Templi di File

tempio di Iside a File ora posizionato sull'isola di Agilika
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I templi di File (talvolta il nome dell'isola si può trovare nella forma greco-latina Philae, in uso presso altre lingue) sono il complesso dei templi che sorgevano sull'omonima isola del Nilo in Egitto, poi smontati e trasferiti sulla vicina isola di Agilkia nel 1977. Il tempio di Iside rappresentava il principale centro del culto isiaco.[1]

 Bene protetto dall'UNESCO
Monumenti nubiani da Abu Simbel a File
 Patrimonio dell'umanità
 Riserva della biosfera
TipoCulturali
Criterio(i) (iii) (vi)
PericoloNon in pericolo
Riconosciuto dal1979
Scheda UNESCO(EN) Nubian Monuments from Abu Simbel to Philae
(FR) Patrimonio

Nel 1979 i templi di File sono stati inseriti nell'elenco dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. Il suo nome in lingua egizia era "l'isola del tempo".[2]

L'isola di File è citata fin dall'antichità da numerosi autori classici, fra cui Strabone, Diodoro Siculo, Tolomeo, Seneca e Plinio il Vecchio. Con il termine greco-latino Philae, al plurale, si indicavano due piccole isole situate nei pressi della cateratta di Assuan. Di queste due la più piccola oggi è chiamata col nome di File, che un tempo era il nome di entrambe. Essa è lunga meno di 400 metri e larga poco più di 100, con rive scoscese e probabilmente rese così artificialmente dall'uomo; sulla sua cima era stato costruito un alto muro che la percorreva per tutta la sua lunghezza.

L'isola era la frontiera meridionale del regno egizio, pertanto i faraoni vi dislocarono una guarnigione militare; come fecero poi sia i Macedoni che i Romani. Oltre ad essere un importante scalo commerciale fra l'Egitto e la Nubia, poiché essendo le cataratte spesso impraticabili, le merci erano costrette a viaggiare via terra: nel loro viaggio verso sud esse venivano sbarcate a File e reimbarcate ad Assuan, una volta superato il dislivello della cateratta, mentre l'opposto avveniva per il viaggio da sud a nord.

Poiché, secondo la tradizione, era ritenuta uno dei luoghi di sepoltura di Osiride, l'isola di File era sacra sia per gli egizi che per i nubiani. Il primo edificio sacro, di cui rimangono solo poche fondamenta, risale infatti al faraone nubiano Taharqa. Era ritenuto sacrilego avvicinarvisi per chiunque non fosse un sacerdote (per questa ragione era chiamata anche l'inavvicinabile). Sorsero alcuni templi sull'isola nell'arco di circa tre secoli, che si andarono ad affiancare al Tempio di Iside, dedicati alle divinità Horus e Hathor, tanto che nel II secolo a.C. resero File uno dei più importanti luoghi di pellegrinaggio dell'antico Egitto così che i sacerdoti dovettero chiedere l'intervento del sovrano Tolomeo VIII affinché ponesse un freno alla situazione. La richiesta dei sacerdoti fu poi scolpita alla base di uno degli obelischi, il cosiddetto Obelisco di File.

I templi furono chiusi nel VI secolo per volere dell'imperatore bizantino Giustiniano I, gli ultimi templi pagani ancora esistenti nel mondo mediterraneo. Alcune delle strutture furono usate come luogo di culto cristiano, fino alla loro definitiva chiusura in seguito all'invasione araba del VII secolo.

 
L'isola di File come appariva ai viaggiatori europei nel'Ottocento. Il tempio di Iside in primo piano, poco distante il Chiosco di Traiano

Il 3 marzo 1799 giunse qui la spedizione scientifica aggregata al corpo di spedizione napoleonico e lo scultore francese Jean-Jacques Castex scolpì sulla pietra del Tempio di File la famosa iscrizione celebrativa:

«L'an 6 de la République, le 15 messidor,/ une armée française,/ commandée par Bonaparte,/ est descendue à Alexandrie./ L'armée ayant mis vingt jours après,/ les Mamelouks en fuite aux Pyramides,/ Desaix, commandant la première division,/ les a pousuivis au-delà des cataractes,/ où il est arrivé, le 13 ventôse de l'an 7./ Les généraux de brigade,/ Davoust, Friant et Belliard,/ Donzelot, chef de l'état-major,/ Latournerie, comm. des l'artillerie,/ Eppler, chef de la 21e légère,/ le 13 ventôse an 7 de la République,/ 3 mars, an de J.C. 1799./ Gravé par Castex sculpteur»

Nel 1817 il tempio fu visitato dall'archeologo italiano Giovanni Battista Belzoni che l'anno seguente, su ordine del console inglese, ne asportò l'obelisco. L'obelisco fu portato in Inghilterra e, insieme alla stele di Rosetta, servì per decifrare i geroglifici egizi.

