Garbart è una corrente artistica la cui peculiarità consiste nell'esprimersi con materiali e oggetti prodotti, consumati e gettati dall'uomo; una modalità espressiva implicitamente connessa al tempo in cui viene prodotta. Si basa infatti sul riciclaggio artistico dei rifiuti, ideato agli inizi degli anni '60 da Giorgio Bertin. Oggetti e materiali cambiano destinazione e anche il loro destino, diventando una scultura, anziché finire in discariche o inceneritori.[1] Successivamente, fenomeni assimilabili alla Garbart, oltre che negli USA si riscontrano anche nelle aree marginali e di smaltimento delle più grandi città europee: Londra, Parigi, Berlino; e questa tendenza artistica viene accolta da Omar Calabrese nel perimetro semantico del Neobarocco.[2]

Scultura rappresentante una gallina, assemblata con RSU (Rifiuti Solidi Urbani)
Gallina estrogenata Giorgio Bertin (1983)

Il termine "Garbart" è stato creato da Gianmaria Mussio combinando le parole inglesi "Garbage" (rifiuto) e "Art" (arte).[3]

Nel libro di poesie "Percorsi", è presente una poesia della poetessa Giovanna Bruco dal titolo "Garbart".[4][5]

Poster con al centro una scultura di un bambino con una figura di un uccello sul braccio sinistro, ottenuto da cucchiaini di gelato, in alto si legge, strappato, il titolo della mostra "Garbart - Riciclaggi di Giorgio Bertin". Sotto, in parti strappate, è visibile un manifesto precedente
Manifesto strappato relativo alla mostra a Palazzo Vecchio del 1988

Origini

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Già prima degli anni '60, con l'avanzare delle nuove tecnologie, le società occidentali iniziarono a produrre oggetti di consumo non più assimilabili dall'ambiente. L'uso di nuove materie, genericamente chiamate plastiche o composti polimerici, ampliò ulteriormente il consumismo, con un utilizzo massiccio di questi materiali.[6]

Giorgio Bertin, ideatore del riciclaggio artistico dei rifiuti, si recò a New York tra il 1981 e il 1982 per documentare lo smaltimento, (15.000 t/giorno ca.) via fiume e via terra, dei rifiuti della città.

La Garbart, dice Giorgio Morales, assessore alla Cultura, poi sindaco, del Comune di Firenze, è l'arte dei rifiuti, ma non solo dei rifiuti, rivendica con pieno diritto la propria essenza di arte, combinandola con l'intenzione provocatoria di travalicarne i confini. La Garbart accetta e trasforma i rifiuti, non cerca di sublimarli ma di suggerire e provocare. Come Bertin scrive in "La cultura dei rifiuti", un tempo l'arte celebrava la natura e la vita; oggi, invece, dobbiamo difenderle, e lui lo fa attraverso l'uso dei rifiuti. Ci costringe a riflettere sui rifiuti oltre i problemi tecnici e sociali della loro gestione, ponendo una questione più profonda: come affrontare la logica del consumo, dell'emarginazione e dei sottoprodotti indesiderati della tecnologia.[7]

New York e T.A.EX.

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Il termine Garbart affonda le sue radici nei collapsed suburbs delle estreme periferie newyorkesi, dove gran parte degli street artist (molti dei quali senza tetto) trovavano alloggio negli edifici pubblici (scuole, tribunali, inceneritori, luoghi di culto, fabbriche dismesse, mattatoi...) ancora agibili in quanto costruiti con criteri di maggiore robustezza.

 
Affresco di una Exhibition precedente di qualche anno lo scatto

Già negli anni '50 del Novecento, le comunità di artisti (di origini ed etnie molto diverse) così formatesi cominciarono a tenere le prime "exhibitions": sorta di esibizioni artistiche clandestine, chiamate anche T.A.EX. (Total Artistic EXhibitions).[8] Le strutture scelte erano molto grandi, in grado di contenere centinaia di opere e gli artisti che le producevano.[9]

 
Opera di Giorgio Bertin eseguita durante una Exibition (New York) 1981-82

I partecipanti, in maggioranza uomini, venivano condotti, di volta in volta, nei luoghi prescelti dal passaparola e da incontri casuali. Il carattere di clandestinità di questi eventi era adottato anche per non incorrere in divieti e controlli delle autorità, vista l'elevata presenza di partecipanti; di conseguenza era anche proibito introdurre macchine fotografiche, cineprese, registratori: l'exhibition doveva rappresentare solo un fenomeno esperienziale che ognuno avrebbe portato per sempre con sé. Infatti, alla fine di ogni raduno, tutto veniva abbandonato, solo qualche opera di piccole dimensioni veniva portata via.

