Lettera Raffaello

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LETTERA DI RAFFAELLO D'URBINO A PAPA LEONE X

La Lettera di Raffaello d'Urbino a Leone X un documento, databile al


1519, scritto da Raffaello Sanzio e Baldassarre Castiglione, con la
collaborazione di Angelo Colocci, e indirizzato a Leone X, sul tema
della protezione e conservazione delle vestigia di Roma antica. Si
tratta quindi di una preziosa testimonianza del crescente interesse
e dell'amore per l'antichit che era andato maturando durante tutto
il Rinascimento, fino a raggiungere una consapevolezza moderna
sulla loro conservazione.
La pi lunga copia della lettera si trova nella Bayerisches
Staatsbibliothek, a Monaco di Baviera.

Sono molti, padre santissimo, i quali misurando col loro piccolo giudizio
le cose grandissime che delli romani circa larme, e della citt di Roma
circa al mirabile artificio, ai ricchi ornamenti e alla grandezza degli
edifici si scrivono, quelle pi presto stimano favolose che vere. Ma
altrimenti a me suole avvenire; perch considerando dalle ruine, che
ancor si veggono di Roma, la divinit di quegli animi antichi, non istimo
fuor di ragione il credere che molte cose a noi paiono impossibili, che
ad essi erano facilissime. Per essendo io stato assai studioso di queste
antichit, e avendo posto non piccola cura in cercarle minutamente,
e [p. 16 modifica]misurarle con diligenza: e leggendo i buoni autori,
confrontare lopere con le scritture; penso daver conseguito qualche
notizia dellarchitettura antica (1). Il che in un punto mi d grandissimo
piacere, per la cognizione di cosa tanto eccellente: e grandissimo
dolore, vedendo quasi il cadavero di quella nobil patria, ch stata
regina del mondo, cos miseramente lacerato. Onde se ad ognuno
debito la piet verso i parenti e la patria, tengomi obbligato di esporre
tutte le piccole forze mie, acciocch pi che si pu resti viva un poco
dellimmagine, e quasi lombra di questa, che in vero patria
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universale di tutti li cristiani, e per un tempo stata tanto nobile e


potente, che gi cominciavano gli uomini a credere, chessa sola sotto
il cielo fosse sopra la fortuna, e contro il corso naturale esente dalla
morte, e per durare perpetuamente. Per parve che il tempo come
invidioso della gloria de mortali, non confidandosi pienamente delle
sue forze sole, si accordasse con la fortuna e con li profani e scellerati
barbari, li quali alla edace lima e venenato morso di quelli
aggiungessero l [p. 17 modifica]empio furore e il ferro e il fuoco, e tutti
quelli modi che bastavano per ruinarla. Onde quelle famose opere, che
oggid pi che mai sarebbono floride e belle, furono dalla scellerata
rabbia e crudele impeto de malvagi uomini, anzi fiere, arse e distrutte:
sebbene non tanto, che non vi restasse quasi la macchina del tutto, ma
senza ornamenti, e, per dir cos, lossa del corpo senza carne. Ma
perch si doleremo noi de goti, vandali, e daltri tali perfidi nemici; se
quelli, li quali come padri e tutori dovevano difendere queste povere
reliquie di Roma, essi medesimi hanno lungamente atteso a
distruggerle (2)? Quanti pontefici, padre santissimo, li quali avevano il
medesimo officio che la vostra santit, ma non gi il medesimo sapere
e grandezza danimo, n quella clemenza che la fa simile a Dio: quanti,
dico, pontefici hanno atteso a ruinare tempii antichi, statue, archi, e
altri edifici gloriosi! Quanti hanno comportato, che solamente per
pigliar terra pozzolana si sieno scavati dei fondamenti, onde in poco
tempo gli edifici sono venuti a terra! Quanta calce si fatta di statue e
daltri [p. 18 modifica]ornamenti antichi! Che ardirei dire che tutta
questa Roma nuova che ora si vede, quanto grande chella si sia,
quanto bella, quanto ornata di palagi, chiese e altri edifici che la
scopriamo, tutta fabbricata di calce di marmi antichi. N senza molta
compassione posso io ricordarmi, che, poichio sono in Roma, che
ancor non lundecimo anno, sono state ruinate tante cose belle come
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la meta chera nella via alessandrina (3), larco malavventurato (4),


