilizzando Mc e M come parametri liberi si ottiene che la
topologia dei modelli e regolata da una semplice relazione, secondo la quale (Fig. 7.9) per
ogni prefissata composizione chimica dellinviluppo e per ogni prefissata massa del nucleo di
elio, al variare della massa, le stelle si dispongono lungo una sequenza sensibilmente orizzon-
tale; minore e la massa totale maggiore e la temperatura efficace della stella. Le origini di
una tale comportamento sono facilmente comprensibili: minore la massa totale, minore (a
parita di Mc ) e la massa dellinviluppo, e quindi piu esterna, piu fredda e meno efficiente e
9
Fig. 7.10. ZAHB teoriche valutate per diverse assunzioni sullabbondanza iniziale di elio, as-
sumendo Z= 104 ed uneta di 10 Gyr. Lungo le sequenze sono riportati le masse totali dei vari
modelli,in masse solari e le masse evolutive dei nuclei di elio.
la shell di idrogeno, e piu la stella deve allontanarsi dalla traccia di Hayashi per avvicinarsi
alla sua posizione sulla sequenza principale di elio.
Dai dati in Fig. 7.9, che coprono gli attesi valori evulutivi dei nuclei di He al flash, si
ricava non solo la capacita della perdita di massa di distribuire le strutture lungo un Ramo
Orizzontale, ma anche che le masse richieste per coprire bracci estesi risultano sensibilmente
inferiori alle masse originarie di 0.8, 0.9 M attese per Giganti Rosse con eta dellordine
di 10 Gyr. E oggi universalmente riconosciuto che una dispersione nei valori di perdita di
massa e allorigine della osservata distribuzione delle stelle di Ramo Orizzontale, cosi che le
sequenze di Fig.7.9 vengono a rappresentare il luogo del diagramma HR ove ci si attende che
possano andare a collocarsi le stelle allinizio della combustione quiescente di elio centrale al
variare della perdita di massa, e prendono il nome di Rami Orizzontali di Eta Zero (ZAHB
= Zero Age Horizontal Branch).
Si noti come la perdita di pochi decimi di massa solare, quali necessari per popolare il
Ramo Orizzontale, hanno effetti trascurabili sulle caratteristiche delle Giganti Rosse, stante
la ridotta dipendenza della traccia di Hayashi dalla massa stellare. I tempi evolutivi di
Gigante Rossa diventano inoltre minori dei tempi scala termodinamicidel nucleo interno di
elio, cosi che la perdita di massa e le conseguenti modifiche dellinviluppo stellare finiscono
col non influenzare la struttura interna. In conclusione, la postulata perdita di massa in
fase di Gigante Rossa ha possibilita di manifestarsi nel diagramma HR solo allavvento della
successiva fase di combustione centrale di elio.
Al di la di esperimenti numerici quali quelli di Fig.7.9, il calcolo di strutture di HB
richiederebbe in linea di principio che per ogni assunta composizione chimica originaria
venga seguita levoluzione delle stelle introducendo opportune valutazioni della perdita di
massa lungo il Ramo delle Giganti, seguendo la struttura attraverso il flash dellHe sino
alla suuccessiva fase di combustione quiescente. A causa dellonerosita dei relativi calcoli
numerici, per ricavare il modello di ZAHB e largamente utilizzata una procedura alternativa
estremamente semplificata.
Tale procedura consiste nel determinare, attraverso acconci calcoli evolutivi, per ogni
assunta composizione chimica ed eta la massa delle giganti al flash e la relativa massa del
nucleo di elio. Saltando la fase del flash, i relativi modelli di ZAHB vengono direttamente
costruiti come strutture di equilibrio sorrette nuclearmente, costituite da un nucleo di elio
della massa evolutivamente prefissata e con la massa dellinviluppo come parametro libero,
con la ovvia condizione che la somma delle masse del nucleo e dellinviluppo sia minore o
al piu eguale alla massa originale della struttura. Si tiene conto della nucleosintesi del flash
assumendo che il 5% dellelio del nucleo si sia trasformato in C, mentre si dovra anche tener
10
Tab. 3. Parametri evolutivi per un modello di 0.65 M , Z=0.001, Yorig =0.23,Yinv =0.243,
Mc =0.4942 in fase di combustione di He. Sono riportati, nellordine, leta del modello (in mil-
ioni di anni dal primo modello), labbondanza centrale di He, luminosita, temperatura efficace,
temperatura e densita centrali, la frazione di luminosita prodotta dal CNO o dalla 3, la massa del
nucleo di He e di quello di CO in masse solari.
Equilibrio 0.193 0.95 1.620 3.851 8.073 4.271 0.560 0.466 0.494 -
ZAHB 1.000 0.93 1.652 3.813 8.072 4.278 0.519 0.425 0.494 -
He centrale 3.453 0.90 1.661 3.802 8.074 4.276 0.518 0.430 0.494 -
11.567 0.80 1.670 3.801 8.079 4.267 0.503 0.465 0.495 -
22.386 0.70 1.664 3.830 8.086 4.246 0.451 0.511 0.499 -
34.495 0.60 1.648 3.869 8.093 4.225 0.370 0.593 0.503 -
46.640 0.50 1.638 3.892 8.101 4.210 0.290 0.675 0.505 -
58.602 0.40 1.636 3.900 8.111 4.202 0.219 0.751 0.507 -
70.348 0.30 1.644 3.894 8.123 4.202 0.163 0.813 0.509 -
81.606 0.20 1.663 3.877 8.138 4.215 0.128 0.852 0.510 -
95.544 0.10 1.708 3.830 8.163 4.258 0.106 0.879 0.511 -
100.997 0.05 1.742 3.796 8.185 4.316 0.137 0.845 0.512 -
105.083 0.01 1.800 3.751 8.214 4.409 0.238 0.735 0.512 -
107.055 0.00 1.900 3.719 8.251 4.544 0.431 0.498 0.513 -
107.384 0.00 1.990 3.702 8.268 4.694 0.595 0.040 0.513 -
107.399 0.00 1.999 3.701 8.267 4.713 0.601 0.037 0.513 -
He shell 107.647 - 2.188 3.682 8.278 4.948 0.707 0.116 0.513 0.204
107.767 - 2.233 3.678 8.274 5.006 0.712 0.284 0.513 0.224
109.018 - 2.118 3.689 8.192 5.170 0.357 0.636 0.513 0.257
111.351 - 2.166 3.684 8.163 5.311 0.225 0.766 0.517 0.294
114.378 - 2.296 3.673 8.147 5.841 0.036 0.963 0.518 0.349
116.915 - 2.498 3.658 8.130 5.657 0.013 0.975 0.518 0.394
118.605 - 2.705 3.644 8.105 5.856 0.074 0.899 0.519 0.446
119.085 - 2.800 3.638 8.088 5.931 0.276 0.693 0.520 0.462
119.685 - 3.004 3.624 8.055 6.036 0.651 0.328 0.524 0.483
119.685 - 3.004 3.624 8.055 6.036 0.651 0.328 0.524 0.483
1o maxL 119.907 - 3.104 3.618 8.040 6.074 0.774 0.217 0.526 0.488
conto della variazione di composizione chimica dellinviluppo causata dal primo dredge up.
Per ottenere il corretto modello di ZAHB si lascia infine rilassare la struttura per 106 anni
per raggiungere lequilibrio degli elementi CNO nella shell di combustione di idrogeno, ora
notevolmente piu estesa che nelle precedente struttura di RG.
La Fig. 7.10 mostra una serie di ZAHB teoriche evolutive calcolate assumendo una metal-
licita Z=104 per diversi valori dellelio originario Y. I dati in figura si prestano ad una serie
di interessanti considerazioni. Si riscontra innanzitutto che la massa del nucleo di elio al
flash diminuisce allaumentare del contenuto originario di elio. Cio e in buon accordo con
la regola generale che vuole allaumentare di Y (del peso molecolare) strutture piu calde
(e piu luminose) che sfuggono quindi prima al controllo della degenerazione. Dalla Fig. 7.9
si ricava che per ogni fissata temperatura efficace la luminosita di una struttura di HB
cresce allaumentare della massa del nucleo di elio, in accordo con le attese di una gener-
ica relazione massa-luminosita. La Fig.7.10 mostra peraltro che allaumentare dellelio, per
11
Fig. 7.11. Contributi parziali allaluminosita totale dueante le fase di esaurimento dellHe centrale
e il passagio alla combustione di He in shell. Tempi in milioni di anni dal flash.
temperature efficaci minori o dellordine di 104 K le ZAHB hanno luminosita che aumentano
allaumentare dellelio anche se la massa del nucleo di elio diminuisce.
Cio indica che la luminosita della stella e dominata dalla combustione a shell
dellidrogeno, tanto piu efficiente quanto piu ricca di elio e calda risulta la struttura:
allaumentare del contenuto di elio la produzione di energia della shell compensa e supera
la perdita di energia della combustione di elio nel nucleo, innalzando in totale la produzione
di energia. Al diminuire della massa dellinviluppo diminuisce lefficienza della shell e tale
gerarchia di contributi deve necessariamente scomparire. Al limite di stelle prive di inviluppo
e sorrette quindi dalla sola combustione dellelio centrale, la luminosita deve risultare pro-
porzionale alla massa della stella di elio. Questo spiega lincrociarsi delle ZAHB attorno a
logTe 4.2 - 4.3: al di sopra di quelle temperature efficaci e ormai il nucleo che domina,
imponendo la sua relazione massa luminosita.
Le tipiche tracce evolutive di piccole masse in combustione di elio sono gia riportate nelle
precedenti figure 7.8 e 7.9. La Tabella 3 riporta a titolo di esempio levoluzione in fase di
combustione di elio dei piu rilevanti parametri di struttura per una tipica stella di Ramo
Orizontale in ammassi globulari di metallicita intermedia, quali M3 o M5. Limitandosi per
il momento ad esaminare solo la fase di combustione centrale di He e facile verificare nei
dati in Tabella tutta una serie di gia discusse caratteristiche evolutive, quali ad esempio, la
bilanciata evoluzione dei contributi relativi delle combustioni di H ed He ed il corrispondente
andamento della traccia evolutiva nel diagramma HR.
Fig. 7.12. Tracce evolutive per stelle di varia massa durante le fase di combustione centrale di He
e nella successiva evoluzione a doppia shell lungo il Ramo Asintotico .
Fig. 7.13. Andamento temporale della luminosita per i modelli di Fig. 7.12 .
si sviluppa un nucleo degenere di Carbonio ed Ossigeno che tende sempre piu a raffreddarsi
a causa della crescente efficienza della produzione di neutrini.
Nella fase di Ramo Asintotico (AGB) si riproduce quindi la situazione gia discussa per
le Giganti Rosse: levoluzione naturale prevista dal viriale e per cosi dire bloccata, e le
strutture sono costrette a permanere nella fase di combustione a shell, aumentando ora con
continuita la massa del nucleo di CO. Nel caso di giganti rosse di massa maggiore di
0.5 M interveniva il flash dellelio a risolvere la situazione. Ora invece il nucleo di CO e
fortemente e definitivamente degenere e la combustione a shell dovra proseguire accrescendo
lentamente la massa del nucleo stesso.
La Fig. 7.11 mostra come levoluzione lungo lAGB sia caratterizzata da un progressivo
prevalere della combustione dellelio (come gia e avvenuto nelle fasi di combustione centrale
di elio); la shell di H finisce con lo spengersi e la shell di He resta lunica sorgente d energa
efficiente nella struttura. Poiche una shell efficiente rappresenta un limite invalicaabile per la
convezione, lo spengimento della shell di H consentirebbe in linea di principio alla convezione
superficiale di affondare nel nucleo di He. Le stelle di piccola massa mancano peraltro
il secondo dredge up che abbiamo descritto nella discussione generale allinizio di questo
capitolo. Pur a shell di idrogeno spenta, la convezione superficiale non giunge mai a superare
la discontinuita He-H, talche il nucleo di elio che caratterizza le strutture di ramo asintotico
e e resta quello ai momento dello spengimento della shell di H o, in pratica, quello ereditato
dalla fase di combustione di elio centrale.
Notiamo infine che, a somiglianza di quanto gia osservato nel caso di combustione a shell
di idrogeno, appare esistere una relazione tra la luminosita della struttura e la massa del
nucleo degenere:
Fig. 7.14. Diagramma schematico illustrante il meccanismo di innesco dei pulsi termici. I simboli
pieni rappresentano combustioni a shell attive, quelli aperti shell spente. Alla penultima riga e
indicata laccensione a flash della shell di elio.
possono sussistere gradienti di temperatura infiniti, ne segue che allavvicinarsi delle due
shell le rispettive temperature devono avvicinarsi. Cio che avviene e che la shell di elio
progressivamente si raffredda perdendo efficienza fino a spengers. La struttura inizia nel
frattempo una fase di contrazione che ha leffetto di riaccendere la shell di idrogeno e la
stella esperimenta una fase quiescente di idrogeno in shell.
In Fig. 7.14 e riportato un diagramma schematico illustrante la catena di avvenimenti
che ne seguono e che conducono alla instabilita di pulso termico. La riaccensione della
shell di idrogeno mette infatti in opera un meccanismo che tende ad accumulare nuovo elio
sopra la vecchia shell 3, rimuovendo le cause della sua inefficienza. In effetti il progressivo
avanzamento della shell di idrogeno ricostruisce progressivamente un intercapedine di
elio tra le due shell, finendo con lindurre uninnalzamento di temperatura sulla shell 3
che si riaccende improvvisamente con un flash. Dopo tale fase parossistica, si instaura una
combustione quiescente di elio mentre la shell di idrogeno si e nuovamente spenta.
Si comprende facilmente come un tale processo si ripresenti iterativamente:
lavanzamento della shell 3 finisce col trasformare in CO lintercapedine di He e la shell 3
si dovra nuovamente spengere provocando la riaccensione della shell d idrogeno e la riedi-
zione del pulso termico. Un tale processo e comune a tutte le stelle con combustione di
elio in una shell circondante un nucleo degenere. Il numero di pulsi e la durata di un singolo
pulso dipendono invece dalla massa della struttura: allaumentare della massa si passa da
pochi pulsi con durata sino a milioni di anni a migliaia di pulsi con durate dellordine di 103
-104 anni.
Lintera fase di combustione a shell di elio puo quindi essere cos riassunta:
La teoria pone peraltro un limite superiore alla massa del nucleo degenere (limite di
Chandrasekhar), pari a circa 1.4 M . (vedi oltre). Ove si raggiunga tale limite la pressione
15
Fig. 7.15. Traccia evolutiva nel diagramma HR delle fasi di combustione di elio per un modello
di 0.6 M e composizione chimica iniziale Y=0.25, Z=103 . I cerchietti pieni indicano linizio di
un pulso e lescursione durante il pulso e mostrata per i pulsi 7, 9 e 10. Lungo la traccia in us-
cita dallAGB sono riportati i tempi evolutivi (in anni, t=0 per Te = 30.000 K) e la massa residua
nellinviuppo ricco di idrogeno. E riportata la linea di raggio costante (R, in unita solari) cor-
ripondente alla massa della struttura. FBE (= Fundamental Blue Edge) rappresenta il limite ad
alte temperature della zona di instabilita (striscia punteggiata) ove ci si attende che le strutture
manifestion fenomeni di variabilita che verranno trattati nei successivi capitoli.
degli elettroni degeneri non puo piu sostenere la struttura che collassando innesca la fusione
del C in ambiente fortemente degenere. I calcoli mostrano che al termine di questa esplosione
e stata depositata nella materia della stella unenergia di gran lunga superiore allenergia di
legame della struttura. Ci si attende che la struttura venga dispersa e incinerita: lenergia
iniettata infatti nelle particelle porta a rapidissime fusioni spostando labbondanza degli
elementi verso il picco del Fe.
Le stelle di Ramo Orizzontale degli Ammassi Globulari galattici hanno certamente masse
di gran lunga inferiori al limite di Chandrasekhar. Dopo una serie di pulsi termici queste stelle
finiranno col lasciare la traccia di Hayashi quando la massa dellinviluppo ricco di idrogeno
si e ridotta a circa 0.01 M ( A7.2) e non e piu in grado di sostenere la combustione
dellidrogeno. Una fase di rapida contrazione porta la stella al suo raggio di Nana Bianca,
che per queste stelle e una funzione precisa della sola massa, e che caratterizzera tutta la
successiva fase di raffreddamento. Durante queste fasi finali il riscaldamento della shell di
idrogeno in ambiente elettronicamente degenere puo portare a episodici flash nucleari. La
Fig.1 7.15 riporta a titolo di esempio levoluzione nel diagramma HR di un modello di AGB
di massa costante pari a 0.6 M .
Piu in generale, linizio della fase di contrazione viene a dipendere dallefficienza della
perdita di massa che, riducendo linviluppo ricco di idrogeno, affretta il compimento della
fase di AGB. Si ritiene che al termine della fase di AGB possa manifestarsi una fase di
rapida e violenta perdita di massa (superwind) che darebbe luogo alle osservate Nebulose
Planetarie, stelle che appaiono circondate da un anello di materia diffusa. Si ritiene anche
che la perdita di massa porti in ogni caso le stelle di piccola massa al di sotto del limite
di Chandrasekhar, cosche per tutte queste strutture si prevede il destino comune di Nana
Bianca. Si noti che, stante lesistenza della relazione Massa del nucleo-Luminosita, dalla
luminosita massima osservata in stelle di AGB in una popolazione stellare si puo risalire alla
16
Fig. 7.16. Lalternanza di episodi di convezione (linee a punti) attraverso i quali si realizza il III
dredge up.
massa delle stelle evolventi in questa fase ottenendo una indicazione della perdita di massa
subita dalle strutture.
Come fenomeno di importanza non secondaria, aggiungiamo che durante la fase di pulsi
termici, in corrispondenza del ritmico alternarsi di efficienza delle due shell, si instaurano
moti convettivi che finiscono col portare in superficie prodotti della combustione 3, in primo
luogo carbonio. Come schematizzato in Fig.7.16, allinnescarsi semiesplosivo della shell di
elio si instaura una instabilita convettiva che rimescola la zona tra le due shell portandovi
prodotti della combustione dellelio. Al successivo spengimento della shell di idrogeno e
durante la combustione quiescente della shell di elio la convezione superficiale affonda sino a
superare la discontinuita He-H ed intaccando cosi la zona contaminata dal precedente pulso
di convezione. Ci si attende che attraverso tale meccanismo (III dredge up) la superficie
si arricchisca di carbonio e di elementi s prodotti dai neutroni da combustione di 14 N. Se,
come da taluni sospettato, in questa fase processi di diffusione e/o mescolamenti riescono a
portare protoni nella zona di combustione dellelio, ne risulterebbe unulteriore sorgente di
neutroni originata dalla reazione 12 C + p 13 N + che potrebbe grandemente aumentare
lefficienza dei processi s ( 11.2).
dP GMr
= 2
dr r
dMr
= 4r2
dr
P = k .
17
Fig. 7.17. La relazione teorica massa-raggio per strutture elettronicamente degeneri confrontata
con i dati sperimentali per alcune Nane Bianche.
ove, a differenza del caso dei gas non degeneri, ambedue gli indici k ed sono univocamente
determinati dalla condizione di degenerazione elettronica. Nel caso di degenerazione non-
relativistica ( < 106 gr/cm3 ) si ha:
GM 2
P
R4
ma e anche P = K5/3 KM 5/3 /R5 , da cui
P M 1/3 e anche M2
Maggiore e la massa della struttura minore deve dunque essere il raggio della medesima.
Cio discende dal fatto che al crescere della massa la densita centrale necessaria per sostenere
la struttura cresce col quadrato della massa stessa. La soluzione della politropica fornisce in
effetti per il raggio di una Nana Bianca di M masse solari:
0.02
R 5/3
R
e M 1/3
18
Fig. 7.18. Andamento con il tempo della luminosita di un modello di Nana Bianca di CO, 0.6
M . Nelle linee a tratti e trascurato il calore di cristallizzazione. Caso A: inviluppo di 1.5 104 M
di H; caso B: inviluppo di 0.016 M di He. Il tempo t e in anni.
dove e , peso molecolare medio per elettrone, e stato gia a suo tempo definito come
la massa, in unita della massa dellidrogeno, per elettrone libero. Fatta eccezione per il
caso dellidrogeno (e = 1), che peraltro riveste scarsa importanza nel quadro evolutivo che
stiamo esaminando, per tutti gli altri elementi si ha e 2, e, in particolare, si ha e per
He, 12 C, 16 O, 20 Ne. Il raggio di una struttura degenere evoluta dipende quindi solo dalla
massa, e non dipende dalla composizione chimica della struttura stessa ne, come si e piu
volte ripetuto, dal suo contenuto termico.
La relazione precedente resta valida per M 0.5 M . Per masse superiori si raggiungono
densita a cui interviene la degenerazione relativistica, che tende ad accrescere la dipendenza
del raggio dalla massa. La Fig.7.17 mostra come queste previsioni teoriche siano ben con-
fortate dai dati sperimentali per alcune WD appartenenti a sistemi binari, confortando, in
ultima analisi, le correnti valutazioni teoriche sulle proprieta della materia degenere.
Unindipendente indicazione osservativa sul rapporto M/R nelle nane bianche e fornita
dallo spostamento delle righe spettrali (redshift) causato dal forte campo gravitazionale, in
accordo con le prescrizioni della relativita generale. Per un fotone di energia h0 emesso
alla superficie di una stella di massa M e raggio R, che raggiunga un osservatore allinfinito
potremo infatti porre
GM h0
h = h0
R c2
dove il secondo termine al secondo membro rappresenta il lavoro del campo gravitazionale
delle stella. Se ne ricava immediatamente
0 GM
=
0 Rc2
Tale redshift, trascurabile in strutture stellari normali, diviene oservabile nelle WD a
causa della grande gravita superficiale. Viene sovente riportato sotto forma di Effetto Doppler
Equivalente ponendo / = v/c, da cui
M
v = 0.64 km/sec
R
dove M e R sono in unita solari. Per le due Nane Bianche Sirio B e 40 Eri B si ottiene
cos v=92 8 km/sec e 22 1.4 km/sec.
Da un punto di vista generale, asserire che per ogni prefissata massa una Nana Bianca ha
un raggio fissato, indipendentemente da ogni assunzione su temperatura e luminosita, sig-
nifica indicare che la Nana si comporta come un corpo solido, quali -per fornire unimmagine-
19
Fig. 7.19. Sequenze teoriche di raffreddamento di Nane Bianche (e = 2) per vari valori della
massa. Per confronto sono riportate alcune linee R=cost ed e indicata la collocazione di una Sequenza
Principale. I cerchietti aperti mostrano la collocazione di alcuni nuclei di Nebulosa Planetaria,
progenitori di Nane Bianche a minor temperatura efficace.
una sfera di metallo o un mattone. Tale corpo, formatosi da materia ad altissime tem-
peratura, perdera energia irraggiando dalla sua superficie come un corpo nero, a spese
dellenergia degli ioni, essendo ormai gli elettroni nel loro stato di minima energia com-
patibile con la loro natura di fermioni. La struttura percorrera quindi nel diagramma HR
una sequenza a raggio costante (L T4e ) dissipando prima lenergia di agitazione termica
degli ioni e poi anche il calore di cristallizazione degli stessi, destinata a raffreddarsi sino
a porsi in equilibrio con il fondo cosmico dellUniverso o, piu in generale, con il campo di
radiazione locale.
Allinizio del raffreddamento la velocita con la quale decresce la luminosita e molto alta,
perche corrispondentemente alte sono le perdite per irraggiamento. Al diminuire della lumi-
nosita decresce anche la temperatura efficace e con questa diminuiscono anche le perdite di
energia, e i tempi evolutivi si allungano corrispondentemente. La Fig.7.18 riporta un esem-
pio dellandamento temporale della luminosita di un modello di Nana Bianca lungo la sua
sequenza di raffreddamento, mostrando il rallentamento portato dal contributo del calore di
cristallizzazione. Si noti come i tempi di raffreddamento dipendono anche dalle dimensioni
e dalla composizione di sia pur tenui inviluppi residui, sia per il possibile contributo ener-
getico di combustioni superficiali di idrogeno, sia perche lopacita degli inviluppi governa la
temperatura efficace e, quindi, le perdite di energie della struttura.
La figura mostra come i tempi di raffreddamento possano raggiungere e superare i 1010
anni: ci si attende di conseguenza che anche negli ammassi stellari piu antichi, quali gli
Ammassi Globulari, le prime Nane formatesi non abbiano ancora terminato il loro raffred-
damento, marcando quindi con la loro luminosita il tempo della loro formazione. La Fig.7.19
mostra la landamento nel diagramma HR di sequenze di egual raggio calcolate per varie
masse, poste a confronto con la distribuzione osservata per un campione di Nane Bianche di
campo.
