2 Timoteo
2 Timoteo
2 Timoteo
Responsabilità di un giovane
arcivescovo
La 2Timoteo è composta da 449 lemmi, ossia parole fondamentali, che declinate o
coniugate, secondo la loro particolare categoria morfologica e grammaticale (nome,
aggettivo, verbo) , costituiscono 667 forme distinte e una rete di 1.238 parole
distribuite in 83 versetti in 4 capitoli.
Per ordine di lunghezza questa epistola (mai chiamata così da chi l’ha scritta, cioè da
“Paolo” secondo 2Tm 1,1) si colloca dopo 1Timoteo (6 capitoli) e prima di Tito (3).
Le prime due parole comuni alle tre lettere pastorali, ma più frequenti in 2Tm, sono,
dunque il pronome di prima persona, singolare e plurale, "io-noi" (42 volte), seguito a
ruota dal pronome di seconda persona, singolare e plurale, "tu-voi" (21 volte). Già
questa gerarchia tematica indica,da una parte un marcato profilo di Paolo rispetto a
Timoteo. Paolo parla di se stesso direttamente a Timoteo, più ora che nella 1Tm.
La 2Tm contiene diversi nomi di città e regioni (cfr. 2Tm 1,15.17s; 3,11; 4,10.12s.20)
che, se indicano la distanza tra mittente e destinatario servono, indirettamente
almeno, a ricostruire vari spostamenti di Paolo, a localizzare Timoteo e quindi anche i
problemi che questi deve affrontare. È probabile che la sede centrale di Timoteo, in
Asia minore (nell’attuale Turchia), sia Efeso. Va ricordato che termini quali “episcopo,
presbitero, diacono” non sono direttamente usati per Timoteo. Tuttavia, in 2Tm 4,5,
Paolo ordina a Timoteo, usando il “tu” e vari imperativi: “Tu però vigila attentamente,
sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo,
adempi il tuo ministero [diakonía]”.
La vigilanza, già richiamata con l’imperativo épeche, “tieni duro” in 1Tm 4,16, ora
corrisponde a nêphe, “sii sobrio” o “astieniti dal vino”. Non si tratta dell’episcopato
(episkopé), “visita di ispezione” che però è menzionato, genericamente, in 1Tm 3,1s
(“chi aspira all’episcopato desidera un’opera bella”). Subito di seguito si stabiliscono
dei limiti per il vescovo. Bisogna che l’epískopos sia: irreprensibile, sposato una sola
volta, sobrio, capace di insegnare (cf anche Tt 1,7). In nessuna delle lettere pastorali
Timoteo è considerato vescovo. Probabilmente è qualcosa di più, come
rappresentante plenipotenziario di Paolo.
Rimane il dubbio sul dove si trovano, rispettivamente, Paolo come mittente e Timoteo
come recettore, ed eventualmente un latore della lettera che ha molto in comune con
la 1Timoteo.
Il tema dell’ortodossia, o della sana dottrina è trattato in lungo e in largo nelle lettere
pastorali (cfr. 1Tm 1,3.7.10; 2,12; 4,1.6.11; 6,1ss; 2Tm 3,16; 4,2s; Tt 1,9.11;
2,1.3.7.10), dove Paolo si presenta come banditore e apostolo, ma anche come
didáskalos-maestro delle nazioni, nella fede e nella verità del vangelo di Cristo (cfr.
1Tm 2,7 con 2Tm 1,11).
In 2Tm 2,2 Paolo spiega a Timoteo la linea pastorale più sicura da seguire per far
crescere, con l’aiuto di altri maestri, la ekklesía di Dio (nominata solo in 1Tm 3,5.15;
5,16, mai in 2Tm né in Tt).
Se direttamente Paolo dialoga solo con Timoteo, come terzo soggetto sembra
delinearsi una sede centrale di una chiesa costituita da una serie di piccole comunità
cristiane dipendenti da Timoteo.
Rimasto ad Efeso con l’incarico di chiudere la bocca a falsi maestri, Timoteo deve
anche formare altri maestri e vigilare su quel che insegnano.
Se Efeso è la sede della chiesa di Dio affidata a Timoteo, allora a chi è diretta Efesini,
nella quale, d’altra parte, la menzione della città è dubbia (cf l’edizione critica di Ef
1,1)?
È possibile accertare dove opera Timoteo a partire dai dati che abbiamo a
disposizione, senza ritenerli pregiudizialmente come falsi?
Nel dialogo di 2Tm 1,15, Paolo rammenta quanto questo figlio e fratello, più che
discepolo, dovrebbe già sapere: “tu sai, che tutti quelli dell’Asia” (dove si trova Efeso)
“mi hanno abbandonato”. Come per dire: non attenderti molto aiuto da chi ti circonda.
