Lorenzaccio

opera teatrale di Carmelo Bene del 1986
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Lorenzaccio è la versione teatrale del romanzo omonimo scritta e diretta da Carmelo Bene, con la precisazione nel titolo che "è al di là di Alfred De Musset e Benedetto Varchi" che ne hanno fornito in passato una loro versione.

Lorenzaccio
Opera teatrale
L'edizione Lorenzaccio di Alfred de Musset
AutoreCarmelo Bene
Titolo originaleLorenzaccio
Lingue originali
Genere[1]
Composto nel1986
Prima assoluta4 novembre 1987
Ridotto del Teatro Comunale, Firenze
Personaggi
Nella versione teatrale i personaggi sono ridotti a tre:

Mentre i personaggi della versione originale e del racconto sono:

  • Lorenzo de' Medici detto Lorenzaccio: Carmelo Bene
  • Alessandro de' Medici
  • Cardinale Cibo
  • Ser Maurizio (cancelliere degli Otto)
  • Cardinale Baccio Valori
  • Filippo Strozzi
  • Roberto Corsini (provveditore della fortezza)
  • Tebaldeo (pittore)
  • Scoronconcolo (spadaccino)
  • Giomo (l'ungherese, scudiero del Duca)
  • Maffio (borghese)
  • Un orefice
  • Un mercante
  • Una maschera
  • Un banditore
  • Maria Soderini (madre di Lorenzo)
  • Caterina Ginori (zia di Lorenzo)
  • Marchesa Cibo
  • Voci di esiliati
 

Lorenzaccio (versione teatrale)

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Carmelo Bene

La vicenda e lo spettacolo teatrale del Lorenzaccio dell'87 viene spiegato abbastanza esaustivamente nella puntata del 23 ottobre del 1995 di Uno contro tutti del MCS. Bene descrive l'agire, o meglio, il non-agire di Lorenzaccio nel tempo aion, o, altrimenti detto, la differenza tra atto e azione. La cosa curiosa e interessante è che il protagonista, Carmelo Bene, non volle mai partecipare alle prove, sostituito in queste da una controfigura, dato che la sua necessità era quella di non riuscire a pensare, a programmare, a reagire logicamente nelle situazioni inaspettate che gli sarebbero capitate in scena. Tutto questo sarebbe servito a rendere il gesto atemporale della figura di Lorenzino di Pier Francesco de' Medici (ingiurato poi dai posteri Lorenzaccio) che, con l'omicidio demotivato e apparentemente senza movente di suo zio Alessandro, "sfregia in faccia la storia". La scena così concepita, calpestata alla prima da C.B. sarebbe stata un vero handicap e impedimento all'agire, a qualsiasi azione, alla premeditazione (in questo caso del delitto), considerata l'"atmosfera" così stracolma di rumori, forti e inaspettati, provocati dal rumorista Contini, in armatura cinquecentesca. Quindi Lorenzino non poteva far altro che smarrirsi nell'atto, dimenticando lo scopo per cui veniva agito. Lo stesso Carmelo Bene spiega al MCS questo retrocedere al non-agire di Lorenzino di fronte al chiasso ostruente del "pentolame storico":

«E non mi riusciva davvero di pensare, perché dovevo sempre essere in ritardo, e i ritardi dovevano sempre aumentare su un signore che era un rumorista [Contini], lì nel golfo mistico [...] rompeva delle cose [il chiasso prodotto da] questo padellame ch'è la storia [amplificatissimo], e quindi mi toccava stargli dietro e, stando dietro, non coincidendo... questo impediva di pensare... perché non c'era il tempo [...] Nel momento di uccidere però il tiranno, bisogna sospendere l'azione, cioè essere nell'abbandono, dimenticarsi del medesimo, se no non potresti agire [...] Francesco de' Medici non c'era, si era assentato da sé stesso per poter contravvenire all'azione, per realizzarla derealizzandola così a pieno [...]»