Per concludere ricordiamo come le densita in una Nana Bianca restino fissata una volta
fissata massa e e . Il numero di particelle per unita di volume sara peraltro inversamente
proporzionale alla massa delle medesime. Poiche ogni ione possiede una energia kT, ne
segue, ad esempio, che una Nana Bianca di He avra - a parita di temperature - un contenuto
20
Fig. 7.20. Relazioni massa-densita centrale per strutture elettronicamente degeneri di varia com-
posizione, tenendo in conto i processi inversi. La linea a tratti mostra la soluzione di Chandrasekhar
per e = 2.
5.75
M= M
2e
Fig. 7.21. Relazioni massa-densita centrale per strutture sorrette da elettroni o neutroni degeneri.
Le linee a tratti rappresentano strutture instabili. Per le stelle di neutroni e riportata la soluzione ri-
cavata dallequazione di Oppenheimer-Volkoff (OV) assieme ad una soluzione che include opportune
interazioni tra neutroni.
GM 2 KM 4/3
P e anche P
R4 R4
da cui si ricava la massa M = (K/G)2/3 . In pratica si trova che raggiungendo la piena
degenerazione relativistica la struttura dovrebbe ridursi ad un punto, ne sono permesse
strutture di equilibrio con masse maggiori.
Al di la di tale approccio analitico, il problema della massa limite e in realta governato
da meccanisnmi fisici piu complessi. Al crescere della densita cresce lenergia raggiunta dagli
elettroni, finendo col superare la soglia per reazioni inverse sui nuclei. Quando infatti
lenergia di un elettrone diviene superiore allenergia del decadimento di un nucleo di
numero di massa A e carica Z-1, diventano possibili le reazioni
e + (Z, A) (Z 1, A) +
La Tabella 4 riporta le densita di soglia per linnesco di tali processi per diverse specie
atomiche. Valutazioni dettagliate (Fig.7.20)mostrano che che al crescere della massa di una
struttura elettronicamente degenere, e quindi della sua densita, avvicinandosi alla massa
limite di Chandrasekhar intervengono processi inversi che, aumentando e , inducono una
diminuzione della massa limite. La Fig.7.21 riporta una sintesi generale di tali risultati. Alle
densita minori si trova il campo di esistenza delle strutture elettronicamente degeneri sin
qui discusse. Al crescere ulteriore della densita centrale si hanno strutture instabili in cui la
massa decresce allaumenatre di c . Si ritrova una zona di stabilita solo a densita dellordine
di c 1014 - 1016 per strutture sorrette ora da neutroni degeneri (Stelle di neutroni). I
neutroni, con spin 1/2, sono infatti anchessi fermioni che ubbidiscono alla statistica di
Fermi Dirac, in grado quindi di sviluppare una pressione di degenerazione. Nel caso non
relativistico si trova cosP 4 109 5/3 . A titolo orientativo ricordiamo qui che il raggio
tipico di una stella di neutroni risulta dellordine di 10 km, contro i 103 -104 km di una Nana
Bianca e i 106 km del Sole.
Alle densita delle stelle di neutroni non e peraltro piu valida lapprossimazione
Newtoniana, e il campo gravitazionale dovra essere descritto in accordo con la relativita
generale, secondo lequazione di Oppenheimer Volkoff ( A2.3). La soluzione dipende dalle
assunzioni che devono essere necessariamente fatte sullequazione di stato della materia neu-
tronica. Si ritrova in ogni caso ancora una massa limite, ma il valore di tale massa dipende
criticamente da tali assunzioni. Assumendo lequazione di stato non relativistica si tro-
verebbe una massa limite M 0.7 M . La figura 7.21 mostra peraltro un esempio di come
22
equazioni di stato che introducono opportunele interazioni tra neutroni possano innalzare la
massa limite per tali strutture. Oggi si ritiene che il limite di massa per le stelle a neutroni
si collochi attorno alle 2 - 3 M , anche se la maggioranza delle stelle di neutroni osservate
come pulsar ha masse attorno alle 1.4 M .
A titolo orientativo ricordiamo qui che il raggio tipico di una stella di neutroni risulta
dellordine di 10 km, contro i 103 -104 km di una Nana Bianca e i 106 km del Sole. Per le Nane
Bianche resta in ogni caso stabilito un limite superiore di massa dato, con buona approssi-
mazione, dal limite di Chandrasekhar MCh precedentemente riportato. Per una struttura
di idrogeno e =1 e MCh = 5.8 M , un limite di scarsa rilevanza perche sappiamo che in
condizioni normali strutture di H di massa maggiore di 0.1 M giungono ad innescare la
combustione dellidrogeno. Per 4 He, 12 C, 16 O, 20 Ne etc e = 2 e quindi
MCh 1.4M
limite che giochera un ruolo essenziale nellevoluzione delle stelle massicce e nella pro-
duzione di Supernovae di tipo I nei sistemi binari.
Per completezza, ricordiamo infine che a temperatura zero ma densita sufficientemente
alte diventano possibili anche reazioni nucleari: lenergia dei nuclei nel lattice puo divenire
sufficientemente elevata da superare la repulsione coulombiana, dando luogo a reazioni che
prendono il nome di reazioni picnonucleari, dal greco pyknos = denso. Si stima che a
106 gr cm3 H sarebbe convertito in He in circa 105 anni, e a 1010 gr cm3 He sarebbe
convertito in C. Il calcolo di tali processi e peraltro molto difficoltoso, e i valori riportati
sono solo indicativi.
23
Fig. 7.22. Andamento delle variabili chimiche e fisiche in una struttura di Ramo Orizzontale
durante la fase di semiconvezione quiescente. Parametri evolutivi: massa totale della stella M=0.65
M , massa iniziale del nucleo di He Mc = 0.5 M , Y inviluppo = 0.20, Z= 103 . Luminosita e
composizioni chimiche sono normalizzate ai loro valori massimi.
Fig. 7.23. Andamento di alcune variabili strutturali nella stella di cui alla figura precedente
durante (pannello superiore) e subito dopo (pannello inferiore) un pulso di convezione. Si noti
durante il pulso il riassorbimento della luminosita segnalante lespansione del nucleo centrale.
Approfondimenti
Fig. 7.24. Traiettoria nel diagramma HR della struttura di cui alle due precedenti figure durante la
fase di combustione quiescente diellelio e attraverso i primi due pulsi sino allinnesco del terzo pulso.
I numeri segnalano linizio dei pulsi e le porzioni di traccia a punti riportano le rapide evoluzioni
durante i flash
Fig. 7.25. Andamenti temporali di luminosita, temperatura efficace e composizione chimica cen-
trale per il modello di cui alle figure precedenti lungo lintera fase di combustione centrale di He.
Fig. 7.26. Linee isoacutiche Lac /L = cost nel diagramma HR per una stella di 0.6 M , Y=0.1,
Z=103 , mixing length l=1.5 HP . Per confronto sono mostrate la posizione della MS, la linea
evolutiva di una struttura di 1.1 M e la traccia di Hayashi per lassunta composizione chimica.
cano in media tre maggiori pulsi, che si sviluppano con tempi scala termodinamici. Leffetto di tali
pulsi e di ringiovanire la struttura, riaumentando improvvisamente labbondanza di elio centrale.
Corrispondentemente la stella tende a riportarsi verso precedenti posizioni nel diagramma HR, per
riiniziare la sua tipica evoluzione di combustione quiescente (Fig.7.24). Solo quando attraverso i
pulsi e stato depauperata di elio una vasta regione circondante il nucleo convettivo la stella riesce
ad esaurire lelio centrale per predisporsi alla fase di combustione in doppia shell.
Leffetto principale dei pulsi sarebbe dunque di prolungare la durata della fase di combustione
centrale di He, come immediatamente ricavabile dai dati in Fig.7.25, ove e facilemente riconoscibile
che lintervento dei pulsi allunga tale fase di poco meno di circa il 20%. Per sopprimere i pulsi
esistono due alternative tecniche di calcolo. Una prima consiste nellimporre che nei modelli in
prossimita dellesaurimento dellelio centrale (Yc 0.1 -0.05) siano impediti aumenti nel tempo
di tale parametro. Una seconda tecnica, che sopprime i pulsi e fornisce comportamenti evolutivi
analoghi ma non eguali, consiste invece nel sopprimere negli stessi modelli la valutazione della
generazione di energia gravitazionale G .
A7.2. Perdite di massa: Giganti Rosse, Blue HB, AGB Manque e Hot Flasher.
Vi e oggi un generale accordo sul fatto che le strutture stellari nel corso della loro evoluzione siano
soggette a non trascurabili fenomeni di perdita di massa. Osservazioni dirette di tale fenomeno
riposano sullevidenza di gas diffuso emergente dalla struttura, come data - ad es. - dalla presenza
di righe di emissione nella banda ottica o da emissione infrarossa. Le misure, spesso di non facile
interpretazione, suggeriscono che la perdita di massa sia particolarmente efficiente tra le Giganti
Rosse, raggiungendo e forse superando valori di 108 M /anno. Nel caso di giganti di ammassi
globulari sono state riportate evidenze di perdita di massa dellordine di 109 M /anno, cioe giusto
dellordine di grandezza adatto per perdere durante la fase di Gigante Rossa quei pochi decimi di
massa solare richiesti dalle caratteristiche osservative dei rami orizzontali.
Pur non esistendo al presente una chiara interpretazione del meccanismo fisico che sovraintende
a tale fenomeno, le osservazioni sembrano indicare come la perdita di massa cresca sensibilmente al
crescere della luminosita della struttura. Su tali basi e spesso utilizzata una formula empirica per il
valore di tale perdita:
L
M = 4 1013 R M /anno (Formula di Reimers)
gR
dove la luminosita, il raggio e la gravita superficiale sono in unita solari ed R e un parametro
libero che dovrebbe variare tra 1/3 e 3.
26
Fig. 7.27. Diagrammi CM per un campione di Ammasi Globulari galattici, ordinati per crescente
metallicita
Nel tempo si sono peraltro susseguite una gran varieta di formulazioni sie empiriche che basate
sulla postulata efficienza di meccanismi fisici quali la pressione di radiazione sugli strati atmosferici.
Citiamo, a titolo di esempio, la proposta correlazione tra perdita di massa ed i flussi acustici presenti
negli inviluppi convettivi turbolenti, ipotizzando che da tali flussi si origini lenergia utilizzata dal
gas per sfuggire alla attrazione gravitazionale. In effetti si ricava che la topologia di questi flussi nel
diagramma HR (Fig.7.26), coscome ricavabile da integrazioni analoghe a quelle usate per ricavare
le linee isoconvettive e la traccia di Hayashi ( 5.4), mostra una almeno qualitativa corrispondenza
con quanto atteso per lefficienza della perdita di massa.
Assumendo una perdita di massa proporzionale al rapporto tra la luminosita acustica e lenergia
gravitazionale
27
Fig. 7.28. Disribuzioni teoriche nel diagramma CM per ammassi con eta 15 Gyr e per le indicate
assunzioni sulla metallicita Z. Si e assunto R = 0.4.
R
M = F P R Lac (Formula di Fusi Pecci Renzini)
GM
dove F P R e un parametro di efficienza. Tarando tale formula per il caso solare (M
1014 M /anno) la formula fornisce previsioni che si accordano almeno qualitativamente bene con
la formula empirica di Reimers.
Restando nel campo delle piccole masse, la Fig.7.27 riporta i diagrammi CM per un campione di
Ammassi Globulari galattici, ordinati per metallicita crescente. Sia pur con alcune eccezioni, sulle
quali dovremo tornare nel seguito, si riscontra una generale correlazione tra metallicita Z e Ramo
Orizzontale, con le stelle di HB che si spostano verso minori temperature efficaci allaumentare
dellla metallicita. Un tale andamento puo essere compreso osservando che allaumentare di Z per
ogni prefissata eta aumenta la massa delle Giganti Rosse al flash e diminuisce nel contempo la
massa delle stelle di HB ad una prefissata temperatura efficace (aumenta lefficienza della shell di
H!), ambedue queste variazioni andando nel senso di produrre HB piu rossi.
La Fig.7.28 mostra come utilizzando la formula di Reimers con parametro R =0.4 le predizioni
teoriche forniscano diagrammi CM in buon accordo con tale andamento generale. La presenza
di alcuni HB con eccezionali Code Blu e peralro evidenza che in quegli ammassi alcune stelle
di HB hanno subito un ingente ed eccezionale perdita di massa, sino a perdere la quasi totalita
dellinviluppo idrogenoide. In passing, si noti che il brusco crollo di luminosita degli HB alle
alte temperature e un artefatto dellintervento della correzione bolometrica. Vedremo nel prosieguo
come nellultravioletto le stelle piu blu di Ramo Orizzontale (EHB= Extremely Blue HB) siano
addirittura le piu luminose dellintero ammasso.
La Fig.7.29 mostra un fascio di tracce evolutive per modelli che iniziano la fase di combustione di
He a varie temperature efficaci di ZAHB. Si noti come modelli a temperatura molto alta, quindi con
inviluppi estremamente tenui e shell di idrogeno poco efficienti, al termine della fase di combustione
centrale di elio non riescano a spostarsi sul Ramo Asintotico, permanendo alle alte temperature
da dove infine raggiungeranno direttamente la loro sequenza di raffreddamento come Nane di CO.
A Tali strutture prendono il nome di AGB Manque , e sono di grande importanza per il flusso
UV (ultravioletto) che possono generare negli Ammassi Globulari e, piu in generale, nelle antiche
popolazioni stellari.
Perdite di massa che portino la massa di un Gigante Rossa al di sotto della massa critica per
linnesco del nucleo di elio mancheranno la fase di Ramo Orizzontale. Lidagine evolutiva mostra
che una Gigante Rossa riesce a completare la sua evoluzione sino al flash dellelio solo nel caso che
la perdita di massa non riduca in precedenza linviluppo al di sotto di un valore critico pari a circa
0.06 M . In corrispondenza di tale limite la shell di idrogeno inizia a risentire della mancanza di
inviluppo e la stella cessa la sua ascesa, permanendo presso il Ramo delle giganti sino a ridurre
28
Fig. 7.29. Tracce evolutive per la fase di combustione di elio per stelle con varie collocazioni
di ZAHB, come causate da corrispondenti variazioni nella assunta quantita di massa persa dai
progenitori RG.
Fig. 7.30. Sequenze evolutive di Giganti Rosse che per eccesso di perdita di massa abbandonano
il Ramo delle Giganti per raffreddarsi come Nane di He.
linviluppo a 0.007 M , iniziando a questo punto una rapida contrazione che le porta sulla
sequenza di raffreddamento sotto forma di Nane di He (Fig.7.30).
Esiste peraltro un piccolo intervallo di masse che, avendo abbandonato il ramo delle Giganti
poco prima del flash, finisce con innescare il flash lungo la sequenza di raffreddamento. Tali strutture
prendono il nome di Hot Flashers. Si ritiene che in tali strutture la particolare violenza del flash
possa portare a fenomeni di rimescolamento che arricchiscono latmosfera delle strutture con He e
C. A seguito di tale arricchimento le stelle dovrebbero mostrarsi nei diagrammi CM come un gruppo
leggermente separato dalla normali stelle di HB.
Fig. 7.31. Andamento con la massa stellare delle velocita equatoriali medie per stelle di MS. Le
masse sono in masse solari.
magnetico ruotante originato dalla struttura medesima. A parziale riprova di questa interpretazione
vi e losservata correlazione inversa tra leta della struttura e le velocita di rotazione.
La rotazione stellare e un possibile parametro evolutivo che abbiamo sinora omesso nelle val-
utazioni strutturali, assumendone esplicitamente la trascurabilita, almeno come caso generale. Cio
e confortato dallandamento monoparametrico dei diagrammi CM, nei quali non si manifestano gli
effetti di un parametro stocastico come ci si attende sia la rotazione stellare. Valutazioni rigorose di
strutture ruotanti sono peraltro estremamente complesse, non fosse altro perche, venendo a cadere
la simmetria sferica, sarebbe in linea di principio necessario sviluppare codici di calcolo in coordi-
nate cilindriche. Valutazioni approssimate indicano che la rotazione tende a raffreddare gli interni
stellari. Si puo comprendere tale risultato osservando che la forza centrifuga va in parte a bilanciare
la gravita, diminuendo le richieste di temperatura (energia cinetica).
Raffreddando linterno delle strutture stellari, la rotazione puo influenzare levoluzione di piccole
masse in fase di Gigante Rossa, ritardando il flash dellelio. Ne discende che strutture di ZAHB
provenienti da stelle ruotanti dovrebbero avere masse dei nuclei di elio e perdite di massa maggiori
di quanto atteso nel caso canonico non rotante. Laumento della perdita di massa, fatti salvi ulteriori
fenomeni legati alla rotazione, restando collegato al maggior tempo passato in fase di Gigante Rossa.
Al riguardo sono state eseguite stime evolutive, sotto la condizione di conservazione del momento
angolare lungo tutta la struttura. Cio implica un forte aumento di velocita angolare nei nuclei di
elio delle Giganti Rosse, stante le esigue dimensioni spaziali cui tali nuclei si riducono.
In accordo con tali stime massa del nucleo di elio e luminosita al flash seguono approssimativa-
mente le relazioni
Fig. 7.32. La collocazione nel diagramma HR di sequenza di ZAHB sotto diverse assunzioni della
relazione tra perdita di massa e rotazione. La -ZAHB rappresenta la ZAHB canonica con massa
variabili e massa del nucleo costante. La -ZAHB e il luogo di strutture con massa costante e
variabile massa del nucleo di He. I cerchietti aperti mostrano la distribuzione attesa quando perdita
di massa e rotazione sono combinate secondo le prescrizioni fornite nel testo. .
1
2
Fig. 8.1. Evoluzione della struttura interna di una stella di 6 M , y=0.20, Z=103 durante la fase
di combustione quiescente dellelio centrale. I vari parametri sono normalizzati ai loro valori massimi,
riportati in ogni pannello. Per ogni struttura sono anche riportati la collocazione nel diagramma
HR (logL, LogTe ), leta ed il numero sequenziale del modello. .
Per definizione, le masse intermedie innescano la combustione a shell di elio alla periferia
di un nucleo di CO che diviene rapidamente degenere. Come le piccole masse, esse daranno
quindi vita ad una fase di AGB, raggiungendo fatalmente una fase di pulsi termici attraverso
i quali lidrogeno dellinviluppo viene progressivamente trasformato prima in elio e poi in
CO. Se nel frattempo, come si ritiene, la perdita di massa porta le strutture al di sotto del
limite di Chandrasekhar, il destino finale di tali strutture sara - come per le piccole masse- il
progressivo raffreddamento sotto forma di Nane Bianche di CO. In caso contrario si giungera
fatalmente alla deflagrazione del Carbonio. Il limite superiore di massa per tale comporta-
mento viene indicato in letteratura come Mup . Il preciso valore di tale limite dipende dalla
composizione originale della stella: possiamo peraltro almeno orientativamente indicare un
valore attorno alle 8 M .
Masse superiori a Mup giungono invece ad innescare la combustione del Carbonio prima
che il nucleo degeneri completamente. In un ristretto intervallo di circa 2 M la combustione
di C conduce alla creazione di nuclei di ONe degeneri. Se, nuovamente, non interviene una
sufficiente perdita di massa, anche queste strutture termineranno o con la deflagrazione del
Carbonio (masse minori) o con processi di cattura elettronica che portano alla implosione
ed alla formazione di una stella di neutroni. Nel seguito considereremo queste strutture
come una sottoclasse della masse intermedie. Stelle con massa ancora maggiore portano
a compimento lintera catena di combustioni sino alla finale fotodisntegrazione del Fe e
lesplosione come Supernovae.
3
Fig. 8.2. Andamento di alcune variabili di struttura al variare della massa stellare alla transizione
tra piccole masse e masse intermedie. Pannello superiore: massa del nucleo di He allinnesco della
reazione 3. Pannello intermedio: luminosita del primo modello in combustione quiescente di He.
Pannello inferiore: tempi di vita in fase di combustione di He centrale.
Fig. 8.3. Collocazione nel diagramma HR dei modelli di cui alla figura precedente.
infine ancora le dimensioni del nucleo di He a guidare la risalita della luminosita sopra le
M=2.3 M , con una crescita che continuera regolarmente al crescere della massa stellare e
del conseguente aumento dei nuclei convettivi.
Il pannello inferiore riporta infine la rilevante evidenza di come la durata della fase di
combustione di He centrale sia regolata dalle dimensioni del nucleo di He, regola di cui
faremo uso nel discutere gli effetti di un eventuale esteso oveshooting ( A8.1). Se ne trae
levidenza che giusto alla transizione le strutture stellari mostrano una eccezionale durata
della fase di combustione di He centrale, permanendo in tale fase piu del doppio del tempo
di ogni altra massa, sia minore che maggiore. Evidenza che in taluni casi si deve tradurre in
una particolare abbondanza di tali strutture.
Piu in generale, dai dati in Fig.8.2 e sulla base dei tempi in Tabella 5.1, si trae levidenza
che una popolazione stellare di composizione solare e di assegnata eta, comincera a sviluppare
un Ramo delle Giganti dopo circa 600 milioni di anni, tempo evolutivo di una struttura
M=2.3 M allesaurimento dellH centrale. A 800 milioni di anni, tempo della combustione
di H di una M=2.1 M , il Ramo delle Giganti e ormai formato e permarra per tutti i tempi
successivi. Questa fase di apparizione del Ramo delle Giganti prende in letteratura il nome
di Red Giant Transition (RGT) e segna il rapido passaggio dalle tipiche polazioni giovani, a
giganti blu, alle popolazioni piu anziane dominate dalle Giganti Rosse.
Tempi e masse della Red Giant Transition dipendono dalla composizione chimica origi-
nale delle stelle. La stessa Fig. 8.2 mostra come una diminuzione dellelio originale si traduca
in un aumento della massa di transizione. Cio appare in accordo con la regola piu volte enun-
ciata secondo la quale diminuire il contenuto di elio (diminuire il peso molecolare medio)
produce strutture piu fredde e, di conseguenza, piu affette da degenerazione elettronica.
Analogamente si puo facilmente predire che al diminuire della metallicita deve diminuire
anche la massa di transizione: una diminuzione di metallicita produce infatti strutture piu
calde e meno soggette alla degenerazione elettronica.
La Fig. 8.3 mostra infine la collocazione nel diagramma HR di strutture di transizione
allinizio della loro fase di combustione quiescente di elio. Allaumentare della massa i mod-
elli raggiungono un minimo nella temperatura efficace per poi tornare verso alti valori di tale
parametro ancor prima di entrare nella fase di vera transizione, marcata dal successivo min-
imo della luminosita. Superata la transizione, la luminosita alla quale inizia la combustione
di elio crescera infine monotonamente al crescere della massa della struttura.
5
Fig. 8.4. Tracce evolutive per stelle di 3, 4, 5, 7 e 9 M dalla MS sino alle fasi di combustione di
He in shell per composizioni chimiche rappresentative della Pop.I e della Pop.II.
Tab. 1. Parametri evolutivi per le strutture di cui alla Fig. 8.4. Ogni riga riporta nellordine: metal-
licita (Z), massa del nucleo convettivo in ZAMS (MM S
cc ), massa del nucleo di elio allesaurimento
dellH centrale (MHe ) e allinizio della combustione di He (MHe
X=0
He ), massa del nucleo convet-
tivo allinnesco dellHe (MHe Y =0
cc ) e le masse del nucleo di elio (MHe ) e del nucleo di CO (MCO )
Y =0
allesaurimento dellHe centrale. Le ultime quattro colonne riportano infine massa del nucleo di CO
e luminosita della struttura al 2 dredge up e al primo pulso termico. Le lineette indicano un mancato
dredge up. Masse e luminosita sono in unita solari.
Z M MMcc
S
MX=0
He MHe
He MHe
cc MYHe=0 MYCO
=0
MDU
CO LDU MTCO
P
LT P
0.02 3 0.60 0.32 0.37 0.22 0.57 0.21 - - 0.55 3.41
0.02 4 0.88 0.40 0.49 0.32 0.79 0.39 - - 0.79 4.12
0.02 5 1.20 0.58 0.64 0.40 1.04 0.44 0.73 3.95 0.87 4.23
0.02 7 1.93 0.90 0.98 0.71 1.59 0.72 0.94 4.17 1.01 4.46
0.02 9 2.63 1.27 1.39 1.03 2.20 1.03 - - C ignition
0.002 3 0.64 0.34 0.39 0.30 0.70 0.30 - - 0.69 3.74
0.002 4 0.98 0.47 0.51 0.42 0.93 0.47 0.73 4.00 0.86 4.17
0.002 5 1.33 0.59 0.64 0.54 1.19 0.57 0.78 4.00 0.91 4.28
0.002 7 2.11 0.88 0.96 0.81 1.73 0.83 1.01 4.25 1.07 4.51
0.002 9 2.97 1.24 1.37 1.11 2.28 1.11 - - C ignition
dunque Mup verso valori minori, almeno sinche si rimanga nel campo di metallicita tipiche
per le normali popolazioni galattiche.