In 2Tm 4,10, Paolo accenna a qualcun altro, oltre Onesìforo, che gli è stato vicino,
probabilmente a Roma, come Dema, che però “mi ha abbandonato” partendo per
Tessalonica, forse suo luogo di origine, mentre Crescente è andato in missione in
Galazia e Tito in Dalmazia (e non a Creta come in Tt 1,5). Soltanto Luca, aggiunge “è
con me” (2Tm 4,11). A Roma, probabilmente, dato che, l’autore di Atti è stato effettivo
compagno di Paolo (cfr. il plurale “noi”, soprattutto in At 28,14.16). Tìchico, aggiunge
ancora Paolo,“l’ho inviato a Efeso” (2Tm 4,12). Perché ad Efeso?
In sintesi, sembrano sostenibili due ipotesi: che Paolo scriva da una prigione di Roma,
centro di incontro e di smistamento dei collaboratori e che Timoteo, destinatario della
lettera si trovi ad Efeso, dove probabilmente la chiesa di Dio è dislocata in diverse
piccole comunità rette da presbiteri e vescovi dei quali è Timoteo il responsabile,
insieme a Paolo che si interessa di tutti e di tutto.
Da 2Tm 4,13, dalle stesse parole di Paolo, si potrebbe evincere però che Timoteo non
si trovi ad Efeso ma a Troade, la città menzionata anche in At 16,8.11; 20,5s; 2Cor
2,12, e dove sembra trovarsi anche una comunità cristiana.
Paolo infatti, invita Timoteo a Roma e, “venendo, portami il mantello che ho lasciato a
Troade”. Qui i ricordi sono precisi: “in casa di Carpo”; e poi, insieme al mantello,
Timoteo deve raccogliere e portare anche i libri “e soprattutto le pergamene”.
Il contesto è un viaggio a Roma che Timoteo deve intraprendere presto per stare
vicino a Polo. Troade che è situata a nord est di Efeso a circa 230 km di distanza,
lungo una rotta che via mare e poi via terra, passando per la Macedonia e la Dalmazia
potrebbe condurre Roma, prima percorrendo la via Egnatia, e dopo aver attraversato
l’Adriatico, sbarcando a Brindisi, proseguendo per la via Appia.
Subito, in 2Tm 4,14, a sostegno della presenza di Timoteo a Efeso sembra giocare la
messa in guardia da Alessandro, il ramaio di Efeso: “guardatene anche tu”, perché,
questo ex credente, è “un accanito avversario della nostra predicazione”.
Con questa certezza della potenza del Signore che gli è accanto nei momenti difficili,
Paolo chiude la 2Timoteo con un Amen. I versetti che seguono, anch’essi espressione
intensa di un dialogo diretto, ma più drammatico, confermano il lettore che Timoteo è
un supervisore di vescovi e presbiteri di Efeso: “Saluta Prisca e Aquila” (ancora
residenti ad Efeso anche secondo Atti 18,18s) “e la famiglia di Onesíforo”, che, come
già visto, è originaria di Efeso.
Le informazioni che seguono, in 2Tm 4,20, fanno pensare che Paolo stia facendo
l’elenco di città toccate durante un viaggio via mare fino a Roma; dei suoi
accompagnatori e collaboratori, Erasto è rimasto “a Corinto”, mentre Tròfimo “l’ho
lasciato ammalato a Mileto”.
Se Mileto si trova, via terra, a circa 50 km a sud di Efeso, Corinto è in Grecia, non più
in Asia, a quasi 390 km via mare ad est di Mileto. Ciò induce a credere che Paolo sia
partito da Mileto per Corinto. Per arrivare a Roma? È difficile definire di quale viaggio
si parla.
Dubbi che Paolo si trovi a Roma non dovrebbero essercene dato che in 2Tm 4,21, chi
scrive chiede con urgenza a Timoteo: “affrettati a venire prima dell’inverno”; e
aggiunge: “ti salutano Eubùlo, Pudènte, Lino, Claudia e tutti i fratelli”. Tutti nomi che
viene spontaneo collocare in Roma. L’“inverno” impedisce viaggi lunghi anche
secondo 1Cor 16,6.
Paolo prega per Timoteo, che considera “collaboratore” (Rm 16,21; 1Cor 16,10; 1Ts
3,2), “diletto figlio” (2Tm 1,2), “figlio diletto e fedele” (1Cor 4,17), “vero figlio nella
fede” (1Tm 1,2.18), “fratello” (2Cor 1,1; Col 1,1), “schiavo” di Cristo Gesù (Flp 1,1).
