Giuseppe Pelosi

criminale italiano (1958-2017)
(Reindirizzamento da Pino Pelosi)

Giuseppe Pelosi, detto Pino (Roma, 28 giugno 1958Roma, 20 luglio 2017) è stato un criminale italiano, riconosciuto con sentenza definitiva quale colpevole dell'omicidio dello scrittore e regista Pier Paolo Pasolini, avvenuto nella notte tra il 1º e il 2 novembre 1975.

Giuseppe Pelosi nel 1975

Biografia

modifica

Vissuto nella frazione di Setteville di Guidonia Montecelio, non lontano da Roma, era conosciuto come Pelosino per via dell'aspetto imberbe. Durante il processo per l'omicidio di Pasolini, la stampa lo ribattezzò Pino "la rana" per gli occhi gonfi, probabilmente per le lacrime o per le percosse ricevute durante l'interrogatorio in carcere[1][2]. Ha frequentato la scuola fino alla 2ª media; all'epoca del processo per l'omicidio di Pasolini era noto alla Polizia come "un ragazzo di vita", cioè dedito a espedienti, piccoli furti[3] e prostituzione maschile.[4]

L'omicidio di Pasolini e la prima versione del delitto

modifica
Assassinio di Pier Paolo Pasolini
omicidio
 
TipoPestaggio e investimento con automobile
Data1º novembre 1975
22:30 circa
LuogoIdroscalo, Ostia
Stato  Italia
Armacorpo contundente, auto
ObiettivoPier Paolo Pasolini
ResponsabiliGiuseppe Pelosi
Conseguenze
Morti1

Il 1º novembre 1975, intorno alle ore 22:30, Pelosi, 17 anni, si trova di fronte alla stazione Termini, in Piazza dei Cinquecento, insieme a tre amici più grandi di lui: Salvatore Deidda[5], 19 anni, ferraiolo, Claudio Seminara, 19 anni, lucidatore, e Adolfo De Stefanis, 19 anni, operaio alla Breda BHB, soprannominato "lo sburracchione" a causa dell'acne.[6][7] Nelle prime deposizioni rese, Pelosi dichiarerà falsamente di non ricordarsi i cognomi dei suoi amici per non coinvolgerli.[6] Il gruppo di ragazzi si reca presso il bar-tabaccheria Dei (noto anche come Gambrinus) all'angolo di Piazza della Repubblica, dove Pelosi entra con uno degli amici a consumare un ; uscendo dal bar, nota un gruppo di persone a lui note, insieme ad un altro dei suoi amici, che conversa con un uomo seduto a bordo[6] di un'Alfa Romeo Giulia 2000 GT Veloce[8][9] grigio metallizzata, targata ROMA K69996: si tratta del cinquantatreenne Pier Paolo Pasolini. Lo scrittore invita Adolfo a salire sull'auto per "fare un giretto", ma Adolfo rifiuta, quindi Pasolini si rivolge a Pino, che accetta.

Alle ore 23:00 Pasolini porta Pelosi alla trattoria Al biondo Tevere, dove gli offre una cena composta da un piatto di spaghetti aglio, olio e peperoncino e da un petto di pollo, in quanto il giovane avrebbe riferito allo scrittore di essere affamato. Mentre Pelosi mangia, Pasolini sorseggia una birra. I due parlano in modo fitto, ma con tono tranquillo. Alle 23:40 Pasolini e Pelosi lasciano la trattoria e si recano a Ostia, nei pressi dell'Idroscalo del Lido di Roma, in uno sterrato accanto a un campetto di calcio, fermandosi durante il tragitto a fare benzina presso un distributore self service.[2] Poco meno di due ore dopo, alle 1:30 del 2 novembre 1975, il giovane viene fermato da una pattuglia dei Carabinieri sul Lungomare Duilio di Ostia mentre sta guidando l'Alfa contromano a folle velocità.[10]

Inizialmente accusato solo di furto d'auto, al primo interrogatorio Pelosi confessa di aver rubato la vettura nei dintorni del cinema Argo, nel quartiere Tiburtino, ma più che dell'accusa di furto sembra preoccupato che venga ritrovato all'interno dell'abitacolo un anello che sostiene di aver perso, un grosso anello con la scritta "United States Army".[2][11] I carabinieri cercano l'anello nell'auto, senza trovarlo: verrà successivamente rinvenuto a fianco del corpo di Pasolini. Ci sono però tutti i documenti da cui risulta che l'auto rubata è di proprietà dello scrittore. L'auto viene portata in un'autorimessa e i carabinieri sul sedile posteriore trovano un vecchio pullover verde consumato, assieme al giubbotto e al maglione di Pelosi[2] e ad un plantare per una scarpa destra numero 41.[2]