In tale contesto e infine opportuno rilevare come il raggiungimento della massa critica del
nulcleo di CO, e quindi linnesco o meno del C, dipenda anche dallefficienza dei meccanismi
di rimescolamento che hanno operato lungo la storia della struttura, con il trascinamento
del nucleo e la semiconvezione indotta che favoriscono linnesco e il 2 dredge up che invece
lo sfavorisce. La Tabella 1 illustra la catena di avvenimenti che condizionano la massa del
nucleo di CO riportando alcuni parametri significativi per le stelle di cui alla precedente Fig.
8.4.
Come esempio di lettura di tali dati, la Tabella ci dice, ad esempio, che una stella di 5
M , Z=0.02, inizia la sua vita con un nucleo convettivo di 1.20 M che al termine della
combustione di idrogeno si e ridotto a 0.58 M , portato a 0.64 M dalla combustione a
shell di H prima dellinnesco dellelio. Allinizio della combustione di elio la struttura ha un
nucleo convettivo di 0.40 M , che produce al termine della combustione un nucleo di CO
di 0.44 M , mostrando i ridotti effetti del trascinamento del nucleo in queste masse. Nello
stesso tempo il nucleo di elio e stato portato dalla combustione a shell a 1.04 M . La stella
subisce il 2 dredge up e arriva al reinnesco della shell di idrogeno, precursore della fase dei
pulsi termici, con un nucleo di CO di sole 0.87 M , indicando che a tale valore e calato del
nucleo di elio dopo il dredge up. Si notino nella Tabella le alte luminosita raggiunte dalle
stelle al termine della fase di early AGB. In una stella di 7 M di Pop.II il primo precursore
dei pulsi si manifesta a logL/L =4.5, a luminosita ben piu alte che nel caso delle piccole
masse (logL/L 3).
La traiettoria evolutiva delle condizioni centrali, come riportata in Fig. 8.5 per varie
masse e due metallicita, fornisce un utile compendio della storia delle strutture. Come carat-
teristica generale si noti come linnesco della combustione centrale di elio sia segnalato da
una espansione delle regioni centrali, cui corrisponde nel diagramma HR il primo tratto
del loop verso alte temperature efficaci. Nelle fasi evolutive successive una stella di 10 M
a bassa metallicita riesce a mantenersi al di fuori della degenerazione, giungendo ad in-
nescare pacificamente il Carbonio. Diminuendo la massa e/o aumentando la metallicita gli
7
Fig. 8.5. Traiettoria temporale delle condizioni centrali per stelle di varia massa con Y=0.28 e
Z=104 (linee continue) e Z=3 102 (linee a tratti). La linea a punti indica il luogo ove lenergia
prodotta dalla combustione del C eguaglia le perdite per termoneutrini. Le masse delle stelle sono
indicate in M allinizio delle relative tracce. Cerchi o quadrati lungo le tracce segnalano nellordine:
1. Sequenza Principale; 2. Inizio della fase di overall contraction; 3. Innesco della combustione di
elio centrale; 4. Esaurimento dellelio centrale.
effetti della degenerazione finiscono con il prevalere, allontanando le traiettorie dalla curva
di ignizione per imboccare una sequenza di raffreddamento.
Linnesco del Carbonio, che segna il limite superiore delle masse intermedie, avviene
inizialmente in nuclei parzialmente degeneri ove e presente linversione di temperatura in-
dotta dallefficiente produzione di termoneutrini: tale innesco avverra dunque in una shell
tramite una serie di flash. Allaumentare della massa si passera ad un flash centrale e, infine
allinnesco quiescente del C che segna linizio delle Grandi Masse. Non sorprendentemente,
la stelle che innescano il C in ambiente degenere sono quelle che svilupperanno un nucleo di
ONe definitivamente degenere.
Abbiamo piu volte ripetuto come il destino delle masse intermedie, che sviluppano un
nucleo di CO definitivamente degenere, dipenda dalle perdite di massa. Inizialmente, entrate
nel regime di pulsi termici, mostreranno atmosfere arricchite dal 3 dredge up, segnalandosi
come Stelle al Carbonio. Se attraverso il meccanismo dei pulsi termici il nucleo di CO e in
grado di aumentare liberamente, dalla relazione massa del nucleo luminosita si ricava che
a logL/L 4.7 il nucleo raggiunge la massa di Chandrasekhar: ne segue deflagrazione e
incinerimento della struttura. Si ritiene peraltro che durante i pulsi termici intervenga anche
nelle masse intermedie una perdita di massa parossistica (superwind) che liberi la struttura
del proprio inviluppo, lasciando il nucleo di CO degenere di circa 1 M al centro di una
Nebulosa Planetaria.
Fig. 8.6. Sinistra: Diagramma CM per lAmmasso Globulare della Grande Nube NGC2004. Destra:
Stesso diagramma ma corretto per un modulo di distanza DM=18.5 e con sovraimposte le tracce
evolutive teoriche per stelle di 2.5 e 16 M . Le stelle del clump indicato dalle frecce sono stelle del
campo della Nube, non appartenenti allammasso,
evolutive offrono al riguardo scarsissime evidenze. Fortunatamente nei pressi della Galassia
si trova la galassia satellite della Grande Nube di Magellano, ove e tuttora attiva le for-
mazione di popolosi Ammassi Globulari. Nel seguito introdurremo dunque il discorso sulle
grandi masse avendo come utile riferimento le evidenze osservative che ci provengono da am-
massi della Grande Nube (Large Magellanic Cloud = LMC) quali quello il cui diagramma
CM e riportato in Fig. 8.6.Come mostrato nel pannello di sinistra della stessa figura, as-
sumendo per LMC un modulo di distanza DM 18.5, troviamo allestremita superiore della
Sequenza Principale stelle di magnitudine V -6, oltre 20000 volte piu luminose del Sole,
a testimonianza della loro appartenenza al campo delle grandi masse.
Da un punto di vista teorico le fasi di combustione dellidrogeno non si discostano qual-
itativamente dalle tipiche evoluzioni guidate dalla combustiome CNO. Allaumentare della
massa aumentano temperatura centrale e luminosita delle strutture, e aumentano le dimen-
sioni in massa dei nuclei convettivi di Sequenza Principale, che in una stella di 20 M e
in dipendenza dalla composizione chimica iniziale, possono arrivare a superare anche le 9
M . Come mostrato nel pannello di destra della precedente Fig.8.6 nel caso di una 16 M ,
allesaurimento dellidrogeno centrale segue - come di norma - una escusrsione verso il rosso.
Le modalita di tale escursione dipendono peraltro dalle assunzioni riguardanti il criterio per
la stabilita convettiva, come espresso o attraverso la formulazione di Schwarzschild o tramite
9
Fig. 8.7. Andamento temporale della temperatura efficace al termine della combustione centrale
di H assumendo per linstabilita convettiva il criterio di Schwarzschild (S) o di Ledoux (L)
Fig. 8.8. Tracce evolutive di grandi masse per i vari indicati valori della massa e della composizione
chinica originaria.
Tab. 3. Temperature centrali per i modelli di 20 M di cui alla Fig.8.8 nella fase di ZAMS e
allesaurimento dellidrogeno.
dettagli della modellistica: ad esempio, diverse assunzioni sulla ancora incerta sezione durto
per la reazione 12 C(, )16 O producono sensibili variazioni sullo sviluppo dei loop.
La Fig.8.8 porta per la prima volta alla luce un accadimento che vedremo avere una
valenza ancor piu generale. I modelli a metallicita minore (Z=0.002) non completano
lescursione verso il rosso, innescando lelio e iniziando il loop ancora a temperature rel-
ativamente elevate. Come mostrato in Tabella 3, cio e dovuto al fatto che al diminuire della
metallicita cresce la temperatura centrale dei modelli di ZAMS e crescono ancor di piu le
temerature al momento dellesaurimento dellidrogeno centrale. La conseguenza e un innesco
anticipato dellelio e linterruzione dellescursione verso il rosso. La temperatura centrale dei
modelli di grandi masse e di per se cosi alta che tale innesco anticipato si manifesta gia a
metallicita normali, tipiche di una Popolazione II estrema. Nelle masse intermedie una
simile caratteristica si sviluppera solo a metallicita ancor e talora notevolmente minori. Al
contrario, tale anticipazione si manifestera a metallicita sempre piu alte andando a masse
sempre maggiori nel dominio delle grandi masse.
e+ + e
Fig. 8.9. Traiettorie temporali delle condizioni centrali nuclei nudi di ossigeno poste a confronto
con le regioni di instabilita per fotodisintegrazione del Fe o per creazione di coppie..
CP
=
CV
scende sotto il valore di 4/3. In tale quadro lo scenario qualitativo precedente si mate-
rializza nellosservazione che al crescere dellefficienza della produzione di coppie diminuisce
il valore di CV , che tende a zero nel limite in cui tutta lenergia iniettata nella materia vada
in formazione di coppie.
Quando, al crescere della temperatura, il criterio di stabilita viene a risultare violato in
una consistente frazione della struttura, la stella deve contrarre piu velocemente da quanto
richiesto dalle perdite di energia. Ne risulta un aumento dellefficienza della combustione
dellOssigeno ed una incontenuta produzione di energia che finisce col distruggere la strut-
tura. In un tale processo sono possibili produzioni di energia termonucleare anche sensibil-
mente maggiori di quelle prodotte nel collasso da fotodisintegrazione del Fe.
La Fig.8.9 riporta a titolo di esempio i risultati di un indagine compiuta seguendo
levoluzione di nuclei nudi di Ossigeno, considerando cioe in prima approssimazione come
trascurabile linfluenza degli inviluppi piu esterni. Dalla traiettoria evolutiva delle condizioni
centrali, confrontata con la regione di efficienza della produzione di coppie, si evince che
strutture che sviluppano nuclei di Ossigeno sono a 10 M riescono a compiere lintero ciclo
di combustioni sino al Fe. Stelle con nuclei dellordine o maggiori di 30 M sono invece
destinati a penetrare nella zona di produzione di coppie, destabilizandosi.
Definiremo tali strutture, dellordine delle 102 M , come oggetti ultra-massivi, essendo
il termine di oggetti super-massivi gia entrato in letteratura intorno agli anni 60, a des-
ignare supposte strutture di 106 - 107 M indagate, ma poi abbandonate, come possibili
controparti teoriche dellallora recente scoperta dei Quasar. Stelle ultra massive, se si for-
mano, percorrono peraltro in brevissimo tempo lintero loro ciclo evoluttivo e possono far
parte dellUniverso osservabile al piu tramite le loro esplosioni.
Siamo cos giunti al termine di un lungo percorso che ci ha consentito di indagare la
natura e le proprieta degli oggetti stellari disseminati nellUniverso a comporre galassie ed
ammassi di galassie, creando un quadro conoscitivo che riteniamo copra il destino evolutivo
di tutte le possibili strutture di equilibrio che si sono formate e continuamente si formano
dalla condensazione del gas interstellare. La Fig.8.10 riassume graficamente tale quadro, ri-
12
Fig. 8.10. Quadro riassuntivo della storia evolutiva delle struture stellari.
Fig. 8.11. Evoluzione temporale delle regioni convettive allinterno di una stella di 15 M compo-
sizione solare, dalle fasi iniziali sino alla strutura di pre Supernova.
Fig. 8.12. La distribuzione delle specie chimiche in una struttura di presupernova, calcolata al
momento in cui la velocita massima di collasso nel nucleo causata dallinstabilita per fotodisinte-
grazione del Fe ha raggiunto 1000 km/sec. La massa M e in masse solari.
Fig. 8.13. Distribuzione delle specie chimice nel nucleo della struttura di cui alla precedente figura
dopo la rielaborazione terminale causata dalla nucleosintesi esplosiva.
Nucleosintesi Esplosiva tale condizione viene a cadere, e le reazioni seguono nuovi cammini
di cui abbiamo dato un esempio trattando negli Approfondimenti del Ciclo CNO veloce.
Sfortunatamente, al presente i calcoli idrodinamici non riescono ancora a riprodurre nel
dettaglio la fase del collasso e della conseguente successiva espulsione di strati esterni. Si
ritiene che nel collasso gli strati esterni ad un nucleo centrale neutronizzato dovrebbero
finire col venire riflessi a causa dellenergia proveniente dal centro della struttura, ed eiettati
da cio che resta della stella. In linea generale, e infatti da notare che qualunque meccan-
ismo che consenta di trasferire allinviluppo anche pochi percento dellenergia prodotta dal
nucleo collassante giunge inevitabilmente ad invertire il collasso dellinviluppo medesimo,
trasformandolo in una esplosione.
In assenza di una descrizione dettagliata, la nucleosintesi esplosiva viene investigata va-
lutando con vari argomenti la parte del nucleo sopravvivente allesplosione e provocando
lespulsione degli strati al di sopra di tale nucleo con vari artifici, quali una improvvisa
iniezione di energia o una perturbazione con effetto di pistone. Si ritiene peraltro che i
risultati, quali quelli presentati in Fig. 8.13 siano largamente significativi.
Con riferimento alla citata figura e con riferimento alle piu macroscopiche modificazioni,
si puo notare come giusto allesterno del nucleo neutronizzato la nucleosintesi esplosiva del
Silicio conduca ad una completa distruzione del Si con produzione di 56 Ni. Piu allesterno,
dalla combustione incompleta del Si originano strati ricchi di Si, S, Ca e Ar. Aggiungiamo
15
solo che i calcoli dettagliati forniscono valutazioni dettagliate sullabbondanza dei diversi
isotopi dei vari elementi, valutazioni che esulano dai limiti della presente esposizione, ma
che sono alla base di interessantissimi capitoli dellAstrofisica Nucleare basati sul confronto
con labbondanza naturale di quegli isotopi.
Il destino del nucleo della Supernova dipende dalla sua massa. Se inferiore alla massa
critica per strutture di neutroni degeneri esso permarra sotto forma di una Stella di Neutroni
dal diametro dellordine della diecina di km. In tal caso, stante la necessaria conservazione
del momento angolare, e facile prevedere come tali strutture possano diventare rapidissimi
rotatori, e non stupisce riconoscere tali strutture nelle Pulsar, emettitori radio con periodi
dei segnali (e della rotazione) anche notevomente minori al secondo.
Per masse maggiori, non paiono esistere meccanismi fisici in grado di fermare il collasso
gravitazionale, e la materia appare destinata a proseguire il collasso raggiungendo il suo
Raggio di Schwarzschild, scomparendo dallUniverso osservabile sotto forma di Buca Nera.
16
Fig. 8.14. Collocazione nel diagramma HR di modelli in fase iniziale di combustione di elio
al variare delleta. Per i vari modelli sono riportati massa (masse solari), eta (miliardi di anni),
abbondanza di elio superficiale e massa del nucleo di He. Per i vari modelli sono riportate anche
le tracce evolutive in fase di combustione centrale di He e gli spostamenti del modello iniziale per
perdite di massa multiple di 0.1 M .
Approfondimenti
Fig. 8.15. Modelli evolutivi di HB per stelle metal-deficient originate da un progenitore di 1.0
M . Si noti il turn over della ZAHB che segnala la massima escursione dei modelli verso il rosso.
Le linee a tratti delimitano la regione di instabilita per pulsazioni radiali delle variabili di tipo RR
Lyrae.
E subito visto che per eta dellordine di quelle degli Ammassi Globulari galattici (11-12 Gyr)
anche in assenza di perdita di massa le stelle in combustione di elio si collocherebbero sul ramo
inferiore, prima del minimo in temperatura efficace. In tal caso, come abbiamo gia visto, anche
contenute perdite di massa sono in grado di aumentare notevolmente la temperatura efficace delle
strutture, creabdo i ben noti Rami Orizzontali. Il quadro cambia notevolmente andando ad eta
minori, quali quelle rilevanti non solo per alcuni ammassi stellari galattici di vecchio disco, ma per
Ammassi Globulari nelle Nubi di Magellano e per le popolazioni stellari in alcune Galassie Nane
del Gruppo locale.
Diminuisce infatti notevolmente la sensibilita alla perdita di massa e la traiettoria dei modelli a
massa variabile segue in qualche maniera i precetti delineati in precedenza: ne segue in particolare
che la perdita di massa cessa di essere in grado di portare le strutture verso le alte temperature.
I Rami Orizzontali restano quindi una prerogativa delle popolazioni stellari, quali gli Ammassi
Globulari galattici, con eta dellordine di quella dellUniverso (Tempo di Hubble).
Non sorprendentemente, in tale escursione delle strutture pre-transizione verso il rosso il minimo
di temperatura efficace dipende sensibilmente dalla metallicita: diminuendo la metallicita le stelle
restano piu calde. al Fig. 8.15 mostra come scendendo a valori esteremamente bassi di Z il turn
over dei modelli raggiunga temperature dellordine 104 K, accadimento che puo essere messo in
relazione con le diminuita efficienza della shell di combustione dellidrogeno. Come discuteremo in
uno dei capitoli seguenti, cio avra rilevanti conseguenze sulle predizioni concernenti lapparizione di
stelle variabili nelle popolazioni piu povere di metalli.
Fig. 8.16. Pannello di sinistra: andamento della luminosita al tip delle Giganti Rosse al variare
della massa attraverso la RGT per gli indicati valori di metallicita. Pannello di destra: come nel
pannello di sinistra ma in funzione dei tempi allinnesco dellelio.
Tab. 4. Parametri evolutivi per modelli stellari al minimo della transizione per diverse assunte
metallicita. Per ogni Z sono riportati la massa Mmin al minimo del nucleo di He, in masse solari,
il suo tempo evolutivo (milioni di anni), la massa del nucleo di He M min
c e la luminosita di tip
Lmin
tip . ambedue in unita solari.
Fig. 8.17. Variazione con il tempo dellabbondanza relativa di stelle in fase di combustione a shell
di H (subgiganti e giganti) o in fase di combustione centrale di elio. Il tempo t e in milioni di anni.
allaumentare delle masse attraverso la transizione tale luminosita diminuira seguendo la progres-
siva scomparsa del Ramo delle Giganti Rosse , raggiungendo un minimo in corrispondenza del
minimo valore del nucleo di elio, per poi risalire seguendo laumento delle masse stellari e delle loro
luminosita evolutive.
Il pannello di destra della stessa figura mostra ancora la luminosita di tip ma in funzione del
tempo allinnesco dellelio. Dai dati in figura si trae levidenza che popolazioni sottoabbondanti di
metalli possono sperimentare la RGT a masse notevolmente minori e, conseguentemente, a tempi
notevolmente maggiori di una normale popolazione stellare, sviluppando un Ramo delle Giganti
Rosse solo dopo alcuni miliardi di anni. La Tabella 8.16 riporta alcuni parametri caratterisatici
della RGT per metallicita che coprono lintervallo da Z= 1010 al valore soprasolare Z= 4 102 .
19
Tab. 5. Per le varie masse M (in masse solari) ogni riga riporta nellordine la massa del nucleo di
He e leta allinnesco dellelio centrale seguite dai tempi di vita nelle fasi d combustione a shell di
idrogeno, combustione centrale di elio e early AGB.
H He
M Mc t(flash) shell central He shell
1.0 0.472 13527 1982 118 10
1.2 0.471 6851 986 111 10
1.5 0.470 3105 632 117 10
2.0 0.444 1158 137 130 11
2.3 0.341 740 58 260 25
2.5 0.330 573 33 231 23
3.0 0.363 341 14 136 13
Fig. 8.18. Evoluzione delle condizioni centrali di stelle di varia massa dalla fase di presequenza
sino alle fasi evolutive avanzate.
Per indagare infine con qualche maggiore dettaglio le modalita della transizione riportiamo in
Tabella 5 una selezione di tempi evolutivi per una serie di masse di composizione solare a cavallo
della transizione. Sulla base di tali dati la Fig.8.17 mostra la variazione con il tempo dellattesa
abbondanza relativa di stelle in fase di combustione a shell di idrogeno o combustione centrale di
elio. Se ne ricava levidenza di come alle minori eta le fasi post MS siano dominate dal clump delle
stelle nella combustione centrale di elio. La transizione avviene a circa 1 Gyr, quando giungono al
flash le stelle di 2.0 M .
Fig. 8.19. Andamento temporale della luminosita nella fase di innesco dei pulsi termici in un
modello di 2.5 M di composizione solare.
Fig. 8.20. Evoluzione temporale delle temperature centrali e delle temperature massime in una
serie di modelli con Z=8 103 a cavallo dei limiti per linnesco del Carbonio.
La Fig.8.20 mostra infine come linnesco del Carbonio si presenti come una vera e propria
biforcazione nel destino evolutivo delle strutture stellari. A densita logc 6 al centro di tutte le
strutture inizia a prevalere la produzione di neutrini, provocando una inversione di temperatura ed
il progressivo raffreddamento delle regioni centrali. La temperatura continua peraltro a crescere in
una shell intermedia, sinche avviene la netta e brusca separazione tra le strutture che innescano e
quelle che raffreddano.
Fig. 8.21. Tracce evolutive di una struttura di 4.0 M come calcolate seguendo le segnalate
assunzioni sullefficienza di overshooting invasivi.
nuclei convettivi. Piccole masse in fase di combustione di idrogeno, essendo prive di nuclei convettivi,
risultano quindi immuni dallintervento da tali extra rimescolamenti, che invece interesseranno i
nuclei convettivi della fase di combustione di elio e le strutture in combustione sia di H che di He
in masse intermedia e grandi. Conseguentemente, un efficiente overshooting produce nelle piccole
masse solo unallungamento della fase di HB proporzionale al combustibile portato nel nucleo di
combustione di elio e, dunque, alle dimensioni di overshooting adottate.
In masse intermedie e grandi lovershooting modifica invece gia le strutture di ZAMS, generando
una catena di conseguenze che possono essere riassunte nei seguenti punti:
1. Si prolunga la vita in fase di combustione centrale di H, con modifiche della traccia di uscita
dalla ZAMS.
2. Allesaurimento dellH centrale la struttura ha nuclei di He piu massivi e, di conseguenza, si
abbassa il valore della massa critica per la RGT.
3. Le stelle si presentano in fase di combustione di elio centrale con nuclei di elio piu massivi
risultando piu luminose e con vite medie piu brevi.
4. Le strutture sviluppano infine nuclei di CO piu massivi, di conseguenza, scende il valore di Mup .
che rappresentano, nel contempo, le caratteristiche osservative sulle quali e possibile in linea di
principio verificare e/o calibrare lefficienza dellovershooting.
La Fig.8.21 riporta un esempio di tale comportamento, mettendo a confronto la traccia evolutiva
di struttura di 4 M calcolata con le assunzioni classiche con tracce per la stessa struttura ma
calcolate assumendo unestensione dellovershooting pari a 0.10 o 0.25 HP .
Per ovviare ad alcune inconsistenze, nei calcoli recenti sono stati introdotti approcci piu arti-
colati, ad esempio inibendo del tutto lefficienza dellovershooting per masse minori od eguali a 1
M , ad evitare le predizioni di un nucleo convettivo nellattuale Sole, aumentando gradatamente
il valore di tale perametro portandolo in piena, seppur moderata, efficienza per stelle di massa
1.5 M . La modellistica e ulteriormente complicata dalla coerente introduzione di un parallelo un-
dershooting alla base degli inviluppi convettivi, anchesso modulato in termini di HP , seppur con
valori autonomi ed in genere diversi da quelli utilizzati per la convezione interna.
Fig. 8.22. Tracce evolutive per masse intermedie con metallicita Z= 104 .
Fig. 8.23. Evoluzione temporale dei nuclei convettivi in strutture con Z=1010 e gli indicati valori
delle masse. In ascissa la concentrazione di idrogeno al centro Xc .
per innalzare sufficientemente le temperature e produrre linnesco anticipato. In effetti la Fig. 8.22
mostra come scendendo a Z=104 anche le masse intermedie mostrano un simile comportamento.
A metallicita ancora minori, piccole masse anticiperanno linnesco dellelio diminuendo progressiva-
mente la luminosita del tip del Ramo delle Giganti.
Leffetto della metallicita sul valore di Mup e piu complesso. Linnesco della combustione del
Carbonio resta infatti collegato alle dimendioni del nucleo di CO e tali dimensioni risultano an-
che dal tipo di reazioni che hanno sorretto la fase di combustione dellidrogeno. Diminuendo la
metallicita a partire da valori solari, a parita di massa aumentano i nuclei convettivi e diminuisce
corrispondentemente il valore di Mup . Al progressivo diminuire di Z inizia pero ad essere progressi-
vamente sfavorita la combustione CNO, che e allorigine dei nuclei convettivi, a favore della catena
pp. Cio riduce la dimensione dei nuclei convettivi, sfavorendo linnesco del Carbonio ed innalzando
nuovamente il valore di Mup .
Come caso limite, la Fig.8.23 riporta la storia dei nuclei convettivi in strutture di masse interme-
die e grandi con Z=1010 . In tutti i casi, la ricrescita della convezione nel corso della combustione
centrale di idrogeno corrisponde allintervento della reazione 3 con la conseguente produzione di
Carbonio fresco che incentiva un passaggio verso la combustione CNO. Le conseguenze su Mup
sono mostrate in Fig. 8.24: in strutture deficienti in metalli il valore di Mup risale sensibilemte. Se a
23
cio corrispondesse anche una diminuzione della perdita di massa, forse masse intermedie delle prime
popolazioni stellari potrebbero non terminare le loro vitsa come Nane Bianche di CO, ma subire la
deflagrazione del Carbonio.