tante colonne e tempii, massimamente da messer Bartolommeo della
Rovere (5). Non deve adunque, padre santissimo, essere tra gli ultimi
pensieri di vostra santit lo aver cura, che quel poco che resta di
questa antica madre della gloria e della grandezza italiana, per
testimonio del valore e della virt di questi animi divini, che pur talor
con la loro memoria eccitano alla virt gli spiriti che oggid sono tra
noi, non sia estirpato e guasto dalli maligni e ignoranti: ch pur troppo
si sono infin qui fatte ingiurie a quelle anime, che col loro sangue
partorirono tanta gloria al mondo. Ma pi presto cerchi vostra santit,
lasciando vivo il paragone [p. 19 modifica]degli antichi, agguagliarli e
superarli; come ben fa con grandi edifici, col nutrire e favorire le virtuti,
risvegliare glingegni, dar premi alle virtuose fatiche, spargendo il
santissimo seme della pace tra li principi cristiani. Perch come dalla
calamit della guerra nasce la distruzione e ruina di tutte le discipline
ed arti, cos della pace e concordia nasce la felicit a popoli, e il
laudabile ozio, per lo quale ad esse si pu dar opera a farci arrivare al
colmo delleccellenza (6): dove per lo divino consiglio di vostra santit
sperano tutti che si abbia da pervenire al secolo nostro; e questo lo
essere veramente pastore clementissimo, anzi padre ottimo di tutto il
mondo. Essendomi adunque comandato da vostra santit, che io
ponga in disegno Roma antica, quanto conoscere si pu, per quello che
oggid si vede, con gli edifici che di se dimostrano tali reliquie, che per
vero argomento si possono infallibilmente ridurre nel termine proprio
come stavano, facendo quelli membri che sono in tutto ruinati n si
veggono punto (7) corrispondenti a quelli che restano in piedi e si
veggono; ho usato ogni [p. 20 modifica]diligenza a me possibile
acciocch lanimo di vostra santit resti senza confusione ben
satisfatto: e bench io abbia cavato da molti autori latini quello che
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intendo di dimostrare; per tra gli altri principalmente ho seguitato


(8) . . . . il quale per essere stato degli ultimi, pu dar pi presto
particolar notizia delle ultime cose. E perch forse a vostra santit
potrebbe parere che difficil fosse il conoscere gli edifici antichi dalli
meno, non pretermetter ancor le vie antiche per non lasciar dubbio
alcuno nella sua mente; anzi dico che con poca fatica far si pu, perch
tre sorti di edifici di Roma si trovano: luna delle quali sono tutti gli
antichi ed antichissimi, li quali durarono fino al tempo che Roma fu
ruinata e guasta da goti e altri barbari: laltra, tanto che Roma fu
dominata da goti e ancor centanni dappoi: laltra, da quello fino alli
tempi nostri. Gli edifici adunque moderni e de tempi nostri sono
notissimi, s per esser nuovi, come ancor per non aver la maniera cos
bella, come quelli del tempo deglimperatori, n cos goffa come quelli
del tempo de goti; di modo che [p. 21 modifica]bench siano pi
distanti di spazio di tempo, sono per pi prossimi per la qualit, e
posti quasi tra luno e laltro. E quelli del tempo de goti, bench siano
prossimi di tempo a quelli del tempo deglimperatori, sono
differentissimi di qualit, e come due estremi, lasciando nel mezzo li
pi moderni. Non adunque difficile il conoscere quelli del tempo
deglimperatori, i quali sono li pi eccellenti e fatti con grandissima
arte e bella maniera darchitettura; e questi soli intendo io di
dimostrare. N bisogna che in cuore dalcuno nasca dubbio, che degli
edifici antichi li meno antichi fossero men belli o meno intesi, perch
tutti erano duna ragione. E bench molte volte molti edifici dalli
medesimi antichi fossero instaurati, come si legge che nel luogo dove
era la casa aurea di Nerone, nel medesimo dappoi furono edificate le
terme di Tito, e la sua casa, e lanfiteatro; nientedimeno erano tutte
con la medesima ragione degli altri edifici ancor pi antichi che il
tempo di Nerone, e coetanei della casa aurea (9). E bench le lettere,
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la scultura, la pittura, e quasi tutte [p. 22 modifica]le altri arti fossero


