Le Avanguardie Russe
Le Avanguardie Russe
Le Avanguardie Russe
avanguardie
russe
di
Francesca Depalma
1
Le
avanguardie
russe
di
Francesca Depalma
2
Le
avanguardie
russe
INDICE
INTRODUZIONE........................................................................................................4
BIBLIOGRAFIA...........................................................................................................42
3
INTRODUZIONE
Le Avanguardie Russe si inscrivono all’interno del fervente panorama
artistico e culturale dei primi anni del Novecento. Tutti i movimenti
nati in questo periodo in Europa avevano come denominatore comune
il desiderio di rottura con il passato, una grande voglia di rinnovamen-
to e di sperimentare nuove vie per l’espressione artistica. Questo ha
portato a denominare tali movimenti “avanguardie”, termine che nel
linguaggio militare indica il reparto che precede il blocco forte del-
l’esercito per aprirgli il varco, e nell’arte indica quei movimenti che
aprono la strada a nuove espressioni artistiche, proiettandosi verso il
futuro e lasciandosi dietro il passato e la rigida arte accademica.
4
LA RUSSIA TRA OTTOCENTO E NOVECENTO
Gli anni dalla fine dell’Ottocento agli inizi del Novecento vedono un
susseguirsi in Russia di movimenti e ribellioni all’arte precedente, alla
ricerca di un modo più nuovo e libero di esprimere la propria arte. I
primi furono i cosiddetti pittori “Itineranti”, gruppo di 13 pittori e uno
scultore guidati da Ivan Kramskoj (1837 – 1887) che per primi si ribel-
larono all’Accademia d’Arte di San Pietroburgo nel 1863, negli anni in
cui lo zar Alessandro il Grande aveva concesso l’affrancamento dalla
schiavitù ai servi della gleba, e gli intellettuali e gli studenti russi sento-
no il dovere di educare le plebi incolte delle campagne. I Peredvizhniki,
cioè gli “Ambulanti” o “Itineranti”, contrastavano la pittura accademica,
e giravano l’intero Paese per conoscerne e raccontarne la sua realtà,
con un contenuto e una forma realistici comprensibili per tutti, anche
per i più ignoranti. Artisti principali di tale movimento saranno Vasilij
Perov (1883 – 1982) e Konstantin Makovskij (1877 – 1962).
5
Il realismo dei pittori “Itineranti” viene però contrastato dal gruppo
del “Mondo dell’Arte” di Pietroburgo, cosmopolita ed elitario, che
contrastava quelle “calzature di paglia intrecciata e gli stracci” presenti
nelle opere di questi pittori. Il “Mondo dell’Arte” era più vicino alle
tematiche degli scrittori simbolisti, in quanto nelle proprie opere vi
erano riferimenti alla fiaba e mitologia russe, al mondo delle miniature
settecentesche, al passato raffinato e pieno d’armonia. Fra gli artisti
del “Mondo dell’Arte” ricordiamo Aleksander Benois (1870 – 1960),
Nikolaij Roerich e Léon Bakst, che lavoreranno anche per le sceno-
grafie del balletto russo di Diaghilev, in cui vi sono libere ricostruzioni
Aleksandr Benois, scenografia per il
storiche venate di surreale, in cui si rifanno agli acquerelli ambientati
balletto Petrushka, 1911
nella Francia seicentesca dell’epoca di Re Sole, con le rappresentazioni
dei giardini di Versailles.
Nella letteratura, sempre in questi anni tra fine Ottocento e inizio No-
vecento, si assiste a un contrasto tra autori realisti e simbolisti. A capo
degli autori realisti, che si rifanno a moduli narrativi sostanzialmente
ottocenteschi (Balzac, Tolstoj) ricordiamo Maksim Gor’kij; i simbolisti
fanno invece capo a Aleksej Remizov.
