Fusione perfetta del 1847
La fusione perfetta del 1847 si riferisce all'unione politica e amministrativa fra il Regno di Sardegna e gli Stati di terraferma posseduti dai Savoia, comprendenti il Piemonte, il Ducato di Savoia, Nizza, il Principato di Oneglia, gli ex feudi imperiali dell'Appennino Ligure (che comprendevano il Novese e l'Ovadese) e l'ex Repubblica di Genova con l'isola di Capraia, in modo simile a quanto la corona inglese aveva fatto quasi cinquant'anni prima con il Regno d'Irlanda per mezzo dell'Atto di Unione nel 1800.
Questo atto trasformò i domini di Casa Savoia, ovvero l'isola di Sardegna e il cosiddetto "Stato sabaudo", fino ad allora composito e avente in comune il fatto di essere retto dal medesimo monarca in unione personale, in uno stato unitario e centralizzato.
La fusione
modificaIl 29 ottobre 1847, Carlo Alberto di Savoia aveva concesso moderne riforme liberali agli "Stati sardi di terraferma", nelle quali erano comprese misure quali l'alleggerimento della censura e delle limitazioni al potere di polizia[1]. Saputa la notizia, a novembre furono indetti dei cortei nei principali centri dell'isola, quali Cagliari[2], Sassari, Alghero, Oristano e Nuoro[3], per richiedere l'estensione di quelle riforme anche alla Sardegna[1]. Le riforme erano infatti percepite, nell'isola, come uno strumento attraverso il quale si sarebbe potuta superare, col timbro del progresso, sviluppo e modernità, una crisi causata dai cattivi raccolti succedutisi negli ultimi anni[4].
Purtuttavia, tali moti ebbero quale sbocco un obiettivo verso cui, per Girolamo Sotgiu, l'orientamento popolare era alquanto contrario[5][6]: la "perfetta" fusione tout court con gli stati continentali o "di terraferma" e la conseguente rinuncia alla soggettività nazionale di quel Regnum Sardiniae[7] che casa Savoia, finora, aveva (per quanto formalmente) rispettato[8].
Nei mesi seguenti ci furono due distinte ambascerie presso la corte di Torino che presentarono la richiesta di estensione delle riforme[9]. Il 30 novembre 1847, Carlo Alberto approvò d'altro canto la fusione,[10] annunciata dall'ultimo viceré Claudio Gabriele de Launay con il seguente pregone: «...il Re Nostro Signore si degnò manifestarci, che il paterno suo cuore fu profondamente commosso pei figliali sentimenti di riconoscenza esternati da questi amati sudditi nel sentirsi chiamati a formare una sola famiglia cogli altri sudditi del Continente»[11][12]. La carica vicereale, assieme a tutte le altre istituzioni del Regno isolano, fu infine soppressa il primo ottobre del 1848[13][14].
Carlo Alberto ricompensò i sardi per la loro fedeltà al re e promise che, in contropartita della rinuncia alla loro autonomia, avrebbero potuto esportare, senza pagare dogana, olio e vino in Piemonte da quel momento in poi[10][15].
Consensi e dissensi
modificaIn Sardegna, l'estensione delle riforme liberali era caldeggiata dal segmento studentesco e, in particolare, dalla borghesia di Cagliari e Sassari; attraverso l'inserimento nella Lega doganale italiana, cui avevano aderito il Granducato di Toscana, gli Stati sardi e lo Stato pontificio nel novembre del 1847[16], gli imprenditori sardi avrebbero goduto di agevolazioni nella esportazione delle merci agricole e nella importazione dei manufatti dal continente[17].