Tutte le discipline e le forme artistiche potevano essere rappresentate: arti figurative (tutte le pareti, interne ed esterne, venivano coperte da affreschi e murales), musica, poesia, teatro, mimo, balletto, giocoleria…

Per le arti figurative, gli artisti recuperavano, gran parte del necessario (carta, cartone, tessuti, plastiche, metalli pannelli e sportelli di legno, vernici e tanto altro) negli ammassi di rifiuti depositati nelle vicinanze dagli abitanti delle periferie ancora abitate.

Muovendosi all'interno di una exhibition, l'artista perdeva la propria identità di artista, lasciandosi trasportare dentro un'oasi estetica; un vivere non l'arte ma dentro un'opera d'arte. Una ricerca estetica intensa, assolutizzante dell'arte, una traccia indelebile lasciata e poi diffusa dai partecipanti, alla quale avrebbe attinto buona parte dell'arte contemporanea.

"Un modo per sfuggire ad un'arte troppo spesso svilita, segregata nelle ristrettezze del bello o del brutto, del vale o non vale, deciso da chi non è attinto intimamente dall'arte e non la ama. Arte prodotta non da un artista ma da una comunità artistica di uomini che a loro volta facevano parte di una variegata comunità umana"[8]

" Tendenzialmente le azioni umane, prima ancora di essere ingiuste, tragiche, inique, sono brutte. Tradiscono tutte le leggi della bellezza, non solo dell'arte ma anche della natura"[10]

Il rapporto con l'Arte povera

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Giorgio Bertin, al rientro in Italia, dopo l'esperienza americana, venne contattato da enti culturali, associazioni ecologiche e da esponenti dell'Arte povera; trovandosi con quest'ultimi in disaccordo su vari punti.

Per lui infatti, l'Arte Povera non era abbastanza povera rispetto alla quantità di materiali rifiutati a disposizione, ritenendo inoltre, che questo movimento non si rapportasse in modo adeguato alle problematiche ambientali.

Non si riconosceva, inoltre, nei suoi enunciati, avulsi dalla decadenza culturale e sociale indotta dal consumismo, e se ne discostava dando inizio alla Garbart: così si esprimeva in una sua poesia "I rifiuti sono i fiori del male / del nostro tempo / e hanno tanto da raccontare / e da testimoniare"[11].

Secondo Bertin inoltre, l'Arte Povera opera una selezione dei materiali e degli oggetti prodotti via via dal "progresso" tecnologico, anziché usarli nel loro complesso e nelle loro potenzialità espressive; operazione, questa, non critica, ma funzionale al sistema che li progetta, produce, e ne promuove, in modo sconsiderato, il consumo.

  1. ^ Omar Calabrese, Gerhart Schroeder e Claudio Cantella, Garbart: riciclaggi di Giorgio Bertin., La casa Usher., 1988.
  2. ^ Omar Calabrese, Caos e bellezza: immagini del neobarocco, 1. ed, Domus Academy, 1991, ISBN 978-88-7184-010-9.
  3. ^ Gianmaria Mussio, La società dei rifiuti di Giorgio Bertin, a cura di Prof G. Zecchi (corso di Igiene Edilizia), Istituto universitario di Architettura, Venezia, aprile 1984.
    «"The Garb Age/Letà del Garbo"»
  4. ^ Giovanna Bruco, Percorsi, 2022, pp. 45-46, ISBN 9788832722222.
    «garbart \ arte di una garbage \ garbata \ nauseante e poetica ...»
  5. ^ Garbart - Riciclaggi di Giorgio Bertin, La Casa Usherª ed., p. 62.
  6. ^ Gerhart Schröder, Oggetti Inquietanti.
    «Il fascino degli oggetti di Giorgio Bertin non si spiega facilmente. Il materiale col quale opera non è innocente: è cultura ridiventata natura. Bertin raccoglie quello che buttano via New York, Firenze, la civilizzazione. I rifiuti — il rifiutato — hanno una densità semantica speciale: in essi c’è il lavoro della produzione, il loro consumo, cioè storia.

    Storia però alla rovescia, dove quello che pareva ordinato, logico si rivela caotico, casuale, «die Rückseite des Teppichs der Geschichte» (il rovescio del tappeto della storia).

    Quest’aspetto della casualità ha già interessato i surrealisti. I rifiuti, come materiale dell’arte del ventesimo secolo, hanno una lunga storia. Però gli oggetti di Bertin sono qualcosa di nuovo, non corrispondono alla definizione del bello di Lautréamont. Il materiale è organico e inorganico. Privilegiato il «materiale proteiforme»: medicine, bottiglie, tubi, sacchetti, fogli...

    Gli oggetti che Bertin genera sono proteiformi come il materiale. Variano. Corpi densi/massicci; crescono, come un cancro. Fantasie sottili di fogli di plastica, giochi ad allusione di farfalle o di farfalloni, si perdono nella luce.