Nonostante il fallimento dei moti del 1905, essi avevano comunque fa-
vorito un’aria nuova in campo culturale: sbocciarono movimenti, si for-
marono associazioni, apparvero pubblicazioni che diffondevano nuove
idee. In particolare si intensificò il contatto con il fervente panorama
artistico e culturale occidentale, che fu possibile grazie alla diffusione
delle opere e dei manifesti delle fiorenti avanguardie europee che na-
scevano in Francia, Germania, e Italia, e ai sempre più fitti contatti con
tali movimenti. Tale opera di divulgazione fu possibile sia grazie alle
collezioni di opere d’arte dei fratelli Michail e Ivan Morozov e di Sergej
Ščukin, sia grazie ai numerosi viaggi compiuti in Europa Occidentale da
numerosi artisti russi, fra cui per primi Vassilij Kandinskij e Marc Cha-
gall, e grazie anche alla diffusione delle pubblicazioni 7
letterarie d’avanguardia europee anche in Russia (fra cui ad esempio le
opere di Martinetti).
IL RAGGISMO
Il manifesto più noto del movimento apparve nel 1912, nel secondo
almanacco “Schiaffo al gusto corrente”, dove veniva dichiarato il com-
pleto distacco dalle formule poetiche del passato la volontà di una
rivoluzione lessicale e sintattica, l’assoluta libertà d’uso dei caratteri
tipografici, formati, carte di stampa, impaginazioni: “Siamo il volto del
vostro tempo. Il corno da tempo risuona nella nostra arte verbale. Il
passato è angusto. L’accademia e Puškin sono più incomprensibili dei
geroglifici. Gettare Puškin, Dostoevskij, Tolstoj dalla nave del nostro
tempo. Chi non dimenticherà il primo amore, non conoscerà mai l’ul-
timo. […] Ordiniamo che si rispetti il diritto dei poeti:
ad ampliare il volume del vocabolario con parole arbitrarie e derivate;
ad odiare inesorabilmente la lingua esistita prima di loro;
a respingere con orrore dalla propria fronte altèra la corona di quella
gloria a buon mercato, che vi siete fatta con spazzole del bagno;
a stare saldi sullo scoglio della parola “noi” in un mare di fischi e indi-
gnazione; e, se nelle nostre righe permangono tuttora i sudici marchi
del vostro “buon senso” e “buon gusto”, in esse tuttavia già palpitano,
per la prima volta, i baleni della nuova bellezza futura della parola au-
tonoma”.
Nel corso del 1914, VLADIMIR TATLIN (1885 – 1953) dà vita a una
linea di ricerca che va oltre la rappresentazione figurativa. Anche nel
suo caso, è il confronto con i risultati del cubismo che suscita la nascita
di una nuova idea e di una nuova creazione. Tatlin, infatti, tra il 1913 e
il 1914, si reca in viaggio prima a Berlino poi a Parigi. Qui, nel mese di
marzo del 1914 visita gli studi di Picasso e Braque, dove può vedere le
loro opere polimateriche del periodo del cubismo sintetico. Da questa
esperienza ricava lo stimolo per abbandonare la pittura e produrre de-
gli oggetti tridimensionali, per i quali utilizza materiali da costruzione:
legno, ferro, pelle, viti, chiodi, corde. Espone per la prima volta queste
15
composizioni nel suo studio di Mosca, nel mese di maggio.
Compare così un’inedita generazione di “rilievi”, ottenuti con l’assem-
blaggio di materiali per così dire “tecnici”; alcuni di essi sono concepiti
in rapporto allo spazio ambientale. Il carattere artistico che si impone
in queste opere è duplice. Da un lato, si verifica una radicalizzazione
del linguaggio astratto cubista e, in definitiva, un suo oltrepassamento,
in quanto viene superata la relazione ancora “riproduttiva” con le cose
della realtà esterna; la creazione di questi rilievi, infatti, implica l’abban-
dono del riferimento a oggetti reali. Dall’altro lato, tale più compiuta
astrazione non è realizzata affidandosi ai segni della pittura, ma a ma-
teriali corposi, spessi, ruvidi; materiali piuttosto della tradizione del
costruire artigiano che di quella raffinata e formale dell’arte. Emerge
dunque, in questa ricerca di Tatlin, una sorta di cultura delle materie
povere, che apre un capitolo fecondo per tutta l’attività artistica no-
vecentesca (ad esempio, Burri e Beuys), che avrà il suo effetto più rile-
vante al di fuori della Russia sulle opere dell’artista dada-costruttivista
tedesco Kurt Schwitters.
