Versioni Per Giovedi 7 (124-133-134-135)

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VERSIONE 124

Germanico bello confecto multis de causis Caesar statuit sibi Rhenum esse transeundum. Quarum
illa fuit iustissima quod, cum videret Germanos tam facile impelli ut in Galliam venirent, suis
quoque rebus eos timere voluit, cum intellegerent et posse et audere populi Romani exercitum
Rhenum transire. Accessit etiam quod illa pars equitatus Usipetum et Tenctherorum, quam supra
commemoravi praedandi frumentandique causa Mosam transisse neque proelio interfuisse, post
fugam suorum se trans Rhenum in fines Sugambrorum receperat seque cum his coniunxerat. Ad
quos cum Caesar nuntios misisset, qui postularent eos, qui sibi Galliaeque bellum intulissent, sibi
dederent, responderunt: populi Romani imperium Rhenum finire; si se invito Germanos in Galliam
transire non aequum existimaret, cur sui quicquam esse imperii aut potestatis trans Rhenum
postularet?

Terminata la guerra germanica, per molti motivi Cesare stabilì di dover passare il Reno. Di esse
questa fu la più importante, che vedendo che i Germani così facilmente erano spinti a venire in
Gallia, volle che essi temessero anche per i loro beni, comprendendo che l’esercito del popolo
romano e poteva e osava passare il Reno.Si aggiunse anche che quella parte della cavalleria di
Usipeti e Tenteri, che prima ricordai aver passato il Reno per far preda e vettovagliamento, non
aveva partecipato allo scontro, dopo la fuga dei loro si era ritirata oltre il Reno nei territori dei
Sugambri e si era unita con essi. Avendo Cesare mandati ambasciatori presso di loro per chiedere
che gli consegnassero quelli, che avevano dichiarato guerra a lui ed alla Gallia, risposero: (che) il
Reno delimitava il potere del popolo romano; se pensava che non era giusto che i Germani
passassero in Gallia, lui contrario, perché pretendeva ci fosse qualcosa di potere suo e di autorità
oltre il Reno?

VERSIONE 133

Vercingetorix tot continuis incommodis Vellaunoduni, Cenabi, Novioduni acceptis suos ad


concilium convocat. Docet longe alia ratione esse bellum gerendum atque antea gestum sit;
omnibus modis huic rei studendum, ut pabulatione et commeatu Romani prohibeantur. Id esse
facile, quod equitatu ipsi abundent et quod anni tempore subleventur. Pabulum secari non posse;
necessario dispersos hostes ex aedificiis petere; hos omnes cotidie ab equitibus deleri posse.
Praeterea salutis causa rei familiaris commoda neglegenda; vicos atque aedificia incendi oportere
hoc spatio obvia quoque versus, quo pabulandi causa adire posse videantur. Harum ipsis rerum
copiam suppetere, quod quorum in finibus bellum geratur, eorum opibus subleventur;Romanos aut
inopiam non laturos aut magno cum periculo longius a castris processuros; neque interesse ipsosne
interficiant impedimentisne exuant, quibus amissis bellum geri non possit.

Vercingetorige, ricevuti tanti continui insuccessi a Vellaunoduno, a Cenabo, a Novioduno, chiama i


suoi ad un’assemblea.
Dichiara che bisogna fare la guerra assolutamente con un’altra strategia di quanto sia stato fatto
prima; in tutti i modi bisogna impegnarsi in questa cosa, per impedire i Romani da pascolo e
vettovagliamento. Ciò è facile, perché essi abbondano di cavalleria e sono aiutati dal periodo
dell’anno.
Non si può tagliare il foraggio; necessariamente i nemici dispersi lo cercano dalle abitazioni; tutti
questi quotidianamente possono esser annientati.
Inoltre per la salvezza bisogna trascurare i vantaggi del bene famigliare; occorre che siano
incendiati villaggi ed abitazioni accessibili in questo spazio in ogni direzione, dove sembri si possa
andare per foraggiare. La disponibilità di queste cose viene assicurata ad essi, perché sono aiutati
dai mezzi di coloro nei cui territori si faccia la guerra; i Romani o non sopporteranno la mancanza o
con grande pericolo s’allontaneranno dagli accampamenti; ad essi non interessa se ucciderli o
spogliarli dei carriaggi, perduti i quali, non si può fare la guerra.