Pelosi viene trasferito nel carcere minorile di Casal del Marmo, dove al compagno di cella confessa: "Ho ammazzato Pasolini".[2] Pelosi, nel verbale redatto a mano dai carabinieri che l'hanno fermato quella sera, afferma che l'anello perduto glielo avrebbe donato un certo Johnny. "Johnny lo Zingaro" è il soprannome di un criminale di nome Giuseppe Mastini, reo confesso di un altro delitto commesso nello stesso periodo a Roma ed internato nel carcere minorile di Casal del Marmo, di cui però Pelosi nega di essere amico.[11]

Il 5 novembre 1975 Pelosi viene interrogato, descrivendo come sarebbe stato "agganciato" da Pasolini alla Stazione Termini e di come all'Idroscalo il loro incontro sarebbe degenerato. Sarebbe sorto un duro alterco per via di una prestazione sessuale desiderata da Pasolini e che Pelosi non intendeva concedergli, sfociato in una feroce colluttazione. Pelosi sostiene anche che lo scrittore l'avrebbe colpito per primo con un bastone, e che lui si sarebbe difeso colpendolo a sua volta con una tavola di legno (un'insegna che indica scritta a mano il nome della via, "via dell'Idroscalo n.93") e poi, lasciatolo a terra, sarebbe fuggito con l'auto. La morte di Pasolini sarebbe dunque stata involontaria in quanto provocata dal fatto che l'Alfa ha investito il poeta durante la fuga di Pelosi, schiacciandogli il torace e rompendogli il cuore. Pelosi sostiene anche che non vi fossero altre persone sul luogo del delitto.[10]

Il 10 dicembre 1975 Pelosi fu rinviato a giudizio al tribunale dei minori per omicidio volontario, furto d'auto e atti osceni in luogo pubblico.[2] Il processo a Pelosi imputato di «omicidio nella persona di Pier Paolo Pasolini» si apre il 2 febbraio 1976 al Tribunale per i minorenni di Roma.[2][12] La famiglia Pasolini si costituì parte civile difesa dagli avvocati Guido Calvi e Nino Marazzita.[2] Il giudice Carlo Alfredo Moro (fratello di Aldo Moro) respinse la perizia del Professor Aldo Semerari (criminologo legato agli ambienti della destra eversiva) che giudicava Pelosi incapace di intendere e di volere, avanzata dalla difesa del ragazzo.[2]

Al processo che si concluse il 26 aprile 1976, il pubblico ministero Giuseppe Santarsiero chiese una condanna a 10 anni, 9 mesi e 10 giorni di reclusione. La corte decise di condannare Pelosi a 9 anni, 7 mesi e 10 giorni e a 30.000 lire di multa per atti osceni, furto aggravato e «omicidio volontario in concorso con ignoti».[2] Più precisamente Moro scrisse: «Ritiene il collegio che dagli atti emerga in modo imponente la prova che quella notte all'Idroscalo il Pelosi non era solo».[2] Il giovane omicida era reo confesso, ma per omicidio colposo.[2]

Il processo di appello richiesto dall'imputato e dal procuratore generale fu celebrato dal 1º al 4 dicembre 1976 dalla sezione per i minorenni della Corte di Appello di Roma e vide Pelosi assolto dai reati di atti osceni e furto, ma venne confermata la condanna di omicidio.[2] Riesaminati tutti gli elementi però la Corte ritenne «estremamente improbabile, per tutte le cose dette, che Pelosi possa avere avuto uno o più complici».[2] Un omicidio esito di una classica lite tra omosessuali e prostituti.[2]

La sentenza divenne definitiva per volontà della Corte di Cassazione il 26 aprile 1979 che confermò la sentenza.[2] Internato a Civitavecchia, Pelosi il 26 novembre 1982 otterrà la semilibertà e il 18 luglio 1983 la libertà condizionata.

L'11 gennaio 1984 viene arrestato nuovamente, con l'accusa di aver rapinato un furgone postale nel luglio precedente, ma sei mesi dopo verrà assolto per insufficienza di prove. Nell'agosto 1984 viene sorpreso a svaligiare un appartamento, mentre il 7 dicembre 1985 viene nuovamente arrestato con altri per tentata rapina. Continuerà a delinquere fino ad una rapina commessa il 1º settembre 2000.