AVANGUARDIA E POTERE
Gli anni della rivoluzione e del governo di Lenin furono i più floridi e
ricchi per le avanguardie. Infatti, Trotzkij e il commissario del popolo
all’educazione Anatolij Lunačarskij furono molto disponibili nei con-
fronti di tutte le manifestazioni dello spirito artistico. Sono noti, inoltre,
gli interessi di Trotzkij (pseudonimo di Lev Davidovič Bronstein) per
le questioni letterarie e artistiche, che lo portarono ad approfondire
in modo particolare i rapporti che legano l’arte alla società, confluiti
nel volume da lui dato alle stampe nel 1923 con il titolo significativo di
Letteratura e rivoluzione. Instancabile organizzatore dell’Armata Ros-
sa, teorico della rivoluzione permanente, si interessò del Futurismo
e delle opere del suo poeta più rappresentativo, Vladimir Majakovskij,
senza riuscire però ad apprezzarli in pieno, anzi criticandoli più volte
quando questi si dimostrarono intolleranti nei confronti degli altri stili
artistici. Infatti, per Trotzkij l’arte doveva essere manifestazione di un
libero confronto, su di un terreno sgombro da ogni dogma e precon-
cetto: come lui stesso scrisse, “L’arte non è il campo in cui il partito
è chiamato a comandare”. Anche Lenin (pseudonimo di Vladimir Il’ič Lenin
Ul’janov), anch’egli attento ai problemi culturali, dimostrò, i contra-
sto con il suo intollerante atteggiamento politico, una certa indulgenza
verso le avanguardie artistiche. E come Trotzkij, si dissociò da coloro
che si dimostravano pregiudizialmente ostili a tutte le forme d’arte che
non fossero di chiara ascendenza proletaria. Fu Lenin, del resto, al con-
trario di quanto farà Stalin pochi anni dopo, a intuire che l’irrigidimen-
to in arte avrebbe significato uno sterile livellamento, e fu sempre lui,
nel 1920, a difendere contro i seguaci dell’arte proletaria l’importanza
del retaggio della cultura borghese.
IL SUPREMATISMO
Negli anni tra il 1918 e il 1921, il cinema russo sparì, a causa della pe-
nuria di pellicola che si abbatté sull’intero Paese, in quanto l’impresa
francese Pathé e la tedesca Agfa, durante la prima guerra mondiale,
avevano limitato le loro esportazioni. Inoltre le case di produzione, che
erano concentrate a Mosca, avevano abbandonato tale attività, man-
cavano quindi anche le macchine necessarie alle riprese. nonostante
ciò vengono messe in atto alcune iniziative di propaganda sfruttando i
vecchi film e i cinegiornali girati con la pellicola rimasta, che venivano Carrozza del treno di propaganda,
mostrati in tutto il territorio russo grazie al “treno Lenin della propa- 1918 - 1919
ganda”, organizzao dal Comitato del Cinema nel 1918, che ospitava nei
loro vagoni una tipografia, una scuola per l’alfabetizzazione, una biblio-
teca di 7000 volumi, la redazione di un giornale quotidiano oltre a una
strumentazione cinematografica completa, con proiettori, laboratori di
sviluppo e di stampa, sale di montaggio.
Molti dei vecchi tecnici e registi avevano lasciato la Russia: fu così che si
fece sempre più spazio la nuova generazione di registi e montatori.
