Cappelletti (cavalleria)

I Cappelletti, stradioti reclutati dalle regioni dalmate[1], erano cavalleggeri al servizio della repubblica di Venezia[2]. Venivano così chiamati per via di un caratteristico copricapo che indossavano.[2]

Con il nome Cappelletti, nel XIII secolo, si designò anche un gruppo di famiglie cremonesi di fazione guelfa, poi espulse dalla città da Umberto Pelavicino. I loro avversari di fazione ghibellina erano invece detti Barbarasi o Troncaciuffi.[3][4]

Nella letteratura

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Verona, Casa di Giulietta, stemma Dal Cappello

Nella letteratura italiana e straniera, la famiglia Cappelletti viene spesso nominata per la sua rivalità con altre famiglie dell'epoca.

Nella Divina Commedia, ad esempio, Dante Alighieri li nomina nel VI canto del Purgatorio, importante canto politico, però non in veste di mercenari ma come guelfi di Cremona in giustapposizione con i Montecchi di Verona.[4][5]

«Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
color già tristi, e questi con sospetti!»

Il nome Cappelletti assurse però a fama mondiale nella deformazione Capuleti susseguente alla trasposizione in italiano del termine Capulet presente nella tragedia shakespeariana Romeo e Giulietta, ispirata dalla novella Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti di Luigi da Porto, da cui il drammaturgo inglese tradusse il nome originale Cappelletti. Luigi da Porto ne fece erroneamente una famiglia di Verona anziché di Cremona, fuorviato da una erronea interpretazione del verso dantesco.[2][3][4][6] Un'altra tradizione vuole che lo stemma sull'arco di ingresso della casa di Giulietta, a Verona, fosse quello appunto dei Cappelletti, indì per cui il palazzo venne designato come la casa shakespeariana, quando in realtà fu da sempre un edificio di proprietà dei Dal Cappello, mercanti di spezie e locandieri veronesi.[7]

Vengono inoltre citati nel capitolo XXIX e XXX de I promessi sposi come protettori del territorio bergamasco dalle possibili razzie dei Lanzichenecchi, mercenari tedeschi che transitavano nel limitrofo territorio di Lecco.

«Il territorio bergamasco non era tanto distante, che le sue gambe non ce lo potessero portare in una tirata; ma si sapeva ch'era stato spedito in fretta da Bergamo uno squadrone di cappelletti, il qual doveva costeggiare il confine, per tenere in suggezione i lanzichenecchi; e quelli eran diavoli in carne, né più né meno di questi, e facevan dalla parte loro il peggio che potevano.»

«Ma quando, al calar delle bande alemanne, alcuni fuggiaschi di paesi invasi o minacciati capitarono su al castello a chieder ricovero, l'innominato, tutto contento che quelle sue mura fossero cercate come asilo da' deboli, che per tanto tempo le avevan guardate da lontano come un enorme spauracchio, accolse quegli sbandati, con espressioni piuttosto di riconoscenza che di cortesia; fece sparger la voce, che la sua casa sarebbe aperta a chiunque ci si volesse rifugiare, e pensò subito a mettere, non solo questa, ma anche la valle, in istato di difesa, se mai lanzichenecchi o cappelletti volessero provarsi di venirci a far delle loro.»

«Vengon lanzichenecchi di qua; si son veduti cappelletti di là.»

  1. ^ (EN) Andrea Gramaticopolo, Gli Stradioti: mercenari al servizio della Serenissima. URL consultato il 7 giugno 2020.
  2. ^ a b c Cappelletti nell'Enciclopedia Treccani, su treccani.it. URL consultato il 13 marzo 2017.
  3. ^ a b CAPPELLETTI in "Enciclopedia Italiana", su treccani.it. URL consultato il 7 giugno 2020.
  4. ^ a b c Cappelletti in "Enciclopedia Dantesca", su treccani.it. URL consultato il 7 giugno 2020.
  5. ^ Scolari, pag. 5
  6. ^ Scolari, pag. 17
  7. ^ Scolari, pag. 7

Bibliografia

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  • Filippo Scolari, Sulla pietosa morte di Giulia Cappelletti e Romeo Montecchi, Livorno, Nistri Masi, 1831.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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