Il documento descrive vari oggetti e attrezzature trovati nei relitti di navi romane, come pompe di sentina, gomene, ancore, scandagli e utensili per la manutenzione delle navi. Vengono inoltre menzionati oggetti relativi alla vita quotidiana a bordo come armi e attrezzature commerciali.
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Il documento descrive vari oggetti e attrezzature trovati nei relitti di navi romane, come pompe di sentina, gomene, ancore, scandagli e utensili per la manutenzione delle navi. Vengono inoltre menzionati oggetti relativi alla vita quotidiana a bordo come armi e attrezzature commerciali.
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1. - Proposta ricostruttiva di pom-
pa di sentina a bindolo (da Car- re, Jzgou, 1984). La ricerca archeologica sottomarina e lindagine dei relitti di imbarcazioni interrate hanno portato al ritrovamento di un gran numero di reperti che non sono riferibili al carico delle navi bens alle operazioni di governo o alla vita quotidiana degli imbarcati. Lo studio di questa categoria di oggetti stato, fino ad oggi, abbastanza trascurato perch ben maggiore interesse ha suscitato negli studiosi la merce presente nei relitti, utile per lo studio dei commerci. Una pi accurata attenzione andrebbe invece posta sugli oggetti non collegabili al cari- co poich essi aprono una finestra unica sul passato: permettono infatti di com- prendere le abitudini, le superstizioni o gli scrupoli religiosi sia di chi della nave faceva la sua abitazione, cio i marinai, sia di chi della nave si serviva saltuariamente per lunghi trasferimenti o per transazioni commerciali. Questi manufatti aiutano inoltre a ricostruire le operazioni pi strettamente legate al governo dellimbarcazione e alla sua manutenzione. I manufatti in questione possono essere divisi in due grandi insiemi: gli oggetti relativi allat- trezzatura della nave e alle operazioni per la sua manutenzione e tutti gli oggetti connessi alla vita quotidiana. Del secondo insieme fanno parte utensili, specialmente metallici, armi, strumenti commerciali, suppellettili da cucina, attrezzi per la pesca, oggetti relativi al culto abituale e a riti propiziatori, giochi e passatempi, oggetti perso- nali e attrezzature specialistiche (quale quella del medico). La maggior parte degli oggetti relativi alla vita quotidiana si rinviene ad unestremit del relitto ossia nella zona della cabina. In base alla documentazione iconografica e ai confronti etnografici, tale estremit viene interpretata come la poppa. Utile per distinguere poppa e prua comunque lidentificazione della posizio- ne delle ancore normalmente, sempre in base alla documentazione di cui si detto, a prua. Ricca la documentazione archeologica rela- tiva alle attrezzature impiegate nelle navi. Uno dei meccanismi pi importanti era senzaltro la pompa di sentina per levacuazione dellacqua depositatasi sul fondo dellimbarcazione. Le navi romane erano armate con pompe del tipo a bindolo, ossia cime munite di dischetti di legno che scorrevano allinterno di tubi sempre di legno grazie al movimento rotatorio provocato da un marinaio collocato sul ponte della nave. Lacqua veniva caricata dal fondo verso il ponte di coperta dove veniva espulsa attraverso due tubi di piombo (fig. 1). Lazionamento di questa VITA A BORDO DELLE NAVI IN ET ROMANA di Carlo Beltrame 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Carlo Beltrame macchina doveva essere mansione particolarmente ingrata se, come ci tramandano Artemidoro (Oneirop., I, 48) e Svetonio (Vita di Tiberio, LI, 6), spesso esso era oggetto di condanne. Non infrequente il rinvenimento di cime, a volte forse appartenenti alle manovre delle vele, ma altre volte relative alle operazioni di ormeggio o ancoraggio