I vincoli tra chi scrive e chi legge sono stretti, come quelli da padre e figlio, ma anche
di fratello maggiore a fratello minore. Non trattandosi di parentela di sangue ma “in
Cristo Gesù” (cfr. 1Tm 1,14; 3,13; 2Tm 1,1.9.13; 2,1.10; 3,12.15), distanza e differenze
tendono a dissolversi.
Però, al contrario di Paolo nel quale non scorre sangue pagano (cfr. Flp 3,5), Timoteo è
figlio di un matrimonio misto, essendo suo padre greco. Questa distinzione delle origini
etniche religiose a Paolo, apostolo di Gesù Cristo presso i gentili (cfr. Rm 11,13; Gal
2,8; 1Tm 2,7) non crea alcun problema. Anzi, Timoteo, con nome greco, e Tito, con
nome romano, sono i due più fedeli e importanti collaboratori nell’evangelizzazione
dell’impero.
Paolo ora connette la fede ereditata dalle donne di casa di Timoteo, con l'imposizione
delle mani, per la quale il giovane (1Tm 4,12; 2Tm 2,22) ha ricevuto il "chárisma di
Dio".
Il testo di 1Tm 4,14 aiuta a capire di più di che “carisma” si tratta. Usando
l’imperativo, qui Paolo esorta: “Non trascurare il chárisma che è in te e che ti è stato
conferito, per indicazioni di profeti, con l' imposizione delle mani da parte del collegio
dei presbiteri”.
In 1Tm 5,1ss Timoteo è ancora invitato a prendersi cura di tutti, giovani e anziani, a
riprendere con dolcezza i secondi come fratelli e i primi come padri, le anziane come
madri e le giovani come sorelle tutto castamente.
Sempre nella prima lettera, Paolo suggerisce al lettore che Timoteo è più di un
presbitero. I presbiteri sono anziani che esercitano la presidenza per affaticarsi nella
predicazione e nell’insegnamento. Godono di stima da parte della comunità, solo se
fanno bene il loro dovere. Timoteo non deve “accettare accuse contro un presbitero”
senza la deposizione di due o tre testimoni, secondo il costume giudaico (cfr. 1Tm
5,17.19).
Dunque Paolo dialoga con Timoteo come con un responsabile di presbiteri (e vescovi)
di una chiesa possibilmente formata di piccole comunità distribuite nel territorio, come
nel caso di Tito a Creta.
In 2Tm 2,1, il rapporto tra padre e figlio torna a intensificarsi in vista di un importante
ministero da compiere: "Tu dunque, figlio mio, attingi sempre forza nella grazia che è
in Cristo Gesù". Deve imparare a combattere con durezza, come Paolo, la battaglia
della diffusione e conservazione della fede “in Cristo Gesù”, senza timidezze e senza
fughe (cfr. 1Tm 1,18; 4,10; 6,12; 2Tm 4,7). Paolo vuole che Timoteo sia un militante,
all’altezza di un grande compito.
Di questo carisma-ministero e della cháris-grazia (cf 2Tm 1,2s.9; 2,1; 4,22), fonte
unica è Dio, per via di Gesù, il Cristo e Signore e con lo "Spirito Santo, che abita in
noi". Su un rapporto con Dio intero, Timoteo deve contare per custodire senza
compromessi con il mondo (cfr. Tt 2,12), il prezioso deposito della fede in Gesù (2Tm
1,12.14). Da 2Tm 3,10, risulta la fedeltà di Timoteo, nella valutazione di Paolo rispetto
ad altri collaboratori: “Tu invece mi hai seguito da vicino nell'insegnamento, nella
condotta, nei propositi, nella fede, nella magnanimità, nell' amore del prossimo, nella
pazienza”. Paolo è molto contento del suo vescovo di Efeso.
In 2Tm 1,8.16.18; 2,7.22.24; 3,11; 4,8.17s.22 c’è un riferimento al kýrios che indica
Gesù, il Cristo, ma senza far menzione di questi due nomi. “Il Signore” certamente
darà intelligenza sufficiente a Timoteo per capire le parole di Paolo. Timoteo non deve
vergognarsi della “testimonianza da rendere al Signore”. “Il Signore” conceda
misericordia, come ricompensa per i servizi resi, in Efeso, alla famiglia di Onesìforo.