Anatolij Lunačarskij, alla guida del Commissariato popolare per l’istru-
zione, fu affidata la responsabilità del settore cinematografico, del quale
incoraggiò la ripresa, anche grazie alla fondazione di una “Scuola d’Arte
Cinematografica”, il VGIK, alla cui direzione viene posto Lev Kulešov.
Uno dei tre personaggi più importanti per il cinema sovietico degli
anni della rivoluzione è SERGEIJ EJZENŠTEJN (1898 – 1948). Egli si
avvicina al cinema nel 1923, dopo aver lavorato in ambito teatrale
come scenografo e regista, anche con Meyerhold. Nel 1925 realizza il Fotogrammi da L’uomo con la macchi-
suo primo lungometraggio, Sciopero, che portava sullo schermo le sue na da presa di D.Vertov, 1922
teorizzazioni sul montaggio, e il suo film più conosciuto, La corazzata
Potemkin.
Nei suoi film non ci sono singoli eroi protagonisti, ma sono la “massa”.
La tensione drammaturgica non è basata sulla fluidità del racconto,
ma sul suo dinamismo, reso soprattutto attraverso il montaggio. Le
inquadrature, in numero elevatissimo, sono giustapposte in maniera
netta, forte. Una stessa azione, anche semplice, è spesso ripresa da più
punti di vista, per enfatizzarla. Mentre il montaggio tradizionale voleva
garantire l’illusione della continuità temporale, Ejzenštein ripeteva più
volte una stessa azione, dilatando il tempo (“overlapping editing”). In
altri casi “saltava” delle inquadrature che sarebbero state necessarie
per garantire la continuità, allo scopo di obbligare il pubblico a immagi-
nare cosa era accaduto tra una inquadratura e l’altra (“jump cutting”).
Per Ejzenštein le inquadrature non dovevano seguire l’una all’altra per
chiarezza, ma al contrario dovevano essere poste in conflitto, ripro- Locandina de La corazzata Potemkin,
ducendo così la realtà, che non è fluida, ma piena di contraddizioni di S. Ejzenstejn, 1925,
e di scontri (di idee, di classi, di aspirazioni ecc). I ritmi sono molto grafica: A. Rodcenko
rapidi, e allo scopo utilizza inquadrature da 1 o 2 fotogrammi. Non è
interessato a spiegare o esprimere uno stato d’animo, ma a restituire
la sensazione di movimento, attesa, esplosione. Lo scopo non è quello
di consentire allo spettatore di seguire una storia, ma di costringere
a mettere in relazione elementi diversi e quindi di ragionare. Un’altra
tecnica utilizzata dal regista è quella del “montaggio delle attrazioni in-
verse”, che Ejzenštein spiega con queste parole: “Il montaggio libero, di
attrazioni arbitrariamente scelte, indipendenti dall’azione propriamen-
te detta (scelte però, secondo la continuità logica di questa azione, che
ne determina il senso), e il tutto finalizzato a creare un effetto tematico
riassuntivo”. In questo tipo di montaggio, abbondano gli inserti estra-
nei alla dimensione spaziale e temporale della sequenza nei quali sono Fotogramma de La corazzata Po-
accolti, ma che rimandano ad un significato “terzo”, costringendo lo temkin, di S. Ejzenstejn, 1925,
spettatore a creare un concetto che non c’è sullo schermo. Non solo
36
il montaggio, ma anche le singole inquadrature dovevano esprimere
dinamismo. Ejzenštein e il suo operatore di fiducia Eduard Tissé studia-
rono le composizioni più adatte a raggiungere lo scopo: inquadrature
dal basso che ritagliano le persone contro il cielo chiaro, inquadrature
inclinate, movimenti di massa contrapposti nello stesso quadro, inqua-
drature con movimenti diagonalizzati, o con la linea dell’orizzonte mol-
to in basso, ecc. le immagini avevano un forte impatto grafico, dato che
la disposizione dei personaggi, degli oggetti e delle masse obbedivano
a un disegno geometrico che Ejzenštein meticolosamente preparava. I
suoi film utilizzano una ambientazione totalmente realistica, e spesso
le sue sequenze posseggono la verità di un documentario. Gli attori
non erano professionisti e venivano scelti non per le loro capacità
recitative, ma per l’immediatezza con cui potevano rappresentare la
propria appartenenza sociale. Non era importante l’analisi psicologica
del personaggio, ma il suo impatto fisico.