La più radicale "fusione perfetta" era, invece, appoggiata dall'aristocrazia ex-feudale, dalla classe impiegatizia e da quella borghesia terriera emersa dalle chiudende[18]: dalla conservazione dell'autonomia sarda tali notabili, ormai convertitisi in redditieri senza più alcun peso politico[19], non traevano alcun vantaggio; attraverso la sua abolizione, invece, la nobiltà si sarebbe potuta inserire nella società piemontese e in più vantaggiose carriere politico-burocratiche che, con la fusione, sarebbero confluite in quelle continentali. Ne Sull’unione civile della Sardegna colla Liguria, col Piemonte e colla Savoia di Pietro Martini, a proposito, si legge: «Quale finora è stato il colmo degli onori per gli impiegati nazionali? Gli uffizi di presidenti nell'antica Reale Udienza e di reggente di toga nel Supremo Consiglio or ora abolito, per li giuridici; quelli di vice intendente generale di Sassari e di direttore generale del Debito Pubblico per li amministrativi, e nulla più. Colla fusione, però, con rimescolamento dei Sardi cogli impiegati fratelli, i primi colle benemerenze loro potranno giungere alle alte cariche dello Stato»[20][21][22][23][24]. A detta del medesimo Martini, l'obiettivo del movimento unionista era il «trapiantamento in Sardegna, senza riserve ed ostacoli, della civiltà e cultura continentale, la formazione d’una sola famiglia civile sotto un solo Padre meglio che Re, il Grande Carlo Alberto»[25].
Tali segmenti sociali avrebbero così egemonizzato un movimento che, sorto per la rivendicazione di più libertà, si sarebbe risolto, per lo storico del Risorgimento Leopoldo Ortu, in un posizionamento subalterno, tanto della Sardegna quanto loro, rispetto alla élite e classe dirigente subalpina[26].
Nel generale entusiasmo delle riforme, a prevalere fu infine quest'ultima posizione che, fra l'altro, godeva del favore regio[7]; non mancarono in merito voci contrarie, benché in minoranza, a una rinuncia incondizionata all'autonomia[27], quali quella di Federico Fenu[28] e Giovanni Battista Tuveri, e non tardarono neanche a presentarsi i pentiti di tale opera, fra cui lo stesso propositore Giovanni Siotto Pintor, che parlò in merito di "follia collettiva" ed ebbe a dire, a posteriori, "errammo tutti"[29][23][30][31]. Lo stesso Siotto Pintor ebbe inizialmente difficoltà nell'essere riconosciuto come senatore dal portiere a guardia del parlamento subalpino, mentre Pasquale Tola lamentò in aula l'assenza dell'emblema della Sardegna, a fronte della presenza di quelli delle altre suddivisioni del regno.
Per Leopoldo Ortu, la Fusione Perfetta avrebbe determinato, con tredici anni di anticipo alla questione meridionale, quel "compromesso tra la borghesia autoctona e quella settentrionale", a vantaggio di quest'ultima, rispetto a cui si situerebbe in termini politici e socio-economici la questione sarda[18].
La questione sarda
modifica«I Sardi dovranno capire che il divenir prosperi, felici, ricchi, non dipende che da loro medesimi, che se non vorranno divenirlo è tutta colpa propria.»
Per secoli i governanti del Regno di Sardegna si erano riferiti ufficialmente al territorio e al popolo dell'isola come alla "nazione sarda" e in ogni atto pubblico precedente al 1847 l'aggettivo "nazionale" fu sempre e solo riferito a persone o cose appartenenti all'isola di Sardegna (cfr. lo stesso inno del regno, S'hymnu sardu nationale): essa era infatti inquadrata in uno stato che, per quanto inserito in una monarchia composita (aragonese prima e sabauda poi), non aveva mai smesso di mantenere comunque una propria soggettività giuridica, politica e culturale; Federico Francioni riferisce che il quadro cambiò, anche per questo aspetto, dopo la "fusione", attraverso uno spostamento verso l'accezione di nazione "Italia" e nazionale "italiano"[32][33]. Tuttavia, per Manlio Brigaglia l'aggettivo "nazionale", nella sua accezione riferita alla Sardegna, sarebbe però scomparso con l'affermazione dello stato unitario[34].
L'equiparazione fiscale, politica e amministrativa determinò, inoltre, una rinnovata marginalizzazione dell'arcipelago sardo rispetto alla Terraferma, i cui territori sarebbero stati in via di progressiva espansione con le guerre d'indipendenza italiane[15][35]. La perdita di soggettività statuale della Sardegna, da allora in poi inserita nel contesto di un grande stato unitario, non determinò alcun significativo miglioramento delle condizioni della classe dirigente sarda, la quale dovette fare i conti con agitazioni studentesche[36] e, per Maurice Le Lannou una ripresa delle attività banditesche e delinquenziali contro l'autorità centrale[37].