Da quanto viene riportato in un articolo apparso su La Repubblica[2], Carmelo Bene definisce lo spettacolo teatrale del suo Lorenzaccio, a cui aveva lavorato da tre anni, come "lo spettacolo miracolo", un "ultimatum al teatro", "la fine del dicibile, dell'ascolto, dell'immagine", "liquidazione della storia e della psicanalisi", e oltretutto "indefinibile, illeggibile, inguaribile, invendibile, mai visto".[2] Inoltre Carmelo Bene precisa che...

«Poco si può dire di qualcosa non fruibile [...] Con Macbeth mi ero illuso di far chiarezza sul teatro moderno. Mi sono segnalato come l'unico demolitore del teatro moderno [...] Mi importa solo dei corti circuiti del linguaggio [...] se è possibile non rappresentare alcunché, questa è l'occasione. È uno scacco matto al teatro. La montagna che partorisce non il topolino ma il nulla. Bisogna riprendere dalla fine del teatro di testo ed è lì che il discorso naufraga felicemente in questo Lorenzaccio. Scavalco il post-moderno per arrivare alla deconcettualizzazione del post-teatro e faccio i conti solo con questo [...] Con Macbeth fine del teatro moderno, con Lorenzaccio fine scacco matto di qualsiasi spettacolo [...] Ho lavorato tre anni per partorire un'oretta di teatro, è una scommessa a cronometro [...] un gioco puntiglioso di macchine. Questo Lorenzaccio spiazza il teatro mondiale come Lorenzaccio ha spiazzato gli storici [...] Il talento fa quello che vuole, il genio fa quello che può. In Lorenzaccio ho fatto quello che ho potuto. Vuol dire che sono un genio. Sì, è così. Il talento diverte, rallegra, intrattiene. Impossibile fare quello che può [...] Vi ho annunciato un miracolo, lo dico senza umorismo e ironia. Un'opera di genio si può fare tre o quattro volte nella vita. Per questo anche per me Lorenzaccio rappresenta un'eccezione [...] Sono pervenuto ad un'antiopera. Siamo davvero al nulla. Da questo momento il teatro europeo può ripartire da zero [...] Spiazzare, sgambettare qualunque linguaggio sulla scena. Fino ad ora artista, da oggi sono un genio. Non ci sono testi, non c'è nulla di spettacolare. È un teatro senza spettacolo. Ho reso possibile l'impossibile.[2]»

Maurizio Grande in La grandiosità del vano del Lorenzaccio beniano scrive:

«Ciò che è vano può essere grandioso? Esiste una grandezza del non andare a segno, del fallire il bersaglio, del mancare il colpo? E ancora. Esiste una grandezza del gesto clamoroso di cui ci sfuggano le conseguenze? Esiste un'azione che non colga il suo scopo? Si può chiamare azione il gesto che afferma la propria vanità? Non soltanto la sua insufficienza, la sua crisi, la sua negazione, ma la sua vanità; vale a dire la sua gratuità, la rinuncia ad iscriversi in un progetto quale che sia e, soprattutto, a rendersi responsabile della modificazione della situazione, rivendicando per sé solo il momento dell'atto?[3]»

Lorenzaccio (racconto)

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Il racconto da cui è tratta l'opera teatrale venne pubblicato a Roma da Nostra Signora Editrice nel 1986 e include lo studio di Maurizio Grande, La grandiosità del vano. Il racconto inizia così...

Lorenzaccio è quel gesto che nel suo compiersi si disapprova. Disapprova l'agire. E la storia medicea, dispensata, non sa di fatto stipare questo suo (–) enigma eroico; ha subìto e glorificato di peggio, questa Storia. Ma le cose son due: o la Storia, e il suo culto imbecille, è una immaginaria redazione esemplare delle infinite possibilità estromesse dalla arbitraria arroganza dei 'fatti' accaduti (infinità degli eventi abortiti); o è, comunque, un inventario di fatti senza artefici, generati, cioè, dall'incoscienza dei rispettivi attori (perché si dia un'azione è necessario un vuoto della memoria) che nella esecuzione del progetto, sospesi al vuoto del loro sogno, così a lungo perseguito e sfinito, dementi, quel progetto stesso smarrirono, (de)realizzandolo in pieno.[4]