Le varie ritrattazioni della confessione

modifica

Nel 1995, dopo vent'anni di silenzio, pubblicò l'autobiografia Io, angelo nero, per la casa editrice Sinnos con prefazioni dello psicologo giuridico che lo seguì in carcere Gaetano De Leo e di Dacia Maraini: Pelosi sostanzialmente continua con minime differenze a sostenere la versione del 1995 di non aver mai visto Pasolini prima di quella sera e di essere stato l'unico responsabile dell'omicidio avendo agito in un momento di panico[13]. Dieci anni dopo ancora, tornerà a far parlare di sé ritrattando più volte e in modo contraddittorio la propria versione dei fatti riguardo alla notte della morte dello scrittore.[14]

Il 7 maggio 2005 Pelosi affermò nella trasmissione televisiva della Rai Ombre sul giallo, in contraddizione con la sua confessione in fase processuale, di non aver partecipato di persona all'aggressione di Pasolini, ma che questa fu effettuata da tre persone, a lui sconosciute, che parlavano con accento siciliano e che si sarebbero accanite con bastoni e catene contro il poeta, dopo averlo malmenato e terrorizzato tanto da impedirgli di prestare soccorso al Pasolini. L'avvocato Marazzita, presente alla trasmissione, chiederà poi formalmente la riapertura del caso alla Procura di Roma come "atto dovuto", ma il caso riaperto verrà subito riarchiviato perché si scoprirà che Pelosi fu pagato per andare alla trasmissione.[12]

Nel settembre 2011, nella sua seconda autobiografia, Io so... come hanno ucciso Pasolini: Storia di un'amicizia e di un omicidio, scritto in collaborazione con Alessandro Olivieri e Federico Bruno, Editore: Vertigo. Collana: Polis, Pelosi racconta di non aver incontrato per la prima volta Pasolini la sera del 1º novembre 1975 in Piazza dei Cinquecento, ma ammette di aver conosciuto il poeta all'inizio dell'estate e di averlo frequentato con una certa assiduità. Pino nel libro parla in termini completamente diversi di Pier Paolo Pasolini, nelle sue descrizioni Paolo non è più quella belva feroce affamata di sesso che lo voleva picchiare, sodomizzare e forse uccidere, ma lo definisce "un galantuomo".[12]

A giustificazione della sua reticenza e dell'essersi accollato la responsabilità dell'omicidio, Pelosi affermò di essere stato minacciato di morte assieme ai suoi genitori da parte di uno degli aggressori, e di aver pertanto atteso fino alla morte per cause naturali di questi ultimi, per poter iniziare a parlare.

Nella nuova versione infatti, Pelosi parla di due giovani "dall'accento siciliano", indicazione che con altre sembra collimare con le prime ipotesi degli inquirenti, i quali attribuivano complicità nel delitto ai fratelli Franco e Giuseppe Borsellino, di 13 e 15 anni,[6] detti "bracioletta" e "braciola",[2] criminali comuni catanesi[15] del Tiburtino[2] e noti nel mondo della malavita, militanti nel MSI e caratterizzati da simpatie politiche di estrema destra,[12][15] dediti al traffico di stupefacenti, tossicomani e morti di AIDS negli anni novanta.[16] Effettivamente il 14 febbraio 1976 i giovani furono arrestati su indicazione del maresciallo Renzo Sansone, sotto copertura tra una compagnia di delinquenti di Casal Bruciato, al quale Giuseppe confidò di aver partecipato al delitto Pasolini con il fratello.[2][12] Tuttavia, una volta al commissariato entrambi negarono ogni addebito, sostenendo di aver inventato il tutto per conquistarsi una reputazione "da duri".[12][17] Così, la loro confessione non entrò nel processo. Se così fosse, non si spiegherebbe perché confidarono a Sansone anche di avere molta refurtiva in casa, che fu poi effettivamente trovata. A far sì che i fratelli Borsellino fossero scarcerati fu il vice procuratore Guido Guasco che così facendo tolse ogni dubbio o sospetto sulla presenza di altre persone sul luogo del delitto lo stesso che poi impugnò la sentenza di appello e cassazione facendo togliere la dicitura “in concorso con ignoti” con una forzatura anomala e sospettosa di far apparire l’omicidio casuale e per mano di una sola persona. [6]