2T + = 0
con lormai usuale significato dei simboli. Si puo indagare piu a fondo il bilancio energetico della
struttura ricordando ( A2.1) che lenergia interna per particella risulta
n
u= kT
2
dove n e il numero di gradi di liberta. Per lenergia cinetica della particella si ha in particolare
3
w= kT
2
da cui
3 3 2
w=u = ( )u
n 2 n
Ponendo = 1 +2/n, -1= 2/n e per lenergia cinetica si ha la forma
3
w= ( 1)u
2
Dalla termodinamica elementare si ricava facilmente che e il rapporto CP /CV dei calori
specifici a pressione o volume costanti.
La precedente relazione tra energia cinetica ed ebergia totale della materia consente di ricavare
un dettagliato bilancio energetico del processo di contrazione. Lenergia totale posseduta dalla
struttura risultera infatti, ponendo U = i ui
E =U +
ma per il viriale, risultando T=i wi , deve anche valere
3( 1)U + = 0
da cui si ricava in definitiva
24
3 4
E=
3( 1)
Per una contrazione, d < 0, e le due precedenti relazioni forniscono
3 4
dE = d
3( 1)
1
dU = d
3( 1)
Ne segue che per > 4/3 la contrazione comporta una diminuzione di E: e questa lenergia
disponibile per essere irradiata. Nel contempo la contrazione implica un aumento di U, confermando
che in tal caso la contrazione aumenta lenergia interna e con essa lenergia cinetica della struttura.
Per un gas perfetto monoatomico = 5/3, W = U, e si riconosce come meta dellenergia
guadagnata dalla contrazione vada in energia cinetica delle particelle e meta venga irradiata. E
subito visto che al diminuire di aumenta la frazione di energia gravitazionale che deve essere
immagazzinata come energia interna per mantenere lequilibrio. Al limite = 4/3 (gas di fotoni)
tutta lenergia guadagnata dalla contrazione deve andare in energia interna.
Le precedenti considerazioni forniscono agevolmente un criterio di stabilita per la struttura.
Sinche > 4/3 resta possibile lequilibrio di una struttura stellare, in quanto lenergia guadagnata
nella contrazione e sufficiente per innalzare adeguatamente lenergia interna e soddisfare le richieste
del viriale. Per < 4/3 cio non e piu possibile: lenergia guadagnata dalla contrazione diventa
minore di quella necessaria per mantenere lequilibrio idrostatico e si deve manifestare una instabilita
gravitazionale. La condizione > 4/3 e quindi condizione necessaria per la stabilita delle strutture
stellari.
Fig. 8.25. Pannello superiore: Traccia evolutiva di una stella di 5 M e composizione chimica
solare. Pannello inferiore: Andamento temporale dellenergia dii legame della struttura di cui al
pannello superiore. Le frecce indicano alcune fasi evolutive.
Fig. 8.26. Andamento temporale dellenergia di legame di una struttura di 1M seguita dalla fase
iniziale di Sequenza pPrincipale sino alle fasi avanzate di Ramo Asintotico. .
HB. In passim, dai dati in figura, si ricava facilmente che lantica evidenza per la quale lenergia
gravitazionale del Sole potrebbe sostenere lattuale luminosita per meno di 108 anni.
Come accenato in precedenza, il motore di tutta levoluzione delle strutture stellari resta peraltro
e in ogni caso la gravitazione, il cui contributo energetico e allorigine della serie di complessi
fenomeni che caratterizzano la vita delle strutture stellari e che, sola, riesce a risvegliare lenergia
latente nei nuclei per porla a disposizione della stella.
26
Fig.8.1 Castellani V., Chieffi A., Pulone L., Tornambe A. 1985, ApJ 283, L89
Fig.8.2 Castellani V.,DeglInnocenti S.,Girardi L., Marconi M.,Prada Moroni P.G.,Weiss A. 2000, A&A 354,150
Fig.8.3 Castellani V.,DeglInnocenti S.,Girardi L., Marconi M.,Prada Moroni P.G.,Weiss A. 2000, A&A 354,150
Fig.8.4 Castellani V., Chieffi A., Pulone 1990 ApJS 74, 463
Fig.8.5 Alcock C., Paczynski B. 1978, ApJ 223, 224
Fig.8.6 Bencivenni D., Brocato E., Buonanno R., Castellani V. 1991, AJ 102, 137
Fig.8.7 Brocato E., Castellani V. 2003, ApJ 410, 99
Fig.8.8 Brocato E., Castellani V. 2003, ApJ 410, 99
Fig.8.9 Barka T.S. 1977, in Supernovae, O.N. Schramm ed., Reidel Publ. Comp.
Fig.8.10 Iben I.Jr. 1980, in Physical Processes in Red Giants, Reidel Publ. Comp.
Fig.8.11 Limongi M., Chieffi A., Straniero O. 2001, Mem. Soc. Astron. It. 72, 289
Fig.8.12 Woosley S.S., Weawer S.E. 1982, in Essays in Nuclear Astrophysics, Cambridge University Press.
Fig.8.13 Woosley S.S., Weawer S.E. 1982, in Essays in Nuclear Astrophysics, Cambridge University Press.
Fig.8.14 Castellani V.,DeglInnocenti S. 1995, A&A 298, 827
Fig.8.15 Cassisi S., Castellani V., Tornambe A. 1996, ApJ 459, 298
Fig.8.16 Cassisi S., Castellani V. 1993, ApJS 88, 509
Fig.8.17 Castellani V., Chieffi A., Straniero O. 1992, ApJS 78, 517
Fig.8.18 Iben I.Jr. 1973, in Explosive Nucleosynthesis, D.N. Schramm ed., Univ. Texas Press
Fig.8.19 Castellani V., Chieffi A., Straniero O. 1992, ApJS 78, 517
Fig.8.20 Castellani V., DeglInnocenti S., Marconi M., Prada Moroni P.G. Sestito P. 2003 A&A 404, 645
Fig.8.21 Castellani V., DeglInnocenti S., Marconi M., Prada Moroni P.G. Sestito P. 2003 A&A 404, 645
Fig.8.22 Cassisi S., Castellani V. 1993, ApJS 88, 509
Fig.8.23 Cassisi S., Castellani V. 1993, ApJS 88, 509
Fig.8.24 Cassisi S., Castellani V. 1993, ApJS 88, 509
Fig.8.25 Castellani V., Marconi M. unpublished
Fig.8.26 Castellani V., Marconi M. unpublished
Capitolo 9
1
2
Abbiamo piu volte ricordato come la valutazione dei meccanissmi fisici microscopici
(prima categoria) coinvolga valutazioni sia teoriche che sperimentali anche di notevole com-
plessita e difficolta. Conseguentemente la capacita di predire il comportamento fisico del
plasma stellare e andata progressivamente affinandosi con il tempo, con un parallelo adegua-
mento e perfezionamento della modellistica stellare. Per quel che riguarda la seconda cat-
egoria dei meccanismi macroscopici, la modellistica puo includere o meno diffusione, over-
shooting invasivo o breathing pulses, mentre la convezione superadiabatica, quando trat-
tata tramite lalgoritmo della mixing length, richiede la calibrazione del parametro libero
lunghezza di rimescolamento.
A fronte di una tale varieta di opzioni, appare chiaro che il puro e semplice output di
un programma di calcolo evolutivo, per essere usato per valutazioni quantitative, richiede di
essere validato e calibrato. Abbiamo a suo tempo indicato come leliosismologia fornisca un
primo e prioritario strumento di validazione, talche la modellistica che non abbia passato il
test solare dovrebbe essere guardata perlomeno con sospetto. Discutendo di grandi masse,
abbiamo anche posto in luce come la validazione richieda ladozione del criterio di instabilita
di Ledoux. Sono questi solo due esempi di come le varie fasi evolutive offrano una varieta
di occasioni di validazione che non possono essere trascurate quando si vogliano raggiungere
risultati affidabili.
Fig. 9.1. Diagrammi CM per le stelle degli ammassi aperti Iadi e Pleiadi. In ascissa e ordinata
sono riportati rispettivamente i colori intrinseci e le magnitudini assolute. Le linee riportano le
isocrone teoriche per gli indicati valori di metallicita dei due ammassi e per il valore di mixing
length l=1.9 HP . La linea a tratti mostra la collocazione della MS predetta per l=2.2 HP .Sono
riportate indicazioni per le eta delle due isocrone, per lequazione di stato (EOS) e le trasformazioni
nel piano osservatico (Colori)
influenzino le stelle di Sequenza pPrincipale alle maggiori temperature, e abbiano anche una
limitata influenza sulle stelle di MS di minor massa, che sappiamo dover sviluppare inviluppi
convettivi. Si noti al proposito come allulteriore diminuire della massa (e della temperatura
efficace) diminuisca per infine svanire linfluenza del trattamento della convezione, che di-
viene progressivamente sempre piu adiabatica.
Come gia abbiamo discusso, la scelta della lunghezza di rimescolamento e invece critica
per la collocazione delle Giganti Rosse. La presenza nelle Iadi di due giganti in fase di
combustione di He consente cosi di calibrare tale lunghezza al valore l 1.9HP , in rimarcabile
accordo con il valore ricavato dal Modello Solare Standard calcolato nel quadro del medesimo
scenario teorico. Come indicato in figura, le isocrone consentono infinedi ricavare per i due
ammassi eta pari a 130 milioni di anni per le Pleiadi e a 520 milioni per le Iadi, gettando
una proma luce sulla storia della formazione degli ammassi nella nostra Galassia.
E subito necessario precisare che con quanto sopra non si intende dare una risposta
probante e definitiva ad argomenti sui quali e ancora aperto il dibattito. Lintroduzione di
overshooting invasivo aumenterebbe la valutazione delle eta, lasciando pressoche inalterata
la bonta del fitting. Cosi come non vi e generale accordo sulla metallicita da assegnare alle
Pleiadi. Qui, come nel seguito, si intende fare uso di opportuni esempi per illustrare il tipo
di procedure utilizzate nel raccordo tra teorie evolutive ed osservazioni, avvertendo peraltro
-come stiamo facendo- delle variabili nascoste esistenti nelle diverse problematiche.
Ove si accetti la precedente validazione, su tale base e evidentemente possibile esten-
dere lindagine a qualsivoglia ammasso aperto della nostra Galassia, questa volta pero ri-
cavando moduli di distanza e magnitudini assolute delle stelle di un ammasso dal fitting
delle Sequenze Principali, cioe dallimporre che la distribuzione delle sequenze osservative
corrispondano alle predizioni teoriche come valutate per i valori di metallicita determinati
spettroscopicamente per i vari ammassi. Notiamo peraltro che in caso di arrossamento in-
terstellare non trascurabile, con tale metodo si ricava non il modulo di distanza vero,
differenza tra le magnitudini non arrossate (m-M)0 , ma un modulo di distanza (m-M) in cui
alleffetto di distanza si somma quello dellassorbimento. Nel caso della banda visuale si ha,
ad esempio, (V-MV ) = (V-MV )0 + AV = (V-MV )0 + 3.1 E(B-V). In tale contesto notiamo
che parlare genericamente di un modulo di distanza DM puo talora ingenerare equivoci,
dovendosi preferire le forme esplicite (V-MV ) o (V-MV )0 e simili.
4
Fig. 9.2. Diagramma CM osservativo per lAmmasso Globulare NGC1866 nella Grande Nube di
Magellano. La linea nel corpo della Sequenza Principale e la sequenza di punti indicata dalla freccia
mostrano il best fitting con lisocrona teorica popolata con una distribuzione casuale delle masse.
La freccia indica la sequenza teorica dei modelli in combustione di elio.
Fig. 9.3. Il numero di stelle di MS nellammasso NGC2004 con luminosita superiore alla magni-
tudne V in funzione di V (Distribuzione cumulativa ) confrontato con le predizioni teoriche per i vari
indicati valori dellesponente della IMF. Il numero di stelle e normalixzzato al numero di Giganti
Rosse in combustione di elio.
Come ulteriore elemento di possibili indagini, notiamo infine come la conoscenza della
relazione teorica massa-luminosita lungo una MS consenta di ricavare con facile calcolo
la distribuzione di stelle lungo tale sequenza per ogni assunto valore della distribuzione
iniziale di massa IMF, parametro che vedremo essere di rilevanza centrale nella storia delle
popolazioni stellari. Il confronto con le osservazioni consente quindi di esplorare il vaolre
dellesponente dellIMF in tutti quegli ammassi con MS sufficientemente popolate per fornire
risultati statisticamente rilevanti. A titolo di esempio, la Fig. 9.3 mostra come la MS del
cluster NGC2004 della Grande Nube, il cui diagramma CM e stato riportato nel precedente
capitolo alla Fig. 8.6, segua con buona precisione una distribuzione IMF con esponente di
Salpeter, risultando per il numero di stelle N al variare della massa M dN/dM = M2.35 .
Fig. 9.4. Esempio delle procedure di best fitting per lAmmasso Glubulare M68. a):
Determinazione del modulo di distanza apparente dal fit del Ramo Orizzontale e dell arrossa-
mento dal fit della MS (+ TD). La freccia mostra la direzione di spostamento delle isocrone al
crescere dellarrossamento. b): Aumento della mixing length e fit del colore del Ramo delle Giganti.
contengano molta piu storia e molta piu fisica dei semplici modelli di MS, risultando
pertanto corrispondentement piu a rischio di incertezze.
Tenendo in mente tali precauzioni, notiamo qui che se il modulo di distanza appar-
ente viene fissato tramite il Ramo Orizzontale, larrossamento resta fissato dal fitting della
sequenza principale, come mostrato in Fig. 9.4a. Fortunatamente, come mostrato nella
stessa figura, tale processo ammette un ulteriore criterio di validazione. Il gomito che
allaumentare delle temperature efficaci conduce alla verticalizzazione del Ramo (HB-TD
= HB Turn Down) segnala in effetti la temperatura alla quale la correzione bolometrica
inzia a crescere, abbassando la luminosita nella banda V. Esso e quindi un buon indicatore
di temperatura che si colloca attorno a (B-V)0 0, indipendentemente dalla metallicita o
dalleta del cluster. La buona corrispondenza tra il TD teorico e quello osservato e quindi
un buon criterio di conferma del valore di reddening adottato.
Come mostrato in Fig. 9.4b, fissato modulo di distanza e reddening, il valore della
lunghezza di rimescolamento resta fissato dalla condizione di riprodurre il colore osservato
del Ramo delle Giganti, anchesso solo debolmente dipendente dalleta dellammasso (cioe
dal valore della massa evolvente). leta resta infine determinata dal confronto delle isocrone
nella regione del Turn Off. I dati in Fig. 9.4b mostrano come in un ammasso con buon di-
agramma CM lincertezza di tale determinazione sia sensibilmente minore a 1 Gyr, fatto
salvo lintervento di errori sistematici. La Fig.9.5 mostra come le isocrone teoriche piu ag-
giornate riescano a rendere fedelmente conto della distribuzione nel diagramma CM delle
stelle di un Ammasso Globulare, riproducendo in particolare con buona precisione la collo-
cazione del Ramo delle Giganti con il parametro di mixing length calibrato al valore l 2.0
HP .
7
Fig. 9.5. Diagramma CM per lAmmasso Globulare M13 con sovraimposto il best fitting delle
isocrone teoriche. Per la fase di combustione centrale di He e riportata solo la collocazione della
ZAHB.
A fianco e in aggiunta a tale criterio morfologico, esistono altri parametri che possono
concorrere ad una validazione dello scenario teorico. Tra questi di particolare rilevanza il
rapporto tra il numero di stelle in AGB e in HB, che losservazione fissa a 0.14 0.05.
E facile comprendere come tale rapporto rifletta lestensione della convezione nella fase
di combustione centrale di He: maggiore tale estensione maggiori sono i nuclei di CO al
termine della combustione, piu lunga la vita in HB e piu luminosa e piu rapida la fase
di AGB. La semiconvezione classica rende automaticamente conto di tale rapporto, che
richiederebbe invece una drastica riduzione dellovershooting invasivo usato da alcuni autori.
Tra gli elementi validanti, e che nel contempo forniscono informazioni sui parametri evolutivi
del cluster, ricordiamo infine anche la funzione di luminosita del Ramo delle Giganti e, nel
corpo di questa, la luminosita del bump generato dallincontro della shell di combustione
dellidrogeno con la discontinuita nellabbondanza di H lasciata dal primo dredge up.
Tra i risultati delle procedure di validazione e di fitting vi e dunque, come atteso, anche
leta dei cluster, elemento di grande rilevanza nello stabilire le tappe evolutive della Galassia.
Vi e oggi un crescente accordo per assegnare agli Ammassi Globulari della Galassia eta che
si aggirano attorno a 11-12 Gyr, il valore esatto dipendendo dai vari autori. E ancora aperto
il discorso di quanto tali ammassi possono essere considerati rigidamente coevi. Da notare
che in ammassi cosi antichi non e piu trascurabile la diffusione degli elementi: per ogni
prefissata eta dellammasso, tale meccanismo tende a diminire la luminosita del Turn Off
e quindi, a ringiovanire lammasso di circa 1 Gyr rispetto a quanto ricavabile ricorrendo a
scenari evolutivi privi di diffusione.
Si noti a tale proposito come la luminosita del Turn Off cui abbiamo or ora fatto rifer-
imento possa essere calibrata, per ogni assunta composizione chimica originaria, in termini
delleta dei cluster. Cio consente determinazioni delleta che prescindono dal fitting accurato
dellandamento delle stelle nel diagramma CM. Per usare tale calibrazione occorre peral-
tro riuscire a valutare la distanza dellammasso e, con essa, la magnitudine assoluta delle
stelle osservate. A tale scopo vengono usati due tipi di procedure. Luna, che abbiamo ga
richiamato, consiste nel valutare la distanza dellammasso tramite il fitting della Sequenza
Principale. Una variante di tale procedura, utilizzata da taluni, consiste nel valutare la mag-
nitudine assoluta delle stelle di MS non gia dalle previsioni teoriche ma dallosservazione di
subnane di campo di distanza e metallicita note. Non si comprende peraltro in base a quale
ragionamento non ci si fida della MS teorica per poi fidarsi della calibrazione dei Turn Off.
Una seconda procedura assume di fatto come calibratori di distanza (candele standard)
le stelle di Ramo Orizzontale. Ferme restando le precauzioni che riguardano le valutazioni
8
Fig. 9.6. Il diagramma CM per le stelle nella Dwarf Spheroidal Galaxy Carina del Gruppo locale.
Le isocrone teoriche mostrano il best fit delle stelle di tre distinti episodi di formazione.
teoriche di tali strutture in fase di evoluzione avanzata, una tale procedura conduce ad
una stima delleta di particolare rilevanza e semplicita, nota come il Metodo Verticale. E
infatti subito visto che in tal caso la teoria fornisce una calibrazione in termini di eta della
differenza di magnitudine tra il Ramo Orizzontale ed il TO, che e parametro indipendente
dallarrossamento e facilmente misurabile anche quando le osservazioni non raggiungano con
sufficiente precisione le stelle di MS. Ricordando come la luminosita dellHB dipenda solo
molto debolmente dalleta, si conclude facilmente come la differenza di magnitudine HB-TO
deva aumentare al crescere delleta dellammasso.
In linea di principio, a fianco del Metodo Verticale si potrebbe considerare anche un
corrispondente Metodo Orizzontale. La Fig.9.4 mostra infatti come al crescere delleta
diminuisca la lumghezza del Ramo delle Subgiganti che collega il TO al Ramo delle Giganti.
La calibrazione teorica e peraltro dipendente dalle assunzioni sul valore della mixing length
che, in linea di principio, potrebbe variare al variare della metallicita del cluster. Per tale mo-
tivo il Metodo Orizzontale e stato principalmente sinora usato essenzialmente per confronti
interni tra cluster con simili metallicita.
Come nel caso delle masse intermedie, concludiamo anche questa sezione con una ap-
plicazione dello scenario evolutivo a sistemi extragalattici. La Fig.9.6 mostra infatti il di-
agramma HR delle stelle nella galassia dwarf spheroidal del Gruppo Locale in Carina.
Ne emergono con buona evidenza tre distinti episodi di formazione stellare. Come mostrato
nella stessa figura, il fitting con le isocrone teoriche conduce a valutare le eta di tali episodi
come risalenti, rispettivamente, a 0.6, 5 e 11 miliardi di anni or sono.
Fig. 9.7. Diagramma CM per lAmmasso Globulare Galattico NGC6752. Metallicita stimata
dellammasso [Fe/H]= -1.57. Lungo la coda blu del Ramo Orizzontale sono riportate gravita e
abbondanza superficiale di elio come misurate alle diverse indicate luminosita .
nellapproccio piu moderno riposa sulla produzione di modelli di atmosfera da cui ri-
cavare Spettri sintetici da confrontare con gli spettri osservati. Pur senza poter entrare nel
dettaglio di uno dei piu estesi capitoli dellastrofisica moderna, ricordiamo solamente che
ancor oggi molte modelli di atmosfera sono basat1 su un trattamento monodimensionale
(strati atmosferici piani e paralleli) assunti in Equilibrio Termodinamico Locale = LTE.
Appare peraltro sempre piu evidente che approcci piu perfezionati, quali quelli non-LTE
tridimensionali, possono portare a non trascurabili variazioni nelle valutazioni di compo-
sizione chimica. Le stime sin qui fornite sulla metallicita delle struttture galattiche ed ex-
tragalattiche devono pertanto essere riguardate come fortemente indicative, ma con ancora
un sia pur limitato margine di variabilita. In tale contesto, per lungo tempo si e fatto uso
dellipotesi che al variare della metallicita totale Z rimanesse costante il rapporto dei vari
elementi pesanti che concorrono a formare tale metallicita, cosi come ricavato dallatmosfera
del Sole (Solar Scaled Mixtures). Valutazioni piu approfondite hanno peraltro mostrato che
al fdiminuire di Z ai valori tipici della Pop-II galattica si manifesta una tipica sovrabbon-
danza relativa degli elementi multipli di , quali C, O, Ne, Mg. E questo un interessante
segnale di una variazione temporale nei meccanismi di produzione degli elementi pesanti.
Qui ci interessa solo segnalare che tale sovrabbondanza viene rappresentata, in analogia
con il fattore di metallicita [F e/H], dal rapporto
Le misure dellelio in tali stelle hanno peraltro prodotto risultati inattesi, con abbondanze
che variano tra 1/10 e 1/100 dellabbondanza di He nel Sole.
A fronte di tale evidenza, fu a suo tempo suggerito, ed e oggi universalmente accettato,
che la scarsezza di He nelle atmosfere di stelle blu di HB sia da addebitarsi alla sedi-
mentazione gravitazionale, meccanismo che ci si attende sia particolarmente efficiente in tali
stelle caratterizzate da alta gravita superficiale e assenza di inviluppi convettivi. Analisi ac-
curate hanno confortato tale ipotesi, mostrando come in stelle blu di HB labbondanza di He
risulti inversamente proporzionale alla gravita superficiale (Fig.9.7). Lelio negli Ammassi
Globulari non e quindi osservabile spettroscopicamente, e la sua valutazione puo provenire
solo da considerazioni evolutive.
Ci si deve quindi domandare quali variazioni osservabili possano essere causate da vari-
azioni nel contenuto di elio originale. Di particolare rilevanza appare la prediziobe secondola
quale allaumentare del contenuto di elio aumenta sensibilmente la lumimosita predetta per
le stelle di Ramo Orizzontale. Su tale evidenza si basa una ingegnosa procedura, proposta
nellormai lontano 1967 da Icko Iben Jr., che in linea di principio consente di giungere alla va-
lutazione dellelio tramite semplici conteggi stellari e indipendentemente da ogni preventiva
valutazione della distanza o dellarrossamento di un cluster.
Alla base di tale procedura vi e levidenza che le velocita evolutive in fase di Gigante
Rossa appaiono regolate dalla relazione massa del nucleo di elio-luminosita e risultano
pertanto largamente indipendenti dai parametri evolutivi. A titolo esemplificativo ci si lasci
anche assumere che anche i tempi di evoluzione in HB siano costanti, ipotesi non distante
dalla realta risultando tali tempi sempre dellordine di 108 anni. Sotto tali assunzioni basta
definire il parametro
N (HB)
R =
N (RG)L>L(HB)
rapporto tra il numero di stelle in HB e il numero di giganti piu luminose dellHB per
ottenere un paramtero osservativo che risulta un sensibile indicatore del contenuto originario
di elio.Da un punto di vista teorico ci si attende infatti che tale rapporto sia pari al rapporto
dei rispettivi tempi evolutivi
(HB)
R =
(RG)L>L(HB)
e allaumentare dellelio aumenta il calore di R per il semplice motivo che aumenta la
luminosiya del Ramo Orizzontale e diminuisce quindi il percorso evolutivo delle giganti prese
in considerazione.
