Qansuh al-Ghuri
al-Ashraf Qanṣūh[1] al-Ghūrī (in arabo الأشرف أبو النصر قانصوه الغورى?, al-Ashraf Abū Naṣr Qanṣūh al-Ghūrī,[2] in turco Ganzu Gavri; 1446[3] – 1516) anche Qansuh II, è stato un Sultano della Dinastia burji, è stato il penultimo dei Sultani mamelucchi che hanno retto l'Egitto, parte della Siria e della Penisola araba dal 1501 al 1516.
Appassionato d'architettura, Qanṣūh al-Ghūrī morì a 70 anni, dopo la disfatta di Marj Dabiq, a nord della città di Aleppo (1516), combattuta contro il Sultano ottomano Selim I un anno prima della definitiva conquista ottomana del Sultanato mamelucco, a seguito della Battaglia di Marj Dabiq o di Raydāniyya, del 1517.
Biografia
modificaAl-ʿĀdil Tūmān Bāy, antico cancelliere di Qāytbāy, e governatore di Siria aveva rovesciato al-Nāṣir Muḥammad b. Qāytbāy, il figlio di Qāytbāy, nel 1498, e poi al-Ashraf Janbulat, sei mesi appena dopo la sua presa di potere nel 1501. Tuman Bay fu a sua volta rovesciato 100 giorni dopo.[4] Gli emiri che l'avevano deposto ebbero qualche difficoltà a trovare un candidato per la sua successione. Finalmente, dopo aver esitato alquanto, Qānṣūh al-Ghūrī accettò il trono nell'aprile del 1501[5].
Qanṣūh al-Ghūrī aveva già 60 anni al momento della sua ascesa al potere ed aveva grande esperienza. Iniziò il suo governo esigendo un versamento anticipato di dieci mesi d'imposte, dal momento che le casse del Sultanato erano vuote e i Mamelucchi reclamavano - come d'abitudine - un congruo donativo per l'avvio del nuovo governo[6]. Qanṣūh al-Ghūrī si guardò bene dal versare tutto il denaro preteso dai Mamelucchi e si servì delle somme raccolte per il restauro delle fortezze d'Alessandria d'Egitto e di Rosetta. Fece anche sistemare la fortezza di Damasco e Il Cairo sembrò recuperare almeno in parte il lustro delle epoche precedenti. Tali spese suscitarono il malcontento della popolazione, oppressa dalle tasse e incapace di capire appieno l'incombente pericolo ottomano alle porte del Sultanato.
Il Sultano ritrovò però in parte la sua popolarità ristabilendo il costume (caduto in disuso) dell'organizzazione della carovana del hajj (maḥmal[7]): pratica inaugurata durante il regno di al-Ẓāhir Rukn al-Dīn Baybars al-Bundūqdarī per essere abbandonato dai predecessori di Qanṣūh al-Ghūrī,[8] e che proseguirà fino al 1952.[9]
Nel 1846, Gérard de Nerval descrisse in questo modo la processione del maḥmal nelle vie del Cairo:
«... poi viene il Mahmil, che si compone di un ricco padiglione a forma di tenda quadrata, coperto di iscrizioni ricamate, sormontato in cima ai suoi quattro angoli da enormi bulbi d'argento.»
Qanṣūh al-Ghūrī acquistò un gran numero di schiavi per costituirsi un esercito a lui devoto e sfuggire in tal modo all'influenza degli altri Emiri. L'esercito si trovò così rafforzato, anche se aveva perso quella sua superiorità che aveva costituito la reale forza dei Mamelucchi. Ma Qanṣūh al-Ghūrī non seppe modernizzarlo e restò affezionato alle armi tradizionali (lancia, spada, arco, cavallerie), mentre gli Ottomani avevo saputo costituire quella che era la più forte artiglieria del mondo, affidandola alle truppe di fanteria d'élite dei Giannizzeri, cogliendo una serie impressionante di successi militari che proseguì fintanto che anche l'Europa cristiana non seppe impiegare convenientemente questa nuova arma tecnologicamente avanzata[10]. Gli ambasciatori ottomani ebbero la possibilità di constatare come l'armamento mamelucco fosse ormai inadeguato e il Sultano ne trasse a Edirne le sue ovvie conclusioni.[11]. Qanṣūh al-Ghūrī fece in realtà costruire qualche cannone e organizzò persino alcune compagnie di fanti armati d'archibugio ma tali soldati prendevano un soldo che era circa la metà di quello dei cavalieri ed erano spesso schiavi di colore non ottimamente addestrati. La cavalleria rimase di fatto l'arma d'élite e andò incontro alla sconfitta in modo assolutamente irreparabile.[12]
I Mamelucchi e la Repubblica di Venezia, videro i loro interessi commerciali insidiati dalla concorrenza dei Portoghesi, che avevano inaugurato con Vasco da Gama, la rotta marittima che circumnavigava l'Africa per il commercio assai lucroso del pepe[13]. I Mamelucchi chiesero ai Veneziani di aiutarli a costruire una flotta in grado di competere col naviglio portoghese e, nel 1506, una flotta di cinquanta navi era pronta a Gedda ma sprovvista di artiglieria navale. Un primo scontro navale ebbe luogo nel 1507 e si risolse con una disfatta dei Portoghesi. Nel febbraio 1509 i Portoghesi si presero la loro rivincita, malgrado il sostegno di Venezia, che aveva fornito galere e cannoni.[14].