VERSIONE 134

Postero die concilio convocato consolatus cohortatusque est, ne se admodum animo demitterent
neve perturbarentur incommodo. Non virtute neque in acie vicisse Romanos, sed artificio quodam
et scientia oppugnationis, cuius rei fuerint ipsi imperiti. Errare, si qui in bello omnes secundos
rerum proventus exspectent. Sibi numquam placuisse Avaricum defendi, cuius rei testes ipsos
haberet, sed factum imprudentia Biturigum et nimia obsequentia reliquorum, uti hoc incommodum
acciperetur. Id tamen se celeriter maioribus commodis sanaturum. Nam quae ab reliquis Gallis
civitates dissentirent, has sua diligentia adiuncturum atque unum consilium totius Galliae
effecturum, cuius consensui ne orbis quidem terrarum possit obsistere; idque se prope iam
effectum habere. Interea aequum esse ab iis communis salutis causa impetrari, ut castra munire
instituerent, quo facilius repentinos hostium impetus sustinere possent. (SUL LIBRO E’ IMPETUS
SUSTINERENT)

Il giorno dopo, convocata l’assemblea, confortò e rincuorò di non abbattersi troppo nello spirito e
di non turbarsi per la disgrazia. (Diceva che) i Romani non avevano vinto col valore ed in campo
aperto, ma con un’astuzia e con la tecnica dell’assedio, di cui essi erano stati sprovvisti.
Sbagliavano, se alcuni aspettassero in guerra come favorevoli tutti gli avvenimenti delle cose. A lui
non era mai piaciuto che si difendesse Avarico, della cui cosa aveva loro stessi come testimoni, ma
era accaduto per la stoltezza dei Biturigi ed il troppa accondiscendenza degli altri, perché fosse
ricevuta questa perdita. Lui tuttavia avrebbe rimediato con maggiori vantaggi. Infatti le nazioni che
dissentivano dagli altri Galli, queste con la sua premura le avrebbe alleate ed avrebbe realizzato un
unico piano di tutta la Gallia, al cui assenso neppure il mondo intero potrebbe resistere; egli lo
riteneva quasi già realizzato. Intanto era giusto chiedere a loro per la salvezza comune, di decidere
di fortificare gli accampamenti, per sostenere più facilmente gli improvvisi attacchi dei nemici.
(NON SO COME CAMBIARE LA TRADUZIONE )

VERSIONE 135

Consecutus id quod animo proposuerat, Caesar receptui cani iussit legionique decimae, quacum
erat, continuo signa constituit. Ac reliquarum legionum milites non exaudito sono tubae, quod satis
magna valles intercedebat, tamen ab tribunis militum legatisque, ut erat a Caesare praeceptum,
retinebantur. Sed elati spe celeris victoriae et hostium fuga et superiorum temporum secundis
proeliis nihil adeo arduum sibi esse existimaverunt quod non virtute consequi possent, neque finem
prius sequendi fecerunt quam muro oppidi portisque appropinquarunt. Tum vero ex omnibus urbis
partibus orto clamore, qui longius aberant repentino tumultu perterriti, cum hostem intra portas
esse existimarent, sese ex oppido eiecerunt. Matres familiae de muro vestem argentumque
iactabant et pectore nudo prominentes passis manibus obtestabantur Romanos, ut sibi parcerent
neu, sicut Avarici fecissent, ne a mulieribus quidem atque infantibus abstinerent: nonnullae de
muris per manus demissae sese militibus tradebant.

Raggiunto lo scopo, Cesare fece suonare la ritirata, e subito la X legione, con la quale si trovava,
arrestò le insegne. I soldati delle altre legioni, sebbene non avessero udito il suono della tromba,
perché si trovavano al di là di una vallata piuttosto ampia, venivano tuttavia trattenuti, secondo gli
ordini di Cesare, dai tribuni dei soldati e dai legati. Ma i soldati, esaltati dalla speranza di una
rapida vittoria, dalla vista dei nemici in fuga, dal ricordo delle precedenti vittorie, pensavano che
nessuna impresa fosse per loro tanto ardua da non poterla compiere con il loro coraggio, e non si
fermarono prima di aver raggiunto le mura e le porte della città. Allora si levarono grida da ogni
parte della città, tanto che chi si trovava più lontano, atterrito dall'improvviso tumulto, pensando
che i nemici avessero varcato le porte, si precipitò fuori dalla città. Le madri di famiglia gettavano
dalle mura stoffe e argento e, scoprendosi il petto e protendendo le mani aperte, supplicavano i
Romani di risparmiarle e di non fare come ad Avarico, dove avevano ucciso anche le donne e i
bambini; alcune, calandosi dal muro con l'aiuto delle mani, si consegnavano ai soldati.

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