quale la gomena eccezionalmente conservatasi ancora arrotolata nel relitto di Procchio (fig. 2). Delle manovre veliche invece facevano certo parte i bozzelli, ossia una sorta di carrucole per tendere il sartiame, in legni duri e muniti di una o pi pulegge per lo scorrimento delle corde. Destinate ad uso simile erano le bigotte, semplici tavolette munite di uno o pi fori. Attrezzi fondamentali per la navigazione erano le ancore e lo scandaglio. Lancora delle navi romane era inizialmente (fino allet medio-imperiale) costituita da fusto e marre di legno, per la presa sul fondale, mentre il ceppo di appesantimento era di piombo. Gi in et repubblicana, ma specialmente, in et medio-imperiale, viene introdotta lancora di metallo molto simile a quella moderna (detta ancora ammi- ragliato). In questo caso, marre, fusto e ceppo sono di ferro e questul- timo smontabile e di piccole dimen- sioni (fig. 3). Abbastanza sottovalutata stata fino ad oggi limportanza delluso dello scandaglio nella navigazione antica. Esso era costituito da una sorta di campanella di piombo che sulla sommit veniva collegata ad una cimetta mentre allinterno poteva essere spalmata di grasso (fig. 4). In questa maniera, era possibile non solo saggiare la profondit del fondale durante la navigazione sotto costa ma anche campionarlo per conoscerne la natura e facilitare quindi anche le operazioni di ancoraggio. A bordo delle navi erano imbarca- ti utensili per operazioni di manu- tenzione dello scafo. Stranamente rarissimi sono i rinvenimenti di asce da carpentiere, utili per rifinire ele- menti lignei dello scafo, mentre numerose sono le accette semplici o bipenni. Queste potevano essere uti- 26 2. - Gomena arrotolata dal relitto di Procchio (cortesia A. Fioravan- ti). 3. - Ancora di ferro dal relitto Dra- mont E (da Santamaria, 1995). 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 27 lizzate sia in operazioni di riparazione della nave sia per le attivit di procacciamento di legname per il focolare di bordo o altro. I mazzuoli di legno di varie forme, come ricordato da Plauto quando afferma che navis lignea saepe trita, saepe fixa, saepe excussa malleo (Menandro, II, 3, 52), erano utili per saggiare il fasciame e per ribatte- re i cavicchi di collegamento, ma forse venivano impiegati durante le operazioni di impiombatura delle cime (ossia di collegamento tra pi corde). A bordo si poteva provvedere anche alla manuten- zione del rivestimento protettivo della carena. Come documentano alcune anfore piene di resina e vasi con questa sostanza sottoposta a cottura, i marinai erano attrezzati per provvedere allo spalmo della resina allinterno e allesterno dello scafo e come sembrereb- bero testimoniare, almeno in alcuni casi, dei ritagli di lamina di piombo, essi potevano intervenire per ripara- re eventuali squarci apertisi sul rivestimento plumbeo dellopera viva. Ad altra categoria appartengono invece quegli utensili non finalizzati alla manutenzione della nave ma ad operazioni di vario genere. Si tratta, ad esempio, di coltelli o roncole utili sia in cucina che per tranciare cime, caviglie per forare le vele, sessole per asciugare la sentina, scopette ecc. Particolare attenzione merita un utensile a forma di piccone definito dagli autori antichi dolabra. La sua particolare versatilit e la frequenza con cui appare nei relitti, ci fa pensare che esso costituisse un utensile in dotazione ai marinai romani cos come lo era ai soldati del genio (fig. 5). Gladii (fig. 6), spade, lance, pugnali o armi da lan- cio, quali ghiande missili, frecce o proiettili litici per frombola nonch, nel solo caso del relitto di Mahdia, armi pesanti, sono ritrovamenti abbastanza comuni nei 4. - Scandagli in piombo dal relitto Dramont D (da Joncheray, 1975). 