GIANNI VENTURI. Cesare Pavese (Da Il Castoro N. 25)
GIANNI VENTURI. Cesare Pavese (Da Il Castoro N. 25)
GIANNI VENTURI. Cesare Pavese (Da Il Castoro N. 25)
Dunque devi sapere che io non scriver pi. Non scriver pi, ne sono quasi certo. Non ne ho pi la forza, e poi, non ho niente da dire. (Lettera a Mario Sturani, 8 aprile 1927). ... ti sei imbattuto in un piemontese, genus acre virum come dice da qualche par te l'aggiornatissimo Virgilio, padre di Dante, di Pavese, ecc., e vedrai cosa vu ol dire. (Lettera ad Antonio Chiuminatto, 5 aprile 1930). La sua tendenza fondamentale di dare ai suoi atti un significato che ne trascend a l'effettiva portata; di fare dei suoi giorni una galleria di momenti inconfond ibili e assoluti. Nasce di qua che, qualunque cosa dica o faccia, PAVESE si sdoppia e mentre pare prendere parte al dramma umano, altro intende nel suo intimo e gi si muove in una diversa atmosfera che traspare nelle azioni come intenzione simbolica. (Analisi di Pavese, datata 25 ottobre 1940, in una lettera indirizzata a Fernanda Pivano del 5 novembre 1940). Mi si consenta di parlare della mia opera come se fosse quella di un altro, e io un critico che non ha nulla da perdere. Dir dunque che quest'opera cominciata scontrosamente in pieno periodo ermetico e di prosa d'arte, quando il castello della chiusa civilt letteraria italiana resis teva ai venti gagliardi del mondo, non ha sinora rinunciato alla sua ambigua nat ura, all'ambizione cio di fondere in unit le due aspirazioni che vi si sono combat tute fin dall'inizio: sguardo aperto alla realt immediata, quotidiana "rugosa , e riserbo professionale, artigiano, umanistico--consuetudine coi classici come fo ssero contemporanei e coi contemporanei come fossero classici, la cultura insomm a intesa come mestiere. Della civilt umanistica quest'opera vuole (sia detto con tutta umilt) conservare i l distacco contemplativo e formale, il gusto delle strutture intellettualistiche , la lezione dantesca e baudelairiana di un mondo stilisticamente chiuso e in de finitiva simbolico. Della realt contemporanea rendere il ritmo, la passione, il sapore, con la stessa casuale immediatezza di un Cellini, di un Defoe, di un chiacchierone incontrato al caff... Quando Pavese comincia un racconto, una favola, un libro, non gli accade mai di avere in mente un ambiente socialmente determinato, un personaggio o dei persona ggi, una tesi. Quello che ha in mente quasi sempre un ritmo indistinto, un gioco di eventi che pi che altro, sono sensazioni e atmosfere. Il suo compito sta nell'afferrare e costruire questi eventi secondo un ritmo int ellettuale che li trasformi in simboli di una data realt. Ci gli riesce, beninteso, secondo il grado di concretezza, sensoriale, dialogica, umana, che porta nella sua elaborazione. Nasce di qua il fatto, non mai abbastanza notato, che Pavese non si cura di crea re dei personaggi. I personaggi sono per lui un mezzo, non un fine. I personaggi gli servono semplicemente a costruire delle favole intellettuali il cui tema il ritmo di ci che accade... Prima che italiane le sue letture sono classiche e poi sovente straniere. Pavese ritiene massimi narratori greci Erodoto e Platone (a proposito, egli non fa differenza tra teatro e narrativa), scrittori che mirano non tanto al persona ggio--come invece fanno Omero e Sfocle--quanto al ritmo degli eventi o alla costr uzione intellettualistico-simbolica della scena. Gli piace molto Shakespeare, ma non per la romantica ragione che questi crei per sonaggi indimenticabili, bens per una pi vera: il suo assurdo e meraviglioso lingu aggio tragico (e anche comico), le terribili frasi o tirate del quinto atto in c ui, per diversi che fossero i caratteri dei personaggi, tutti dicono sempre la s
tessa cosa. Gli piace, come narratore, Giovanni Battista Vico--narratore di un'avventura int ellettuale, descrittore ed evocatore rigoroso di un mondo-quello eroico dei prim i popoli--che ha sempre interessato Pavese e da anni gli ha fatto smettere ogni lettura amena per dedicarsi alle relazioni e ai documenti etnologici--testi in c ui egli ritrova quel senso di una realt simbolica e insieme fondata su saldissime istituzioni che, a suo parere, la fonte prima di ogni poesia degna di questo no me. Infine gli piace assai Hermann Melville, il cui Moby Dick ha tradotto, non sa co n quanta competenza, ma con molto trasporto, una ventina di anni fa e che ancora adesso gli serve da pungolo a concepire i suoi racconti non come descrizione ma come giudizi fantastici della realta. Questa lista di letture , s'intende, solamente indicativa. Ma a che scopo fare un facile sfoggio di nomi ? Resterebbero i viventi, gli ital iani viventi, ma a che scopo farsi degli amici interessati e dei nemici? Meglio evitare il trabocchetto e dichiarare--del resto, seccndo verit--che per Pavese il maggior narratore contemporaneo Thomas Mann e tra gli italiani, Vittorio De Sic a. (Intervista alla radio, 12 giugno 1950), Non parole. Un gesto. Non scriver pi. (18 agosto 1950). L'epistolario pavesiano, raccolto da Einaudi in due volumi, la testimonianza di Augusto Monti, di Lajolo e degli amici della confraternita , ma soprattutto la p aziente ricerca di Dominique Fernandez, hanno permesso di ricostruire il mondo a dolescente di Pavese, quel mondo che per Lajolo testimonierebbe della vocazione suicida dello scrittore, il vizio assurdo per il suo maestro, invece, avrebbe le caratteristiche tipiche della solitudine di un ragazzo introverso e per Fernand ez sarebbe la risultante dei traumi infantili--morte del padre, mondo femminile in cui stalo allevato, desiderio inconscio di autopunizione ecc. Qualunque sia l'interpretazione che si d a questi primi anni dell'apprendistato u nnano e poetico dello scrittore, non si pu negare che gi da ora si profila la stor ia di un destino in cui la tensione a vivere tragicamente la propria vita si ass ocia e si intreccia ad un disperato desiderio d'amore, a quell'apertura verso gl i altri che la sua stessa natura gl'impediva di raggiungere e d'attuare. Le lettere della giovinezza corrispondono agli ultimi tre anni di Liceo, dove il giovane Pavese ha per maestro un uomo di altissima tempra morale ed umana, quel l'Augusto Monti che esercit un'influenza eccezionale sulle giovani schiere di all ievi che formeranno ben presto il nucleo pi attivo della resistenza torinese. Tra il 1923 ed il 1926 Pavese partecipa dunque a quel rinnovamento delle coscien ze che non solo l'azione educatrice di Monti esercitava, ma che a Torino si conc retizzava nell opera di Gobetti e di Gramsci. Dapprima Pavese assai riluttante ad impegnarsi attivamente nella lotta politica: la testimonianza pi diretta della sua protesta contro i metodi e la prevaricazio ne fascista rappresentata da un gruppo di poesie politiche" contenute in Lavorar e stanca in cui si rintraccia, assai sintomaticamente, il fondersi del motivo pi propriamente politico ~ -- la repressione dei moti operai a Torino nel '22--con quello dell'infanzia e del ricordo. In qual modo possiamo gi renderci conto della fondamentale operazione che Pavese attua nel corso di tutta la sua predica: la riduzione degli avvenimenti esterni ad una problematica individuale e l'allargamento di quest'ultima a significazion e universale. Le lettere dell'adolescenza sono gi una risposta--sebbene ambigua-alla situazione umana e morale di Pavese: da una parte la risoluzione in letteratura di ci che p i lo turba sul piano esistenziale--il suicidio del l'amico Elico Baraldi, occasio ne di una poesia indirizzata all'amico Sturani; l'incapacit di esternare il suo a more alla compagna di classe, Olga, tema di meditazione sulla sua infelicit nelle lettere agli amici; la timidezza che lo rende incapace di ottenere un appuntame nto dalla ballerina Pucci, nucleo centrale della poesia inclusa in una lettera a llo Sturani del 1925--; dall'altra la volont confessata di una vita eroica, di un
far grande , di una tensione morale che rimarr la caratteristicha pi evidente del futuro scrittore. Dibattuto entro i lacci di una dissociazione tra l'orgogliosa affermazione di s e la constatazione amara di una sua inadattabilit alla vita, Pavese sceglie in d'or a la letteratura come schermo metaforico e metaforizzante della sua condizione e sistenziale: ecco come pu spiegarsi, al di l dei troppo crudi e crudeli agganci al la condizione unicamente vitale del Pavese uomo, ci che Fernandez chiama crise du sens de la ralit. Al di l, quindi, di una situazione assai complessa che le lettere testimoniano, n on credo sia indispensabile fare della crisi giovanile di Pavese il paradigma de ll'inevitabile destino di suicida dello scrittore: i componimenti giovaniIi sono la riprova--e il calco letterario--di un adolescente in conflitto con la realt, che cerca nella letteratura--e negli atteggiamenti letterari--la risoluzione dei suoi conflitti interiori: Io mi ho l'aria di un mendicante spiritualmente. A tutti vado descrivendo le mie miserie interiori, come gli accattoni van metten do in mostra la loro sordidezza. E per che cosa lo faccio? Per cercarne conforto? Per farmene vanto? Per caricarn e una pagina d'arte? Chi lo sa? Anche quest'incertezza parte, parte grandissima della mia miseria. (Lettere, 22 ottobre 1926). In queste righe adombrata una costante dello sviluppo poetico ed umano di Pavese , la necessit cio, di fare della propria infelicit individuale un tema che si allar ghi a rispecchiare la sofferenza umana, iI tentativo supremo di un agganciamento dell'io agli altri, l'archtipo delle dicotomie pavesiane--io-altri, soggettivo-o ggettivo, citt-campagna, carcere-evasione, adolescenza-maturit--dicotomie che cerc ano una sintesi, nei successivi momenti deIla poetica pavesiana o intravista nel la realt ~ delle cose e dei fatti oppure ricercata nel mito, l'ultima illusione d i ristabilire il circolo tra s e gli altri. L'opinione corrente e accettata da tutta la critica che la nascita del Pavese po eta vada rintracciata nella composizione de I mari del Sud, la poesia-programma che apre la raccolta di Lavorare stanca; ma quanto di costruito ci sia in questa nascita, apparve evidente dopo la conoscenza delle poesie giovanili dello scrit tore, nate librescamente sulla scia di tutta una cultura decadente e provinciale --D'Annunzio, i crepuscolari, e soprattutto i torinesi , Gozzano, la Guglielmine tti, Cena--oppure classicamente rivestite di moduli e modelli classici, da Leopa rdi ad una ineliminabile tradizione petrarchesca. I mari del Sud si presentano, invece, come superamento di tutto un bagaglio reto rico-classicheggiante e come cosciente opposizione alla volont lirico-individuale della poesia ermetica. Tuttavia un dubbio la critica non stata capace di risolvere, il dubbio che nasce dalla lettura del programma di poetica che Pavese scrisse nel 1934 per giustifi care la prima raccolta delle poesie e che assieme ad un altro saggio, A proposit o di certe poesie non ancora scritte del 1940, fu posto in appendice all'edizion e einaudiana di Lavorare stanca del 1943. Appare chiaro da una lettura attenta di questo testo che Pavese vuole costruirsi un'immagine della poesia in previsione del futuro; una specie di alibi letterar io che sempre alla radice di tutta la sua complessa personalit: da una parte il P avese lucido razionalizzatore d-1 suo mondo privato e di quello degli altri, dal l'altra la volont di rendere questa specie di chiarificazione in termini di cultu ra e di poesia. Ne Il mestiere di poeta, cos s'intitola il lavoro pavesiano del 1934, lo scrittor e affronta il problema della costruzione poetica affidata alla volont di una poes ia-racconto, di una poesia cio che sviluppasse un racconto entto l'ambito stesso della poesia e non in un canzoniere costruito dove lo scrittore non trova mai pa ssaggio fantastico e nemmeno, in fondo, concettuale . Questo gusto del racconto, questa volont di costruire una poesia, di per s rivelat ori di tutta una disposizione e riflessione raziocinante fatto poetico, vengono preparati da una parte dall'esercizio delle tr: zioni e dei saggi americani, dal l'altra dai precedenti esercizi poetici,-quali Pavese stato distolto proprio per
la loro letterariet--e le meditazioni sullo stile espresse in novellette mezzo d ialettali . I temi del Sud sarebbero dunque la scoperta di una dimensione nuova della poesia , dimensione che assume un valore di reazione ad un certo clima c rale ed indica la via risolutiva dell'aderenza immediata alie cose ed alla realt. Il ritmo in cui si disponeva il racconto della poesia era la mosa lassa di tredi ci versi che Pavese dice di avere scoperto per caso-decasillabo ad accentuazione ternaria, seguito da sei sillabe, che in seguito si riducono a tre--mugolando c erte tiritere con cui si dilettava nell'infanzia. In realt il verso pavesiano fatto per sostenere la misura narl ed al solito, la s pia della coscienziosa capacit critica di Pavese c sltruirsi un'immagine di s che fosse pi razionalizzata possibile, istintiva difesa ai mostri dell'animo. Il fatto che I mari del Sud sia un le poesie pi costruite da Pavese ci testimonia to da una scoperta d renzo Mondo, lo schema della poesia anteriore ad ogni stesu ra poetica: alfa) Salire in silenzio a vedere il faro (Siamo quasi in cima) beta) col cugino cos e cos~ (ghiacciaia, automobili, soldi) ( mi imbar~ domani ) gamma) (Mai parlare) E' stato l e l. Ha veduto inseguire b31ene / tra scl di sangue delta) Mari del Sud. Bellezza eps~lon) Langhe di notte (spirito) ZCfa) Domanda ( Tuo padre amava legg ere. Far soldi in famiglia. Pur non dcrli in medicine) eta) il faro della citt e del mondo sognati da bambini tcta) ~ morto. Li ha spesi in medicine. La vita dura. E smanLa. C' la presenza di un distico gi pavesiano: a Ha veduto inseguire ~ qlene / tra sch iume di sangue , passato integralmente nella stesura definitiva, salvo la sostit uzione di inseguire con fuggire, che testimonia l'improbabilit della pretesa casu alit del verso e quindi c'informa della volont pavesiana di costruirsi un'immagine nuova di poeta antitradizionale ed insofferente del clima letterario a lui cont emporaneo. Quanto di ingenuo ci fosse in questa fiducia pavesiana di un rinnovamento metric o-contenutistico ed in relazione poetico, della nostra tradizione letteraria app are chiaro dalle numerose suggestioni crepuscolari e dannunziane che possibile r intracciare all'interno de I mari del Sud, ed ancor prima, dall'adozione dell'el emento narrativo come possibilit di evasione dalla suggestione lirico-ermetica. La storia esterna di Lavorare stanca stata piuttosto laboriosa: per interessamen to di Massimo Mila e degli amici de La cultura , Pavese affida il manoscritto, d a cui sono state espunte sei poesie che non appariranno nella edizione einaudian a del 1943, bench aumentata e divisa in sezioni, al critico musicale che le porta a Firenze da Carocci, direttore di Solaria. Carocci chiede un parere a Vittorini che lo d favorevole, ma la pubblicazione del le poesie si protrarr per tutto il 1935, per gli indugi e le di~icolt tecniche in cui si muovevano le edizioni solariane. Solo nel 1936, quando Pavese sconta il confino a Brancaleone Calabro, il libro a rricchito di cinque poesie scritte al confino e senza alcune altre colpite dalla censura per il carattere scabroso dell'argomento--in totale quarantacinque--esc e tra l'assoluta indifferenza del pubblico e della critica. Il primo Lavorare slanca si apre con I mari del Sud dedicato ad Augusto Monti, la cui data di composizione non 1931, bens 1930, come le pazienti ricerche di Cal vino hanno dimostrato. L'influsso di Whitman, l'autore oggetto della s~la tesi di laurea, evidentissimo nella scelta degli argomenti e nell'andamento prosastico del verso, anche se Pa vese chiaramente rifiuta il verso libero whitmaniano, per il mugolio che diverr 1 ~ lassa pavesiana di tredici sillabe. L'autore di Leaves of Grass presente B n~n so!o nelle suc,gestioni legate ad un
ideale di letteratura-antiletter3lia, ma snche nella scelta dei temi, arricchiti dane contemporanee traduzioni e letture di Anderson, Lewis e Melville. Anche per Whitman la parola che per Pavese doveva essere chiara e distinta, musc olosa, oggettiva, essenziale , aveva la capacit di prendere il posto delle cose: Uno scrittore perfetto potrebbe trattare le parole s da farle cantare, ballare, b aciare... ~. La poesia un crogiuolo di situazioni tipicamente pavesiane: il rayporto adolesc enza-maturit, l'evasione, l'attaccamento alla propria terra, la figura dello scap pato di casa. Il cugino emigrato, dopo aver fatto fortuna in America, ritorna alle Langhe perc h le Langhe non si perdo~o . A lui che conosce il mondo rivolta l'ammirazione stupita del ragazzo che sogna m ondi nuovi e fantastica sull'evasione come felicita. Il cugino cos commenta la sua avventura: " Tu che abiti a Torino ... " / mi ha de tto ... ma hai ragione. La vita va vissuta / lontano dal paese: si profitta e si gode / e poi, quando si torna, come me a quarant'anni, / si trova tutto nuovo. Le Langhe non si perdono " . C' qui il tema del ritorno alle origini, quel ritorno che in una disposizione nuo va chiude il ciclo pavesiano ne I a lur~a e i fal; ma, mentre nel romanzo--nella solitudine disperata del personaggio e dell'autore--il paese rifiuta chi ritorna , qui il cugino nelle Langhe ritrover il senso della vita, accettando il mondo de i suoi ricordi e della sua giovinezza. Ritrovare i motivi pi ricchi di sviluppo de I mari del Sud significa ripercorrere gran parte della poetica pavesiana: si pensi solo al tema dell'evasione nei mar i del Sud. Qui c' la suggestione di ~\~lelville, del Melville meno complesso, non ancora car icato da Pavese dei significati di destino e mito, l'evocatore dei grandi spazi marini, della libert intesa come fuga dal]a civilt. L'innovazione metrica de I mari del Sud implica ovviamente un procedimento stili stico che sia lontano quanto pi possibile dalle sugo~estioni liriche o musicali. Il verso ed il pericdo abbondano di costruzioni paratattiche che aiutano il form arsi di una disposizione lineare tale da sodlisfare l'esigenza di un verso lungo , prosastico e narrativo; lo stesso alternarsi dell'asindeto e del polisindeto c rea una zona di parlato che non verra dimenticata in tutto il libro, mentre l'us o del presente e della terza persona costruisce un ambiente di fondo, quasi scen ico, che rivela la fondamentale attitudine del poeta a porsi alla finestra per o sservare il mondo e le cose ritagliate da un angolo in cui possibile la contempl azione. Il motivo della finestra tra i pi comuni della poetica pavesiana: in fondo l'esse nziale atteggiamento dello scrittore di fronte alla vita nel quale dimostra la s ua impossii ita a coglierla direttamente. I mari del Sud dunque la scoperta dell'immediatezza, ma anclle l'esaurimento pre coce di essa. Onestamente Pavese riconosce l'insumcienza della tecnica della poesia-racconto n el momento stesso in cui sente di cedele all'oggetto e ad una cadenza naturalist ica; perci l'immagine abolita come tentazione lirico-soggettiva si accampa di nuo vo all'interno stesso della p~esia come racconto d'immagini: Avevo dunque scoperto il valore dell'immagine, e quest'imma~ine (ecco il pre~rni o della testardag~ine con cui avevo insistito sull'o"gettivit 3el racconto) non l a intendevo plU retoricamente come traslato, come decorazione pi o meno arbitrari a sovrapposta all'oggetti~it narrativa. (~?u~st imn1agine era, oscur~mente raccon to stesso. (Il mestiele di po~a, in Poesie edite e inedite, p. 199). La svolta di poetica appare in una poesia del 1933 ~a(~g?io I dove il lapporto p rimitivo d'immagini, il nucleo fondamentaie su cui corcresce tutta la trama di r apporti, dato dall'avvicinamento della fioura di un eremita al colore delle felc i bruciate. La meditazione di Pavese sulla metafora come struttura della poesia shakespearia na ed elisabettiana lo porta al convinci nento che non l'immagine deve essere il
centro della poesia, ma la trama d'immagini che diventano il racconto stesso de lla poesia: l'immagine come ritmo poetico. L'i-nmagine, tuttavia, in questa prima intuizione pavesiana, rimane allo stadio dell'analogia senza aver ]a forza di trasformarsi in metafora ed il racconto d i mmagini resta un semplice rapporto di similitudini senza la cap:lcit di ristruttu rarsi in un discorso logrico-fantastico. In altri termini, manca a Pavese la forza di ricostruire l'unit della poesia in u n centro sorrett~ cla a 10 ll~etafora, per cui le imrlal,ini rinangollo una serie riavvicinata di anaiogie. La rivendicazione della poesia come problema essenzialmente tecnico fa delle med itazioni critiche pavesiane su di essa un momento assai importante non solo al]' interno dclla sua opera, ma in relazione ad un clima culturale inlbevuto dell'es tetica crociana e del concetto di poesia come momento di conoscenza teoretica. Era chiaro che il gusto pavesiano per la tecnica , per il mestiere di poeta , ra ppresentava una precisa dichiarazione di anticrocianesimo- significava rivendica re alla tecnica il dominio della poesia, escludendo ogtu possibile suggestione d i poesia intesa come atto magico, come processo ineffabile. Il pericolo, semmai, che la priorit concessa al processo tecnico comportava, era quello di costruire delle poesie eminentemente intellettualistiche. Armanda Guiducci nel suo libro pavesiano rimprovera ad esempio a Pavese l'incapa cit di far del sayi1~g--il tono proverbiale con cui si chiude la poesia elisabett iana--ripreso da]lo scrittore, il nodo ]ogico-fantastico della pocsia, bcns il mo do con cui pu ricapitolare o gettar luce su tutto , che poi la spia del suo volon ta rismo poetico. Alla adorata immediatezza >~ si sostituisce dunque l'idea dell'arte come artific io, della cost~uzione tecnica che, bench legata allo sfruttamento dell'immagine a nalogica, vuole evitare il pericolo dell'al-bandono lirico, voluttuoso >~. Costringendosi alla volontaristica tecnica dell'immagine, lo scrittore fa propri o di questa tecnica, di questo mestiere, il concetto che lo salva --o lo potrebb e salvare--dal desiderio irrazionalis~ico di lasciarsi andare al voluttuoso inte so, vedremo, come selvaggio , come capacit di perdersi entro le spire clella prop ria angoscia individuale; ma il mestiere, la ragione, la poesia conne clliarezza entro cui Pavese versa tutta la sua altissima moralit ed umanit nulla pOSSOI10 co ntro lo scatenarsi di quel mondo oscuro, serbatoio di miti cbe egli voleva porta re a chiarezza e che paradossalmente uccidono e rendono inutile il mestiere per mezzo del quale erano stati esorcizzati. Se Paesaggio I poteva non sempre risolversi in una trama d~immagini~ che poi il risultato a cui Pavese voleva arrivare, per un eccesso di pittor~cit~z che inter rompe~-a il rscau di queste immagini in funzione narrativa, ~ con Gente spaesata che i rapporti collina-sesso, fiori-ragazze sono il racconto stesso: alla teclli ca della poesia-racconto si sostituisce quella dell'i magine-racconto. Dopo aver visto i binari entro cui si muove l'esperienza poetica di Lavorare sta nca, sar utile ripercorrere i temi della raccolta per darci ragione delle scelte di quei motivi che rappresenteranno ormai delle situazioni all'interno stesso de lla poetica pavesiana. L'edizione definitiva di Lavorare stanca quella pubblicata da Einaudi nel 1943; anch'essa sub una serie di vicissitudini dovute alla guerra, alla mancanza di car ta da stampa, all'attivit ancora saltuaria della casa editrice di cui Pavese era diventato l'anima organizzativa. Le poesie furono tutte scritte entro il 1940--sono settanta--divise in sei sezio ni: Antendti, Dopo, Cittd in campagna, Maternit, Legna verde, Paternit, accompagna te da un'eppendice A proposito di certe pc)esie non anco~a scritte. Nello scritto teorico Pavcse riprendendo il discorso de Il mestiere di poeta, ma con una maturit critica diversa, appuntava la sua attenzione sulla disposizione a gruppi che in un certo senso veniva acl af~ermare la volont di fare un poema, co strutturare le poesie in funzic,ne antitetica al primitivo piano di lavoro del p eriodo 1930-34. Per giustificare il passaggio, Pavese scrive che l'unit di un gruppo di poesie (i l poema) noll un astratto concetto da presupporsi alla stesura, ma una circolazi one organica di appigli e di significati che si viene via via concretamente dete
rminando e proprio nelle meditazioni diaristiche-il Secretum prof~ssionale scrit to in esilio che apre il Dia~io e le notazioni successive che laboriosamente acc onlpac7nano la stesura delle poesie ed il loro cliradarsi-- sta la chiave dello sviluppo di poc-tica di Pavese che, concludendo una ricerca cominciata come acle sione totale alla realt, approda all'evocazione lirico-musicale da cui voleva rif uggire: allora, il romanzo ed il racconto possono salvare il rapporto tra l'io s egreto dello scrittore e gli altri, mentre la poesia si conclude con l'abbandono a quel voluttuoso che il SUO voler essere ~li n~ostrava come l'~strinsecarsi de lla 12 sua debolezza esistenziale. In questa nuova disposizione ad una poesia che sia anche canzoniere ~, viene sup erato il motivo dell'immagine-racconto: non questa legat~ sempre ad una realt ogg ettiva, ma la narrazione di una realt simbolica deve essere alla base del singolo componimento e della sua ripartizione in gruppi simbolici. I1 processo di stilizzazione si awicina ormai al limite estremo di una poesia ch e per evitare il naturalismo si compiace di un prezioso intellettualismo in cui riversare la fondamentale disposizione lirica di Pavese. La poesia sar un giudizio a~ldato all~immagine: la donna quindi l'immagine attorn o alla quale si r~pportano le altre immagini, colline, albe, silenzi, chiarore e lucore; mai la situazione decisa, ma la nuance, non lo strepito, ma i silenzi: La collina notturna, nel cielo chiaro. / Vi si inquadra il tuo capo, che muove a ppena / e accompagna quel cielo. Sei come una nube / intravista fra i rami ... (Notturno, 1940). Per giungere a questo processo di astrazione, Pavese percorre una strada fatta d i successive tappe d'avvicinamento alla poesia come efEusione lirica. Concorrono alla risoluzione pavesiana non solo i motivi privati ed umani della s ua vita--il confino, l'abl7andono della clonna dalla voce rauca, il periodo di d isperazione senza conforto e le decisioni degli amici di partecipare sempre pi at tivamente al movimento resistenziale--, ma anche e soprattutto l'abbandono della poesia intesa come atto volontaristico per una idea nuova di essa, una poesia c io che abbia in s, nello sviluppo delle immagini, una carica simbolica tale da evo care una realta non pi naturalistica, ma mitica, ritmata da un tempo interiore. Il decennio di studi americani non passato infruttuosamente: Pavese accanto alla costruzione di un mito--l'America come luogo ide~le di libert, la terra in cui s i armonizza il concetto di regione e nazione, con l'armonico fondersi cli dialet to e lingua--apprende a ritmare, a cadenzare l'evcnto poetico secondo una misura che quella del destino individuale. Ecco la grande lezione degli americani: la riscoperta in essi del proprio mondo poetico ed umano. Dominique Fernandez ha tentato, assai finemente, di ragguppare i temi di Lavorare stanca, specie del primo, secondo uno schema che ci dia anche un'immagine di Pa vese filtrata nelle opere, un'immagine cio che metta 13 in luce le ragioni non so lo poetiche, ma anche psicanalitiche delle sue a dalle indicazioni stesSe di Pavesse ul a telmatica della raccolta assai di 14~ tapporto umano tra s e i propri lettori. Qual' dunque il risultato di un libro come Lauorare stanca? Pi che di risultati poetici raggiunti, Lavo~are il documento cli una crisi cultur ale e di una proposta che non solo intetessante per IO svi]uppo futuro di Pavese scrittore, ma anche si presenta come tentativo, origTinale e nuovo nel panorama della cultura italiana, di risolvere una SituaZJOne in CUi l'ermetismo stava sc lerotizzandosi in una stanca ripetizione di motivi. Non poi determinante che la proposta pavesiana si muova entro l'ambito del decad entismo, lo assai di pi che essa serva ad un rinnovamento cl~e non tarder a dare i suoi frutti anche al di l dell'esperienza p..vFsiatla stessa. Per questo mi sembra sintomatico che l'operazione poetica di Pavese non avesse n essuna risonanza nel momento della prima pubblicazione di Lal~orare ed invece as
sumesse tanta importanza nel ~3, in un mcn1ento in CUi il rinnovamento della poe .sia, l'ansia di nuovi contenuti e di un nuovo impegno portavano a maturazione l e intuizioni poetiche e critiche di cui Pavese era stato precursore, inoltre giu ngevano a maturazione i frutti della lezione americana, tanto vero clle non poss ibile separare l'esercizio po~ tico da quello di Pavese americanista e basterebb e pensare a certe situazioni che Pavese recupera non nella piatta imitazione di temi accolti dalla letteratura americana, bens nel ritrovare in una dimensione ar nericana i propri temi, le proprie situazioni. In Lavorare stanca a]clme figure e momenti sono gi pienamente pavesiani, hanno ci o quella particolare cadenza che poi la novit della scrttura di Pavese. Sono certe igure che passeranno di peso nei racconti e nei romanzi: il ragazzo in sofferenle e ribelle di Avventure, Civilt antica, Ulisse, Disciplina e di molti a ltri componimenti della raccolta, il Pale de Il nome, il Biscione di Notte di fe sta, l'Anguilla de La luna e i fal; cos certe situazioni, tra autohiograficlle e s imboliche ritornano in una nuova cisposizione com' quella del romanzo, sollecitat e e riprese all'interno di una poetica che si configura come una spirale che dil ata ed accoglie motivi g;a srerimentati nella poesia. Un esempio assai indicativo di questa operazione pu essere ~latt~noJ 1 una poesia scritta nel 1940 per Fernanda Pivano che accoglie e dispone in una situazione p oetica temi gi sviluppati nel Carcere che, a sua volta la risultante di una situa zione ben precisa quale l'universa1i~zazione (~ei motivo della solitudine come c arcere e destino del]e vicende biografiche dell'autore nel momento del confino e dell'abbandono della donna dalla voce rauca: La finestra socchiusa contiene un volto / sopra il campo del mare. I capelli vaghi / accompagnano il tenero ritmo del mare. // Non ci sono ricordi su questo viso. / Solo un'ombra fuggevole, come di nube. / L ombra umida e dolce come la sabbia / di una cavit intatta sotto il crepuscolo. / Non ci sono ricordi . Solo un sussurro / che la voce del mare fatta ricordo. // Nel crepuscolo l'acqua molle dell'alba / che s'imbeve di luce, rischiara il viso. / Ogni giorno un mir acolo senza tempo, / sotto il sole: una luce salsa l'impregna / e un sapore di f rutto marino vivo. // ~ron esiste ricordo su questo viso. / Non esiste parola ch e lo contenga / o accomuni alle cose passate. Ieri, / dalla breve finestra svanito come / svanir tra un istante, senza tristezz a / n parole u-nane, sul campo del mare (Mattino, in Poesie cit., p. 160). La poesia ormai su quella disposizione lirica che preannuncer l'ulteAore vicenda di La terra e la morte del 1945 e di Verr la morte e avr i tuo~ occhi del 1950, ma all'interno di cssa c' gi compreso tutto il cammino da I mari del Sud fino a ques to risultato. Si pensi alla struttura poetica come racconto d'irnmagini, si pensi soprattutto alla tecnica della ripresa-finestra, mare, ricordo, viso--la cui suggestiGne nas ce da una lunga Meditazione di Pavese prima sulla poesia di Omero, che per otten ere l'unit del poema ricorre a a certe formule liriche che ricreino il vocabolari o, trasformando un appellativo o frase in semplice parola , poi, sul signifcato d ella poesia del Novecento essenzialmente lirica, non tragica ma <~ voluttuosa . L'aspetto pi interessante per la capacit di fruire di una situazione che da umana diventando meditazione critica, passa poi nel racconto ed infine trova la sua de finitiva--ma non ultima--stesura in poesia. Il ~6 tema della finestra, del mare, dell'acqua e dei ricordi sempre aCC0~ 3gnat o nel roman7o d311`..gget~ivo pallido, chiaro, dolce che ricompaiono esattamente nclla poesia, e ancor E)i sintomaticamente, guardare alla finestra guardare dal carcere, farsi spettatori della vita, ascoltare il proprio destino: ~< Starscne solo comc dalla finestra del carcere . Abbiamo visto corne il decennio 1930-40 sia dunque scandito dal sorgere dell'esi genza poetica e dal suo esaurirsi coscientemente accettato da Pavese in nome di un im~egno che lo faceva rifuggire dal sempre insorgente atte~,giamento lirico-i nclividualistico; tuttavia, all'interno stesso della raccolta, possibile rintrac ciare una diversit d'accenti che il confino, la crisi sentimenta!e ed i successiv i orientamenti di poetica accentuano, anche se la composizione a poema di l~avor are stanca tenta di distruggere questo divario in nome dell'unit~i sottesa a tut