lungamente ite in declinazione e peggiorando fin al tempo degli ultimi
imperatori, pure larchitettura si osservava e mantenevasi con buona
ragione, e edificavasi con la medesima che li primi: e questa fu tra le
altre arti lultima che si perd (10). Il che si pu conoscere da molte
cose; e tra laltre dallarco di Costantino; il componimento del quale
bello e ben fatto in tutto quello che appartiene allarchittettura: ma le
sculture del medesimo arco sono sciocchissime, senzarte o bontate
alcuna. Ma quelle che vi sono delle spoglie di Traiano e dAntonino Pio,
sono eccellentissime, e di perfetta maniera. Il simile si vede nelle
terme diocleziane; che le sculture sono goffissime, e le reliquie di
pittura che vi si veggono non hanno che fare con quelle del tempo di
Traiano e Tito (11): pure larchitettura nobile e bene intesa. Ma
poich Roma da barbari in tutto fu ruinata e arsa, parve che quello
incendio e misera ruina ardesse e ruinasse, insieme con gli edifici,
ancor larte di edificare. Onde essendosi tanto mutata la fortuna de
romani, e succedendo, in luogo delle [p. 23 modifica]infinite vittorie e
trionfi, la calamit e misera servit; quasi che non convenisse a quelli,
che gi erano soggiogati e fatti servi dalli barbari, abitare di quel modo
e con quella grandezza che facevano quando essi avevano soggiogati li
barbari, subito con la fortuna si mut il modo delledificare, e dello
abitare: e apparve un estremo tanto lontano dallaltro, quanto la
servit dalla libert; e si ridusse a maniera conforme alla sua miseria,
senza misura e senza grazia alcuna; e parve che gli uomini di quel
tempo, insieme con la libert, perdessero tutto lingegno e larte;
perch divennero tanto goffi, che non seppero fare li mattoni cotti,
nonch altra sorte dornamenti: e scrostavano i muri antichi per torre
le pietre cotte (12); e pestavano li marmi, e con essi muravano;
dividendo con quella mistura le pareti di pietra cotta; come ora si vede
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a quella torre che chiamano della milizia(13). E cos per buono spazio
seguirono con quella ignoranza, che in tutte le cose di quei tempi si
vede. E parve che non solamente in Italia venisse questa atroce e
crudele procella di guerra e distruzione, ma si
distendesse [p. 24 modifica]ancora nella Grecia, dove gi furono
glinventori e perfetti maestri di tutte larti: onde di l ancor nacque
una maniera di pittura, scultura, e architettura pessima e di nessun
valore. Parve dappoi, che i tedeschi cominciassero a risvegliare un
poco questarte: ma negli ornamenti furono goffi, e lontanissimi dalla
bella maniera de romani, li quali, oltre la macchina di tutto ledifizio,
aveano bellissime cornici, belli fregi, architravi, colonne ornatissime di
capitelli e basi, e misurate con la proporzione delluomo e della donna:
e li tedeschi (la maniera de quali in molti luoghi ancor dura) per
ornamento spesso ponevano solamente un qualche figurino,
rannicchiato e malfatto, per mensola a sostenere un trave: e animali
strani, e figure, e fogliami goffi e fuori di ogni ragione naturale. Pure
ebbe la loro architettura questa origine, che nacque dagli alberi non
ancor tagliati, li quali piegati li rami e rilegati insieme, fanno li loro terzi
acuti. E bench questa origine non sia in tutto da sprezzare, pure
debole; perch molto pi reggerebbon le capanne fatte di travi
incatenate e poste a uso di colonne, [p. 25 modifica]con li culmini e
coprimenti, come descrive Vitruvio dellorigine dellopera dorica, che
gli terzi acuti li quali hanno due centri. E per molto pi ancor sostiene,
secondo la ragione matematica, un mezzo tondo, il quale ogni sua
linea tira ad un centro solo: perch, oltre la debolezza, un terzo acuto
non ha quella grazia allocchio nostro, al quale piace la perfezione del
circolo: onde vedesi che la natura non cerca quasi altra forma. Ma non
necessario parlare dellarchitettura romana, per farne paragone colla
barbara; perch la differenza notissima: n ancor per descrivere
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lordine suo, essendone stato gi eccellentemente scritto per Vitruvio.