Timoteo deve fuggire le sua passioni giovanili e cercare invece le grandi virtù della
giustizia e pace insieme a tutti “quelli che invocano il Signore” con il cuore puro. Uno
“schiavo” autentico “del kýrios”, come è Paolo, come deve essere Timoteo e qualsiasi
altro vescovo o presbitero, deve imitare Gesù che era mite, atto a insegnare e
paziente nelle offese. È necessario ad ogni schiavo, come Paolo, sapere che “il
Signore” libera, perché è capace di farlo, se vuole, da ogni persecuzione e sofferenza
affrontata per rendergli testimonianza. “Il Signore”, che è “giusto giudice”, a Paolo
consegnerà, alla fine, la corona di giustizia, e non solo a lui ma a tutti coloro che
attendono la rivelazione della sua signoria. Anche in 4,22 che è l’ultimo versetto: “Il
kýrios”, senza dire chi è, “[è/sia] con il tuo spirito”. Timoteo si senta in presenza
continua del Signore e non tema, perché non ci sono persone più potenti e buone di
Gesù, il Cristo.
Conoscenza e verità
Questo tema, composto dal verbo oîda, “so” e dal sostantivo alétheia, la “verità”
ricorre complessivamente in 11 versetti. Per primo ricorre il verbo “sapere”.
In 2Tm 1,12 Paolo dice di non vergognarsi, presumibilmente in quanto araldo, apostolo
e maestro perseguitato del vangelo e ne dà la ragione: “so infatti a chi ho creduto” ed
è “convinto” che Gesù, perché Cristo e Signore, “è capace” di conservare il suo
deposito fino al giorno del premio. In 1,15 ricompare oîda riferito a Timoteo: “tu sai”. E
qui Paolo spiega che cosa suo figlio deve sapere: come “tutti quelli dell’Asia” lo hanno
abbandonato. Timoteo invece deve continuare ad essere, senza timidezza, uno
“scrupoloso dispensatore della verità” (2,15) dalla quale, molti anche ad Efeso, e tra
loro Imenèo e Filèto, due falsi maestri, hanno deviato, sostenendo che la risurrezione è
un evento del passato (cfr. 2,18). “Sapendo” le contese che provocano nella comunità,
Timoteo deve evitare le discussioni sciocche e non educative (2,23) e allo stesso
tempo deve essere dolce nel riprendere gli oppositori nella speranza che “riconoscano
la verità” (2,25). Timoteo deve guardarsi bene da certi tali che approfittano di
donnicciole, che sfruttano, e che stanno sempre lì ad imparare senza riuscire mai a
raggiungere “la conoscenza della verità” (3,7), alla quale invece si oppongono,
sull’esempio di Iannes e Iambres oppositori di Mosè (3,8). Timoteo invece deve restare
saldo in quello che ha imparato, e di cui è convinto “sapendo da chi” l’ha appreso
(3,14), avendo “conosciuto” e quindi sapendo, fin dall’infanzia passata in casa, con la
mamma e la nonna, le sacre Scritture (3,15).
Paolo conclude con amarezza il suo discorso sulla sana dottrina e sulla verità in 2Tm
4,4: giorno verrà in cui, per prurito di sentire sempre delle novità, gli uomini, compresi
i credenti, si circonderanno di maestri secondo le voglie del momento, rifiutandosi di
“dare ascolto alla verità” per rivolgersi alla mitologia.
Molti e di più
Rispetto alle altre due lettere pastorali, anche l’aggettivo polýs, “molto” ricorre di più
in 2Tm.
La prima volta è in 2,2, dove Paolo rammenta a Timoteo le cose già “udite da me in
presenza di molti testimoni”. Le stesse ora Timoteo le deve trasmettere,
pubblicamente, a persone fidate le quali, a loro volta le insegneranno ad altri. In 2,16,
a Timoteo, Paolo scrive invece di evitare chiacchiere profane, perché tendono a “far
crescere sempre di più nell’empietà” sia chi le dice che quanti le ascoltano. Costoro
non progrediranno “di più” nella fede, ma la stoltezza che li bolla sarà manifesta a
tutti (3,9).
Dare amore
Anche questo tema, composto dal verbo dídomi, “dare, donare” e dal sostantivo
agápe, “amore”, con 11 ricorrenze complessive in 9 versetti (1,7 – 3,10), è più
frequente in 2Tm che in 1Tm e Tt.
Paolo istruisce Timoteo su un evento fondamentale: Dio “non ci ha dato” uno spirito di
timidezza, ma di forza, “di amore” e di autocontrollo. Infatti, in Gesù Cristo ci “è stata
data” la grazia di Dio che ci salva non in base alle nostre opere. Come prototipo,
Timoteo prenda dunque le parole stesse udite personalmente da Paolo “in fede e
agápe in Cristo Gesù”.