Il Sultano ottomano Bayezid II fu costretto intanto ad abdicare da suo figlio Selim I il 24 aprile 1512. Selim ricevette il nome di «Ponderato» (yavuz)[15] L'Anatolia occidentale era all'epoca già unificata sotto la dominazione ottomana, che aveva posto fine all'epoca dei beilikati. La terza grande potenza regionale era allora costituita dalla Persia dei Safavidi. I Mamelucchi, che si consideravano come "protettori" dell'ortodossia islamica sunnita, consideravano i Persiani sciiti come nemici eretici e cercavano di esercitare un blocco economico ai loro danni.[16].
La guerra comincia tra Ottomani e Persiani nell'Anatolia orientale. La battaglia di Cialdiran, il 23 agosto 1514 finisce con una vittoria decisiva dell'Impero ottomano ai danni dei Safavidi. Lo Scià Isma'il I è ferito e rischia persino di essere catturato. La battaglia decreta la vittoria della superiore tecnologia ottomana, visto che Istanbul dispone, oltre che della cavalleria e dei Giannizzeri, d'una artiglieria che, al momento, era in assoluto la più progredita del mondo.[17]. Ismāʿīl I invia un'ambasceria al Cairo, una ai Dulqadiridi e una al re della Georgia per organizzare un'alleanza contro il comune nemico ottomano.[18].
Selim reagisce alla potenziale creazione di una simile alleanza e attacca i Dulqadiridi. Il 12 giugno 1515, Selim I riporta la vittoria sul Bey Alaüddevle Bozkurt[19] nella battaglia del Monte Turna (Turna Dağ, presso Elbistan)[20]. Tale principato era uno Stato vassallo dei Mamelucchi e formava una sorta di cuscinetto con l'Impero ottomano. Qanṣūh al-Ghūrī chiese a Selim di ritirarsi dalle fortezze che aveva conquistato in territorio dulqadiride ma Selim rifiutò sdegnosamente. Il principato fu completamente annesso all'Impero ottomano poco dopo, nel 1522.
Qanṣūh al-Ghūrī decise quindi di prepararsi alla guerra contro Selim I. I preparativi furono lunghi, poiché mancavano i necessari fondi.[21]. Il 17 maggio 1516 Qanṣūh al-Ghūrī lasciò Il Cairo in grande pompa, alla testa del suo esercito, accompagnato dall'Emiro di Mecca e del califfo-fantoccio abbaside del Cairo al-Mutawakkil III[22]. Nel giugno arriva ad Aleppo e riceve un'ambasceria di Selim che l'accusa di allearsi con i Persiani, impedendogli di attraversare l'Anatolia orientale. Qanṣūh al-Ghūrī risponde chiedendo a Selim di astenersi da ogni ostilità verso i Persiani. Selim considera che questa risposta non è accettabile, visto che i Mamelucchi sviluppano una politica e un'azione ostili agli Ottomani. Il Sultano mamelucco invia un'ultima ambasceria ma Selim, adirato, minaccia di decapitare l'inviato dei Mamelucchi, anche se si limita a rimandarlo al mittente, abbigliato in modo umiliante: capelli rasati, vestito da una veste da notte e montato su un asino.[23]
La catastrofe finale del Sultanato mamelucco
modificaLa battaglia ha luogo a Marj Dabiq, a nord di Aleppo il 25 agosto 1516. I Mamelucchi sono rapidamente sbaragliati dall'esercito ottomano, assai più moderno con le sue ottime artiglierie e armi individuali da fuoco. Qanṣūh al-Ghūrī muore poco dopo la battaglia per un colpo apoplettico, anche se esistono tradizioni che parlano di un suo avvelenamento[24]. Il 29 agosto, gli Ottomani penetrano nella quasi imprendibile cittadella di Aleppo, abbandonata dal suo governatore mamelucco. Selim I s'impadronisce del tesoro che Qanṣūh al-Ghūrī vi aveva lasciato[25]. Selim riceve la sottomissione del "califfo" abbaside al-Mutawakkil III, che è trattato dal vincitore con grande rispetto per la sua figura simbolica. A causa del sistema assai lento di comunicazione, Il Cairo rimane quaranta giorni senza sapere quale fosse stato l'esito della battaglia e la sorte del Sultano mamelucco.[26].