5. - Dolabra dal relitto Cabrera III (da Bost et al., 1992). 6. - Gladio in ferro dal relitto di Porto Nuovo (da Bernard, Bessac, Mar- dikian, Feugre, 1998). 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Carlo Beltrame relitti di navi romane. Alle armi vanno poi aggiunti gli elementi di armatura, perlopi elmi. In base alla lettura delle fonti scritte, la presenza di armi nelle navi potrebbe essere spiegata con la presenza di soldati imbarcati per vari scopi. In alcuni casi si potrebbe trattare di armati imbarcati per un viaggio di trasferimento, come i cavalieri arabi a bordo della nave di Sinesio (Epist., V, 96); oppure si potrebbe trattare di soldati di scorta a prigionieri, come quelli destinati ad accompagnare San Paolo a Roma (Atti degli Apostoli, XXVII, 1- 44). A veri e propri servizi di scorta dovevano essere addetti i menzionati nei papiri del III e II sec. a.C. che documentano il trasporto dei rifornimenti granari a Roma, mentre, in base al Digesto (IV, 9, 1, 3), per garan- tire lordine a bordo e per sorvegliare la nave al porto erano imbarcati i . Linterpretazione della presenza delle armi con la spiegazione della loro appartenenza a scorte a carichi particolarmente preziosi sembrerebbe la pi plausibile. Pur rimanendo su uninterpretazione di tipo difensivo, per, il numero assai ridotto di manufatti per singolo relitto ci fa pensare che le navi dovessero essere munite di una sorta di armeria, utilizzabile da chiunque in caso di assalto piratesco, piuttosto che di professionisti. Su navi da carico, quali erano la maggior parte dei relitti giunti a noi, era dobbligo la dotazione di unattrezzatura commerciale costituita perlopi da strumenti da pesatura. Si tratta di stadere di bronzo complete del romano (con- trappeso) spesso raffigurante delle divinit. Su due relitti sono state rinvenute anche rarissime stadere danesi (fig. 7). I pesi litici sono certo testimonianza delluso anche di librae ossia grandi bilance a due bracci fabbricate in materiale deperibile. Una bella immagine di questo tipo di bilancia ci offerto dal mosaico dellipogeo di Sousse (Tunisia) dove lo strumento viene impiegato per la pesatura di lingotti appena scaricati da una nave. Alcune imbarcazioni potevano essere attrezzate dello strumentario utile per sigillare le anfore: punzoni che servivano a marchiare le sigillature di pozzola- na che coprivano i tappi di sughero delle anfore, tappi di sughero semilavorati e pozzolana, contenuta in anfore. Quasi in ogni nave vi era un servizio da tavola per la consumazione e, meno frequentemente, per la preparazione di pasti. Ovviamente il vasellame pi documentato quello in ceramica, sebbene non manchi qualche testimonianza delluso di servizi di legno. Per quanto la distinzione tra ceramica destinata alluso di bordo da quella finalizzata allo smercio sia particolarmente difficoltosa specialmente nei relitti con carichi di vasellame, possiamo dire che a bordo si utilizzava perlopi cera- mica comune ma anche sigillata e campana. Si trattava di piatti e scodelle per mangiare, coppe, tazze, boccalini e bicchieri per bere. Acqua e vino erano ser- viti in brocche, ma anche in olpi e bottiglie. I liquidi erano conservati nella cambusa in anfore a fondo piatto. Per cucinare cibi semiliquidi si utilizzavano 28 7. - Stadera danese dal relitto di Taillat (da Joncheray, 1987). 