Basti dunque sapere, che gli edifici di Roma in fino al tempo degli
ultimi imperatori furono sempre edificati con buona ragione di
architettura, e per concordavano con li pi antichi: onde difficolt
alcuna non discernerli da quelli che furono al tempo de goti, e ancor
molti anni dappoi; perch furono questi quasi due estremi ed opposti
totalmente: n ancor malagevole il conoscerli dalli nostri moderni per
molte qualit, ma [p. 26 modifica]specialmente per la novit che li fa
notissimi. Avendo dunque abbastanza dichiarato quali edifici antichi di
Roma sono quelli che io intendo di dimostrare a vostra santit,
conforme alla sua intenzione: ed ancor come facil cosa sia il conoscere
quelli dagli altri; resta chio dica il modo chho tenuto in misurarli e
disegnarli, acciocch vostra santit sappia sio aver operato luno e
laltro senza errore: e perch conosca che nella descrizione, che
seguir, non mi sono governato a caso e per sola pratica, ma con vera
ragione. E per non aver io infin a m veduto scritto, n inteso che sia
appresso dalcuno antico il modo di misurare con la bussola della
calamita: il qual modo soglio usare io; stimo che sia invenzione de
moderni. E per volendo anche in questo ubbidire al comandamento di
vostra santit, dir minutamente, come si abbia da operare, prima che
si passi ad altro (14). Farassi adunque un istromento tondo e piano,
come un astrolabio; il diametro del quale sar due palmi, o pi, o
meno, come piace a chi vuole adoperarlo: e la circonferenza di questo
istromento si partir [p. 27 modifica]in otto parti giuste, ed a ciascuna
di quelle parti si porr il nome duno degli otto venti; dividendola in
trentadue altre parti picciole, che si chiameranno gradi. Cos dal primo
grado di tramontana si tirer una linea dritta per mezzo il centro
dellinstromento fino alla circonferenza; e questa allopposito del primo
grado di tramontana far il primo dostro. Medesimamente si tirer pur
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dalla circonferenza unaltra linea, la quale passando per lo centro,


intersecher la linea dostro e tramontana; e far intorno al centro
quattro angoli retti, e in un lato della circonferenza segner il primo
grado del levante, nellaltro il primo di ponente. Cos tra queste linee,
che fanno li soprascritti quattro venti principali, rester lo spazio degli
altri quattro collaterali, che sono greco, lebecchio, maestro, e scirocco:
e questi si descriveranno con li medesimi gradi e modi che si detto
degli altri. Fatto questo, nel punto del centro dove sintersecano le
linee, conficcheremo un umbilico di ferro, come un chiodetto,
drittissimo e acuto, e sopra questo si metter la calamita in bilancia,
come si usa di fare negli oriuoli [p. 28 modifica]da sole, che tutto d
veggiamo: poi chiuderemo questo luogo della calamita con un vetro,
ovvero con un sottile corno trasparente, ma che non tocchi, per non
impedire il moto di quella, n sia sforzato dal vento. Dappoi per mezzo
dellinstromento, come diametro, si mander un indice, il quale sar
sempre dimostrativo non solamente degli opposti venti, ma ancor de
gradi, come l'armilla nellastrolabio; e questo si chiamer traguardo: e
sar acconcio di modo, che si potr volgere intorno, stante fermo il
resto dellinstromento. Con questo adunque misureremo ogni sorta di
edificio, di che forma si sia, o tondo, o quadro, o con istrani angoli e
svolgimenti quanto dir si possa. E il modo tale: che nel luogo che si
vuol misurare, si ponga lo instromento ben piano, acciocch la
calamita vada al suo dritto, e saccosti alla parte da misurarsi quanto
comporta la circonferenza dellinstromento: e questo si vada volgendo
tanto, che la calamita stia giusta verso il vento segnato per
tramontana. E come ben ferma a questo verso si dirizzi il traguardo
con una regola di legno o dottone, giusto a filo
di [p. 29 modifica]quella parete, o strada, o altra cosa che si vuole
misurare: lasciando lo instromento fermo, acciocch la calamita servi il
9