Una precisa calibrazione teorica del parametro R incontra peraltro severe difficolta. La
durata della fase di HB dipende infatti innanzitutto dal trattamento della convezione centrale
e, ad esempio, risulterebbe notevolmente allungata nel caso di overshooting invasivo. Anche
rimanendo nello scenario canonico della semiconvezione, tale durata viene a dipendere dal
valore della sezione durto della reazione 12 C(, )16 O che completa la combustione 3:
aumentando la sezione durto aumenta corrispondentemente la durata della combustione di
elio centrale.
Si noti come unanaloga parametrizzazione possa essere definita anche per la fase di
AGB, definendo un parametro
N (AGB)
R1 =
N (RG)L>L(HB)
dove il mantenere come termine di paragone le Giganti Rosse e consigliato da quella che e
lecito ritenere la piena affidabilita delle relative valutazioni evolutive, come confortate anche
11
Fig. 9.8. Gli Ammassi Globulari NGC5272 (=M3) e NGC6205 (=M13) con simili metallicita
([Fe/H] -1.55) mostrano spiccate differenze nella distribuzione delle stelle di HB. Le frecce de-
limitano indicativamente lintervallo di temperature in cui le stelle di HB, se esistenti, mostrano
fenomeni di variabilita tipo RR Lyrae
dalle buona corrispondenza alle predizioni teoriche delle osservate funzioni di luminosita.
Senza entrare in ulteriori dettagli, e da ritenere che precise valutazioni osservative di R e
R1 possano nel futuro contribuire sensibilmente a chiarire le precise modalita delle fasi di
combustione di elionelle piccole masse.
BR
HBR =
B+V +R
dove V e il numero di stelle variabili RR Lyrae, e B,R rappresentano il numero di stelle di HB
rispettivamente piu blu o piu rosse della regione di variabilita. HBR= 1 indica dunque un
ramo tutto a temperature efficaci maggiori della striscia di variabilita, e HBR= -1 un ramo
di sole stelle rosse, tipico degli ammassi a maggiore metallicita. Nel caso in esame si passa
dal tipico ramo intermedio di M3 (HBR= 0.08) al braccio blu di M13 (HBR= =.97). Ove
si escludano grossolani errori nella determinazione delle metallicita, se ne deve concludere
che oltre alla metallicita deve esister un ulteriore parametro che interviene nel determinare
la distribuzione delle stelle lumgo i Rami Orizzontali. E questo il Problema del Secondo
Parametro cui sono state rivolte numerose indagini.
Prendendo spunto da tale problema possiamo qui di seguito utilmente elencare alcune
delle possibili cause per le quali M13, con la stessa metallicita di M3, potrebbe avere HB
piu blu:
12
Fig. 9.9. Diagramma CM per lAmmasso Globulare Galattico NGC2808. Metallicita stimata
dellammasso [Fe/H]= -1.15.
Tra queste opzioni sembra al momento prevalere la differenza di eta, almeno nel caso
della coppia di cluster M3 e M13, ma il problema e ancora aperto e suscettibile di ulteriori
indagini.
Parallelo al problema del Secondo Parametro, e talora confuso con esso, e il problema
delle Code Blu. Come nel caso gia presentato di NGC6752 (Fig.9.7), alcuni cluster presentano
una estensione del Ramo Orizzontale che si spinge sino ad altissime temperature efficaci. A
causa dellintervento della correzione bolometrica, nei diagrammi CM V, B-V o V, V-I il
ramo assume un andamento spiccatamente verticale, raggiungendo e anche superando la
magnitudibe del TO. Il confronto con le risultanze teoriche mostra che si e in presenza
di stelle che, al limite blu, giungono a perdere in pratica tutto linviluppo di idrogeno,
spingendosi cos sino al limite estremo della ZAHB.
Nei cluster piu poveri di metalli, quale NGC6752, la coda blu si presenta come
unestensione del ramo alle alte temperature, in cui appaiono perlatro evidenti sottorag-
grupamenti di stelle. A metallicita superiori la coda blu appare come qualcosa che viene ad
aggiungersi al ramo rosso del cluster. Emblematico il caso di NGC2808 riportato in Fig.9.9,
ove un ramo rosso ben popolato e separato da una vistosa gap in colore dalla coda blu che
torna a popolare quella parte di Ramo Orizzontale. Anche in questo caso si noti levidente
esistenza di una serie di raggruppamenti che modulano la popolazione stellare della Coda
Blu.
Lassenza di correlazione tra Code Blu e metallicita induce talora alcuni ricercatori a
inserire tale evidenza nel quadro del problema del Secondo Parametro. Anche se tale prob-
lematica e al presente ancora controversa, notiamo che il problema del Secondo Parametro
pare spontaneamente collocarsi nello scenario di una variazione di parametri evolutivi. Al
contrario, le Code Blu sembrano indicare che, per qualche oscura ragione, in alcuni clus-
ter sono efficienti meccanismi anomali di perdita di massa, che influenzano una parte della
popolazione di Giganti Rosse giungendo sino a privarle del loro intero inviluppo.
13
Fig. 9.10. Diagramma CM sintetico per un cluster con parametri evolutivi Z= 0.001, Y= 0.23,
t= 15 Gyr. Per simulare le osservazioni e stato artificialmente introdotto un errore sui colori pro-
porzionale alle magnitudini. Lungo le sequenze sono indicate le masse delle stelle in fase di combus-
tione di H, la massa media delle stelle di HB e la massa iniziale dei progenitori delle stelle lungo la
sequenza delle Nane Bianche. Si e assunta una IMF di Salpeter.
Si deve notare al proposito come esista una correlazione tra Code Blu e densita centrale
(stelle/pc3 ) dei cluster, nel senso che non tutti i cluster ad alta densita centrale hanno Code
Blu, ma tutti i cluster con Code Blu hanno alta densita centrale. Questo lascia sospettare che
le Code Blu possano essere il prodotto di interazioni dinamiche stella-stella con conseguente
stripping degli inviluppi in ambienti ad alta densita, probabilmente in occasione di episodi
di catastrofe gravotermica ( A1.5) nei nuclei dei cluster.
Fig. 9.11. Predizioni teoriche sulla distribuzione di ammassi giovani nel diagramma a due colori
UV (1800-2800 A) (1500-3100 A) (linea continua) confrontate con le osservazioni di ammassi nella
Grande Nube di Magellano.
empio il diagramma CM sintetico di Ammasso Globulare per gli indicati valori dei parametri
evolutivi. Gli Ammassi sintetici risultamo di insostituibile utilita quando si voglia studiare
il predetto popolamento di determinate fasi evolutive, come necessario, ad esempio, per
calibrare compiutamente il valore del parametro R. Al riguardo, ricordiamo che nelle fasi
evolutive avanzate (RG, HB e AGB) vale la regola per cui gli intervalli di massa devono
risultare proporzionali ai tempi evolutivi, e dunque la calibrazione di R risultera indipen-
dente da ogni assunzione sulla IMF. Nel prossimo Capitolo vedremo come le procedure
sintetiche siano insostituibili amche nel predire il comportamento delle stelle variabili.
Qui notiamo che la costruzione di Cluster Sintetici consente di predire il flusso totale
(flusso integrato) emesso da tali sistemi, agevolmente ottenible per ogni prefissata banda
come sommatoria dei flussi emessi dalle singole stelle. E questo un parametro di grande
importanza perche tale flusso e lunico rivelabile dagli ammassi in galassie lontane, non
risolubili in singole stelle. Quando si tenga presente che gli Ammassi Globulari sono presenti
in pratica in tutte le galassie e che gli ammassi galattici possono raggiungere una magnitu-
dine -10, se ne trae levidenza dellimportanza degli ammassi nel mappare la storia evolutiva
dellUniverso. Le semplici considerazioni sul colore delle popolazioni stellari galattiche avan-
zate allinizio di questo testo mostrano senza ambiguita come i colori integrati contengano
informazioni sulleta degli ammassi. I colori integrati possono contenere peraltro simultanee
informazioni sulla metallicita, come ricavabile -ad esempio- dallevidenza che i rami RGB
degli Ammassi Globulari Galattici al si spostano verso temperature efficaci progressivamente
inferiori.
Tali considerazioni hanno stimolato una interessante linea di ricerca volta a definire
le proprieta integrate degli ammassi stellari e nel ricercare le piu opportune bande per
rimuovere eventuali degenerazioni tra i diversi parametri evolutivi. Nel caso di ammassi
relativamente giovani, e ad esempio facile comprendere come le bande UV siano un sistema
privilegiato per marcare leta dei sistemi, registrando il progressivo decrescere del flusso UV
emesso da stelle massive di MS al crescere delleta. La Fig. 9.11 riporta a titolo di esempio
la collocazione nel diagramma a due colori UV di ammassi giovani nella Grande Nube di
Magellano (LMC) confrontata con le predizioni teoriche al variare delleta dei sistemi. Se ne
trae cosi levidenza della garabde produzione di ammassi a partire da circa 250 milioni di
anni or sono e, nel contempo, lassenza di formazione di ammassi nei precedenti 400 milioni
di anni.
15
Tab. 1. Classificazione, distanza, luminosita V e coordinate galattiche per le tra maggiori galassie
del Gruppo Locale e per le galassie satelliti della Via Lattea. Lultima colonna riporta la presenza
o meno di Ammassi Globulari.
d LV l b
Class. (kpc) (107 L ) (gradi) (gradi) Globular?
Galassie:
Andromeda Sb 770 2700 121 -22 Si
Galassia Sbc - 1500 - - Si
M33 Sc 850 550 134 -31 Si
Satelliti G.:
LMC SBm 49 170 280 -33 Si
SMC Irr 58 34 303 -44 Si
Fornax dSph 120 1.4 237 -66 Si
Sagittarius dSph 25 1.0 6 -14 Si
Leo I dSph 270 0.5 226 49 No
Sculptor dSph 72 0.14 288 -83 No
Leo II dSph 207 0.06 220 67 No
Tucana dSph 870 0.05 323 -47 No
Sextans dSph 83 0.04 244 42 No
Carina dSph 100 0.03 260 -22 No
Ursa Minor dSph 64 0.02 105 45 No
Draco dSph 72 0.02 86 35 No
Approfondimenti
Oltre a questi due maggiori satelliti la Galassia e circondata da diecine di altre corpi minori, che
in genere prendono il nome dalla costellazione in cui si trovano collocati. Di particolare importanza
la ricca popolazione di Dwarf Spheroidals , una sorta di ammassi globulari extragalattici, ma a
debolissima concentrazione di stelle e con masse dellordine di 106 - 107 M . Appartengono a tale
tipologia le nane Ursa Minor, Draco, Carina, Sextans, Sculptor, Leo I, Leo II e Tucana. In alcuni
casi, come gia ricordato per Carina, si ha evidenza per una molteplicita di generazioni stellari.
Ricordiamo qui anche la Dwarf Sferoidal Fornax, che ha la peculiare caratteristica di contenere
cinque veri ammassi globulari.
Andromeda e a sua volta contornata da una serie di caratteristici satelliti. Questa galassia -
a differenza della nostra Via Lattea - e innanzitutto accompagnata da 4 ellittiche nane; due piu
vicine, NGC205 e NGC221=M32, e due, NGC147 e NGC185, leggermente piu distanti, con masse
caratteristiche dellordine di 3-5 109 M , presenza di popolazione antica ma anche con segni di
recente formazione stellare. Anche queste galassie minori contengono Ammassi Globulari. Sono
state inoltre rivelate attorno ad Andromeda alcune Dwarf Sheroidals cui sono stati assegnati i nomi
Andromeda I, II, III .....
La Tabella 1 riporta alcuni valori indicativi per le tre maggiori galassie del Gruppo Locale e per i
satelliti della Via Lattea, questi ultimi ordinati per luminosita integrata, nella banda V, decrescente.
Fig. 9.12. Percorsi evolutivi in fase di combustione di idrogeno per una struttura dagli indicati
parametri di massa e composizione, come valutati sotto le diverse indicate assunzioni sullestensione
dellovershooting invasivo. I punti individuano lunglo le traiettorie evolutive un costante e comune
intervallo di tempo.
sibile. Per ogni prefissato valore della massa (intermedia) originaria, le strutture di MS sviluppano
nuclei di He piu massivi. In analogia con quanto avviene per le strutture di MS. nella fase di
combustione di elio la luminosita cresce al crescere del nucleo di elio, e lovershooting produrra
quindi in tale fase stelle piu luminose e con minore durata nella fase di combustione di elio centrale.
Lovershooting dunque opera sulla relazione massa - luminosita delle strutture in combustione di
elio: per ogni assegnata luminosita lovershooting prevede massa minori di quelle previste dalla mod-
ellistica standard. Il comportamento pulsazionale delle variabili Cefeidi (supra) sembra confortare
una tale ipotesi di masse minori del previsto canonico: le evidenza pero mal si accordano anche
con lipotesi dellovershooting e la citata discrepanza potrebbe essere solo evidenza per fenomeni di
perdita di massa.
Grande attenzione e stata infine posta al tentativo di porre in luce le attese differenze temporali,
secondo le quali lintervento dellovershooting ha il duplice e contemporaneo effetto di aumentare i
tempi di combustione di H e di diminuire nel contempo i tempi della combustione di elio. In linea
di principio tale differenza puo essere messa in luce semplicemente tramite il confronto dei dati
osservativi con le predizioni teoriche per le funzioni di luminosita della MS normalizzate al numero
di Giganti Rosse. E immediato comprendere come, per ogni prefissata distribuzione di massa lungo
la MS (per ogni fissata IMF), lipotesi di overshooting produce meno giganti e, di conseguenza, un
LF normalizzata sensibilmente piu alta del caso canonico.
18
Fig. 9.13. Funzione di luminosita per le stelle di MS del cluster NGC1866 in LMC, confrontata
con le predizioni teoriche per vari valori dellesponente della IMF. Ancora una volta si trova che le
stelle seguono con ottima approssimazione una distribuzione di Salpeter ( = 2.35)
La IMF puo essere daltra parte agevolmente ricavata dai dati sperimentali esprimendo la fun-
zione di luminosita osservata per le strutture non evolute della MS in un piano logN, V. Tale piano
risulta di grande utilita ogni qualvolta si discutano funzioni di lumonosita, rivelando le caratteris-
tiche della distribuzione indipendentemente dalla tricchezza del campione. Nel caso in discussione
ad ogni esponente della IMF corrisponde una unica e ben determinata pendenza delle curve, e vari-
azioni nel numero totale delle stelle implicano solo uno spostamento solidale della curve lungo lasse
delle ascisse. La Fig. 9.13 mostra un esempio dellapplicazione di tale tecnica allammasso NGC1866
in LMC, ripetutamente usato come test per indagare lefficienza di overshooting invasivi. Purtroppo
incertezze nei dati sperimentali e difformita negli scenari teorici di riferimento non hanno ancora
portato a conclusioni unanimi.
Per amore di precisione, notiamo infine che in quanto sopra abbiamo leggermente abusato della
definizione di MS: con tale termine abbiamo infatti indicato la sequenza di stelle che in realta e
formata stricto sensu non solo da strutture di MS, ma ha alla sua culminazione strutture nelle fasi
immediatamente successive alla overall contraction. Per porre in chiaro tale ulteriore contributo,
al posto di MS e stata talora usata la definizione di Blue Sequence (BS), ma questo e dettaglio
marginale.
Fig. 9.14. Isocrone teoriche nel piano V, B-V per stelle in fase di combustione di idrogeno con una
comune eta di 11 Gyr e per i valori di metallicita Z=0.0002, 0.0004, 0.0006. 0.001, 0.004, 0.008.
Fig. 9.15. Relazione tra massa del nucleo di He (Mc) e luminosita per due Giganti Rosse di 0.9
M e per i due indicati valori della metallicita .
Lapproccio osservativo riposa peraltro forzosamente su una definizione leggermente piu comp-
lessa. Per ottenere un parametro indipendente dal modulo di distanza dellammasso si definisce il
parametro
(B V )0,g
come il colore disarrossato del Ramo delle Giganti misurato al livello di luminosita del Ramo
Orizzontale. La calibrazione empirica di tale parametro riposa su campioni di ammassi di cui siano
noti sia il diagramma CM che le rispettive metallicita spettroscopiche. La corrispondente cali-
brazione teorica si scontra con lincertezza sul valore della lunghezza di rimescolamento, da cui
abbiamo visto dipendere il colore del Ramo delle Giganti e si traduce di fatto non tanto in una cali-
brazione del parametro (B-V)0,g in termini di metallicita quanto in una calibrazione della lumghezza
di rimescolamento in termini dela metallicita stessa.
Un altro parametro fotometrico e fornito dalla Pendenza del Ramo definita dal parametro S
(=Slope)
V
S=
(B V )
misurata sempre sa partire dal livello di luminosita del Ramo Orizzontale. Nella sua formulazione
originale, lintervallo di misura veniva definito tramite il punto del Ramo delle Giganti 2.5 mag piu
luminoso del HB. Tenendo presente che la magnitudine V del HB si aggira attorno a 0.5 m, la Fig.
9.14 mostra come tale definizione non sia applicabile agli ammassi piu metallici, che non raggiungono
la richiesta differenza di magnitudine. Per tale motivo sono state evanzate definizioni alternative,
sia diminuendo lintervallo di magnitudini, come esemplificato in figura, sia prendendo come base un
intervallo in colore e non in magnitudine. Senza entrare in ulteriori dettagli, notiamo qui solamente
che il parametro S, rispetto al parametro (B-V)0,g , gode della importante proprieta di non dipendere
dallarrossamento dellammasso, sovente mal conosciuto.
20
Fig. 9.16. Calibrazione teorica dei colori integrati di Ammassi Globulari per gli indicati valori di
eta al variare del contenuto metallico. I punti riportano valori osservativi per Ammassi Globulari
Galattici.
Il contenuto metallico gioca un ruolo importante anche nella storia evolutiva delle strutture di
Gigante Rossa. Abbiamo gia ricordato come per tali strutture valga una relazione massa del nucleo
di He - luminosita. Ora aggiungiamo che tale relazione non dipende - entro limiti ragionevoli - dalla
massa stellare ma dipende dal contenuto metallico. I dati in Fig. 9.15 mostrano come per ogni
assunto valore della metallicita stelle con minore contenuto metallico abbiano una maggiore massa
del nucleo di He. Nuovamente a livello di modello mentale e ricordando come lenergia sia prodotta
dalle combustioni CNO, cio discende dal fatto che a parita di nucleo di He stelle a minore contenuto
di CNO erogano minor energia.
I dati nella stessa figura confermano ( 6.3) anche che, a parita di massa, la luminosita del
bump del Ramo delle Giganti decresca sensibilmente al crescere della metallicita. Aggiungiamo
che, per fissata metallicita, tale luminosita decresce al diminuire della massa evolvente e quindi
allaumentare delleta dellammasso. Aggiungiamo anche che la vita in fase di combustione di
idrogeno cresce allaumentare dei metalli: i modelli di Fig. 9.15 raggiungono il flash rispettivamente
a 7.07 Gyr (Z=0.0002) e 12.94 Gyr (Z=0.008). A parita di eta stelle piu metalliche sono quindi
meno massicce, e la diminuzione di massa si aggiunge allaumento di metallicita nel contribuire alla
diminuzione della luminosita del Bump. Le condizioni sulla luminosita del Bump possono cosi essere
riassunte schematicamente:
Fig. 9.17. Traiettoria nel diagramma HR di una stella di 0.8 M , Z=0.0002 per i due indicati
valori del parametro di efficienza della perdita di massa nella formulazione di Reimers.
Transition deve risultare tanto piu rosso quanto piu alta e la metallicita, predizione puntualmente
verificata dai calcoli evolutivi. La Fig. 9.16 mostra come i colori integrati in varie bande siano ottimi
indicatori di metallicita, solo marginalmente affetti da variazioni di eta nellintervallo 8-15 Gyr. E
peraltro da avisare che variazioni nel tipo di HB possono introdurre ulteriori, ma non drsmmstiche
variazioni. I colori integrati forniscono quindi la possibilita di ottenere preziose informazioni sulla
metallicita di ammassi globulari in galassie anche estremamente lontane e per i quali non siano
accessibili i diagrammi CM.
Ricordiamo infine come la luminosita delle stelle alestremita superiore del Ramo (Tip delle
Giganti) sia stata piu volte utilizzata per stimare la distanza di ammassi globulari extragalattici,
con una precisione che puo tipicamente scendere a circa 0.1 mag.
Fig. 9.18. A sinistra: Massa delle strutture allabbandono del Ramo delle Giganti al variare
dellefficienza della perdita di massa e per le indicate assunzioni sulla metallicita. A destra: Massa
degli inviluppi ricchi di idrogeno allabbandono del Ramo delle Giganti in funzione della luminosita
di abbandono e per le indicate assunzioni sulla metallicita delle strutture
formulazione di Reimers per la perdita di massa, si trova che al crescere del parametro di efficienza
le strutture -come atteso- abbandonano sempre piu precocemente il Ramo delle Giganti, ad una
luminosita che risulta praticamente indipendente dalla metallicita delle strutture. Quanto questo
risultato sia collegato allintervento di diversi e contemporanei fattori e mostrato dai dati in Fig.
9.18. Il pannello di destra mostra infatti come, a parita di e quindi di luminosita di abbandono, la
massa delle strutture sia tanto maggiore quanto minore la metallicita. Questa e lattesa conseguenza
del fatto che al diminuire della metallicita i Rami delle Giganti si spostano a temperature efficaci
maggiori e quindi diminuisce, a parita di , la perdita di massa.
Labbandono del Ramo delle Giganti avviene quando quindi, per ogni prefissata luminosita,
ad una massa critica che aumenta al diminuire della metallicita. Tale aumento non e in realta
sorprendente quando si tenga conto di almeno due fattori. Innanzitutto, la Fig. 9.15 mostra come
a parita di luminosita stelle meno metalliche hanno nuclei di He maggiori e quindi, a parita di
massa, avrebbero inviluppi idrogenoidi minori. A cio si aggiunge, come mostrato nel pannello di
destra di Fig. 9.18, che al diminuire della metallicita cresce anche il valore della massa minima
dellinviluppo (massa critica) necessaria per sostenere levoluzione di Gigante Rossa. Anche per tale
accadimento si puo ricorrere ad un modello mentale: maggiore la metallicita, maggiore il CNO,
piu efficiente e piu sottile la shell di combustione e, di conseguenza, minori le richieste sulla massa
minima dellinviluppo.
Al quadro generale sin qui riportato, la teoria aggiunge la predizione che al crescere della perdita
di massa, le prime strutture che abbandonano il Ramo delle Giganti prima di innescare il flash
dellHe, finiscono con subire tale innesco durante lescursione verso la sequenza di Nana Bianca o
addirittura durante il raffreddamento lumgo tale sequenza.La Fig. 9.19 ne riporta un tipico esempio.
Tali strutture sono indicate in letteratura con il termine di Hot Flashers, e coprono un ristretto
interallo di masse, dellordine di 0.02 M . Masse ancora minori non riescono ad innescare il flash e
raffreddano come Nane Bianche.
Al termine del flash gli Hot Flashers iniziano la fase di combustione quiescente dellHe quasi, ma
non esattamente, in corrispondenza della ZAHB delle masse superiori. Il nucleo di He non e infatti
riuscito a svilupparsi completamente e le strutture hanno nuclei di elio leggermente meno massicci,
risultando di conseguenza leggermente meno luminose. La Fig. 9.20 mostra nel dettaglio un esempio
di tale accadimento. Particolare di grande rilevanza e levidenza che in base ai meccanismi descritti,
tali stelle conserveranno in ogni caso un sia pur tenue inviluppo di idrogeno, non raggiungendo quindi
mai lestremo limite teorico della ZAHB definito da un inviluppo nullo. In base a tali considerazioni
la teoria fornisce per le strutture in fase di combustione quiescente di He una temperatura efficace
massima non superiore a logTe 4.5
Numerosi dati osservativi sembrano peraltro indicare che tali temperature sono superate dalle
stelle piu calde in almeno alcune Code Blu. La Fig. 9.21 riporta i dati osservativi per il ramo
orizzontale di NGC2808, come osservato nelle bande 2180 A (estremo UV) e 5500 A (visibile). Si
nota innanzitutto come luso di bande UV consenta di studiare con grande dettaglio le stelle di HB
23
Fig. 9.19. Traiettoria evolutiva di un modello di Hot Flasher. Lasterisco indica linnesco del
flash dellHe e la linea a tratti collega tale punto col primo modello di combustione quiescente di He
centrale. E riportata anche la successiva evoluzione in combustione quiescente di elio sino al finale
raffreddamento sotto forma di Nana Bianca di CO.