Con la fusione e il successivo avvento dell'unificazione politica italiana, ebbe convenzionalmente inizio la cosiddetta "questione sarda"[38][39][40], espressione coniata da Giovanni Battista Tuveri[41] per indicare il complesso dei problemi nei rapporti tra la Sardegna e lo stato unitario[42]. Da queste problematiche iniziò, subito dopo il Risorgimento, a maturare un nuovo pensiero autonomista, federalista e nazionalista[43], che divenne movimento politico in seguito alla prima guerra mondiale con la nascita del Partito Sardo d'Azione nel 1921[44][45][46], in prossimità dell'indipendenza irlandese (1921-1922).
A sostenere la tesi di autogoverno, o quantomeno di autonomia amministrativa, per la Sardegna sarebbero stati tanto isolani quanto continentali: Francesco Cesare Casula cita il parere di Carlo Cattaneo che, in un discorso, per la Sardegna proponeva di «lasciar la cura dei loro beni, dei loro ademprivii, dei loro paberili e stazzi e degli altri avìti ministeri ai Sardi; farli responsabili delle loro proprie sorti, sicché non possano più lagnarsi se non di se stessi, né apprendere a odiare adesso l'Italia, come appresero, purtroppo, a odiare il Piemonte»[43].
Le conseguenze
modificaLa Fusione comportò la fine di tutte le istituzioni, gli statuti e le leggi che erano ancora in vigore nell'antico Regno di Sardegna (un processo che i Savoia avevano iniziato invero nei decenni precedenti, con lo svuotamento de facto delle istituzioni preesistenti a fronte di un divieto per convenzione internazionale di modificare le leggi fondamentali del regno, e la stessa soppressione della Carta de Logu, sostituita dal cosiddetto "Codice Feliciano" nel 1827). Nell'Isola entrarono in vigore i più moderni codici già in forza negli stati continentali, quali il Codice Civile, il Codice Militare e quello penale, e dagli anni successivi partecipò alle elezioni per il Parlamento Subalpino.
Scomparsa dell'antico Parlamento sardo
modificaL'unione portò a una serie di conseguenze fra cui la scomparsa dei secolari istituti di autonomia statuale quali l'antico Parlamento sardo e la Reale Udienza, garantiti dai trattati internazionali nel momento del passaggio della corona ai duchi di Savoia.
Scomparsa degli altri Stati di terraferma
modificaGli "Stati di terraferma", che già da tempo avevano conosciuto un sostanziale accentramento e uniformazione amministrativa, si fusero formalmente all'interno dello Stato sardo.
Lingua
modificaIn Sardegna, la fusione rappresentò un tornante significativo per il tessuto socio-culturale dell'isola, che da allora procedette in direzione ancora più marcata verso un'assimilazione ai modelli culturali della terraferma[47] con il declassamento definitivo della lingua sarda rispetto a quella italiana; per Antonietta Dettori, fu infatti così che «la ‘lingua della sarda nazione’ perse il valore di strumento di identificazione etnica di un popolo e della sua cultura, da codificare e valorizzare, per diventare uno dei tanti dialetti regionali subordinati alla lingua nazionale»[47][48], ufficialmente introdotta per la prima volta nell'isola nel 1760[49][50].
Nascita dello Stato unitario sardo
modificaCon la "Fusione Perfetta" il Regno di Sardegna, divenuto con il passaggio della corona ai Savoia nel 1720 uno Stato "composto" (cioè formato dall'unione di più Stati con sovranità distinte ma temperate dalla Costituzione[51]), divenne "unitario" e caratterizzato, nell'intenzione dei regnanti, da «un solo popolo, un solo potere pubblico, un unico territorio»[52], non più pluralista come quello precedente, ma centralista sul modello francese, mantenendo la stessa denominazione.
Sviluppo dell'industria mineraria sarda
modificaUno degli effetti della fusione fu l'estensione alla Sardegna della nuova legge mineraria del regno, emanata a Torino il 30 giugno 1840, con caratteristiche adeguate al suo tempo, che separava i diritti di sfruttamento del sottosuolo da quelli derivanti dalla proprietà del suolo[53]. Questo nuovo impianto legislativo permise la nascita di nuove società minerarie a capitale non solo locale, come la miniera di Montevecchio in concessione dal 1848 al sassarese Giovanni Antonio Sanna, ma anche ligure, piemontese e di multinazionali europee, con lo sviluppo di impianti per l'estrazione ed il trattamento dei minerali fino alla nascita di villaggi minerari[54].