A seguito di un nuovo arresto per spaccio di droga nel 2005, Pelosi è stato affidato ai servizi sociali e ha svolto il lavoro di netturbino per il comune di Roma. In un'intervista rilasciata al blog di Beppe Grillo nel giugno 2009, Pelosi afferma l'estraneità ai fatti del delitto Pasolini di colui che è stato più volte sospettato come quarto uomo in tale circostanza, il criminale ergastolano Giuseppe Mastini, noto alla cronaca come "Johnny lo Zingaro", che fu suo amico e compagno di prigione nel 1976[18]. Mastini era uscito dal carcere il giorno prima del delitto e non esistono prove che, per quanto leggermente claudicante, portasse anche un plantare, sul quale non è stato, ad ogni modo, trovato il suo DNA[senza fonte]. Pelosi sostenne nella prima deposizione (1975/1) che l'anello ritrovato fosse di sua proprietà e di averlo acquistato da un assistente di volo dell'Alitalia[19] che lo aveva precedentemente comprato negli Stati Uniti.[20]

Pelosi è tornato libero dopo l'estinzione della pena il 23 settembre 2009.

Una nuova inchiesta della magistratura romana sul delitto Pasolini, durata dal 2010 al 2015, si è conclusa con la richiesta di archiviazione da parte della Procura della Repubblica in quanto i nuovi reperti biologici esaminati non consentivano l'identificazione di altre persone e non potevano essere univocamente collegati all'evento delittuoso.[6]

Nel 2016 è stata avanzata una nuova richiesta di riapertura delle indagini,[21][22] anch'essa rigettata dalla Procura di Roma.[23][24]

La morte

modifica

Affetto da un tumore alla vescica, nel 2016 Pelosi è stato sottoposto a un intervento chirurgico. Il tumore si è poi esteso ai polmoni, portandolo alla morte il 20 luglio 2017 all'età di 59 anni presso il Policlinico "Gemelli" di Roma.[25]