to il libro. Nel primo volume i temi sono pi facilmente indivi~:luabili: la ripartizione di Fc rnandez elude per quelli che sor~o i motivi o meglio i soggetti della poe~ia. A1 tema dell'adolescenza si lega strettamente quel]o del rapporto citt-campagna e d entrambi al motivo ispiratore del libro: la solitudine (Una generazione). L'adolescente fuglqe dalla campagna in citt per trovarsi pi solo e spaesato, la me desima citt che attrae e respinge Pavese scrittore ed uomo; ma anche la campagna dell'adolescenza sfumata da un contrasto di attrazione-repulsione. La campagna la m~ter primitiva accarezzata nella elegia e nel ricordo (Gente spa esa~a, 1933) ed luogo di riti ancestrali (ll dlo-caprone), ma anche la natura ch e imbestia e obbliga al lavoro che du;o destino (Lavorare stanca). Co11ine, terra bruciata, vigna e fatica sono il paesaggio dove esp]odono i dramm i del furore--si pensi a Paesaggio Il, con ~uel contadino che ricorda il Vinverr a di ~aesi tuoi--oppure colline, fiori, frutti e ragazze raffigurano la campagna come rifugio dal destino di solitudine (tutta la sezione Ci~t in campagna). Torino non solo l'antitesi della campagna, ma il luogo della presa di coscicnza di una realt che distrugge i miti dell'adolescenza e dove i problemi che si ag it ano non rimangono a live11O individ~.a1e, ma si complicano e si venano cli tutta u~a carica cli responsabilit che inve~te l'intera societGi Lavorare stanca, in qu~ esta accezione, una anticipazione de Il compag/lo, del tributo pagato dallo scri ttore ad un impegno sociale che egli si costr~lisce come reazione e salvezza al suo mondo fatto d'isolamento e cli paure. Non detto per che l'accettazione di una realt sociale in cui Pavese nota l'ingiust izia o l'af~ermarsi della dignit umana risulti un elemento esterno alla sostanza umana dello scrittore: egli lo accetta non solQ per una salvezza interiore, ma p er un senso altissimo dei valori etici e civili. Troppo spesso si ripetuto che il comportamento umano di Pavese stato stranamente discorde: patisce il confino per un'attivit politica non sua; nel mornento che i compagni pagano la loro adesione alla resistenza--e sono Pintor, Mila, Ginzburg , Pajetta e Bcbbio--egli si ritira in campagna presso la sorella; aderisce al pa rtito comunista dopo una crisi mistica ed infine, dissacra dall'interno l'ideolo gia marxista introducendo nella cultura ital~ana i grandi temi del mito, ma sopr attutto del destino come evento immutabile che impedisce la realizzazione dell'u omo secondo una dialettica storica. Eppure il primo scrittore che ra~presenti e viva fino in fondo tutto il dramma d i un'intera generazione; il primo--e qui sta il valore di altissima esperienza m orale della sua arte--che non si rifiuti alle contraddi~ioni che una situa7ione storica, un'ideologia e la propria coscienza individuale creavano. Ha tentato di risolverle nell'unico modo di cui fosse capace, riproducendole nel fatto artistico. Di pi, alla fine, rinunciando all'ultimo schermo che lo potesse proteggere dalle sue angoscie interiori, la metafora letteraria, ci lla dato forse il libro pi aut entico sulla resistenza vista ed intesa non solo nel suo aspetto di epopea civil e, ma anche nei drammi di coscienza, nei turbamenti che essa poteva e doveva sol levare. Questo il contributo pavesiano al moto resistenziale e La casa itl collina ne il documento artistico ed umano. L'interesse alla realt poLitica che lo circonda , in LalJorare sta~ca, condensato in un gruppo di poesie della sezione Legna verde. ~ interessante notare che l'im pegno politico si cornplica e si associa alla memoria dell'adc~ 1~ lesc~ , eosic ch dramma politic~ e 1~ d~l ~nond~ ~leli'infanzia rappr~ sentano la maturit nel duplice aspetto di presa di coscienza civile e di trapasso all'et dclle responsabi]it. Fumatori di carta la cui genesi estremamente complessa e torment2ta svolge il te ma della solitudine in citt con la ferocc e desolata tristc?za del lavoro abbrute nte delle fabbriche. Compare per la prima volta il sucnatore di clarino che in La l~na e i fal sar il N uto della salda coscienza morale, colui che sa e si costruisce il proprio destin o; compare il tema de]l'ingiustizia e dell'oEesa morale e, assai indicativo, quel
lo dei compaoni che aiutano nel momento del kisogno. Pi legate al tema civi]e, Legna ver~e e Una generazionc rappresentano il momento di massima tensione po]itica di Pavese: la prima riporta al solito tema della so litudine evocata ne]l'immaoine dell'uomo solitario a cui si contrappone quella d ei compagni che in citt sofErono la prigione, che non solo quella materia]e, ma a nche quella ben pi dura del destino; la seconda, il cui titolo forse si riferisce alla g~iovent bruciata dall'esperienza politica contro la dittatura, risolve in un nodo assai stretto il rapporto politica-a~olescenza per cui i moti opera del 1 922 vengono rivisti n~ nli rnoria come vio c za, orrore che insegna al rag37.7.0 ]a realt delle cose. Di tutti i temi dcl l);imo Lavorar2 stanca recta da parlare di quello etnologico -mitico Pavese non ha ancora ai~[rortato il tema del mito come ontologia e rispos ta a livello europeo (li tutti i fermenti culturali da lui assimilati nel corso di una meditazione che lo porter fatalmente alla convinzione di un destino come r ealt immutabile ed ineluttabile da cui non si sfugge. In Lavorare stanca c' un gusto assai preciso per certe situazioni non ancora miti che ma che deJ mito ripetono e riprendono a!cuni atteggiamenti: il senso sacri~l cale della terra, lo scatenamento primitivo delle passioni nella raffigurazione del sabba, il sangne, la morte, il sesso, la campagna intes come ma~er primitiva, i riti propri della tradi2ione rustica. Ma non ancora il selvaggio inteso corne sintesi di rusticit e di mito, non c' anco ra la medita2ione sui grandi significati simbolici del mito sulle orme di Freud, Jung, Mann, Cassirer e Kernyi, senlmLIi un'eco delle letture del Fra~er del Ra~o d'oro e dei temi mitici della campagna e dei suoi riti. Lo specchio di questo atteggiamento ed in~eresse una poesia del 1933, Il diocapr one dove narrata la consumazione di un rito orgiastico: ~ la classica raffiguraz ione sabbatica del caprone inteso come simbolo della potenza sessuale in CUI ado mbrata la potenza della natura e del sacrificio ad essa, pera la linea del dio-ca prone, complicandosi, passa attraverso l'episodio della morte di Gisella in Paes i tuoi fino ai temi di fondo de La luna e i fal Pavese medita a lungo sull'importanza di questo tema che gli appare sotto una lu ce nuova specie quando le sue letture lo portano a riconsiderare il valore della mentalit primitiva--ed assai sintomatico che la riflessione gli venga dal libro di Lvy-Bruhl, sulla mitologia primitiva, cio che egli riprenda il discorso da un e tnologo irrazionalista che confonde la saenza etnologica con le suggestioni psic analitiche--fino a definire nel 1938 il suo interesse per il motivo del caprone come nesso tra l'uomo e il naturale-ferino con il gusto conseguente per la preis toria (non per nulla una delle operazioni culturali pi importanti di Pavese lo st udio di Vico non nella direzione crociana, ma in quella freudiana di un Vico cre atc~re d~ miti terrestri e legati alla campagna), l'epoca in cui c' il rapporto p i dire~to tra l'uomo e la natura-belva, con lo scambio reciproco delle qualit che li determinano. Questo rapporto ora si configura come simbolo, la capacit cio di considerare <~ l~ immagine come un vero esistente anche al di qua della pagina scritta )>. Con la scoperta della rea]t simbolica del mito, Pavese si awia a costruire il gra nde labirinto dell'indagine mitica dove alla fine anch'egli si perder, ma il mito era un modo per raggiungere la ripeness, la maturit e fatalmente Pavese interpre tando il mito come ontologia religiosa finir per perdercisi deDtro. Non a caso stato detto che l'aspetto ctonio del mito pavesiano sempre legato ad un aspetto dialettale che dato dalla sua insistenza sul carattere campagnolo deg li avvenimenti mitici -- le Lan~ e, la campagna piemontese--e non a caso anche n el]'aspetto <~ mitico di Lavorare stanca ritorna la campagna come serbatoio di s ituazioni mitiche re,,ionali; anche 20 le audacle stilistiche del Dio-caprone, i n fondo, riportano la situazione ad un~ realt picmontese fatta di sensualit--la ca pra ed il modvo bestiase~so--, di nerezza come valore morale che Pavese ritrovav a nell'Anderson di R~so nero. Due anni pi tardi la stessa esigenza che informava Il dio-capl one ritorna in L~n a d'Agos~o dallo scrittore stesso definita una creazione di un mistero naturale
intorno ad una angoscia umana , ma la forte tensione data dall'accumularsi di pa rticolari foschi--il parto notturno della donna partecipe dell'orrore lunare--si risolve in una serie scoperta di simboli esteriori che non si organizzano nella ricostruzione del mistero inteso come avvenimento mitico. Il motivo mitico riporta di per s al tema pi segreto della raccolta, a quel sentim ento d lla solitudine che Pavese sente come radice della propria arte e della pr opria infelicit. E la solitudine che lo rende superiore agli altri e nello stesso tempo grava com e sofferenza indicibile. In termini letterari la doppia natura della sua solitudine si rispecchia nell'an tinomia oggettivo-soggettivo su cui tanto si affanna nella composi~ione di Lavor are stanca. La volontaristica costruzione di un se stesso moralmente impegnato sfocia nell'e sigenza di bandire il voluttuoso sia nell'arte che nella vita, sic~nifica costru irsi una vita non soggettivisticamente vissuta, ma partecipe dc-lla realt de~li a ltri che, nello stesso tempo, bandisca dalla poesia l'atteggiamento lirico; tutt avia la costruzione di questo intransigente moralista si compir nell'abbandono li rico delle poesie del 1940. Eppure questa antinomia, che sar all'origine della sua tragedia umana, sar anche l 'ispiratrice dei temi pi alti dell'opera pavesiana: da qui tutti i passaggi e le svolte di poetica in Lavorare, da qui la teorizzazione del mito dal quale nc.n m ai assente, anche nel momento pi difficile e prezioso dell'arte pavesiana, l'esig enza di una partecipazione agli altri delle proprie scoperte, da qui infine lo s plendido equilibrio di lirismo e dolente umanit degli ultimi romanzi. La solitudine quindi diventa tema centrale di tutta la raccolta ed alla solitudi ne si lega il motivo dell'amore e della delusione d'amore che , in questo momento , causa prima dell'aprirsi del poeta verso gli altri del rnchiudersi, dopo la del usione, in una ~atale solitudine. L'incontro con la donna dalla voce rauca ricreato in un'atmosfera simbolica dove essa immaginata come collina e dove il ricordo si salda col presente (I~contro) , ma ecco trepidante riapparire il motivo della solitudine, della incomunicabili t anche nell'amore: L'ho creata dal fondo di tutte le cose / che mi sono plU care , e non riesco a comprenderla ~. Cos in Ma~ia di solif~dine, il tema dominante si placa nell'orgogliosa affermazio ne della solitudine che basta a se stessa: ... Qui al buio, da solo, / il mio corpo tranquillo e si sente padrone ~>; ma questa affermazione non basta per colmare il vuoto, ed ecco il canto dolente di Lavora r~ stat~ca Il: ci vuole la donna per porre fine a questa situazione perch: Val la pena esser solo, per essere sempre pi solo? / Solamente girarle, le piazze e le strade / sono vuote. Bisogna fermare una donna / e parlarle e deciderla a vivere insieme. / Altriment i, uno parla da solo... ~. Nel 1935 crollano le speranze pi liete di Pavese: l'arresto dovuto alle lettere c ompromettenti che la donna dalla voce rauca gli ahda, l'attivit come direttore de La cultura dopo l'incarcerazione di Ginzburg, che lo aveva reso sospetto alle au torit fasciste, gli procurano la condanna a tre anni di confino da scontare a Bra ncaleone Glabro. Dopo la domanda di grazia, Pavese riacquista la libert il 18 mar~o del 1936, ma i l ritorno a Torino non lieto poich la donna dalla voce rauca si fidanzata con un altro, abbandonandolo. L'intreccio dei motivi esistenziali ed il loro passaggio nella meditazione artis tica s'intrecciano indissolubilmente; nascono cos le pagine del Diario, che defin iscono in un lento scavo la maturit poetica raggiunta ed il superamento della cri si vede un diradarsi dell'attivit poetica e l'intensiflcarsi invece delle prime p rove narrative. La spia della nuova disposizione pavesiana ad una poesia diversa ~ sta nell'inso flerenza verso le opere del passato alla tecnica delle cluali non vorrebl-e rito rnare per paura della ripetizione e dell'abitudine. Ora egli definisce la poesia sguardo alla finestra , contemplazione inquieta ris petto alla contemplazione trasognata del primo Lav-7rare sta1~ca.
Ah 22 L~ian1o gi acce~mato all'esigenza espressa nelll seconda appendice al libro di un'unit che non si esaurisca nel breve giro della poesia, ma si costnlisca pi amb iziosamente come poema. Il pericolo stava nella ricaduta in un frammentismo lirico che Pavese indicava c ome tipico del Novecento e a cni si accompagnava l'idea di una visione voluttuos a della realt--eminentemente soggettiva cio--da correggersi in una volontaristica ed etica interpretazione tragica di essa. E notevole dunque che gi da ora Pavese pensasse allo stile come modo d'essere e c ome interpretazione morale della realt. Lo stile conoscenza, l'atteggiamento dell'autore di fronte alla vita per capirla , come diceva Anderson per la poesia, la capacit di porre ordine l dove sussiste i l caos. L'importanza fondamentale delle successive fasi di avvicinamento di Pavese allo stile suo proprio sta in questo indissolubile legame tra meditazione tecnica e m orale, nello scambievole alternarsi di un processo poetico --e stilistico--con q uello umano e morale. L'immagine-racconto diventa un giuoco d'immagini in cui esse si scambiano e s'il luminano entro un nucleo primitivo d'importanza etica e ritmica >~. In altre parole il ritmo stilistico esso stesso moralita anzi l'unica possibilit morale dell'autore. ~: questo ritmo clle diverr in seguito il pulsare degli event i scanditi nello stile, la misurabilit del destino. Solo il peccato d'origine rimane: Pavese non sapr razionalizzare il destino, ma c ogliendolo nella sua fissit e colorandolo di sensi religiosi ne rimarr ineluttabil mente imprigionato. Le s~esse considerazioni sul poema omerico~ dicemmo avanti, determinano una rifl essione accurata sulle possibilit poetiche della parola e dell~appellativo ritorn ante, riflessione clle si attua anche in certe poesie di carattere spe~imentale come ne La vecchia ubriaca in cui la parola ritornante sole ~ scandisce e defini sce il componimento: Piace pure alla vecchia distendersi al sole / (...) / Delle cose che bruciano non rimane che il sole / (...) / che anche il corpo era giova ne, pilJ rovente dc] sole / (...) / Pcr le vigne distese la vocc del so]e / (... ) / i,'erba ~iovane come la vunpa cIcl sc)]e / (...) (La vecchia ~Ibriaca, in Po esic cit., p. 1-17). La consideraziolle sullo stile, sul costruire in arte va di pari passc~ con 23 l a lenta costruzione di se stesso dopo O scacco umano ed amoroso ed in questa volo nt di un riscatto morale delle proprie debolezze sta il segno della validit~i del l'esperienza pavesiana ed in questa disposizione va letta una nota del Diario, p receduta s da lamenti e strazi indicibili, ma tanto pi valida quanto pi l'umanit del lo scrittore risente in un momento di crisi della necessit di ricostruire in arte come nella vita: Non ho ancora compreso qllale sia il tragico dell'esistenza, non ne sono ancora convinto. Eppure tanto chiaro: bisogna vincere l'abbandono voluttuoso, smettere di conside rare gli stati d'animo quali scopo a se stessi ... La lezione questa: costruire in arte e costruire nella vita, l)andire il voluttu oso dall'arte come dalla vita, essere tragicamente. (Diario cit., p. 43, 20 apri le 1936). Il binomio tragico-voluttuoso esemplifica l'intenzione di un vivere eticamente c onscio delle proprie responsabilit che si opponga, in arte come nella vita, all'i mpressionismo delle sensazioni, alla morbida cura di esse adoperate in s e per s. Il problema personale si allarga a metodo di vita --il famoso mestiere --in cui arte ed esistenza debbono avere un'ugual radice eroica e chiarificatrice: fare d elle poesie un poema unitario, creare uno stile che sia il mezzo di afferrare la realt, bandire dalla propria vita l'abbandono al voluttuoso sono momenti diversi di una stessa idea, quella cio di far della propria vita una presenza attiva nel momento storico in cui si vive, non subire gli eventi ma dominarli, non essere ragazzo ma adu]to: ripeness is all, insomma.
Di questo indissoluhile intreccio di ragioni morali e stilistiche il nodo rappre sentato dalle poesie dell'esilio in cui la costruzione da mezzo puramente ~ecnic o diventa regola di vita e viceversa il caso umano diventa regola di stile: Il c aso sembra volermi insegnare a trasformare la mia disgrazia in un deciso rivolgi mento di poesia , ma non solo la poesia--in un momer)to in cui essa diventa afte rglcw--bens anche il nuovo interesse per i racconti ed il romanzo. In Ser~iplicit, l'accentuazione dei terni della solitudine e del destino2- carcer e servono a porre in risalto il motivo biogral~co, ma non si deve dimenticare co ~e poi questo mGtivo diventi il nuceo cli racconti come Terra d'esilio o di roman zi come Il carcere, fino all'estren~o complicarsi del tema nella poetica clel mi to in cui carcere, destino, solitudine sono i momenti sia1bolici di un cvento im mutabile e mitico. Qui nc!la poesia l'immagine non pi nucleo poetico, ma ri ~roviamo in essa il tent ativo pavesiano di un ritmo pi rapido, l'ansia di non soggiacere all'abitudine pe r cui ritorna un ritmo dialettale in cui la ripetizione serve da scansione inter iore di un pensiero reso secondo l'asintatticit tipica di certe zone di parlato: <~ ... Uno crede, / fin che dentro uno crede ... . E un procedimento a base di anacoluti che ritroveremo anche nella prosa; tuttavi a il pericolo quello di intellettualizzare un discorso confondendo personaggio e d autore--e si pensi all'operazione stilistica, in fondo sbagliata, che Pavese p orta avanti con Berto di Paesi tuoi o con Pablo de 11 compagno--. Cos si giustificano le costruzioni a brevi membretti che creano un ritmo scattant e in un allinearsi di proposizioni principali copulative: ... D un fischio alla cagna. / E compare la lepre e non hanno pi freddo . Con Lo steddazzu viene a chiudersi un ciclo stilistico e tematico: la ricerca de lla possiblit de]l'immagine e la preponderanza del motivo della solitudine. L'interesse ora per i temi mitici ed importantissima, sotto questo profilo appar e una poesia come Mito del 1935; in essa la felice stagione della giovinezza si risolve nella maturit e con la maturit la visione dcl mondo perde la sua iatcrezza : del giovane dio rimane un uomo senza pena col morto sorriso di chi ha compreso . Il ragazzo non pi lo scappato di casa, ma colui che possicde in s, nella sua immem oriale conoscenza del mondo, la chiave del destino. Alla maturit raggiunta, alla consapevolezza di sapere il destino non rimane altro che la solitudine che basta a se stessa, l'accettazione del dolore significa ac cettazione del!a n-latwrit. Chi ripensi in prospettiva alla grande costruzione paves;arla de I d~ialog~i con Le~c non pu non ritrovare in questa auova disposizione del rapporto adolescenza-m aturit, il conflitlo che oppilne womil1i e dei, felicit e conoscenza del destino. ll poeta ancora non soffrc nella sua ansia cli chiarificare, di rendere 25 po~si a il mitico, favoloso mondo della adolescenza e dell'infanzia, ma ormai s~.no po ste le basi di un'altra--e forse pi di~icile--antinomia pa~7esiana: maturit-ragione e mitico-irrazionale la cui antitesi non viene ancora rlsolta attraverso la fun zione catartica dell'arte intesa come cor~oscenza, la quale pUt sa]vando la cari ca mitica la razionalizza; eppure gi qui, nella poesia I1 corpo di un uomo / pens ieroso si piega, dove un dio respirava . Soddisfacendo all'esigenza narrativa con la produzione in prosa, Pavese ormai ri porta le ultime poesie di Lavorare stanca entro una struttura simbolica, ad un n ucleo essenzialmente lirico che preannuncia i ritmi di La terra e la morte e di Verr la morte e avr i t,~oi occhi. Le colline del primo Paesaggio dalla saldezza e concretezza piemontese diventano sprazzi di luce; nubi, acque"nare riappaiono avvicinate all'immagine lirica del la donna: della poesia o~gettiva e muscolosa non resta che il ricordo di un paes aggio sempre pi evocato nel ricordo e nella capacit simbolica di quest'ultimo. C,os Lavorare sfanca si viene definendo in un deccnnio di atti~7it il crogiuolo de lle 9ituazioni pavesiane, nclla tipica disposizione di riplesc e di anticipazion i, dl riassunzioni e di ri~uti per cui possibilo tracciare in esso la geografia spirituale di Pavese nelle sue linee fondamentali. Poetica e motivi esistenziali, essere e fare mirabilmente si fondono in un proce
sso di osmosi indinsolubile. Lalorare stanca a~lancato daile traduzioni e dai saggi sugli americani pone il d eccnnio ~30-~4n conle un momento fondamentale da cui Pavese uscir il una disposizi one pi aperta e chiarificata. Se volessimo defnire il significato dell'esperienza americana che Pavese, attrave rso le traduzioni ed i saggi, acquisisce ne] decennio 1930-'40, potremmo indicar e il nucleo di qu sto importalltissimo momento, nella sco26 L,erta e chiarificaz ionc di se stcsso e dei proL.ri modi poetici a cortat~o con il mondo della cultur a americana. Che Pavese sconfessi o dichiari finitr~ l'influsso americano, subito dopo la con clusione della guerra, non basta a liquidare un insegnamento che agir~i nel pro~ onclo fino alle prove della maturit, anzi flno all'identificazione di un certo mo do cli rispondere alla vita e si pcnsi, per esempio, all'importanza simbolica de lle parole che Pavese pone in apertura a La luna e i fal, Ripe~ess is all, che, d al testo shakespeariano del King Lear passano nell'American I~e~ai,sa~ce e da qu i in una identificazione di cultura e disperazione esistenziale con Matthiessen, vengono riprese nell'ultimo romanzo. Scoprire il mondo americano ritrovare le autentiche radici del]a propria arte e dclla propria coscienza, quel mondo che alla lezione storica del rispetto e dell 'attuazione di un governo democlatico associava l'idea di una letteratura che po sitivamente vivesse nella realt storica conternporanea; una letteratura quindi ch e non si estraniava dalla societ, ma interpretava, al di l de!]a costrizione e del la mancanza di libert, nei suoi aspetti positivi e negativi quella stessa societ d i cui era parte e non piccola. E a commentare l'importanza che per la generazlone di Pavese ebbe il mito americ ano e la sua costruzione, bastano le parole di Pintor: Questa America non ha bis ogno di noi, essa scoperta dentro di noi, la terra a cui si tende con la stessa speranza dei prirni emi..ranti e di chiunque sia deciso a difendere a prezzo di fatica ed errori la dignit della condizione umana (Il sang~le d'Europa, p. 219); opFture quel!e di Pavese che, commentando l'importanza dell'educazione culturale e sentimentale dell'America, cos definiva la terra a cui si rivolse per la prir. la volta l'aristocratica cultura europea: ... il gigantesco teatro dove con mago ior franchezza che a]trove veniva recitato il dramJma di tutti ... e ancora, rif lettendo sull'operazione culturale che Vitiorini attu assieme a ]~li per la costr uzione del mito americano, cos scriveva a ptoposito t;li ,'I~nericana: Non un caso n un arbitrio che tu la cominci con gli astratti furori, giacch la sua conclusione , non detta, la Con~ersazione i~it Sicilia. In questo senio l~na ~r,ln cosa: che tu ~i hai l~ortato la tensi(t le e gli stri lli di scoperta della ~hil ~)l 0~ t storia poetica, e siccome {luesta tUd storia ilo; ~ stata una caccia alle nuvole m~ un attrito con la Ic~er~tllt~ m-~ndiale ( qnelll Ictter~t~lra rn-1n~ e cl~e c- implicita in l~niversalit in qu~lla americ~n a--ho ca~ito bene?), rislllt~l che tllttO i1 secolo e mezzo americdno vi ricl(~t to all'evidenza cssenziille di un mlto da noi tutti vissuto e che tu ci racconti . (Lettere, vol. I, p. 63~). Per concludere con queste parole che sono in fondo ci che Pavcse stesso acquis dal la lezione americu~a: Una storia letteraria vista ~la un pocta come storia della propria poetica . E cosa non fu pcr Pavcsc ripercorrere le tappe fondamentali della letteratura am ericana se non la chiarificazione di una parte delle proprie esigenze di uomo e d'artista, in altri termini, la scopcrta della dimcnsione stilistica come modo c li rapl~rcsentarsi la vita? Bisogn, poi, che Pavese ripercorresse tutto l'i~er cu lturale clel]a grande tradizione europea del Novecento, Joyce, Mann, Proust, ~'r eud, --percorso che non sarebbe stato possibile senza l'incontro con gli america ni--per giun~ere a]la poetica del mito. La costruzione del mito ameicano pcr noi, oggi, un eccitante viaggio attraverso l a cultura c~i tutta una generazione, di que]]a culturl, ovviamente, che poneva la propria dignit nell'opporsi al fascismo non solo politicamente e civilmente, ma anche proclamando la libert culturale come l'unica possibilit di sopravvivere come
scrittori e uomiri nella stesso tempo. I1 luogo in cui questa libert s'incarnava nelle opere e nelle istituzioni era l'A merica ed all'~merica si rivo]sero Cecchi, Vittorini, Pavese e co]oro che fondar ono la nuova cultura del dopoguerra. Forse in questa operazione, come non mai, appare l'importanza di Pavese non solo scrittore, ma teorico, che ha rappIesentato un momento essenziale della storia culturale del nostro paese, anticipando addirittura alcuni aspetti della polemic a che dopo gli anni Cinquanta coinvolger il mondo letterario italiano, posto in c risi dall'amara constatazione della fine dell'idillio tra arte e politica, ~ ade sione all'ideologia e le ra~ioni dell'arte. All'interno stesso della sua poetica, Pavese, pur accentuando ed accettando l'id ea di una letteratura impegnata, al servizio di una certa visione del mondo, pon eva i germi dell'impossibilit di un rapporto dl~taturo tra le direttive del parti to e le ineliminabili radici di Ull aristocratico isolamento di lui scrittore, c onsapevole fin troppo di creare una visione non ottimistica, ma disperante dcl m onclo, pOicl~ introduceva nelle strutture narrative il concetto o mcglio l'assurd a convinzione che alla idea di un destino imrlutabile interprcta~o come il peccat o orit,inale dell'uomo si potesse conciliare la visione ottimistica e razionalc dell'umanesimo marxista. E se questa oscillazione sar la forza della sua arte, del suo stile, essa per sanc ir ed affretter la fine dell'illusione post-resistenziale sulla renovatio mundi. La nascita del mito americano va posta alla fine dclla prima guerra mondialc, qu ando in Europa approd e si difEuse la conosccnza dclla american way of life, dell a prodigiosa e felice et della tecnica che in America celebrava i suoi trioni: acc anto a Eor(l ed al fordismo, a corrcg~ere la mostruosita di una visione unidimen sionale del mondo, ecco il new deal e l'opera di Roosevelt. Da una parte l'America rinnovava lfl beata e~ dell`oro, dall'altra per irrobustiva il sospetto di un asservimento dcli'~lomo alla macchina ecl al dio-denaro L'inq uictante clopl ia faccia clel mito an~ericano si condensava nella figura di Babb itt, il personaggio di Sinclair Lewis, che non a caso sar studiato da Pavese all' inizio clel suo interesse americano, nel 1930. Chi per primo introdusse in Europa la conoscenza ~ella letteratura americana e d ei problemi che essa agitava, succo e sangue di un'intera nazione, fu Lawrence i l cui libro Studies in Classic American Literature del 1918 rappresentO il model lo della visione a cui si attennero tanti scrittori messi a confronto con la rea lt americana, non escluso lo stesso Cecchi. Per Lawrence, la letteratura americana era lo specchio di quella realt al limite del mostruoso in cui alla razionale fede ed ammirazione per tutto ci che l'Americ a aveva creato, si mischiava il senso d'orrore per ci che questa creazione era co stata; la vitalit americana per Lawrence era gi tutta corrosa dalla morte imminent e. Anche per Cecchi che accetta la visione lawrenciana--si leggano a proposito le b elle pagine che Armanda Guiducci dedica al problema nel suo Il mito Pavese--l'Am erica soprattutto il luogo delle contraddizioni, dove lo spirito europeo si trov a a disagio e giudica dall'alto di tutta una ral~1nata educazione umanistica gli immani contrasti che questa terta ptoduceva. E~ non dimentichiamo quale scossa doveva essere per Ceccl,i la misura della citt a, New York, rispetto alle dimensioni umane ed eumpee di Firenze oppure lo sconc erto per una letteratura che era in fondo fatta da uomini che alla cultura europ ea potevano sembrare barbari , con quel caratteristico errore di prospettiva che anche Pavese non eviter, di credere, cio, alla nascita autoctona della cultura am ericana, non accorgendosi di quanto e quale filtro europeo essa era dotata. Cecchi perci rifiuta la realt americana o meglio ci che in essa vi era di pi vitale, anclle se nascosto, e che il critico per la sua stessa educazione ecl interessi , non poteva capire, ma il suo errore di fordo fu soprattutto l'accettazione del forciismo cio di quello che di pi appariscente e pericoloso la societ americana a~r eva prodotto ed in questa sua accettazione sta il punto di rottura tra la sua in terpretazione del mito americano in Europa e quel]o della genera~ione successiva di Vittorini, Pintor o Pavese. IJ'Amcrica della giovane generazione non si riassume nell'esaltazione del sistem
a fordista e nella dimenticanza di tutto ci che Roosevelt veniva creando, ma era proprio quella America dei contrasti che Cecchi non capiva e che l'opera cli un Lewis, di un Anderson e di un Faulkner, fra gli altri poneva in prirno piano, in staurando un dialogo, anche nel contrasto, con tutta la societ americana, rifiuta ndo ed urlando, ma sempre entro un sistema che rispettava il libero giuoco democ ratico, che attirava questi giovani. Ecco perch ad una generazione come quella vissuta ed operante sotto il fascismo, l'America appari~la la terra promessa, ecco perch in America Vittorini trova il m odo cli esaltare vitalisticamente il progresso come atto di libert, ecco perch sem pre in America Pavese poteva ritrovare se stesso e tutte le risoluzioni dei prob lemi che urgevano all'interno della cultura italian3, non ultima la questione de lla lingua. Per capire la di~erenza cli vedute che ormai separa Cecchi dalla nuova generazio ne basta leggere l'introduzione del critico fiorentino all'antologia Americana c li Vittorini. Qllest'ultirna, che rappresent veramente il n-~ 30 mcnLo ~i al.o d~-l',. s~:ope~la le~ ecicani e del valore di quest;l sco perta, urta nell'impostazione, nei capi toli introduttivi, nelle stesse scelte con l'interpretazione che Cecchi dava nel l'introduzione della cultura d'America: Da un capo all'altro dell'antologia lo spettacolo che della vita ci viene offert o tragico, orrendo. Troppe volte ho cercato di rintracciare caratteri e tendenze generali della vita americana, pcr poter evitarc di ripetermi intorno alle ragioni che fanno appari re questa letteraLura colne dcmeritata e percossa dal ba~lo di S. Vito. Da una civil~a che non da ieri, ha coin~ post~lato supremo il benessere e la feli cit materiale, era ovvio che potesse nascere soltanto un'arte di disillusioni, e disl1usioni sen7a conforto. (Introd~zione ad Americana di Elio Vittorini, Milano 1943, pp. ~VIII-XIX). Oppure ancora pi recisamcnte in America amara: Dalle s~le prl~issimc or~ini l'Americ~ i! pi gi~.n~csco, perfezion~to ed elastico ~n de non rcce~,oir E il car,lv~n-serlaglic) ~lla ~olont di credere : e credere q uello che fa comodo pcr evitarsi il disturbo di pensare di mutare, d'accettare i l confronto col vero, d'cntrare in un processo dialettico con la realt. (A1nerica a~nara, Milano i~-13, p 53). Rovesciando la situazione, la costruzione del mito americano da parte di Pavese come di Vittorini, si basa sulla sanit morale de]l'America proprio i dove Cecchi n e vedeva la malattia: la citt, il lavoro, la esaltazione di una vita attiva fatta sui contrasti; l'America era il luogo dove non si collezionavano orrori--dir Pin tor--, ma dove, per la p;ima volta, risuon la voce dei veri amici e dei primi con temporanei , non il luogo corrotto, che questo era in Germania, ma l'antidoto al la violenza che dal mondo nazista sprizzava, quando la <~ Germania--dir Mann--, c oi pomelli accesi, traballava allora al colmo dei suoi orrendi trionfi, in proci nto di conquistare il mondo in virt del solo tra~tato ch'era disposta ad osservar e e cke aveva firmato col suo sangue . Alla corruzione europea i giovani scrittori tra il 1930-'40 opposero il mito pos itivo della democratica America e, Dench nessuno abbia fatto caso alla circostanz a, furono gli italiani che di~usero ir~ Europa questo mito, mito che nel momento stesso che la guerra 31 finisce tramonta, incalzato da altri prolalemi, e pi urg enti. ma c11e non pu non lasciare una traccia duratura nei migliori, e tra i prim i in Pavcse. Ricercare nell'attivit di americanista di Pavese il rigole e lo scrupolo filologi co assurdo, proprio per la capacit e la volont di Pavese di trasferire all'interno della sua situazione poetica i risultati che lo studio degli americani gli ofEr ivano, semmai, tutto il lavoro pavesiano sugli scrittori americani un modo di le ggere Pavese stesso, di capire la costruzione )> pavesiana del problema dello st ile, , in fondo, renderci conto in qual modo si giustifichi la sua afEermazione d i una presa di coscienza del reale e di un giudizio su di esso attraverso lo sti le.