    Particolarità di alcuni oggetti di Giorgio Bertin è la loro emancipazione dalla parete e dalla cornice. Sono sospesi nel vuoto. Non sono recuperabili nell’ordine stabile di uno spazio che li definirebbe.

    Altri oggetti giocano ancora con questo ambiguo ed inquietante gioco, risultando egualmente sospesi nel relitto.

    Pochi si stringono addosso ad un’estensione, si espandono in relazione con l’ambiente di uno spazio logico, i corpi producono il proprio spazio. Nella loro critica del linguaggio europeo, Deleuze e Guattari hanno sviluppato un altro modo di pensare: quello del rizoma, un sistema senza preistoria e garantito, che può seguire spontaneamente ogni direzione.

    È il modello di questi oggetti inquietanti.»
  7. ^ Garbart - Riciclaggi di Giorgio Bertin.
    «Giorgio Morales, assessore alla Cultura del Comune di Firenze

    La «Garbart» (garbage, rifiuti, più arte) di Giorgio Bertin, l’arte dai rifiuti — non solo dei rifiuti —, rivendica con pieno diritto la propria essenza di arte, combinandola con l’intenzione provocatoria di travalicarne i confini.

    Un’arte che nasce povera, attraverso i rifiuti, non per scelta ideologica di povertà ma per scelta o necessità storica: ogni giorno è più evidente quanto sia vasta e invadente la presenza dello sterminato sottoprodotto della nostra patinata società.

    In questo riconoscimento è la prima suggestione della «Garbage-arte», un’arte che non sublima ma accetta e rielabora, non chiude, non vuole significare ma suggerire, provocare.

    «C’è stato un tempo per cantare la natura e la vita con l’arte, per esaltarne le bellezze,» scrive Bertin in *La cultura dei rifiuti* «il nostro è un tempo per difenderle tutte e due e io cerco di farlo usando in questo modo i rifiuti».

    Il merito della Garbart è proprio questo: metterci di fronte alla questione dei rifiuti ben oltre i problemi tecnici e sociali imposti dalla loro difficile «sistemazione».

    Il problema che pone è più profondo: come confrontarci con la logica del consumo, dell’emarginazione, dell’occultamento, del decoro e dell’indecenza, del nitore tecnologico e dei suoi indesiderati sottoprodotti. In una parola è una sfida-provocazione a riconoscere una realtà (sociale e individuale) meno superficiale, positiva e accogliente, più complessa, mutante, difficile da assimilare in un sistema culturale e ideologico rassicurante.»
  8. ^ a b Giorgio Bertin, L'uomo che si butta via, MnM Print, 2019, p. 161, ISBN 978-8894394450.
  9. ^ T.A.EX., in Panorama Mese, marzo 1984.
    «T.A.EX. (Total Artistic EXhibition) Esponente dell'espressionismo metropolitano, Giorgio Bertin visse a New York agli inizi degli anni ottanta, dove, con i permessi e l'aiuto del Dipartimento della Sanità, realizzò un documentario sulle varie fasi di espulsione dei rifiuti solidi urbani di questa città: raccolta, trasporto terrestre e fluviale negli inceneritori o interramento nei sanitary landfill (SPASMO-PLUS 1982 edizioni Stampa Alternativa Roma suppl. N.14276).

    Durante la sua permanenza a New York, partecipò più volte alla T.A.EX. (Total Artistic EXhibition): enormi esibizioni artistiche “clandestine” che si tenevano in grandi edifici abbandonati dell'estrema periferia newyorkese, nelle quali tutte le forme espressive erano ammesse.

    I materiali per l'arte figurativa: porte, finestre, legno, metallo, plastiche, cartone, erano in gran parte recuperati nelle aree circostanti agli edifici scelti per le esibizioni.

    Come si ricava anche da vari frammenti biografici, sembra che lo stesso Jean-Michel Basquiat abbia partecipato sia come musicista che come pittore a più di una di queste esibizioni. Questo è confermato sia dal graffitismo e dall'uso di materiali recuperati, nonché dalle sue commistioni espressive che lo accomunano indelebilmente agli elementi fondanti delle T.A.EX.

    Il termine Garbart, da "garbage" (rifiuti) e "arte", adottato da Giorgio Bertin per definire tutta la propria produzione artistica: pittura e scultura, è nato all'interno di questa esperienza unica e irripetibile.»
  10. ^ Giorgio Bertin, L'uomo che si butta via, MnM Print, 2019, p. 164, ISBN 978-8894394450.
  11. ^ Giorgio Bertin, Anni di Cellophane, Ibiskos Ulivieri, 2021, ISBN 978-8832721676.

Bibliografia

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Voci correlate

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Collegamenti esterni

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