Il Lavoro Nell'Era Digitale
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Rete della Conoscenza - Via IV Novembre, 98 - 00187 Roma [email protected] Tel. 06/69770332
Nel periodo 2009-2015 in Italia la produttivit del lavoro cresciuta del 0,6% grazie
ad una forte crescita della PTF, come conseguenza di un calo degli investimenti
totali del 3,5% rispetto al PIL- contrazione di 2 punti superiore alla media dellarea
euro. La scarsit di investimenti ha infatti spinto le imprese ad ottimizzare la
produzione, ma si deve notare che sono rimasti positivi gli investimenti in capitale
ICT (hardware, software e sistemi di comunicazione) e in capitale immateriale
non-ICT (soprattutto in ricerca e sviluppo).
In questo contesto, le innovazioni introdotte da Industria 4.0 garantiscono un
aumento consistente del contributo del capitale fisso e della PTF alla produttivit
del lavoro. Questa possibilit pone di fronte al tema del governo del processo di
trasformazione del sistema produttivo e della funzione sociale della produzione.
Infatti le innovazioni della IV rivoluzione abilitano alla stessa sostituzione del
lavoro umano in segmenti rilevanti della produzione: le previsioni sullentit
quantitativa di questo fenomeno non sono del tutto attendibili, ma segnalano il
pericolo di una drastica riduzione delle ore lavorate. Fino ad oggi nel nostro Paese
il basso livello degli investimenti ha causato una moderata crescita della
produttivit del lavoro, ma la maggiore produttivit stata comunque sfruttata
dallimpresa per ridurre le ore lavorate mantenendo relativamente stabile la
produzione e riducendo i costi: cos si sono garantiti i profitti di pochi, senza
investimenti adeguati alla competizione internazionale fondata sullinnovazione,
aumentando la disoccupazione e aggravando la congiuntura economica
caratterizzata da una crisi della domanda.
Tuttavia laumento consistente della produttivit del lavoro - sia nellindustria
che nei servizi e nellagricoltura - garantito dalla IV rivoluzione industriale pu
essere invece orientato alla funzione sociale del lavoro ed alla garanzia dei diritti
sociali.
Nel medio periodo queste innovazioni possono garantire la tutela dei posti di
lavoro esistenti grazie ad una politica di redistribuzione dei profitti derivanti dalla
maggiore produttivit, garantendo la stabilit delloccupazione a fronte del
finanziamento pubblico degli investimenti necessari al salto tecnologico, di cui le
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riduzione dei costi. Il lavoro immateriale resta la fonte principale del valore
aggiunto. Linserimento stabile nellimpresa del lavoratore cognitivo sar
necessaria perch la tempestivit nella progettazione del prodotto e nella
conseguente revisione dellorganizzazione richiede esperienza nellimpresa e nella
cooperazione con il resto delle figure professionali interne allazienda, oltre che
una notevole conoscenza del prodotto lavorato dallimpresa.
In sintesi la sostituzione del lavoro con mezzi automatizzati oggi presente per una
gamma relativamente ristretta di ruoli e operazioni nella manifattura,
prevalentemente quelli a bassa qualificazione. Le nuove tecnologie aumentano la
produttivit abilitando una personalizzazione massificata del prodotto ed una
maggiore possibilit di modulare la produzione sulle variazioni della domanda. La
riduzione dei tempi morti il principale taglio dei costi di produzione introdotto al
momento. Gli operai saranno maggiormente qualificati, ma in riferimento a
competenze generiche oppure a operazioni semi-artigianali. Le figure professionali
dei tecnici necessiteranno di maggiori competenze ed assumeranno un maggiore
rilievo nel funzionamento complessivo della produzione. I lavoratori cognitivi al
vertice della produzione non saranno sostituibili, ma anzi dovranno essere
stabilizzati nellazienda per la maggiore efficienza garantita dallesperienza. In
generale le nuove tecnologie introducono maggiore autonomia del lavoratore nel
processo produttivo, a cui non corrisponde una minore subordinazione alla
direzione aziendale, bens una maggiore produttivit ed una maggiore
responsabilit sullintero processo produttivo. Lordine simbolico costruito nella
fabbrica rafforza la struttura gerarchica inducendo il lavoratore ad una
partecipazione emotiva e valoriale al successo dellimpresa, limitando la
conflittualit del soggetto subalterno.