I primi saggi pavesiani su Lewis ed Anderson affrontano due problemi essenziali alla conoscenza del mondo dello scrittore, legati come sono alla scoperta dclla provincia ed al significato culturale della regione: il punto centrale sar dunque l'innesto del dialetto nella lingua ul~lcialc; ma, se per gli amerirani il dial etto, lo sla)~g, ha un'est~nsione nazionale, tale da favorirne il recupero e l'i nnesto nella lingua colta, il discorso si complica allorch osserviamo la realt lin guistica ita]iana. ~ stato merito non piccolo di Pa~cse di aver capito e risolto a suo modo il proWen-a lingua-dialetto: anche se oggi la soluzione pavesiana pu sembrare superata, essa fu la prima che propose una dimensione di lingua parlata all'interno della paludata lingua u~Ficiale, non il dialetto per il dialetto, m a una fruizione di quest'ultimo a~l'interno della lingua nazionale entro cui sci oglie il suo particol;lrismo pcr partecipare direttamente alla formazione di que sta nuova dimensione lin~uistica. Ma provincialismo anche una dimensione morale e Pavese scopre, in contrasto con le affermazioni di Praz, ad esempio, che crede essere Lewis uno scrittore borghe se che trasferisce i suoi problemi in provincia, la grandez~a dei provinciali di Lewis: A tirar le somme, una cosa soprattutto risalta da questi romanzi di Le~Tis. I perso~ i e con essi l'autore sono grandi provinciali. I~l ogni senso grandi. Cominciano ingenui, quelli delle praterie vanno a fare i provinciali a NuovaYorl ~ e q~lelli di Nuova-York vengono a farlo in Europa... Pure, di tali n~ 32 iure--con ~i il Middle West, il paese americano, si perpetua rell'arte--occorrevano alla letteratura nazionale. TroF~po lontano mi portercbbc ora a ~lire come e con quali autori, in essa quest a igura sia nata. Ma, certo senza provinciall una ietteratura non ha nerbo. (Ora in Let~era~ura am ~ricana e al,ri sa~,gi, Nella scoperta della provincia americana, Pavese individua l'importanza della su a provincia, il Piemonte, entro i temi della sua poetica ed entro la situazione culturale-storica italiana; la scoperta dei suoi miti, incltre va di pari passo con l'entusiasmo in cui rivive l'autore studiato. E che questo sia un lavoro in prospettiva fa testimonianza il secondo saggio sul Lewis del 1934 in cui il ridimensionamento dello scrittore americano awiene in funzione di un nuovo arricchimento della poetica pavesiana, pi che la scoperta de lla provincia ora l'interesse spostato ai temi come cronaca rappreSentativa ed a lla lingua come documento filologico , ma sot~rattutto alla predominanza che l'a mbiente ha nei romanzi lewisiani sopra il personaggio, interesse che tipico del Pavese incurante nella sua arte di costruire personaggi, ma tutto teso invece al la creazione di atmosfere. Come Lewis rappresenta la necessit della provincia in arte e nella vita di una na zione, cos Anderson tende nei suoi libri a darci l'id a di una nazione che vuole crearsi una maturit e per questo And rson uno dei grandi incontri spirituali di P avese: nei suoi libri lo scrittore piomontese riscopre la presenza della solitud ine tra gli uomini, l'esieenza di una letteratura che sia anche contributo socia le, ma soprattutto l'importanza delle regioni e del loro rapporto con la nazione . Anche qui re~ione non solo un luogo fisico o letterario, ma presenza morale: la scoperta della regione Piemonte, si riallaccia al discorso maturato nell'interpr etazione cr:tica di Lewis dell'importanza della provincia poich solo scavando nel la sua natura regionalc lo scrittore potr riagganciarsi alla cultura nazionale: Si pensi a quel che stato nella letteratura italiana la scoperta delle regioni c he proceduta parallela alla ricerca dell'unit nazionale, storia della fine del '7 00 e di tutlo l' '800. Dlll'Alfieri in gi, tutti gli scrittori italiani che si sforzano, talvolta e anzi spesso inconsciamente, di giungere a una pi profondd unit ~ zionale, penetrano se mpre pi il loro carattere regionale, la loro 2~erd na- 33 tura; giungendo cos~ al
l~ creazione di una coscienza um~na e di un lingua~io ricchi ~i mtto i] s.~n~ue della provinci~ e di tulta la dignit di una vita vata. (In Le~eratura americana c it., p. 34). E regionalismo significher fruizione del dialetto non ISne a se stesso, ma in fun zione di un linguaggio nazionale, tanto vero che la ricerca sperimentale pavesia na delle possibilit del dialetto entro il tessuto della lingua nazionale diverr so prattutto ricerca morale, dimensione nuova di problemi non dcl tutto ed esclusiv amente letterari ed un fatto che l'acquisizione di questi temi Pavese la faccia a contatto con il mondo e l'esperienza degli scrittori americani. Scavando nella sua natura re~ionale, lo scrittore influir sulla cultura della naz ione ed al limite, ritrover le radici del]a sua poetica--e si pensi quale importa nza chiari~lcatrice assumesse in Pavese la scoperta dell'Anderson legato ai moti vi deJ contrasto citta-c.lmpagna o di certi valori quali la 1legritudo riassunti dal piemontese come fruizioni miiiche--. Per la prima volta, a contatto con il mondo andersoniano a~ilora m Pavese l'inte rcsse per il ritmo dell'accadere che sar un tema assai importante delle successiv e ricerche sul mito: tutto lo sforzo di clii scrive il tentativo di ridare i ges ti e le espressioni di chi narra di persona oppure la famosa citazione che Paves e far sua dell'essenzia t della arte: porre ordine dov' il caos; arte altro non --e lo si tenga presente per l'ultima e pi importante svolta della poetica pavesiana-che trasfigurazione della realt ~> e da questa af~ermazione alla necessit di un r ealismo simbolico che l'angolazione da cui Pavese costmir i suoi romanzi, il pass o breve. Nell'ultimo articolo su Anderson apparso nel t947, quando ormai Pavese ha matura to la sua situazione artistica ed i problemi connessi con essa l'arte andersonia na sar artificio e tecnica cio s'identificher con la disposizione intera di Pavese a considerare l'arte, anticrocianamente, innanzitutto prooleJIla tecnico. :~ chi aro dunque, che all'interno stesso del lavoro di americanista Pavese operava del le scelte che rispecchiavano il suo atteggia 34 mento nei confronti delL'arte e della vita. Cos come all'interno di LavorartJ stan~a abbiamo cercato di rintracciare dei mome nti ben precisi che attestano lo sviluppo artistico dcllo scrittore, altrettanto possibile f~re all`interno degli interessi americani, ad esempio in Melville, c olui che assieme a Mann non solo un incontro spiri[uale, ma anche il maOister vi tae. La testimonianza dell'interesse duraturo per Melville a~data alla intervista alla radio del 1950 in cui Pavese stesso indicava nello scrittore americano uno dei punti di riferimento della sua poetica; a pochi mesi dalla morte, Melville l'aut ore che ancora ha qualcosa da dire, poicll rappresenta per Pavese il pungolo a co ncepire i suoi racconti non come descrizioni ma come giudizi fantastici sulla re alt In altri termini, la capacit di Melville di trasfcrire il daio naturalistico i n un universo simbolico e di trasformare la realt in simbolo diventa il paradigma dell'operazione artistica che Pavese cercher d'attuare nei suoi ultimi roman7i. Quei giudizi fantastici sulla realt ~> fanno s che il mare, la balena, ~hab siano mare, balena, Ahab, ma anche qualcosa di diverso, il peccato, il destino, la sol itudine. Come dceva Matthiessen, lo stile di Melville la tecnica di dipingere non pensieri , ma la mente pensante ~>, perci Pavese sar attratto dal mondo melvilliano a causa dell'esigenza fortissima in lui non di clescrivere una realt naturalisticamente intesa, ma il ritmo di questa realt, la scansione entro cui si modula il destino, co'ta attraverso lo stile che il giudizio sulla realt ed il modo di porre l'ordi ne l dove c' il caos, non per distruggere la carica mitica di cui la realt intrisa, ma per portare a chiarezza poetica il mito--per esorcizzarlo--senza nulla togli ergli della sua ten sione simbolica. Per primo Lawrence ha indicato il fascino poetico di Moby Dick non nella sua ess enza di poema del mare, ma nel suo simbolismo nato dall'antitesi melvilliana di puritanesimo e libert; perci Moby Dick la pi profonda natura del nostro sang~le. Ed cacciata, eternamente cacciata dalla nostra coscienza mentale di uomini bianc hi ... ~ l'estrema essenza fallica dell'uomo bianco, c~cciato sino a quella mort e che la coscienza supe~ riore e ]a volont`. ide~le >~ (Classici a~eric~1~i, Mil
ano 1948, p. 175); cos Lewis M~Jmf~rd parla ~i un con~itto fra la coscienza carna le della raz a 35 bianca e l'astrazione mentale che pretende domare quella cosci enza e s~ primerla ~>. i~ chiaro quindi che l'interpretazione del libro melvilli ano trascende nei critici pi attenti il significato di un viaggio marino per cogl iere il senso pi segreto dell'avventura di Ahab ed in questa direzione viene capi to dagli americanisti italiani--e si pensi a qu nto dicemmo sopra dell'aggancio di Cecchi ai terlli lawrenciani--, ma merito di Agostino Lombardo avere riassunt o la questione, indicando in Melville il maggior rappresentante di quel realismo simbolico che proprio della letteratura americana, che riesce a fondere dato re ale e simbolo in una sintesi stilistica senza precedenti. Leggiamo allora una nota di Pavese del 1939, in cui gi si chiaril5ca il problema stilistico e ritroveremo in essa, intera, la lezione melvilliana: Ci vuole la ri cchezza d'esperienza del realismo e la profondit di sensi del simbolismo. Tutta l'arte un problema di equilibrio fra due opposti . La fruizione del messaggio melvilliano non completa nel primo saggio che Pavese dedica a Melville nel 1932, poich la scoperta della ricchezza simbolica dello scr ittore americano procede parallela alla chiarificazione interiore di Pavese stes so. La polemica che Pavese svolge in questi anni contro la cultura del tempo, gli faceva ravvisare in Melville il baleniere lette rato , l'immagine cio dell'uomo che non disdegna la vita per la letteratura, ma d alla vita trae la forza di essere poeta--e quanto di autobiografico ci sia in qu esta interpretazione facile capirlo--perci Melville e tutta la le~teratura americ ana sono posti in antitesi alla cerebralit del letterato europeo. Da questa immagine robusta dello scrittore americano Pavese indotto, nella prefa zione alla traduzione di Mol~y Dock, a ricercare il senso ed il valore della tra dizione letteraria che sfocer nella fa;nosa asserzione che avere una tradizione m eno che nulla, soltanto cercandola che si pu viverla ~>, in altri termini conflui vano nel pensiero pavesiano tutti i temi che il contatto con gli americani aveva no enucleato: la pro vincia ed il suo rapporto con la nazione, il senso della re gione ed ora il peso della tradizione che non basta avere, ma che occorre cercar e come at 36 tualit e non relegare al fondo della coscienza per sentirsi superior i. Ancora una volta moralit e riflessione critica diventano una cosa sola poich la ri cerca di una tradizione non solo conquista tecnica, ma anche conquista morale. Nella prefazione alla ristampa del libro melvilliano nel 1941, nel momento cio de lla acuita attenzione ai valori del simbolo e del mito, l'attenzione di Pavese s i spcster su questo aspetto dcl romanzo: La parola fantastica e raziocinante cli Melville assorbe ogni volta in sc senza residui tutta la vita del libro, connett endovisi per fili sottili, per la suggestione di un richiamo, di un'eco, di una cadenza (Lett. americ. cit., p. 96); echi e cadenze che fanno la ricchezza del l ibro in quanto la ricchezza di una favola sta nella capacit ch'essa possiede di s imboleggiare il maggior numero di esperienze . Siamo ormai in quella zona di interessi in cui Pavese ormai giunto a definire la capacit simbolica del mito, quando cio in Feria ~'agosto, scrivendo sul mito indi viduava, in una prospettiva assai vicina a questa, il rapporto tra simbolo e mit o: Un mito sempre simbolico, per questo non ha mai un signihcato univoco allegorico , ma vive di una vita incapsulata che, a seconda del terreno e dell'umore che l' avvolge, pu esplodere nelle pi diverse e molteplici fioriture. (Lett. americ., p. 301 ). Il ripensamento sul significato del mito e del simbolo a contatto con l'opera di Melville ora si arricchisce, allorch Pavese mette a fuoco quel concetto del dest ino-carcere che inesorabilmente lo porter a perdersi entro la ferrea legge della irripetibilit delle cose e dei gesti avvenuti una volta per tutte nell'istante mi tico, quando la coscien%a non ancora memore del compimento unico della nostra so rte. Non per nuila un poeta a lui caro come Lee Masters potr apparirgli il cantore dei
destini, colui che tende a riportare il mondo della storia e dei gesti all'~ at timo estatico ~>, al permanente, cio al momento mitico ed irripetibile; d'altro c anto, il destino si fa tragica misurabilit della vita nell'opera della Stein, col ei che gJi insegna a cadenzare il destino, a ritmarlo, nello stile. Occorre narrare non le cose, ma il Litmo di esse: ecco in 1~uce l'ultimo approcl o del pensiero pa vesiano sull'arte. Solo ritmando, cosi come si ba]la o si nuota, l'accadete si pu e si deve scrivere : il ritmo il personaggio dell'ultima narrativa pavesiana. La maturit americana, il suo Matthiessen, diventa ora la maturit a cui egli aspira : non pi l'America in contrasto con l'Europa, ma il r~ccordo tra le due culture i n nome di quella rea]l simbo'ica che da un~a partc- Matthiessen ritrovava nel rin ascimento americano e che ~all'altra le proposte di Mann sul mito e la poesia co nvalidavano nella loro universalit. Pavese si accorge che la strada che sta battendo !a stessa del critico americano , che lui, per suo conto giunto ai medesimi ri3ultati del grande critico, ritrov are cio il simbolo come l'unica possikilit di scoprire il ser so del reale. Come Matthiessen anche Pavese ricerca una via in cui non ci debbano essere crepe tra arte e societ e, come questi, vede l'attuarsi di una simile confluenza di in teressi in un nuovo linguaggio che distruggendo le l~arriere tra cose e parole, investa di luce spirituale i pi ordinari aspetti de!la vita quotidiana e ne rivel i la profonda natura simbolica (Lett. amer~c. cit., p. 180). Il laborioso concrescere di questi interessi ben presto sfocer nel tentativo di u na nuova forma espressiva, il racconto, esperienza conc!usa in gran parte, assie me al lavoro poetico, interno al 1940 e ripresa neila nuova dimensione mitico-si mbolica nelle prose di ~eria d'agosto. Il nucleo pi importante dei racconti si pone tra il 1936 e il 1938, quando Pavese accompagna le nuove tecniche lin~uistiche con il fattivo calarsi cli esse nei r acconti. Che egli non sentisse mai il l~iso~,no di pubblicarle-- il volume dei racconti u scito postumo nel 19G0, mentre una prima scelta con il titolo ~c)tte ~li festa, da un racconto o;~onimo, apparve nel 1953-- sintomatico. La misura perfetta della natraiiva pavesiana 38 il romanzo l reve o racconto lungo; mentre qui ci tloviamo li fronte a degli esperimenti che variano dalla misura di poche righe, al disteso abbozzo di un ro manzo; sono tentativi anche se in parte ri~lsciti in cui vale la pena di rintrac ciare pi lo sviluppo di certe tecniche che l'eslL~ressione artistica. Pu capitare a volte che il racconto si faccia misura perfetta del mondo pavcsiano , ma sernpre la tensione sperimcntalistica scoperta ed inevitabilmente siamo por tati al confronto, poich situazioni, pcrsonaggi, terni saranno ripresi nei romanz i della maturita di ben aitra levatura. Il racconto esperimenta la possibillt delle soluzioni stilistiche a cui Pavese s' interessa nell'arco assai lungo delle sue ri~lessioni sulla tecnica del racconta re. Dapprima l'interesse di Pavese va al dialogo, la musa prosastica per eccellenza, poich ncl dialogo che Pavcse ricerca la salvezza dell'oggettivit; poi, sotto la s pinta dcL1a teoria del mito, esso verr sostituito dal ritmo, oggetto stcsso del n arrare, sostanza di parole , ovvero cadenza interna al narrare stesso individuat o--dicemmo--da Pavese nella prosa della Stein. Cos nell'ultima fase delle sue meditazioni critiche, Pavese esalta il potere chia rificafore, catartico della parola cho tramuta l'irrazionale nel razionale senza snaturarne la sostanza rnitica, scrivere diventa accettazione del ritmo ed nel ritmo che si risolve la struttura narrativa dei suoi romanzi. Il dialogo da principio il mczzo con cui Pavese vuole attingere alla realt ed all a natura delle cose, accanto al parlato si ritrova nei periocli il ritmo mugolat o e cantante di Lavorare stanca, come prima e grezza esemplificazione del ritmo stilistico. Ancora una volta ritroviamo il processo caratteristico del]a parabola pavesiana: come Lavoraie sta~ca si conclude con il ritorno ai modi lirici e con la ne~ azi one della pura rappresen-tazione oggettiva, cos ]e r-cerche narrative si risolvon
o nella necessit di al~ro dalla realta fino a che il romanzo, il racconto si iden tificano nel ritmo interno poich, al solito, non tanto importante la narrazione q uanto il narrare. Le opere maugiori saralmo quelle in cui il ritmo narrativo accorda in mirabile s illtesi la real~a degli avvenimenti ed il sirnbolo che li trasforma in autre dal la realt: La luna e i fa!. Per Pavese, il Pavese maturO, l'unica rea]t quella mitica cosicch l'.l;lico dcstin o che si pu narrare il nostro clle sar perci oggetto deilo stile. Stile e solitucline, le 39 du facce di uno stesso problema che poi quello dell'un icit del destino; da qui nasce la tensione--fino al suicidio--per rompere la barr iera del proprio io, per finalmente ritrovarsi fra gli altri. Da qui la relativa importanza del personaggio rispetto al taglio narrativo, da q ui le forzature di un'adeguazione spesso non riuscita, tra scrittore e personagg io--si pensi al Berto di Paesi tuoi o al Pablo del Compagno. In altra direzione, sempre in quegli anni, Pavese ritrovava alla origine del rom anzo e de] racconto l'io autobiografico in quanto la terza persona altro non che un raffinamento di tecnica : Si deve cominciare ad amare la tecnica di ciascuna attivit per se stessa, come si ama di vivere per vivere )> (Diario, p. 11&). Questa l'enunciazione limite che ispirer allo scrittore le pagine di Rac contare come ballare, Raccontare come nuotare. La caratteristica esi genza di Pavese di far dclla letteratura, come della vita, un mestiere, ribadita anche in quel documento importante che il ritratto che di se stesio l'autore fa in una lettera alla Pivano: ...scrivere un mestier. come un altro come vendere bottoni o zappare (Lettere, vol. I, pp. 572-73). Narrare ritmo dell'accadere, ma anche possibilit di estendere la ptopria espe rie nza umana e poetica agli altri per uscire dal chiuso cerchio della propria sogge ttivit: Pavese si sdoppia e mentre pare prendere parte al drc,mtna umano, altro i ntende nel suo intimo e gi si muove in una divetsa atmosfera che traspare nelle a zioni come intenzione simbolica. Questo che parrebbe doppiezza invece un inevitabile ri,~lesso della sua ca~acit d i essere --davanti a un foglio di carta--poeta (ih., p. 572). Creciendo alla realt dello stile, Pavese sa che scrivere cornunicare, servirsi de lla poesia per chiarire il mito senza snatutarlo, cantare il destino per averne consapevolezza; profeticamente egli prevedeva che illuminare tutta la realt mitic a del nostro io avrebbe portato alla fine alla impossibilit di scrivere: ecco in fondo tutta la tragedia pavesiana! ~Terr il giorno in cui avremo portato alla luc e tutto il nostro mistero e allora non sapremo pi scrivere, cio inventare uno stil e (Diario, p. 141). La piena chiarificazione del pro40 blema stilistico avverr quando Pavese riconosc er che narral-c signi~ca ~isegno autonomo di eventi ~, creato secondo uno stile c he la realt di chi racconta, stile che l'unico personaggio insostituibile. Tetnpo narrativo e dialogo sono i due poli entro cui oscilla la ricerca pavesian a ed entrambi corrispondono ai due momenti essenziali della poetica di Pavcse; m entre il ritmo narrativo corrisponde al tema centrale del mito come istante irri petibile, che scandisce l'inesorabilita del destino individuale, il dialogo corr isponde al momento dell'impegno sociale ed umano, alla volont di comunicare con g li altri, cos Paesi tl~oi sar stilisticamente l'attuazione esasperata del dialogo, e Il carcere quella del ritmo. Gi nei racconti per la ricerca si acuisce e si polarizza nelle due disposizioni, s ancendo alla fine il tramonto della tecnica dialogizzante per una attenzione mag giore al ritmo, cosicch Paesi tuoi verr a coni~gurarsi come l'estrema possibilit de lla tecnica del dialogo, mai pi riassunta nelle opere posterlori all'infuori del Compag1~0. In una nota del Diario, scritta nel 1937, Pavese individua i temi dei suoi prinn i racconti nei nomi che definiscono gi cla soli il nucleo entro cui si svolger il racconto: Notte di fesla <~ il festeggiare del santo , Ierra d'esilio tutli conf inati , Primo amore tutti mossi dalla scoperta sessuale ; in altri termini, i ra cconti si configurano come riassunzione, sotto un diverso punto di vista, dei te mi di Lavorare sta~ca.
Ci potrebbe far pensare ad una poverta inventiva di Pavese, ma in realt la poetica pavesiana procede con un caratteristico movimento a spirale, che, scavando all' interno di un tema, lo riassume, allargandolo e portandolo ad una significazone n uova. Lo stesso scrittore era conscio di questo procedimento che corrisponde poi ad un a essenziale ed interiore disposizione spirituale: si pensi alle giustificazioni teoriche del procedimento in nome di una monotonia che ricchezza, capacit cio di trovare il filone d'oro, il volto simbolico della realt, solo attraverso lo scavo , oppure al senso morale della ricerca su alcuni temi che legata al motivo della costruzione di una vita e di un destino, espressa da una famosa asserzione: Scr itta la prima riga di un racconto gi tutto scelto e lo stile e il tono e la piega dei fatti. Data la lma rlga e quesuone ~1l p;~ J .u..u ,~ v ne ~ vt ~ uu ~l.. 41 fuori (Dia rio, p. 119). Non importante affastellare i fatti, ma importante il tono con cui si espongono, in tal modo l'argomento diventa necessariamente ci che si conosce da sempre o ch e si scelto distanziandolo dalla passione--da qui la lucidissima frenatura della narrativa pavesiana-per ritrovarsi tutta la ricchezza sottintesa, la poliedrici t simbolica di cui tessuto. Non deve perci stupire se i racconti ripetono le situazioni dei romanzi o, meglio ne sono i nuclei, importa, invece assicurarsi se il tono stilistico sia attuato come nei romanzi o viceversa, ma, vedremo, essi rimarranno inferiori ai romanzi ancl~e perch Pavese in questi ultimi ha trovato--inventato--il taglio narrativo pi pavesiano : il romanzo breve o racconto lungo. Il primo racconto, Terra d'esilio gi tutto costruito secondo la linea maestra del la poetica pavesiana. Il protagonista, un ingegnere mandato per lavoro in un paese del Sud, incontra u n confinato che gli divcnta amico e gli narra la propria pena amorosa; attravers o il dialogo dei due si enuclea il motivo del confino, un confino che solitudine --carcere e che nasce in questo momento, non da una situazione universale, ma da lla frustrazione amorosa. Mentre ne Il carcere situazione morale, esistenziale e poetica confluiscono in u no stile che evocazione elegiaco-lirica ed hanno il centro di gravit nella figura di Corrado, il protagonista, qui la mancanza di do min o tecnico e la mancata o ggettivazione di una situazione ancora bruciante--l'abbandono della donna dalla voce rauca--portano allo sdoppiamento dell'unico protagonista nei due personaggi , l'ingegnere e il conlinato, che sono le due facce dello stesso autore. Schematicamente Pavese vorrebbe distanziare attraverso la dil~erenziazione, il s uo io eroico--cnstruito--dall'uomo cli pena che nella vita e che pensa di esorci zzare oggettivandolo in un personaggio altro dell'io narrante. A ci si aggiunga la mancanza di fiato narrativo e capiremo allora che il racconto ha in comune con l roranzo solo i temi il cui <~ tono ~ assai differente dalla p rova maggiore, quel tono che l'unica spia dell'arte pavesiana. Il furore dello scacco recente esplode cupo e convulso nel racconto: Se ha una r agazza 42 la ingravidi. E l'unico moclo per tenerla ~; ma la nota pi segreta e Ll repulsione-amore per la so~itudine, nota che ritorner come Leitmoli~J de! romanzo e che si configura nel paesagf,io: Ar !a~o ormai di ~ndarmene co~ il un'isola ~ie~c;ta. Eppure, avvicinandosi il giorno probable del commiato, scmpre pi mi abbandonavo co n un amara compiacen2a all'atmosfera desolante di quei luoghi. (Terra d'esilio, in Racco~ Torino, Einaudi, p. 15). Il mondo cli I.al~ora)e s~a;lca presente ncll figura di Ciccio il menc~icante pa zzo, uno dei <( tipi che catatterizza ~o Ia raccolta p~etica, il quale simboleg, ,ia la lihert da Og'Ii regola sociale come il ragazzo scappato di casa o l'ubriac o; ma ancora la fi~Jula di Ciccio risente di un certo naturalismo, entro cui il racconto oscilla senza risolversi totalmente nel ritmo narrativo. Tl tema de]la solitudine, amoros~ o no ritorna ossessionante in un gruppo di rac conti cluali L'i~7truso, Via(7gio a't f.7o~ze, S~icill, dove gi il tono--specie n
egli ultimi due-- vicino a!le grandi prove di Pavese. L'ifltrus~ narra la storia di un ~iovane carceratcl che lla comc compal~no di ce lla uno strano tipo, Lorenzo, ii quale pian piano impazzisce a causa dclla so]it lldine, divenuta odio, che gli giganteggia ncll'anirna. (~ui il con~lne di Terra ~l'esil~o il carcere materia]o e~l i due motivi intrccciati, prigione materiale e morale, si fonderam~o nel Carccie. Lorenzo, di fronte all'irrequietezza del giovane, pronuncer una frase cle Pavese s tesso aveva orgogliosamente al~ermato come il modo di raggiungere la maturit: Dis tendetevi sopra la branda e in-pa1ate a star solo ; ma la solitudine non porta l a maturit, bens la pazzia, il vuoto interiore: Quel mattino vedevo me stesso come chiuso nel vetro, non pi prigioDicro di muri o di sbarre, ma isolato nel vuoto, un VUOtO freddo, che il mondo ignorava. Quest'era la pena vera: che ii mondo esclude se il recluso. r~on tanto di uscire anelavo, quanto che cntrasse il mondo nel mio vuoto e lo colorasse, lo scaldass e con gesti o parole. (L'it~trtlso, in Racconti cit., p. 52). Nel Diario, all'8 dicembre 19~8, Pavcse scriveva: Maturit l'isola- 43 mento che b asta a se stesso ~ ed il Lorenzo del racconto dice: ~ una gran cosa fare a meno della gente ~>; ma come Lorenzo nella sua solitudine impazzir, cos Pavese, fino al la fine, non potr fare a meno degli altri , senza i quali la vita come impegno mo rale non ha senso n scopo. Anche un racconto come Viaggio di nozze narra un aspetto del carcere pavesiano e nello stesso tempo rappresenta un momento importante in questa zona di esperime nti narrativi. ~ la storia di due sposi, Giorgio e Cilia; lui, un intellettuale, ha accettato la propria solitudine che si manifesta nell'insofferenza per gli a ltri, lei soffrir, in silenzio e rassegnatamente per questa mancanza d'amore. Il dramma scoppia, allorch Giorgio, spinto dalla sua insoddisfazione, propone a C ilia un viaggio a Genova, per vedere il mare, ma alla sera, l'uomo abbandoner la moglie in albergo per girare solo di notte fino al mattino. Alla moglie sconvolta dalla sua assen~a, risponder: ~ Mettiti il cuore in pace, s ono sempre stato solo. Neanch'io--e ]a sentii sussultare--neanch'io mi sono troppo divertito a Genova-pure non piango . L'eclissi dei sentimenti del protagonista che rivede in prospettiva la storia de l suo egoismo ed ingratitudine, potrebbe far pensare--scrive Fernandez--ad una v icinanza del mondo pavesiano con que]lo del Gide dell'Immoraliste, in banali top oi letterari--se per Pavese la solitudine giustirlcata dall'angoscia del rapport o umano, in Gide la solitudine un mezzo di esaltazione del proprio io. ~ innegab ile che la solitudine, come tema esistenziale e poetico del Novecento, non sia s olo un motivo pavesiano; invece proprio dell'autore, sentirne la delusione e la povert morale, sentirsi disperatamente teso, in questa che la sua disposizione na turale, ad uscirne per costruirsi una vita di uomo tra gli uomini. La solitudine di Giorgio impoverisce e svuota l'amore, ma alla misoginia clle es plode feroce in una frase come questa: Lei mi ha sposato e se la gode , fa risco ntro l'immaturit del protagonista che la causa prima della sua infelicita. Nel momento stesso che Pavese ribadisce l'ineluttabilit del destino~ solitu(iine, riafiora la condanna di esso la cui radice l'immaturit: l'esortazione a se stesso di perseguire la solitudine, non altro clle una difesa, 44 la pi scoperta, di ri stabilire un equilibrio dif~icile tra s ed il mondo. Il ragazo-uomo di Viaggio di noz~e, come il narratore, giunge a]la solitudine pe r un processo di astrazione dalla realt esteriore; non c', tutt~Vla Un compiaciuto sfogo di una sensibilit malata in questo riconScere il destlno nella solitudine, ma una dura, soiferta constatazione che lascia il posto ad una dolente piet per Cilia, la donna sacrificata al destino. A difEerenza dl ci che accade in Gide non vi in questo sacrificare l'altra la Sco perta esaltante del proprio io, ma c' la dura scoperta di una realt fallimentare, coraggio di guardare in faccia la tragedia del proprio destino senza mut1ll piet ismi e vane considerazioni. A volte un grido, un momento di abbandn fanno intravvedere il dramma che Pavese
domina nella scrittura: 1l momento in cui ci appare il Pavese pi umano, che sacri fica anche lo st~le alla sua pena interiore, il cancro del dolore come lo defini sce nelle lettere: Ma mai hastato ullo spettacok~ (li an~-ccia a~tr~li, rer ar~rire gli occhi a un llomo? O non occorrono inv~ce ~ ori d a~nia e la l, na viv-lCe, che Sl leva con noi, ci accompagna per stra~a, ci si corica accanto e ci sveglia la ntte s~mPre spietata, sempre fresca e vergognc,sa? (Viaggio di nozze, in RacCnti clt ~ p 37) Ecco dunque la novit cli un raccGnto come qu~sto accanto alla sperimentazione sti listica ritroviamo la volont di decantare nella narrazione il mondo delle pene e delle delusioni umane, innalzare a deStino la proprla es~ stenza. Come in Lavorare s~anca la poetica pavesi ma non si esauriSce nel tema della sol itudine, ma prende forza e rilievo dai tanti dissidi clle OppongonO due modi di guardare la realt -- citt-campagna; adoleScenza-maturlt ecc.--il dramma clell'inurl )amento, lo sconvolgimento psicolog1c0 che nasce dalla campagna in citt quello ch e attraverso i racconti passa anclle nei romanzi del periodo 1939-43. Da una parte Paesi tuoi come attUaZlone del mito della campagna, dall'altra La b ella estafe e La spiaggia come scavo della realt cittadina. Notte di festa intreccia i motivi della rivolta del ragazzo al mondo adulto con quello della campagna e l~evasione da essa: il primO La~orare in altre parole. Il racconto narra la ribellione di un adolescente~ Biscione, al pr~:te che l 1 d accolto, tro~atclloJ in casa; 1 azione si 45 svolge nel paese in festa ~ festeg giare del ~anto--invaso dag,li afrori, dalle voglie che Ja calda eitate cam,nest re provoca nei protat~onisti. E nell'apertura ~!e' LlCeUllL~J rtroviarno il Pavese pi alto che ha gi truvato il r itmo stilistico: Sull'aia liscia e soda come una tavola di marmo, saliva il fresco della sera. Ai piedi di una collina quando il sole appena calato dall'altra parte, la terra pare schiarirsi di ~uce propria, una luce fresca e silenziosa che esce dai sassi e dalle cose nude. Nell'aria imrnobile, dietro la stalla, scoppiava a tratti da lontane colline, do ndolando sul vento, un frastuono di rnusica ballerina, che pareva una rissa di g ole squillanti. (No~te di festa, in Racconti cit., p. 69). Tuttavia il movimento lirico di questa apertura non si armonizza con quel gusto del parlato e di certo periodare dialettizzante che denota la preoccupazione di Paiese alla ricerca di una linglla non lctteraria o al nero slegata dalla tradiz ione pi vieta ed accademica. A Pavese oceorrer bruci.lre le istanze pi urgenti del parlato--vedi A~nici tra i r acconti e l'esperienza unica di Paesi tUt7i--per creare il nllovo lin~lag~io in cui ]'alto lirisn~o ritrovato al fondo di una dimensione parlata rna non pi diale ttale. ~'o,~e di ~esta dissocia questa esigenza stilistica, ma ncl racconto ci s ono gi le premesse del futuro [ono narrativo. A7-rTici, che la massima adesione pavesiana al dialogo, il racconto pi vicino a!le prove linguistiche di Pe~si t?~ con que]l'esigenza dichiarata di fare del dialogo una specie di paesa~~. ii cui mo dello va ritrovato nelle sperimentazioni pi accese degli anericani. Quanto alla nota politica--il Rosso che torna dalla guerra d'Etiopia-essa assai esile eci esterna al vero intetesse di Pavese che si accentra esclusivamente sul la tecnica dialogica. Qui si tenta i] dialor~o di P!lesi tuoi con un innesto pi rozzo del dialetto nell a lingua colta: Da solo non ce la faccio. In un minuto arrivo alla cicca clal nrvoso ~>, che rompe la mirabi]e cadenza del tono per una ricerca artificiale dell'espressionismo verbale. Accanto alle forzature linguistiche, in questo momento-- 1937 --I~avese speritne nta, esas,perandolo, il tema sessua]e, inteso come rahbia, come di46 struzione: sono le pagine convulse di Temporale d'estate, dell llo,lc in cui l'amore lascia i~ posto al furore ;:listruttivc.