Note
modifica- ^ a b Sotgiu, Girolamo. Storia della Sardegna sabauda, Nuoro, Il Maestrale, 2018, p. 373
- ^ S. Caput, Le quattro giornate sarde del novembre 1847, Stab. tip. Fontana, Torino, 1847
- ^ Giovanni Siotto Pintor, uno dei principali sostenitori della Fusione perfetta, nella sua Storia civile (p. 455 ss.) descrive le due pacifiche manifestazioni tenute per richiedere le riforme. Enrico Costa, in Sassari (p. 528), parla invece delle manifestazioni di giubilo nel capoluogo turritano, per la notizia delle riforme concesse in Piemonte da Carlo Alberto.
- ^ Sotgiu, Girolamo. Storia della Sardegna sabauda, Nuoro, Il Maestrale, 2018, p. 376
- ^ Girolamo Sotgiu, Storia della Sardegna sabauda, Roma - Bari, Editore Laterza, 1984, pp. 307-308.«Che gli orientamenti più largamente diffusi fossero diversi è dimostrato da molti fatti. L'ostilità contro i piemontesi era forte come non mai, e le riforme erano viste anche come strumento per alleggerire il peso di un regime di sopraffazione politica che era tanto più odioso in quanto esercitato dai cittadini di un'altra nazione; per ottenere cioè non una fusione ma quanto più possibile di separazione. Il Baudi di Vesme testimonia che "correvano libelli sediziosi, forieri della tempesta, e quasi ad alta voce si minacciava un rinnovamento del novantaquattro".»
- ^ Carlo Baudi di Vesme rileva che "un sarto, per nome Manneddu, sollevò il grido di Morte ai Piemontesi in teatro, nel colmo delle manifestazioni di esultanza per la concessione delle riforme." Di Vesme, Carlo Baudi (1848). Considerazioni politiche ed economiche sulla Sardegna, Stamperia reale, Torino, p.181 (citato anche in Sotgiu, Girolamo. Storia della Sardegna sabauda, Nuoro, Il Maestrale, 2018, p. 384)
- ^ a b Sotgiu, Girolamo. Storia della Sardegna sabauda, Nuoro, Il Maestrale, 2018, p. 383
- ^ <<Promossi per non tagliare l'isola fuori dal movimento riformatore che si era sviluppato in Piemonte e in altri Stati italiani, si conclusero, come si è detto, con la richiesta, che solo pochi decenni prima sarebbe stata inconcepibile, della perfetta fusione con gli Stati di terraferma, con la rinuncia, cioè, a quella indipendenza nazionale che aragonesi e spagnoli avevano secolarmente rispettato, che il regno sabaudo non aveva osato mettere in discussione, anche se, come si è visto, aveva operato con successo per svuotare di contenuto reale.>> Sotgiu, Girolamo. Storia della Sardegna sabauda, Nuoro, Il Maestrale, 2018, pp. 380-381
- ^ Sotgiu racconta che <<sulla Torre dell'elefante, a Cagliari, il giorno della partenza per Torino della delegazione al re, apparve un manifesto con la scritta: "Viva la lega italiana/e le nuove riforme/Morte ai Gesuiti e ai piemontesi/Concittadini: ecco il momento desiato/della sarda rigenerazione".>> Sotgiu, Girolamo. Storia della Sardegna sabauda, Nuoro, Il Maestrale, 2018, p. 384
- ^ a b Carlo Alberto, Promessa di fusione e Regio Biglietto Archiviato il 20 ottobre 2020 in Internet Archive., cit. in Francesco Casula, Gianfranco Contu. Storia dell'autonomia in Sardegna, dall'Ottocento allo Statuto Sardo, Dolianova, Stampa Grafica del Parteolla, 2008, p. 31
- ^ Sotgiu, Girolamo. Storia della Sardegna sabauda, Nuoro, Il Maestrale, 2018, pp. 385-386
- ^ Pregone viceregio annunciante la promessa della fusione da parte di Carlo Alberto, citato in Sorgia, Giancarlo. La Sardegna nel 1848: la polemica sulla fusione, p. 31
- ^ Sorgia, Giancarlo (1968). La Sardegna nel 1848: la polemica sulla fusione, Cagliari, Editrice sarda Fossataro, p.17