Di ritorno al Cairo, i sopravvissuti dipinsero un quadro terrorizzante della battaglia. Gli Emiri si riunirono per eleggere un nuovo Sultano e Tuman Bay, che esercitava le funzioni di Reggente in assenza del Sultano, fu designato all'unanimità (11 ottobre 1516). Presta giuramento davanti ad al-Mustamsik, padre di al-Mutawakkil III, al quale il figlio aveva rimesso le sue funzioni di califfo nel 1408.[27].
Retaggio
modificaIl complesso urbano Wikalat al-Ghuri, che si trova nella Cairo fatimide, non è la sola costruzione che egli commissionò. È a lui che viene attribuita l'edificazione del famoso suq del Khan el-Khalili al Cairo, che rappresenta sempre il miglior esempio di mercato tradizionale egiziano. La sua wikāla, si trova per suo conto all'intersezione della via di al-Azhar e del quartiere di al-Ghūriyya, a qualche passo dalla Shāriʿa al-Ghūriyya. Due orgogliosi monumenti mamelucchi si elevano da entrambe le parti della via e si riferiscono entrambi alla memoria del Sultano Qanṣūh al-Ghūrī. A destra si erge la moschea-madrasa che fu eretta nel 1503. La particolarità della madrasa consiste nel suo minareto, rosso e bianco, che si erge a 65 m. di altezza. A sinistra invece si ammira il mausoleo e la fontana ( sabīl ) del Sultano stesso, che datano al 1504, di fronte alla madrasa sull'altro lato della strada. L'interno riflette la magnificenza dell'arte mamelucca.
Note
modifica- ^ O, all'egiziana, Qānṣūh.
- ^ Talora al-Ashraf Qānṣawh/Qānṣūh al-Ghawrī/al-Ghūrī.
- ^ Si veda su L’Égypte éternelle. A propos de : Sultan Qansua Al-Ghawri, dove per metatesi linguistica o per banale refuso è stato scritto "Qansua", anziché (semmai) il più logico "Qansau"
- ^ (AR) in arabo المماليك البرجيون/الجراكسة/الشركس? (i Mamelucchi Burji/al-Jarakisa/I Circassi.
- ^ André Clot, L'Égypte des Mamelouks 1250-1517. L'empire des esclaves, Parigi, Perrin, 2009, al cap. "Un homme fort face aux plus graves dangers".
- ^ A. Clot, op. cit., p. 232.
- ^ Il maḥmal (in arabo محمل ?, maḥmil, ossia "palanchino") era un baldacchino issato su un dromedario, che accompagnava la carovana ufficiale di pellegrini che dall'Egitto si muovevano ogni anno alla volta di Mecca per il hajj. La sua processione nelle vie del Cairo era l'occasione per una grande festa popolare.
- ^ A. Clot, op. cit., p. 233, al cap. "Un homme fort face aux plus graves dangers".
- ^ Caroline Williams, Islamic monuments in Cairo: the practical guide, Il Cairo, American University in Cairo Press, p. 142 ISBN 978-977-424-695-1] e André Clot, op. cit., cap. "L'âge d'or / Défilés, fêtes et banquets", p. 135, nota 4.
- ^ A. Clot, op. cit., p. 234, al cap. "Un homme fort face aux plus graves dangers".
- ^ Idem, p. 235, al cap. "Un homme fort face aux plus graves dangers".
- ^ Idem, pp. 235-236, al cap. "Quelques canons…".
- ^ A. Clot, op. cit., pp. 236-237, al cap. "Le duel avec les Portugais".
- ^ A. Clot, op. cit., pp. 238-239, al cap. "Mamelouks et Vénitiens coopèrent"
- ^ Sovente malamente tradotto «Crudele», trascurando che i laqab attribuiti ai califfi o ai Sultani hanno sempre, senza eccezione alcuna, una valenza positiva. È questo tra l'altro il caso del primo califfo abbaside, Abu l-Abbas al-Saffah, il cui laqab, che significa «Generosissimo», è spesso reso con l'attributo «Sanguinario». Ciò non tanto perché non esista anche quest'ultimo significato ma, semplicemente, perché la persona insignita di tale soprannome era chiamato, sì, "insanguinato" ma a causa delle numerose vittime sacrificate alla divinità, le cui carni erano poi offerte gratuitamente agli astanti, in quello che viene chiamato dagli antropologi religiosi un sacrificio "di comunione". Per questo si veda Claudio Lo Jacono Islam, vol. 4 della Storia delle religioni a cura di G. Filoramo, Roma-Bari, Giuseppe Laterza, 1999, cap. "Le religioni dell'Arabia preislamica e Muḥammad", pp. 19-20, 38.