T a donna diventa cosa _ Bianca di Te7npora'~ d'es/ale--o riduce a cosa--Mina de ll'Id~lo. Sono questi racconti che pi riscntono della problernatica esistenziale dello scri ttore, il quale non riesce a dls;anziarla nel tagli(l na- rativo, ma, anzi, esas pera la propri?. pena ento la narrazione ap~nlrente;llellte severa. Con C(?rOg,!1~', Pavese ra-~giu!l~.?e il mlr~or risu]~ato stilistico e poetico di tutti i racconti. In questa alrnpid narldzione che per poco non raggiunge 12 misura clel romanzo b reve, cio Ja dimensione narral:iva tipica del grande Pavese, conl1lliscono tutti i temi di CIUCStO mon~ento di ricerca: il destino e la ribellione ad esso, la do nna capra~ sirnbolo della :[eroci a del sesso, il carcere morale e materiale, l' accenno che condanna la ditt.tura espresso dalla dolente figura d~l prete manda~ o al confino; anche lo stesso lin~uar.?io perde le punte pi aspre della riccrca s perimentale per avvcinarsi al tono ritmato dellc prove mature. Non c', poi, un personaggio principale, ma esiste una cora]ir?. di desti!li che i nte,sono l'azionc ridotta al rninirl1o, per lasciar posto, finalmente, al ritmo del! accadere. Il carcere crea un aspecie di spartiacque tra i ~lue momenti concomitanti del!'a zione; dentro alla prig?ione i discorsi dei malvivellti, J'arrivo del prete e la fu ga di Rocco, fuori di esso, Rocco che scappa, l'incontro con Concia; infine. Ie fila si ricongiungono nel carcere con la paura del guardiano Ciccia, il prete che parte, Rocco che ritorna volontariamente in prigione. Il carcere dunque, rappresenta il motivo dominante, la presenza ossessiva di tut to il racconto, presenza che ormai si awicina ad una espressione simbolica della realt. La narrazione spez2ata in brevi capitoletti che preannunciano il famoso ritmo br eve delle prove mature, in CUi l'efletto stilistico ottenuto raflrenando l'espan dcrsi della narrazione, spezzando cio, a forza di scorciature, il fluire degli av venimenti e producendo in tal modo il caratteristico ritn1o pavesiano. Anche il ra~ porto lingua-dialelto si fa meno teso ed esasperato, poicn solo a vo lte Pavese si lascia prendere la mano dal colore. Il momento pi alto il quarto capitoletto in cui Rocco fuggito dal carcere rivede Concia, la donna per cui ha ucciso e~ in prigione. Concia, clle a!lche n(l nome ricorda la donn~-sesso del Careere, non dncora una p resenza mitica, ma i~ lei rifluisce tUtl~ 47 la problematica del Pavese appena u scito dalla delusione amorosa. ~ei racconti o nei primi romanzi la donna sempte o vittima o espressione del ses so, perci il rapporto amoroso tra uomo e donna sempre fallimentare: lo scacco dei scnimenti che Pavese tenta di esorcizzare elevandolo a motivo, anzi a tema centr ale, della propria arte. La solitudine pi vera porta con s il desiderio di uccidere dir in una nota del diar io del 1938; anche Rocco ha ucciso perch solo, perch non capace di conoscere l'alt ro, la donna. Ucciderla non serve, poich il destino di solitudine ormai tracciato, perci Rocco t orna in prigione a concludere il suo destino. La rassegna dei temi principali dei racconti non pu non tener presente, come indi cazione per il futuro, anche quello che sviluppa il rapporto uomoragazzo. Se in Lavorare st~mca questo rapporto era soprattutto rivolto a distinguere due mornellti precisi, due aspetti della vita per cui il ragazzo ha in s quella liber t fantastica che negata all'adulto, ma nello stesso tempo alla ricerca disperata della maturit, in certi racconti l'adolescenza, come sar nei grandi romanzi, sopra ttutto una qualificazione morale, il mancato inserimento nella vita sociale e ne gli affetti privati. Potessimo fare uno spoglio del termine ragazzo nei romanzi pavesiani, ci accorge remmo che esso ha sempre pi una denotazione negativa. Essere ragazzo significa non capire e non accettare la realt, anche se l'adolesce nza rimane il mitico mondo della felicit che si va perdendo. L'aspirazione pavesiana di raggiungere quella maturit che significa serena accett azione del dolore e delle responsabilit che il ragazzo nella sua libert interiore rifiuta.
In questo modo il rapporto adolescenza-maturit si sfurna e si complica anche nei racconti in cui non c' solo l'adolescente in rivolta--Biscione di Notte di festa, Nino di Primo amore, Pale de Il nome, Pino di La giacchetta di c~oio --ma adole scente diventa l'uomo che non vuole n sa accettare la vita e la realt delle cose. La conclusione dell'I~olo un po' la conclusione di tutta una certa zona dei racc onti ed una premessa ad interessi che si svilupperanno nei romanzi: ~8 PeL m~lto te~npo rni sentii schiacciato, come quando d~ bi~n~.)o mi addorment avo battuto pi:mgendo. A Mina e al suo sposo pensavo come a due esseri adulti, che hanno un loro scgret o e un ragazzo non pu che ~uardarli da lontano i~norando ie gioie e i dolori che fan loro la vit~. (L'Idolo, in Racconti cit., La prepara2ione e la conclusione del primo roman~o paves;ano, Il carcere, sono a ccompagnate da una serie di meditazioni diaristiche che dei~niniscono gli intere ssi dello scrittore, allargando, al solito, l'interesse per la nuova ricerca sti listica e narrativa ai motivi umani e morali che l'halmo resa possibile. ~ noto che il breve romanzo o racconto lungo scritto da Pavese tra il novembre del 1938 e l'aprile del 1939 con il ti~olo assai indicativo di Memorie di due stagioni, apparve solo nel 1948 accoppiato a La casa in collina col titolo che gli rimarr d el Carcere, in un volume complessivo: Prima che il gallo canti. Pavese si preoccup di difendere la data di composizione de Il carcere per una rag ione ben precisa, cio quella di indicare un'ideale prosecuzione di un tema che er a stato fondamentale nella sua ricerca e che al tempo della composizione di La c asa in collina agiva ancora in una prospettiva mutata, ma sempre attuale. ~ dif~ lcile dire perch Pavese abbia lasciato nel cassetto per dieci anni un lavoro che indubbiamente pi valido delle altre opere di questo fecondo biennio, ma forse non inesatto pensare che Il carcere aveva bisogno di un ulteriore sviluppo di quei temi che La casa in collina porter ad una maturit poetica ed umana mai pi raggiunta . Nel 1948, quando la grande costruzione del mito sar compiuta, il legame simbolico tra i due romanzi veniva assicurato dal titolo di Prima che il gallo canti che pi che al richiamo evangelico--il momento del rinnegamento della verit delle cose, il tradimento di se stesso o dei compagni-rimanda a quel particolare momento de lla giornata-vita in cui le cose e i sentimenti hanno una loro particolare realt tra il sonno ed il risveglio: ~ ... Ma noi cominciamo / un po' pri~a dcll' llba a incontrare noi stessi / 49 nella ge nte che va per la strada. Ciascuno ricorda / di essere solo e aver sonno, scoprendo i passanti / radi--ogn uno trasogna fra s, / tantc~ sa che nell'alba spalancher gli occhi (Disciplina, in Poesie cit., p. gO). La poesia che del 1934 gi un'anticipazione della situazione svolta nei due romanz i: la solitudine, il carcere-destino, l'impossibilit di ricostruire un rapporto v ero tra s e gli altri. Parlanclo del Carcere terremo anche presente il grande risultato della Casa ir~ collina, ma non mi pare giusto che i due romanzi vengano rivisti in una prospett iva comune poich tra Il carcere e La casa in collina c' di mezzo tutto il lavoro d el Pavese mitico . La lenta preparazione interiore del romanzo testimoniata dalle note del Diario c he accompagnano la stesura del C~rcere, ma gi due anni prima, alla fine del 1936, Pavese scriveva: I punti sono: che il reale reclusione dove appunto si vegeta e sempre si vegeter; e che tutto il resto, il pensiero, l'azione, passatempo, tant o dentro che fuori (p. 57); quest'idea, che l'esperienza del confino e l'abbando no della donna dalla voce rauca, rendono ossessiva, si placa nel recupero delle esperienze persorlali in una visione universale dove il destino umano solitudine , la cella da cui l'uomo non pu uscire se non per ricercare un contatto con gli a ltri che gli sfuggono e che egli rende strumenti del proprio giuoco solitario -Elena e Concia--. La decantazione di questi motivi, l'impassibilit della pagina che ritma il senso dell'accadere, il fluire senza scatti del tempo, creano il fascino del Carcere,
la cui tecnica ben presente nelle meditazioni pavesiane: 1) Fare una novella l1a due tempi. C' un'acqua che s'intorbida, ci sono dei gesti violenti, dei sussulti, della schi uma; poi c' una calma, una passivit, l'acqua che trema, si fa immobile, dirada, si schiarisce, e tutto traspare impreveduto. Il fondo e il cielo eccoli imrnobili. La novella a~tJenu~a pacatamente, in qllesto decantarsi d'ogni moto e impurit. Ricordare: avvenuta pacatamente. (I~iario cit., p. 147). Narrare, dunque, placare il magma interiore, schiarire nella paglna il 60 nodo i niziale. C' in questa nota Ul8 vicinanza impressionante tra il nar t te e la sua tecnica e l'attc amoroso: il sussulto ed il placarsi, la schiuma e la trasparenza, rimanci ano allo stretto nesso che Pavese instaura sempre tra motivi di vita e l'arte co me tecnica, un nesso che la forza dello scrittore e la tragedia dell'uomo. Protagonista del Carcere Stefano, proiezione autobiografica di Pavese, che viene mandato al confino, in un paese del Sud. Qui egli organizza la sua vita nell'ossessionante convinzione di vivere in un ca rcere che il mondo stesso e che si materializza nel paese, nella sua esistenza d i confinato. La sua vita solitaria, ritmata dai bagni, dalla contemplazione del mare, scossa dall'interesse del paese per lui. Una donna, Elena, gli si conceder, un uomo, Giannino, ricerca la sua amicizia e s olidariet, un altro confinato politico gli chiede collaborazione ed aiuto. A tutti Stefano rifiuta l'amore e l'amicizia: si servir di Elena, impedendosi ogn i moto d'amore, osserver con stupore, ma senza intervenire, all'incarcerazione di Giannino, non risponder all'appello dell'anarchico. Solo un pensiero lo tormenta, l'immagine di Concia, la donna-capra al limite tra il bestiale e l'umano che colorisce con la sua sensualit sfrenata la solitudine di Stefano. Possedere Concia sarebbe stato uscire, almeno una volta, dal carceredestino, ma questa donna che potrebbe essere di tutti, paralizza la volont di Stefano che si limita a contemplarla e a sognarla, perch Concia il simbolo della realt che Stefan o-Pavese non pu possedere, impedito com' dalla convinzione che il destino solitudi ne, irrimediabile solitudine che non ti permette non solo di credere agli altri, ma nemmeno a te stesso. Cos Stefano partir dal paese, libero materialmente, ma portandosi dentro la sua pe na ed il suo carcere. Il romanzo narra un'esperienza diretta di Pavese che l'uso assai raro in lui del la terza persona vorrebbe oggettivare in una contemplazione distaccata dai motiv i autobiografici; tuttavia manca nel Carcere il motivo principale per cui Pavese ha sperimentato il confno: il motivo politico. Solo brevi cenni allllsivi, rimancldllo ad una realt fuori dalla coscienza di Ste fano, ma che vengor.o liquiclati frettolosamente, quasi con un senso di fastidio e di inutilita. Lo stesso contatto con il Sud non interessa Stefano CODle non interessa lo scrit tore e, mentre nello stesso tempo Carlo Levi in 51 una situazione assai simile a quella di Pavese ci dava un'immagine straordinaria del Meridione e dei suoi pro blemi, Pavese ignora la condizione del Sud che per lui, semmai, luogo di miti, d i presenza immemorabili che s'incarnano in Concia: non una allusione, nel Diario , nelle Lettere, nel romanzo alla tragica realt meridionale, solo una possibilit d 'interiorizzare, di fare stato d'animo l'ambiente che perde cosi la presenza pre cisa e decisa di un luogo particolare, per farsi lirica evocazione di un ricordo interiore. Questa disponibilit pavesiana di ricreare in una situazione lirica i dati di una realt vissuta e sperimentata gi presente nelle lettere del confino, dove la descri zione della vita a Brancaleone diviene trasfigurazioIle di temi che passeranno i ntatti nel romanzo--e si pensi ad esempio alla bellissima lettera alla sorella M aria:
La mia stanza ha davanti un cortiletto, poi la ferrovia, poi il mare. Cinque o sei volte al giorno (e la notte) mi si rinnova cos la nostalgia dietro i treni che passano. (Lettere, vol. I, cit., p. 426). E nel romanzo puntualmente ritorna il tema del treno e della nostalgia: Poi so~raggiunse il treno col suo sibilo selvaggio, il treno di tutte le notti, che lo sorprese a occhi socchiusi come un uragano. I lampi dei finestrini durarono un istante; quando torn il silenzio, Stefano assa por adagio lo spasimo della vecchia consueta nostalgia ch'era come l'alone della sua solitudine. (Il carcere, in Romanzi, vol. I, cit., p. 63). Un'analisi anche affrettata delle parole tematiche del romanzo, ci prospetta tut ta una situazione gi totalmente pavesiana , e ci ragguaglia sul procedimento stil istico di Pavese in un momento in cui l'autore sembra awicinarsi ad un tipo di s crittura e di letteratura della memoria che il grande esempio di Proust aveva co dificato; ma, osserva Fernandez, il ricordo in Pavese ha un limite netto che non lascia fluire il tempo come nella recherc~e proustiana, inoltre-- e qui mi semb ra il nodo importante--, mentre Proust non si pone i~ polernica col ricordo per llon perdere il flusso in cui si dispiega, Pavese scmpre pronto ad un giudizio m orale che, esplicito ad esempio, nelle notc dcl Dia~io, qui trova la misura di f orme ,t~i dclenti e segrete. Ste'ano stesso co!lsanevole ~eJl'.~gustia morale della sua sce}ta ed il giudizio sulla s~la pena-(tolorc c sellpre presente, anche quando l'inutilit di tentar di uscite dal cetchio magico della propria solitudine, si fa rimotso segrcto: Le nu vole, i tctti, lc fimestre chiuse, tutto in quell'attimo era dolce e prezioso, t utto era come uscire dal carcere. Ma poi? Mc-glio restarci per sognare cli uscillle, che non uscirne davvcro (p. 7 4). La situazione morale di Stefallo simbole&giata dal tema della ;nestra; gi in La~or are stanca, la finestra rappresentava l~ tipica incapacita pavesiana di un conta tto diretto con la realt, ora, nel romanzo, la finestra diventa il simbolo del ri fiuto di Stefano di uscire clalla propria solitlldine: Quel]a ~nestra bassa aper ta nel vuoto alla nuvola azzurra dcl mare, gli era apparsa come lo sportello ang usto e secolare del carcete di quella vita ~> (p. 32) cos la finestra rimanda, pe r ana~ogia, a Concia, al!a sua impudica presnza che si fa rossore di geranio, que i gerani che SOI10 la JlOta squillante ed inaferrabile della rcalt della tagazza: Pet un riscontro di finestre--insolitamente spalancate--appariva a chi guardasse dall'a!to della strada, come forata e piena di mare. Il riquadro luminoso si stagliava netto e intenso, come il cielo di un carcerato . C'erano sul davanzale dei gerani scarlatti, e Stefano si fermava ogni volta >~. Il protagonista pensa con stupore al rapporto tra la finestra e Concia: Che ci f osse un rapporto tra la finestra dei gerani e la raga,.za, allargava arricchendo il gioco del suo stupore (p. 14). Un gioco di rimallcli sottili ed allusivi s'instaura tra queste parole tematiche : l'acqua che Stefano beve ha un sapore aspro che ricorda le capre, Concia ha le fattezze di una capra, ed insieme quelle analogie sfociano in un sottilissimo rs ed~l di rimandi: C'era dentro [nel l'acqua] qualcosa di caprigno, selvatico e in sieme dolcissimo che ricotdava il colore dei &erani . I motivo dcl carcerc-~lestino da situi~ionc esteriore ~liventa mc~lo d'es- 53 se re scandito dal gusto deUa parola ritotnante il cui valore vedemmo gi nella racco lta poetica. Il carcere-destino siLTtli;cato dall'ossessione per Stefano delle pareti invisibi li , la cui prcscnza si fa sempre pi drammatica nel corso della nartazionc, fino ad imporsi anche s~ilisticamente con un improvviso rovesciarsi del sostantivo in invisibili pareti , cos come le presenze delle cose, all'infuori dello scarlatto che accomuna Concia ai gerani, si sfuma e si schiarisce nell'uso costante di pa llido , a dolce , pallore , chiarore . Pallido il mare, un vano, un viso, l'alba; dolce l'anfora, la ragazza, un sorris
o. :~ la disposizione ravesiana per la nu~1~ce, per le situazioni sfumate dove c ' la dolcezza delle cose intraviste segretamente e che non of~endono nel loro spi etato rivelarsi: [I carcere sar il romanzo del chiarore, come Paesi tuoi quello d el rossore, del sangue, deila violenza. Delle figure femminili del romanzo, Concia rappresenta, gi lo dicemmo, la realt ch e sfugge, il trionfo della natura caricata di simboli primigem e misteriosi; la sua stessa natura la imparenta con le capre, gli anima!i favolosi del sacrificio , del sabba. La classicit della figura di Concia, la iua clispollibilit al rito iniziaiico, son o espresse dalla sua andaura trionfante: L,'aveva veduta girare in paese--la sc l a--con un passo scattante e contenuto, quasi Ima danza impertinente, levando ert a sui fi~nchi il viso bruno e caprigno con una sicurezza ch'era un sorriso (p. l ~): la sua natura l'imparenta alle dee ed agli animali--e si tenga presente come questo motivo si svilupper nei Dialo~hi--: E bella come una capra. Qualcosa tra la statua e la capra ~, ed anche di fronte al furore dissacrante de i commenti del paese, la sua disponibilit diventa sacralit, misteriosa forza inizi atica: <~ Se era questa, gli dissero, veniva dalia montagrla ed era proprio una capra, pronta a tutti i caproni (p. 31). Ai ricordi di certe situazioni tipiche di Lavornre stanca--vedi 11 dio-caprone-si unisce l'incisivit dei particolari che fanno di Concia un simbolo e una realt, in lei non c' solo l'afrore del Sud corne in certi ritratti ciel Cristo di Levi, ma qualcosa di pi: C~ncia possiede il segrcto della vita e questo segreto 54 cari cato da tutta una serie {li simboli milici in una clisposizione assai vicina ai Dialogl7i c-)n le~co; k3 donna 1l be~va del dialogc omonimo~ l'intatta natllr a entro cui si esauriccollo le clif~crenzc- tra io e ~7]i altri, la cosmica .mn~ Y clle ristahilisce l'eql~ b~io tr.l scsso e anlore, ta adolescenza e maturi!. L' Itra (!onill (! l rGm;,n:~c) cclci clle, come la Culotta cli Suicid~, oke il p roprio amore ottenelldo in cambio insoIerenza e disprezzo, si avvicina alle dolen ti figure verghiane; ma pi che un'ascendenza leteraria, in Elena ritroviamo tanti aspetti della misogil1ia pavesiana. C', espressa in questa figura, una necessit inconscia di Pavcse di vendicarsi dell e offese d'amore, c' tutta una situ.~zione di chiara origine psicanalitica in cui nell'amante umiliata si sente i] bisogno di riprodurre il rapporto tra lo scrit tore e la madre, un rapporto duro, improntato ad un'intransigenza e severit clle nel suo ultimo libro Fernandez scopre all'origine dello scacco umano di Pavese; ma, anche se una interprctazione si~atta pu lasciare un certo margine di dubbio, invece chiaro che Stefano-Pavese, rifiuta il rapporto arnante-madre: E mentre pi angeva, tra le braccia di Stefano, ansil11ava: --Parla cos. Mi piace quando par]i. Abbracciami. Sono una donna. S, sono una donna. Sono la tua mammina (p. 27). Ad un rapporto simi'e Stefano reagiscc col disnrezzo-piet: Ma bisognava dirle, e fosse pure in~enuo, che ogni loro contatto finiva con quel!a stanchczza, con que lla saziet. " Che non si creda di farmi da mamma " (p. 36). Cos, quando Stefano sa da Giannino che Concia non la sua donna, capisce che ora e ssa diventa un dovere, la sua capacit di misurarsi COIl la vita: non aveva pi scus e e doveva tentare >~, mentre Elena andava strappata anche come abitudine poich n on bastava pi che egli rivedesse l'amplesso di Elena come ]'amplesso di Concia, o ccorreva scegliere il destino come solitudine: Ogni dolcezza, ogni contatto, o$n i abbandono andava serrato nel cuore corne in un carcerc e displinato come un vi zio e pi nulla doveva apparire all'esterno, alla coscienza. Pi nulla doveva dipendere dall'esterno: n ]e cose n gli altri dovevano potere pi nul la (p. 48), Considerarsi come in carcere ~ e da qllesto carcere strappare ogni a ffetto, anchc l:~lena, anclle ~'Jiannillo, poicll~ il destino non si sceglie. La g;ustificazione della solitudine in Pavese e nel Pavese di questo 55 romanzo non pcr orgogliosa af~ermazione del proprio io, non ~emmeno la solitudine-maturit che basta e se stessa come affermava lo s-rittore nel Diario; in Stefano Pavese
non giudica e non condanna, ma nemmeno approva la scelta--che non scclta, ma cle stino--del personaggio, perci egli avvolge in una comprensione dolorosa ma ferma il destino di Stefano, quell'uomo solo che combatte e rinuncia pur sapendo l'iml tilit`a della lotta. Cos il romanzo finisce con il messaggio che Stefano manda a Giannino in carcere e che riassume il senso di tutta una vita e ]a pena che l'accompagna: Gli direte che d pi soddisfazione uscire clal carcere che non dal confi.no. Oltre le sbarre tutto il mondo bello, mentre la vta di conrli1o come l'altra, sol o un po' pi sporca (p. 91). It carcere non era certo il libro di rottu~a che i tempi richiedevano, perci sint omatico che il primo romanzo pavesiano pubb]icato sia quel Paesi tuoi cheT se da una parte ehhe il merito di richiamare l'attenzione dei critici sul giovane aut ore, dall'altra provoc una serie di equivoci clle solo ora sembrano dissiparsi. Scritto dal 3 oiugno al 16 agosto 1939, il romanzo apparve nel 1941, quando orma i la lezione degli americani e con essa la riscoperta di Verga e del realismo er a stata assorbita dagli scrittori pi attenti e meno compromessi col fascismo. Non fa specie, perci, che l'opera venisse intesa come una tragedia rusticana o co me fedeJe trasposizione dei modelli americani, soprattutto di coloro che levavan o la voce dal profondo sud--un FauL~ner, ad esempio, di cui Pavese in questo per iodo traduceva The Hamlet e il Cain del Postino suona sempre due volte--. Pavese stesso non sconfess questa interpretazione--la lettura delle Lettere ne pr ova--perch in tal modo Pacsi tMoi veniva a rappresentare quel romanzo di rottura con tutta una tradizione ambiguamente legata al fascismo che i tempi e la partic < l~re di~t osizione pavesiilna richiedevano. Il romanzo 56 fu perci classificato tra i romanzi amcricaneTPgianti e d'attualit; niente di pi falso imche se facile fare il profeta dcl poi, di una simile interpr etazione I,a tragedia rusticana altro non era che l'esaspera7ione, in un momerto in cui sorgono in nuovi problemi del mito e della realtT intravista simbolicament e, del motivo clella campagna come presell7.a ancestrale e del suo porsi in cont rasto con la citt che gi fu una delle dicotomie su cui procedeva Lavorare stanca, ma che ora assume un aspetto nuovo nella necessaria carica mitica che in esso ve niva immessa. Paesi tuoi, dice bene Barberi Squarotti, va letto in chiave metaforica poich il r omanzo traduce in termini simbolici una realt autre di quella naturalistica. Certo che il romaniTo della terra, del sangue, dei riti della campagna con l'att o finale (lell'omicidio rituale, presuppone una conoscenza degli studi etnologic i che Pavese stava compiendo in questo periodo. L'autore che ag,isce ed influenza maggiormente lo svolgersi del tema mitico anco ra il Frazer, che fu la prima lettura etnologica di Paevese e che idealmente ser viva come modello, proprio per l'attenzione a quei riti propiziatori ed iniziati ci della campagna. Frazer, per lo stesso indirizzo dei suoi studi, non pu, come ad t scmpio un Kernyi o un Eliade,--e ancor prima Jung--caricare di un simbolism.o metafisico il mito e le sue espressioni. I mitologemi del Fra~er, cio, non presuppongono ancora tutto il lavoro posteriore ad Jung e a Ftcud di un'analogia tra la psicologia del profondo ed il mito. Che I~razer fosse ancora l'autore tenuto presente ce lo chiarisce una nota del D iario, del 1946, in cui Pavese scrive che nel 1933 studiando l'autore del Ramo d 'oro aveva scoperto che l'uva, il grano, la mietitura, il covone erano stati dra rnmi, e parlarne in parole era sfiorare sensi profondi in cui il.,sangue, gli an imali, il passato eterno, l'inconscio si agitavano. La bestiola che fuggiva nel grano era lo spirito--fondevi l'ancestrale e l'infan tile, i tuoi ricordi di misteri e tremori campagnoli prendevano un senso unico e senza fondo (Diario cit., p. 326). Il dramma di Paesi tuoi, per, non riesce a creare quel rapporto tra mito e simbol o che le opere seguenti realizzeranno allorch avvenuto il contatto tra il senso m itico che colora il nostro destino indi~!iduale e la carica simbolica che lo sot tende, ~3~1ando la lettura e l'inse~namcnto di Mann rimandava Pavese a tutta una scric di riferi- 57 menti psico!ogici che la sua particslare disposizione ad un certo tipo d; le~ ture etnologiche, Eliade in testa, confermava.