Ejzenštein gira La corazzata Potemkin nel 1925, per celebrare il vente-
simo anniversario della rivolta del 1905. Il film è ambientato nel Giugno
1905, quando alcuni marinai della flotta russa nel Mar Nero si ribella-
rono ai loro comandanti. Il film è diviso in 5 atti: “Uomini e vermi”, in
cui i marinai che si erano ribellati di mangiare la carne avariata imposta
loro dai comandanti, e di cui si erano lamentati, vengono incarcerati
sotto un telone sul ponte, in attesa di essere fucilati; “Dramma sul
ponte”, dove si ha la vera e propria rivolta dei marinai che erano stati
condannati a morte, sostenuti dai soldati che avevano avuto il compito
di sparare loro, che prendono il comando della nave, uccidendo tutti
gli ufficiali, il maggiore Smirnov che giudicato in bune condizioni la car-
ne, quand’essa era invece palesemente invasa dalle larve d’insetti, e il
prete, che doveva dar loro il conforto religioso nella morte; “Il sangue
grida vendetta”, dove si ha la morte del capo della rivolta dei marinai,
il valoroso Vakulincuk, che perisce sotto i colpi della pistola dell’uffi-
ciale in seconda della nave: arrivati nel porto di Odessa, il cadavere del
coraggioso marinaio verrà portato a terra ed esposto pubblicamente
in una tenda, con un cartello tra le sue mani “ucciso per un piatto di
minestra”, e verrà acclamato come un eroe da tutta la popolazione
della città, che manifesterà il proprio appoggio ai marinai con comizi
e ovazioni di gruppo, attirando però l’attenzione della severa polizia
zarista; “La scalinata di Odessa”, dove i cosacchi dello zar intervengono
sulla scena, iniziando una feroce rappresaglia verso la popolazione, uc-
cidendo uomini, donne e bambini, che scappavano sulla scalinata, senza
alcuna pietà: i soldati della corazzata stanno per sparare con i loro
cannoni sui soldati, quando vedono avvicinarsi le navi dello zar; “Il pas-
saggio attraverso la squadra”, in cui i marinai della corazzata decidono
di affrontare la flotta dello zar, e restano sorpresi in quanto i marinai
dello zar rifiutano di fare fuoco contro i loro compagni, esternando
con canti e grida di gioia la loro solidarietà verso gli ammutinati e con-
sentendo loro di passare indisturbati attraverso la flotta per dirigersi
in mare aperto e scappare.
In questo film, Ejzenštein studia attentamente la possibilità di alterare
il naturale scorrere del tempo, inserendo una serie di inquadrature
successive che, alternativamente si soffermano su personaggi e situa-
zioni in aperta antitesi: nella famosa scena della scalinata di Odessa, si
susseguono immagini che ritraggono ora soldati e ora i borghesi, ora Fotogrammi da La corazzata Potemkin,
i giovani ora i vecchi, ora persone che salgono gli scalini e altri che li di S. Ejzenstejn, 1925,
scendono, e così via. Si assiste alla giustapposizione di movimenti veloci
37
ad altri più lenti, creando in questo modo la poetica dell’opera.
Sfruttando poi l’effetto della persistenza retinica, Ejzenštein articola
più inquadrature dello stesso soggetto per immobilizzare il tempo, riu-
scendo inoltre a dare l’impressione del silenzio, come si avverte quando
la città sfila di fronte al corpo immobile di Vakulincuk. Fa inoltre ampio
uso della sineddoche (citare la parte per il tutto), simboleggiata dagli
occhiali del maggiore Smirnov che si ostina a non considerare i vermi
nella carne del rancio dei marinai, occhiali che penzolano dall’estremità
della cordicella quando lo stesso maggiore viene buttato a mare.