Fig. 9.20. ZAHB e fasi di combustione centrale di He per strutture evolutive (linee continue)
confrontate con modelli a massa del nucleo costante (linee a tratti). Le masse delle strutture sono
indicate in masse solari. Per confronto sono riportati anche tre modelli di puro elio di 0.45, 0.50 e
0.55 M e la traccia evolutiva del modello di 0.50 M sino al raffreddamento come nana di CO.
Fig. 9.21. Diagramma CM UV delle stelle dellammasso NGC2808. La grande linea curva indica la
collocazione della ZAHB teorica, e la linea a tratti quella delle fasi di esaurimento dellelio centrale.
Sono indicate alcune fasi evolutine: TO=Turn Off, RHB= Red HB, BHB= Blue HB, AGBm=AGB
manque. E indicata anche la sequenza di Blue Stragglers (BS), di origine incerta.
ad alta temperatura, che in tali bande risultano di gran lunga le piu luminose dellintero ammasso.
Colori quali (218-555) usato in figura risultano onoltre ben correlati con le temperature estreme, a
differenza - ad es- - del B-V che a tali temperature ha ormai saturato raggiungendo il suo minimo
valore.
24
Dal confonto dei dato osservativi con le previsioni teoriche, riportate nella stessa figura, si
nota come le stelle piu calde superino il limite estremo delle previsioni teoriche. Tale accadimento
pare anche confermato da osservazioni spettroscopiche, che forniscono per tali stelle temperature
dellordine di 35000-40000 K (logTe 4.55-4.60). Il problema e ancora aperto: tra le varie ipotesi
segnaliamo quella che collega tali alte temperature ad eventi di mescolamento durante il flash delle
strutture meno massicce, che arricchirebbero le atmosfere di tali stelle di He e C.
25
Fig.9.1 Castellani V., DeglInnocenti S., Prada Moroni P.G., Tordiglione V. 2002, MNRAS 334, 193
Fig.9.2 Brocato E., Castellani V., Di Carlo E., Raimondo G., Walker A.R. 2003, AJ 125, 311
Fig.9.3 Bencivenni D., Brocato E., Buonanno R., Castellani V. 1991, AJ 102, 137
Fig.9.4 Brocato E., Castellani V., Piersimoni A. 1997, AJ 491, 789
Fig.9.5 Cariulo P., DeglInnocenti S., Castellani V., 2004, A&A (in stampa)
Fig.9.6 Monelli M., Pulone L., Corsi C.E., Castellani M., Bono G. (piu 10 coautori) 2003, ApJ 128, 218
Fig.9.7 Heber U., Kudritzki R., Caloi V., Castellani V., Danziger J. (piu 2 coautori) 1985, A&A 162, 171
Fig.9.8 Rosenberg A., Piotto G., Saviane I., Aparicio A. 2001, A&A 144, 5; 145, 451
Fig.9.9 Piotto G., King I.R., Djorgovski S.G., Sosin C., Zoccali M. (piu 7 coautori) 2002, A&A 391, 945
Fig.9.10 Brocato E., Castellani V., Poli F.M., Raimondo G. 2000, A&AS 146, 91
Fig.9.11 Barbero, J., Brocato E., Cassatella A., Castellani V., Geyer E.H. 1990, ApJ 351, 98
Fig.9.12 Prada Moroni P.G. 1999, Tesi, Universita di Pisa.
Fig.9.13 Brocato E., Castellani V., Di Carlo E., Raimondo G., Walker A.R. 2003, AJ 125, 3111
Fig.9.14 Cariulo P., DeglInnocenti S., Castellani V., 2004, A&A (in stampa)
Fig.9.15 Pisa Evolutiobary Library
Fig.9.16 Brocato E., Castellani V., Poli F.M., Raimondo G. 2000, A&AS 146, 91
Fig.9.17 Castellani M., Castellani V. 1993, ApJ 407, 649
Fig.9.18 Castellani V., Luridiana V. , Romaniello M. 1994, ApJ 428, 633
Fig.9.19 Castellani M., Castellani V. 1993, ApJ 407, 649
Fig.9.20 Castellani V., DeglInnocenti S., Pulone L. 1995, 446, 228
Fig. 9.15 Bono G., Castellani V., Iannicola G. 2004, in preparazione.
Capitolo 10
Le Stelle variabili.
Fig. 10.1. Curva di luce di Mira Ceti. Il tempo e espresso in giorni giuliani (J.D. = Julian Days
A10.1)
1
2
sostanziali differenze nelle caratteristiche di tale variabilita e nei meccanismi allorigine del
fenomeno. Citiamo subito, per non interessarcene ulteriormente, la presenza di variabili
ottiche o pseudovariabili, oggetti binari nei quali le variazioni periodiche di luminosita
sono dovute al mutuo eclissarsi dei due oggetti orbitanti (binarie ad eclisse). Tra gli oggetti
che invece presentano una reale variabilita possiamo definire in prima approssimazione due
grandi tipologie:
1. Variabili intrinseche. Come Mira Ceti, hanno variazioni di magnitudine che si ripetono
sovente con ampiezze e periodi ben determinati. Tra queste le variabili pulsanti, nelle
quali l effetto Doppler nelle righe dello spettro mostra senza ambiguita che la variazione
di luminosita e accompaganta da corrispondenti variazioni del raggio delle strutture.
Fig. 10.2. Distribuzione nel diagramma HR di idocrone al variare delleta e per lindicata compo-
sizione chimica iniziale. Sono indicati i bordi della striscia di instabilita e, a tratti, e schematizzata
la collocazione del Ramo Orizzontale popolato dalle stelle in combustione centrale di He nelle popo-
lazioni piu antiche.
P quando M L Te
I dati in Fig. 10.2 rendono spontaneamente ragione per lo scenario osservativo in prece-
denza delineato. Si vede infatti come nel caso di popolazioni giovani, trascurando la rapida
fase di attraversamento del diagramma al termine della combustione centrale di H, la strip
possa essere popolata solo da quelle stelle sufficientemente massicce il cui loop in fase di
combustione centrale di He penetri nella strip. Nelle popolazioni piu antiche, quali quelle
degli ammassi globulari, tali strutture vengono ovviamente a mancare, mentre la strip di
instabilita puo essere popolata sola da strutture di Ramo Orizzontale, a molto minore lu-
minosita. E immediato identificare i due casi con le classi, rispettivamente, di Cefeidi e RR
Lyrae, comprendendo nel contempo che la differenza tra le due classi discende dalla diversa
eta e non dalla diversa composizione chimica. E comprendendo anche che il minor periodo
delle RR Lyrae discende essenzialmente dalla maggior gravita superficiale.
10.3. RR Lyrae
La Fig. 10.3 mostra la curva di luce nella banda V della variabile RR Lyrae, prototipo della
omonima classe, il cui periodo P risulta
P = 0.56683735d
Si noti che lestrema precisione con cui e noto il periodo, inferiore al centesimo di secondo,
e conseguenza di osservazioni ripetute ad intervalli di tempo molto maggiori del periodo
stesso. Nelloccasione notiamo come i periodi delle variabili rappresentino una grandezza
astrofisica non solo misurabile con precisione sconosciuta a tutte le altre grandezze sinora
incontrate nella problematica stellare, ma che anche non dipende ne dalla distanza ne da
eventuali arrossamenti degli oggetti. Un dato sperimentale quindi di agevole misura ed es-
trema affidabilita che si inserisce in un quadro osservativo per molti versi affetto da molte
piu incertezze.
Un ulteriore parametro caratterizzante la pulsazione e fornito dallampiezza della curva
di luce, intesa come differenza delle magnitudini al massimo e al minimo della curva stessa.
Poiche alla variazione di luminosita corrispondono anche variazioni di temperatura efficace,
lampiezza dipende dalla banda di osservazione e, tipicamente, risulta massima nella banda
B che, per tale motivo, e la piu utilizzata sia per la ricerca di variabili che per definirne
5
Fig. 10.4. Pannello superiore: Diagramma di Bayley per un campione di RR Lyrae nellAmmasso
Globulare NGC5904=M5. Pannello inferiore: La collocazione nel diagramma CM del campione di
cui al pannello superiore.
lampiezza. In qualunque banda, lampiezza della curva di luce e peraltro, anchessa, indipen-
dente da distanza ed arrossamento, cosi che ogni variabile osservata fornisce due parametri
esenti da incertezze sperimentali.
Le RR Lyrae sono tipiche variabili di Popolazione II e, in quanto tali, presenti sia come
stelle sparse nellalone galattico sia concentrate in alcuni Ammassi Globulari. Le RR Lyrae
degli Ammassi Globulari sono state storicamente e restano tuttora di estrema importanza:
si e in presenza di campioni ricchi anche di qualche centinaio di variabili, tutte alla stessa
distanza, tutte con la stessa eta e tutte provenienti da stelle con la medesima composizione
chimica. Campioni quindi ottimali per indagare le proprieta intrinseche della variabilita e il
loro collegamento con i parametri evolutivi.
Una prima ed important proprieta di tali variabili emerge mappando in un piano
(Diagramma di Bayley) i due parametri pulsazionali periodo e ampiezza. Come mostrato
nellesempio riportato nel pannello superiore di Fig. 10.4, i pulsatori si dispongono in due
6
Fig. 10.5. Topologia della striscia teorica di instabilita per stelle povere di metalli e massa 0.75
M . Sono indicate le tre zone discusse nel testo e i vari limiti di instabilita: FBE (Fundamental Blue
Edge), FRE (Fundamental Red Edge), FOBE (First Overtone Blue Edge), FORE (First Overtone
Red Edge).
gruppi ben distinti: un gruppo (RR di tipo ab = RRab) a maggiori periodi e ampiezze
varie, decrescenti col periodo, e un gruppo (RRc) con piccole ampiezze e corti periodi. Il
diagramma CM riportato nel pannello inferiore della stessa figura mostra come i pulsatori
di tipo ab o c si dispongano rispettivamente alle minori o alle maggiori temperature
efficaci.
Semplici considerazioni di ordine fisico hanno da molto tempo suggerito che una tale dico-
tomia delle proprieta pulsazionali sia una manifestazione di diversi modi della pulsazione,
nel modo fondamentale le RRab e nel primo sopratono le RRc. Tale previsione e risultata
pienamente confermata daile moderne valutazioni teoriche che mostrano come nella strip
di instabilita si distinguano tre regioni con diverse caratterisiche pulsazionali: alle maggiori
temperature efficaci una zona FO (= First Overtone) ove e instabile solo il primo sopratono,
alle minori temperature una zona F (=Fundamental) ove le stelle possono pulsare solo nel
modo fondamentale e una zona intermedia (zona OR) dove sono instabili tutti e due i modi
e le stelle possono pulsare indifferentemente pulsare nel fondamentale o nel primo sopratono.
La Fig. 10.5 riporta la topologia della striscia teorica di instabilita per stelle povere di
metalli e massa 0.75 M . La precisa collocazione dei bordi delle zone di instabilita dipende
infatti dalla massa stellare e dalla composizione chimica degli inviluppi. Aggiungiamo che lo
sviluppo della convezione giuoca un ruolo determinante nellinibire la pulsazione alle minori
temperature efficaci. Non sorprendentemente, lesatta collocazione del FRE viene anche a
dipendere dalle assunzioni sulla mixing length.
La teoria fornisce inoltre precise predizioni sui periodi. Per il modo fondamentale risulta
logPF = 11.242 + 0.841 logL 0.679 logM 3.410 logTe + 0.007 logZ
dove L e M sono in unita solari e il periodo P e in giorni. Per il primo sopratono vale una
formula analoga, che con ottima approssimaziome puo essere ridotta alla relazione
Fig. 10.6. La strip di instabilit a nel piano logP, Mv. Le frecce sullascissa indicano un intervallo
di periodi osservato e le linee a tratti mostrano il metodo per ricavare la magnitudine assoluta dei
pulsatori.
RR Lyrae e dei loro periodi. Si aprono cos inumerevoli canali di indagine che consentono di
utilizzare le proprieta osservative di questi pulsatori come elemento a conferma o integrazione
delle indagini puramente evolutive.
Senza entrare in una casistica talvolta complessa e delicata, notiamo qui soltanto che per
ogni assunta composizione chimica, le teorie evolutive forniscono una precisa predizione per
la luminosita del Ramo Orizzontale e per le masse che popolano la strip di instabilia. Ne segue
anche una precisa predizione sui periodi delle RR Lyrae e, in particolare, sui periodi minimi
e massimi come realizzati rispettivamente al bordo blu e al bordo rosso della strip. Il con-
fronto con le osservazioni consente quindi di validare lo scenario evolutivo o, eventualmente,
di acquisire informazioni sulle necessarie modifiche. Cos, ad esempio, un quadro teorico che
fornisse Rami Orizzontali troppo luminosi verrebbe rivelato da periodi minimo/massimo piu
lunghi di quelli osservati. La Fig. 10.6 mostra una utile forma applicativa di tale metodo.
Riandando alla Fig. 10.5 e facile verificare che per ogni assunta luminosita restano determi-
nati i periodi ai due limiti dalla strip, lungo cioe il FOBE e il FRE. Cio consente di mappare
la striscia di instabilita in un piano logP, log L o anche logP, Mv. Come esemplificato in
Fig. 10.6, ove si possa trascurare la dispersione in luminosita dei pulsatori, ad ogni osservato
intervallo di periodi corrisponde un ed un sol valore della magnitudine assoluta V, da cui la
luminosit a del Ramo e il modulo di distanza dellAmmasso.
Aggiungiamo che, a livello operativo, molte procedure di indagine risultano semplificate
dallutile artifizio di introdurre i periodi fondamentalizzati. Di fatto lanalisi dei dati osser-
vativi viene esguita trasformano gli osservati periodi delle RRc nei corrispondenti periodi
fondamentali tramite la precedente relazione, ricavando il periodo che quelle stelle mostr-
erebbero se pulsassero nel fondamentale. Si evitano cosi le complicazioni presentate dalla
presenza dei due modi di pulsazione ottenendo un campione sperimentale legato da una
univoca relazione ai parametri evolutivi. Altro artifizio talora utilizzato e quello dei periodi
ridotti, ottenuti riducendo i periodi osservati ad una comune luminosita tramite lutilizzo
della relazione dei periodi trasportata nel piano osservativo per ottenere logP in funzione,
ad esempio, di V, B-V e massa del pulsatore.
E facile infine prevedere, come di fatto si verifica, che in alcuni Ammassi Globulari
debbano esistere anche variabili a periodi nettamente piu lunghi di quelli tipici delle RR
Lyrae. Stelle di Ramo Orizzontale che originano da collocazioni di ZAHB a temperatura
efficace maggiore di quella della strip (quindi stelle di Ramo Orizzontale con masse minori
di quelle delle RR Lyrae) al termine della combustione centrale di He attraverseranno il
diagramma per raggiungere le loro collocazione di AGB, attraversando quindi la strip di
8
Fig. 10.7. Diagramma teorico logP, Mv per quattro valori della massa (5, 7, 9 e 11 M ) e per le
tre composizioni chimiche indicate.
instabilita a luminosita sensibilmente maggiori di quelle del Ramo. Avendo anche massa
minore pulseranno con periodi notevolment piu lumghi di quelli tipici delle RR.
Queste (rare) variabili sono sovente indicate il letteratura come Cefeidi di Popolazione II,
nomenclatura che trae origine dai lunghi periodi ma che risulta peraltro ingannevole perche
il comportamento e le caratteristiche di tali variabili sono ben lontani da quelli delle cefeidi
classiche che discuteremo nel seguito. Basti qui osservare che in queste variabili luminose di
Pop.II le strutture menomassicce sono anche le piu luminose (cfr., ad esempio, Fig. 7.12),
mentre il contrario avviene nelle Cefeidi classiche. Per tale motivo e stata recentemente
proposta la denominazione di Cefeidi di Ramo Orizzontale (HB Cepheids).
Fig. 10.8. Strip di instabilita nel piano logP, Mv per Z=0.004 confrontata con la collocazione
di un campione di Cefeidi della Piccola Nube di Magellano (Small Magellanic Cloud= SMC). I
quadrati pieni riportano la collocazione dei corrspondenti modelli teroco do Fig. 10.7
Per indagare il previsto comportamento delle Cefeidi dovremo ricavare dalle teorie evo-
lutive la relazione massa-luminosita per le stelle che in fase di combustione centrale di elio
penetrano nella strip di instabilita. Essendo le Cefeidi stelle massicce e, quindi, relativamente
giovani, per la Galassia potremo orientativamente assumere una metallicita solare, Z0.02.
Ma la problematica delle Cefeidi si estende spontaneamente al di la della nostra Galassia, e
levidenza osservativa indica peraltro che le Cefeidi della Grande Nube di Magellano hanno,
almeno in media, metallicita minori, Z0.008, e ancora minori (Z0.004) quelle della Piccola
Nube. Sara quindi necessario esplorare linfluenza della metallicita sul comportamento di tali
variabili.
Possiamo peraltro operare subito una importante previsione. Le teorie evolutive ci indi-
cano che lestensione dei loop che caratterizzano la combustione centrale di elio aumenta al
diminuire della metallicita. Ci si deve quindi attendere che al diminuire di Z entrino nella
strip stelle progressivamente sempre meno massicce e, conseguentemente, meno luminose. Da
qui la previsione che popolazioni giovani ma povere di metalli dovrebbero essere segnalate
dallesistenza di Cefeidi con periodi anormalmente brevi. Tale previsione e di fatto pun-
tualmente verificata non solo nelle Nubi di Magellano ma anche in alcune galassie nane del
Gruppo Locale. In letteratura queste Cefeidi a corto periodo e povere di metalli sono state
per lungo tempo indicate come Cefeidi Anomale, nomenclatura che peraltro risente della
mancata comprensione della naturale estensione del fenomeno Cefeidi alle basse metallicita.
La Fig.10.7 riporta i risultati di una esplorazione teorica della variabilita di strutture
massicce di 5, 7, 8 e 11 M per le tre indicate assunzioni sulla composizione chimica origi-
naria delle strutture medesime. Sulla falsariga di procedure che abbiamo gia discusso, tale
indagine e stata eseguita, per ogni assunto valore della massa stellare, esplorando il dia-
gramma HR al variare della temperatura efficace e al livello di luminosita che compete alla
fase di combustione di elio delle singole masse. Dai risultati di tale esplorazione si ricava in-
fine il diagramma logP, logL e da questo diagrammi logP,magnitudini quale quello riportato
in figure.
Dai dati nella figura si ricavano alcune interessanti evidenze. Innanzitutto, come atteso,
per ogni assunta composizione chimica lesistenza di una striscia di instabilita nel diagramma
HR si traduce necessariamente in una corripondente striscia di instabilita nel diagramma
logP,Mv. Tale striscia, non marcata in figura, si ricava facilmente collegando tra loro i periodi
minimo e i periodi massimi della pulsazione per le varie masse ad ogni fissata composizione
chimica. La Fig. 10.8 riporta ad esempio la strip di instabilita per il caso Z=0.004. Come
mostrato nella stessa figura, il best fitting con i dati osservativi si ottiene richiedendo le
variabili allinterno della strip teorica, ricavandone cos un modulo di distanza.
10
Fig. 10.9. Il campione di Cafeidi della Grande Nube di Magellano raccolto dallesperimento OGLE.
Contrariamente a quanto talora ritenuto, non esiste quindi una relazione periodo-
luminosita (PL) ma esistono solo relazioni periodo-luminosita- temperatura assieme alle con-
seguenti periodo-luminosita-colore (PLC). Si potra al piu parlare di una relazione periodo-
luminosita media, quale quella rappresentata dalle curve teoriche riportate nella precedente
Fig. 10.7. Relazione peraltro non priva di rischi, applicabile solo quando si abbia la garanzia
che il campione osservativo sia non solo abbondante, ma anche uniformemente distribuito a
ricoprire lintera strip.
Le predizioni teoriche indicano che la collocazione della strip dovrebbe dipendere leg-
germente dalla metallicita, spostandosi verso il rosso allaumentare di questa. Ne segue lo
shif di periodi evidente in Fig. 10.7. Ne segue che a parita di periodo Cefeidi piu metal-
liche dovrebbero avere luminosita medie minori. Questa appare come una ferma predizione
teorica, anche se i riscontri sperimentali sono ancora dibattuti.
Anche le relazioni tra periodo e parametri strutturali dipendono leggermente dalla metal-
licita. Nel caso Z=0.008 (LMC) si ha ad esempio
Fig. 10.10. A destra: Best fit della curva di luce di U Comae per gli indicati parametri strutturali.
A sinistra: variazione della curva di luce teorica per incrementi della temperatura effica di 50 K
Fig. 10.11. Best fit teorico delle due Cefeidi nella Grande Nube di Magellano, come ottenuto per
gli indicati parametri strutturali.
la curva di luce di una Cefeide della Grande Nube di Magellano. Il caso delle Cefeidi e
peraltro diverso da quello delle RRLyrae, richiedendo procedure leggermente modificate.
Ricordiamo infatti come lo scenario pulsazionale per le Cefeidi richieda che si fornisca per le
strutture una relazione massa-luminosita. Per ogni prefissata luminosita si ha cosi una massa
e quindi anche una e una sola temperatura per ogni prefissato periodo. La semplificazione
e peraltro puramente apparente: se si applica alle giganti in combustione di He la relazione
massa luminosita in assenza di perdite di massa, le curve di luce teoriche differiscono dalla
osservata per ogni assunto valore della luminosita. Come mostrato nello stesso pannello si
trova invece che laccordo puo essere raggiunto, quando si modifichi la relazione massa-
luminosita imponendo che a fissata luminosita la massa sia minore della massa originale o,
il che e equivalente, che una prefissata massa della gigante si trovi a luminosita piu alte di
quelle previste dallevoluzione a massa costante.
Il parametro libero di partenza non e piu la massa, come nel caso dele RR Lyrae, ma la
relazione massa luminosita. Ed il risultato evidenzia la potenza dellapproccio pulsazionale
che pone inequivocabilmente in luce fenomeni dei quali avevamo evidenze indirette, ma che
rimanevano mal riconoscibili nel cammino evolutivo delle strutture. La relazione massa-
luminosita richiesta dalle curve di luce e infatti lattesa conseguenza dei fenomeni di perdita
di massa, cui si possono eventualmente aggiungere effetti di overshooting invasivo.
Nel caso in esame la validazione puo essere ulteriormente perfezionata osservando che
le Cefeidi della Grande Nube sono tutte alla stessa distanza, e quindi se lo scenario teorico
e affidabile dovra essere in grado di riprodurre anche altri pulsatori sotto la condizione di
un medesimo modulo di distanza e quindi di luminosita che stanno tra loro nel rapporto
desumibile dalle osservate differenze di magnitudine. Il successo di tale procedura e mostrato
nel pannello di destra della Fig. 10.11, a ulteriore conforto delle attuali possibilita operative
della teoria dei pulsatori radiali. Va peraltro avvisato che le procedure contemplano anche
una calibrazione della mixing length, dal cui valore dipende non tanto la forma ma lampiezza
della curva di luce.
Le due curve di luce riportate nella Fig. 10.11 consentono infine di illustrare una carat-
teritica osservativa che prende il nome di Progressione di Hertzsprung. Come indicato nella
figura, tale progressione consiste nella apparizione di un bump che si sposta regolarmente
lungo la curva di luce al variare del periodo. Lorigine di tale bump e stata oggetto di molte
e contrastanti discussioni. Qui ci interessa solo di segnalare che presenza e collocazione del
bump emergono spontaneamente da appropriati calcoli pulsazionali. Per completezza, noti-
amo peraltro che, per motivi ancora ignoti, la teoria ha difficolta a riprodurre la curva di
luce delle RRab in prossimita del FRE.
13
Fig. 10.12. Curve di luce nella bande U, B, V della variabile RR Lyrae. In basso e mostrato
landamento temporale dellindice di colore B-V.
Approfondimenti
Fig. 10.13. Curva di luce e andamento delle velocita radiali tipiche di pulsatori radiali, quali RR
Lyrae e Cefeidi.
un massimo per la bamda B. La ragione di tale comportamento e subito compresa quando si esamini
landamento temporale dellindice di colore B-V. Si vede come al minimo in luminosita corrisponda
un massimo del colore (B-V0.4) e quindi un minimo della temoperatura. Analogamente, al massimo
di luminosita corrisponde il minimo di B-V e un massimo della temperatura. Alla variazione della
luminosita bolometrica (= totale) della struttura si sovrappone quindi un effetto di temperatura
che aggiunge radiazione nella banda B in prossimita del massimo e toglie radiazione, spostandola
a maggiori lunghezze donda, in prossimita del minimo. Se ne conclude che laumento di emissivita
collegato allaumento di temperatura efficace giuca un ruolo importante nella curva di luce.