Il romanzo dunque l'espressione di una situazione non chiaril5cata in Clli lo st esso linguaggio osciUa tra un'aperta disposizione gergale che gli esempi pi visto si de]la letteratura arnericana sollecitavano ed uno scoperto simbolismo, esteri ore e spesso irritante, che si concretizza in metafore non sempre e non del tutt o risolte; valga per tutte l'accostamento,--che di accostamento si tratta e non di metafora--tra la collina e la mammella per cui era lecita la confusione e l'i ncertezza con cui la critica accoglie il libro. Paesi tuoi per il li~ro che i tempi richiedevano, il libro in cui era possibile t rovare un riferimento ad una realt culturale che l'autore rifiutava; la scelta da farsi era l'~merica e ci che l'America rappresentava per ogni coscienza libera. Non pi letteratura d'evasione, n tanto meno riferimenti alla traduzione letteraria borghese, ma romanzo di forti passioni del quale, se non veniva colto il riferi mento mitico ~>, tuttavia poteva servire la forte carica polemica in esso conten uta. Ancora una volta la situazione del romanzo mette di fronte citt e can-,pa~na nell a loro antitesi pi esasperata. Berto, un operaio totinese incarcerato, conosce in prigione un gofo di campagna, 1alino, pi bestia che uomo, accusato di aver incendiato dolosamente una cascina. Talino riesce a convincere Berto a seguirlo in campagna, in questo mondo sconosc iuto all'uomo di citt, lontano dalle leggi che governano quest'~ tima, dove in un'atmosfera carica di violenza che il sole accecante esaspera, si consuma la tragedia rituale. Nella cascina di Vinverra, il padre di Tal1no, Berto s'accorge di Gsella fatta di frutta , con la quale il fratello Talino ha avuto rapporti incestuosi subti dall a donna, ma forse inconsciamente cercati. I,'amore fra i due attizza la rabbia di Talino che, nel momento della trebbiatur a, sotto il sole che fa impazzire, uccider Gisella con un forcone piantato nel co llo, Gisella vittima consacrata al raccolto ed alla campagna, la cui lenta agoni a sar scandita dal cupo e monotono rumore della trebbiatrice, scn2a clle i gom sm cttano il lavoro per ubbidire ad un momcnto di fraterna piet. ~8 E ormai consacrato da tutta la critica il riferimento allo stiie di Paesi tuo i della tecnica del monologo interiore, ma un monologo che Pavese mutua non da H emingway direttamente, ma da un epigono de11a letteratura americana, Cain, le cu i forzature linguistic!le, per un rornanzo che voleva essere di rottura, erano p i consone de]la limpida F)rosa l-lemin~,~vayana allo scopo. Crcdo esatto perci dernlire Paesi tuoi un romanzo sperimentale nel senso di una v eri~ca di tut~o il lavoro stilistico di queoli anni e di un'anticipazione di quei temi mitici che non hanno la forza cli raggiungere l'equilibrio tra realismo e simbolismo, attuata poi nei romanzi delia maturit. Tenendo presente questa duplice linea, Paesi ~uoi va ridimensionato rispetto all 'interesse che suscit negli anni in cui apparve o meglio va letto in una direzion e che opposta a quella del neorealismo il CUi il romanzo veniva catalogato con qu el tipico e generoso errore di prospettiva proprio degli anni che vedono il trio nfo dell'impegno e dell'arn]onia piena tra letteratura e politica. La sua azione presso gli intellettuali fu assai ef~cace: apparso negli anni pi tr emendi del fascismo, era un libro che indicava una scelta ed una coerente propos ta di rinnovamento letterario che partiva assai sintomaticamente dal linguaggio, ma quel neorealista >~ aspirava a sensi pi profondi, ad un certo tipo di descriz iGne della realt che non si esauriva nel naturalismo, ma ricercava, ancor rozzan1 ente, una verit pi complessa ed una realt meno angusta: quella del mito interpretat o nella sua complessit simbolica. L'accusa immediatamente rivolta a Pavese di una eccessiva intellettualizzazione del personaggio Berto venne dallo scrittore rintuzzata e dette luogo ad una seri e di meditazioni sulla lingua che ci rivelano chiaramente il segno dell'operazio ne stilistica che Pavese voleva affrontare COIl Paesi tuoi: Lo stile di Berto no n va attribuito a un Berto, ma assimilato a una terza persona. Da naturalistico deve diventare modo di pel~sare rivelatore. E questo che non si poteva fare nelle poesie, e che dovrebbe riuscire in una pro sa (Diario cit., p. 166), colmando in un certo senso la differenza tra questo ro
manzo ed Il carcere; quel che conta non narrare naturalisticarnente, ma il ritmo di un pensicro che si fa personaggio per cui Berto SlOlI riflette mimeticamente la realc sociale che rappresenta, ma l'interpre- 59 ta2ione intellettualistica c he di questa realt Pavese ci d. Nel Carcere, il procedimento era pi sfumato: Stefano, in fondo, un intelletuale c he parla da intellettuale, mentre qui Berto operaio, parlando in gergo o meglio pensando in gergo ri~lette pi chiassosarnente il tipo di stiliz~azione che Pavese tentava: La iingua... tutt'altra cosa da un impressionismo naturalistico. Non hv scritto rifacendo i~ verso a Berto--l'unico che parli--ma traducendo i su oi ruminamenti, i suoi stupori, i suoi scherni ecc., come li direbbe lui se parl asse italia~o. Ho solo sgramn1aticato quando sgramrnaticare indicava una sprezzatura una involu ~ione, una monotonia nell'animo suo. Non ho voluto far vedere come parla Berto sforzandosi di parlare italiano (che s arebbe impressiorlismo dialettale) ma come parlerebbe se le sue parole gli diven tassero--per Pentecoste-italiane. Come pensa, insomma. (Diario cit., p. 171). La vistosit del procedimento stilistico adottato da Pavese nuoce ovviamente al ro manzo specie per quella insistenza monotona e spesso compiaciuta del monologo di Berto e delle sue riflessioni ancor pi ingenuamente espresse quando, a caricar l a dose, si imposta il problema del simbolo: Dov' il Monticello~--Da casa lo o, gll scappa da ridere. Mi volto e rivedo la collina del Era cresciuta e sembrava proprio Eo di piante che la chiazzava in vediamo. ~ sul fianco della mammella, --e, dicend treno. una p~ppa, tutta rotonda sulle coste e col ciuf punta. (Paesi tuoi, in Romanzi cit, p 111)
Gu~rdo in su i pipistrelli che volano e mi vedo davanti, bella rosa, la collina del treno, col suo capezzolo sulla punta, e dei lumi sul fianco, e mi volto ma l a casa nasconde quell'altra che si ve~eva dall'aia. Siamo in me~zo a due rnammelle, dico; qui nessuno ci pensa, ma siamo in mezzo a due mammelle. ( i ., p. 118). La metaforizzazione, assai esterna della collina-mammella vorrebbe darci il sens o di una realt carica di sensi diversi da quelli puramente naturalistici, ma il p rocedimento, come dissi, ancora esterno; manca la capacit in Pavese di creare da un rapporto analogico un rapporto simbolico e s~ questa via ll carcere era pi ava nzato rispetto a Paesi fuoi. 60 L'immagine collina-mammella che ri~orna come Letmo~iv in tutto lo svoIgimento della narrazione si complica allorch nel momento del sacri~icio ritua]e di Gisell a si scopre il parallelo tra l'ubertosit propria della collina e le mammelle di G isella, vittima dei riti campestri: Gisella era come morta, le avevano strappata la camicetta, le mammelle scoperte, dove non era insanguinata era nuda ~ (p. 16 9). L'insistenza sui temi del sangue, del sesso, rivisti in funzione di elementi fon damentali del rito produce una sovrabbondanza di metafore che creano una impress ione di squilibrio tra la preziosita di certe pagine e la crudezza di altre. Il preziosismo lirico del Pavese delle ultime poesie di Lavorare, presente in qu este notazioni ambientali: <~ C'era perlSno degli alberi in un campo carichi di frutta color della luna, e volevo fermarmi (p. 152); oppure nella descrizione di Gisella: <~ Era cos che quelle donne crescevano spesse, ma Gisella che adesso mi guardava ridendo, sembrava invece fatta di frutta ~> (p. 124), la stessa Gisell a che suggerisce poche righe avanti un'immagine assai cruda e scoperta: <~ Quell a che aveva acceso si toglie il fazzoletto c- si tocca i capelli; non l'avevo gu ardata prima, somigliava a Talino ma solo un'idea: era la meno manza e la meno n era, e si aggiustava i capelli di nascosto (p. 116). Paesi tuoi esaspera soprattutto la tematica di Lavorare legata alla campagna com
e duro lavoro che abbrutisce e al sesso come incapacit di comunicare ed elemento del rituale mitico: ritornano i motivi dei contadini bestia -- Talino ed il Vinv erra --, ritorna il motivo del Dio-caprone: a Quando non rideva, Talino faceva d egli occhi che sembrava lui un caprone (p. 136), e l'immagine della capra come p resenza mitica che gi incontrammo nella figura della Concia di Il carcere e che f a presagire la fruizione in senso simbolico che di questo motivo Pavese far in Fe ria d'agos~o. Ne Il dio-caprone, la biscia, presenza del male, isterilisce la capra: I ragazi conoscono quando passata la biscia / dalla striscia sinuosa che resta per terra. / Ma nessuno conosce se passa la biscia / dentro l'erba. Ci sono le capre che vam1o a fermdrsi / sulld biscia nell'erba, e che godono a f arsi succhiare (in Poesie, cit., p. 50). Anche nel romanzo 1I capra ha la sua funzione mitica, nella notte piena di tremo ri e di angosce in cui Berto attende Gisella, Ull breve riso um~lo rivela la pre senza 61 nella notte dell'animale, annunciatore del sesso e del male ed i ragazzi ritr ovata la capra, fa~oleggiano del potere misterioso della capra e della biscia: N ando mi laccontava che una volta ch'era andato in pastura una cayra non tornava e l'aveva cercata e chiamata e lei non rispondeva ma si sentiva come piangere, e il giorno dopo era tornata, ma mun"endola non dav,l pi latte, perch l'ave~1a succ kiata la biscia (p. 1~8). A questo tema P~ese si riallaccia, allorch compone in una struttura narrativa, il senso di religioso stupore che ci aEerra di fronte al mistero della campagna che non va afErontato, ma rispettato nella sua sacralit: Pale, il ragazzo protagonis ta de Il ~lon~e, un racconto di Feria d'agosto, va a caccia di vipere con un com pagno per stanarla ed inchiodarle con le forcelle di legno; ma ecco che nel sile nzio della campagna risuona altissimo il nome del ragazzo che a madre chiama, ri velando in tal modo alla vipera il nome dei nemici: Pale mi prese un bel momento per il polso e grid: --Scappa! --Fu una corsa sola f1no alla piana; ci gridavamo " La vipera! " per eccitarci, ma la nostra paura--la mia almeno--era qualcosa d i pi complesso, un senso di avere offeso le potenze, che so io, dell'aria e dei s assi (in ~cconti cit., p. 327). Paesi tuoi pu situarsi, nella costruzione del monolito ~? pavesi.~mo, in un momen to sperimentale e di transizione: brucia, esasperandole, molte situazioni di Lav orare e del mestiere di americanista con un furore d'immagini e di metafore che rimandano a quella realt simbolica che sar a sua volta oggetto del discorso sul mi to; non dunque un romanzo neorealista--o per lo meno non solo questo--, ma un ro manzo che nella sua struttura imperfetta preannuncia tutta una novit di poetica e di pensiero da cui uscir il Pavese della maturit. Le note del Di.~ri, nel 19~0 ci a~ertono di una mutata sit1lazi(~ ello 62 spi~it o e degli interessi di Pa~Tese, u~ bisogno di un con~atto ullano, ~opo il falIime nto dell'a(Fermazione di una solitudine che ~asta a se stessa, espresso in quest e parole: Il punto d'attacco del tuo mestiere alla vita il hisog~o di espressio~ e del primo e il bisogno di contatto col prossimo della seconda. Fin che ci sar qualc~ino odiato, sconosciuto, ignorato, nella vita ci sar qualcosa da fare: awicinare costui (Diario cit., p. 196, 21 giugno 1940), a cui si aggiu nge la rinnovata fiducia nei valori della vita stimolata dal nuovo amore per Fer nanda Pivano del quale ci restano le splendide lettere con il ritratto dell'auto re e della donna. In questi tempi c' in Pavese un'attenzione al mondo del sogno ed al problema dell 'inconscio, senza per che venga mai a~rontata la presenza fondamentale di Freud, u no dei SUOI autori segreti di cui si discorre poco o quasi mai nel diario e nell e lettere, ma di cui si suppone l'influsso determinante in occasioni diverse, ma sintomatiche come l'analisi del sogno e la sua origine. Accanto a questi motivi, la guerra sentita come presenza lontana e le solite rif lessioni sullo stile, puntate soprattutto sul concetto della imagery elisabettia na. Da questo clima pi pacato e disteso nasce L~ bella estate scritta dal 2 marzo al 6 maggio 1940 con il nome La tenda e pubblicata solo nel 1949 assieme a Il diavo
lo sulle colline e Tra donne sole in un volume unico dal titolo del primo raccon to, La bella estate, titolo che lega idealmente i tre romanzi accomunati nel sen so della sta~ione. L'antitesi tra citt e campagna che aveva fatto da sfondo a Paesi tuoi Sl sfuma in una situazione in cui la citt che predomina e la campagna rimane invece il ricor do, l'aspirazione alla innocenza perduta, alla adolescenza contrapposta alla cit t come luogo in cui si cresce e si acquista assieme alla ma~urit il senso della so litudine. Ginia, giovane operaia in un atelier di mode, appena giunta col fratel]o dalla c ampagna, conosce a Torino Amelia, una modella che posa per i pittori. Questa le fa conoscere Guido, un pittore a cui Ginia ccder pur sapendo che egli n on l'ama. Per Ginia maturata dall'esperienza amorosa giunge la fine clella bella estate, d ella illusione della giovinezza, dell'amore. Resta solo Amelia, ammalata di si~lide e lesbicaj anche per Ginia giunt~J A3 il momento di accettare la realt, di indurirsi, di perdere con la chiarez2a della pr opria maturit raggiunta, l'illusione della felicit. Come per Il carcere necessario anche per La bella estate ricercare il perch dell' attesa di Pavese nel pubblicare il libro, e come per Il carcere, la risposta con siste in una volont di compiere il romanzo sviluppando i temi della bella estate con qualcosa di pi complesso e nascosto che solo gli altri due romanzi del tritti co spiegheranno. ~ stato detto giustamente che il motivo ricorrente nel trittico e che fa da trait d'union la festa nel suo significato mitico e nel suo valore iniziatico. La soluzione proposta dallo Jesi particolarmente aflascinante specie se si leggo no i tre romanzi entro la prospettiva mitica che Pavese elabora in questi anni e che giunge a definirsi solo con gli altri due. Il senso di desolazione che nasce dal trapasso dall'innocenza alla corruzione ci assicura ancora di come Pavese avvertisse l'insufficienza del sesso avulso dall e altre radici dell'esistenza umana; per questo Ginia non trova la maturit nel su o rapporto con Guido, ma viene, anzi, alla fine rinchiusa per sempre nella sua s olitudine che apparente maturit. Il tema iniziatico dell'amore ripropone, come vuole lo Jesi, il rapporto tra inn ocenza e peccato da cui scaturisce il sacrificio come senso morale, idea di un d overe; in altre parole la festa perdendo il suo carattere mitico, lascia solo so pravvivere l'apparato festivo per cui gli eroi sono costretti al dovere della mo rte come dura virt per riparare alla loro mancata partecipazione alla festa liber atoria: Ginia paga con la coscienza della perdita irreparabile della propria inn ocenza la sua presa di coscienza di un mondo da cui escluso il valore catartico della epifania che la festa antica proponeva. I1 libro stupisce per la povert voluta dei mezzi stilistici: paesaggi, situazioni , personag~ri sono immersi in una luce grigia e rarefatta rotta da lampi di colo re. Si veda la descrizione dello studio squallido di Guido ed il vivo contrasto dell a tenda di velluto rosso dietro la quale Ginia ceder al pittore: ~< Ma la lampadi na accesa senza riflettore, come nelle case non 64 finite, accecava senza far lu ce. Vide appena che qui non c'erano tanti ten daggi come da Barbetta, salvo uno--un tendone rosso--che chiucleva la stanza in fondo ~ (La bella estate, in Romanzi, vol. I, cit., p. 209); Forse era l'effetto dell'ora, ma il tendone di velluto, colpit o un po' dal sole, arrossava tutta la stanza (Ibid., p. 215). Notevole anche il contrapporsi delle stagioni: alla iniziale stagione della fest a e dell'estate, A quei tempi era sernpre festa , succede la stagione della corr uzione, una Torino autunnale ed invernale che commenta la discesa iniziatica di Ginia: Una luce notturna veniva dai vetri, come un riflesso elettrico della piog gia, e si sentivano sgocciolare, sciacquare, scorrere tetti e grondaie. Tutte le volte che per caso la pioggia e la voce tacevano insieme, pareva che fa cesse pi freddo ~ (Ibid., p. 210). Ancora una volta Pavese provvede ad un ritmo stilistico in cui possibile coglier
e l'intero valore del romanzo e la sua giustificazione. Occorreva in un romanzo cos~ povero di trama e di situazione cogliere la vita de l personaggio attraverso lo sti]e che ritma il destino e per la prima volta Pave se esperimenta l'uso della scorciatura cio un taglio stilistico che esclude quals iasi compiacenza ed indugio descrittivo. Un dominio straordinario della forma, limata, raccorciata, ridotta all'essenzial e, dove, si badi, secondo una determinante scelta stilistica non c' mai una evide nziazione del momento importante dall'accessorio, cosicch il lettore costretto a stare continuamente in tensione affinch non gli sfugga ci che risolve l'azione pro posto assieme al particolare senza accentuazioni di sorta. ~. stato anche detto che in questo modo la tecnica narrativa di Pavese si awicina al taglio cinematog rafico, all'inquadratura che passa velocemente e non d allo spettatore la possibi lit di riposare e meditare. Ci vero in parte, vero finch si parla della tensione che Pavese crea e che impedis ce il riposo; ma non pi vero quando Pavese non sceglie l'angolazione come fa il r egista, ma lascia fluire le immagini in una sorta di contemplazione che lo fa pi spettatore che partecipe dell'azione. Non per nulla in questo periodo egli teorizzava nel Diario l'assoluta necessit di un distacco netto del personaggio dall'autore, personaggio che deve vivere inco nsapevolmente del suo destino e non deve mai perdere la sua autonomia. Qui, pi che altrovc~ Pavese evita un rapporto che sia anche rolo di compartecipaz ione al destino dei suoi personaggi; non ha ancora scelto la strada di una parte cipazione alla azione, attraverso l'adozione dell'io narrante entro cui pu vivere la vita dei suoi eroi--colui che racconta in Il diavolo sulle colline o Clelia in Tra donne sole--, perci evita un giudizio morale, ma guarda vivere il personag gio. Solo di uno ha piet, di Ginia, di cui non ci mostra la fine, ma solo la rassegnat a accettazione del proprio destino di solitudine: Senti, Ginia, al cinema non c' niente di bello. -- Andiamo dove vuoi, -- disse Ginia> -- conducimi tu (Ibid., p . 263). La bella estate, proponendosi come tema il passaggio dall'adolescenza alla matur it, era la risposta al motivo pi segreto di Lavorare: la solitudine ribadita anche nella raggiunta coscienza di s, nell'abbandono della felice giovinezza, il tempo della festa. La spiaggia approfondisce il tema della Bella estate ovvero la maturazione inter iore, entro uno studio non pi dell'uomo singolo, ma di una societ borghese e della sua corruzione. Le notazioni del Diario sull'adolescenza e sul suo significato, apparentano i te mi della Bella estate alla Spiaggia: Segno certo d'amore desiderare di conoscere , di rivivere, l'infanzia dell'altro ~ (p. 205), esattamente ci che far Clelia nei confronti di Doro suo marito o il narratore allorch rivive con Clelia l'infanzia di quest'ultima. Un'altra nota dello stesso anno sembra spiegare i tempi del romanzo, il ritorno alla terra, cio, e la vita di spiaggia: La vita pratica si svolge nel presente, l a contemplativa nel passato. Azione e memoria (p. 209). La spiaggia, scritta dal 6 novembre 1940 al 18 gennaio 1941, esce a puntate sull a rivista romana Lettere d'oggi nel '41. Raccolta in volume nello stesso anno, verr ristampata postuma da Einaudi solo nel 1956. ~ l'analisi di una societ, quella dell'alta borghesia, con la sua grazia mondana, con la sua gioia di vivere, con quell'apparente mancanza di problemi che nascon de invece la condanna pi profonda: la perdita di se stessi. Doro, l'amico dell'io narrante, ritorna a Torino in estate a trovare l'amico pro fessore. Quest'ultimo si accorge subito della strana irrequietezza 66 di Doro che, invitandolo al mare, gli propone, prima, un ritorno alle terre d ella sua infanzia e qui, nelle Langhe, Doro per un momento sembra ritrovare se s tesso ragazzo; ma solo per un attimo, poich il ritorno all'infanzia proibito.
Resta la spiaggia e la sua vita, fatta di giuochi e di relazioni sottili in cui i diversi personaggi si mescolano, si toccano, si lasciano in un gioco allusivo ed elusivo: Clelia che cerca se stessa nella solitudine, il giovane Berti che s' innamora di lei, Doro che sfoga nella pittura la sua irrequietezza e la sua delu sione della vita e la folla volgare ed ipocrita della spiaggia, di un mondo in f esta ma profondamente deluso. Alla fine l'azione non si scioglier in dramma: Clelia rimane incinta e ritrova se stessa nel figlio; Doro si riavviciner alla moglie; Berti, soffrendo, acquister l a maturit. La vita di spiaggia finita ed il professore ritorner solo in citt ed ai suoi studi . Pavese stesso avvalor la tesi che La spiaggia fosse un romanzo d'evasione, che no n partecipa alla costruzione del monolito >~ come gli altri romanzi, tesi che qu asi tutti i critici, escluso il generoso tentativo di Leone Piccioni, condiviser o. Certamente La spiaggia un romanzo minore, ma non per questo non possibile rintra cciare notivi interessanti anche in questo studio di societ. Piccioni propone per La spiaggia un avvicinamento--o meglio, una suggestione let teraria--ai romanzi di Fitzgerald e qualcosa di vero c' in questa indicazione, sp ecie per la descrizione della donna, per il fascino di un mondo apparentemente i rresponsabile alla ricerca, come gli eroi fitzgeraldiani, del divertimento e del la distrazione; ma tutto ci non pi di un'eco: al fondo rimane la sostanziale prese nza di tutto il mondo pavesiano e della sua geografia spirituale, solitudine, ad olescenza, maturit, ritorno alla terra, un susseguirsi di gesti apparentemente us uali, di ogni giorno, che dalla loro banalit sanno ritrarre sensi profondi, quasi il ritmo del]'accadere. La struttura del romanzo per totalmente fallita: tra l'avventura notturna di Doro nelle sue terre e la vita di spiaggia non c' qualcosa che colmi uno iato cos fast idioso; Pavese poi, non ha la sufficiente capacit di dipingere lo spirito di una societ a lui cos lontana, proprio perch non ha iroLua e la sua robusta moralit piemo ntese si scontra con un mondo che non capisce. Bisogna che questa societ sia analizzata nella sua componente drammatica, nel suo vizio di fondo perch possa essere credibile e assurta a paradigma di un modo sba gliato di credere nei valori della vita. Qui, il tentativo pavesiano rimane tentativo e basta. Semmai, l'aspetto pi interessante del romanzo rappresentato dalla figura di Cleli a, una delle poche donne della narrativa pavesiana che non si proietti in simbol o: Clelia po~ liedrica, bizzarra, elusiva, ma vera. Come le altre eroine pavesiane, la Cate di La casa in collina o la Clelia di Tra donne sole, ella si costruisce o tenta di costruirsi il suo destino ed in ci sta la sua positivit e la sua umanit. Di fronte a lei sta Doro, il marito che un uomo dall'animo di ragazzo, con i tre mori, le angosce di chi non ha ancora afferrato il senso della vita. Tutta l'avventura tra le colline una vana ricerca di Doro della sua giovinezza f elice, dei suoi sogni di ragazzo; ma il paese rifiuta l'eroe che discende agli i nferi per ricercare le madri ed in questo senso La spiaggia un preludio importan tissimo alla situazione de Il diavolo sulle colline, ma soprattutto de La luna e i fal. Con La spiaggia si chiude il decennio preparatorio dell'attivit pavesiana. Consumati nei romanzi, nelle poesie e nelle traduzioni i residui di una personal it in cerca di se stessa, Pavese ora pu affrontare il momento pi alto della sua poe tica: il mito e la sua teoria. Gli anni pi tristi della guerra sono, per Pavese, quelli in cui egli sistemer la g rande teoria del mito facendo appello ancora una volta alla contrapposizione tra citt e campagna che, sotto l'impulso degli studi etnologici, diventa ora antites i tra luogo mitico (la campagna) e luogo umano (la citt): Che dire se un giorno le cose naturali--fonti, boschi, vigne, campagna-saranno a ssorbite dalla citt e dileguate, e s~incontreranno in frasi antiche? Ci fa68 ~ann o l'e3:ctto dei theoi, delle ninfe, del sacro naturale che emerge in qualcht vers
o greco. Allora la semplice frase a c'era una fonte ~> ci commuover. (Diario cit., p. 308, 15 ottobre 1945). Il mitico si fonde dunque in Pavese con la campagna--e vedremo che proprio dall 'associazione mitico-rustico nascer il selvaggio --e trasforma l'universo pavesia no fatto di colline, alberi, campi di grano e vigne in luoghi unici dove un temp o avvenuto il prodigio che si ripete neJla storia e nella coscienza individuale. L'interesse di Pavese per il mondo mitico-religioso della campagna sollecitato d alle letture fondamentali di quegli autori che agiscono come presenze ineliminab ili nel suo pensiero estetico: Frazer, che legge nel 1933, gli colora di un sign ificato religioso le feste dei campi; Lvy-Bruhl, letto nel 1936, lo avverte che n el pensiero primitivo la similitudine con cui s'indicava il dio, era il dio stes so; Vico, la presenza pi importante, lo conferma nell'idea di un momento mitico d ell'umanit, ma soprattutto gli insegna che il primitivo ed il rustico si associan o nel selvaggio ; Mann, di cui legge Le storie di Giecobbe nel 1942, lo illumina sul rapporto tra mito e poesia e nel '45, sull'idea fondamentale del ritorno de gli eventi. Restano taciuti gli autori pi inquietanti: il Freud di Totem e tab da cui Pavese t raeva l'idea fondamentale di un rapporto strettissimo tra la psicologia del prof ondo ed il mito; Joyce, che gli insegna con Dedalus la capacit di un rinnovamento dello spirito che si cala nel subconscio per esorcizzare il male; Jwlg e la col oritura metafisica della sua teoria del mito; Eliade ed il tema dell'eterno rito rno; infine Kernyi, mutuato da Mann, in cui ritrova l'idea del mito come momento unico e la sua ripetibilit nel mitologema. Da questa selva di motivi, Pavese cerca di enucleare una teoria filosofica ed es istenziale le cui tappe fondamentali sono le pagine del Diario degli anni 1942-4 6, Feria d'agosto, Dialoghi con Leuc. Non sempre per il pensiero chiaro, poich Pavese non sempre ha la forza di tradurre in un discorso preciso le sue intuizioni: spesso egli s'invischia, se non in co ntraddizioni, almeno in ripensamenti che lo portano non a costruire un sistema f ilosofico, ma a creare una serie di temi poetici che raggiungono alti risultati artistici 69 nelle ptose di Feria e dei Diatoghi. Direi, perci, che la teoria de~ mito ser~e pi come suscitatrice di situazioni poet iche che come condotta di vita, anche se quest'ultima non mai disgiunta dalla ri cerca artistica. ~ vero solo in parre che il mondo ctonio, la consapevolezza del destino comc carcere, la significazione simbolica del]a realt diventino l'inevit abile vizio assurdo che lo porta al suicidio: c' nell'altissima coscienza della p oesia chiarificatrice ed ordinatrice che illumina il mondo del caos, la grandezz a dell'uomo chc tenta in ogni modo di ristabilire il circolo con gli altri, di f are della sua solitudine non il mezzo di smarrirsi nella selva dei miti, ma la p ossibilit di portare alla luce una ricchezza intatta d'umanit di cui partecipe non solo l'artista, ma ognuno di noi: Non dunque privilegio di chi fa della poesia questo tesoro di simboli~ che pure a far poesia sono indispensabili, ma bagaglio sovranamente umano, necessarlo a s erbare la coscienza di s e insomma a vivere. Il contadino o la donnetta non ci dicono gran cosa, ma anche essi parlano, e cio trasmettono e cre~no la rea!t3. Sotto la l~toia vige anche per loro una immobile eternit di segni che ~e noll li trav~glia coi suo ~ni~ma, li ~od(lis~a p~r, inc(.nsa~ (Jli, nell~ loro '~,'dlt3 i stiniiva. (Sta~o ~li gYa ~, in Le~t. am~ric. cit., pp. 310-ll). Il mito diventa eticit, quando, partendo da esso lo si distrugge volontariamente per ritrovare la coscienza di s e degli altri, spiegare il mito non signirica rif ugiarsi in esjo, poich la ricerca pavesiana non contemplazione elegiaca di un pas sato che sostanza e carne della nostra psiche, del nostro essere che cos e nient' altro che cos, non insomma il giuoco di un uomo pronto a rifugiarsi nella morte c ome ultima salvezza o ultimo fatale approdo. C' in Pavese, non il piacere d'inebriarsi nella discesa nel pozzo del passato, ma la necessit di crearsi, attraverso il mito, la possibilit di una vita di valori, poich necessario conoscere se stcssi, affondando negli archetipi del mito individ