suo diritto verso tramontana. Dappoi guardisi a qual vento e a quanti


gradi volta per diritta linea quella parete, la quale si misurer con la
canna, o cubito, o palmo, fin a quel termine che il traguardo porta per
dritta linea; e questo numero si noti; cio tanti cubiti e tanti gradi di
ostro, scirocco, o qual si sia. Dappoi che il traguardo non serve pi per
dritta linea, devesi allora svogliere, cominciando laltra linea che si ha
da misurare, dove termina la misurata; e cos indrizzandolo a quella,
medesimamente notare i gradi del vento, e il numero delle misure,
fintantoch si circuisca tutto ledifizio. E questo stimo io che basti
quanto al misurare: bench bisogna intendere le altezze e i tondi, li
quali si misurano in altra maniera; come poi si mostrer a luogo pi
accomodato. Avendo misurato di quel modo che si detto, e notate
tutte le misure e prospetti, cio tante canne o palmi, a tanti gradi di tal
vento; per disegnar bene il tutto opportuno avere una carta,
della [p. 30 modifica]forma e misura propria della bussola della
calamita, e partita appunto di quel medesimo modo, con li medesimi
gradi delli venti: della quale ci serviremo come mostrer. Piglierassi
adunque la carta, sopra la quale si ha a disegnar lo edifizio: e
primamente si tirer sopra dessa una linea, la quale serva quasi per
maestra al dritto di tramontana: poi vi si soprappone la carta dove si
ha disegnata la bussola, e si dirizza di modo che la linea di tramontana,
nella bussola disegnata, si convenga con quella che si tirata nella
carta dove si ha a disegnare lo edifizio. Dappoi guardasi il numero delli
piedi che si notarono misurando, e i gradi di quel vento verso il quale
indrizzato il muro, o via che si vuol disegnare; e cos trovasi il
medesimo grado di quel vento nella bussola disegnata, tenendola
ferma con la linea di tramontana sopra laltra linea descritta nella
carta: e tirasi la linea di quel grado diritta, che passi per lo centro della
bussola disegnata, e si descrive nella carta dove si vuol disegnare.
10

Dappoi riguardasi quanti piedi si traguard per diritto di quel grado, e


tanti se ne [p. 31 modifica]segneranno con la misura delli nostri piccioli
piedi su la linea di quel grado. E se, verbi grazia, si traguard in un
muro piedi 30, e gradi 6 di levante, si misurano piedi 30 e segnansi. E
cos di mano in mano; di modo che con la pratica si far una facilit
grandissima; e sar questo quasi un disegno della pianta e un
memoriale per disegnare tutto il restante. E perch, secondo il mio
giudicio, molti singannano circa il disegnare gli edifici; che in luogo di
far quello che appartiene allarchitetto, fanno quello che appartiene al
pittore, dir qual modo mi pare che sabbia a tenere, perch si possano
intendere tutte le misure giustamente; e perch si sappiano trovare
tutti li membri degli edifici senza errore. Il disegno adunque degli
edifici si divide in tre parti; delle quali la prima la pianta, o vogliam
dire disegno piano: la seconda la parete di fuori, con li suoi
ornamenti. La pianta quella che comparte tutto lo spazio piano del
luogo da edificare, o vogliamo dire il disegno del fondamento di tutto
ledifizio, quando gi radente al piano della terra. Il quale spazio,
bench [p. 32 modifica]fosse in monte, bisogna ridurre in piano, e far
che la linea delle basi sia paralella con la linea delle basi de piani
delledificio: e per questo devesi pigliare la linea dritta del piede del
monte e non la circonferenza dellaltezza, di modo che sopra quella
cadano piombati e perpendicolari tutti li muri. E chiamasi questo
disegno, pianta; quasi che come lo spazio che occupa la pianta del
piede, che fondamento di tutto il corpo, cos questa pianta sia
fondamento di tutto ledificio. Disegnata che si ha la pianta, e
compartitovi li suoi membri con le larghezze loro, o in tondo o in
quadro, o in qualaltra forma si sia, devesi tirare, misurando sempre il
tutto con la picciola misura, una linea della larghezza delle basi di tutto
ledificio; e dal punto di mezzo di questa linea tirare unaltra linea
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dritta, la quale faccia dallun canto e dallaltro due angoli retti: e