- ^ Carlo Alberto, Pregone viceregio con cui si pubblica il Regio Biglietto del 20 dicembre 1847 Archiviato il 20 ottobre 2020 in Internet Archive., cit. in Francesco Casula, Gianfranco Contu. Storia dell'autonomia in Sardegna, dall'Ottocento allo Statuto Sardo, Dolianova, Stampa Grafica del Parteolla, 2008, p. 32
- ^ a b Sotgiu, Girolamo. Storia della Sardegna sabauda, Nuoro, Il Maestrale, 2018, p. 386
- ^ Sorgia, Giancarlo (1968). La Sardegna nel 1848: la polemica sulla fusione, Cagliari, Editrice sarda Fossataro, p.3
- ^ Gianfranco Contu e Francesco Casula, Storia dell'autonomia della Sardegna, dall'Ottocento allo Statuto Sardo, p. 13
- ^ a b [1] Leopoldo Ortu, La Questione Sarda tra Ottocento e Novecento. Aspetti e problemi, CUEC, 2005, pp. 23-24
- ^ Sotgiu, Girolamo. Storia della Sardegna sabauda, Nuoro, Il Maestrale, 2018, p. 381
- ^ Martini, Pietro. Sull’unione civile della Sardegna colla Liguria, col Piemonte e colla Savoia, Cagliari, Timon, 1847, pp.20-21
- ^ <<In tutto ciò non poca responsabilità ebbero la borghesia e la nobiltà che erano state alla testa del movimento fusionista nell'intento di trovare inserimento nella società piemontese e di ottenere ambite e ben rimunerate cariche pubbliche, specie nel continente.>> Sorgia, Giancarlo (1968). La Sardegna nel 1848: la polemica sulla fusione, Cagliari, Editrice sarda Fossataro, p.15
- ^ <<Si trattò di una richiesta presentata con enfasi al re Carlo Alberto da una parte dell'establishment sardo, quella che aveva interessi commerciali da promuovere o che intendeva garantirsi carriere politiche e burocratiche più robuste.>> Onnis, Omar (2015). La Sardegna e i sardi nel tempo, Arkadia, Cagliari, p.172
- ^ a b <<"Follia collettiva", esclama il Siotto Pintor a proposito di questa rinuncia. Collettiva è dire molto. Soltanto la borghesia dominante delle città partecipò a quest'entusiasmo in cui non si può non vedere qualche impulso verso un Risorgimento nazionale.>> Manlio Brigaglia (a cura di), 1982. Maurice Le Lannou, Un'idea della Sardegna , in La Sardegna. La geografia, la storia, l'arte e la letteratura, vol.1, Edizioni della Torre, Cagliari
- ^ Sotgiu, Girolamo. Storia della Sardegna sabauda, Nuoro, Il Maestrale, 2018, pp. 380-381
- ^ Martini, Pietro. Sull’unione civile della Sardegna colla Liguria, col Piemonte e colla Savoia, Cagliari, Timon, 1847, p. 4
- ^ [2] Leopoldo Ortu, La Questione Sarda tra Ottocento e Novecento. Aspetti e problemi, CUEC, 2005, p. 24
- ^ Giancarlo Sorgia, La Sardegna nel 1848: la polemica sulla fusione, Cagliari, Editrice sarda Fossataro, 1968, p. 25.«A nulla erano valsi gli interventi di quanti, non molti purtroppo, avevano visto un vero danno nella rinuncia incondizionata all'autonomia, sostenendo invece la necessità di chiari rapporti con il governo di Torino per il riordinamento delle strutture politico-amministrative isolane, in modo da consentire interventi autonomi e responsabili per la soluzione dei singoli problemi della Sardegna.»
- ^ Si legga il suo libro polemico del 1848 La Sardegna e la fusione con il sardo continentale, in cui, rivendicando la soggettività indipendente dell'isola su basi giuridiche, politiche e finanche etniche, criticava aspramente la scelta della borghesia sarda di legarsi a quella piemontese, trascurando essa il fatto che sardi e piemontesi non potevano serenamente convivere fra di loro perché li dividevano «...stirpe, costumi, indole, persino più che gli irlandesi dagli inglesi (cit. in Contu, Gianfranco; Casula, Francesco (2008). Storia dell'autonomia della Sardegna. Dall'Ottocento allo Statuto Sardo Archiviato il 20 ottobre 2020 in Internet Archive., p. 14)».