uale--le coliine, l'infanzia, citt-campagna o le altre dacronie su cui si fonda ]a sua concezione della vita--ma non per perdercisi dentro, per vivere dolentement e o furiosamentc nel carcere 70 destmo, sibbene per issarli--chiarificarli--in un a ~oesia che si~ anche moralit, senso della vita e del suo farsl. Cos il mito divent~a non il labirinto deila coscicnza o la gran madre in cui almu llarc la propria esistenza o perdere i] senso delle pLoprie responsal~ilita, ma il tentativo pi alto, eroico e ambiz;oso c~ ccor~iarc un mondo dl va]ori con le a ng()sce dell'animo. La prima e pi compiuta esposizione delle tcorie sul mito appare in un saggio dal titolo assai significativo, Del milo, del simh~lo e ~l'altro, COIllposto tra il 1943 ed il 1944 e pubb]icato in Feria d'agosto assieme a Steto di gra~ia, La ado lescenza, Mal ~ esfiere, che defniscono e scavano i risultati a cui le note del D iario avevano dato una prima forma. Il mito e la sua sacralit sono legati al concetto dei luoghi unici : A un luogo, tra tutti, si d un significato assoluto, isolandolo nel mondo (Del milo, ecc., or a in Lett. amerie. cit., p. 299), su cui sorgeranno i sacrari o altri segni reli giosi. Anche per l'uomo, scrive Pavese, riprendendo il concetto da Vico, esistono luogh i unici che sono quelli dell'infanzia: in essi accaddero cose che li han fatti u nici e li trascclgono sul resto del mondo con questo suggcllo mitico . L'uomo dotato di una ricchezza spirituale straordinaria che egli non conosce se non quando il ricordo solleva a livello cosciente il luogo unico, sia esso vigl1 a, p;ato, albero e colline, che talc, cio mitico, in quanlo il ricordo assolutizz a la categoria a cui esso appartiene ed in tal modo una vigna diventa la vigna, caricandosi di una simbolicita cl1c l'inpronta del mito. Il mito, come dice I~ernyi, non che l'evento atemporale ed aspaziale la cui unici t coincide con l'attimo estatico, il momento assoluto, che simbolico in quanto la ripetizione dell'evento mitico avviene nel simbolo: la redazione poetica del mi to o il ricordo di esso avviene nella storia, mentre il mito fuori di essa. Il mito, sia esso di un popolo o di un uomo singolo, stabilisce una normativit de lla vita poich: tutte le vicende quotidiane acquistano scnso e valore in quanto n e sono la ripetizione o il ri~esso ~> (Ib., p. 301). Diventando simboliche, le azioni si caricano di un valore assoluto in quanto anc he il simbolo un oggetto, una qualit, un evento che un valore unico, assoluto str appa alla casualit naturalistica cd iso]a in lIlezzo alla re.llt (Ib., p. 301). Stabiliti i rapporti tra IllitO e simbolo, Pavese scrive che il n~ondo del- 71 l 'infanzia non pu essere il mondo dove si conoscono le cose, ma quello dove immemo rialmente il fanciullo accoglie le cose una prima volta, che solo il ricordo adu lto porter a conoscenza. La <~ seconda volta dunque sempre una prima, poich solo allora l'uomo ricordando, d il nome alle cose e le conosce: Il concepire mitico della infanzia insomma un sollevare alla sfera di eventi unici e assoluti le successive rivelazioni delle cose, per cui queste vivranno nella coscienza come schemi normativi dell'immagin azione affettiva ~> (Ib., p. 302). La seconda volta , sia essa interpretata come una specie di anamnesi platonica o sia invece desunta dal significato decadente del ricordo e delle sue possibilit, vuol dire ripetere ]a realt che ci colp nell'infanzia, senza che noi lo sapessimo , vuol dire vivere di simboli. Sempre, per quanto si torni indetro, vi una seconda volta che si perde nel tempo, fino ad uscirne, fino a confondersi con la prima , quando: Ci che in essa , : qui l'attimo equivale all'eterno, all'assoluto (Stato di grazia, in Lett. americ. ci t., p. 308). L'uscita dal tempo l'unicit del mito, ]o spazio ai confini con la coscienza, dove il mito na sede: a quel momento velato in favolosa intemporalit, quando ricevemm o l'impronta che doveva dominare il nostro avvenire secondo i modi appunto del m ito. Cos l'oscurit della " prima volta " sarebbe spiegata per l'analogia che offre con la natuta del mito preistorico: e "prima volta " sarebbe insomma, assolutamente ci che accade una volta per tutte (Ib., p. 310). Qui, pi chiaramente che altrove, anche nello stesso linguaggio, appare l'influsso
decisivo di Thomas Mann e di Kernyi. Pensiamo per un momento al concetto della prima volta e a quello dell'eterno pre sente, che sono tra i temi p a~asclnanti del Mann di Giuseppe e i suoi tratelli. Scrive lo scrittore tedesco nel Prologo al romanzo: Perch il passato , sem?re ancl1e se l'e~pressione del popolo suona: fu. Cos parla il mito, che soltanto la veste solenne del mistero, ma la veste solennc del misiero e la fesia che ritorna a date Gsse supera le temporali Aistanze e a ,~li occhi del popolo rende ~7resent; il l~assato e ii futuro. (Th. Mann, Il pozzo 72 de1 passato, l~lilano l')O, p. /5~. Questo concetto altro non che l'idea pavesiana del mito come eterno presente, l' attimo estatico, l'evento unico che si ricollega con l'altro tema che Pavese mut uer dalla cultura etnologica, del ritorno, della ripetizione degli eventi, tema c he prima ancora che in Mann e negli etnologi, lo scrittore ritrovava in Vico (cf r. Diario, 18 febbraio 1945), e che diverr, nei romanzi della maturit il Leitmotiv de lla festa, del ritorno dell'estate, dei ~al. Anche un grande etnologo e studioso delle religioni come Mircea Eliade, poteva s uggerirgli e confermargli il concetto del mito alle soglie del tempo e della cos cienza: Les mythes, l'assurent [l'uomo delle societ primitive] que tout ce qu'il fait, ou entreprend de faire, a t dj fait au dbut du temps, in illo tempore. Les mythes constituent donc la somme du savoir utile. Une existence individuelle devient, et se maintient, pleinement humaine, respons able et significative, dans la mesure o elle s'inspire de ce rservoir d'actes dj acc omplis et de penses dj formules. (M. Eliade, Mythologie de la mmoire et de l'oubli, N .R.F. , XI, 1963, 124, p. 607). La scoperta del mondo, tramite la seconda volta ~>, fa dell'infanzia il tempo mi tico in cui va scavato il tesoro dei nostri ricordi: poesia dare il nome alle co se, quelle cose che l'infanzia ha scoperto, con il tramite del segno culturale-libri, racconti, favole--e che il ricordo fa affiorare alla coscienza; il ricord o per, non , come ad esempio in Proust, il mezzo con cui si risale il passato, ma la possibilit di soffermarsi nel passato stesso. Funzione ultima della poesia quella di portare a chiarezza i miti senza togliere loro la carica simbolica: un grande compito, questo, che investe anche tutta un a zona morale; far poesia, non significa creare un serbatoio di miti, ma chiarif icarli, dando loro un nome. La tegola andersoniana della poesia che deve porre ordine l dove c' il caos, in qu esta nuova prospettiva, si colora di significati profondi: Fonte della poesia sempre un mistero, un'ispi~azione, una commossa perplessit dav ~nti a un irra~ionale--terra incognita--. Ma l'atto della poesia-se lecito distinguere qui, separare la fiarnma dalla mate ria di~ampante -- un'assoluta volont di veder chiaro, di ridurre a ragione, di sap ere. Il mito e il logo. (Po~3~a lib~irt, in Lett. a~eric. cit., p. 330). I! poeta non deve abbandonarsi mclralmente a credere che quel mistero che la poe sia chiarisce sia inesausto: esso si accende solo in s o al contatto con i mister i che altri poeti hanno chiaril'icato nlla loro poesia: C' un senso in CUI iI poe ta autentico non pu non essere il pi colto dei letterati contemporanei , pena la c aduta della poesia, il suo svilirsi in letteratura. La stessa solitudine, pena ed orgoglio d llo scrittore, diventa mezzo per crear poesia: Un poeta, i~ ~ua1?to fale, lavora e scopre in solitudine, si separa dal mondo, non conosce altro dovere che la sua lucida e furente volont di chiarezza, di demolizione del mito intravisto, di riduzione di ci ch'era unico e ineffahile alla normale misura un~ana (Ib., p. 332); in questo sforzo consiste l'importanza sociale ed etica del poeta: il suo compito nel rnondo quello di ridurre a chiar ezza per tutti un problema individuale, di far dello stile in cui il mito assurg
e a parola, la regola morale, l'essere delmlomo ed il suo fare. E chiaro clle in questa vo~ont~ espressa di bandire il voluttuoso dal!a vita com e dall':lrte, c' una preoccupazione di salvarsi dall'irrazionale. dal selvaggio, che Pavese credeva esscre alla radice di ogni atto, non solo poetico, ma anche u mano. A questa conclusione era portato dallo studio dcl Vico, un Vico interpretato da un cot anticrcciano, terrestre e rustico, filtrato dalle suggestioni freudiane, u n Vico che gl'insegnava cos'erd il rustico ed il selvaggio. Selvaggio >~ per Pavese la natura quando in essa appare il proibito, l'orrore: L a natura impassibile celebra un rito; l'uomo impassibi]e e commosso celebra i su oi riti pi spaventosi; tutto ci superstizioso soltanto se ci giunge come ingiusto, proibito dalla coscienza, selvaggio. Quindi selvaggio il superato della coscienza >~ (Diario cit., p. 294, 26 agosto 1944). Per rendere innocuo il male, cio il selvaggio, occorre che la poesia gli dia un n ome,--si pensi al dialogo La bel~a--lo chiarifichi. Ecco, dunque 74 che la can]l.agna cli Lavoiaie stanca e di Pa~si tuoi diventa il luogo in cui prende stanza il selvaggio, che l'incontro del rustico e ~lel primitivo. Da Vico Pavese mutuava l'idea che il selvaggio sempre legato alla terra, al mond o del rus. L'elemento ctonio che presente nella tradiziolle classica per Pavese legato alla rusticit, alla terra e alla campagna, perci il classicismo pavesiano rustico e de cadente assieme. La tua classicit: le Georgiche, D'Annunzio, la collina del Pino ; affermazione ch e esprime assai bene le componenti del classicismo pavesiano. Lo scrittore erede di una tradizione classicistico-decadente che insiste sul car attere torbi(lo, irrazionale dei modelli classici; in questo senso D'Annunzio er a presente in lui gi dalla prima giovinezza, tuttavia la classicit nello scrittore agisce anche nel senso della misura stilistica, della clliarezza ordinatrice ch e solo l'aggancio ad una tradizione secolare gli poteva garantire cd in questo s econdo aspetto, Virgilio agiva in profondit con la misura luminosa delle Georgich e; infine, c' in lui l'esigenza interiore di fare delle proprie esperienze mitich e ed infantili il centro di un mondo classican1ente atteggiato --basta pensare c ome l'Olimpo dei Dialoghi sia tanto simile ad una montagna piemontese--: Per me il coIle-montagna il Taigeto, scoperto a quindici anni in Catullo, l'Erimanto, i l Cillene, il Pellion, scoperti in Virgilio ecc., allora, mentre vedevo le colli ne di Reaglie e ricordavo quelle infiammate di S. Stefano, Moncucco, Carno, S. M aurizio, Luassuolo (Diario, p. 33~, 9 febbraio 1947). Inesorabilmente Pavese era portato dalla stessa concatenazione delle sue meditaz ioni a far del destino il segno della nobilt e miseria dell'uomo. Ognuno di noi non pu sfuggire al suo destino che gi fissato nel tempo, crede infat ti di scegliere, ma la sua scelta altro non che ripetizione, via determinata di un'esistenza della quale all'uomo non data la scelta; e~ pure, in questa dannazi one dell'uomo sta la sua superiorit, poich egli agisce come se lui stesso creasse il destino. Questo tema diventa il nucleo centrale dei Dia~oghi, configurandosi come opposiz ione tra gli dei che sanno il destino e sono felici e gli uomini che disperatame nte cercano di sfuggire alla sorte sof~rendo e morendo; tuttavia, nelL loro sof~e renza sta la supe- 75 riorit sugi dei perch gli uomini danno un senso morale aDa lo ro dann~zione ed infelicit. Se i Dialoghi con Leuc rappresentano l'attuazione della pc>etica del de~ stino in una forma che, vedremo, riassume tutte le suggestioni di questo momento, il tem a del carcere-destino, la convinzione di un'impossil~ilit di uscire da ci che stat o gi determinato--e si pensi al Carcere--agiva nella coscienza pavesiana come for za poetica. In un racconto inedito del 1941, La famiglia, che abbozza nelle sue linee fondamentali l'intreccio e la sit uazione de La casa i~ collina, ritroviamo chiarissimo il tema del carceredestino
, nella meditazione di Corradino, l'eroe senza qualit dcl racconto, il ragazzo-uo mo cl~e non pu accettare le proprie responsabilit, poich condizionato da una sorte che l'ha gi determinato nelle sue car;~ttetistiche rinunciatarie: Fino a ieri la mia disgrazia era clle non sapevo uscire da me stcsso, ~lal mio c ercl~io naturale. Se tutti capissero come ilO capito io -- stamattin~ piangevo dalla rabbia--che c os~ questa condanna all'identico, al predestinato, per cui nel bambino di sei ann i sono gi scolpiti tutti gli impulsi e la capacit di valore che avr l'uomo di trent a, pi DeSsuno oserebbe pensare al passato e inventerebbe un detersivo per lavare la memoria. Nella vita giornaliera uno crede di essere diverso, crede che l'esperienza lo ca mbi, si sente giulivo e pa~lrone di s, ma pensati clle venga una crisi, pensati c he gli diano uno scossone c la vita gli imponga Su deci(liti , e lui ~ar infallib ilmente come ha seml~re fatt~ in passato, scapper se vigliacco, resister se coragg ioso. (La famiglia, in Racconti cit., p. 294). Per Pavese l'uomo non mai padrone di s--chi lo , un dio--, ma anche nell'impossibi lit di creare il proprio destino, c' nell'uomo un eroismo che lo scrittore osserva con dolente piet, con una partecipazione umana che lo allontana dal clich abusato della sua scontrosit, della sua solitudine orgogliosa. Avvicinare gli altri un dovere e una esigenza che Pavese sente fortissimi, sia q uando crede di cogliere il rapporto con gli altri all'interno del partito comuni sta, sia quando nel mito rileva non la chiusura, ma 76 la parLecipazione del pro prio tesoro agli altri. Negli ultimi mesi di vita Pvese riassume, una vo~ta per tutte, i momenti della sua ricerca in due saggi: L~l poetica ~lel cle~ti~lo ed 11 mito. Nel primo saggio, lo scrittore arrischia l'ultima possibili~a di legare destino a mito: la vita umana altro non che destino che ripete simbolicamente i nostri m omenti unici dcll'infan:zia-- Una vita appare destino quando si rivela esemplare e fissata da sempre --, mentre la pnesia ha il compitodovcre di ridurre a parol e il mistero contenuto ncl destino. Il destino tenta di r;ssare fuori dal tcmpo, in gesti mitici, la vita, ma come c onciliare questa pretesa con la libert umana, con la stol-ia? Qui sta la grandezz a del poeta che ri~uce ogni sforzo creativo alla lotta tra la libcrt umana e la m itica fissit naturale. Le varie " poesie " saranno gradi vari di riduzione del comportamento umano a de stino (p. 343). Destino diventa ml ritmo, una cadcr.za di ritorni previsti nel gioco di una lil) ert tutta tesa : in altri termini, la realt poetica s'identifica, come dicemlllo a vanti, in stilc, in capacita di creare un ritmo che scandisca il destino umano. Accettando di Jung la scoperta del s come nucleo intimo della personalit da riscop rirsi risalendo gli strati della coscienza, Pavese indica nel punto del destino (o mito) il grumo di vita che ci fa essere individui. Il pericolo evidente e consta nel fondare l'esistenza nel l'atemporalit, fuori da lla storia; tuttavia la sempre presente volont di armonizzare mito e storia nella poesia chiarificatrice diversifica l'atteggiamento pavesiano da quello decadent e tout court. Non per niente, nel secondo saggio del 1950, Il mito, Pavese ritornava al Vico p er scoprire il rapporto tra fantasia e mondo preistorico: Quelli che il Vico chi ama universali fantastici sono-- noto--i miti e in essi i fanciulli, i primitivi, i poeti (tutti co!oro che non esercitano ancora o non del tutto il raziocinio, la umana filosofia ~) risolvono la realt, sia teoretica c'ne pratica )~ (Il mito cit., p. 346). La chiarezza di Vico poteva essere l'appiglio a non invischiarsi in quelle teori e mitiche che portavano fatalmente all'irrazionalit ed al misticismo: Abhandonars i alla contemplazione alla escavazione di quel momento si~!lifica uscire dal tem po, sfiorare un assoluto metaLisico, entrare in una77 ~fera di travaglio, di vag heggiamento di un germe che non perder la sua immobilit se non per diventare altra cosa--poesia consapevole, pensiero dispiegato, azione responsabile--insomma sto ria ~> (Tb., p. 348).
L'esigenza, la pretesa anzi di un compito morale affidato alla poesia quanto ma i tangibile ed in questa direzione, l'abbandonarsi al mito perde il carattere di <~ voluttuoso per assumere quello di responsabilit verso gl altri, il compito del pocta sar perci quello di risolvere i suoi miti in chiara immagine e discorso acc essibile al prossimo . ~ possibile ora renderci conto come, nel discorso sul mito, Pavese abbia recuper ato entro una prospettiva autonoma gran parte della cultura europea del Novecent o ponendosi su di un piano di originalit e di apertura spirituale che gli altri s crittori contemporanei a lui non hanno avuto o non hanno potuto avere. Come l'operazione culturale da lui compiuta entro il tessuto della narrativa ame ricana ha avuto un'importanza decisiva ai fini della sua poetica, altrettanto, s e non maggiore, l'influsso che ebbero, non solo per lui, ma per gli uomini della sua generazione le idee sul mito e sul destino. Nel momento pi acutamente impegnato della nostra letteratura del dopoguerra, Pave se osa introdurre nella chiara e trionfante ideologia marxista un mondo magico, al limite dell'irrazionale che nessuno voleva o poteva ammettere, dai teorici e critici marxisti a quelli cattolici, per cui proprio il senso di malessere che l 'esperienza nlitca di Pavese procurava, la causa prima della ritardata attenzione dei critici a questo aspetto della sua arte. Non si pu chiedere a Pavese l'ortodosso studio scientifico dell'etnologia, come n on gli si pu rimproverare la preferenza per Jung invece che per Freud nel campo p sicanalitico, tutto questo fa parte del mondo intenzionale dei se che non ha pes o entro l'effettiva costruzione della estetica pavesiana in cui accettazioni e r ifiuti avvengono in nome di una scelta artistica ed umana assieme. Se Pavese, come disse De Martino, corruppe lo studio dell'etnologia, facendo tra durre le opere degli irrazionalisti, siano essi Lvy-Bruhl o Eliade, alla distanza ci accorgiamo che questi autori resistono, ma soprattutto che senza di essi, no n possiamo spiegarci il mondo poetico di Pavese. In questo senso va rifiutata anche la tesi moravia,1a di Pavese grande teorico e povero scrittor, perch Moravia compiendo un'ope~azione antistorica ed ingenerosa, confonde vita ed arte mischiandole entro un'accusa generica ed infondata di gre ttezza morale ch~ va rifiutata nettamente. La casa in colli~a e La luna e i fal, nati da tutto questo grandioso movimento di idee e di partecipazione ad un aspetto fondamentale della cultura novecentesca fanno di Pavese uno scrittore di statura europea, tra i pochi che in Italia abbi ano detto una parola nuova negli ultimi decenni. Feria d'agosto nella sua struttura narrativo-saggistica, esemplifica i temi rico rrenti nella teoria del mito in una prima grande distinzione che batte l'accento significativamente sui luoghi unici: Il mare, La citt, La vigna. Diseguali di misura, d'interesse, di novit, i racconti sorreggono per la grande co struzione del mito, toccando di volta in volta gli argomenti centrali di tutta l a teoria: l'adolescenzq come epoca mitica, i luoghi unici del poeta, il selvaggi o, il sogno, il destino. Tra i racconti pi significativi troviamo Le feste. Ganola, un vecchio della razza di Vinverra, possiede un cavallo, che giorno dopo giorno gli entra nel sangue e gli fa dimenticare i doveri di padre e di uomo. Ridottosi in miseria, vive nella veccllia cascina solo, ma con accanto la presen za dernonica del cavallo. Pino, il fratello del narratore, afiascinato fin da ragazzo vorrebbe avere il ca vallo e questo so~no gli si matura oddosso anche nella giovinezza. Quand'ecco in una sera d'agosto si levano le fiamme dalla cascina di Ganola; Pin o confida al fratel]o che chi ha ucciso Ganola e fatto scappare il cavallo un ce rto Roia, un vagabondo che gira i paesi ma che forse non avr neppure lui il caval lo perch la gente invece e Pino con loro, dicono che il cavallo gira i boschi, e certi giorni lo sentono passare suile creste (Le feste, in Feria d'agosto, Milan o 1957, p. 162). La situazione apparentemente realistica come in Paesi tuoi o nei racconti 1936-3 8 quella dove narrata la vita della campagna, il paesaggio piemontese, i goffi e le feste. In realt s'intravede nel racconto l'accumularsi dei motivi simbolici che preannun
ciano addirittura La lur~a e ~ fal: la potenza selvaggia del cavallo indomato la misteriosa forza della natura che proibito toccare; il ricco tesoro dell'adolesc enza si ri- 79 ftange in Pino, nel suo passaogio dall'adolescenza alla giovinezz a che non gli muta l'antico sogno; cos la campagna un luogo segreto che incute pa ura: Andai di corsa fino al giro, non pensando che ero solo, perch credevo che molti a vessero veduto la f1amma e corressero l. Ma via via che salivo il vallone, mi prendeva paura. (Ib., p. 161). Mentre simbolica appare l'immagine del fuoco purificatore ed espiatorio che awo lge la casa di Ganola, di colui cio che ha osato voler domare la forza della natu ra. Una serie di racconti dedicata alla storia segreta dell'adolescenza giudicata co me momento mitico che ha in s, non ancora distrutti, i segni della favolosa fanci ullezza. Particolarmente significativi Il nome, L'eremita, La giacc~etta di cuoio, Primo amore. Nel Nome, Pale cd il narratore provano il brivido del selvaggio, dell'intoccabil e--la vipera--che ora sa il nome e pu ucciderli; nell'Eremita, la situazione di f ondo, che presa da una vecchia poesia di Lavorare, P~esaggio I, si colora del ra pporto tra il mondo fantastico del giovane Nino, tutto intessuto d`immagini e la dura, sconsolata realt in cui vive il padre il quale osserva quasi astiosamente il mondo favoloso del figlio: Comincivo a capire che quelia casa non era per lui quello che era per me. Il corridoio che la traversava tutta, dalla porta d'ingresso Jll'usriolo sull'or to-riempiendola di verde e di luce per chi vi entrava--era p~r lui una promessa di libert, un riclliamo ~ll'aperto; p~r me il serrplice sfondo di ull~amarezza ind urita. (L'eremi~a, in leria d'agosto cit., p. 31). Tra il padre e il ragazzo il primo che cerca disperatamente di penetrare in un u niverso, quello dell'adolescenza, che a lui negato per sempre. Nel mondo del ragazzo entra invece l'eremita, un giovane strano che si ritirato sul monte e di cui il ragazzo si fa l'idolo della libert e dell'awentura. I rimproveri del padre inducono il ragazzo a scappare dall'amico, che lo 80 ripo rta in paese, ma fra i due nata un'intesa che alla fine porter Nino alla sicurezz a ed a~]a coscenza li s: non il padre, ma l'eremita~ eterno ad~ lescente, avr inseg nato al bambino a crescere cd a ma~urare. Il racconto bellissimo, fatto di atmosfere psicologiche tenere e fresche: l'amor e paterno, il desiderio d'evasione, la vitalit trionfante dell'eremita creano una situazione stilistica straordinaria che si rillette nella prosa lirica ed insie me realistica propria del miglior Pavese. L'adolescenza, lo sappiamo anche da Lavorare stanca significa anche la scoperta del sesso, la tragica e affascinante realt degli adulti, che terrorizza ed attrae il giovane. Ne La giacchetta di c~oio, Pino il giovane protagonista testimone dell'amore tra Ceresa e Nora; ma Nora infedele ed alla fine, stanco, Ceresa la uccider. Ancora violenza legata al sesso, ancora l'adolescenza of~esa nel tenero rapporto con l'adulto dalla donna la cui sola presenza guasta e offende la fiduciosa ami cizia di Pino e Ceresa, ancora una volta per Pavese la clonna il male. In ~rimo amore la situazione la stessa: l'amici%ia tra due ragaz7i--Nino ed il n arratore Berto--e di essi con Bruno, il giovane che diverr l'amante della sorella di Nino. Qui la lacerazione e ancor pi tremellda perc}l Berto e Nino vedranno la fine della loro amicizia e di quella COIl Bruno assommarsi alla scoperta brutale del sesso . La donna il male, la maturit male, nell'angosciosa attesa di diventare grandi, i protagonisti provano tutte le pene di una situazione ormai ambigua, non pi innoce nte--la medesima dell'Anguilla ragazzo e delle tre sorelle della Mora--situazion e che Pavese commentava nel Diario: Primo amore: quando saremo grandi, questi di scorsi li potremo fare con le donne .
Sappiamo dal diario quanto Pavese sia attento al significato del sogno; in quest i anni egli annota sogni ricorrenti, cercando di autoanalizzarli, ma, al di la d i questo c' in lui anche una preoccupazione di ordine estetico, poich egli crede c he il sogno abbia uno sviluppo narrativo, sia creato co dall'intelligenza, e quest o sviluppo si riveli man mano al protagonista. Il sogno come il cinema un racconto ff dove ogni sequenza un tentativo rinnovato di dire la stessa cosa e non soltanto ~ fuga dalla realt diurna )~, mfl appiglio a una prenatale esperienza . Nel sogno c' il tentativo di rifu_i_rsi fuo;i del tem. nr~ n~ r~ar~ miti~ in~lirs ~ ~ n~ -r ~ J u~ rdv ~ LU ~uc~a 81, prenatale esperienza, archetipo mitico che j unghianamente presiede alla nostra vita. Due racconti, per lo meno, si legano come struttura e come significato alla tecn ica del sogno: Vocazione, Sogni al ca1npo. In Vocazione, l'autore sogna di essere in un'osteria, di fronte a lui un uomo, f orse lo sdoppiamento di se stesso o di ci che egli avrebbe voluto essere, Masino. Nello stupefatto silenzio, s'intreccia un dialogo penoso e triste, in apparenza assurdo ma che ripropone i grandi temi pavesiani: la disperazione della solitudi ne, il desiderio di farsi altro da s, costruendosi un Masino, l'essere ragazzo, l a mancanza dell'accadere, il destino. Anche l'immagine tipica della finestra, legata al guardare, all'assistere, ritor na insistente. Colui che narra ha di fronte una finestra che incornicia un grande campo di papa veri: ci gli d superiorit su Masino, poich egli pu legarsi alle cose senza comprender le, ma guardandole: Questo senso di fiducia mi abbastanza familiare, e mi prende ogni volta che da u n luogo chiuso d un'occhiata al cielo, alle piante, all'aria. ~. come se per un m omento avessi dubitato dell'esistenza delle cose e quello sguardo mi rassicurass e. (Vocazione, in Feria d'agosto cit., p. 123). La ~ vocazione del protagonista rendersi conto di come il sogno sia fatto, in a ltri termini rendersi conto del perch delle cose o di se stessi, quel se stesso c he viene messo a nudo nel colloquio con ~Iasino, l'alter ego del protagonista. I1 risultato al solito la confessione della propria adolescenza, di agire come u n ragazzo, cio non moralmente in quanto il protagonista vive nel sogno come i rag azzi e come essi non vuol svegliarsi del tutto alla vita. Svegliarsi significherebbe rendersi conto dell'impossibilit di contrastare il des tino: ~ Svegliarsi peggio che avere paura. Da quel momento non puoi fare pi niente (Ib., p. 130). Co.s la constatazione della terribilit del destino si riflette in queste parole: a Mi pesava il c~Jore perch capivo che niente sarebbe accaduto; quel che poteva er a gi stato; ch'era tutto contenuto in quella stanza e in quella finestra )> (Ib., p. 131). I1 fallimento sul piano artistico di questo racconto cos interes82 sante non pu no n farci meclitare sull'irnportanza che esso ~a sul piano tecnico e tematico. In questo senso nel racconto c' gi tutto il Pavese futuro, qui ancora appesantito da inutili divagazioni, ma gi risolto nella sua poe tica matura. Sogf~i al campo un racconto singolare, lontano dalle tecniche usuali di Pavese. Un campo di reclusi, la fatica del risveglio~ i terrori notturni, lo sprofondars i nel sogno. Una atmosfera angosciosa che lo scrittore suscita, modellandola sullo sti]e ritm ato, facendo, dei tonfi pesanti del sangue che Sl risveglla, un Leitmotiv cupo e senza speranza. Il sogno qui non narrazione, non rifugio, secondo le teorie psicanalitiche, dove l'uomo ritrova il suo io pi segreto; il sogno qui l'assenza stessa, un'assenza c he si pro~unga nel giorno e clle molto probabilmente legata all'idea della reclu sione, al carcere della vita. Abbandonarsi al sonno, ai sogni un peccato per i reclusi perch: temevano di dover si poi riscuotere, a un richiamo esterno, per rientrare nel giorno . L'uso stesso del plurale indicativo della volont di fare di quel campo il destino stesso dell'umanit, ed alla fine, l'elusione del sogno esemplifica la condizione
di chi non pu n deve abbandonarsi ad una speranza che il giorno, la vita, gli can cellerarmo: Forse di notte ci accadeva veramente di sperimentare ci che di giorno tac~ vamo c on tanta cura. Di notte il nostro corpo s'involava di l dall'ultima baracca di l dalle colline si lenziose, se pure nel sogno ci sono ancora baracche e colline e non invece un ca mpo nero dove le cose traspaiono per luce propria e i terrori, le fitte le ansie ritrovamenti sono una cosa sola col tumulto del sangue che mugge nel buio. Gli eventi del sonno erano gi dimenticati prima ancora che accadessero, e di qui nasceva forse la tremenda fatica per riportarli in luce, per riportare alla luce almeno quel sangue e quel corpo in cui s'erano avverati. (Sogn~ al campo, in Fe r~a d'agosto cit., pp. 102-103). La narrazione metafisica di Sogni at campo pu, in un certo modo, introdurre il di scorso sui racconti--se di racconti si tratta e non di meclitazioni liriche--leg ati pi da vicino al mito ed alle sue possibilit: Il campo di granturco, La vigna, Nudismo, Il colloquio del ~ume. Nel Campo di granturco, il racconto incentrato suUe possibilit e su valore del ri cordo al contatto con i luoghi unici della nostra infarlzia. Al narratore-autore un campo di granturco evoca il grumo stesso della sua vita e del destino: Certi colloqui remoti si rapprendono e concretano nel tempo in figure naturali. Queste figure io non le scelgo: sanno esse sorgere, trovarsi sulla mia strada al momento giusto, quando meno ci penso. (Il campo di gran~urco, in Feria d'agosto cit., p. 15). Il campo da visione naturale diventa visione dell'anima in cui, per instaurare u n rapporto, non c' bisogno di parole, perch il campo le conosce gi, le conosce dal momento che clli lo rivede era ragazzo; la voce del campo, il ragazzo immemorial mente se l' portata con s, nella sua vita d'adulto ed ora essa lo chiama, lo attra e per fargli ricordare il momento in cui il campo diventato il ragazzo stesso e gli ha creato il destino: Queste cose acc~dono ogni volta che tni fermo davanti al campo che mi aspetta. i ~ come se parlassi con lui, bench il colloquio si sia svolto molti anni fa e se n e sial1o perdute anche le parole. ~ n1e basta quell'occhiata furtiva che ho dt:t to, e il cielo vuoto si popola di colline e di parvenze. (Ib., p. 17). Il racconto bellissimo si snoda cogliendo il tremore e lo stupore dell'anima di fronte al rivelarsi del mistero: veramcl1te il racconto pavesiano dal taglio per fetto in cui il personaggio lo stile. Pi costruito e pi complesso La vigna, che celebra il luogo unico, mitico, nella su a sacralit fuori dal tempo. Anche qui la rivelazione del mito legata al ricordo che associa destino ed esist enza al luogo. In Del mito, del simbolo e d'altro Pavese riconosce l'origine dei luoghi sacri n elle radure, nei monti, nei luoghi naturali che, per una coincidenza dell'animo, si caricano del senso sacrale e diventano l'assoluto. Qui, nel racconto, il luogo sacro e la vigna: Una vigna che sale sul dorso di un colle fino a incidersi nel cielo, una vista f amiliare, eppure le cortine dei filari semplici e profonde 0ppaiono una port~ n~ gica. Sotto le viti terra rossa di~sodara, le foglie nascondono te~ri e di 1~ dalle fo glie st~ il cielo. ~ un ciell~ ~empre tenero e rnaturo, do~e ~on mancano--tesoro e vigna anch'esse--le nubi di settembre~ Tutto ci familiare e remoto--infantile, a dirla breve ma scuote ogni volta, quasi fosse un mondo~ (La vig~a, in Feria d 'agosto cit~, p. 180). Le allusioni sono evidentissime: la porta magica, il tesoro, il tempo che si spr ofonda nell'attimo estatico, la discesa alle madri; ma pi evidente di tutto la su ggestione manniana.