Le sfide del lavoro nella transizione tecnologica
Il processo di trasformazione sotteso alla IV Rivoluzione industriale e alle
trasformazioni sociali che questa sta determinando, ci pone nuovi interrogativi
rispetto a come costruire una pratica sindacale efficace a ottenere un
ampliamento dei diritti e un miglioramento delle condizioni materiali e immateriali
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gli USA (2,74%) e la Francia (2,24%), con la Cina al 2,01%. Questo contesto in
evoluzione a causa della forte crescita degli investimenti nellinnovazione in Cina e
negli altri Paesi emergenti, anche grazie allinvestimento verso lestero di capitali
occidentali. Questi Paesi, in particolare la Cina, hanno espressamente dichiarato
di voler contendere allOccidente la leadership nella produzione ad alto valore
aggiunto - ovvero ad alta intensit di R&S - per superare la divisione
internazionale del lavoro che vede storicamente i Paesi di successiva
industrializzazione come i produttori di grandi volumi e di scarsa qualit. Infatti i
proventi derivanti dalle produzioni a basso valore aggiunto non sono sufficienti a
sostenere la crescita dei salari della forza lavoro di questi Paesi, necessaria per
stimolare la domanda interna e ridurre la dipendenza dalle importazioni
Occidentali. Infine la concentrazione degli investimenti in R&S verso lOccidente ha
storicamente fornito a questo il monopolio sulla gran parte delle tecnologie
fondamentali alla concorrenza internazionale, causando un gap competitivo
importante tra questi Paesi.
LItalia si colloca al di sotto della media OCSE (2,37%) e della media UE 28 (1,93%)
nella quota di PIL investita in R&S con un risultato del 1,30%. Linvestimento
complessivo in Ricerca e Sviluppo nel nostro Paese nel 2013 stato di 28 miliardi,
nettamente inferiore ai 102 miliardi in Germania e ai 57 miliardi in Francia. Il
nostro Paese non investe in innovazione, con leccezione di una minoranza di
imprese medio-grandi orientate prevalentemente allesportazione. Il tessuto
produttivo italiano, caratterizzato da una larga maggioranza di piccole e medie
imprese, non riesce a determinare un investimento privato significativo anche a
causa del volume ridotto di capitali a disposizione delle PMI.
Se si valuta il ruolo dello Stato e linvestimento pubblico in R&S rispetto al PIL,
notiamo che si collocano sopra la media OCSE di 0,67% (2013) la Germania con
0,82%, la Francia con 0,79% e gli USA con 0,76%, mentre lItalia si colloca al di sotto
con il 0,54%. Complessivamente lItalia riscontra un deficit di finanziamento
rispetto al PIL sia da parte del settore pubblico che da parte di quello privato. In
sintesi nel nostro Paese non esiste una programmazione industriale di alcun tipo
che disponga adeguati finanziamenti alla sostenibilit della produzione sul
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leccezione degli occupati nei segmenti al vertice della catena del valore per i quali
limpresa fornisce le risorse con il solo obiettivo di estrarre maggiore plusvalore dal
lavoro. E evidente che tale polarizzazione rende iniquo e insostenibile lattuale
modello di sviluppo nella IV rivoluzione industriale. I soggetti subalterni
necessitano di autonomia sociale e di libero accesso ai saperi dentro e fuori i
luoghi della formazione, obiettivo da perseguire innalzando lobbligo scolastico e
fornendo listruzione gratuita e di qualit per ogni ordine e grado. Inoltre i sistemi
di welfare devono adeguarsi al nuovo contesto sociale e produttivo, garantendo da
un lato una infrastruttura pubblica di promozione della cultura e dellinnovazione e
dallaltro la liberazione dei tempi di vita dai tempi di lavoro imposti dalla
precariet, in modo da permettere a tutte e tutti eguale accesso ai saperi. La
formazione continua risulta un diritto sociale e parte integrante della
cittadinanza nel momento in cui la velocit dello sviluppo tecnico e scientifico
rischia di escludere i lavoratori anzich promuovere lemancipazione dal bisogno.
Nella societ della conoscenza, intesa come sistema di relazioni sociali in cui non si
presentano asimmetrie dellaccesso ai saperi, il processo di innovazione quindi
partecipato e determinato dalle forme di organizzazione sociale che distribuiscono
le ricchezze e la direzione dello sviluppo verso la produzione di valore duso per il
fabbisogno sociale.
IL RUOLO DEI LUOGHI DELLA FORMAZIONE
La scuola e lalternanza scuola-lavoro
Lesperienza dellalternanza scuola-lavoro potrebbe essere, in questo quadro, uno
strumento utile per rendere reale il connubio fra il sapere e il saper fare,
connubio pi che necessario in questa fase, se non fosse per levidente mancanza
di prospettiva reale e di lungimiranza con cui si sta attuando allinterno delle
nostre scuole. Lalternanza infatti, introdotta in via sperimentale con il decreto
legislativo 22/2005 dallallora Ministro Moratti e resa obbligatoria attraverso la
Buona Scuola dal Governo Renzi con 400 e 200 ore rispettivamente per Istituti
Tecnici e Professionali e Licei, viene portata avanti partendo dal presupposto che il
mondo della scuola non sia in grado di preparare le studentesse e gli studenti a
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quelli che sono i bisogni del mercato del lavoro e quindi, come risultato, questa
mancanza ha portato e continua a portare alla disoccupazione. I dati Ocse invece
ci delineano un quadro diverso: nel nostro paese, negli ultimi anni, emerso un
fenomeno chiamato bolla formativa per cui, partendo dal dato che il mondo
del lavoro richiede sempre pi manodopera a basso costo e di bassa qualit, le
studentesse e gli studenti sono troppo formati e quindi costretti, essendo
altamente qualificati, a lasciare il Paese. Evidentemente quindi la volont quella
di rendere subalterno il mondo della scuola a quelli che sono i bisogni
contingenziali del mondo del lavoro, un mondo del lavoro spesso privo di
investimenti riguardanti linnovazione e il progresso tecnologico.