Il Signore Gesù “doni misericordia” anche a Onesìforo con la sua famiglia. Gli “doni di
trovare misericordia presso Dio” nel giorno del giudizio.
Lo stesso Signore Gesù, a Timoteo “darà intelligenza” per non essere passionale e per
cercare invece l’agápe assieme alla fede e alla giustizia e anche alla dolcezza nel
riprendere, nella speranza che “Dio voglia loro dare di convertirsi” chi si oppone alla
verità.
Tutta la lettera è dunque un dialogo “in Cristo Gesù” il Signore. Questa è la verità
centrale da conoscersi, e da trasmettere con fede e amore, misericordioso anche
verso gli oppositori della verità e che si perdono in miti.
Un vocabolario riservato
La 2Tm ha un lungo vocabolario specifico ed esclusivo, sia rispetto al resto del corpus
paulinum che del NT e dell’intero AT greco. Si tratta di 41 termini presenti in 28
versetti (cfr. quelli che non trattiamo e che sono: 2Tm 1,7s.16; 2,3s.14s.25s;
3,2.13.16s; 4,6.19).
1,5: due nomi femminili greci, Loide, “gradevole, gradita”, la nonna e Eunice, “bella
vittoria”, la madre, corrispondono a due signore ebree, la prima più giovane, mai
ricordate altrove nella Bibbia.
2,5: qui è usato due volte il verbo athléo, che evoca sia l’atletica come ogni genere di
competizione: anche nelle gare atletiche, scrive Paolo, la corona non la riceve chi non
compete, ma solo chi ha lottato secondo le regole.
2,17: la parola di alcuni insegnanti falsi cristiani si propaga come una gángraina, cioè
“una cancrena”; fra questi diffusori di necrosi c'è Fileto, che pure è un nome grazioso,
in quanto significa “amato, più che un amico”. Non è menzionato altrove, neppure
nella 1Tm.
2,24: uno schiavo del Signore Gesù, non deve essere litigioso ma épios, “gentile” e
ancora di più, anexíkakos, “paziente nelle difficoltà”, senza covare risentimenti.
3,3: a Efeso, ma non solo ci sono alcuni áspondoi, “sleali”, altri anémeroi, “indomabili,
selvaggi”; altri ancora aphilágathoi, “senza amore al bene”.
3,4: altri poi sono philédonoi, “amanti di piaceri” anziché philótheoi, “amanti di Dio”.
3,6: a questa tipologia appartengono gli endýnontes, “coloro che si introducono nelle
case”, discretamente, per accalappiare le gynakária, “donnette”.
4,3: verrà un giorno però in cui “coloro hanno il prurito” (knethómenoi) nell’udito,
“accumulano” (episoreúsousin) maestri che soddisfino le voglie più che la sete di
verità.
4,13: A Timoteo Paolo chiede di portargli “il mantello” (tòn phailónen) e “le
pergamene” (tàs membránas, le membrane) lasciate nella casa di Carpo a Troade.
4,21: Paolo mette fretta a Timoteo perché parta, per Roma presumibilmente, prima
dell’inverno, quando la navigazione è ufficialmente ancora aperta. Invia i saluti di
Eubùlo, “prudente, di buona volontà”; di Pudente, un nome latino che ha a che vedere
con il pudore; di Lino, “una rete”; di una donna, Claudia, la “zoppa”: di questi
personaggi non si parla altrove nella Bibbia. Probabilmente costoro sono tutti a Roma
e Timoteo ha avuto modo di conoscerli nel suo passato in compagnia di Paolo.
In sintesi, la precisione dei nomi propri e dei tanti comuni rende la 2Tm diversa anche
nei contenuti storici e geografici rispetto alla 1Tm e a Tito.
Assenze significative
Nelle altre 12 lettere del corpus paulinum, ci sono parole comuni o quasi a tutte,
mancanti però in 2Tm: nómos, per esempio, ricorre 121 volte soprattutto in Romani
(74 volte) e in Galati (32) ma non compare mai in 2Tm. Neppure c’è traccia della
preposizione hypér, “per”, presente in ciascuna delle altre 12 lettere, per un totale di
101 volte (34 in 2Cor; 17 in Rom; 3 in 1Tm e 1 in Tt). Da 2Tm sono assenti: sárx,
“carne” (91); sôma, “corpo” (91); gyné, “donna” (64); anér, “marito” (59). Non sono
menzionate le “vedove”.
Mancano accenni all’arte dello “scrivere” e del “leggere”, è importante però l’accenno
alla “Scrittura” in 2Tm 3,16.