39
LA RUSSIA DI STALIN E LA FINE DELLE AVANGUARDIE
Verso la fine degli anni Venti, Stalin e i suoi seguaci iniziarono ad oc-
cuparsi anche delle avanguardie artistiche, troppo vivaci e indipenden-
ti perché potessero assoggettarsi facilmente alle direttive di regime.
Vennero create delle associazioni nazionali di artisti (scrittori, cineasti
ecc) totalmente allineate, spesso dirette da elementi con scarse capa-
cità artistiche e che cominciarono ad attaccare sistematicamente le
associazioni indipendenti, sino a costringerle a sciogliersi per confluire
nelle organizzazioni ufficiali, nel 1932.
Nel 1928 cessò di esistere il LEF, e Malevič fu costretto a ritornare in
patria, e ad allineare la sua produzione artistica al realismo socialista
imposto dal governo. Rodčenko fu obbligato dagli anni ’30 a fotografa-
re solo eventi ufficiali, imposizione che lo porterà negli anni Quaranta 40
ad abbandonare del tutto la fotografia. Meyerhold venne ucciso con
le purghe degli anni 1936-1938, mentre Majakovskij, dopo il fallimento
della sua commedia Il bagno, del 1930, dove prendeva per i fondelli la
nascente burocrazia e per la quale fu violentemente attaccato, e a cau-
sa delle svariate delusioni dategli da quella rivoluzione che egli aveva
tanto supportato e sostenuto, si tolse la vita con un colpo di pistola nel
1930. Dopo la sua morte, ormai inoffensivo, venne esaltato dal regime
come massimo poeta della rivoluzione.
Il cinema fu il primo ad essere colpito dalla feroce censura stalinista. I
registi d’avanguardia furono accusati di far prevalere il formalismo, cioè
la bellezza della forma rispetto ai contenuti propagandistici, e di creare
opere troppo complesse per le masse. Lo stesso Lunačarskij, che aveva
assicurato al mondo delle arti una certa libertà di movimento, fu criti-
cato aspramente dal regime e poi rimosso dal suo incarico. Nel 1929 il
cinema sovietico fu interamente centralizzato nella casa di produzione
Sovkino, ponendo sotto il totale controllo del regime la settima arte.
il rigido regime stalinista impone quindi lo smantellamento di tutte le
opere degli artisti d’avanguardia, alcune saranno realmente distrutte,
altre giungeranno intatte a noi grazie ai custodi e ai curatori dei musei
moscoviti, che le nasconderanno nei sotterranei dei musei, permetten-
do anche a distanza di quasi ottant’anni di poterle ancora apprezzare.
41
BIBLIOGRAFIA
GILLO DORFLESS, ANGELA VETTESE, Arti visive, Il Novecento, Ed. Atlas, Bergamo, 2000
G.C. ARGAN, L’arte moderna 1770 – 1970, Edizioni Sansoni, Milano, 2002
S. GALLO, G. ZUCCONI, Arte del Novecento. 1900 – 1944 a cura di Rita Schinieri, Editore Monda-
tori Università, Milano, 2002
A.A. V.V., Arte rivoluzionaria dai musei sovietici. 1910 – 1930, Fondazione Thyssen – Bornemisza, edi-
zioni Electa, Milano, 1988
N. MISLER, Avanguardie russe, supplemento di Art e Dossier n. 41 dicembre 1989, ed. Giunti, Firen-
ze
J. NIGRO COVRE, Malevič, supplemento di Art e Dossier n. 200, maggio 2004, ed. Giunti, Firenze
A. KRUČENYCH, Vittoria sul sole/Pobeda nad sovicem, la Mongolfiera editrice alternativa, Cosenza,
2003
A. POLCRI, M. GIAPPICHELLI, Percorsi di storia vol III: Il XX secolo, Editrice La Scuola, Brescia,
2000
42