Ulteriori ed importanti informazioni sono fornite dalla curva di velocita radiale, ricavabile
dalleffetto Doppler sulle righe spettrali. La Fig. 10.13 mostra come tutti i pulsatori radiali presentino
curve di velocita caratteristicamente speculari rispetto alla curva di luce. Le velocita misurate V
risultano dalla combinazione della velocita della pulsazione Vr alla velocita radiale V0 intrinseca
alloggetto pulsante. Questultima e peraltro ricavabile dalla ovvia condizione che lintegrale rispetto
al tempo della velocita radiale propria della pulsazione , che rappresenta in ogni istante lo spazio
in km di cui si e spostata la fotosfera stellare, debba annullarsi quando esteso ad un ciclo
Z
(V V0 ) dt = 0
Si ottiene cos agevolmente il valore di V0 , rappresentato in Fig. 10.13 dalla linea che divide
la curva delle velocita in due porzioni che, per definizione, sottendono eguali aree. Dai dati nella
stessa figura e ora facile verificare che il massimo di luminosita cade in un punto intermedio della
fase di pansione, in corrispondenza del massimo in temperatura efficace. Il successivo aumento di
raggio e controbilanciato dalla diminuzione di temperatura che porta, in totale, ad una diminuzione
della lumonosita.
Quando si voglia risalire dalle velocita radiali osservate alla cinematica della pulsazione occorre
tener presente che il dato osservativo fa riferimento alla media sullemisfero stellare visibile della
componente della velocita nella direzione dellosservatore, componente che e in genere minore della
reale velocita radiale, ed uguale ad essa solo nel punto centrale dellemisfero osservato. La misura
sperimentale fornisce quindi un valore inferiore del vero valore della velocita radiale. Con semplice
calcolo si trova per altro che sussiste la proporzionalita
Fig. 10.14. Confronto tra colori B-V in magnitudine o in intensita per un campione di RR Lyrae
nellAmmasso Globulare M5, senza o con correzione al colore statico.
1. Medie in magnitudine: (U), (B), (V) ... ricavate per ogni banda come media temporale delle
magnitudini istantanee
2. Medie in intensita: hUi, hBi, hVi ... ricavate dal logaritmo della media temporale dei flussi
energetici.
Poiche la media del logaritmo non e il logaritmo della media le due grandezza differiscono,
anche se non di molto, tra loro. Dalle singole magnitudini medie si ricavano cos i colori medi
in magnitudine (B-V) o in intensita hB-Vi. In letteratura e stato a lungo dibattuto il problema
di quale tra questi due colori approssimi meglio il colore della struttura statica. In realta e stato
infine mostrato che ambedue questi colori osservativi tendono a discostarsi dal colore della struttura
statica quanto piu la curva di luce risulta asimmetrica.
Esistono al riguardo opportune correzioni che consentono di risalire dai colori medi osservati ai
colori statici, passaggio obbligato quando si vogliano inserire i risultati osservativi per le variabili
nel contesto delle teorie evolutive e dei loro colori statici. La Fig. 10.14 mostra come esempio il
confronto tra colori B-V in magnitudine o in intensita per un campione di RR Lyrae nellAmmasso
Globulare M5, senza o con correzione per colore statico.
Fig. 10.15. Pnnello superiore: La distribuzine nel piano logP-Mv di strutture di HB distribuite
lungo la strip ai tre indicati livelli di luminosita . Pannello inferiore: Come nel pannello superiore
ma per il piano logP-Mk
banda V dipende solo debolmente dalla temperatura delle strutture, temperatura che -per ogni
prefissato livello di luminosita- va decrescendo dai periodi minori (FOBE) verso il massimo periodo,
raggiunto al FRE.
Il pannello inferiore della stessa figura mostra la distribuzione delle medesime strutture nella
banda K. Facendo riferimento ad un qualunque livello di luminosita, ora si nota che al diminuire
della temperatura aumenta sensibilmente la radiazione raccolta dalla banda K e. conseguentemente,
per ogni prefissato livello di luminosita si genera una relazione Periodo-Magnitudine K. Inoltre,
lesistenza di una tale relazione fa anche s che allaumentare del livello di luminosita, il corrispon-
dente aumento del periodo riporta il punto del piano logP-Mk verso la relazione caratteristica delle
minori luminosita. La conseguenza e che nel piano logP-Mv, unincertezza 0.1 in logL, per ogni
prefissato periodo si traduce in un incertezza di 0.25 mag in Mv. Dal pannello inferiore della Fig.
10.15 si ricava che nel piano logP-Mk la stessa incertezza sul livello di luminosita bolometrica delle
strutture pulsanti si tradice in un incertezza di0.07 mag su Mk.
Se ne trae che anche accettando unincertezza logL = 0.1 sulle valutazioni teoriche della
luminosita dei Rami Orizzontali, quindi ben superiore a quanto oggi si ritenga ( logL 0.03),
losservazione in banda K delle RR Lyrae consente di fissare il modulo di distanza di un ammasso
entro 0.07 mag. Per cio che riguarda leffetto di metallicita e immediato ricavare che una variazione
di logL = 0.07 si traduce nel piano logP-Mk in una dispersione delle magnitudini K pari a 0.025
mag, confortando di fatto la pratica indipendenza dalla metallicita.
Ladozione della banda K agisce quindi nel senso di rompere la degenerazione tra periodi e
magnitudini, associando ad ogni periodo solo un ristretto intervallo di magnitudini. Analogo effetto
ha, peraltro per tuttaltri motivi, ladozione degli indici reddening free definiti a suo tempo da
Wesenheit come utili parametri osservativi indipendenti dallarrossamento interstellare. Ricordando,
ad esempio, che per lestinzione nella banda V sussiste la relazione
AV = 3.10E(B V )
si riconosce che per la funzione di Wesenheit
E infatti
W (V, I) = V 2.54E(V I)
Questa volta la degenerazione viene rotta perche per una popolazione di pulsatori che riempia la
strip a V cost W decresce al crescere di (B-V) dal FOBE al FRE, creando una relazione logP(W).
Si hanno in definitva risultati del tutto analoghi a quelli discussi per la banda K, con quindi analoghe
applicazioni osservative.
1. Oo.I: Periodi medi minori di 0.6d, relativamente a maggiore metallicita con minor percentuale
di primi sopratoni (RRc).
2. Oo.II: Periodi medi maggiori di 0.6d, relativamente a minore metallicita con maggior per-
centuale di primi sopratoni.
Le ricerche sulle origini di una tale dicotomia sono state per lungo tempo al centro di numerose
indagini. Tra le varie ipotesi avanzate se ne segnalano essenzialmente due, alternative, che possono
essere cos riassunte:
La seconda ipotesi e nota com Ipotesi dellisteresi perche in genere collegata, ma non nec-
essariamente, allefficienza di un meccanismo di isteresi secondo il quale nella zona OR le stelle
conserverebbero il tipo di pulsazione con cui vi sono entrate.
Senza entrare in analisi troppo dettagliate, qui ci interessa solo mostrare come i periodi fonda-
mentalizzati forniscano un semplice approccio per dirimere la questione. Se si fondamentalizzano i
periodi delle RRc e si esegue la media dellintero campione di RR Lyrae, nellipotesi di isteresi tale
media deve restare costante tra i due gruppi di Oosterhoff, perche tutti i pulsatori sono presenti
con egual peso. Al contrario, nel caso di effetto di luminosita il periodo medio fondamentalizzato
degli Oo.II dovrebbe restare piu alto di quello degli Oo.I. La Fig. 10.16 riporta la situazione os-
servativa. Nella parte superiore del pannello di sinistra sono riportati i periodi medi della ab in
funzione della metallicita dei cluster: si nota la chiara presenza della dicotomia di Oosterhoff che
si presenta attorno ad una metallicita [Fe/H] -1.6. Nella parte inferiore dello stesso pannello e
18
Fig. 10.16. Panello di sinistra: periodi medi delle RRab (sopra) e periodi medi fodamentalizzati
(sotto) in funzione della metallicita dei cluster. Pannello di destra: istogramma dei periodi fonda-
mentalizzati per gli ammassi M15 (Oo.II) e M3 (Oo.I. In nero il contributo delle RRc
Fig. 10.17. Predizioni teoriche sullampiezza bolometrica di pulsatori RR Lyrae fondamentali (F)
e primisopratoni (FO)per le indicate assunzioni sulla massa e luminosita.
per logL=0.1. La variazione di periodo e dunque con buona approssimazione quella prodotta dalla
sola variazione di luminosita. Basta questo per evidenziare che con altrettanto buona approssi-
mazione, per una massa fissata, lampiezza deve risultare funzione della sola temperatura efficace.
Poiche questa regola conserva valore anche al variare della massa, possiamo facilmente prevedere
leffetto di una variazione di tale parametro: allaumentare della massa la relazione Ampiezza-
Periodo deve traslare versi periodi minori, di una quantita che con buona approssimazione e fornita
dalla relazione che lega periodo a massa del pulsatore.
Queste relazioni ci consentono di guardare al diagramma di Bayley non come a qualcosa di
occasionale, ma come un diagramma in cui sono registrate massa e luminosita dei pulsatori, e che
si viene ad aggiungere alle altre relazioni gia discusse per creare linsieme delle condizioni teoriche
sulle quali impostare validazioni e indagini interpretative.
1. RRLyrae: indicate talora in passato anche com Cefeidi di ammasso sono stelle di piccola
massa sul Ramo Orizzontale. Appartengono quindi a popolazioni antiche e, nella Galassia, alla
Pop.II, antica e povera di metalli. Periodi minori di un giorno. Luminosita 40-50 L , MV
0.5-0.7, leggermente dipendente dalla metallicita.
2. Cefeidi di Pop.II: denominazione equivoca che nasconde il fatto che si tratta di stelle blu di
Ramo Orizzontale che, spesso accompagnando le RR Lyrae, attraversano la strip ad alta lumi-
nosita. Stelle di piccola massa, popolazioni antiche. Periodi da 1 giorno a 1 mese. Si distinguono
in BL Her (P < 8 d) e W Virginis (P> 8 d) .
20
3. Cefeidi Classiche: Masse intermedie e grandi masse in fase di combustione centrale di elio.
Popolazioni giovani; nella Galassia Pop.I. Luminosita da centinaia a migliaia di luminosita solari.
Mv da -2 a -6.5. Periodi da 1 a 100 giorni.
4. Cefeidi Anomale: Cefeidi classiche ma di masse inferiori. Presenti solo nelle popolazioni giovani
povere di metalli. Extragalattiche.
A queste quattro classi gia dicusse, si aggiungono altre di cui ricordiamo qui le principali:
5. Scuti, SX Phoenicis: strutture di sequenza principale che intercettano la stessa striscia di
instabilita di Cefeidi e RR lyrae. Hanno (di conseguenza) periodi estremamente brevi, minori o
dellordine dellora. Di Pop.I ( Scu) o Pop.II (SX Phoe).
6. Lungo Periodo o tipo Mira: Giganti Rosse con periodo da 80 a 1000 giorni.Ampiezze da
2.5 a piu di 11 mag.
7. Semiregolari: Giganti Rosse con irregolare periodicita. Ampiezze sino a 3 mag e periodi da 20
giorni ad alcuni anni,
8. Cephei: Stelle ad alta luminosita e alta temperatura. Periodi 0.1 -0.7 d e ampiezze 0.1 -0.3
mag.
9. RV Tauri: Supergiganti da gialle a rosse, con minimi di luce primari e secondari che si alternano.
Ampiezze sino a 4 mag e periodi da 30 a 150 d.
10. ZZ Ceti: Nane Bianche con pulsazioni non radiali. Periodi minori di 30 min e ampiezze minori
di 0.2 mag.
21
La Nucleosintesi.
Fig. 11.1. Curva delle abbondanze solari con indicati i relativi principali processi di nucleosintesi.
1
2
Fig. 11.2. Confronto tra le abbondanze relative dei nei Raggi Cosmici (cerchi aperti) e nel Sole
(cerchi pieni), normalizzate allabbondanza di He
sizione anche il campione locale costituito dalla Terra, dai meteoriti e dai corpi del sistema
solare resi accessibili dai veicoli spaziali.
Il risultatp di una tale indagine e che, tenuto conto dei processi selettivi che hannno
certamente operato nella formazione dei corpi planetari, la materia dellUniverso sembra
aver mantenuto nel tempo una tipica distribuzione delle varie specie nucleari. Infatti se e
pur vero che, ad esempio, nella Galassia il contenuto di elementi pesanti pu o variare tra
Pop.I e Pop.II anche di un fattore 100, la distribuzione delle abbondanze relative non si
discosta sensibilmente da quella ricavata er il Sole, riportata a suo tempo in Fig. 1.5.
Come mostrato in Fig.11.1, avendo in mente la storia delle reazioni nucleari nelle strut-
tura stellare, non e difficile riconoscere in tale distribuzione limpronta del funzionamento
della macchina stella. La peculiare scarsezza degli elementi leggeri Li, Be e B, e quanto ci
si attende dalla combustione dellidrogeno: la natura di elementi secondari nella catena pp
assicura infatti che tali elementi - ove presenti - debbano ridursi ai loro infinitesimali valori
di equilibrio. Le reazioni termonucleari possono quindi al piu distruggere il litio cosmologico
(Li/H 1010 ) emerso dalla nucleosintesi del Big Bang.
La successiva serie di picchi di abbondanze che si spingono sino al grande picco del Fe
portano unindubbia testimonianza delle serie di reazioni che portano sino al Fe attraverso
essenzialmente un progressiva agglutinazione di particelle . E, infine, il picco stesso del Fe
e lattesa conseguenza dei processi di equilibrio che sappiamo dominare le ultime fasi della
vita delle grandi masse stellari. La prima porzione della curva delle abbondanze ci parla
dunque senza ambiguita di una storia di interni stellari e dei loro successivi riciclaggi nella
materia interstellare. Resta peraltro da indagare lorigine dei nuclei oltre il ferro, che non
possono essere prodotti nelle reazioni termonucleari che sostengono le strutture stellari.
Prima di affrontare un tale argomento notiamo qui che gli elementi leggeri Li, Be e B
pongono peraltro un particolare problema. Labbondanza di Litio nel Sole e infatti, ad esem-
pio, superiore a quella cosmologica misurata nelle atmosfere di stelle di Pop.II. Deve quindi
essere stato efficiente un meccanismo di produzione di Li che, per quanto abbiamo detto,
non puo risedere nelle reazioni termonucleari dalle quali tale elemento viene invece distrutto.
Oggi si ritiene che tale elemento venga almeno in parte prodotto dallinterazione dei Raggi
Cosmici con i nuclei di materia interstellare, attraverso processi di spallazione. Misure ef-
3
Fig. 11.3. Sezione durto per cattura neutronica indunzione del numero atomico . E evidente
la forte diminuzione in corrispondenza dei numeri magici. Si noti anche leffetto pari-dispari. La
sezione durto e in mb (1 b= 1 barn = 1024 cm2 ) per neutroni di 25 keV
fettuate sia da Terra che dallo spazio mostrano infatti come la Galassia sia attraversata da
flussi di particelle di alta e altissima energia (sino a oltre 1020 eV), di gran lunga superiori
a quanto ottenuto sinora nei piu potenti acceleratori di particelle.
Tali particelle, in gran parte protoni, inducono reazioni di impatto con i nuclei della
materia interstellare, reazioni che, a causa delle altissime energie in gioco, si traducono nella
frantumazione (la spallazione) dei nuclei piu pesanti. La peculiare abbondanza di elementi
leggeri nella radiazione cosmica, mostrata in Fig. 11.2, fornisce una chiara testimonianza
dellefficienza di un tale processo. Non pare peraltro che tale meccanismo possa renedere
intera ragione della abbondanze osservate, talche si e ipotizzato lintervento di ulteriori
meccanismi, quali reazioni indotte dai neutrini nellesplosione di Supernovae di tipo II (infra)
o lefficienza di reazioni del tipo
3
He(, )7 Be(e+ )7 Li
sia nei raggi cosmici stessi, come negli inviluppi convettivi delle Giganti Rosse e, in
particolare, nelle periodiche esplosioni di stelle Novae.
Fig. 11.4. Esemplificazione della tipica traiettoria dei processi S nel piano N (numero di neutroni)
Z (numero di protoni). Le isole sulla sinistra della valle di stabilita schermano i nuclei della stessa
dal contributo dei processi r. I nuclei possono cosi essere distinti in r-puri (r), S-puri (S) o do origine
mista (S,r).
una shell, e la stabilita dei corrisponedenti nuclei sarebbe lanalogo della stabilita mostrata
dagli atomi dei gas nobili. Come mostrato in Fig. 11.3, quel che qui ci interessa e che a tali
nuclei corrisponde un brusca diminuzione della sezione durto per cattura neutronica. La
correlazione tra abbondanze in natura e sezioni durto per cattura neutronica rende plausi-
bile la supposta efficienza di tali processi e, come vedremo, rendera ragione della anomale
abbondanze dei picchi S.
Il neutrone e peraltro particella instabile, che decade in un protone (piu e+ ) con tempo
di dimezzamento di circa 15 minuti( A1.10). Perche il processo possa essere efficiente
dobbiamo quindi richiedere non solo una sorgente di neutroni, ma anche che tale sorgente
sia immersa in materia sufficientemente densa perche i neutroni possano interagire prima
di decadere. Tali condizioni sono spontaneamente realizzate ancora allinterno delle stelle,
dove abbiamo visto che durante la combustione di elio diventa efficiente la produzione dei
neutroni tramite la catena dell 14 N. Le stelle si presentano dunque spontaneamente come
luoghi in cui, a fianco delle reazioni termonucleari, devono diventare efficienti processi di
cattura neitronica che, pur non contribuendo allenergetica della stella, pssono portare un
contributo sostanziale alla nucleosintesi degli elementi pesanti.
Poiche la considerazione o meno di tali processi non influisce sullevoluzione delle strut-
ture, le valutazioni dellefficienza dei processi stessi viene sovente eseguita sulla base di una
sequenza di strutture evolutive opportunamente memorizzzate. Se ne ricava levidenza che
i neutroni prodotti dalla catena dell 14 N possono venir catturati da preesistenti nuclei di
elementi pesanti (Nuclei seme), nuclei che a seguito di una serie di tali catture neutron-
iche si spostano progressivamente lungo la valle di stabilita ( ....) andando a formare gli
elementi oltre il Ferro.
Nel caso della combustione dellH avevamo gia visto come una serie di catture protoniche
su nuclei stabili finisca inevitabilmente col produrre elementi instabili per eccesso di protoni,
nuclei che vengono richiamati sulla valle di stabilita da decadimenti + . Ora una serie
di catture neutroniche finisce inevitabilmente col produrre elementi instabili per eccesso
di neutroni, che vengono richiamati sulla valle di stabilita da decadimenti . Poiche i
neutroni vengono prodotti su tempi scala termonucleari, il loro flusso rimane contenuto
e si puo assumere che il processo sia lento (S = Slow) nel senso che il tempo tra due
5
successive catture neutroniche sia in ogni caso maggiore dei tempi di decadimento degli
elementi instabili prodotti. Cioe che i nuclei instabili abbiano il tempo di decadere prima
di catturare un ulteriore neutrone.
Nel piano N,Z ne segue la caratteristica traiettoria illustrata in Fig. 11.4, tramite la
quale i nuclei seme vengono spinti lungo la valle di stabilita a numeri atomici A sempre piu
alti. Notiamo peraltro subito che una traiettoria S non puo raggiungere i nuclei stabili (le
isole) separati, sia a destra come a sinistra, dalla sequenza centrale. Poiche tali nuclei sono
presenti in natura, per essi dunque dovremo investigare diversi meccanismi di produzione.
Per cio che riguarda i processi S, motiamo che ogni nucleo lumgo la traiettoria si presenta
come elemento secondario, nel senso che ogni nucleo risulta prodotto da una cattura
neutronica e distrutto dalla successiva cattura. Se n e il numero di neutroni nellunita di
volume e V la loro velocita, potremo dunque scrivere per il generico nucleo di numero atomico
A nellunita di tempo
Si vede subito come ad una sezione durto di cattura neutronica A peculiarmente bassa,
quale quella che caratterizza i nuclei magici, debba corrispondere una abbondanza NA pecu-
liarmente elevata, dando ragione dei picchi S osservati in natura. Al limite, a sezioni durto
nulle corrisponde una indefinita crescita di abbondanza del nucleo A.
Notiamo infine come, a fianco della catena dell14 N e al molto minor contributo prove-
niente da reazioni piu avanzate, quali
16
O +16 O 31 S + n
siano state suggerite anche altre possibili fonti di neutroni. In particolare, nel caso di rimesco-
lamento parziale di una zona in combustione di He con strati ancora ricchi di idrogeno, i
protoni si combineranno con il Carbonio, come avviene nel ciclo CNO
12
C + p 13 N +
13
N 13 C + e+ +
Una successiva cattura protonica e pero inibita dalla scarsita di protoni, e segita invece
13
C + (17 O) 16 O + n
che potrebbe risultare una notevolissima fonte di neutroni da affiancare a quelli prodotti
dalla catena dell14 N .
Fig. 11.5. La traiettoria S (linea spezzata) e i nuclei di attesa nei processi r (zone a tratti).I
cerchi indicano le zone di accumulazione che decaderanno a formare i bump. In basso a destra
la tipica traiettoria di accumulazione in corrispondenza di un numero magico di neutroni.
isotopo instabile formato. Il luogo naturale per tali processi e ovviamente lesplosione di una
Supernova.
Notiamo anche che i processi S rendono ragione dei picchi S in Fig. 11.1, ma non dei
bump di abbondanza che precedono regolarmente i picchi stessi. Sono infatti processi
rapidi r di cattura neutronica che giustificano non solo lesistenza di nuclei isola sulla
destra della valle di stabilita, ma anche una tale caratteristica nella distribuzione delle ab-
bondanze. Dobbiamo dunque assumere che a causa dellimprovviso e intensissimo flusso di
neutroni prodotto nel collaaso di una supernova i nuclei preesistenti inizino una serie di
successive catture neutroniche, spostandosi nella zona instabile sulla destra della valle di
stabilita. Lallontanamento non puo pero essere indefinito: allaumentare del numero di neu-
troni diminuisce lenergia di legame degli stessi e la catena di catture finisce col giungere ad
un punto in cui il neutrone aggiunto e subito espulso dai fotoni del bagno termico. Il nucleo
(nucleo di attesa) finisce quindi col decadere , passando da Z a Z+1, e puo ricominciare
ad accogliere neutroni sino a formare nuovamente un nucleo di attesa.
Le aree tratteggiate in Fig. 11.5 mostrano indicativamente le aree popolate da tali nuclei
di attesa. Il flusso di neutroni e peraltro un fenomeno molto rapido: al cessare del flusso
tutti i nuclei instabili subiranno una catena di decadimenti sino a raggiungere una con-
figurazione stabile. Avendo in mente tale meccanismo, in Fig. 11.4 si possono riconoscere
tre tipi di nuclei
Si ha cosi tutta una serie di nuclei S-puri o r-puri che portano un importante testimoni-
anza del contributo alla nucleosintesi dei vari processi.
Lesistenza di numeri magici di neutroni introduce infine in tale quadro generale un ul-
teriore elemento: nuclei instabili con numero magico di neutroni hanno sezioni durto di
cattuta molto basse. Quindi sono nuclei di attesa che decadono . Il prodotto del dacadi-
mento non e piu magico, ma puo prendere un solo neutrone che lo fa ritornare magico. Come
7
Fig. 11.6. Abbondanza in numero degli elementi pesanti formati ripettivamente da processi S, r o
p, normalizzata a 106 atomi di Si. Si notino i picchi e bump nelle abbondanze S e r.
Fig. 11.7. Curva di luce della variabile cataclismica SS Cyg, del tipo U Geminorum.
Fig. 11.8. Curva di luce composita ottenuta sovrapponendo i dati osservativi di 38 SN di tipo I.
Confuse per molto tempo con le Novae, le Supernovae (SN) rappresentano infine un
evento esplosivo di gran lunga piu energetico. Al picco di luminosita una SN puo aumentare
di 20 magnitudini (100 milioni di volte) e raggiungere 1010 luminosita solari, emettendo
quindi come un intera galassia. Che si sia di fronte ad un fenomeno distruttivo e rivelato ,
oltre cha dallenorme quantita di energia emessa, dalle osservate velocita di espansione che
si aggirano attorno ai 104 km/sec. Lesplosione di SN non e peraltro un fenomeno inatteso.
Levoluzione stellare ci ha infatti insegnato che le grandi masse devono terminare la loro vita
con un collasso gravitazionale in cui vengono messe in gioco energie tipiche delle SN. E in
questo stesso capitolo abbiamo trovato chiare tracce di un tale accadimento nella produzione
degli isotopi r e p. Il quadro osservativo appare perlatro piu complesso, e dovra essere
discusso con qualche dettaglio.
Le caratteristiche della curva di luce hanno innanzitutto consentito di evidenziare due
distinte classi di SN, Come mostrato in Fig. 11.8 le Supernovae di Tipo I (SNI) hanno curve di
luce ben caratteristiche e praticamente sovrapponibili, con una prima rapida discesa di circa
tre magnitudini seguita da un piu lento e regolare declino. Le SNII hanno invece un continuo
regolare declino (SNII lineari) in alcuni casi interrotto da un periodo in cui la luminosita
cessa quasi di decrescere (SNII plateau). A tali differenze nella curva di luce si accomu-
nano anche caratteristiche spettroscopiche: nelle SNI sono assenti le righe dellidrogeno, che
appaiono invece nelle SNII.