questa sia la linea dellentrata delledificio. Dalle due estremit della
linea della larghezza tireransi due linee parallele perpendicolari sopra
la linea della base: e queste due linee sieno alte quanto ha da essere
ledificio. Dappoi tra queste due [p. 33 modifica]estreme linee, che
fanno laltezza, si pigli la misura delle colonne, pilastri, finestre, e altri
ornamenti disegnati nella met della pianta di tutto ledificio dinanzi; e
da ciascun punto delle estremit delle colonne, o pilastri, o vani,
ovvero ornamenti di finestra, si far il tutto, sempre tirando linee
paralelle a quelle due estreme. Dappoi per lo traverso si ponga
laltezza delle basi, delle colonne, delli capitelli, degli architravi, delle
finestre, fregi, cornici, e cose tali: e questo tutto si faccia con linee
paralelle della linea del piano dello edificio; n si diminuisca nella
estremit delledificio, ancorch fosse tondo, n ancor se fosse quadro
per fargli mostrare due faccie; come fanno alcuni, diminuendo quella
che si allontana pi dallocchio: perch subito che i disegni
diminuiscono, sono fatti con intersecare li raggi piramidali dellocchio;
che ragione di prospettiva, e appartiene al pittore, non allarchitetto:
il quale dalla linea diminuita non pu pigliare alcuna giusta misura; il
che necessario a questo artificio, che ricerca tutte le misure perfette
in fatto, non quelle che appaiono e non sono. Per
al [p. 34 modifica]disegno dellarchitetto sappartengono le misure
tirate sempre con linee parallele per ogni verso. E se le misure fatte
talora sopra pianta di forma tonda scortano, ovvero diminuiscono;
ovvero fatte pur sopra il dritto in triangolo, o altre forme, subito si
ritrovano nel disegno della pianta; e quello che scorta nella pianta,
come volte, archi, triangoli, poi perfetto nelli suoi dritti disegni; e per
questo sempre bisogno aver pronte le misure giuste de palmi, piedi,
dita, grani fino alle sue parti minime. La terza parte di questo disegno
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quella in che abbiamo la parete di dentro con li suoi ornamenti. E


questa necessaria non meno che laltre due; ed fatta
medesimamente della pianta con le linee parallele, come la parte di
fuori, e dimostra la met delledificio di dentro, come fosse diviso per
mezzo: dimostra il cortile; la corrispondenza dellaltezza delle finestre,
delle porte; gli archi delle volte, a botte, o a crociera, o a che altra
foggia si sieno. In somma con questi tre modi si possono considerare
minutamente tutte le parti di un edificio dentro e fuori. E questa via
abbiamo [p. 35 modifica]seguitata noi, come si vedr nel progresso di
tutta questa nostra descrizione: alla quale essendo omai tempo chio
dia principio, porr prima qui appresso il disegno dun solo edificio in
tutti tre i sorpradetti modi, perch appaia ben chiaro quanto ho detto.
Se poi nel rimanente io aver tanta ventura, quanta mi viene in
ubbidire e servire a vostra santit primo e supremo principe in terra
della cristianit, siccome potr dire dessere fortunatissimo tra tutti li
suoi pi divoti servitori; cos ander predicando di riconoscere
loccasione di essa mia avventura dalla santa mano di vostra
beatitudine, alla quale bacio umilissimamente li santissimi piedi.

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