In seguito, sempre nel XIX secolo File fu raggiunta anche da studiosi britannici che cominciarono a studiarne le strutture.

Il trasloco sull'isola di Agilkia

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Immagine del 1905 con il Tempio di Iside semi-sommerso dalle acque del Nilo

Nel 1902 venne completata la vecchia diga di Assuan e molti monumenti antichi, fra cui quelli di File, rischiavano di essere sommersi dalle acque del Nilo. La diga venne alzata per due volte, fra il 1907 e il 1912 e fra il 1929 e il 1933, il che causò la quasi scomparsa dell'isola di File: i templi restavano fuori dall'acqua solo quando le chiuse erano aperte, fra luglio ed ottobre. Benché gli edifici fossero molto resistenti e non corressero alcun pericolo, la vegetazione dell'isola e i colori dei bassorilievi dei templi, conservatisi quasi integri per millenni, vennero spazzati via dalle acque del Nilo. Ben presto inoltre i mattoni dei templi si incrostarono del limo portato dal fiume.

Negli anni sessanta l'UNESCO decise di spostare la maggior parte dei monumenti in pericolo in luoghi più sicuri. Il complesso di templi di File fu cinto da una diga che permise al tempio di riemergere dalle acque, quindi dopo essere stato smontato fu spostato, mattone per mattone, ad Agilkia, a 550 metri di distanza, dove si trova ancora oggi. Il progetto, portato a termine dall'impresa italiana Condotte-Mazzi Estero[4] e finanziato dal governo italiano, richiese tre anni di lavoro. Il direttore scientifico dei lavori fu l'architetto archeologo Giovanni Ioppolo. I lavori iniziarono nel 1977 e si conclusero l'11 marzo 1980.

Il Tempio di Iside

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La via processionale e il 1º pilone

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Il 1º pilone del tempio di Iside

Il tempio più importante è il Tempio di Iside che, costruito in epoca tolemaica, domina l'intera isola. Una lunga via processionale conduce al 1º pilone. Su un lato si snoda il Grande colonnato con 32 colonne che, eretto in epoca più tarda, fu portato a termine da Tolomeo III. Sull'altro lato si sviluppa invece il colonnato orientale in parte danneggiato. Al termine della via processionale si erge il 1º pilone per un'altezza di circa 18 metri. L'intera facciata è decorata da bassorilievi rappresentanti il sovrano nell'atto di sconfiggere ed uccidere i nemici presi prigionieri. Le scene si svolgono alla presenza della dea Iside. Molti di questi bassorilievi sono stati mutilati, probabilmente da parte dei primi cristiani e degli iconoclasti.

 
ingresso del 1º pilone

Una breve scalinata conduce all'ingresso del 1º pilone. Qui si trovano due colossali statue di leoni in granito, al fianco di ciascuno un tempo si elevavano due obelischi alti 16 metri. Uno collassò già in epoca antica frantumandosi mentre l'altro, ancora integro, pur crollato, fu asportato dall'esploratore Giovanni Battista Belzoni nel 1818 e portato in Gran Bretagna a Kingston Lacy. Dei due obelischi si possono ancora notare le due basi.

Lo stesso Belzoni descrisse così i due obelischi crollati e l'ingresso al tempio durante il suo primo viaggio nel 1817:

«All'entrata del primo portale vi è l'obelisco di granito abbattuto.... con un'iscrizione greca sul piedistallo che riporta le lagnanze dei sacerdoti rivolte a Tolomeo e a Cleopatra contro i soldati e il governo del luogo, il che prova che in quell'epoca i sacerdoti egizi non avevano più autorità sul governo... Si può vedere parte di un altro obelisco con il piedistallo in un muro di fango di fronte al primo. Vi sono anche due leoni di granito che si trovano ai lati della scala di quattro gradini e che dovevano essere sempre stati lì perché ho osservato che la base dei colonnati era più bassa di quella dei propilei..»

Quando Belzoni descrisse l'ingresso del 1º pilone i due obelischi erano ancora visibili nel sito, infatti uno degli obelischi fu rimosso l'anno seguente.