Le SNII hanno le caratteristiche attese per il collasso finale di grandi masse. Esse ap-
paiono infatti solo in galassie a spirale e solo in regioni ove sono evidenti fenomeni di recente
formazione stellare (Regioni H II). Quindi le SNII sono quelle predette dallevoluzione stel-
lare, tipiche di una Pop. I. Ci si attende che nellesplosione tali N eiettino nello spazio
gli starti che contornano il nucleo centrale neutronizzato, lasciando come remnant o una
stella di neutroni o una buca nera. Le SNI sono invece oggetti inattesi, che vediamo esplodere
anche in galassie ellittiche, quindi in popolazioni antiche ove stanno ancora evolvendo solo
piccole masse. Un piu accurato studio di questo tipo di SN ha infine portata ad una ulteriore
suddivisione delle SNI in tipo a (SNIa) nel cui spettro e presente la riga di assorbimento
del SiII a =6150 A, e SNIb ove tale riga e assente. La tabella 1 riassume la corrispondente
situazione osservativa:
Cosa puo produrre linattesa evidenza di SN in una popolazione antica? La domanda
trova una naturale risposta quando si mediti sul fatto che le Nane Bianche di CO sono
dei potenziali detonatori se e quando qualche meccanismo le porti a superare la massa di
Chandrasekhar. E il meccanismo di trasferimento di massa che vediamo allopera nelle bina-
rie cataclismiche e nelle Novae si adegua perfettamente a tale compito. Per completezza
aggiungiamo che a fianco di tale meccanismo e stata anche proposta la coalescenza di
due Nane Bianchie mutuamente orbitanti, a causa della perdita di energia per emissione
10
Tab. 1.
SNII Si Si No I
SNIa No Si Si Si II
SNIb No No Si No I
di onde gravitazionali. Resta in ogni caso lidentificazione delle SNIa come prodotte dalla
detonazione-deflagrazione del C, con incinerimento e totale dispersione della struttura.
Non sorprendentemente, si trova che la curva di luce delle SNIa e cos regolare perche
governata, in sequenza temporale, dallenergia emessa dai due decadimenti
56
N i 56 Co + e+ + ( = 6d)
56
Co 56 F e + e+ + ( = 77d)
Valutazioni quantitative mostrano come in queste esplosioni vengano sintetizzate da 0.5
a 1 M dellisotopo multiplo di 56 28 N i. La buona analogia tra le curve di luce delle SNIa e
SNIb indica infine che anche le SNIb devono corrispondere allincenerimento termonucleare
di una nucleo degenere. Lassenza di tali SN nelle galssie ellittiche indica peraltro che in
questo caso tale incinerimento deve trarre origine dal nucleo degenere di una stella di massa
intermedia. Anche in questultimo caso la binarieta dovrebbe giocare un ruolo importante,
producendo stelle con nuclei degeneri privi del loro inviluppo, osservate nella Galassia, note
come oggetti di Wolf Rayet. Non e peraltro escluso che almeno nelle primissime generazioni
stellari deficienti in metalli, a causa del combinato aumento di MU P con la possibile dimin-
uzione della perdita di massa (diminuita opacita radiativa), il limite di Chandrasekhar possa
essere stato raggiunto anche da stelle isolate di massa intermedia.
Fig. 11.9. Produzione di elementi (in frazioni di massa stellare) per stelle di varie masse. La regione
a tratti indica la porzione di struttura congelata sotto forma di stelle degeneri o collassate.
sullandamento temporale della formazione stellare per ricavare levoluzione temporale della
composizione chimica del gas interstellare e, da qui, due diversi osservabili:
1. la composizione chimica del gas interstellare al tempo presente, in generale con particolare
riguardo ad uno o piu selezionati componenti.
2. la distribuzione delle relative composizioni chimiche fossili testimoniata nelle atmosfere
delle stelle della varie generazioni che sono sopravvissute sino al tempo presente.
Fig. 11.10. Distribuzione cumulativa S/S0 con abbondanza metallica non superiore a Z, al variare
di Z/Z0 . La linea a tratti riporta le previsioni del modello semplice con consumo trascurabile di gas.
Le curve continue simili previsioni ma al variare della frazione di massa del gas rimasta allepoca
Z0 .
dMZ dMS dM
e potremo porre dMZ = k dM, da cui il contributo a Z di ogni generazione stellare
dMZ dM
dZ = = k
M M
da cui, partendo dal gas cosmologico privo di metalli
M M0
Z = lnM0 lnM per M M0
M0
dove M0 e la massa iniziale di gas. Nel caso di consumo trascurabile di gas la metallicita
risulta dunque, come atteso, proporzionale alla massa di gas andat in stelle e quindi anche
al numero di stelle ancora sopravviventi.
Si noti che tale derivazione assume implicitamente un continuo e regolare processo di
formazione stellare. Nelle assunzioni fatte, ad un burst di formazione stellare corrispon-
derebbe un salto Z con la contemporanea assenza di stelle in quellintervallo di metallicita.
Il modello semplice che abbiamo descritto rappresenta un punto di riferimento che puo es-
sere perfezionato introducendo assunzioni adeguate, quale ad esempio lintervento ritardato
delle SNIa. Modelli cosi perfezionati sono chiamati a rendere ragione dellae abbondanze
chimiche osservate nella nostra come nelle altre galassie. Tra i vari problemi ricordiamo qui
solamente linteressante evidenza secondo la quale nella nostra Galassia le stelle povere di
metalli mostrano di avere una chiara sovrabbondanza di elementi multipli (C, O, Mg, Si,
Ca, Ti) rispetto al Fe. E stato suggerito che cio sia la conseguenza del ritardato intervento
delle SNIa, produttrici di Fe, rispetto alla rapida sintesi di elementi nelle SNII.
11.6. Conclusione
Da quanto siamo andati sviluppando nel corso di queste pagine, si evince quanto levoluzione
stellare fornisca una fondamentale chiave interpretativa dellUniverso, quale oggi lo speri-
mentiamo. Attraverso tale chiave ci e oggi possibile delineare lo sfondo sul quale inquadrare
la storia dellUniverso, aprendo la strada ad un campo di ricerche che atende ancora di essere
completato e perfezionato, ma le cui linee generali appaiono ormai saldamente acquisite.
13
In tale ricostruzione della storia dellUniverso e gia stato compiuto un passo fondamen-
tale: oggi sappiamo di poter leggere questa storia non solo nelle stelle ma anche nei nuclei
della materia che ci circonda. Apprendendo dalla materia cio che nel passato deve essere
avvenuto ma anche comprendendo che la materia non puo essere diversa da quello che e in
base a quello che sappiamo dover essere stata la storia delle stella e dellUniverso.
14
Approfondimenti
(18 F ) 14 N +
18
In realta, anche se molto raramente, il nucleo di F nello stato eccitato puo decadere nel suo stato
fondamentale,
(18 F ) 18 F +
dando inizio alla complessa catena catture protoniche riportata qui di seguito
18
F 18 N + +e+ +
18
O + p 15 N + ma anche 19
F +
19 16 20
F +p O + ma anche Ne +
20
N e + p 21 N a +
21
N a 21 N e + e+ +
21
N e + p 22 N a +
22
N a 22 N e + e+ +
22
N e + p 23 N a +
23
N a + p 20 N + ma anche 24
Mg +
24 25
Mg + p Al +
25
Al 25 M g + e+ +
25
M g + p 26 Al +
26 26 + 26
Al M g + e + ma anche Al + p 27 Si +
26
M g + p 27 Al + 27
Si 27 Al + e+ +
27 24 28
Al + p M g + ma anche Si +
Come indicato dal simbolo , che segnala il ritorno ad un nucleo precedente, in queta catena
esistono motli cicli. Ciononostante un piccolo numero di nuclei, inessenziale sotto ogni altro ripetto,
puo filtrare sino ai nuclei piu massicci, alterandone le abbondanze.
Si ritiene che tali catture protoniche siano allorigine di una serie di anomalie di composizione che
riguardano elementi quali Ne, Na, Mg, Al nelle atmosfere di Giganti Rosse, anomalie da mettersi in
relazione anche con lefficienza di rimescolamenti profondi in grado di portare in superficie i prodotti
di combustione elaborati nei pressi della shell di idrogeno.
15
Fig. 11.11. Andamento delle linee equipotenziali nel piano dellorbita di una binaria. Si e assunto
=0.4
GM1 GM2
= ( + )
r1 r2
dove M1,2 e r1,2 sono ripettivamente le masse e le distanze di un generico punto materiale dai due
oggetti. Poniamoci ora in un sistema corotante, assumendo il piano dellorbita come piano x,y e
assumendo anche come origine il centro della stella 1 e asse x la congiungente i centri delle due
stelle. In tale sistema le coordinate (x, y, z) del baricentro risulteranno (a, 0, 0), dove a e la
distanza (separazione) tra le due componenti e
M2
=
M1 + M2
e il potenziale nellapprossimazione di Roche si esplicita nella forma
GM1 GM2 1
= ( + ) 2 [(x a)2 + y 2 ]
(x2 + y 2 + z 2 )1/2 ((x a)2 + y 2 + z 2 )1/2 2
dove = 2/P e lultimo termine rappresenta il potenziale della forza centrifuga.
La Fig. 11.11 mostra il complesso andamento delle linee equipotenziali = cost nel piano
dellorbita nel caso =0.4. In prossimita delle stelle predomina il campo dei singoli oggetti mentre,
al crecere della distanza, si vanno intrecciando i contributi della gravitazione e della rotazione. A
distanze ancora maggiori prevarra il contributo della rotazione. I cinque punti marcati in figura
come Li rappresentano i cinque punti lagrangiani di equilibro, sluzioni particolare del problema dei
tre corpi. Una particella di massa trascurabile ripetto alle altre due componenti, posta in uno dei
punti percorrera orbite circolari mantenendo immutata la sua posizione ripetto alle due componenti
principali. I punti L4 e L5 , posti ai vertici di un triangolo equilatero con base a, sono di equilibrio
stabile se M2 M1 . Una tale configurazione e realizzata in natura dal sistema Sole-Give- Asteroidi
Troiani.
Alla superficie equipotenziale passante per L1 si da il nome di Lobi di Roche. La Fig. 11.12
mostra landamento del potenziale lungo la linea congiungente il centro delle due stelle, illustrando
16
Fig. 11.12. Andamento del potenziale lungo la linea congiungente i centri delle due stelle. La
zona ombreggiata indica la regione occupata dalla materia stellare. E mostrato come al crescere
del raggio di una stella si inneschi un meccanismo di trasferimento di massa attraverso il punto
lagrangiano L1 .
nel contempo il principio fondamentale dei meccanismi di trasferimento di massa che regolano
levoluzione delle stelle nei sistemi bibnari stretti. Sinche le dimensioni delle singole stelle restano
inferiori a quelle dei rispettivi lobi di Roche . levoluzione delle strutture segue il cammino delle
strutture isolate. Levoluzione guida peraltro inevitabilmente le strutture verso la fase di Gigante
Rossa, con aumenti notevoli di raggio. Se il sistema esufficientemente stretto (lobi di Roche di
dimensioni ridotte) la componente primaria, la piu massiccia, evolvendo per prima finira col riempire
il proprio lobo. Ogni tentativo di aumentare ulteriormente il proprio raggio avra solo leffetto di
reasferire materia sul proprio compagno, scortecciando la struttura originale.
E di grande importanza notare che il trasferimento di massa e fenomeno reazionato positi-
vamente. Ricordando infatti come la traccia di Hayashi si sposti verso il rosso al diminuire della
massa, ricaviamo che una gigante, a fissata luminosia, ha raggi tanto maggiori quamto minore e
la massa. Per il solo fatto di perdere massa la gigante tende quindi ad espandere ulteriormente il
proprio raggio e, come conseguenza, il trasferimento avviene con tempi scala termodinamici anziche
nucleari.
Puo cos avvenire che loriginale secondaria finisca col diventare la stella piu massiccia del sis-
tema, accelerando di conseguenza la sua evoluzione. Al progredire delle fasi evolutive, ogniqualvolta
una delle componenti riempi il proprio lobo di Roche si innescheranno fasi di trasferimento di massa.
La Fig. 11.12 mostra le tre caratteristiche configurazioni di fatto riscontrate nei sistemi binari
1. Sistemi staccati (detached): le due componenti sono ognuna allinterno del proprio lobo di Roche.
Ogni strutura segue una propria caratteristica evoluzione.
2. Sistemi semi-staccati (semi-detached): una delle due componenti riempie il proprio lobo, trafer-
endo materia sullaltra.
3. Sistemi a contatto (common envelope): tutte e due le componenti riempiono contemporanea-
mente il proprio lobo. La Fig. 11.12 mostra come in simili condizioni il sistema possa perdere
massa verso lesterno attraverso il punto lagrangiano L2 .
Nei sistemi semi-distaccati o a contatto almeno una delle strutture risulta sensibilmente defor-
mata rispetto alla forma sferica, deformazione che si riflette in precise caratteristiche della curva
di luce. A titolo esemplificativo, la Fig. 11.13 mostra la struttura del sistema a contatto AW UMa
come derivabile proprio dallanalisi della complessa curca di luce.
17
Fig. 11.13. La forma della binaria a contatto AW UMa come ricavata della analisi della curva di
luce osservata.
Il calcolo dellevoluzione delle stelle in un sistema binario puo essere agevolmente eseguito con
solo alcune semplici implementazioni dei normali codici evolutivi per tener conto della presenza
dei lobi di Roche, del conseguente fenomeno di travaso delle masse e delle conseguenti variazioni
nei parametri orbitali. I risultatisono peraltro molto variegati a fronte dei molti parametri che
caratterizzano tali sistemi, quali non solo le masse iniziali delle due componenti ma anche la loro
originale separazione. La Fig. 11.14 riporta a titolo di esempio, la storia evolutiva di un sistema
con masse iniziali M1 =1.0 e M2 =2.0 M . Nella fase (a) ambedue le componenti hanno raggiunto
la loro sequenza principale. La primaria M1 evolve per prima sino a riempire il proprio lobo di
Roche (fase (b)), iniziando il trasferimento di massa. Nella fase (c) loriginaria secondaria e ormai
diventata la componente piu massiccia e il sistema e formato da una gigante di 0.8 M che orbita
attorno ad una massiccia stella di MS di 2.2 M . Nella fase (d) la gigante ha completato la sua
evoluzione e il sistema e composto da una Nana Bianca e la massicia stella di MS. Levoluzione di
questultima porta ora al trasferimento di massa sulla Nana, producendo prima esplosioni di Nova
(fase (e)) e, infine, una SN di tipoI (fase (f)).
Tab. 2. Le Supernovae galattiche registrate storicamente. Per ogni evento viene data la costellazione
in cui e apparso, seguita da stime -quando disponibili- della magnitudine al massimo e dal tipo di
evenyo.
Fig. 11.15. Proiezione sul piano galattico della collocazione delle Supernovae registrate storica-
mente .
Fig. 11.16. Pannello di sinistra: abbondanza di 7 Li nelle atmosfere di stelle di MS negli ammassi
delle Iadi e Pleiadi. La freccia indica il dip presente nelle Iadi, attribuito ad ulteriori effetti di dif-
fusione microscopica e levitazione radiativa. Pannello di destra: la distribuzione di abbondanze nelle
Pleiadi confrontata con le previsioni teoriche per due diverse assunzioni sul valore della lunghezza
di rimescolamento.
E stato stimato che la magnitudine visuale piu probabile per la prossima SN galattica sara
attorno a magnitudine 21. Questo non e il caso quando si osservi in bande infrarosse: ad esempio in
banda K una qualunque SN galattica risulterebbe con alta probabilita tra gli oggetti piu luminosi
del cielo. Un controllo dela Galassia in banda IR sarebbe quindi altamente augurabile, in sinergia
con i rivelatori che hanno mostrato di essere in grado di rivelare i neutrini emessi da una SN
extragalattica, quale fu la 1986a nella Grande Nube di Magellano. Nelloccasione ricordiamo infine
come le supernovae vengano targate in ordine di scoperta, con il numero dellanno seguito da
a, b...z per le prime 26, poi da aa, ab... az, ba, bb etc. La 1986a fu quindi la prima SN osservata
nellanno 1986.
del Li solare risulta minore di quello misurato negli ammassi, anche se le metallicita sono analoghe
e la teoria non prevede tale sensibile diminuzione con leta. Terminiamo qui questi brevi cenni che
intendono solo attirare lattenzione sul piu generale problema degli elementi leggeri nelle atmosfere
stellari, problema ancora meritevole di approfondite indagini.
21
Appendici
12.1. Grandezze fondamentali
Grandezze Fisiche
Grandezze Astronomiche
1
2
Fig. 12.1. Indice di colore B-V in funzione della temperatura efficace Te.
Come atteso, si evidenzia come lindice B-V risulti ben correlato con le temperature
efficaci solo per Te minori di 10000 K. A temperature maggiori lindice tende a saturare,
tendendo asintoticamente ad un valore di poco inferiore a -0.2.
Nel contempo la correzione bolometrica ha un minimo per Te 6700 K, temperatura
alla quale e massima lemissione nella banda del visibile. La Fig. 12.2 pone in evidenza le
trasformazioni topologiche che ne seguono nel trasportare dati da un diagramma HR teorico
logL, logTe al corrispondente diagramma CM osservativo Mv, B-V.
Fig. 12.2. Collocazione nel diagramma CM dei rettangoli del corrispondente diagramma teorico.
Si puo in particolare notare la drastica deformazione dei dati teorici alle maggiori temper-
ature, dovuta alla concomitante azione della compressione dei valori di B-V e al subitaneo
aumento della correzione bolometrica. Se ne trae levidenza che la distribuzione nel dia-
gramma CM dei Rami Orizzontali degli ammassi globulari e largamente il risultato di una
tale trasformazione. In tale contesto e utile notare come la subitanea variazione di pendenza
che si verifica attorno ai 10 000 K (Turn Down) possa essere usato come un affidabile in-
dicatore di temperatura, utile per ricavare una valutazione delle temperature indipendente
dal colore nel caso di ammassi molto arrossati.
Resta peraltro evidente che uno studio dettagliato delle strutture di stelle calde di Ramo
Orizzontale richiede lutilizzo di opportune indici di colore in bande UV.
5
1H 13.598
2 He 24.587 54.416
3 Li 5.392 75.638 122.451
4 Be 9.322 18.211 153.893 217.713
5B 8.298 25.154 37.930 259.368 340.217
6C 11.260 24.383 47.887 64.492 392.077 489.981
7N 14.534 29.601 47.448 77.472 97.888 552.057 667.029
8O 13.618 35.116 54.934 77.412 113.896 138.116 739.315 871.387
9F 17.422 34.970 62.707 87.138 114.240 157.161 185,182 953.886 1103.09
10 Ne 21.564 40.962 63.45 97.11 126.21 157.93 207.27 239.09 1195.60 1362.16
11 Na 5.139 47.286 71.64 98.91 138.39 172.15 208.47 264.18 299.87 1465.09
12 Mg 7.646 15.035 80.143 109.24 141.26 186.50 224.94 265.90 327.95 367.53
13 Al 5.986 18.828 28.447 119.99 153.71 190.47 241.43 284.59 330.21 398.57
14 Si 8.151 16.345 33.492 45.141 166.77 205.05 246.52 303.17 351.10 401.43
15 P 10.486 19.725 30.18 51.37 65.023 220.43 263.22 309.41 371.73 424.50
16 S 10.360 23.33 34.83 47.30 72.68 88.049 280.93 328.23 379.10 447.09
17 Cl 12.967 23.81 39.61 53.46 67.8 97.03 114.193 348.28 400.05 455.62
18 Ar 15.759 27.629 40.74 59.81 75.02 91.007 124.319 143.456 422.44 478.68
19 K 4.341 31.625 45.72 60.91 82.66 100.0 117.56 154.86 175.814 503.44
20 Ca 6.113 11.871 50.908 67.10 84.41 108.78 127.7 147.24 188.54 211.70
21 Se 6.54 12.80 24.76 73.47 91.66 111.1 138.0 158.7 180.02 225.32
22 Ti 6.82 13.58 27.491 43.266 99.22 119.36 140.8 168.5 193.2 215.91
23 V 6.74 14.65 29.310 46.707 65.23 128.12 150.17 173.7 205.8 230.5
24 Cr 6.766 16.50 30.96 49.1 69.3 90.56 161.1 184.7 209.3 244.4
25 Mn 7.435 15.640 33.667 51.2 72.4 95 119.27 196.46 221.8 243.3
26 Fe 7.870 16.18 30.651 54.8 75.0 99 125 151.06 235.04 262.1
27 Co 7.86 17.06 33.50 51.3 79.5 102 129 157 186.13 276
28 Ni 7.635 18.168 35.17 54.9 75.5 108 133 162 193 224.5
29 Cu 7.726 20.292 36.83 55.2 79.9 103 139 166 199 232
30 Zn 9.394 17.964 39.722 59.4 82.6 108 134 174 203 238
31 Ga 5.999 20.51 30.71 64
32 G 7.899 15.934 34.22 45.71 93.5
33 As 9.81 18.633 28.351 50.13 62.63 127.6
34 Se 9.752 21.19 30.820 42.944 68.3 81.70 155.4
35 Br 11.814 21.8 36 47.3 59.7 88.6 103.0 192.8
36 Kr 13.999 24.359 36.95 52.5 64.7 78.5 111.0 126 230.9
37 Rb 4,177 27.28 40 52.6 71.0 84.4 99.2 136 150 277.1
38 Sr 5.695 11.030 43.6 57 71.6 90.8 106 122.3 162 177
39 Y 6.38 12.24 20.52 61.8 77.0 93.0 116 129 146.2 191
40 Zr 6.84 13.13 22.99 34.34 81.5
41 Nb 6.88 14.32 25.04 38.3 50.55 102.6 125
42 Mo 7.099 16.15 27.16 46.4 61.2 68 126.8 153
Come atteso, lenergia per estrarre lultimo elettrone, giungendo alla ionizzazione totale,
appare crescere con continuita allaumentare di Z. Per il Ca risulta, ad esempio, pari a
5470 V. Si noti come molti elementi posseggano potenziali di prima ionizzazione inferiori
a quello dellidrogeno, richiedendo quindi minori temperature per una prima ionizzazione.
Caso differente e invece quello dellelio che, assieme al Neon, richiede temperature pi elevate:
le righe dellHeII appariranno quindi solo ad alte temperature, alle quali lidrogeno e ormai
in larga parte completamente ionizzato. Per lapparizione di righe dellHeII nello spettro del
visibile si richiede anche che gli elettroni dellatomo una volta ionizzato si portino a popolare
livelli eccitati le cui energie di transizione ricadano nella banda ottica. Transizioni dallo stato
fodamentale interessano infatti solo lestremo UV.
6
Z 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14
H He Li Be B C N O F Ne Na Mg Al Si
N
0 7.29
1 13.14 14.93 25.13
2 14.95 2.42 11.68 18.38 27.94
3 25.90 11.39 14.09 15.77 22.92 28.91
4 33.80 17.59 14.91 4.94 12.42 15.70 25.50
5 . 26.11 20.95 11.35 12.05 10.65 17.34 23.11
6 . 31.65 24.97 12.61 8.67 0.00 5.35 8.01 17.70
7 . . 35.30 20.18 13.37 3.13 2.86 2.86 10.69 16.48
8 . . 43.30 25.00 16.56 3.02 0.10 -4.74 1.95 5.32 12.98 17.50
9 . . . 35.70 24.20 9.87 5.68 -0.81 0.87 1.75 6.84 10.91 18.00
10 . . . . 29.4 13.69 7.87 -0.78 -1.49 -7.04 -2.18 -0.38 6.77 10.80
11 . . . . . 17.60 13.27 3.33 -0.02 -5.73 -5.18 -5.47 -0.05 3.82
12 . . . . . . 16.40 3.80 -0.05 -8.03 -9.53 -13.93 -8.91 -7.15
13 . . . . . . . 10.70 2.83 -5.15 -8.42 -13.19 -12.21 -12.39
14 . . . . . . . . . -5.95 -9.36 -16.21 -17.20 -21.49
15 . . . . . . . . . . -7.51 -14.58 -16.85 -21.89
16 . . . . . . . . . . -6.60 -15.02 -18.21 -24.43
17 . . . . . . . . . . . . -15.89 -22.95
18 . . . . . . . . . . . . . -24.09
H 4 He 6.68 MeV
4
He12 C 0.60 MeV
12
C 24 Mg 0.58 MeV
24
Mg28 Si 0.19 MeV
28
Si56 Fe 0.31 MeV
Se ne evince ancora una volta che la fusione dellidrogeno in elio e di gran lunga la
maggior sorgente di energia nucleare a disposizione delle strutture stellari e, di conseguenza,
che la stragrande maggioranza delle strutture stellari osservate devono essere in fase di
combustione di idrogeno.