Lalternanza non solo quindi viene portata avanti con degli obiettivi che possiamo
definire errati ma risulta problematica anche nelle sue modalit. Abbiamo visto
come le studentesse e gli studenti si siano ritrovati spesso a fare delle esperienze
che possiamo definire manodopera gratuita senza alcuna valenza formativa, sia
per chi frequentava i licei che sono in evidente difficolt non avendola mai
praticata prima, sia per chi frequentava i tecnici e professionali che pur avendo una
maggior consapevolezza dettata dallesperienza hanno dovuto, per coprire le ore
obbligatorie, fare una corsa sfrenata alle aziende senza avere la possibilit di
rispettare alcun tipo di criterio. Ecco che spesso lalternanza stata portata avanti
in aziende che non rispettavano le regole ambientali o che avevano un grande
numero di lavoratori precari.
E evidente quindi di quanto ci sia bisogno che lalternanza scuola-lavoro diventi
unesperienza davvero formativa, che non abbia come obiettivo quello di
modificare il mondo della scuola piegandolo ai bisogni delle aziende ma anzi, faccia
da motore per apportare un continuo e avanzato stato di progresso allinterno di
quei luoghi, di pari passo con un aumento degli investimenti nella Ricerca che in
questo momento nel nostro paese si attestano all'1,25% del PIL, dato molto
lontano dallobiettivo di Europa 2020 che ha come minimo il 3% del PIL. Inoltre
sono tanti gli strumenti che si possono usare allinterno delle scuole per perseguire
questo obiettivo, le commissioni paritetiche sono uno di questi: organi da far
approvare allinterno del consiglio distituto per rendere partecipi tutti gli studenti
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nella definizione degli obiettivi formativi e delle aziende identificate. Inoltre risulta
necessario un ripensamento della didattica a partire da attivit laboratoriali,
incentivando il miglioramento di questi luoghi allinterno degli istituti.
Fondamentale, infine, la presenza di un quadro normativo chiaro con uno
statuto delle studentesse e degli studenti in alternanza completo e che riesca a
rispondere alla costante richiesta di tutela di diritti allinterno delle scuole,
affiancato da un codice etico per le aziende che vada a stabilire quali sono i criteri
di idoneit in cui poter far fare lesperienza dellalternanza alle studentesse e agli
studenti.
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alla mobilit studentesca considerato il fatto che in molte regione non sono
presenti istituti tecnici superiori. Inoltre necessario prevedere adeguati strumenti
di partecipazione alla vita degli ITS da parte dei componenti della comunit
didattica, in particolare con la previsione di assemblee plenarie collegiali e di
organi collegiali eletti dalle diverse componenti della comunit didattica stessa.
LUniversit
La terza missione delle universit sta assumendo un ruolo sempre pi rilevante, sia
nelle politiche di trasformazione dei sistemi produttivi, sia a livello di politiche di
valutazione e di spartizione delle risorse.
Linsistenza sulla necessit di regolare ed incentivare limpegno degli atenei nella
terza missione passa dalla critica che stata pi volte fatta alluniversit rispetto
alla sua chiusura ed isolamento verso il territorio circostante. I tipi di interazioni tra
universit e territorio sono diversi ma uno degli aspetti fondamentali riguarda
certamente la possibilit dei laureati di trovare un'occupazione finito il periodo di
studi. Una recente indagine di Almalaurea rivela come loccupazione ad un anno
dalla laurea e pure quella in periodi temporali pi lunghi sia in lieve aumento, ma
che la qualit del lavoro trovato (in termini di stabilit) in diminuzione. Inoltre
si sottolinea come avere delle esperienze di stage e tirocinio nel percorso degli
studi favorisca il neolaureato che cerca lavoro. A questo punto ci si chiede se
luniversit debba porsi il problema delloccupabilit dei propri laureati, poich
essendo un luogo di trasmissione e produzione di sapere si vedono dei rischi nel
darle compiti di diverso genere che non le competono direttamente in quanto
istituzione. E pure vero che lo studente stesso si iscrive ad un corso di laurea
spesso anche in previsione delle prospettive lavorative, quindi non ha senso
evitare la tematica, ma affrontarla nellottica delluniversit come fonte di
cambiamento del modello lavorativo e produttivo. Non infatti per nulla
esauriente la quantificazione del lavoro prodotto in termini di occupati ad un anno
dalla laurea ma bens luniversit dovrebbe farsi portavoce di un cambiamento
nellassetto del mercato del lavoro, garantendo che ad esempio gli uffici di job
placement non si occupino solo di favorire lincontro tra domanda e offerta di
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