Cortile interno e il 2º pilone

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Il 2º pilone del tempio di Iside
 
Il Mammisi di Horus

All'interno, a delimitare la parte occidentale, si trova il Mammisi di Horus. Qui i faraoni partecipavano alle cerimonie del Mammisi in onore della sacra nascita di Horus dalla madre Iside. Secondo la tradizione i faraoni erano discendenti del dio Horus e la loro partecipazione aveva lo scopo di rinnovarne la legittimazione davanti al clero.

Il secondo pilone permette l'accesso al vestibolo interno del tempio di Iside. Sulla sua facciata sono presenti alcuni bassorilievi con scene di offerte del faraone Tolomeo XII a Osiride e a Iside da una parte ed a Horus e Hathor dall'altra. Nella parte bassa a destra la stele in granito detta "del Dodecascheno". Sulla stele voluta da Tolomeo VI sono descritti i territori del Dodecascheno che erano stati sottoposti all'autorità del clero di Iside.

La sala ipostila e il Santuario

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Il Vestibolo è costituito da una sala ipostila di dieci colonne. Tutte le colonne sono ricoperte di bassorilievi che raffigurano Tolomeo VII. Fino agli inizi del Novecento questi conservavano ancora i colori originali come testimonia David Roberts già nel 1838:

«Sono rimasto rapito dalla splendida composizione dei suoi colori: si direbbero appena stesi e perfino nei punti in cui più sono esposti all'implacabile luce del sole hanno conservato la loro smagliante freschezza.»

ma tra il 1909 e il 1933 a seguito dell'innalzamento delle acque questi furono quasi completamente cancellati.

 
Bassorilievo della dea Iside rappresentata mentre allatta Horus nel naòs

In seguito all'abbandono della religione tradizionale, in epoca classica, il tempio fu riutilizzato dai primi cristiani che in questa sala crearono una chiesa. Numerose croci copte furono incise sulle pareti e sul lato orientale fu ricavato un piccolo altare. Le pareti decorate di geroglifici furono nascoste sotto uno strato di fango e nuovamente decorate con soggetti religiosi cristiani. Col tempo il fango iniziò a staccarsi dal muro e a rivelare le precedenti decorazioni. Come le descrive lo stesso Giovanni Battista Belzoni nel 1817:

«I geroglifici del tempio sono quasi perfetti, ma in parte coperti di fango, perché più tardi fu adattato al culto greco...Sui muri coperti di fango per nascondere i geroglifici sono state dipinte alcune figure caratteristiche della religione cristiana, ma con il tempo i geroglifici sono riemersi e lo strato di fango qua e là è caduto.»

Ad oggi però le decorazioni fatte dai primi cristiani sono completamente scomparse rivelando i geroglifici sottostanti.

Superata la Sala ipostila si penetra in una stanza che precede il santuario, qui mischiata a bassorilievi classici si trova un'altra incisione dello scultore francese Jean-Jacques Castex. Nel santuario o naòs si trova il piedistallo per la Barca sacra di Iside e a numerose stanze destinate al culto di Osiride decorate con raffigurazioni funerarie.

Il tempietto di Hathor

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Il tempietto di Hathor

Poco distante dal tempio di Iside sorge il piccolo tempio di Hathor, eretto durante il regno di Tolomeo VII. Si compone di un naos e di un vestibolo aggiunto durante l'Impero romano. I bassorilievi ben conservati mostrano scene di divertimento con musicanti con fattezze animali e il dio nubiano Bes.

Bassorilievi dei musicanti nel tempietto di Hathor

Chiosco di Traiano

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Il Chiosco di Traiano

«L'insieme dà l'impressione che costruttori e scalpellini abbiano appena lasciato il cantiere. È costruito con un'arenaria così leggera e dai dettagli così delicati e vivi che non riesco a concepire l'idea che sto contemplando una rovina vecchia di duemila anni.»

Il Chiosco di Traiano, di cui si ignora la vera funzione, sorge a poca distanza dal tempio di Iside. Si ipotizza, in virtù della doppia apertura ad Est ed a Ovest, che fosse una stazione di sosta della barca sacra di Iside nel corso della processione. Rimasto incompiuto nelle decorazioni, fu completato dall'imperatore romano Traiano da cui ha assunto poi il nome.

  1. ^ Alberto Siliotti, p. 36.
  2. ^ Alberto Siliotti, p. 34.
  3. ^ Yves Laissus, op. cit., pp. 285-286
  4. ^ Alberto Siliotti, p. 41.
  5. ^ Giovanni Battista Belzoni, pp. 215-216.
  6. ^ Giovanni Battista Belzoni, pp. 216-217.

Bibliografia

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Voci correlate

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