Le cortine dei filari sono lo scenario attraverso il quale, sempre pi gi, si scend e nel pozzo del passato. Mann scriveva: L'insondabile si diverte a farsi gioco della nostra passione indagatrice, le nos tre mete e punti d'arrivo illusori, dietro cui, appena raggiunti, si aprono nuov e vie del passato, come succede a chi, camminando ]llngo le rive del n~are, non trova mai termine al suo cammino, perch ~lietro ogni sabbiosa quinta di dune, a c ui voleva giungere, altre ampie distese lo attraggono pi avanti, verso altre dune . (l~h. ~ann, Il po~zo del passato cit., pp. 13-14). Anche se Pavese tiene moltissimo alla sua originalit di scrittore e di teorico, n on dobbiamo dimenticare--e questo brano ne una prova--i profondi legami della su a cultura con quella del Novecento in cui cgli detiene un posto non piccolo. Certo ricordare nell'estasi <~ immemoriale ~ che quel luogo il nostro destino, d ivcnta il miele dell'anima , ma il dialogo che il ragazzo che fu e l'uomo che co minciano, poi il dialogo che Pavese estende a tutti i lettori; qui veramente il mito diventa logos, chiarezza. Il tema del nudismo, della nudit proibita e peccaminosa, ricorrente nello scritto re: da Lavorare stanca si spinge alle meditazioni diaristiche, ritorna in questo racconto confondendosi col selvaggio, e da qui in una sistemazione poliedrica-tra simbolica e narrativa--nel Diavolo sulle colline. Nel racconto Nudismo, il narratore trova un senso di misterioso e necessario app agamento nello spogliarsi nudo, nel prendere il sole, diventando radice e pianta in una forra selvaggia, quasi la natura cercasse di mimetizzare il bianco del c orpo per renderlo terra, tronco, presenza vegetale. Una vaga eco del panismo dannunziano ancora presente; ma il senso del racconto a ltro, l'attingere il proibito, il tentativo d'indiarsi per giungere ~35 alle sog lie del tempo e della coscienza e diventare cos presenza mitica, pura naturalit; a bbandonarsi al selvaggio male, perci ogni volta denudarsi significa opporsi alla natura che votrebbe velare il corpo e vestirlo, abbronzandolo, cos come i contadi ni, lavorando la terra, la vestollo di fiori e di frutti. Pi che un racconto riuscito, Nudismo il tentativo di dare voce al tema del selvag gio; purtroppo, le reminiscenze letterarie a2pesantiscono la narrazione, sospesa com', tra liriche preziosit ed una sensualit inquieta quasi che, al sir~bolismo di fondo, mancasse la forza di riscattare, sul piano stilistico, il racconto. Feria d'agosto si presenta quindi come il momento centrale del!a meditazione pav esiana: occorre ora che i temi accennati o risolti sul piano sage,istico o narra tivo, si maturino in canto disteso. Un legame assai stretto possibile instaurare tra i Dialoghi co~ Leuc ed Il comt~a gno, anche se, apparentemente, essi sono lontanissimi l'un dall'altro. La molla segreta di entrambi l'indagine e la ricerca del destino, inteso quest'u ltimo nei Dialoghi come maledizione e sublimazione dell'uomo e nel Compagno come storia esempli~cante. Scrive Mircea Eliade: ~ Les dieu~ dont parlait Bouddha dans le Dighanykaya et qu i tombrent des cieux lorsque leur mmoire se troubla, se rincarnrent hommes (M. Eliad e, My~ologie de la mmoire et de l'oubli cit., p. 602). Anche per Pavese la difEerenza tra dei e uomini sta nella conoscenza del destino che rende felici e sereni i primi, e nell'infelicit dei secondi che si dibattono per fuggire un destino che li condiziona da sempte. Ma il conflitto tra dei e uomirli non l'unico tenla del libro; in esso Pavese d v oce anche alle esigenze pi segrete della sua poetica: il mito s'incontra fatalmen te con il selvaggio, con l'orrore e la morte. Lo stesso uomo evoca dal fondo del suo animo i mostri, le cose, la selvaggia nat ura e le contrappone 86 al suo des~ino di cui si sente arte~ce e succube, ma all a fine, egli sar il ~ncitore, quando nena speranza e nel ricordo potr riscattarsi. Mnemosine concede ad Esiodo il dono del ricordo: Mnemosine.--Sei superbo, pastore. ~ai la superbia dal mortale. Ma s~r tuo destino sapere altre cose. Dimmi, perch quando mi parli ti credi contento?
Esiodo.--Qui posso risponderti. Le cose che tu dici non h~nno in s quel fastidio di ci che avviene tutti i giorni. Tu dai nomi alle cose che le fanno diverse, inaudite eppure care e familiari com e una voce che da tempo taceva. E come il vedersi improvviso in uno specchio d'acqua, che ci fa dire Chi quest'u omo? (Le muse in Dialoghi con Leuc Torino 19GO, p. 205). Perci vivere ricordare, nominare le cose, portarle a chiarezza: Mnemosine. -- Ogni gesto che fate ripete un modello divino. Giorno e notte, non avete un istante, nemmeno il pi futile, che non sgorghi dal s ilen~io deile origini. Esiodo.--Tu parli, Melete e non posso rcsisterti. Bastasse almeno ven~ rarti. Mnemosine.--C' un altro modo, mio caro Esiodo.--E quale? Mnemosine.--Prova a dire ai mortali queste cose che sai. (Ib., p. 208). La poesia cliventa l'altissimo dono e nobilt dell'uomo e con questo discorso Pave se tenta di distruggere il selvaggio e l'orrore che vivono in noi. Ecco perch i Dialoghi furono da Pavese considerati il libro suo pi amato, perch ess i sono s il canto disteso del mito e delle sue possibilit, ma anche desiderio etic o di una dignit ritrovata attraverso il recupero del mito dell'infanzia e del des tino, accarez amento della realt simbolica non perch essa serva d'oblio ai problem i della vita, ma perch diventi possibilit di sentirsi parte di un mondo e di una s ociet che avrebbe permesso allo scrittore di abolire la chiusura tra s e gli altri , di non essere relegato in un iperuranio di pura intelligenza. Dialog~i co~ Leuc pubblicato ncl 1947, per la stessa natura non romanzo, ma nemme no saggio o confessione lirica. La critica lo ha accostato ai grandi modelli di questo ~enere, Platone o Leopard i, tuttavia i Dialog/~i 87 sfuggono ad una sistemazione troppo categorica o defi nitoria: manca ad essi una sistematica forza speculativa come nei dialoghi plato nici n in essi ritroviamo la volont di definizione di un pensiero come nelle Opere tte morali. I Dialoghi con Leuc nella loro struttura tematica rappresentano l'incontro dei mo tivi etnologici e di quelli classicistici ma essenzialmente sono un libro di poe sia, un avvenimento unico nella nostra storia letteraria. Forse per questo, Pavese lo indicava, ancora nel 1950, come il suo lavoro pi diff icile e meno fortunato: <~ I Dialoghi con Leuc, quei dialoghi che sono forse la c osa meno infelice ch'io abbia messo sulla carta . La discussione sul significato dei Dialoghi stata assai proficua negli ultimi an ni e penso che per un retto intendimento dei motivi specialistici che in essi ri corrono sia utile rifarsi al saggio di Eugenio Corsini, Orfeo senza Euridice: i Dialoghi con Leuc ~ e il classicismo di Pavese, apparso nel volume miscellaneo de dicato a Pavese, in a Sigrna , nel 1964. Al di l del risultato poetico i Dialoghi svolgono completamente motivi ctnologici e classicistici. Che dall'etnologia Pavese risalga al mondo classico o da quest'ultimo alla scien za del mito un fatto attestato dai saggi di Feria e dalle note del Diario; da ve dere se tutti i motivi dei Dialoghi, anche quelli classici, abbiano una radice e tnologica. Corsini nega questa semplicistica affermazione, perci quest'analisi dei Dialoghi terr presente la grande divisione operata dal critico: i Dialoghi che hanno una c hiara radice etnologica sono quelli legati alla terra, ai riti dei popoli primit ivi in cui nell'uomo non ancora presente il senso dell'individualit: La bel~a, L'
ospite, Il lago, La madre, L'uomo-lupo, I fuochi. In essi gli dei non sono presenti o manca il contrasto caos-legge. Quelli invece che svolgono i contrasti tra il mondo preolimpico e la legge insta urata da Zeus sono miti classici: Le cavalle, I ciechi, La nube, La chimera, Il ~ore, La vigna, Gli argonauti, Il toro, La rupe, Schiuma l'onda, In famiglia ed infine i Dialoghi che contrappongono uomini e dei (I d2 e, Gli uomini, Il mister o, Il diluvio, Le muse e Gli dei, per citarne alcuni) sono pi vicini al mondo di Pavese ed alla sua ricerca del destino. 88 Le derivazioni di Pavese dall'etnologia sono indicate dal suo costante riferi mento all'opera del Frazer, mentre nell'incontro tra mito e classicit le ascenden ze pi vistose sono quelle della Mitologia tessalica di Paula Philippson e il Kerny i dei Prolegomeni--cio il Kernyi che subisce l'influsso di Jung--e quello de Le fi glie del sole. Poeticamente i dialoghi pi belli sono quelli in cui, al solito, i motivi individu ali del dolente pessimismo pavesiano, si assolutizzano nel racconto mitico: la d isperata ricerca del destino, la nobilt dell'uomo che non si rassegna a subirlo, il trionfo di questi sulla serenit e sul sorriso degli dei. In questi momenti Dialoghi diventano la poesia del destino, al di l di troppa fastidiosa ~ scienza )> che confina con tremori decadenti. Si prenda ad esempio La strada: il dialogo si svolge tra Edipo cieco e vagabondo ed un mendicante L'eroe accusa la sorte e il destino-- E la mia febbre il mio d estino -ma pi ancora, che essi siano fuori dalla scelta umana: Mendicante. --Ma Edipo, per tutti cos. Vuol dir questo un destino Certo i tuoi casi sono stati atroci. Edipo.--No, non capisci, non capisci, non questo. Vorrei che fossero pi atroci ancora, vorrei esser l'uomo pi sozzo, e vile purch que llo che ho fatto l'avessi voluto. Non subto cos. Non compiuto volendo far altro. Che cosa ancora Edipo, che cosa siamo tutti quanti, se fin la voglia pi segreta d el tuo sangue gi esistita prima ancora che nascessi e tutto quanto era Eppure la religio mortis che sempre presente in questa eterna immutabilit delle c ose e dei destini provoca in Pavese uno scatto, un sussulto che rovescia i termi ni: il destino non accettato, fatto parola diventa la grandezza dell'uomo: Mendicante. -- Chi lo sa? Quel che certo, dovevo cambiare. Si cerca una cosa e si trova tutt'altro. Anche questo destino. Ma parlare ci aiuta a ritrovare noi stessi. (P. 87). Nel dialogo Schiuma d'onda Britomarti e Saffo, divenute onde, parlano del destin o; per Saffo fuggirlo era <~ guardare nelle cose e nel tumulto, e farne un canto , una parola ~>; ma per essere dei bisognava accettarsi e ac- 89 cettare ~: solo in quel modo si poteva vivere sereni; ma Saffo, come mortale, non pu e non deve accettare ci che stata la causa del suo scontento e della sua infelicit. Ma il momento liricamente pi alto il dialogo L'inconsolabile. Orfeo parla ad una Bacca, rivelandole il perch non ha salvato Euridice, dopo la d iscesa agli Inferi. Che vale riportare in vita ci che fatalmente torner alla morte? Ci che stato sar . La sconsolata constatazione di Orfeo s'irmalza nell'evocare un passato che era u na stagione della vita non un passato che s'identificasse con Euridice perch non si ama chi morto . Il passato e il ricordo sono solo affidati al canto; foscolianamente, la poesia che custodisce e rende eterni i ricordi, non le persone che li suscitarono: Fu u n vero passato soltanto nel canto . In tal modo Orfeo ricerca non la persona amata ma se stesso: un destino se vuoi. Il mio destino non tradisce.
Ho cercato me stesso. Non si cerca che questo (p. 101). L'uomo crede di poter spezzare il destino, anche se non vi riesce, ma necessario , moralmente necessario, scavare in se stessi per ritrovarsi: :E necessario che ciascuno scenda una volta nel suo inferno. L'orgia del mio destino finita nell'Ade, finita cantando secondo i miei modi la vita e la morte (p. 102). La consapevolezza di Orfeo, del significato del proprio destino si assolutizza n ella ricerca umana di una sorte, che del poeta, di ricercare in s il dono da fare agli altri uomini: la poesia. Non sempre per l'uomo riesce a vincere il selvaggio, il torbido irrazionale che a l fondo della nostra coscienza e che Pavese drammatizza nel dialogo La belva, qu ello pi vicino al mondo ctonio, agli oscuri sussulti del subconscio e dell'intatt a verginit delle cose. Nella Belva, il mondo mitico quello del caos, della mancanza de]]a legge, dove o gni cosa dio: il mondo dell'indistinto a cui l'uomo non pu dare un nGme, perch nel nome la divina presenza terribile si riveler nella sua potenza. Il mito quello di Endimione che ha avuto la rivelazione di Artemide, ma non pu ne mmeno pensarLl, perch tale il comando della dea; come in sogno egli pensa alla se lvaggia, l'aspra ragazza il cui sorriso mortale. Endimione vive la sua vita in SOgl10 e nel 90 sogno-ve~lia ha la rivelazione: Non diciamo il suo nome. Non diciamolo. Non ha nome. O ne ha molti, lo so. Compagno uomo, tu sai cos~ l'orrore del bosco quando vi si apre una radura n~tLu rna? O no. Quando ripensi nottetempo alla radura che hai veduto e ~r~vcrs~to di giorno, e l c' un fiore, una bacca che sai, che oscilla al vento, e questa bacca; questo fior e, una cosa selvaggia, intoccabile, mortale, fra tutte le cose sel~agge? C~pisci qu~sto? Un fiore che come una belva? (Ib., p. 51). Poi l'apparizione di lei, la selvaggia tanto pi terribile, quanto pi vicina al ter mine wnano: Artemide c la Concia ~3i Il carcere, una magra ragazza selvatica che porta con s negli occhi il senso dell'immortalita e del proibito: La vidi che mi guardava, con quegli occhi un poco obliqui, occhi fermi, trasparenti, grandi de ntro... e le venne un sorriso, un sorriso incredibile, mortale (Ib., p. 52). Artemide la donna sognata da sempre da Pavese, come Concia aspra e magra, come l a donna amata, ha una voce un poco rauca, frcdda, materna . Negli occhi d'Artemide c' la bacca e la belva, c' l'urlo, la morte, l'impetramento crudele e come la donna amata, non pu dare ad Endimione che la voce rauca e mate rna, perci Endimione sceglie il sonno che lei gli comanda. Il viandante-dio gli dir: Ciascuno ha il sonno che gli tocca, Endimione. E il tuo sonno infinito di voci e di grida, e di terra, di cielo, di giorni. Dormilo con coraggio, non avete altro bene. La solitudine selvaggia tua )> (p. 55). Il 1947 si apre con la pubblicazione de Il compagno scritto l'anno precedente pa rallelamente ai Dialoghi con Le~c. Abbiamo osservato che il romanzo si lega strettamente alla tematica dei Dialoghi , poich in esso, il destino raffigurato nella figura di Pablo, ne il motivo ispir atore. Evidentemente Il compagno non solo il romanzo di un destino, ma anche il tributo che Pavese paga alla sua ideologia ed al nuovo impegno che l'iscrizione al part ito comunista e l'attivit di letterato militante esigeva. Negli scritti apparsi sull' Unit e su Rinascita , soprattutto nei Dialoghi col co ~n~agno, lo scrittore doveva giustificare il senso della propria opera ed il sig ni~cato che nel contesto storico post-resistenziale assumeva la figura dell'inte llettuale e l'adesione di questi all'ideologia di sinistra. A differenza di Vittorini e dei maestri della sua generazione, Pavese non crede all'identificazione tout court delle ragioni ideologiche con la poesia, non cred
e cio che scrivere significhi andare verso il popolo , secondo la tesi ben nota, n che necessariamente ci si debba risolvere ad una comunicazione con gli altri as trattamente accettata: al solito, esser scrittore significa accettare se stesso prima di tutto e non invece credere che basti impegnarsi in un discorso sociale per fare dell'arte: Accettare se stesso difiicile. Eppure il narratore, il poeta, l'operaio della fantasia intelligente deve arl7it utto accettare il destino, esser d'accordo con se stesso. Chi incapace d'interrogare le cose e gli altri, si rassegni e lo ammetta. Il mondo grande e c' posto anche per lui. Quel che non va battersi i fianchi per cavarne un ruggito che poi somiglia a un miagolo. (Di una n~ova le~teratura, in Lett. am., cit., p. 243). Le velleit ideologiche, anche generose, che furono il grande equivoco del periodo neorealista , non risparmiano tuttavia nemmeno Pavese, almeno per quel che rigu arda Il compagno, un romanzo scritto apparentemente per una doverosa arnmissione di fede politica; un romanzo che volontaristicamente proclamava la grandez%a de gli ideali nobili, del rispetto ,t~er gli altri, nell'affacciarsi alla vita resp onsabile di Pablo, il suonatore di chitarra della periferia torinese. Il compagno vuole essere il recupero delle ragioni ideologiche della resistenza attraverso la descrizione di un destino, quello di Pablo che dal buio della cosc ienza, giunge alla consapevolezza del perch si vive e si combatte; eppure, un eng agement di questo tipo, sentito pi come dovere che come necessit interiore, la rip rova che non basta scrivere un romanzo populista per diventar popolo~ che non ba sta svolgere attivit politica per colmare la frattura tra intellettuali ed operai . Meno clamorosamente di altri roman7i--si pensi ad Uomini e no di Vittorini-Il co mpa.~o attesta il fallimento di un indirizzo che avrebbe portato alla reorica del la Resistenza nella confusione di ragioni ideologiche, sociali ed umanistiche. Pavese perde il senso delle proporzioni creando una figura che 92 altamente mist ificata. Pablo pu essere--o crede di essere--operaio, ma i suoi gesti, le sue azioni, lo s tesso noioso ed ine~lciente parlato din ostrano stridentemente la radice intellet tualistica da cui prende vita. Il romanzo pavesiano della Res;stenza non questo, bens La casa in collin~. Nella Torino di periferia tra cantanti di variet, in un demi-monde, crepuscolare e di maniera, si svolge l'amore tra Pablo, suonatore dilettante di chitarra e pe rdigiorno e Linda, una sarta ormai nota. La donna stata l'amante di Amelio, amico di Pablo, ora immobilizzato al letto da un incidente motociclistico; c' nella donna una specie di vuoto morale che le im pedisce d'essere fedele ad Amelio come ora a Pablo, il quale in un certo senso g ode ad essere umiliato dalla volubilit di Linda che lo tradisce con un massiccio impresario di music-hall, Lubrani. Il periodo negativo della vita di Pablo, simboleggiato da Torino e dall'assenza di partecipazione ad un mondo di valori e di doveri termina con l'improvvisa dec isione di Pablo di lasciare Torino e Lincla. A Roma, dove si re~.i, I)al~lo nell'amicizia e nei contatti con uomini della Res istenza, dal Mag~iore legato all'opposizione borghese, a Scarpa, un umile eroe d ella guerra di Spagna, trova il senso di s ed il riscatto da un destino subito e non accettato. La prigione, l'affetto per Gina, il definitivo allontan2rsi da Linda sono le tap pe della sua educazione interiore. Torino e Roma, due citt, due momeni diversi della vicenda di Pablo Torino, la Tori no dei caff, delle balere, e del variet simboleggia la va canza morale di Pablo, i l suo farsi da parte di fronte alla realt delle cose la sua rinuncia a distinguer e tra bene e male, tra moralit ed indi~erenza. Ed a Torino che Pablo crede di poter cssere se stesso, suonando la chitarra, non cercandosi un lavoro. La chitarra uno svago, non deve rimpiazzare il lavoro:
Andando a casa ripensava a quelle facce. Chi lavora e chi no, dicevo. Serve a qualcosa lavorare quando un ~acchino e un miserabile qualunque hanno all a fine l'Identica faccia? Tra chi non sa dormire e chi va in ~-iazza avanti gior no, non c' una grossa differenza. Hanno i gelor~i tutti e duc. (Il compagno, in Romanzi, vol. I, cit., p. ~55). F, T inda, la donna che vuol essere indipendente, accentua l'irresponsabilit di P ablo, ora assecondandolo, ora rinfacciandogli la sua incapacit di far quattrini. Di fro - ~ lei, Pablo il solito ragazzo pavesiallo, che non ~a togliersi di doss o l'umiliante piacere di essere schiacciato dalla prepotente femminilit e sicurez za della donna: In quei giorni, ricordo, mi svegliavo di colpo; pensavo a Linda e mi pareva di a vercela accan~o. Ma poi stavo nel letto a occhi chiusi e pensavo a tutt'altro, mi pareva di averc i un grosso affanno e di essere come un bambino, pi sc,lo di un cane, aver fatto qualcosa di brutto e di senza speranza. Non avevo pi scampo, non osavo sentirmi, avrei voluto non svcgliarmi e morir l. Neanche l'idea che se un giorno avessi avuto Linda accanto l'avrei presa, mi bas tava. Mi faccio piet, questo il fatto. Ero come un bambino che mettono nudo sul tavolo e poi mamma e sorelle se ne vann o a casa. Nascondevo la testa e mi affannavo. (Ibtdem, p. 363). L'accenno stesso delle idee politiche di Linda serve a rappresentarcela nella su a dura volont di donna autosufficiente ed aspra: non far mai niente contro il Fas cio , ecco cosa comanda a Pablo. Un altro tratto caratteristico della poetica pavesiana che appare nel romanzo, e d legto a quello dell'adolescenza--si ricordi L'Idolo--, il rimandare equivocamen te, da parte del protagollista, ci che andrebbe chiarificato subito. Ci lo asservisce ulteriormente alla donna e gli toglie la possibilit di essere uom o. Pablo non ha il coraggio di chiedere a Linda se vede Lubrani di nascosto e quest a specie di complicit ribadisce la sua catena. Singolarmente l'origine autobiografca di Pablo si nota in uno sfogo del protagoni sta, che potrebbe essere benissimo una nota del Diario. Non l'impegno politico, ma al solito, la molla del destino, il rapporto con gli altri la nota pi segreta del libro: Lo guardavo e pensavo come sono le donne. Anche poche. Ancke Linda. Se per loro ogni uomo davvero lo stesso, tanto varrebl7e cile si dessero a uno s olo, che gli andassero dietro come il cane al padrone. E invece no, v~ 94 g~no sempre aver la sc-el~, e la scelta 1B fa~o mettendoli in sieme, giocando con tutti, cercando in tutti un tornaconto. Cosl stan male tutti quanti, e anche loro alla fine non hanno un amico. (Ibidem, p. 379). La scoperta della solitudine, dopo l'ennesimo tradimento di Linda, porta Pablo a lla determinazione di fuggire da Torino, per reagire al misterioso destino che i nvece d'essere subto andrebbe accettato: Tu Carletto --gli dissi--ti mai successo che una cosa era decisa da qualcuno prima ancora che tu la facessi? ?> (Ibidem, p. 401). L'aggancio con i Dialog~7i non potrebbe essere pi chiaro. Non quindi opposizione tra l'uno e l'altro libro, bens un rapporto che ben pi prof ondo del tema pi appariscente, ma generico, dell'impegno ritrovato come attivit po litica. Se in superficie i Dialoghi ed Il compagno sembravano riaprire la perenne autono mia pavesiana tra s e gli altri, in realt la poetica del mito agiva come il centro
coordinatore di due opere cos smaccatamente diverse. La deficienza stava nel fatto che nel Compagno, Pavese pensava ad un'incidenza, in una pi aperta adcsione politica, de~le ragioni sociali e di classe, dell'ideol ogia di partito sulla realt ultima del destino. Da qui lo stridore dei due piani, che esasperano il tono del romanzo gi di per s c ostruito in un dialogo che ci riporta ai modi di Paesi tuoi. Nel Compagno i personaggi parlano, fino a procurar fastidio o noia, in uno stile che mima il parlato hemingwayano, fatto di termini colti e di costruzioni diale ttali. Certamente qui Pavese pi scaltrito che in Paesi tuoi, tuttavia il risultato meno interessante poich, storicamente, la proposta di Paesi tuoi aveva un senso che al Compagno manca. Pavese non tradisce fino in fondo Ia sua prepotente individualit; ogni tanto la p agina si rawiva nella descrizione dei luminosi paesaggi in cui maestro: Poi veni mmo a pranzare e m'accorsi che in fondo a una strada era vuoto, sembrava il ciel o dietro una collina (p. 364). Gli undici capitoli ambientati a Roma e dedicati alla presa di coscienza di Pabl o, sono i plu deboli del romanzo. Il brusco passaggio che si opera nella coscienza del protagonista non sufficient emente motivato; c' un che di meccanico e di previsto in questa conversione, come se la nuova vita di Pablo, la 95 riscatta anche moralmente l'amore per Pablo. Fma1mente ne1 sole ancor tiePide Cuintbraccialetto d'oro al polso Sem che fossim o al mare. (Ibidem, p. 438). sulle c Il~M sembra, ad una primtt lltt~ra, la~l<d~le~ los~le=b~n a tro e ben plU Inquletante problema che q ello di un'accusa al mondo in Il romanzo racconta le notti bianche di tre giovani, Pieretto, Oreste ~ ~t ~ r ~ a vicino pi eg I a trl al suo mondo ed alla scelta che ha fatto. =~97 accende una polemica con Augusto Monti che gli rimprovera il suo gusto furi oso per la distruzione, la sua cupa ossessione di morte. Alle critiche, l~avese risponde con una lettera in cui tenta di analizzare i mot ivi ispiratori del romanzo: Il Davolo un inno giovanile di scoperta della natura e della societ: ai tre ragazz i pare tutto bello, e soltanto a poco a poco prendono contatto ciascuno a modo s uo con la sordidezza del mondo utile ,>--un certo mondo borghese che non fa nulla , che non crede a nulla, su cui non vedo perche dovrei tirsatraenzUanpovetica e umana la baldanza adolescente dei dernolitori intellett uali stici questo il tema del racconto e non si pu quindi crlncarlle le espressio nu intellettualistiche, paradossali senza perdere il preciso assunto dell'autore . (Lettere, vol. Il, cit., p. 460, 18 gennaio 1950). Sembrerebl~e, alle parole di Pavese, che la sostanza del libro consista nella ri bellione dei giovani al mondo che li circonda e nella corruzione della lvro sani t quand' messa di fronte alla malattia morale di Poli e Gabriella; Noi siamo convi nti che nel Diavolo non vi sia solo questo tema, ma che piu sottilmente fermenti no i motivi pi nascosti di una simbologia legata ai miti della terra e dell'umano , quando viene a contatto con il selvaggio, con 1 intoccabile e perenne forza de lla natura primitiva. I1 tema della festa che lega simbolicamente i tre romanzi, accorda il senso dell 'avventura al Greppo con la realt apparentemente banale di un mondo vizioso-- que llo di Poli e Gabriella. In Pavese e gi prima in Mann, il tema della malattia, assume significati profondi Come ne La montagna incantata la malattia non solo quella fisica, cos nella vice nda di Poli e Gabriella il ViZiO del rimo ed il rapporto con la seconda alludono a verit nascoste, all'impossibilita cio di ritrovare il senso della vita se non a
ccarezzando il senso della morte la droga che usa Poli oppure lo stendersi nudi nel pantano dei tre giovani per cancellare dai corpi le tracce della civilt sono gli aspetti di una saooezza sui generis che esalta la vita in presenza della mor te. ~8 ~ la religio~e della morte che Pavese recupera d~i cultori della scienz~ mitica e che accotda al suo prob~ema interiore. Non c' per compiacimento ne rifugio in questa presenza della morte, ma c' invece il senso di una necessita etica della morte per riscattare consapevolmente il pecc ato di un mondo che ha perso il senso dell'epifania del mito, pur conservandone i riti e le forme. Cos la festa non ha pi la forza di riscattare l'eroe, perch essa solo un gusclo vuo to di un rito di cui si perso il significato e perci eticamente Pavese sostituisc e al rito la necessit della morte come pegno morale, in quanto la morte significa accettazione della vita nella storia elusione del mito ed al fondo di tutto que sto, il prezzo che si paga il sacrificio Stendersi nudi violare il selvaggio o r icercarlo; c' nel gioco dei giovam quasi l'inconscio desiderio di farsi natura in toccabile, tuttavia ci significa tradire la propria umanit: Nell'afa estuosa della buca vedevo il cielo scolorito dal riverbero e sentivo olventata sotto il sole d~agOstovofaapquellidealldi PierettO che la'camp Que br1vldo di starcene nudi e saperlo, di nasconderci a tu/ti gli sguardi, e umano. (Il dtavolo sulle colltne, in Raccottti, vol. lI, cit., p. 79). La natura ricercata per imbestiarsi, per cavare il senso delll morte, alla fine diventa vizio: quel bagno era adesso per noi quasi un vizio, bench fossimo neri d appertutto (Ibidem, p. 185). Simbolicamente anche Gabriella ha il culto del sole da prendere nuda e questo el emento lega i destini dei personaggi in trame sottili. ne avvamo parlato sul biroCCO eqUpeilercrtat; Poli ci disse che prendeva il sole s egnata... Le diciamo di venire al pantano? (Ib., p. 206). Anche la terra che il tema centrale del libro, ha due aspetti. Nel Diavolo non ritroviamo pi la contrapposizione tra citt e campagna, ma qui la n atura esprime due momenti legati al concetto di malattia e sanit, in essa Vivono simbolicamente opposte le ragioni della terra che stimola all'operosit ed al lavo ro--Mombello e i cugini di Oreste--e la terra luogo del selvaggio e dell'ancestr ale--Il Greppo ed i suoi abitanti--. I cugini di Oreste lavorano, la fanno loro questa terra ed al senso morale di Pa vese tutto l'episodio si colora di nostalgia: A me piaceva soprattutto vedere dall'~lto il paese delle querce, quel Mombello t erra rossa, dove vivevano i fratelli. Ne parlammo una volta che Gabriella incuriosita, mi chiese se l ci stava la ragaz za dOreste. Le risposi che cera di meglio: due uomini in gamba che lavoravano le loro vigne e bastavano a s. (Ib., p. 216). La terra del Greppo invece esprime il peccato, l'assurdit del selvaggio mantenuto a forza nel mondo della storia: quell'idea che nei boschi il gran sole d'estate sappia di morte, era vero. Qui nessuno rompeva la terra per cavarne qualcosa, nessuno ci viveva: un tempo a vevano provato e pOl smesso t> (Ib., p. 215). ~,a terra selvaggia il simbolo del la situazone morale di Poli e Gabriella: Quell'abbandono, quella solitudine del Greppo, era un simholo della vita sbaglia la di lei e cli Poli. Non facevano nulla per la loro collina; la collina non f~ceva nulla per loro. Lo spreco selvaggio di tanta terra e tanta vita non poteva dar frutto che non fo
sse inquietudine e futilit. Ripensavo alle vigne di Mombello, al volto brusco del padre di Oreste. Per amare una terra bisogrla lavorarla e sudare. (Ib., p. 2i7). ~1 Greppo inutile cercare una ragione etica di vita, il diavolo sulle colline, col suo vizio assurdo, col senso furioso della distruzione e della morte Il gioc o dei protagoniSti si fa pi serrato: Gabriella conduce l'intesa tra un incontro e d uno scontro. Poli accetta la morte di Rosalba come un fatto naturale: ncssuno aveva colpa di niente; Rosalba era morta; stavano bene tutti e due ~, Oreste si perde dietro Ga briella ed il narratore ha la rivclazione che chi si mette nudo lo fa per il rus to di farsi terra, per violare una norma umana )>. L'azione si tende fino a culminare nella scena del ballo, al suono del blucs <~ molle e sincopato che scandisce l'amore di 100 O~i,e c~ Gabriella, nell'acccttaz ione cio di un destino oscuro che muove tutti i personaggi e che tutti ormai subiscono. Rimane solo iI sentore morte, di quella morte che cercata, voluta, adorata lugub remente si strada con l'arrivo degli amici milanesi ed il traco~lo di Poli che g li si o~re cinicamente, pronto a trovare la pace e la fine della sua solitudine: Sono i piccoli peccati che fanno la giornata. Giocarsi la vita in un viz-ietto, in cose da nulla. i~ tutto un mondo da scoprir e >~ (Ib., p. 260). Pavese sa bcne che la distinzione tra male e bene, tra salute e malattia non pi c os netta, cos apparentemente chiara come nella prima parte del romanzo o ancor pi n ella contrapposizione del mondo borghese di Linda con quello operaio di Pablo ne l Compagno. Il diavolo ha lasciato la sua traccia: consentendo al male, anche i giovani ne s ono influenzati ed alla fine la loro salvezza non opera cosciente, meditato rifi uto, etica scelta ma cieco destino che capricciosamente li ha risparmiati. Il destino in questi ultimi romanzi il motivo conduttore che serpeggia al di sot to della diversit delle trame e delle situazioni. Ancor pi che ne Il liat~olo sulle colline, nel terzo romanzo del trittico, Tra do nne sole viene posto in risalto l'aspetto della morte come il sacrificio richies to da un mondo che ha perso il senso ed il valore della festa mitica: Rosetta Mo la la vittima designata e come ogni vittima paga, innocente, la sua inadattabili t ad una societ ormai al di l di ogni salvezza. Scriveva Pavese a Monti: Qui non sono pi ragazzi, qui non si canta la scoperta, qui una dura espenenza di persona che lavora, che si fatta, che basta a s, viene a contatto con che? Col so lito mondo futile di chi non crede a nulla o crede a delle alle--soprattutto per ch scioperato--, e osserva questo mondo putrefarsi e uccidersi. Ma persino in questo mondo si cerca di salvare il salvabile la sui cida una vitt ima, in fondo ingenua, la pi innocente di tutti, e se muore perch di tutti l'unica ancora capace di sentire quel che le manca (salvo berlinteso la Clelia). (Lette re, vol. Il, cit., p. 460). Pavese accentra dunque il tema del romanzo sull'autosufficienza di Cleia e sulla corruzione del mondo borghese che pretende la vittima quella Rosetta in cui punt ualmente Pavese anticipa il suo suicidio come 101 u]~ a. desolata vok~nt di concl lldere un dialogo che egli credeva ormai inrerrotto ed inutile. I 'ambiente di Tra donne sole la Torino dell'alta borghesia dove ritorna Clelia una giovane donna che ha saputo costruirsi la propria vita nel lavoro, nella sol itudine che basta a crearsi un orizzonte fatto di lavoro e d'autosuf~lcienza.Cle lia viene a contatto con un mondo corrotto e frivolo di belle donne che sotto l' apparente eleganza nascondono spaventosi vuoti interiori: Momina, cinica e perve rsa, che inconsciamente domina Rosetta, la vittima votata al suicidio, Mariella stupida e innamorata, Nene, la moglie intelligente del pittore ~allito. E gli uomini, tutti protesi, avidamenie protesi a strappare, cogliere, usare le donne, ma che alla ~ne rimangono pure parvenze ombre che non sfiorano altro che
l'involucro delle loro compagne, partners di un gioco crudele e senza scopo. L'arco di una stagione, la stagione di Clelia che ritorna alle origini, principi a e termina simbolicamente col suiciclio di Rosetta, la quale persegue monotamen te, senza chiedersi il perch, la sua idea della morte, la sua ossessione cercata e voluta come UD destino. Non ci sono possibilit di scampo: Pavese in Tra donne sole ha dato la misura dell a sua disperazione, del suo furore tanto pi crudele quanto pi rattenuto e frenato dalla pagina stilisticamente impeccabile. Tra donne sole il punto d'arrivo della tragedia umana di Pavese; mai, come in qu esto romanzo, lo scrittore ci ha dato la misura di un vuoto morale che investe t utti gli aspetti della vita e dell'esistenza. I personaggi ruotano entro una sfera di incomunicabilit e d'egoismo che li rende priVi di ogni moto di piet o di umanit. Anche Clelia, il personaggio positivo, assiste impotente al dramma silenzioso ch e si agita attorno a lei; essa stessa una dracine che non pu ormai pi scegliere il p roprio destino, anche se apparentemente la sua volitivit sembra salvarla dalla so rte delle altre donne sole. L'ncora di salvezza potrebbe essere Becuccio, il geometra che sovraintende ai lav ori del negozio di moda di Clelia, ma la donna non pu pi tornare indietro: Becucci o il passato, fatto di privazioni, di stenti a cui si contrappone il presente: M orelli, Guido, l'amante lontano. Clelia 102 compie il ritorno al passato, quel passato che l'allontana dalla sua infanzla come il paese allontaner Anguilla nella Luna e i fal: Quello era tutto il mio passato, insopportabile eppure cosf diverso, ccsl morto. M'ero detta tante volte in quegli anni e poi pi avanti ripensandoci che lo scopo della mia vita era proprio di riuscire, di diventare qualcuna, per tornare un gi orno in quelle viuzze dov'ero stata bambina e godermi il calore, lo stupore, l'a mmirazione di quei visi familiari, di quella piccola gente. E c~ero riuscita, tornavo; e le facce la piccola gente eran tutti scomparsi. (Tr a donnc sole, in Romanzi, vol. Il, cit., p. 303). A ben guardare Clelia non dunque la donna che accetta il destino ma che ancora l o subisce, anche se dentro di lei si svolge la lotta per ottenere quella sicurez za che ha gi conquistato nella sua vita di lavoro. La sua debolezza traspare da accenni velati, quasi Pavese non volesse incrinare la saldezza della sua eroina in cui pare voglia identificarsi. La costruzione del personaggio Clelia l'estremo tentativo pavesiano di credere a d una vita che umanisticamente possa essere il prodotto delle nostre forze, dell e nostre capacit e ancora una volta, Pavese deve rifugiarsi nella tematica del mi to per ritrovare la risposta al perch della vita Clelia si salva o--come Pavese scriveva nei Dialoghi--non soccombe, perch accetta la sua solitudine e soprattutto rifiuta la consolazione dell'amore e del sesso. Le pagine pi tremende non sono quelle della morte di Rosetta, ma quelle in cui sd egnosamente Clelia dopo aver subito l'amplesso di Febo, gli si rivolge e dice: A desso ci lascia dormire? ~>, con quella tranquillit che il segno di una disperazi one profonda, ormai pla Pi complesso il rapporto Momina-Rosetta che lascia scorge re un grovlgllo profondo di disperazione e ferocia. Momina la figura pi irritante e corrosiva che Pavese abbia mai costruito: c' in le i la forza brutale con cui lo scrittore ha affrontato i momenti pi tristi della s ua esistenza, ma c'e soprattutto la presenza sconfortante della vita intesa come gioco pericoloso a cui si partecipa e si sta a guardare. ~ Momina che coltiva l a voca2i0ne al suicidio di Rosetta per pura amoralit. Il suo cinismo l'indice della sua impietosa aridit: Momina che mi stava raccontan do ~luanto 103 forte la prendesse a volta il disgusto--non la nausea di questo o di quello, di una serata o di una stagione, ma lo schifo di vivere, di tutto e di tutti, del tempo che va cos presto eppure non passa mai >), (Ib., p. 318).