- ^ A. Clot, op. cit., pp. 240-241, al cap. "Selim le terrible"
- ^ Gérard Chaliand, Guerres et civilisations, Parigi, Odile Jacob, 2005, p. 45 ISBN 978-2-7381-2189-9
- ^ A. Clot, op. cit., p. 243, al cap. "Les derniers feux".
- ^ Alaüddevle Bozkurt è la turchizzazione dell'arabo ʿAlāʾ al-dawla, in arabo علاء الدولة? «Superiorità del Casato» e del turco "bozkurt", «lupo grigio»
- ^ (EN) [online http://books.google.fr/books?id=v3AdA-Ogl34C&pg=PA197, dell'opera già citata di Martin Sicker, p. 197.
- ^ A. Clot, ibidem.
- ^ A. Clot, op. cit., p. 244, al cap. "Les derniers feux".
- ^ A. Clot, op. cit., p. 247, al cap. "Une lutte à mort".
- ^ A. Clot, op. cit., pp. 249-250, al cap. "Marj Dabik, la grande bataille".
- ^ A. Clot, op. cit., p. 249
- ^ A. Clot, op. cit, p. 250, al cap. "Le dernier sultan".
- ^ A. Clot, op. cit., p. 251, al cap. "Le dernier sultan".
Bibliografia
modifica- Janine & Dominique Sourdel, Dictionnaire historique de l'islam, Parigi, PUF, 2004, 1056 pp. (alle pp. 526–529 "Mamlouks syro-égyptiens") ISBN 978-2-13-054536-1.
- André Clot, L'Égypte des Mamelouks 1250-1517. L'empire des esclaves, Parigi, Perrin, 2009, 474 pp. ISBN 978-2-262-03045-2]
- (EN) M. Th. Houtsma et alii (edd.), E. J. Brill's First Encyclopaedia of Islam, 1913-1936, vol. 4 Leiden, E. J. Brill, 1993, s.v. «Kânsûh, al-Malik al-Ashraf Saif al-dîn min Baiberdî», pp. 720–721 ISBN 978-90-04-09790-2 [online http://books.google.fr/books?id=7CP7fYghBFQC&pg=PA720]
- (EN) Clifford Edmund Bosworth, The new Islamic dynasties: a chronological and genealogical manual, Edinburgh University Press, 389 pp., cap. "The Burjī line, 784-922/1382-1517", ISBN 978-0-7486-2137-8 [online http://books.google.fr/books?id=mKpz_2CkoWEC&p]
Voci correlate
modificaAltri progetti
modifica- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Qansuh al-Ghuri
Collegamenti esterni
modifica- (EN) Sultan Qansuh al-Ghuri Complex, su archnet.org (archiviato dall'url originale il 20 novembre 2010).
- (EN) Sultan Qansuh al-Ghuri Caravanserai, su archnet.org. URL consultato il 7 novembre 2020 (archiviato dall'url originale il 23 gennaio 2008).
- (EN) Sultan Qansuh al-Ghuri House, su archnet.org. URL consultato il 4 aprile 2020 (archiviato dall'url originale il 13 ottobre 2012).
- (EN) Sultan Qansuh al-Ghuri Mosque at al-Manshieh, su archnet.org (archiviato dall'url originale il 10 ottobre 2012).
- (EN) Sultan Qansuh al-Ghuri Mosque at Arab al-Yassar, su archnet.org (archiviato dall'url originale il 10 ottobre 2012).
- (EN) Sultan Qansuh al-Ghuri Mosque Conservation, su archnet.org (archiviato dall'url originale il 19 giugno 2010).
- (EN) Sultan Qansuh Al-Ghuri Wikala, su archnet.org (archiviato dall'url originale il 14 dicembre 2010).
- (FR) L’Égypte éternelle - Sultan Qansua Al-Ghawri, su eternalegypt.org.
- (AR) المماليك البرجيون/الجراكسة/الشركس (I Mamelucchi Burji / I Circassi), su hukam.net.
- Qānṣūh al-Ghūrī, su treccani.it.
Controllo di autorità | VIAF (EN) 74661848 · ISNI (EN) 0000 0000 7861 0096 · CERL cnp01420909 · LCCN (EN) n85331616 · GND (DE) 1019296879 · BNF (FR) cb16548802h (data) · J9U (EN, HE) 987007397252505171 |
---|