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 29 molto le olle, utili anche per conservare; per cibi solidi invece erano impiegati tegami. Cas- seruole e pentole, anchesse con frequenti trac- ce di fuoco, erano recipienti ad uso misto. Piatti, coppe, scodelle, tazze e olle potevano essere personalizzati dal proprietario con un graffito quale una croce o un quadrato oppure con il proprio nome. Il calcolo del numero di pezzi di vasellame da mensa a volte permette di ipotizzare il numero originario di persone imbarcate che si doveva aggirare tra le tre e le cinque unit. Oltre al vasellame fittile non mancava quello di bronzo e di vetro. In bronzo erano prevalentemente brocche e coppe mentre in vetro erano bicchieri, piattini e vasetti. Per attingere e versare liquidi si faceva ricorso ad attingitoi di bronzo mentre non ben chiaro a cose servissero le molte casseruole rinvenute nei relitti. Dato il contesto marinaresco, presumibile che, come i soldati, anche i marinai le utilizzassero come gamelle (fig. 8). La dieta era prevalentemente a base di cereali che venivano macinati a bordo cos da permettere una migliore conservazione del grano. Quasi ogni nave, quindi, era fornita di una o due macinelle rotatorie manuali. Semplice- mente tostati oppure ridotti in semola o farina, i cereali potevano servire per la preparazione di pagnotte, gallette o farinate, ma anche di zuppe. Per impastare ingredienti, mescolare farina o preparare salse si faceva largo uso di mortai fittili muniti di beccuccio (fig. 9), anchessi, come le macine, presenti spesso in coppia per provvedere forse ad una rapida sostituzione in caso di guasto. Per la cottura delle pietanze la nave era spesso dotata di un fornello del tipo a cassa, costituito da una base di mattonelle e da pareti di argilla. Sopra le braci veniva appoggiata una graticola. La ricostruzione pi attendibile di que- sto tipo di focolare stata pos- sibile grazie allottima conser- vazione e allanalitico lavoro di documentazione del relitto bizantino di Yassi Ada; tale tipologia di fornello si con- servata sino almeno al XVI secolo. In alcuni casi comun- que, le navi potevano essere armate di un vero forno coper- to come ricostruito per il relitto di Guernsey rinvenuto nel Canale della Manica. In alternativa ad una struttu- ra fissa, le imbarcazioni pote- vano caricare un piccolo for- Vita a bordo delle navi in et romana 8. - Casseruola in bronzo dal relit- to di Diano Marina (da AA. VV., 1983). 9. - Mortaio fittile dal mare di Ve- nezia (foto dellautore). 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Carlo Beltrame 11. - Rilievo dal Portus Augusti di Ostia (collezione Torlonia) (da Casson, 1995). nello mobile di lamina di piombo. Si trattava di un oggetto a forma di ferro di cavallo, con baci- no per la posa delle braci e pareti cave collegate ad una sorta di camino (fig. 10). Sopra le braci era posta la pentola mentre dal camino si pote- va versare dellacqua che impediva che il piom- bo raggiungesse la temperatura di fusione. Il tutto funzionava in pratica sul principio di un moderno sistema di raffreddamento di un moto- re. Perch utilizzare il piombo per un oggetto da sottoporre al fuoco? semplice, un oggetto di piombo risulta particolarmente stabile ed inoltre quasi indistruttibile e facilmente riparabile: caratteristiche particolarmente indicate per luso navale. La dieta di bordo, come detto, era basata principalmente sui cereali ma non mancavano frutta secca, frutta fresca, carne e ovviamente pesce. Questultimo poteva essere agevolmente pescato sia con reti, che alla lenza, che con arpioni e fiocine, come documentato da numerosi attrezzi alieutici e come illustrato anche da molti mosaici africani. La pesca poteva avvenire sia durante le soste allancora, come descritto dai vivaci racconti di Petronio (Satyricon, CIX, 6) e Sinesio (Epistolario, V, 207-212), sia durante la navigazione, in base al ricordo di Eliano (De Animalium Natura, XV, 10). A bordo ognuno portava con s la sua fede religiosa alla quale per spesso si aggiungeva, dato il particolare rischio che comportava ogni viaggio, una buona dose di superstizione. Molti erano i tab da