- ^ <<Errammo tutti [...] accomunando con lo stato economico del paese [la Sardegna] la politica e volendo, adolescenti ancora, misurarci co’ popoli di civiltà compiuta; e non pensammo che se il regno di Carlo Alberto avevaci abilitati a muovere passi lesti e sicuri, non però potevamo in pochi lustri avere appresa l’arte di volare.>> Siotto-Pintor, Giovanni, Storia civile, Torino, 1877, pp.476-477
- ^ <<Non ci volle molto perché ciò fosse chiaro anche ad alcuni dei più fervidi propugnatori di tale soluzione. I vari Giovanni Siotto Pintor, Giambattista Tuveri, Giorgio Asproni e, in termini più radicali, Federico Fenu avviarono una riflessione serrata e spesso alquanto lucida sugli effetti deleteri della fusione, dando il via al primo pensiero autonomista e federalista della Sardegna contemporanea.>> Onnis, Omar (2015). La Sardegna e i sardi nel tempo, Arkadia, Cagliari, p.173
- ^ (CA) Un arxipèlag invisible: la relació impossible de Sardenya i Còrsega sota nacionalismes, segles XVIII-XX - Marcel Farinelli, Universitat Pompeu Fabra. Institut Universitari d'Història Jaume Vicens i Vives, pp.299-300
- ^ «In verità fino al 1847 nessuno dubita che la Sardegna sia una nazione: da Carlo Alberto al viceré De Launay agli storici sardi, tutti lo ribadiscono a chiare lettere. Il quadro comincia a cambiare, anche per questo aspetto, dopo quell'anno, cioè dopo la perfetta fusione con gli Stati di terraferma.» Federico Francioni, Storia dell'idea di "nazione sarda", in Manlio Brigaglia, La Sardegna, 2. La cultura popolare, l'economia, l'autonomia, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1982, p. 173.
- ^ Sotgiu, Girolamo. Storia della Sardegna sabauda, Nuoro, Il Maestrale, 2018, p. 371
- ^ Manlio Brigaglia, Attilio Mastino, Giangiacomo Ortu, 2006. Storia della Sardegna dal Settecento a oggi, v. 2, Editori Laterza, p. 84
- ^ «L'effetto paradossale di tali misure fu l'accentuazione della marginalità e del ruolo strumentale dell'isola, dentro un ambito politico più vasto. Ambito che ormai, a prima guerra di indipendenza in corso, era in via di ulteriore estensione.» Onnis, Omar (2015). La Sardegna e i sardi nel tempo, Arkadia, Cagliari, p.172
- ^ Loddo-Canepa, Francesco (1958). Note sulla fusione della Sardegna col Piemonte: (1847-1848), Gallizzi, Sassari, p.40
- ^ «L'entrata dell'isola in un grande Stato unificato non ha dato grandi vantaggi ai ceti dirigenti sardi. Anzi, ha provocato una recrudescenza delle attività delittuose e del banditismo, che affermano in maniera clamorosa - più ancora della mafia siciliana, che tutto sommato prospera su dei compromessi con il sistema statale - il rifiuto totale di entrare in dialettica con l'esterno.» Manlio Brigaglia (a cura di), 1982. Maurice Le Lannou, Un'idea della Sardegna , in La Sardegna. La geografia, la storia, l'arte e la letteratura, vol.1, Edizioni della Torre, Cagliari
- ^ «Comunque si considerino la richiesta di fusione e la conseguente delusione, non può negarsi ad esse il valore di fatti storici dai quali è poi maturata, con sempre maggiore chiarezza, la coscienza di una Questione sarda che andava affrontata e risolta nella lucida visione delle esigenze isolane.» Sorgia, Giancarlo (1968). La Sardegna nel 1848: la polemica sulla fusione, Cagliari, Editrice sarda Fossataro, p.25
- ^ Glossario di autonomia Sardo-Italiana, Francesco Cesare Casùla, Presentazione del 2007 di Francesco Cossiga
- ^ La Sardegna non è solo un'isola - Il Corriere
- ^ Gli intellettuali nostrani dovrebbero confessarsi ogni giorno cona propria coscienza, Leopoldo Ortu
- ^ Sardegna, isola del silenzio, Manlio Brigaglia, su mclink.it. URL consultato il 24 maggio 2016 (archiviato dall'url originale il 10 maggio 2017).