Dagli studi fatti (se ne interessò anche Gilles Deleuze ed altri studiosi) gli risultò che questa pecora nera, Lorenzino de' Medici, in seguito detto spregiativamente Lorenzaccio, era un antiumanista, un antistoricista, odiava gli intellettuali, lacchè di corte, e disprezzava la storia e tutti coloro che la fanno, che agiscono persuasi da una causa o dediti a uno scopo. Lorenzino invece si divertiva a rovinare le statue, rovinare le rovine, dell'Arco di Costantino a Roma, mandando su tutte le furie il papa. Lo stesso assassinio di Alessandro de' Medici non aveva né una motivazione politica, né ereditaria.

Carmelo Bene ne aggettiva addirittura il nome e nel suo teatro, per esempio, lo sentiamo parlare di gesti lorenzacci.

Lorenzaccio (copione teatrale)

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Nella versione italiana e riduzione da Alfred de Musset abbiamo nel finale del copione questo discorso monologato fra Filippo Strozzi e Lorenzino.

FILIPPO – Avresti deificato gli uomini, se non li disprezzassi.
LORENZO – Ma io non li disprezzo, li conosco. Ve ne sono pochi pessimi, molti vigliacchi e tanti indifferenti.
FILIPPO – Sono contento. Sì, mio malgrado, mi batte il cuore.
LORENZO – Meglio così.
FILIPPO – ... Neghi forse la storia del mondo intero?
LORENZO – No, non nego la storia, ma io non c'ero.[5]

Lorenzaccio (versione televisiva)

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Nel 2003 la registrazione dello spettacolo teatrale Lorenzaccio del 1986 venne messa in onda appositamente per la televisione, prodotto dalla Fondazione l'Immemoriale di Carmelo Bene in collaborazione con Rai International e il comune di Roma. Proiettato in prima internazionale all'Auditorium Parco della Musica di Roma nell'ambito della manifestazione “Roma per Carmelo” il 1º settembre 2003.

Edizioni

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Teatro:

  • "Lorenzaccio, al di là di Alfred De Musset e Benedetto Varchi" Con I. George, M. Contini. Firenze, Ridotto del Teatro Comunale (4 novembre 1987)
  • "Lorenzaccio" di Marcello Vannucci - Produzione "IL MESE MEDICEO"

Televisione: Lorenzaccio, al di là di de Musset e Benedetto Varchi, di Carmelo Bene. Regia di Carmelo Bene, interpreti[6]: Carmelo Bene, Isaac George, Mauro Contini. Registrazione dello spettacolo teatrale del 1986, montaggio di Mauro Contini con la supervisione di Carmelo Bene. Direzione televisiva: Mauro Contini, Produzione: Fondazione l'Immemoriale di Carmelo Bene in collaborazione con Rai International e il comune di Roma, durata 90', 2003, Italia, colore, video. (Proiettato in prima internazionale all'Auditorium Parco della Musica di Roma nell'ambito della manifestazione “Roma per Carmelo ”il 1º settembre 2003)

  1. ^ In realtà il genere, per quanto concerne le opere beniane, è difficile da determinare. Carmelo Bene definisce a volte la sua arte (teatrale, filmica, letteraria, ...) "degenere".
  2. ^ a b c Paolo Vagheggi, Sono un genio è proprio così, in la Repubblica, 02 novembre 1986, p. 26. URL consultato il 17 novembre 2010.
  3. ^ Maurizio Grande, La grandiosità del vano, in Lorenzaccio di Carmelo Bene, Nostra Signora s.r.l., 1986
  4. ^ Carmelo Bene, Opere con l'autob. op. cit., Lorenzaccio, p. 9
  5. ^ Carmelo Bene, Opere con l'autob. op. cit., Lorenzaccio – rid. di Musset, p. 1306
  6. ^ Bisogna valutare il fatto che Bene considera le sue versioni non rivisitazioni o reinterpretazioni di un testo, ma una restituzione del così definito da Klossowski "significato metafisico del teatro". Vita di Carmelo Bene, op. cit., pag. 331

Bibliografia

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Voci correlate

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