rispettare: era infatti proibi- to avere rapporti sessuali, bestemmiare, tagliarsi i capelli, le unghie ed altri comportamenti. La superstizione non si fermava qui, un corno poteva ornare la prua della nave forse per uno scopo apotropaico; il ceppo dellancora veniva decorato con la combinazione vincente degli astragali: il colpo di Afrodite. Ma queste credenze si manifestavano gi in occasione del varo della nave, quando, al di sotto del piede dellalbero della vela, veniva posta una moneta con funzione beneaugurante. Sin dallet greca, prima della partenza, era prassi comune propiziarsi gli dei con delle abluzioni rituali, ma funzioni analo- ghe si dovevano svolgere anche durante la naviga- zione, come, ad esempio, in occasione del passag- gio davanti ad un santua- 30 10. - Fornello di piombo dal relitto Barthlmy B (da Lopez, 1996). 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 12. - Attrezzi da lapicida dal relitto di Porto Nuovo (da Bernard, Bes- sac, Mardikian, Feugre, 1998). 31 rio, o forse allarrivo, come sembrerebbe testimoniarci il noto rilievo di Portus della collezione Torlonia (fig. 11) dove un perso- naggio togato, assistito da altre due perso- ne, appare nellatto di aspergere incenso su di un altare mobile. Alcuni ritrovamenti sembrano indicare che, oltre che con i rituali visti, la religione a bordo si doveva manifestare sotto forma di devozione personale. possibile cio che alcuni imbarcati portassero con s oggetti devozionali quali le statuette, raffi- guranti divinit perlopi legate al mare, rin- venute in alcuni relitti. Non ha fondamento invece la teoria secondo la quale a bordo delle navi romane sarebbe stato collocato un altarino in pietra. Le lunghe ore di inattivit venivano riempite con il gioco dei dadi, degli astra- gali o quello dei latrunculi. Questultimo si giocava con pedine bianche e nere su una tabula lusoria. Piacevole intratteni- mento poteva essere offerto anche da un suonatore di strumento musicale a corde o a fiato, come indicherebbe il rinvenimento di alcuni flauti. Dagli autori antichi, comunque, sappiamo che molte opere letterarie furono composte pro- prio nel corso di un viaggio per mare durante il quale lettura e scrittura, come conferma anche il rinvenimento di calamai e stili scrittori, aiutavano a trascor- rere le lunghe pause di bonaccia. In alcuni casi, gli oggetti personali che si rinvengono nei relitti ci permet- tono di identificare la personalit di alcuni imbarcati. Si sono riconosciute, ad esempio, specifiche figure professionali quali quella del lapicida. Due artigiani di questo tipo erano certo imbarcati sulla nave carica di marmi naufragata sulle coste della Corsica, presso Porto Nuovo, come dimostra chiaramente lecceziona- le insieme di attrezzi (scalpelli, mazzette, pinze, martelli, punte, sgorbie ecc.) rinvenuto insieme al carico (fig. 12). Le navi erano spesso dotate di una cassetta di pronto-soccorso ma, a volte, dovevano imbarcare un medico in carne ed ossa. Frequente infatti il rinvenimento di cassettine contenenti sostanze medicamentose e di attrezzi chirurgici. Sul relitto di Plemmirio (Sicilia) sono stati rinvenuti dei bi- sturi ad uso oftalmico che fanno appunto pensare alla presenza di un medico, forse in viaggio di tra- sferimento (fig. 13). Sul relitto di Ladispoli, poi, il Vita a bordo delle navi in et romana 13. - Bisturi di bronzo dal relitto di Plemmirio (da Gibbins, 1989). 