- ^ a b Francesco Cesare Casula, Dizionario Storico Sardo, Lettera Q, p. 2735, L'Unione Sarda
- ^ Francesco Cesare Casula, Breve Storia di Sardegna, p. 245; op. cit.
- ^ La “fusione perfetta” del 1847 aprì una nuova era per l’isola, su lanuovasardegna.gelocal.it, La Nuova Sardegna, 23 novembre 2013. URL consultato il 16 aprile 2015.
- ^ M. Brigaglia, La Sardegna nel ventennio fascista, p. 317
- ^ a b «Questo riflette la mancanza di un forte sentimento di autonomia culturale, e anche politica, dopo la cosiddetta "fusione perfetta" con il Piemonte nel 1847. Per questo, la „lingua della sarda nazione” perse il valore di uno strumento di identificazione etnica di un popolo e della sua cultura, da codificare e valorizzare, per diventare uno dei tanti dialetti regionali subordinati alla lingua nazionale» [DETTORI 2001:88]. Naomi Wells, Multilinguismo nello Stato-Nazione, in Contarini, Silvia. Marras, Margherita. Pias, Giuliana. L'identità sarda del XXI secolo tra globale, locale e postcoloniale, Nuoro, Il Maestrale, 2012, p. 158.
- ^ Antonietta Dettori, Sardo e italiano: tappe fondamentali di un complesso rapporto, in Argiolas, Mario; Serra, Roberto. Limba lingua language: lingue locali, standardizzazione e identità in Sardegna nell’era della globalizzazione, Cagliari, CUEC, 2001, p. 88.
- ^ Amos Cardia, S'italianu in Sardìnnia candu, cumenti e poita d'ant impostu: 1720-1848; poderi e lìngua in Sardìnnia in edadi spanniola, Ghilarza, Iskra, 2006, p. 88, 91.
- ^ «Come data ufficiale per la estensione della lingua italiana in Sardegna viene comunemente citato il 1764, anno in cui fu emanata un'apposita carta reale per le Università, ma questa, in effetti, fu preceduta nel 1760 da un piano regio per le scuole inferiori e seguita nel 1770 da un regio editto per la magistratura. Occorse dunque un periodo di dieci anni per rendere ufficiale, nell'isola, l'adozione dell'italiano, la cui diffusione fu da principio assai lenta anche negli ambienti colti, come attesta l'uso frequente della lingua spagnola in atti e documenti pubblici fino ai primi decenni dell'Ottocento.» Francesco Corda, Grammatica moderna del sardo logudorese: con una proposta ortografica, elementi di metrica e un glossario, Cagliari, Edizioni della Torre, 1994, pp. 6-7.
- ^ Felice Battaglia et al., Stato in "Enciclopedia Italiana". Distinzione delle forme di stato., su treccani.it, Treccani, 1936.
- ^ Francesco Cesare Casula, Breve Storia di Sardegna, p. 244; op. cit.
- ^ Quintino Sella, Sulle condizioni dell'industria mineraria nell'isola di Sardegna, Camera dei deputati, Tip. Eredi Botta, Firenze, 1871, p. 14
- ^ Alfredo Ingegno, Roberto Cuccu. Quaderno didattico - vita e lavoro in miniera, Parco didattico Sa Marchesa, Regione Autonoma della Sardegna, Comune di Nuxis, 2006, pp. 47-49
Bibliografia
modifica- Pietro Martini, Sull'unione civile della Sardegna colla Liguria, col Piemonte e colla Savoia : discorso popolare, Cagliari, Tipografia di A. Timon, 1847.
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- Carlo Baudi di Vesme, Considerazioni politiche ed economiche sulla Sardegna, Torino, Stamperia reale, 1848.
- Giovanni Siotto Pintòr, Storia civile dei popoli sardi dal 1798 al 1848, Torino, F. Casanova successore L. Beuf, 1877.
- Giancarlo Sorgia, La Sardegna nel 1848: la polemica sulla fusione, Cagliari, Editrice sarda Fossataro, 1968.
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