Pavese tuttavia non ha la forza di descrivere la grandezza del male. Momina ri. mane una piccola perversa creatura, senza l'alone di tragicit propria delle grand i peccatrici e per questo il suo personaggio cos squallido ed irritante. La sua ferocia vuotaggine, la sua cattiveria puntiglio e pettegolezzo. Come pu ferire Rosetta? Nel modo pi banale, dicendole che il suo gesto non era sta to elegante, ma goffo: Io capisco ammazzarsi... ci pensano tutti... ma farlo ben e, fallo che sia una cosa vera... Farlo senza polemica... Tu invece mi hai l'aria di una sartina abbandonata... (Ib., p. 327). La falsa sicurezza di Momina l'appiglio teso a Rosetta per accarezzare ed alla f ine attuare il suo senso della morte. Rosetta la proiezione dell'adolescente che si fa un modello dell'adulto,--in que sto caso Momina--; aveva pensato a tante cose, ai loro discorsi, al coraggio di Momina ch'era disgustata della vita pi di lei e diceva: " Per uccidermi aspetto l a bella stagione, non voglio esser sepolta con la pioggia " (Ib., p. 331), in un rapporto di negativit che esclude ogni possibilit di salvezza in quella societ e n el mondo. Rosetta il personaggio pi debole, ma il pi coerente proprio perch capisce che la sa lvezza sta nel suicidio, mentre le altre donne sole proseguono la loro vita intr ecciata d'ambiguit e di crudelt. Pavese d alla figura di Rosetta un tono d'altissima elegia, la riveste di una pie t consolatrice che riscatta il suo gesto rendendolo, se non accettabile, giustifi cato. In un mondo senza valori, l'unico modo di gridare la propria protesta silenziosa sparire dalla scena: Nel suo ambiente non si pu star soli, non si pu far da soli se non levandosi di mezzo . Certamente non questa la via da se~uire, ma Rosetta, un personaggio vinto , non pu cercare e trovare altra soluzione. Il romanzo ha un momento d'altissima poesia nella descrizione della morte di Ros etta. Al di l degli ovvi e facili accostamenti della morte della giovane a quella di Pa vese, ritroviamo l'eco e le cadenze di un libro che lo scrittore aveva molto ama to: Tre esistenze 10~ della Stein. Nel racconto di mezzo, Mela~ctha, l'accadere delle cose, l'oggettivit con cui que ste vengono narrate, nascondono il fremito lirico in uno stile rattenuto, creano una situazione che forse Pavese aveva ben presente. E la morte di Melanctha ha lo stesso stupore, la stessa apparente serenit con cui s'accetta l'accadere, che ritroveremo nella morte di Rosetta. A mezzanotte seppi il resto della storia. Pass Momina in albergo e mi disse che Rosetta era gi a casa, distesa sul letto. Non pareva nemmeno morta. Soltanto un gonfiore alle labbra come fosse imbronciata. Il curioso era stata l'idea di a~1ttare uno studio da pittore, farci portare una poltrona, niente altro, e morire cos davanti alla finestra che guardava Superga. ~n gatto l'aveva tradita--era nella stanza con lei, e il giorno dopo, miagoland o e graffiando la porta, s'era fatto aprire. (Ib., p. 381). Morire cos , il ritmo dell'accadere espresso da questa frase desolata che riassum e il significato di tutto il romanzo: la solitudine che non basta pi a se stessa e che neanche il dialogo con gli altri pu colmare. La capacit pavesiana di descrivere atmosfere d'ambiente in Tra donne sole fallisc e la prova poich l'ambientazione borghese del romanzo quanto mai astratta e a vol te sbagliata. Lo scrittore sembra lasciarsi prendere la mano dalla minuta descrizione d'intern i fastosi e di lusso, senza per coglierne l'essenza o la caratteristica: perci i s aloni, gli alberghi, le boutiques di lusso hanno qualcosa di provinciale e di fa lso, quasi quinte innaturali in cui si agitano i personaggi, mai descritti fisic amente, ma colti nella loro caratteristica interiore dal dialogo che la cosa pi b ella e riuscita del romanzo, la pi bella conversazione poetica che possa incontra rsi nella nostra narrativa d'oggi , come la defin Emilio Cecchi.
Con Ta casa i~ collina e La luna e i fal ci troviamo di fronte all'ultima, pi preg nante antinomia pavesiana: la storia ed il mito. Ho voluto accostare i due scritti maggiori perch in essi, senza pi indugi e ripens amenti, si rivelano le due radici pi profonde dell'arte pavesiana, una che a~ronta la 105 storia ed i suoi problemi senza pi ricorrere alla simbolicit del mito. l'a ltra che allontana la storia nel ricordo e la carica di significati profondi tra sformando la presenza delle cose in un assoluto fuori del tempo, dove ogni gesto , ogni personaggio allude ad una realt autre chiaramente e potentemente simbolica . ~i proprio nella duplice risposta che Pavese d alla sua presa di contatto col m ondo e con la realt interiore che va indicata la forza e l'importanza dello scrit tore e della sua opera. La soluzione mitica della visione delle cose e del mondo altrettanto valida dell a soluzione oggettiva, privata dai suoi schemi metaforici. L'impossibilit della scelta ed il dramma che ne scaturisce sono all'origine dell' esemplarit della scrittura di Pavese: il realismo lirico, l'oscillazione tra un'i mmediata adesione alle cose, che non signilSca per naturalismo, e la loro trasfig urazione nell'elegia e nel ricordo concludono l'arco della poetica riproponendo nei due romanzi maggiori tutto il percorso difficile e tormentato dell'arte pave siana. La casa in collina il capolavoro di Pavese e nello stesso tempo uno fra i pochi grandi romanzi che la Resistenza abbia ispirato. Tra ]a massa di testimonianze, cronache, trasGgur.-zioni elegiache che l'epopea del moto resistenziale ha prodotto, I a casa in colli~la si stacca nettamente pe r la capacit di mettere in luce non solo la grandezza del movimento, ma anche i t urbamenti, le angosce, il ~allimento di un uomo di fronte ad un compito che non sa n pu affrontare, se non stando a guardare. Il peccato di Pavese, la diretta consegucnza del suo stare alla rmestra, viene c onfessato nel romanzo con accenti straordinariamente umani, smantellando, alla f ine, le barriere tra il mondo e s clle il mito innalzava, non rifiutandosi alla s toria ma offrendosi ad essa rivestito della propria umanit e della coscienza di c i che si fa. Scritto tra il settembre del 1947 ed il febbraio del 1948, La casa in eollina ve nne pubblicata nel 1949 assieme ad Il carcere con il titolo complessivo di Prima che il gallo canti. Abbiamo gi accennato al tema comune che lega i due romanzi e che il titolo sottol inea. Essi partono da una premessa identica: la ricetca di s e della propria relazione con il mondo e con i gli altri; ma, mentrc nel Carcere il ricordo diventa l'alib i dell'impossibilit di uscire da una destino che ci sfugge e ci danna, La casa in collina affronta il mancato contatto con gli altri, l'impossibilit di partecipar e alla storia senza pi compromessi o giustil;cazioni. Il tema era gi stato affrontato in un racconto antecedente, La famiglia, senza pe r quell'ambientazione storica che rende La casa in collina un unicum irripetibile nella storia poetica pavesiana; Corrado, il protagonista, professore di scuola, vive un'esistenza solitaria nella Torino scolvolta dai bombardamenti degli ulti mi anni di guerra. Solo, senza un amico o una casa propria, passa le giornate tra l'insegnamento in citt e la sua stanza d'aiitto in una villa sulle colline che circondano Torino, b landito e circuito da una matura signorina dalle voglie represse. Fortuitamente Corrado incontra Cate che fu un tempo sua amante e tra i due s'ins taura un rapporto complesso perch Cate ha la sicurezza della donna e Corrado l'am mira con quel misto di tenerezza e d'invidia di chi non ha pi forza per parlare c on gli altri, di chi si fatto della guerra il rifugio precario della propria sol itudine. L'incontro e i discorsi con i partigiani scuotono l'indifferenza di Corrado ed i n questo mutamento l'aiuta l'afEetto per Dino, il ~;glio di Cate a cui il protag onista si sente legato e che sospetta sia il figlio nato dalla relazione di lui con Cate, ma senza che la donna voglia mai ammetterlo. Dopo l'armistizio la situazione precipita: Corrado si rifugia in un convento, pe rde i contatti con gli amici, con Cate e Dino, poi intraprende il lungo cammino
per ritornare al paese natale, tra gli orrori che la guerra semina e che gli scu otono la sua orgogliosa fiducia nella solitudine, anche se ormai tardi. Il ragazzo non pu pi diventare uomo. Corrado il testimone che pur rifuggendo dalla soluzione dei problemi, giudica pe r ci che lo circonda senza amhiguit, senza inutili eroismi e in lui l'impossibilit d ella salvezza dell'uomo che la conclusione a cui giunge, non viene trasposta fuo ri dal tempo, nell'intemporale momento mitico, ma nella storia. Non per nulla la categoria m! !e a cui appartiene il termine ragazzo si lega nel romanzo con i concetti di solitudine ed immaturit: M'accorgo adesso che in tutto quest'anno, e anche prima, anche ai tempi 107 dell e magre follie, dell'Anna Maria, di Gallo, di Cate, quand'eravamo giovani e la g uerra una nube lontana, mi accorgo che ho vissuto un solo lungo isolamento, una futile vacanza, come un ragaz~o che giocando a nascondersi entra dentro un cespu glio e ci sta bene, guarda il cielo da sotto le foglie, e si dimentica di uscire mai pi. (La casa in collina, in Racconti, vol. Il, cit., pp. 129-30). La futile vacanza la constatazione di non aver capito a tempo i pro. blemi dei propri simili, cio dove stesse la ragione o il torto; qui non si tratta , come stato grossolanamente detto, della condanna dei valori della resistenza, ma anzi della pietas con cui Pavese osserva gli uomini, il mondo, le cose. Se lo scrittore descrive oggettivamente la crudelt dei bombardamenti e la caccia agli uomini divenuti bestie feroci se c' la testimonianza diretta dell'orrore del mondo, tuttavia questa lucida coscienza, questa constatazione di ci che , diventa altissima lezione morale proprio perch lo scrittore non si rifugia negli schemi consolatori clel mito, ma accetta eticamente il mondo anche nella sua miseria, i n altri termini, non rifiuta la storia. ~, finalmente, acconsentire al destino, non inteso come ineluttabilit ma calato nella storia e nell'azione. Il nuovo stoicismo pavesiano consiste nel prendere atto del non-valore delle cos e senza lasciarsi andare, ma accettando il prezzo che questa idea impone: l'acce ttazione della solitudine che pone il protagonista nella sua condizione di uomo senza qualit, di adulto dalla coscienza di ragazzo: Con la guerra divenne legittimo chiudersi in s, vivere alla giornata, non rimpian gere le occasioni perdute. Ma si direbbe che io la guerra l'attendessi da tempo, che ci contassi, una guerr a cos~ insolita e vasta che con poca fatica, si poteva accucciarsi e lasciarla i nfuriare sul cielo della citt, rincasando in collina. Adesso accadevano cose che il semplice vivere senza lagnarsi, senza quasi parlar ne, mi pareva un contegno. Quella specie di sordo rancore in cui s~era conchiusa la mia giovent trov con la g uerra una tana e un orizzonte. (I~., p. l0). L'unica possibilit;i che Corrado ha cli non eludere fino in fondo se stesso, que lla di accettare e di accettarsi; acccttare il ragazzo che in lui, ]a su108 peri orit cli Cate e dei compagni, ma accettare soprattutto la propria solitudine. Per vivere occorre a Corrado: Il coraggio di starsene soli come se gli altri non ci fossero e pensare soltanto alla cosa che fai ed in tal modo si accetta la st oria e gli altri (Ib., p. 53). L'estraneiL di Corrado a ci che accade--quell'accadere che il Leitmotiv segreto de l libro--alla l'ine viene scossa dalla presenza della morte, dalle conseguenze c he porta con s il rifiuto di partecipare al destino degli uomini: Si ha l'impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi, tenga noialtri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi. Non paura, non la solita vilt. Ci si sente umiliati perch si capisce -- si tocca con gli occhi -- che al posto d el morto potremmo essere noi: non ci sarebbe di~erenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra una guerra civile: ogni caduto somiglia a clli resta, e g
liene chiede ragione. (Ib., p. 130). La casa in collina dunque il capolavoro di Pavese, un romanzo che per un momento sembra risolvere e dissipare le paure, le ansie di un uomo cos tormentato, nella limpiclit della pagina e nella sicurezza del taglio narrativo. Anche l'elemento mitico, che si avverte e compare nel rapporto del protagonista con Dino, nel tentativo di Corrado di penetrare la felice et dell'adolescenza, no n ha pi il potere catartico di risolvere il dramma, rimane come presenza poetica, come indicazione di certe zone dell'animo pi nostalgicamente rimpiante che perse guite per cercar di chiarirne il misterioso fondo. La presenza della collina non presenza del luogo unico ma rimpianto e sapore di giovinezza: Dietro ai coltivi e alle strade, dietro alle cose umane, sotto i pie di, l'antico indifferente cuore della terra covava nel buio, viveva in burroni, in radici, in cose occulte, in paure d'infanzia (Ib., p. ll), ed in questo rimpi anto, nell'ostinazione a restare ragazzo si consuma il dramma di Corrado e la su a pena-condanna. Scritto nel 1949 La lu~a e i fal esce nel 1950: Anguilla, il narratore, torna a] proprio paese delle Langhe, dopo aver viaggiato e fatto fortuna in America. La guerra appena finita: delle poche persone conosciute che rimangono, solo Nuto , il suonatore di clarino, l'amico che ha ragrgiunto la maturit, accoglie il redu ce e lo accompagna nelle peregrinazioni verso il 109 passato. Nella cascina in cui venne accolto, piccolo bastardo, da Padrino e Virgilia per aiutare nella dura fatica della campagna, ora vive Valino ed il giovane Cinto, u no storpio che si lega d'affetto ad Anguilla. Nel paese c' la vita di sempre, stravolta per sotto l'apparente immutabilit, dalla guerra e dagli ocll che essa ha portato con s. Invano il reduce ripercorre le strade della memoria: la cascina della Mora, le p adroncine Irene, Silvia e la piccola Santa. Tutto mutato e cambiato, anche il ricordo di Santa s'infrange allorch Nuto gli ra cconter della fine della ragazza, uccisa e bruciata dai partigiani perch spia dei tedeschi. La terra ha voluto il suo tributo di sangue e di morte. Al reduce non resta che accettare la sua estraneit al paese, partire e ria~ermare la propria solitudine. L'eterna dicotomia pavesiana si ripresenta con La luna e i fal in cui le stesse r agioni che stanno al fondo de La casa in collina--la gucrra~ la solitudine, s e g li altri--non servono pi a prendere coscienza della storia, ma per fissare il des tino umano in un mito privato ed universale che prende forma attraverso il ricor do ed il simbolo a cui assurgono le presenze familiari: il paese, la collina, le feste, i fal. Mai come in questo libro elegia e liricizzazione, ricordo e simbolo, tendono a r imandarci ad una realt autre, atemporale dove ogni cosa si fissa nella sua magica presenza e rimanda indietro, sempre pi gi nel pozzo del passato, il reduce che to rna per ritrovare le proprie radici. Il lungo lavoro di Pavese giunge qui alla meta: la campagna, i luoghi dell'infan zia, le presenze che lo hanno accompagnato trasformandosi in miti nella sua lung a ricerca di un dialogo aperto di s con se stesso e di s con gli altri, si conclud e e si placa trasformata in ricordo, nella triste elegia di un ritorno impossibi le. La l~na e i fal il libro pi autobiografico di Pavese, rna anche quello dove l'auto biografia viene fltrata e distanziata in una contemplazione serena, senza i sussu lti e gli strappi improvvisi dei romanzi precedenti La contemplazione del destin o, Ja mesta rinuncia a ritrovare se stesso vengono ritmati dai tre momenti in cu i il romanzo costruito: il ritorno e la ri 110 cerca; il ricordo e l'elegia; la me~ita~ione sul presente e sulla storia che trasforma e muta il passato. La trepida fiducia di Ai1guilla nelle possibilit del ritorno s'alimenta delle pre senze mitiche, unicl1e~ dei luogl~i a cui torna: la valle del Belbo, Canelli, 'a porta del mondo ~>, Gaminel]a ed il paese sono le voci che dal fondo dell'animo lo inducono al viaggio nel passato: Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carlli sono bu~ne e si equivalgono, ma per questo che uno si stanca e c erca di mettere radici, di farsi terra e paese, perch la sua carne valga e duri d
i pi che un comune giro di stagione (La l~na e i f~l, in Racco~ti, vol. Il, cit., p. 385). Si afEollano i fantasmi del passato: Padrino, la Virgilia, la cascina di Gaminel la. La narrazione procede su di un duplice piano: realt presente e ricordo che s'intr ecciano nella figura del protagonista, il quale, rivisitando i luoghi della sua infanzia, vorrebbe ritrovare la coscienza di s, la sua non-estraneit dal luogo che gli ha dato la primitiva conoscenza delle cose: a Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c' qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti ~> (Ib. , p. 387~. Ecco dunque che Pavese ricorre ancora una volta allo schema metaforico per allud ere a realt ben diverse e profonde, perci la stilizzazione, il ritmo stilistico, s ono il fatto pi grandioso e pi complesso del romanzo. L'intrecciarsi dei piani narrativi, il continuo uso della tecnica del l'1as~ bac k, la stessa scansione a nuclei interni, testimoniano di una perizia straordinar ia e di una padronanza assoluta dello stile che in questo romanzo diventa la pre senza pi tipica, quella tecnica del raccontare che Pavese voleva fosse l'unico pe rsonaggio del romanzo. Al motivo del ritorno si aggunge quello della duplicazione di un destino. Cinto ripete la vicenda di Anguilla e come quest'ultimo miticamente si accosta a l mondo per conoscerlo. L'incontro tra l'adulto ed il ragazzo, il grande tema poetico pavesiano, si ha n el luogo che ha fissato il destino di Anguilla e sta per fissare quello di Cinto : Era strano come tutto fosse cambiato eppure u~uale. Nemmeno una vite ~I rimasta delle vecc!lie, nemmeno una bestia; adesso i prati erano stoppie 111 e le stoppie filari, la gente era passata, cresciuta, morta; le radici franate, travolte in Belbo -- eppure a guardarsi intorno, il grosso fianco di Gaminella, le stradette lontane sulle colline del Salto, le aie, i pozzi, le voci, le zappe , tutto era sempre uguale, tutto aveva quell'odore, quel gusto, quel colore d'al lora. (Ib., p. 405). Ma anche Cinto non pu radicare al paese il reduce; la cliscesa alle Madri stata i nfruttuosa. Riprendere possesso delle cose vuol dire nominarle e l'evocazione riproporr in un 'aura atemporale la conoscenza, che si fa lirismo nella narrazione, del paesaggi o, delle persone, del mondo sotto la specie simbolica: Gaminella, la Mora, ed i suoi abitanti, la collina, la vigna, la terra e la stessa America, la mitica Ame rica della giovinezza di Pavese, che ritorna col suo carico intatto di fascino e d esotismo. L'America il mondo che finisce come finisce il paese delle Langhe: Anche l'Ameri ca finisce nel mare . Con una perfetta sensibilit del taglio narrativo, Pavese dispone la materia in mo do da creare un duplice piano: l'evocazione prepara il ricordo ed il ricordo rip orta al presente. La parte centrale del romanzo dai capitoli XIV al XXV narra il mondo della Mora e dell'adolescenza. Rievocati dal ricordo i personaggi della Mora ritornano come presenze inquietant i, un tempo amate ed ora non pi consolatorie. L'apertura del XIV capitolo tra le cose pi alte scritte da Pavese: Pareva un destino. Gerte volte mi chiedevo perch, di tanta gente viva, non restassimo adesso che io e Nuto, proprio noi. La voglia che un tempo avevo avuto in corpo (un mattino, in un bar di San Dievo, c'ero quasi ammattito) di sbucare per quello stradone, girare il cancello tra i
l pino e la volta dei tigli, ascoltare le voci, le risate, le galline, e dire Ec corr.i qui, sono tornato ~> davanti alle facce sbalordite di tutti,--dei servito ri, delle donne, del cane, del vecchio--e gli occhi biondi e gli occhi neri dell e figlie mi avrebbero riconosciuto dal terrazzo--questa voglia non me la sarei c avata pi. Ero tornato, ero sbucato, avevo fatto fortuna--dormivo all'Angelo e discorrevo c ol Cavaliere--, ma le facce, le voci e le mani che dovevano toccarmi e riconosce rmi, non c~erano pi. (Ib., p. 435). 112 Il mondo felice della Mora, la bellezza cli Silvia, Irene, non sono piu, il passato non ritorna ed il presente ribaclisce il destino dell'esule: la solitudi ne. Se in La casa in collina la guerra non era pi retrocessa a sfondo mitico, emblema dell'orrore del mondo, ne La luna e i fal, essa perde la sua storicit per farsi s imbolo di una tragedia umana. Il destino di Santa ribadisce questo carattere simbolico della vicenda e dei suo i momenti, come del resto quello di Valino, della sua pazzia, delle fiamme che a ppicca alla cascina, quasi tributo destinato e voluto dalla potenza dei fal. L'uccisione di Santa, narrata da Nuto,--il personaggio positivo, un Pablo che ha preso ben altra coscienza del mondo e della vita--, la sua attivit di spia corro tta, non sono dati realistici che possano illuminare una determinata situazione storica, ma ripetono il rituale mitico del sacrificio. Santa morir e verr bruciata perck la terra esige il sacrificio dei fal per ritornare feconda ed il libro si chiude con l'identificazione di questi motivi: Ci pens Baracca. Fece tagliare tanto sarmento nella vigna e la coprimmo fin che bast. Poi ci versammo la benzina e demmo fuoco. A mezzogiorno era tutta cenere. L'altr'anno c'era ancora, il segno, come il letto di fal. (Ibidem, La ricerca disperata della ripeness sembrerebbe concludersi con la negazione del la raggiunta maturit che n la storia n il mito possono conquistare. Il nuovo amore, Constance Dowling, torna in America ed il canto di Verr la morte e aur i tuoi occhi, dopo una momentanea felicit, fissa il destino nell'impossibili t di attingere la conoscenza non solo della persona amata, ma anche di se stesso. Verr ta morte e avr i ~uoi occhi, la raccolta del]e poesie scritte nel 1950, concl ude l'arco poetico pavesiano riproponendo una tematica che gi lo scrittore aveva sperimentato nei tardi componimenti di Lavorare stanca e nella b reve raccolta poetica di La terra e la morte nel 1945. L'argomento unico, ossessivo di queste poesie la donna, la liricizzazione di que sta ottenuta attraverso la metaforizzazione assoluta nei grancli temi >~ della p oetica pavesiana. La donna la terra: a terra rossa terra nera, / tu vieni dal mare ~>, tu sei come una terra >~, ~< una terra che attende / che non dice parola ~>, <( sangue di t erra dura , di salmastro e di terra / il tuo sguardo . Essa la vigna e il vento: sei vigna , sei la terra e la vigna , sei radice feroc e / sei terta che aspetta . La donna vento ma soprattutto la vita e la morte: il tuo passo e il tuo fiato / come il vento dell'alba / sommergono le cose , hanno detto un tuo nome / ricomin cia la morte , sei la terra e la morte >~, sei la vita e il risveglio , ...0 car a speranza, / quel giorno sapremo anche noi / che sei la vita e sei il nulla , v err la morte e avr i tuoi occhi . La liricit di queste poesie significa l'adesione piena, asso]uta ad un canto che non ricerca pi l'oggettivit come salvezza, ma risolve in uno splendido ritmo l'amo re unico, assoluto per la donna. Non a caso Lavorare s~nca si esauriva in una scelta soggettiva in cui la donna r iviveva nella sua unicit come metafora della vita e della natura; ma nella Terra e la morte, dove c' anche il rimorso per la mancata partecipazione alla resistenz a, e ancor pi iII Verr la mor~e e aur i tuoi occhi, la donna non pi e solo il termin
e di paragone della realt simbolica, ma la realt, la speranza e la disperazione. Il verso lungo pavesiano si speZZa nella misura del senario, del settenario e de l novenario, dove la musica fluisce dolcissima nel ritmo cantante accentuato dal l'enjambement. I nodi dell'es~erienza umana ed artistica dello scrittore sono ritmati dal ritor no alla poesia e Verr la mortc 114 e avr i tuoi occhi rappresenta l'estrema possib ilit di un'espressione dove le dicotomie pavesiane si risolvono nell'accettazione del lirismo come unico mezzo stilistico. Un ritratto pavesiano ben lungi dall'esaurirsi in queste che sono ovviamente sce lte critiche dettate da un'adesione non solo all'arte, ma anche all'eroica esper ienza esistenziale delio scrittore. C' stato un momento in cui si veniva costruendo un caso Pavese con tutie le assur de conseguenze di una polemica che investiva pi il suo atteggiamento umano e poli tico che la effettiva portata del suo altissi.no magistero etico ed artistico; m a se la storia dell'uomo pu apportarc una certa chiarezza ncl configurarsi e nell 'atteggiarsi di certi valori, essa risulta sterile se non si appoggia ad una vis ione pi ampia che includa non solo l'uomo, ma anche e soprattutto il poeta e la s ua opera. Nell'articolarsi complesso dei suoi momenti possiamo cogliere l'unit e la prismat icit dell'opera pavesiana, per cui il pericolo nel quale il critico pu incorrere q uello di dimenticarsi di questa complessit entro cui si struttura l'opera e la vi ta dell'autore: etnologia, classicismo, americanismo, metaforizzazione ed esperi menti linguistici sono parti e non tutto di un'arte che ha come centro motore un a forza morale non comune, un virile impegno ed una volont di comunicare con gli altri atrocemente sofferti per il sentirsi diverso e come uomo e come scrittore; mezzi perci e non fine di una tra le voci pi alte e complesse della letteratura d el Novecento. FINE.