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale Carlo Beltrame ricordo di un medico ancora pi evidente es- sendo stato impresso il suo nome sul fondo di un piatto rinvenuto vicino ad un cassettina di medicinali. Altri oggetti personali ci hanno lasciato traccia del viaggio intrapreso da alcune donne che trattenevano i capelli con aghi crinali in osso e si profumavano con olii conservati in unguentari e si specchiavano con preziosi specchi di bronzo. Ma il culto del cor- po, come noto, non era esclusivo appannaggio femminile come testimoniano, ad esempio, molti strigili e ariballoi per contenere lolio (fig. 14) o pettini in osso. Anelli, pendagli doro e gemme sono chiara testimonianza che le navi com- merciali erano preferite anche da personaggi benestanti a causa della minore af- fidabilit, maggiore instabilit e scomodit delle pi veloci imbarcazioni milita- ri, spinte da rematori. Tali oggetti potevano essere stati abbandonati dai naufra- ghi, prima di abbandonare la nave, oppure potevano avere decorato il corpo di qualche persona perita nella sciagura, ma a volte, come nel caso di alcuni gruz- zoli di monete, essi erano stati nascosti o al di sotto del pagliolato o allinterno di un contenitore per scongiurarne il furto da parte di qualche compagno di viag- gio. A bordo si portavano zoccoli da marinaio con tasselli rialzanti oppure sandali in cuoio, ma possibile, dato il frequente rinvenimento di calzature, che sul ponte della nave si giras- se scalzi abbandonando le scarpe in un angolo della nave fino al momento di scendere a ter- ra. I marinai vestivano normalmente un grem- biule di pelle e usavano portare con s prati- che borse a tracolla. Dai racconti degli autori antichi (si veda, ad esempio, limpostazione scenica del Saty- ricon di Petronio) si deduce che almeno alcu- ne delle navi di et romana fossero dotate di un ponte sotto coperta e forse di alcune cabine che permettevano una certa privacy. I relitti e le raffigurazioni di navi per sembrano darci unimmagine un po diversa. Le galere erano dotate di una semplice co- pertura voltata a poppa che permetteva il rico- vero del comandante mentre le navi ad esclu- siva propulsione velica erano munite di una cabina pi capiente. Questa per occupava solo la zona di poppa, o quella centrale, ed era posta sul ponte di coperta mentre lo spazio nella stiva doveva essere quasi sempre occu- 32 14. - Strigile e ariballos di bronzo dalla nave di Comacchio (da Berti, a cura di, 1990). 15. - Proposta ricostruttiva della cabina della nave bizantina di Yassi Ada, con tettoia in tegole e coppi (la restituzione del fornello errata) (da Van Doorninck, 1972). 2004 Casa Editrice Edipuglia, vietata la riproduzione e qualsiasi utilizzo a scopo commerciale 33 pato dal carico. La struttura era dotata di porte e finestrelle ed aveva un tetto che, come mostra il rinvenimento, nella maggior parte dei relitti, di tegole ed embri- ci, doveva essere in materiale fittile e quindi ignifugo per scongiurare possibili incendi dovuti alla presenza del focolare della cucina (fig. 15). Lilluminazione a bordo era garantita da lucerne ma anche da lanterne che permettevano la navigazione in convoglio e, presumibilmente, da torce di cui non ci giunta traccia. Vita a bordo delle navi in et romana Bibliografia AA.VV., Navigia fundo emergunt, Mostra di archeolo- gia sottomarina in Liguria, Genova 1983. G.F. Bass, F.H. Van Doorninck, Yassi Ada. A Seventh- Century Byzantine Shipwreck, vol. I, College Station 1982. H. Bernard, J.-C. Bessac, P. Mardikian, M. Feugre, L- pave romaine de marble de Porto Novo, Journal of Roman Archaeology 11, 1998, pp. 53-81. F. Berti (a cura di) (catalogo della mostra), Fortuna Maris. La nave romana di Comacchio, Bologna 1990. J. P. Bost, M. Campo, D. Colls, V. Guerrero, F. Mayet, Lpave Cabrera III (Majorque), Pubblications du Centre changes commerciaux et circuits Pierre Paris, URA 991, 23, Parigi 1992. M. B. Carre, M. P. Jzegou, Pompes a chapelet sur des navires de lantiquit et du dbut du moyen age, Archaeonautica 4, 1984, pp. 115-143. L. 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