Filmografia

modifica

Programmi televisivi

modifica
  • Storie maledette. Ho ucciso Pasolini di Franca Leosini, regia di Piero Berengo Gardin (Rai 3, 1994).
  • Ombre sul giallo. Non sono io l’assassino di Pasolini di Franca Leosini, regia di Maurizio Amici (Rai 3, 2005).
  • Storie maledette. Pasolini, quel corpo senza pace di Franca Leosini, regia di Fabio Vannini (Rai 3, 2014).
  • Storie maledette. Delitto Pasolini. Nella tomba con Pelosi, il mistero di quei nomi di Franca Leosini, regia di Graziano Paiella (Rai 3, 2017).
  • Io, angelo nero, Roma, Sinnos, 1995. ISBN 88-86061-12-9.
  • Io so... come hanno ucciso Pasolini, in collaborazione con l'avvocato Alessandro Olivieri e il regista Federico Bruno, Roma, Vertigo, 2011. ISBN 978-88-6206-031-8.
  1. ^ Pino Pelosi, condannato per l'omicidio di Pier Paolo Pasolini, su Memopop. URL consultato il 30 novembre 2015 (archiviato dall'url originale l'8 dicembre 2015).
  2. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t Giuseppe Lo Bianco, Sandro Rizza, Profondo nero, Milano, Chiarelettere, 2011, p. 322, ISBN 9788861901490.
  3. ^ Roberta Dalessandro, Pierpaolo Pasolini, GOODmood, 21 luglio 2017, ISBN 9788871570693. URL consultato il 22 ottobre 2017.
  4. ^ Adriano Angelini, 101 cose da fare a Roma di notte almeno una volta nella vita, Newton Compton Editori, 10 settembre 2010, ISBN 9788854123236. URL consultato il 22 ottobre 2017.
  5. ^ Epoca, A. Mondadori, gennaio 1976. URL consultato il 22 ottobre 2017.
  6. ^ a b c d e f Fabio Sanvitale e Armando Palmegiani, Accadde all'Idroscalo: L'ultima notte di Pier Paolo Pasolini, Sovera Edizioni, 14 novembre 2016, ISBN 9788866523604. URL consultato il 23 ottobre 2017.
  7. ^ Omicidio Pier Paolo Pasolini: incontro a Stazione Termini con Pino Pelosi -, in Cronaca-Nera.it, 5 dicembre 2010. URL consultato il 23 ottobre 2017.
  8. ^ Luca Steffenoni, I 50 delitti che hanno cambiato l'Italia, Newton Compton Editori, 1º dicembre 2016, ISBN 9788854187122. URL consultato il 22 ottobre 2017.
  9. ^ Matteo Collura, Eventi, Longanesi, 1º gennaio 1999, ISBN 9788830417182. URL consultato il 22 ottobre 2017.
  10. ^ a b Gianluca Maconi, Il delitto Pasolini, Edizioni BeccoGiallo, 23 dicembre 2011, ISBN 9788897555209. URL consultato il 23 ottobre 2017.
  11. ^ a b Oriana Fallaci, Pasolini un uomo scomodo, Rizzoli, 22 ottobre 2015, ISBN 9788858679470. URL consultato il 23 ottobre 2017.
  12. ^ a b c d e f David Grieco, La macchinazione: Pasolini. La verità sulla morte, RIZZOLI, 1º ottobre 2015, ISBN 9788858681794. URL consultato il 23 ottobre 2017.
  13. ^ L'omicida di Pasolini si racconta in un libro, su Archivio - la Repubblica.it.
  14. ^ Delitto Pasolini, Pino Pelosi unico colpevole. Mistero finito: archiviata l'ultima inchiesta, su Affaritaliani.it. URL consultato il 30 novembre 2015 (archiviato dall'url originale l'8 dicembre 2015).
  15. ^ a b Benito Li Vigni, Pasolini: Testimone autentico, poeta e scrittore scomodo per il potere corrotto, Sovera Edizioni, 30 ottobre 2014, ISBN 9788866522522. URL consultato il 23 ottobre 2017.
  16. ^ Pelosi:, in micromega-online. URL consultato il 23 ottobre 2017.
  17. ^ Dossier delitto Pasolini, Kaos edizioni, seconda edizione aggiornata 2008. ISBN 978-88-7953-198-6
  18. ^ La P2 e il delitto Pasolini, su beppegrillo.it, 24 giugno 2009. URL consultato il 1º giugno 2015 (archiviato dall'url originale l'8 luglio 2014).
  19. ^ Franco Grattarola, Pasolini, una vita violentata: pestaggi fisici e linciaggi morali : cronaca di una via crucis laica attraverso la stampa dell'epoca, Coniglio, 2005, ISBN 9788888833125. URL consultato il 23 ottobre 2017.
  20. ^ Fabio Sanvitale e Armando Palmegiani, Accadde all'Idroscalo: L'ultima notte di Pier Paolo Pasolini, Sovera Edizioni, 14 novembre 2016, ISBN 9788866523604. URL consultato il 23 ottobre 2017.
    «Nota 25: Lo steward è un suo ex vicino di casa di via Diego Angeli 6, Aldo Chiovoloni, 27 anni, che non è però certo che l'anello sia quello. Diversi giornalisti hanno ipotizzato che l'anello gli fosse stato dato da Johnny Mastini, un suo amico [...], ma non esiste prova di questo.»
  21. ^ E' morto Pino Pelosi. L'avvocato: "Verità non è morta con lui", su Dire.it, 20 luglio 2017. URL consultato il 30 dicembre 2021.
  22. ^ Storie maledette 2014 - Quando Stefania ha il cuore di tenebra (II) - Video, su RaiPlay. URL consultato il 30 dicembre 2021.
  23. ^ Redazione di Rainews, No alla riapertura delle indagini per l'omicidio di Pasolini. La decisione della Procura di Roma, su RaiNews, 24 novembre 2023. URL consultato il 3 ottobre 2024.
  24. ^ Delitto Pasolini, il tribunale di Roma dice “no” alla riapertura delle indagini sulla morte, su La Stampa, 24 novembre 2023. URL consultato il 3 ottobre 2024.
  25. ^ È morto Pino Pelosi, condannato per l’omicidio di Pier Paolo Pasolini, su lastampa.it, La Stampa, 20 luglio 2017. URL consultato il 20 luglio 2017.

Bibliografia

modifica
  • Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, Profondo nero. Mattei, De Mauro, Pasolini. Un'unica pista all'origine delle stragi di Stato, Milano, Chiarelettere, 2009 ISBN 978-88-6190-058-5

Altri progetti

modifica

Collegamenti esterni

modifica
Controllo di autoritàVIAF (EN37154570 · ISNI (EN0000 0000 9011 6875 · SBN BVEV030279 · LCCN (ENno2012015770 · GND (DE119162040 · BNE (ESXX1674879 (data) · BNF (FRcb14542766r (data)
  Portale Biografie: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biografie